LA RELATIVITA’ DA NEWTON AD EINSTEIN 9. TENTATIVI DI COSTRUIRE UNA MECCANICA SU BASI DIFFERENTI. HERTZ. LA CRITICA DI MACH: L’EMPIRIOCRITICISMO. L’ENERGETISMO ED OSTWALD: LE POSIZIONI DI DUHEM, DI BOLTZMANN E POINCARÉ. LA NUOVA FISICA DI WIEN ED ABRAHAM.

7 – MECCANICISMO E  CRISI DELLA MECCANICA. TENTATIVI DI COSTRUIRE UNA MECCANICA SU BASI DIFFERENTI (HERTZ). LA CRITICA DI MACH: L’EMPIRIOCRITICISMO

        Alla fine dell’Ottocento, una quantità molto grande di fatti sperimentali e di elaborazioni teoriche portavano a concludere sull’insufficienza della meccanica che, così come si era affermata a partire da Newton, attraverso gli sviluppi della Meccanica Razionale ed Analitica soprattutto della scuola francese del XVIII secolo, non riusciva più a rendere conto compiutamente di quanto si andava via via scoprendo. E ciò risultava non dallo sviluppo di un solo campo della fisica ma, praticamente, da tutti.

        Una breve ricapitolazione ci sarà utile.

        Con l’affermarsi della teoria ondulatoria della luce, lo sviluppo dell’ottica dei corpi in movimento, almeno fino all’esperienza di Miehelson-Morley del 1887, tentava di ricondurre i vari fenomeni all’esistenza di un etere che assolveva il duplice compito di sostegno per le vibrazioni e di spazio assoluto cui riferire i fenomeni stessi.

        Con i lavori di Maxwell-Hertz, l’ottica diventa un capitolo dell’elettromagnetismo ed i problemi dell’ottica dei corpi in movimento diventano i problemi dell’elettrodinamica dei corpi in movimento con un etere che si trova sempre a giocare un ruolo di primo piano. E quindi, in definitiva, i problemi sorgono essenzialmente dall’elettrodinamica dei corpi in movimento e più in particolare dalle proprietà e comportamento di quell’etere che, nonostante i numerosi tentativi, rifiuta di mostrarsi.

        E questo per un verso.

        D’altra parte, altri problemi nascono dagli sviluppi della termodinamica.

        Cerchiamo di capire la natura di queste due classi di problemi in relazione ai postulati fondamentali della meccanica.

        Per rendere conto dei fenomeni osservati l’elettrodinamica, come già visto, deve considerare: forze dipendenti da angoli, forze dipendenti da velocità, forze a contatto, la non invarianza delle equazioni di Maxwell per una trasformazione di Galileo, lunghezze che variano, tempi locali, messa in discussione del principio di azione e reazione e del principio di conservazione della quantità di moto, inosservabilità dello spazio assoluto, masse che variano a seconda del verso del moto. Certamente si va costruendo una fisica che via via rende conto dei fatti sperimentali, continuando a rincorrerli, ma, altrettanto certamente, questa fisica va via via negando le premesse dalle quali era nata. E ciò con la convinzione di star lavorando per la sua conservazione. Tutto quanto deve essere tenuto in conto dall’elettrodinamica costituisce un vero e proprio colpo di maglio ai concetti fondamentali della meccanica: lunghezze, masse, tempi, forze, spazio assoluto, principi di conservazione. Tolto questo, che resta della meccanica oltre la spiegazione dei fenomeni strettamente meccanici per cui la stessa era nata ? (662 bis)  Ed il problema si pone con maggior forza proprio perché continua a persistere la volontà di voler spiegare tutto con la meccanica.

        Per parte sua, quali contributi alla messa in discussione della meccanica vengono dalla termodinamica ?  

        La questione certamente più rilevante era posta dall’affermazione di irreversibilità di tutti i fenomeni naturali. Da una parte, con la teoria cinetica, si erano utilizzate le leggi perfettamente reversibili della meccanica, dall’altra la termodinamica, uno dei prodotti dell’elaborazione cinetico-molecolare, forniva dei risultati che avevano perso quella caratteristica di reversibilità. Inoltre, dovendo trattare sistemi composti da un enorme numero di costituenti, era stato necessario introdurre sistematicamente metodi statistici e probabilistici ed, in particolare, il concetto di stato più probabile. Gi si accorgeva sempre più che la trattazione di fenomeni microscopici richiedeva  la formulazione di leggi diverse da quelle ricavate per i fenomeni macroscopici. E per di più, alcune delle conclusioni ricavate a livello microscopico, con quei metodi statistici che incontreranno molti oppositori, venivano estese ai fenomeni macroscopici. E’ il caso dell’introduzione della funzione entropia che veniva ad assumere significati del tutto assimilabili alla grandezza tempo, soprattutto dal punto di vista della sua unidirezionalità. Ma un altro aspetto del problema doveva presentarsi proprio all’alba del nuovo secolo, quando Planck, per rendere conto dei risultati sperimentali relativi all’irraggiamento di un corpo nero (si veda il paragrafo 2 di questo capitolo) e nell’ambito di una trattazione termodinamica del problema, è costretto ad ammettere la discontinuità dell’energia, la sua quantizzazione (si noti che Boltzmann già nel 1872 aveva utilizzato, come mero artificio di calcolo, la quantizzazione dell’energia facendo poi una successiva operazione – il limite per questi quanti tendenti a zero – che rendeva priva di importanza la prima operazione). In questo ambito, le stesse metodologie di lavoro utilizzate nella ricerca fisica sembrano subire un forte contraccolpo. L’uso delle analogie e soprattutto dei modelli meccanici a cosa servono in un mondo microscopico che ubbidisce a leggi differenti da quelle del mondo meccanico macroscopico ?

         C’è insomma una grossa mole di problemi che vanno tutti nella direzione di rimettere in discussione i fondamenti ed i metodi della fisica  affermatasi con Newton e sviluppatasi nell’ambito del meccanicismo.

         L’insoddisfazione latente e molto spesso evidente cominciò a prendere corpo nella seconda metà del secolo XIX, inizialmente con dei tentativi  di riformulazione della meccanica di Newton su basi differenti.

         La questione che maggiormente faceva discutere e che sollevava critiche era il concetto di forza, la sua definizione, la sua esistenza, la sua essenza. A questo problema si aggiungeva quello della massa; cos’è e che rapporti ha con la materia ? e con la forza ? e la materia cos’è ? e cosi via.

         Un primo tentativo di liberare la meccanica dalle forze fu realizzato dal fisico francese Barré de Saint-Venant (1797-1896) il quale, nei suoi Principi di Meccanica basati sulla Cinematica (Parigi, 1851), riprendendo alcune proposizioni di Lazare Carnot, sviluppate nel Saggio sulle macchine in generale (Parigi, 1763) e nei Principi fondamentali dell’equilibrio e del moto (Parigi, 1803) e dopo aver sostenuto che le forze sono una specie di intermediari occulti e metafisici che non intervengono né tra i dati né tra i risultati di un qualunque problema meccanico, definì la massa e la forza a partire dai concetti (da Saint-Venant ritenuti fondamentali e primitivi) di movimento, velocità ed accelerazione. Così egli scriveva: (662 ter)

” Masse – La massa di un corpo è il rapporto tra due numeri che esprimono quante volte questo corpo ed un altro     corpo, scelto arbitrariamente e che rimane costantemente lo stesso, contengono parti che, separate e sottoposte due a due ad urti l’una contro l’altra, si comunicano, mediante l’urto, velocità opposte uguali.

  Forze – La forza o l’attrazione positiva o negativa di un corpo su di un altro è un segmento che ha come grandezza il prodotto della massa di quest’ultimo [corpo] per l’accelerazione media dei suoi punti verso quelli del primo e come direzione quella di questa accelerazione.

 Quello che va sottolineato è che Saint-Venant, per primo ha una chiara coscienza del fatto che le definizioni di massa e forza sono strettamente legate tra loro e che, secondo Saint-Venant, è impossibile dare una definizione di forza se prima non si è definita con chiarezza ed univocamente la massa. E la definizione di massa che viene fornita, come si può vedere, è intanto indipendente da quell’equivoco che sempre l’aveva accompagnata: che c’entra la massa con la quantità di materia ? Qui la quantità di materia sparisce. Inoltre questa definizione di massa discende dalla conservazione della quantità di moto e, come vedremo, sarà una delle basi dell’elaborazione di Mach. Anche se Saint-Venant non portò a compimento il suo programma, il suo lavoro si concluse con l’auspicio che presto le qualità occulte come la forza spariscano dalla fisica per essere sostituite solo da velocità e sue variazioni.

        Per parte sua e negli stessi anni, il fisico francese P. Reech (l805 -1874), nel suo Corso di Meccanica secondo la natura generalmente flessibile ed elastica dei corpi (Parigi, 1852), tentava, sulla traccia di Euler che tentò di fondare una dinamica sul concetto di forza anche se poi quest’ultima era definita solo staticamente, di dare la forza come concetto primitivo e cioè non come causa di movimento, ma

effetto di una causa qualunque, chiamata pressione o trazione e che noi apprezziamo con estrema chiarezza in un filo teso, supposto privo della sua qualità materiale o massa.”  (663)

Come si può osservare da questo breve passo, anche per Reech la sola possibile definizione di forza è di natura statica: l’allungamento di un filo o di una molla. Il confronto degli allungamenti può permettere il confronto tra forze. Si tratta di una prima definizione operativa che si scontra però con la sua estensione al caso dinamico. E non a caso Reech definiva come entità misteriose proprio quelle forze di tipo dinamico come le gravitazionali o le elettriche e magnetiche.

        Sulla strada invece di eliminare dalla meccanica il concetto di forza si muoveva anche il fisico tedesco G.B. Kirchhoff. Nelle sue Lezioni di matematica, fisica e meccanica (Lipsia, 1874-1876), egli tentò di costruire una dinamica in cui i concetti di forza e massa fossero derivati dai concetti primitivi ed intuitivi di spazio, tempo e materia. (664)  Secondo Kirchhoff, la meccanica deve limitarsi a descrivere i movimenti disinteressandosi delle loro cause. Considerando la massa (concetto primitivo) come un coefficiente costante di una data particella, la forza risulta definita come il prodotto della massa per l’accelerazione. E poiché in meccanica  non abbiamo mai a che fare con una forza, ma sempre con sistemi di forze che hanno come effetto il moto, noi, dallo studio di questo moto, non possiamo risalire al sistema di forze, ma solo alla loro risultante. Per questo la definizione di forza non può che essere incompleta.

        Su questi argomenti intervenne anche il fisiologo tedesco E. Du Boys-Reymond (1818-1896). (665)  In due opuscoli, I confini della conoscenza della natura (Lipsia, 1872) ed I sette enigmi del mondo (Berlino, l880),  riprendendo alcune posizioni del filosofo positivista britannico H. Spencer  (1820-1903),  (667)  egli sostenne che i metodi della Meccanica, arrivata al suo culmine con Laplace, ci rendono impossibile andare ad una conoscenza completa della natura. In particolare quella Meccanica, che Du Boys-Reymond considera come cosa distinta dal meccanicismo, non è in grado di darci informazioni sulla natura della materia e della forza. Inoltre, nell’ipotesi di un mondo corpuscolare regolato dagli urti delle particelle, ci è impossibile riuscire a cogliere l’inizio del moto. E poi, come è possibile render conto di forze agenti a distanza nel vuoto ? Esse sono addirittura inconcepibili. Scriveva Du Boys-Reymond: (668)

E’ facile scoprire l’origine di queste contraddizioni. Esse sono radicate nell’impossibilità, per noi, di rappresentarci qualcosa che non sia sperimentato con i nostri sensi o con il senso interno.”

Ecco quindi che inizia a porsi, da parte di scienziati, il problema del nostro rapporto con la natura ed in particolare di come esso sia condizionato dai nostri sensi.  

        Anche Hertz, come già accennato, tentò,sulle orme di Kirchhoff, di costruire una meccanica che prescindesse dal concetto di forza. La critica qui va più a fondo perché, pur non negandoli completamente, coinvolge l’uso dei modelli meccanici nella spiegazione fisica. E’ un complesso tentativo di assiomatizzazione quello che condusse Hertz nei suoi Principi della Meccanica   (Lipsia, 1894). A proposito del concetto di forza, scriveva Hertz: (669)

 ” Non si può negare che in moltissimi casi le forze che si usano nella meccanica per trattare problemi fisici sono soltanto dei partner sonnecchianti, che sono ben lungi dall’ intervenire quando devono essere rappresentati i fatti reali.”

Certo che il concetto di forza è stato utile nel passato, ma ora, riguardo all’introduzione di relazioni non strettamente necessarie

tutto ciò che possiamo chiedere è che queste relazioni dovrebbero, finché è possibile, essere limitate, e che una saggia discrezione dovrebbe essere osservata nel loro uso. Ma è stata la fisica sempre parca nell’uso di tali relazioni ? Non è stata essa costretta piuttosto a riempire il mondo all’eccesso con forze dei più vari tipi – con forze che non sono mai apparse nei fenomeni, o anche con forze che sono entrate in azione solo in casi eccezionali ?”  (669)

L’esempio che viene portato è quello di un pezzo di ferro su di un tavolo. Esso è immobile. Quale fisico riuscirebbe a convincere il prossimo che quello stato di riposo è dovuto ad una infinità di forze che si fanno equilibrio ? Hertz può cosi continuare:  (669)

E’ dubbio  se  le  complicazioni  possano  essere  evitate  del  tutto;  ma  non  vi è dubbio che un sistema di meccanica che le evita o le esclude è più semplice, ed in questo senso più adeguato, di quello qui considerato; quest’ultimo infatti non solo consente tali concezioni, ma addirittura ce le impone con la forza.”

Come la forza anche l’energia potenziale pone dei problemi. Se infatti noi ci  proponiamo che

nelle  ipotesi dei problemi entrino soltanto caratteristiche che sono  accessibili direttamente all’esperienza … , senza assumere una considerazione preventiva della meccanica, dobbiamo specificare con quali semplici, dirette esperienze proponiamo di definire la presenza di una quantità di energia, e la determinazione del suo ammontare.”   (669)  

 Ora, ciò vuol dire che l’energia deve essere intesa come una qualche sostanza e   

“l’ammontare di una sostanza è  di necessità una quantità positiva;  ma  noi non esitiamo mai ad assumere che l’energia potenziale contenuta in un sistema sia negativa.”  (670)

 Per Hertz, in definitiva, tutte queste incongruenze portano alla necessità di sviluppare la meccanica “in una forma logicamente ineccepibile”, basandola sui tre concetti fondamentali di tempo, massa e spazio. (671)  Ma, attenzione, noi non possiamo che avere un’immagine parziale dei fenomeni; noi introduciamo, secondo Hertz, forze ed energie per rendere conto di un qualcosa che, nascosto ai nostri sensi, opera sui fenomeni stessi. Ma poi, quando dobbiamo descrivere quel qualcosa, è conveniente ricorrere proprio a ciò che cade sotto i nostri sensi e cioè movimenti e masse. Ebbene, ciò lo facciamo per un principio di comodità; diamo dei nomi, ai quali non corrisponde alcuna realtà fisica, a ciò che in realtà non conosciamo, a ciò che ci è nascosto. La nostra meccanica può essere costruita considerando movimenti e masse nascoste, anziché forze ed energie non necessarie, oltre, naturalmente, ai movimenti ed alle masse evidenti.  (672)  Scriveva Hertz: (673)

Se  cerchiamo  di  comprendere  i  movimenti  dei  corpi  che  ci  circondano  e  di  riportarli a delle regole semplici e chiare, ma nel considerare solo ciò che ci cade direttamente sotto gli occhi, in generale le nostre ricerche si arenano … Se vogliamo ottenere un’immagine del mondo chiusa su se stessa, sottomessa a delle leggi, dobbiamo, dietro le cose che vediamo, ipotizzare altre cose invisibili e cercare, dietro la barriera dei nostri sensi, degli attori nascosti.”

E la forza e l’energia possono proprio essere intese in questo senso, a patto di descriverle come masse e movimenti: (673)

Noi siamo liberi d’ammettere che ciò che è nascosto non è altro che movimento e massa, non differenti dalle masse e dai movimenti visibili ed aventi solamente non altre relazioni con noi che il nostro modo abituale di percepire … Ciò che siamo abituati a designare con i nomi di forza e di energia si riduce allora ad una azione di massa e di movimento; ma non è necessario che questa sia sempre l’azione di una massa o di un movimento percepibile da parte dei sensi materiali.

L’intera meccanica di Hertz è basata su di un principio fondamentale:

“Un sistema libero è in riposo e descrive in modo uniforme una traiettoria che e’ il cammino più breve [cioè quello che ha una curvatura minore e cioè una geodetica],”

Ora ogni sistema che ci offre la natura è un sistema libero. Ma vi sono anche dei sistemi che sembrano liberi sui quali, in realtà, agiscono delle masse nascoste e dei moti altrettanto nascosti. Più in generale si può dire che un sistema libero è un insieme di sistema nascosto e sistema visibile. E non ci si stupisca di masse o movimenti nascosti. L’etere, di grande attualità all’epoca di Hertz è proprio una massa nascosta. Inoltre, quando si parla di moti vibratori delle particelle costituenti la materia, stiamo in realtà parlando di movimenti nascosti.

        La forza in tutto ciò non compare come entità fisica; essa potrà tuttalpiù figurare come utile strumento matematico e ciò potrà accadere quando si ha la decomposizione di un sistema libero in due parti: bisognerà allora considerare l’azione di una delle parti sull’altra e viceversa.

        Da questo punto, per mezzo di un processo puramente induttivo è possibile ricavarsi l’intera meccanica.  

        In definitiva, un dato sistema che cade sotto i nostri sensi è sempre una parte di un sistema isolato di cui l’altra parte è nascosta. Tramite la teoria dei vincoli è possibile scrivere le equazioni del moto del nostro sistema osservabile. Ciò che in ultima analisi è poi richiesto è l’accordo con l’esperienza; in caso contrario, nell’impostazione del problema, non si è tenuto conto di altri movimenti ed altre masse nascoste. Le masse ed i moti nascosti, intesi come vincoli, sono un ottimo strumento teorico per elaborare l’intera meccanica.

            Abbiamo fin qui accennato ad alcuni tentativi e lavori che cercavano di rifondare la meccanica newtoniana su basi differenti. Ma il rappresentante più noto e più influente di questo movimento di pensiero fu senza dubbio il fisico-fisiologo-filosofo austriaco E. Mach (1838-1916) sul quale occorre soffermarsi un poco.  

           Il nostro, laureatosi in fisica a Vienna nel 1860, iniziò degli studi di fisiologia e nel 1863 pubblicò un primo lavoro, Compendio di fisica per medici, nel quale mostrò di essere un convinto meccanicista: tutte le scienze, come anche la fisiologia, non sono altro che meccanica applicata. Ma fu proprio la fisiologia che poco a poco scosse dalle fondamenta la sua fede meccanicista. La questione, così come si poneva all’inizio, era: come nella fisio logia molte difficoltà sorgono perché si vuole spiegare tutto con la fisica,  allo stesso modo, nella fisica le difficoltà nascono perché si vuole spiegare tutto con la meccanica.

           Mach diede primo corpo alle sue idee nella sua opera principale, La Meccanica nel suo sviluppo storico critico, che vide la luce, in prima edizione, nel 1883.  (674)  In questo lavoro Mach ricostruiva la storia della Meccanica a partire dalle origini. La sua non era una semplice storia ma, come annuncia il titolo dell’opera, una vera e propria critica dei fondamenti della meccanica, al modo in cui sono stati formulati e si sono affermati. L’interesse principale dell’opera di Mach è che questa critica della meccanica si afferma dall’interno del mondo della fisica e la tesi di fondo su cui il lavoro è imperniato è che, nel passato, la meccanica ha svolto un ruolo fondamentale, mentre ora risulta un freno che tende a limitare la grande mole dei diversi fatti empirici.  

           Senza voler entrare in un’analisi che abbia una qualche pretesa di completezza, veniamo a quanto sostenuto da Mach nella sua Meccanica in relazione ad alcuni concetti fondamentali della meccanica: massa, principio di azione e reazione, spazio, tempo e movimento.

           Cominciamo dalla massa e dal principio di azione e reazione. Scriveva Mach:  (675)

Per quanto riguarda il concetto di massa, osserviamo che la formulazione data da Newton è infelice. Egli dice che la massa è la quantità di materia di un corpo misurata dal prodotto del suo volume per la densità. Il circolo vizioso è evidente. La densità infatti non può essere definita se non come la massa dell’unità di volume.”

Non si può evidentemente definire una grandezza mediante un’altra grandezza non definita e cosi la massa risulta priva di una definizione. Questa difficoltà ne comporta delle altre particolarmente in connessione al principio di azione e reazione. Infatti, come scriveva Mach,  (676)

Poiché Newton ha definito come misura della forza la quantità di moto acquisita nell’unità di tempo (massa per accelerazione), ne segue che corpi agenti l’uno sull’altro si comunicano in tempi uguali quantità di moto uguali ed opposte, ossia si comunicano velocità opposte inversamente proporzionali alle loro masse.”

Se mettiamo ora in relazione quanto qui detto con ciò che Mach aveva osservato a proposito del concetto di massa arriviamo, con Mach, ad affermare: (677)

L’oscurità del concetto di massa si fa evidente quando si applica in dinamica il principio di azione e reazione. Pressione e contropressione possono essere uguali, ma come sappiamo che pressioni uguali producono velocità inversamente proporzionali alle masse ? … [Infatti] i due distinti enunciati con cui Newton ha formulato il concetto di massa ed il principio di reazione dipendono l’uno dall’altro, cioè l’uno suppone l’altro.”

A questo punto Mach passava a formulare il concetto di massa ed il principio di azione e reazione in un modo che rappresentasse un superamento delle difficoltà accennate:  (678)

Dato  che  esperienze  meccaniche  ci  informano  dell’esistenza  nei  corpi  di  una particolare caratteristica che determina l’accelerazione, niente impedisce di formulare in via ipotetica la seguente definizione: Diciamo corpi di massa uguale quelli che, agendo l’uno sull’altro,  si comunicano accelerazioni uguali ed opposte. Con ciò non facciamo altro che designare una relazione fattuale … Se scegliamo il corpo A come unità di misura, attribuiremo la massa m a quel corpo che imprime ad A un’accelerazione pari a m volte l’accelerazione che esso riceve da A. Il rapporto delle masse è il rapporto inverso delle accelerazioni preso con segno negativo … Il nostro concetto di massa non deriva da alcuna teoria. Esso contiene soltanto la precisa determinazione, designazione e definizione di un fatto. La quantità di materia è del tutto inutile.”

Definita così la massa, cosa resta del principio di azione e reazione ?

II  concetto  di  massa  che  noi   proponiamo  rende   inutile  una  formulazione  distinta del principio di azione e reazione. Nel concetto di massa e nel principio di azione e reazione … viene enunciato due volte lo stesso fatto; cosa evidentemente superflua. Nella nostra definizione, dicendo che due masse 1 e 2 agiscono l’una sull’altra, si è già detto che esse si comunicano accelerazioni opposte che stanno tra loro nel rapporto 2:1.”  (679)

A proposito quindi della massa, la cui definizione – secondo Mach – sottende quella del principio di azione e reazione, il nostro autore poteva così concludere:   (680)

Resi attenti dall’esperienza, abbiamo scoperto che esiste nei corpi una particolare caratteristica determinante accelerazione. Con il riconoscimento e la designazione non equivoca di questo fatto, la nostra opera è compiuta. Non andiamo oltre questa designazione, perché qualsiasi aggiunta causerebbe solo oscurità. Ogni incertezza scompare quando si sia capito che nel concetto di massa non è contenuta una teoria, ma una esperienza.”

Prima di andare oltre nella ricostruzione della critica di Mach, sono importanti alcune osservazioni. Innanzitutto (680 bis) è da negare l’ultima affermazione di Mach? all’interno della definizione di massa che egli ci fornisce (rapporto delle masse come rapporto inverso delle accelerazioni, cambiato di segno) c’è una teoria e, pare incredibile, proprio la seconda legge di Newton (oltre alla prima legge della dinamica). Nessuno ci autorizza infatti a sostenere,  basandoci sulla sola osservazione, che due componenti di un dato sistema si muovano sotto la sola influenza delle loro azioni mutue. Affermare ciò prevede l’applicazione della teoria di Newton nel caso di un sistema isolato. Inoltre quella stessa definizione di massa è almeno soggetta ad un’altra critica, si badi bene, all’interno degli stessi ragionamenti svolti da Mach. Come vedremo più oltre una delle polemiche più accese di Mach sarà contro lo spazio assoluto di Newton e conseguentemente contro il moto assoluto. Ebbene, Mach non si preoccupa di estendere la validità della sua definizione né di verificarla in un riferimento diverso, sia esso dotato di moto rettilineo uniforme sia di moto accelerato. E poi, che definizione è la sua ? Non è piuttosto un metodo di misura ? Ed ancora che fine fa il principio di azione e reazione nella statica, dove non compaiono accelerazioni ? In definitiva, con Bunge, si può sostenere che qui Mach fa molta confusione: per rincorrere il fantasma dell’esperimento confonde una uguaglianza (rapporto tra masse = – rapporto inverso tra accelerazioni) con una identità ed assegna quindi lo stesso significato al primo ed al secondo membro, utilizzando il tutto come definizione (c’è una uguaglianza numerica non logica: inoltre il voler considerare la seconda legge come una mera convenzione è di nuovo errato perché, se tale fosse, sarebbe sempre vera ed invece, sperimentalmente, non lo è; infine la definizione stessa in senso stretto ha un limite di validità molto limitato come Bunge mostra nel suo lavoro. (680 bis)

        Ma veniamo ora alla critica di Mach ai concetti di spazio, tempo e movimento.

        Dopo aver ricordato i brani in cui Newton definiva queste grandezze all’interno dei suoi Principia, (681) Mach commentava: (682)

Leggendo questi passi si ha l’impressione che Newton sia ancora sotto l’influenza della filosofia medioevale, e non abbia mantenuto il proposito di attenersi al fattuale. Dire che una cosa A muta con il tempo significa semplicemente dire che gli stati di una cosa A dipendono dagli stati di un’altra cosa B. Le oscillazioni di un pendolo avvengono nel tempo, in quanto la sua escursione dipende dalla posizione della Terra. Dato però che non è necessario prendere in considerazione questa dipendenza, e possiamo riferire il pendolo a qualsiasi altra cosa (i cui stati naturalmente dipendono dalla posizione della Terra), si crea l’impressione errata che tutte queste cose siano inessenziali. Sì, nell’osservazione del moto pendolare possiamo astrarre da tutti i corpi esterni e scoprire che a ciascuna posizione del pendolo corrispondono nostre sensazioni e pensieri diversi. Il tempo ci appare allora come qualcosa a sé stante, dallo scorrere del quale dipende la posizione del pendolo, mentre i corpi che prima avevamo liberamente preso per riferimento sembrano perdere ogni importanza. Ma non dobbiamo dimenticare che tutte le cose sono in dipendenza reciproca e che noi stessi, con i nostri pensieri, siamo solo una parte della natura. Non siamo in grado di misurare i mutamenti delle cose rapportandoli al tempo. Al contrario il tempo è una astrazione, alla quale arriviamo proprio attraverso la constatazione del mutamento, grazie al fatto che per la dipendenza reciproca delle cose non siamo costretti a servirci di una determinata misura.

Con questa critica del tempo com’è allora possibile definire il moto ed, in particolare, quello uniforme (spazi uguali in tempi uguali) ? Scriverà Mach:  (683)

 Chiamiamo uniforme quel moto nel quale incrementi uguali di spazio corrispondono ad incrementi uguali di spazio in un moto di riferimento (la rotazione della Terra). Un moto può essere uniforme solo in rapporto ad un altro. Il problema se un moto sia uniforme in sé è privo di significato.”

Ritornando al tempo, dopo questa definizione di moto uniforme, Mach poteva affermare:  (684)

Allo stesso modo non si può parlare di tempo assoluto (indipendente  da ogni mutamento). Infatti questo tempo assoluto non può essere commisurato ad alcun moto, e perciò non ha valore né pratico, né scientifico. Nessuno può pretendere di sapere alcunché al riguardo di esso. E’ dunque un inutile concetto metafisico (685) … Ogni oscurità metafisica svanisce quando ci rendiamo conto che la scienza si propone solo di scoprire la mutua dipendenza dei fenomeni.”  

Quanto qui sostenuto rappresenta la completa relativizzazione di ogni processo naturale ed è a questo punto che Mach si sofferma un istante a considerare il ruolo della storia delle scienze, che egli considera importante e scientifico nello stesso momento in cui la storia serve a liberare la scienza stessa dai pregiudizi e dalle ipostatizzazioni. (686)

        Quindi Mach passa a sottoporre a critica i concetti di spazio e moto assoluti riprendendo, tra l’altro, l’esperimento e l’interpretazione che lo stesso Newton dà della secchia ruotante. Dopo aver ricordato i brani in cui Newton, sempre nei Principia, definisce i concetti in esame e descrive l’esperimento della secchia,  (687)  Mach passava a ribadire le sue concezioni sulla relatività di tutti i fenomeni fisici e quindi ad esporre la sua critica: (688)

Se in un sistema di corpi distribuiti nello spazio si trovano masse che si muovono con velocità diverse ed in condizione di poter entrare in rapporto reciproco, allora si verificano delle forze. Quanto grandi siano queste forze, può essere stabilito se si conoscono le velocità, alle quali ogni massa può essere portata. Anche le masse in quiete sono forze, se non tutte le masse sono in quiete … Tutte le masse, tutte le velocità, quindi tutte le forze sono relative. Non esiste differenza tra relativo ed assoluto, che noi riusciamo a cogliere con i sensi. D’altra parte non c’è ragione che ci costringa ad ammettere questa differenza, dato che l’ammissione non ci porta vantaggio né teorico né di altro ordine. Gli autori moderni che si lasciano convincere dall’argomento newtoniano del vaso d’acqua a distinguere tra moto assoluto e moto relativo, non si rendono conto che … la teoria tolemaica e quella copernicana sono soltanto interpretazioni, ed entrambe ugualmente valide. Si cerchi di tener fermo il vaso newtoniano, di far ruotare il cielo delle stelle e di verificare l’assenza delle forze centrifughe.”                                                       

E’ importante a questo punto andarsi a rileggere l’argomento di Newton nel paragrafo 1 del capitolo 1 di questo lavoro, in modo da poter seguire meglio le critiche di Mach:  (689)

Consideriamo i fatti sui quali Newton ha creduto di fondare solidamente la distinzione tra moto assoluto e moto relativo. Se la Terra si muove con moto rotatorio assoluto attorno al suo asse, forze centrifughe si manifestano su di essa, il globo terrestre si appiattisce, il piano del pendolo di Foucault ruota ecc. Tutti questi fenomeni scompaiono, se la Terra è in quiete, e i corpi celesti si muovono intorno ad essa di moto assoluto, in modo che si verifichi ugualmente una rotazione relativa. Rispondo che le cose stanno così solo se si accetta fin dall’inizio l’idea di uno spazio assoluto. Se invece si resta sul terreno dei fatti, non si conosce altro che spazi e moti relativi … Non possiamo dire come sarebbero le cose se la Terra non girasse … I principi fondamentali della meccanica possono essere formulati in modo che anche per i moti rotatori relativi risultino presenti forze centrifughe. L’esperimento newtoniano del vaso pieno d’acqua sottoposto a moto rotatorio c’insegna solo che la rotazione relativa dell’acqua rispetto alle pareti del vaso non produce forze centrifughe percettibili, ma che tali forze sono prodotte dal moto rotatorio relativo alla massa della Terra e agli altri corpi celesti. Non ci insegna nulla di più. Nessuno può dire quale sarebbe l’esito dell’esperimento in senso qualitativo e quantitativo, se le pareti del vaso divenissero sempre più massicce, fino ad uno spessore di qualche miglio. Davanti a noi sta quell’unico fatto.

Anche ora quindi si ha a che fare solo con moti relativi; è la stessa cosa pensare la Terra in quiete e le stelle fisse in rotazione, oppure la Terra in rotazione intorno al proprio asse e le stelle fisse in quiete. Nel primo caso però non v’è più appiattimento della Terra ai poli ed il pendolo di Foucault non oscilla più allo stesso modo. La difficoltà nasce da corme è stata definita la legge d’inerzia che va formulata in altro modo. Come si può vedere la tesi di fondo è molto simile a quella di Berkeley, anche se Mach, con il suo richiamarsi alle stesse fisse, non cade nell’agnosticismo del filosofo statunitense. (690)  Per Mach l’esperimento di Newton ha il solo difetto di essere incompleto; manca la parte che vede il secchio fisso e le stelle fisse messe in rotazione. Il nostro ritiene che Newton non avesse bisogno di introdurre lo spazio assoluto che poi dopo non usa nella sua meccanica. Inoltre, con Berkeley, nel ragionamento di Newton occorre introdurre prima uno spazio assoluto per poi riferire il moto di rotazione ad esso. Qui in realtà Mach non coglie la necessità che aveva Newton di quello spazio che, di fatto, entra nella sua meccanica; il problema era quello di distinguere le forze vere da quelle apparenti e Newton credeva di poterlo fare attraverso la distinzione dei moti relativi da quelli assoluti. Per Mach è conseguentemente inutile introdurre fantasticherie quando è possibile rifarsi ai soli fenomeni. Ed è inoltre inutile, o meglio antieconomico, introdurre strane entità. Per rendere conto dei fenomeni basta osservare che: (691)

“Le leggi newtoniane sui moti dei pianeti restano conformi alla legge d’inerzia anche se questi moti sono riferiti al cielo delle stelle fisse … Constatiamo ancora una volta che il riferimento ad uno spazio assoluto non è per nulla necessario.”

Come dicevamo, è il principio d’inerzia che va riformulato: un dato corpo K, in quiete o in moto, lo sarà ora non rispetto ad un illusorio spazio assoluto, ma rispetto ai corpi costituenti l’universo e cioè le stelle fisse. Inoltre la stessa inerzia del nostro corpo esiste solo in virtù del fatto che vi è altra materia nell’universo. (692)

        Il riferire i moti alle stelle fisse era già presente in Newton ma egli preferì non affidare la sua meccanica ad un qualcosa che poteva avere il carattere del provvisorio: (693)   per questo introdusse lo spazio assoluto. Ma Mach osservava che bisogna rifarsi al fattuale e per ora di spazio assoluto non vi è necessità, mentre disponiamo delle stelle fisse. Con l’avvertenza che:  (694)

fino a che punto l’ipotesi delle stelle fisse possa valere anche in futuro, resta naturalmente da stabilire.”

Insomma la meccanica è nata in un determinato contesto in cui sarebbe stato possibile, secondo Mach, utilizzare criteri antieconomici. Oggi è necessario prendere atto che molte delle affermazioni del passato debbono essere riviste. Gli stessi fondamenti della meccanica, nella visione di Poincaré accettata da Mach, non sono altro che delle “convenzioni che avrebbero potuto essere diverse.

         Del resto, secondo Mach,

” Tutta la scienza ha lo scopo di sostituire, ossia di economizzare esperienze mediante la riproduzione e l’anticipazione di fatti nel pensiero. Queste riproduzioni sono più maneggevoli dell’esperienza diretta e sotto certi rispetti la sostituiscono. Non occorrono riflessioni molto profonde per rendersi conto che la funzione economica della scienza coincide con la sua stessa essenza … Non riproduciamo mai i fatti nella loro completezza, ma solo in quei loro aspetti che sono importanti per noi, in vista di uno scopo nato direttamente o indirettamente da un interesse pratico.” (695)

Ma allora, si potrebbe obiettare, come mai, proprio nelle parole dello stesso Mach, una volta la scienza poteva essere antieconomica ? Una possibile risposta sembra adombrare  quanto viene più o meno decisamente negato da molti fisici ed epistemologi del nostro tempo (e non solo): La scienza è determinata dal modo di produzione e, nell’epoca di Mach, in connessione con un enorme sviluppo economico (l’età dell’imperialismo), alla scienza si richiede proprio economicità, efficienza.  (696) Questo concetto è ben espresso dallo stesso Mach nelle ultime pagine della sua Meccanica: (697)

La divisione del lavoro, la specializzazione di un ricercatore in un piccolo dominio, l’esplorazione di questo dominio perseguita come compito di tutta una vita sono condizioni necessarie per un fruttuoso progresso scientifico.” (698)

Ritornando alla concezioni di Mach sulla meccanica ed in particolare ai rapporti di essa con la fisica, il nostro arriva alla conclusione che, in questo contesto di economicità della scienza, occorre smetterla di voler interpretare tutto con la meccanica:

Non esistono fenomeni puramente meccanici. Quando delle masse si comunicano accelerazioni reciproche, in apparenza vi è solo un fenomeno di moto, ma in realtà a questo moto sono legate variazioni termiche, magnetiche ed elettriche che, nella misura in cui si producono, modificano quel fenomeno … Volendo parlare con precisione, ogni fenomeno appartiene a tutti i domini della fisica, che sono distinti l’uno dall’altro per ragioni convenzionali, per ragioni fisiologiche o anche per ragioni storiche.

La concezione secondo cui la meccanica è il fondamento di tutte le altre parti della fisica, e perciò tutti i fenomeni fisici devono essere spiegati meccanicamente, è per noi un pregiudizio. La conoscenza più antica in ordine di tempo non deve necessariamente restare il fondamento dell’intelligibilità di ciò che è scoperto più tardi … Dobbiamo limitarci all’espressione del fattuale senza costruire ipotesi su ciò che sta al di là di questo, e non può essere conosciuto e verificato …

Le ipotesi meccaniciste non costituiscono un effettivo risparmio di concetti scientifici … Quando un’ipotesi ha facilitato per quanto è possibile, l’acquisizione di fatti nuovi sostituendo ad essi idee già familiari, ha esaurito la sua funzione. E’ un errore credere che le ipotesi possano spiegare i fatti meglio di quanto facciano i fatti stessi.”  (699)

         La serrata, puntuale e, molto spesso, profonda critica di Mach alla meccanica ebbe certamente molta influenza sul suo tempo. In particolare le critiche allo spazio, al tempo ed al moto, direttamente od indirettamente, andavano prefigurando i profondi rivolgimenti.che avrebbero scosso la fisica in quegli anni, soprattutto con la nascita e l’affermazione della relatività einsteniana.

         Ma vi sono altri aspetti dell’opera di Mach che non possono essere sottaciuti, anche se non potremo occuparci di essi con lo spazio che richiederebbero.

         Innanzitutto, secondo Mach, la nostra conoscenza del mondo è basata  sulle sensazioni che ci provengono dall’esperienza: alla logica del nostro pensiero sta l’ordinare queste sensazioni in una scienza. Solo con le sensazioni possiamo rapportarci alla realtà, che ci circonda; è con l’esperienza che nasce la conoscenza in quanto l’esperienza ci fornisce le sensazioni da ordinare. I fenomeni sono quindi un insieme di interrelazioni tra l’osservatore e le cose osservate; in qualche modo è la soggettività dell’osservatore che determina il fenomeno (idealismo soggettivo). Anche se Mach più volte afferma che egli non vuole costruire un sistema filosofico, nei fatti, quanto abbiamo ora detto è la negazione dell’esistenza di ogni realtà al di fuori dell’esperienza, è la negazione dell’esistenza del mondo in sé di Kant: quando non possiamo rapportarci al mondo con l’esperienza, che ci fornisce le sensazioni, nulla possiamo dire sull’esistenza del mondo stesso. Questa corrente di pensiero rappresenta uno dei due filoni principali del più generale fenomenismo e va sotto il nome di empiriocriticismo; (700)  esso, per certi versi (economicità della scienza), si richiama al positivismo e, per altri (non esistenza di leggi generali, di fenomeni generali, ma solo di casi particolari), al nominalismo. Mach fu il fondatore ed il principale esponente dell’empiriocriticismo;  (701)  egli, come abbiamo visto, ebbe come obbiettivo principale della sua polemica il meccanicismo e, più in particolare, la sua metafisica materialistica. Ebbene, se da una parte ciò riscosse l’approvazione di molti scienziati e studiosi del suo tempo (e non solo),  (702)  dall’altra il tentativo di assimilare meccanicismo con materialismo e di spostare quindi la polemica contro il. materialismo, trovò diversi e qualificatissimi oppositori tra i quali, Boltzmann, Planck e lo stesso Lenin.  

        C’è un punto da distaccare in quel che abbiamo fin qui detto. La negazione di ogni realtà al di fuori dell’ esperienza porterà Mach a schierarsi su una posizione decisamente antiatomistica. Alla domanda “cos’è un atomo ?”, egli era solito rispondere con “mai visto uno”. Ma, al di là di questo aneddoto, la polemica di Mach era incentrata sul fatto che alcuni atomisti non usavano gli atomi come semplici ipotesi ma assegnavano ad essi una realtà fisica; realtà che, in accordo con le premesse di Mach, doveva essere rifiutata in quanto gli atomi non cadono sotto i nostri sensi. Allo stesso modo, l’assegnare agli elettroni della teoria di Lorentz una realtà era tenacemente combattuto da Mach.  (704)

        Ma la polemica di Mach doveva riguardare ogni aspetto che avesse riguardato il meccanicismo e così anche la causalità, intesa come un tipico strumento di quel meccanicismo che si attaccava su tutti i fronti, divenne soggetto di una dura critica da parte di Mach. (705) Così scriveva Mach: (706)

Quando parliamo di causa e di effetto, noi mettiamo arbitrariamente in evidenza quegli aspetti, sul cui rapporto poniamo attenzione in vista di un risultato per noi importante. Ma nella natura non vi è né causa né effetto … Il carattere essenziale della connessione causa-effetto esiste solo nell’astrazione  che compiamo allo scopo di riprodurre i fatti (707)  … Si può dire che c’è una categoria dell’intelletto sotto la quale è sussunta ogni nuova esperienza, purché si riconosca che essa ha avuto origine dall’esperienza. L’idea della necessità del rapporto causa-effetto ha probabilmente la sua prima origine … dall’osservazione dei nostri movimenti volo ntari e dei mutamenti che provochiamo con essi nell’ambiente circostante … Causa ed effetto sono enti mentali aventi una funzione economica. Alla domanda perché essi esistano, è impossibile rispondere, per il fatto che proprio astraendo da ciò che e uniforme abbiamo imparato a chiedere perché.”

In definitiva, per Mach, la causa indica la necessità di un dato effetto; ma noi non ci imbattiamo mai nelle necessità; esse non ci sono mai offerte dalla natura, esulando dalla nostra esperienza. Secondo Mach, il concetto matematico di funzione  può utilmente  sostituire  l’inesistente  dipendenza causa-effetto.  (708)    

        Concludendo su Mach occorre ricordare che, nonostante il complesso delle sue posizioni, che abbiamo fin qui cercato di riassumere, egli non rinuncia alla possibilità di una visione unificata delle scienze. E, nella sua visione, è la termodinamica, soprattutto là dove introduce il concetto di irreversibilità, estraneo alla meccanica, che può proporsi come possibile fisica unificatrice di tutte le scienze. Ed in questo Mach converge con la tesi di fondo dell’energetica, altro filone del fenomenismo, del quale andiamo ora ad occuparci.

– LA POSIZIONE DI OSTWALD E DUHEM: L’ENERGETISMO. LA TERMODINAMICA ALLA BASE DI UNA NUOVA FISICA. LE POSIZIONI DI BOLTZMANN E POINCARE’.

        II primo che tentò di costruire una fisica fondata sulla termodinamica, sull’onda del successo del lavoro di Helmholtz Sulla conservazione della forza, fu il fisico britannico W.J.M. Rankine (1820-1872).  (710)  Nel suo Lineamenti di una scienza dell’energetica (1855), egli sostenne che il metodo più proficuo per conoscere la natura è quello che si affida ad astrazioni che sono in grado di essere formalizzate per condurci alla scoperta di principi generali. La termodinamica, nella quale l’energia gioca il ruolo più importante perché da essa dipendono i cambiamenti, è il migliore strumento che può servire alla conoscenza della natura. In definitiva, per Rankine, la scienza energetica è il sistema teorico più generale per la conoscenza del mondo naturale che ci circonda.

        La tesi di Rankine venne ripresa dal fisico tedesco G.  Helm  (1851-1923) il quale, nel suo Lezioni sull’energia (1877), sostenne, in accordo in questo con Mayer, che tutte le forme di energia sono equivalenti, togliendo in questo modo un qualche ruolo privilegiato all’energia meccanica. E poiché tutte le forme di energia sono equivalenti, la materia, che in meccanica è il veicolo di trasmissione dell’energia, perde il suo ruolo centrale (Helm aveva buon gioco a sostenere questa tesi soprattutto a partire dal 1886, dopo le prime esperienze di Hertz). In questo quadro esplicativo veniva, rifiutata l’idea di atomo e di corpuscolo e quindi di ogni descrizione modellistica. Per fare scienze,  occorre  osservare  i  fenomeni  cercando  delle  relazioni matematiche  tra  le  diverse osservazioni senza introdurre ipotesi; le stesse osservazioni, comunque, non hanno mai una validità assoluta. (711) Scriveva Helmt:  (712)

Per la fisica teorica generale non vi sono né atomi né energia, né nulla di simile, ma solo esperienze tratte immediatamente da gruppi di osservazioni. Perciò penso che il maggior pregio dell’energetica consista nella sua facoltà di adattarsi in modo immediato alle esperienze, molto più di quanto non potessero farlo le vecchie teorie.”  

        Dopo questi brevi cenni agli iniziatori, arriviamo al più noto rappresentante dell’energetica, il chimico-fisico tedesco W. Ostwald (1853-1932).  (713) Egli avanza delle idee addirittura più radicali di quelle di Helm: non solo l’energia è la base di tutti i fenomeni naturali, ma essa. è addirittura una sorta di nuova sostanza. (714)  In una sua opera, L’energia (1908), che ebbe una notevolissima influenza sugli scienziati del tempo, egli formula così le sue concezioni;

Si intende per energetica lo sviluppo dell’idea secondo la quale tutti i fenomeni della natura debbono essere concepiti e rappresentati come delle operazioni effettuate sulle diverse energie. La possibilità di una simile descrizione della natura, non poté essere immaginata che quando fu scoperta la proprietà generale che possiedono le diverse forme di energia di potersi trasformare le une nelle altre. Robert Mayer fu dunque il primo che poté prendere in considerazione questa possibilità.

Fino a lui tutti gli scienziati aderivano alla concezione meccanicista, cioè all’idea che i fenomeni naturali sono tutti, in ultima analisi, di natura meccanica, il che vuol dire che possono essere ricondotti a dei movimenti della materia. Là dove non si poteva dimostrare l’esistenza di questi movimenti, come nel caso del calore e dell’elettricità,  si ammetteva che essi si producessero negli atomi, cioè in particelle così piccole da sfuggire all’osservazione diretta …

L’ipotesi meccanicista ha due inconvenienti molto grandi; in primo luogo essa obbliga ad adottare un gran numero d’altre ipotesi indimostrabili, quindi essa è impotente a farci comprendere il legame che esiste incontestabilmente, dal momento che lo constatiamo giornalmente, tra i fenomeni fisici nel senso stretto del termine ed i fenomeni psicologici

Ora, sono le teorie meccaniche tali da poter essere applicate in un modo sufficientemente generale ? Ebbene no, non c’è dubbio che esse non lo sono. Bisogna in primo luogo far notare che tra i fenomeni a noi conosciuti non ce ne sono che pochi (la maggioranza dei fenomeni astronomici) che soddisfano alle leggi meccaniche … Noi spieghiamo questo fatto mediante l’attrito. Il problema che allora si pone è di far rientrare i fenomeni d’attrito nelle leggi meccaniche …

Un’altra strada fu seguita da R. Mayer. Essa consisteva nel considerare i fenomeni meccanici come semplici casi particolari delle generali trasformazioni dell’energia, che sottostanno tutte alla legge di conservazione.”

Se non si sceglie questa strada, com’è possibile, secondo Ostwald, dar conto dell’elettricità statica ? Dove stanno qui i movimenti ?

Questo problema è nato unicamente dall’ipotesi arbitraria che si abbia a che fare con un fenomeno meccanico, quando esso non lo è affatto. Esso è, con tutta la forza del termine, uno pseudoproblema, per usare un’espressione molto corretta di E. Mach …

Di fronte alla concezione meccanicista si erge quella di Mayer, che noi chiamiamo la concezione energetica poiché essa si fonda essenzialmente sulla nozione di energia … Non è possibile caratterizzare in modo migliore il metodo dell’energetica; essa estrae dai fenomeni le proprietà delle differenti specie di energia, e generalizza queste proprietà per mezzo dell’induzione …

Così si deve considerare Robert Mayer come il primo degli energetisti. Ai suoi occhi, l’energia è un oggetto reale, ed egli la colloca come tale, a lato della materia, dalla quale, per lui, si distingue per la sua imponderabilità …

Un tratto che contribuisce a fare di Mayer un vero energetista, un energetista con spirito moderno, è la sua avversione per le ipotesi.”

Con queste parole Ostwald traccia il nucleo centrale dell’energetica. Ma, come abbiamo visto per Mach, la polemica contro il meccanicismo non si ferma qui: essa tende a diventare dura polemica contro tutto il materialismo.  (716 bis)

        Nel 1895, al congresso dei medici e naturalisti che si tenne a Lubecca, Ostwald lesse una comunicazione dal titolo, molto significativo, Il superamento del materialismo scientifico. Tra le altre cose Ostwald disse:

La materia è un’invenzione, del resto abbastanza imperfetta, a cui facciamo ricorso per rappresentarci quanto vi è di permanente in tutto ciò che accade. La realtà effettiva, quella che opera su di noi, è l’energia, [inoltre] l’irreversibilità di fatto dei fenomeni effettivi della natura dimostra che vi sono processi i quali non sono descrivibili mediante equazioni meccaniche, e con ciò il verdetto sul materialismo scientifico è deciso.”

Ed Helm,  presente a quel congresso,  nello scrivere la sua cronaca (l898),  coglie bene i livelli e l’intensità dello scontro, che non erano banalmente legati a questa o a quella teoria, ma ad un modo nuovo o almeno diverso di fare scienza e, più in generale, ad una diversa concezione del mondo. Scrive Helm:  (719)

Nella polemica che si accese a Lubecca non si trattava di atomismo o di spazio occupato da materia continua, non della irreversibilità nella termodinamica, o dei fondamenti energetici della meccanica. Queste sono tutte bazzecole. Si trattava in realtà dei principi della nostra conoscenza della natura.”

Anche A. Sommerfeld (l868-195l) era presente a quel congresso e così descriveva (1944) la situazione: (720)

Il campione dell’energetica era Helm, dietro di lui stava  Ostwald e dietro entrambi la filosofia di Ernst Mach (che non era presente di persona). A loro si opponeva Boltzmann, assecondato da Felix Klein. (721) La battaglia tra Ostwaid e Boltzmann fu molto simile ad un duello tra un toro ed un agile torero. Tuttavia, questa volta il toro sconfisse il torero nonostante la sua agilità.

Gli argomenti di Boltzmann non trovarono resistenza. Noi giovani matematici eravamo tutti dalla parte di Boltzmann; fu subito ovvio per noi che era impossibile che da una sola equazione per  l’energia potessero seguire le equazioni del moto anche di un solo punto materiale.

        Spero si intuisca da quanto qui brevemente riportato a che livello e con che asprezza ci si scontrava.

        La tesi di Ostwald e di tutta la corrente fenomenista, che vedeva Boltzmann praticamente solo a tentare una qualche opposizione, era sostanzialmente la seguente.

        Molti fenomeni fisici e, si noti l’accostamento, psicologici, non sono spiegabili con la meccanica. In particolare, e qui si ritorna ad una obiezione che Loschmidt fece a Boltzmann,  (722)  “l’irreversibilità termodinamica non può essere spiegata dalla meccanica che ha delle equazioni che risultano completamente reversibili. Inoltre il complesso dei fenomeni elettromagnetici non è riconducibile ad una interpretazione meccanicista. Ed in definitiva, secondo Ostwald, tutta l’enorme varietà dei nuovi fenomeni sfuggono ad una interpretazione meccanica a meno di supporre strane entità, come gli atomi, delle quali non si ha nessun indizio sperimentale o a delle ipotesi   (723)  che sfuggono a qualunque verifica sperimentale. Il rifiuto della meccanica e dei suoi metodi comporta il rifiuto dei fondamenti della meccanica ed in particolare di quella entità, la materia, che non è altro che una particolare energia che noi percepiamo come materia con i nostri sensi. Tutto ciò che ci circonda non è altro che energia. Noi abbiamo a che fare con differenti forme di energia che si trasformano l’una nell’altra facendo salvi i principi di conservazione e di degradazione (l° e 2° principio della termodinamica). L’energia è alla base di tutto, anche dei fenomeni psicologici. In particolare:   (7 24)

Ciò che udiamo trae origine dall’azione esercitata sul timpano dalle vibrazioni dell’aria. Ciò che vediamo è soltanto energia raggiante che esercita sulla retina un’attività chimica, la quale viene percepita come luce … Da questo punto di vista la totalità della natura ci si presenta come una serie di energie continuamente mutevoli nel tempo e nello spazio, delle quali abbiamo conoscenza nella misura in cui percuotono il nostro corpo, e specialmente gli organi di senso dotati di una forma adatta a ricevere le energie appropriate.

Ma, con ancora maggiore chiarezza, l’energetica è la panacea che fa comprendere all’uomo tutto ciò che durante secoli si è affannato a cercare di conoscere:  (725)

Il materialismo è incapace di rispondere alla questione di sapere come il corpo può arrivare a produrre lo spirito, che differisce totalmente da esso, e lo spiritualismo è impotente a confutare l’obiezione che il mondo, per il solo fatto che non si conforma alla nostra volontà, ma continua, molto spesso a nostre spese, per la sua strada, non dovrebbe essere una creazione del nostro spirito.

L’energetica permette, a mio avviso, di uscire da tutte queste difficoltà in una sola volta ed in un modo del tutto naturale, grazie al fatto che essa ha distrutto l’idea di materia … Non bisogna più preoccuparsi di come lo spirito e la materia possano agire l’una sull’altra; la questione che bisogna risolvere è quella di sapere in quale relazione la nozione di energia, che è molto più ampia di quella di materia, si incontri con la nozione di spirito.

In definitiva, mediante l’introduzione dell’energia nervosa e di quella psichica, Ostwald riconduce la psicologia all’energetica. Così “la coscienza ha delle basi energetiche” ed anche la sociologia, intesa come rapporto tra individui, può essere ricondotta all’energetica.  (726)

        Su queste basi Ostwald metteva in discussione le ipotesi non verificabili dei meccanicisti. Una metafisica dell’energia! E quel che più conta è il grande seguito che queste idee avevano. (727)

           Ma ancora più rilevante è l’estrapolazione che veniva fatta e che rispondeva a questa successione: fallimento del meccanicismo; la materia non esiste;  (728)  superamento del materialismo nell’interpretazione del mondo.

         Ed in questo vi fu una netta e chiara convergenza delle due correnti del fenomenismo: l’empiriocriticismo e  l’energetica. L’empiriocriticismo forniva all’energetica la critica puntuale, attenta e precisa della meccanica; l’energetica forniva all’empiriocriticismo l’unificazione della scienza sulla base della termodinamica. Ambedue si incontravano sull’antimaterialismo.

         C’è un ultimo aspetto delle concezioni di Ostwald al quale bisogna accennare poiché riguarda uno degli argomenti al quale abbiamo dedicato varie pagine: il ruolo dell’etere nella visione fenomenista. In un suo scritto del 1903, Energia e chimica, così si esprimeva Ostwald: (729)

Io non credo che l’ipotesi di questo mezzo, l’etere, sia inevitabile … Non c’è necessità di cercare un portatore quando l’incontriamo dappertutto. Questo ci pendette di considerare l’energia raggiante come qualcosa che esiste indipendentemente nello spazio.

 Ma qui ci troviamo nel pieno di ipotesi in libertà, formulando le quali nulla è dato per la loro verifica sperimentale e, quantomeno, non si capisce bene perché vengano formulate se non per servire da completamento della tesi di  fondo. Questa negazione dell’etere ha, se possibile, un valore ancora minore della sua affermazione. Così come quando Ostwald prende a prestito l’affermazione di Hertz (ben altrimenti motivata !) sul fatto che “la teoria di Maxvell è il sistema delle equazioni di Maxwell“: in questo non c’è altro che la volontà di screditare l’elaborazione maxwelliana che, come abbiamo visto, almeno in una prima fase, era strettamente legata agli strumenti ed ai metodi del meccanicismo (le analogie, i modelli,  … ). Del resto abbiamo già accennato al giudizio che un altro fenomenista, il fisico francese M.P. Duhem (1861-1916), dava dei lavori di Maxwell. Ed anche Duhem afferma che “ciò che c’è d’essenziale nelle teorie di Maxwell sono le equazioni di Maxwell.” (730)

        Ma, poiché sono inaccettabili i metodi che hanno portato Maxwell a ricavare le sue equazioni, sarà almeno possibile, si domanda Duhem, mantenerle come punto di partenza per ricavare nuove teorie ?

        Ciò sarebbe lecito ad un matematico ma non ad un fisico poiché il fisico non può prescindere dall’ “insieme delle ipotesi e dei ragionamenti con i quali è giunto alle equazioni in questione.” Si nega quindi, oltreché i

risultati sperimentali, quanto sostenuto da Hertz. Non è vero che due teorie sono equivalenti, se conducono agli stessi risultati; occorre tener conto anche dei ragionamenti, delle ipotesi e dei metodi che hanno condotto a quei risultati. Così Duhem può continuare:

Non si possono dunque adottare le equazioni di Maxwell se non si ricavano da una teoria dei fenomeni elettrici e magnetici; e poiché queste equazioni non s’accordano con la teoria classica, che discende dai lavori di Poisson, sarà necessario respingere questa teoria classica, di rompere con la dottrina tradizionale e di creare con delle nozioni nuove, su delle ipotesi nuove, una teoria nuova dell’elettricità e magnetismo.”

C’è qualcuno che abbia tentato questa strada ? Certamente, si risponde Duhem, e questi è Boltzmann il quale è riuscito a ricavare le equazioni di Maxwell “in un modo logico“.   (731)

Ma Duhem ha ancora dei dubbi, soprattutto perché:

Se per ricavare le equazioni di Maxwell in un modo logico, seguiamo i metodi proposti dal Sig. Boltzmann, ci vediamo costretti a dover abbandonare in parte l’opera di Poisson e dei suoi successori … una delle parti, cioè, più precise e più utili della fisica matematica. D’altra parte, per salvare queste teorie, dobbiamo rinunciare a tutte le conseguenze della teoria di Maxwell e, in particolare, alla più seducente di queste conseguenze, alla teoria elettromagnetica, della luce ?

Anche Poincaré, del resto, ha notato l’impossibilità di rinunciare alla teoria elettromagnetica della luce. Come risolvere il problema ? Come venir fuori dal dilemma ? Ebbene, secondo Duhem, c’è un’altra teoria che ci permette di superare ogni difficoltà: si tratta della teoria di Helmholtz, esposta nel suo lavoro del 1870, Sulle equazioni del movimento dell’elettricità per corpi conduttori in moto (che già abbiamo discusso nel paragrafo 3 di questo capitolo). Questa teoria, sempre secondo Duhem, permette di conciliare logicamente l’antica elettrostatica, il vecchio magnetismo e la nuova teoria della propagazione delle azioni elettriche in mezzi dielettrici. Questa teoria  

è un ampliamento naturale dei lavori di Poisson, d’Ampère, di Weber e di Neumann … ; senza perdere nessuna delle recenti conquiste della scienza elettrica, essa ristabilisce la continuità della tradizione.

Insomma, per Duhem, occorre ripristinare la tradizione. Per far questo occorre ritornare ad Helmholtz che, se da una parte è quello che ha dato il via alla energetica con il suo lavoro del 1847, Sulla conservazione della forza, dall’altra è certamente un atomista che vede appunto la corrente elettrica come flusso di corpuscoli. Il fenomenista Duhem ammette quindi le particelle che la sua corrente di pensiero respinge in modo deciso ? Certamente che no, anche se

la logica, da Duhem più volte reclamata, ne soffre un poco. Nel suo Introdu zione alla Meccanica Chimica (l893), Duhem sostiene:  (732)

“Perché cercare di sostituire delle costruzioni  meccaniche ai corpi ed alle loro modificazioni, invece di considerarli per come i sensi ce li offrono, o piuttosto per come la nostra capacità di astrazione, lavorando sui dati sensibili, ce li fa concepire ? … Perché immaginarsi i cambiamenti di stato come degli spostamenti, delle giustapposizioni di molecole, dei cambiamenti di traiettoria, invece di caratterizzare un cambiamento di stato per il turbamento che provoca rispetto alle proprietà sensibili e misurabili di un corpo … ? …

Queste riflessioni conducono a rovesciare il metodo finora seguito in fisica; … la teoria migliore sarà quella  che non farà entrare nei suoi ragionamenti altre nozioni che non quelle che hanno un senso fisico, che siano direttamente misurabili … ; quella che non prenderà come principi che delle leggi di origine sperimentale … ; quella che si proporrà come fine non di spiegare i fenomeni ma di classificarli”

e tutto questo, osservo io, con buona pace di Galileo e di tutti coloro che si sono battuti contro l’aristotelismo. (733)

           Ma c’è di più. Occorre far risaltare quanto già annunciato: la coerenza logica di Duhem. Da una parte si ammettono le non sperimentabili particelle di Helmholtz, per rendere conto di ciò che della teoria di Maxwell interessa a Duhem, al fine di affermare la tradizione e la sua continuità nella fisica. Dall’altra si afferma la necessità di rovesciare il metodo finora seguito in fisica  rinunciando a tutto ciò che come gli atomi non è né misurabile né sperimentabile.

         Anche Duhem poi sente l’esigenza di trovare una scienza che si ponga come unificatrice rispetto alla fisica. E questa scienza è naturalmente la termodinamica, che ci permette di descrivere logicamente il mondo che ci circonda su una base perfettamente sperimentabile. In questo senso dunque Duhem si pone come uno tra i più convinti sostenitori dell’energetica anche se, per il vero, non raggiunge gli eccessi metafisici e fanatici di Ostwald (situandosi più vicino a Mach che non allo stesso Ostwald). Anche Duhem avrà quindi una grossa parte nella polemica antimeccanicista, sull’altro fronte della quale si batteva, come già ricordato, il fisico austriaco L. Boltzmann.

        Questi, subito dopo il congresso di Lubecca, introdusse alcuni brani significativi nel suo Lezioni sulla teoria dei gas  (Lipsia, 1896-1898). Scriveva Boitzmann:  (734)

Sono convinto che questi attacchi sono basati puramente su un malinteso e che il ruolo della teoria dei gas nella scienza non sia ancora esaurito … Secondo me sarebbe una grande tragedia per la scienza se la teoria dei gas fosse temporaneamente dimenticata a causa di un momentaneo atteggiamento ostile verso di essa.”

Del resto Boltzmann aveva sempre inteso che gli atomi non fossero altro che un’ipotesi, aggiungendo la considerazione (l886) che “forse, un giorno, l’ipotesi atomica sarà sostituita da qualche altra ipotesi: ma non è molto probabile che ciò accada.”  (735)  Ed inoltre egli era convinto che :

noi ricaviamo l’esistenza delle cose unicamente dalle impressioni che esse incidono sui nostri sensi.”  (736) 

Conseguentemente, per fare scienza:

la via più diretta dovrebbe essere quella di partire dalle nostre sensazioni immediate per dimostrare come, per mezzo di esse, abbiamo ottenuto conoscenza dell’universo. Tuttavia, poiché questa via non sembra condurci  al nostro scopo, dobbiamo seguire la via opposta, che è quella della scienza naturale.” (737)

Quindi Boltzmann contrappone il dato immediato dei nostri sensi al dato mediato della scienza naturale e ciò a causa del fatto che non s’intravede ancora il modo di fare scienza con il solo dato sensoriale immediato. Inoltre, per far scienza occorre una metodologia che sfrutti tutto quanto sia utile all’elaborazione teorica (analogie, modelli,  …  ), fatta salva la verifica sperimentale. Molto lucidamente scriveva Boltzmann:  (738)

II compito principale della scienza è precisamente quello di costruire delle immagini che servano a rappresentare un insieme di fatti in modo tale che si possa predire da questi l’andamento di altri fatti simili. Naturalmente si intende che la previsione deve essere sempre verificata sperimentalmente. Probabilmente essa sarà verificata solo in parte. Vi è allora una speranza che si possano modificare e perfezionare le immagini in modo tale che esse rendano conto anche dei nuovi fatti.”

In questo contesto una teoria meccanica ( e non una spiegazione meccanica) ha senso solo se è in grado di fornirci  “le leggi più semplici possibili” mentre la, fenomenologia non è altro che una pura illusione. Aggiungeva Boltzmann:  (739)  

La fenomenologia ha creduto di poter rappresentare la natura senza, in alcun modo, andare al di la dell’esperienza, ma io penso che questa sia un’illusione. Nessuna equazione rappresenta con accuratezza assoluta un qualsiasi processo, ma lo idealizza sempre  sottolineando certi aspetti comuni a più processi e trascurando ciò che è differente, andando in tal modo al di là dell’esperienza. E che ciò sia necessario, se vogliamo avere una qualche idea la quale ci permetta di predire un qualcosa nel futuro, discende dalla natura dello stesso processo intellettuale, che consiste appunto nell’aggiungere un qualcosa all’esperienza e nel creare una rappresentazione mentale che non è esperienza e che può pertanto rappresentare molte esperienze.”   (740)

La posizione di Boltzmann è dunque in netta opposizione alla fenomenologia del suo tempo: occorre trascendere l’esperienza per poter avere una visione più generale del mondo che ci circondar e più andiamo al di là dell’esperienza e “più sono sorprendenti i fatti che riusciamo a scoprire.” Ma, avverte Boltzmann,  l’andare al di là dell’esperienza in modo troppo audace può indurci in qualche errore. “La fenomenologia pertanto non dovrebbe vantarsi di non andare al di là dell’esperienza, ma dovrebbe invece, semplicemente,  dice Boltzmann, ammonire a non comp iere eccessi in tal senso.” Ed in definitiva, ribadisce il nostro,  (741)

i migliori risultati si otterranno, senza dubbio, se potremo sempre fare uso di ogni immagine che sia necessaria, senza trascurare di mettere le immagini alla prova  ad ogni passo, nei confronti di nuove esperienze.

Inoltre in questo modo non si sopravvaluteranno i fatti, essendo accecati dall’immagine, come spesso si argomenta contro gli atomisti. Ogni teoria, di qualunque tipo essa sia, porta ad una simile forma di cecità qualora sia seguita in modo troppo unilaterale.”

Certamente Boltzmann era sostenuto, nel portare avanti le sue tesi, proprio dall’esperienza, da quanto cioè si andava realizzando, con la forza dell’ipotesi, in quegli anni (si pensi a Maxwell, a Lorentz, … ); altrettanto certamente egli era convinto della necessità di non produrre rotture radicali con il passato: l’unità concettuale della fisica andava mantenuta e questo non era certamente garantito dal fenomenismo e tanto meno dall’energetica. E’ una posizione di grande onestà intellettuale quella di Boltzmana che si batte, tra l’altro, per dare un senso alla ricerca scientifica. Nella conferenza di St. Louis del 1904, della quale abbiamo già parlato, Boltzmann sostenne una posizione metodologica che, sfortunatamente ed efficientemente, la ricerca fisica del nostro secolo non farà sua:  (742)

Gli scienziati sono ora propensi a mostrare una spiccata predilezione per discutere tesi filosofiche, ed hanno tutte le ragioni per farlo. Una delle prime regole per la ricerca sulla natura è infatti quella secondo la quale non bisogna mai prestare una fiducia cieca nella verità con gli strumenti con i quali si lavora, ma bisogna invece analizzarli in tutte le direzioni … Se un progresso reale è  possibile,  lo si può  attendere  solamente da una collaborazione tra scienza e filosofia.”  (743)

E su questa illusione, che si dovrà scontrare con i bisogni di efficienza che vengono indotti nella fisica dalle necessità produttive si chiuderà, col suicidio, la vita di Boltzmann (1906).

          Proprio nell’anno della morte di Boltzmann, Duhem, nel suo lavoro La teoria fisica (1906), sosteneva: (744)

Queste due domande:                                                                     

  Esiste una realtà materiale distinta dalle apparenze sensibili ?

   Di quale natura è questa realtà ?                                                       

non entrano affatto nel campo del metodo sperimentale; quest’ultimo non conosce altro che delle apparenze sensibili e non sa scoprire ciò che le supera. La soluzione di tali domande è trascendente rispetto ai metodi di osservazione di cui fa uso la Fisica, ed è oggetto della Metafisica.                           

Pertanto, se le teorie fisiche hanno come oggetto la spiegazione delle leggi sperimentali, la Fisica teorica non è una scienza autonoma: essa è subordinata alla Metafisica.”                                                                

         In questo duro scontro tra posizioni radicalmente diverse, si inserisce la posizione epistemologica di H. Poincaré, che ridiscusse i fondamenti di tutti i capitoli più rilevanti della fisica, a partire naturalmente dalla meccanica. Ne La scienza e l’ipotesi  Poincaré inizia con l’osservazione che occorre ben distinguere, nella meccanica,  “ciò che è esperienza e ciò che è ragionamento matematico, ciò che è convenzione e ciò che è ipotesi“. Quindi, dopo aver sottolineato che: (745)

non vi è spazio assoluto e noi concepiamo solo moti relativi … ; non vi è tempo assoluto … [e due durate sono uguali solo] per convenzione; … non abbiamo [l’intuizione diretta] della simultaneità di due avvenimenti producentisi in due teatri diversi; … la nostra geometria euclidea non è che una specie di convenzione di linguaggio [e quindi] possiamo enunciare i fatti meccanici, riferendoli ad uno spazio non euclideo“,

 con la conseguenza che i concetti suddetti  “non sono condizioni che s’impongono alla meccanica“, Poincaré passa a discutere i principi della meccanica.

         Riguardo al primo principio, quello d’inerzia, esso “non s’impone a noi a priori” inoltre è impossibile verificarlo sperimentalmente poiché è impossibile, in tutto l’Universo, disporre di “corpi sottratti all’azione di ogni forza“. Poincaré propone quindi di sostituire il principio d’inerzia con una legge d’inerzia generalizzata avente il seguente enunciato: (746)

l’accelerazione di un corpo dipende dalla posizione del corpo stesso, dai corpi vicini e dalla loro velocità.

 Questa nuova legge è certamente quella con cui si è avuto a che fare in tutti i casi in cui si è dovuto fare una misura e quindi essa è stata verificata sperimentalmente in alcuni casi particolari. Inoltre essa

può essere estesa senza timore ai casi più generali, poiché sappiamo che in tali casi generali l’esperienza non può più né confermarla, né contraddirla.”  (747)

        Riguardo poi al secondo principio, Poincaré dice che così come esso è definito, basato cioè sul concetto di forza come causa di accelerazioni di date masse, è privo di significato perché non sappiamo né cos’è la massa né cos’è la forza. Quindi, “quando si dice che la forza è la causa di un movimento si fa della metafisica.”  (748) Perché la definizione di forza abbia senso occorre potere e sapere misurare quest’ultima, e per far ciò non c’è altro modo che passare al confronto diretto di due forze che ci permetta, ad esempio, di stabilire quando esse sono uguali. Per realizzare questo proposito, secondo Poincaré, disponiamo di tre regole: l’uguaglianza di due forze che si fanno equilibrio; l’uguaglianza dell’azione e della reazione (terzo principio); l’ammissione che certe forze, come il peso, sono costanti nella grandezza e nella direzione. Il fatto poi che il principio di azione e reazione debba intervenire nella definizione dell’uguaglianza di due forze fa si che

tale principio non deve essere più considerato come una legge sperimentale ma come una definizione.” (749)

Poste così le cose, si può affermare, con Kirchhoff, che la forza è uguale alla massa per l’accelerazione ma, “la legge diNewton cessa a sua volta di essere considerata una legge sperimentale; è una semplice definizione“.

         Ed anche come definizione è ancora insufficiente  “perché non sappiamo cos’è la massa“. Per completarla occorre di nuovo far ricorso alla definizione di azione e reazione:

Due corpi A e B agiscono l’uno sull’altro; l’accelerazione di A moltiplicata per la massa di A è uguale all’azione di B su A; nello stesso modo, il prodotto dell’accelerazione di B per la sua massa è uguale alla reazione di A su B. Poiché, per definizione, l’azione è uguale alla reazione, le masse di A e di B sono in ragione inversa delle accelerazioni di questi due corpi. Ecco definito il rapporto delle due masse: spetta all’esperienza verificare che esso è costante.”  (750)

Ma anche qui si tratta solo di un’approssimazione, poiché bisognerebbe tener conto delle attrazioni che tutti i corpi dell’universo esercitano su A e su B. E l’approssimazione è lecita solo se noi ammettiamo l’ipotesi delle forze centrali.

Ma abbiamo il diritto di ammettere l’ipotesi di forze centrali ?

Se dovessimo abbandonare questa ipotesi ci troveremmo di fronte al crollo dell’intera meccanica; non sapremmo più come misurare le masse ed il principio di azione e reazione dovrebbe essere enunciato così:

Il movimento del centro di gravità di un sistema sottratto ad ogni azione esteriore sarà rettilineo ed uniforme …Ma [poiché] non esiste sistema che sia sottratto ad ogni azione esteriore, la legge del movimento del centro di gravità non è rigorosamente vera, se non applicandola all’universo tutto intero.” (751)

Ma in che modo potremmo noi misurare le masse seguendo i movimenti del centro di gravità dell’universo ? La cosa è manifestamente assurda ed allora siamo costretti a riconoscere la nostra impotenza ricorrendo alla seguente definizione:  

le masse sono dei coefficienti che è comodo introdurre  nei calcoli.” (752)

Insomma, l’esperienza è certamente potuta servire di base ai principi della meccanica ma, poiché questi principi non sono altro che approssimazioni (e già lo sappiamo), esperienze più precise non potranno aggiungere mai niente a quanto sappiamo e quindi l’esperienza non potrà mai contraddire questi principi.

        Più oltre Poincaré definisce quello che da lui è chiamato il “principio del movimento relativo“:

Il movimento di un sistema qualunque deve ubbidire alle stesse leggi, che si riferiscono a degli assi fissi, o a degli assi mobili trascinati da un movimento rettilineo ed uniforme.” (753)

Ed  osserva che?

Così enunciato il principio del movimento relativo rassomiglia singolarmente a ciò che ho chiamato il principio dell’inerzia generalizzato; ma non è la stessa cosa, poiché, qui si tratta delle differenze di coordinate, e non delle coordinata stesse. Il nuovo principio c’insegna dunque qualcosa di più.”  (754)

Ma poiché, per questo principio si può fare la stessa discussione fatta per il principio d’inerzia generalizzato, ne consegue che anche esso non può essere né dato a priori, né ricavato come risultato immediato dell’esperienza.

           E veniamo ora a quanto Poincaré dice a proposito di energia e termodinamica e di come quindi egli si rapporta all’energetica. Dice Poincaré: (755)

La teoria energetica presenta sulla teoria classica i vantaggi seguenti:

     1°) Essa è meno incompleta; cioè, i principi della conservacene dell’energia e di Hamiton  (756) ci insegnano più dei principi fondamentali della teoria classica ed escludono certi movimenti non realizzati dalla natura e compatibili con la teoria classica. 2°)Essa ci dispensa dall’ipotesi degli atomi, quasi impossibile da evitare con la teoria classica. Ma solleva a sua volta nuove difficoltà: le definizioni di due specie di energia sono appena più facili di quelle della forza e della massa nel primo sistema.”

Inoltre, poiché nella conservazione dell’energia occorre tener conto di tutte le varie forme di energia bisognerà considerare anche l’energia interna molecolare (Q), sotto forma termica, chimica o elettrica. Così, se indichiamo con T l’energia cinetica e con U quella potenziale, possiamo scrivere il principio di conservazione dell’energia nella forma seguente:

                     T + U + Q  =  costante.

Tutto andrebbe bene se i tre termini fossero assolutamente distinti, se T fosse proporzionale al quadrato della velocità, U indipendente da queste ultime e dallo stato dei corpi, Q indipendente dalle velocità e dalle posizioni dei corpi e dipendente soltanto dal loro stato interno … Ma non è così. Consideriamo dei corpi elettrizzati; l’energia elettrostatica dovuta alla loro mutua azione, dipenderà evidentemente dalla loro carica, cioè dal loro stato; ma essa dipenderà anche dalla loro posizione. Se questi corpi sono in movimento, agiranno l’uno sull’altro elettrodinamicamente e l’energia elettrodinamica dipenderà non soltanto dal loro stato e dalla loro posizione, ma anche dalle loro velocità. Non abbiamo più dunque alcun mezzo per fare la cernita dei termini che devono far parte di T, di U e di Q, e di separare le tre parti dell’energia.”  (757)

L’unica cosa che possiamo dire è allora che vi è una certa funzione

                     f  (  T + U + Q )

che  rimane costante e nessuno ci autorizza a ritenere che questa particolare funzione, che si chiamerebbe energia, è nella forma

                     T + V + Q  =  costante.

In definitiva la corretta enunciazione del principio di conservazione dell’energia è: vi è qualcosa che rimane costante.

Sotto questa forma, esso si trova a sua volta fuori degli attacchi dell’esperienza e si riduce ad una specie di tautologia. E’ chiaro che se il mondo è governato da leggi, vi saranno delle quantità che rimarranno costanti. Come accade per il principio di Newton e per una ragione analoga, il principio della conservazione dell’energia, fondato sull’esperienza, non potrà più essere infirmato da essa. Questa discussione mostra che, passando dal sistema classico al sistema energetico, si è realizzato un progresso; ma essa mostra altresì che questo progresso è insufficiente.” (758)

Riguardo poi al principio di minima azione vi è una obiezione ancora più grave. Quando si pensa che, a seguito di questo principio, una molecola per spostarsi da un punto ad un altro seguirà la linea più breve, sembra quasi che questa molecola, “come un essere animato e libero“, dopo essersi fatta tutti i suoi conti sui possibili cammini, scelga quello più breve. Ciò ripugna letteralmente  Poincaré (quasi che il principio di minima azione fosse dato a priori e non a posteriori!).

          In ultima analisi, i principi della meccanica, da una parte sono verità fondate su una esperienza grossolana, dall’altra sono postulati applicabili all’intero universo da considerarsi come veri. Ebbene, se possiamo considerare i principi della meccanica come postulati è per una semplice convenzione, la quale non è arbitraria ma, come alcune esperienze ci hanno mostrato, comoda.

          Occorre quindi rifarsi a questi principi generali, che sono cinque o sei,  (759)  poiché la loro

applicazione … ai differenti fenomeni fisici basta per insegnarci ciò che ragionevolmente possiamo aspettarci di conoscere di una cosa … Questi principi sono il risultato di esperienze sommamente generalizzate, e dalla loro stessa generalità sembrano acquistare un grado elevato di certezza. In effetti, quanto più generali sono, tanto più frequentemente si ha l’occasione di metterli alla prova, e moltiplicandosi le verifiche, assumendo le forme più diverse e più insperate, finiscono per non lasciar posto a dubbi.”   (760)

Ma, allo stato presente, questi principi mostrano alcune crepe che occorre chiudere al più presto in qualche modo. Una miriade di fatti sperimentali sembra non accordarsi con essi. Consideriamoli uno ad uno e vediamo dove essi sembrano cadere in difetto.

– 2° principio della termodinamica

Osservazioni recenti, più accurate, del moto browniano (761) e la spiegazione datane dal matematico tedesco C. Wiener (1826-1896) nel 1863 e dal chimico britannico W. Ramsay (1852-1916) nel 1876 mostravano che in un mezzo in equilibrio termico (una soluzione colloidale) del calore viene trasformato spontaneamente in lavoro (delle particelle in sospensione nella, soluzione si muovono rapidamente da una parte e dall’altra, con maggiore velocità quanto più sono piccole).  (762)  Questo fenomeno sembra negare la validità del 2° principio.

– Principio di relatività

L’esperienza di Michelson-Morley sembra metterlo in discussione. Lorentz è stato costretto ad accumulare ipotesi per cercare di sistemare le cose: tempo locale, contrazione delle lunghezze, …

– Principio di azione e reazione

In difficoltà per quanto già discusso ed in particolare perché, nell’ipotesi di Lorentz, nell’emissione di radiazione da parte di cariche elettriche accelerate esso non sembra rispettato.

– Principio di conservazione della massa

Recenti studi di Abraham, confermati da esperienze di Kaufmann, hanno mostrato la natura puramente elettrodinamica della massa. Ebbene, questa massa deve allora aumentare con la velocità: la massa non si conserverebbe più. Ma anche supponendo una massa meccanica essa, come Lorentz ha mostrato, sarebbe soggetta a contrazioni.

– Principio d’inerzia

Se non ha più validità il principio di conservazione della massa, anche il principio d’inerzia cessa d’essere valido. Infatti, in questo caso, qual è il centro di gravità che continua a muoversi di moto rettilineo uniforme ? A parte si può osservare che nel caso la massa non si conservi, che ne è della legge di gravitazione universale di Newton ?

– 1° principio della termodinamica

Da quando P. Curie  (1869-1906)  e M. Curie  (1867-1934) hanno posto del radio in un calorimetro ed hanno osservato che la quantità di calore, prodotta incessantemente, era notevole, il principio di conservazione dell’energia sembra in grave difetto.

– Principio di minima azione

E’ l’unico che sembra rimanere intatto (anche se così come è formulato ripugna Poincaré).

                Dopo questa rassegna abbastanza scoraggiante – e dalla quale si può subito capire che Poincaré aveva colto tutti gli elementi alla base dei radicali cambiamenti che presto avrebbero interessato la fisica – Poincaré formula un accorato appello:

E’ necessario che non si abbandonino i principi prima di aver fatto uno sforzo leale per salvarli.”

Ed aggiunge:     (764)  

E’ inutile accumulare ipotesi, poiché non si possono soddisfare in una volta. tutti i principi.  Pino ad ora non si è  riusciti  a salvaguardarne  alcuni senza sacrificarne degli altri, ma la speranza di ottenere migliori risultati non è del tutto persa.”

Com’è possibile far ciò ? La risposta a questa domanda permette a Poincaré di scrivere la seguente proposizione di grande interesse:   (765)

Forse … dovremmo  costruire  tutta  una  nuova  meccanica che non facciamo altro che intravedere, nella quale, aumentando l’inerzia con la velocità, la velocità della luce diventerebbe un limite insuperabile. La meccanica ordinaria, più semplice, rimarrebbe come una prima approssimazione, dato che sarebbe vera per velocità non molto grandi, di modo che ancora torneremmo a trovare l’antica dinamica al di sotto della nuova.

Come risulta evidente, la critica di Poincaré è molto attenta agli sviluppi della fisica, ed il fisico-matematico francese, anche se non fa il passo definitivo, ha intuito tutti i problemi che investono il mondo della fisica.. Ben altra classe rispetto agli Ostwald o Duhem.                                     

9 – TENTATIVI DI COSTRUIRE UNA NUOVA FISICA FONDATA SULL’ELETTROMAGNETISMO: WIEN ED ABRAHAM.

        Non ci resta ora che andare a discutere di un altro tentativo che, proprio al nascere del nuovo secolo, venne tentato per cercare di mettere a posto   le  cose:   fondare  una  nuova  fisica   su  basi   elettromagnetiche.

          Abbiamo già fatto cenno alla raccolta di saggi che nel 1900 si pubblicò in onore di Lorentz. Tra questi abbiamo citato quello di Poincaré che discuteva del non accordo della teoria di Lorentz con il principio di azione e reazione.

         Tra questi saggi ve ne era uno del fisico tedesco W. Wien (1864-1928) lo stesso che abbiamo incontrato quando ci siamo occupati dell’irraggiamento del corpo nero , Possibilità di una base elettromagnetica per la meccanica, nel quale, dalla ripresa di alcune idee avanzate da J.J. Thomson nel 1881 e successivamente sviluppate da Heaviside nel 1889,  (766)   si prospettava la possibilità di ricavare le equazioni fondamentali della meccanica a partire dalle equazioni del campo elettromagnetico. In questo lavoro Wien ritiene di poter generalizzare il risultato di Heaviside ricavando dalla teoria eletiromagnetica l’inerzia meccanica. Egli scrive: (767)

L’inerzia della materia, che ci dà una definizione della massa indipendentemente dalla gravità, si può dedurre senza altre ipotesi dalla nozione già frequentemente impiegata di inerzia elettromagnetica.”

L’elaborazione di questi concetti lo portò a trovare un risultato in accordo con quello di Heaviside per piccole velocità. La massa di una particella carica in moto era dunque dovuta alla sua massa a riposo, alla quale si aggiungeva una massa elettromagnetica, che nasceva a seguito del moto per un effetto di autoinduzione. Quando infatti una particella carica è in moto essa equivale ad una corrente alla quale si accompagna un campo elettromagnetico costante. Ogni variazione di velocità di questa particella comporterà una variazione di intensità del campo magnetico che la circonda ed ogni variazione di questo campo comporta il nascere di una corrente indotta (in questo caso autoindotta). (768)   Poiché le correnti indotte tendono ad opporsi alle cause che le hanno generate (legge di Lenz), si originerà una forza che tenderà ad opporsi alle accelerazioni della particella (sono quelle che provocano l’autoinduzione). Tutto va come se la particella avesse un’inerzia più grande e cioè una massa più grande che, originatasi in questo modo, è di natura elettromagnetica.  (769) Questo aumento di massa sarà tanto più grande quanto più è grande la velocità della particella poiché a velocità maggiori della particella corrispondono campi magnetici più intensi e quindi autoinduzioni più intense (nel caso in cui la particella subisca accelerazioni). Data poi l’asimmetria della variazione del campo magnetico nella direzione del moto (longitudinale) ed in quella  perpendicolare (trasversale) bisognerà considerare, al momento della variazione della velocità, due masse differenti, quella longitudinale e quella trasversale.

        Naturalmente questa e le altre elaborazioni teoriche che seguirono traevano spunto dalla scoperta dell’elettrone da parte di J.J. Thomson. E , sull’onda delle esperienze di quest’ultimo, altre ne furono immediatamente pensate e realizzate. Alcune di queste ebbero una notevole influenza sugli ulteriori sviluppi della fondazione elettromagnetica della meccanica.

        In particolare, grande interesse suscitarono i lavori sperimentali del fisico tedesco W. Kaufmann. (1871-1947). Egli, con esperienze estremamente complesse e delicate (1901-1905), (770)  nel misurare il rapporto tra la carica e la massa degli elettroni emessi dal bromuro di radio (a velocità molto elevate), ebbe modo di osservare una notevole variazione della massa con la velocità; in particolare trovò che a grandi velocità  il rapporto tra la carica e la massa diminuiva e, poiché era fuori discussione la costanza della carica (la teoria degli elettroni non la contemplava), se ne doveva concludere che era la massa ad aumentare. Nel suo primo lavoro (190l) Kaufmann concluse che la massa meccanica dell’elettrone era dello stesso ordine di grandezza della massa elettromagnetica. Successivamente (1902-1903) egli affermò che l’intera massa dell’elettrone era di natura elettromagnetica.

        Dalle esperienze di Kaufmann e dai lavori di Wien presero spunto le elaborazioni teoriche del più noto tra i sostenitori del programma elettromagnetico, il fisico tedesco M. Abraham (1857-1922). Egli, in due successive memorie (1902-1903),  (771)    sostenne la sua tesi di fondo che consisteva nel considerare tutta la massa come elettromagnetica, trovando dei risultati che sembravano in perfetto accordo con le esperienze di Kaufmann. Per elaborare la sua teoria Abraham: ricorse ad alcuni risultati conseguiti da Poynting nel 1884 (teorema omonimo),  (772) che gli servirono per introdurre (1903) nella sua trattazione il concetto di quantità di moto elettromagnetica; fece uso della espressione data da Lorentz per la forza cui è soggetta una particella carica in un campo elettromagnetico (forza di Lorentz) e più in generale delle equazioni di Maxwell scritte nella forma di Lorentz; partì dall’ipotesi di esistenza di elettroni dotati di carica negativa in tutti i corpi la cui massa fosse di natura elettromagnetica.

        Una grande difficoltà nasceva però fino dall’inizio; se un elettrone è di natura puramente elettromagnetica ed è carico negativamente, come fa ad essere stabile ? Quali forze e di che natura lo tengono unito, visto che le sue diverse parti, essendo cariche dello stesso segno, tendono a respingersi e quindi a disintegrarlo ?

        Per evitare questa difficoltà, Abraham ricorse ad un’ipotesi discutibile, almeno a questo punto dell’elaborazione teorica. Egli suppose che l’elettrone fosse una sfera perfettamente rigida ed indeformabile (sia quando esso era in quiete sia quando era in moto) nel quale la carica fosse distribuita in modo uniforme (o nel volume o nella superficie) .  (773) In particolare, secondo Abraham, l’ipotesi di un elettrone deformabile doveva essere respinta poiché essa:

” implica che si dovrebbe svolgere, a causa della deformazione, un lavoro meccanico, e che si dovrebbe quindi tener conto, oltre che dell’energia elettromagnetica, di un’energia interna dell’elettrone. In questo caso diventerebbe impossibile un’interpretazione elettromagnetica della teoria dei raggi catodici o di Becquerel, che sono fenomeni puramente elettrici, e bisognerebbe rinunciare fin dall’inizio a fondare la meccanica sull’elettromagnetismo. (774)

         L’ipotesi di indeformabilità veniva dunque a trovarsi in contrasto con altre elaborazioni teoriche ed in particolare con quella di Lorentz. Essa permetteva però, come già detto, di ricavare dei risultati in accordo con  le esperienze di Kaufmann ed in particolare che la massa dipende dalla velocità. Tra l’altro, con l’introduzione della quantità di moto elettromagnetica, Abraham  riuscì  a  superare  le  obiezioni che  Poincaré  fece  a Lorentz  e  relative  al non accordo della teoria degli elettroni con la conservazione della quantità di moto. Con la quantità di moto elettromagnetica si può infatti rendere conto di quella pressione di radiazione che in quegli anni veniva, per la prima volta, misurata (P. Lebedev, 1901; E. Hichols – G. Hull, 1903): quando un elettrone in moto accelerato emette onde elettromagnetiche, la quantità di moto che perde è uguale alla quantità di moto elettromagnetica della radiazione. Dalla quantità di moto elettromagnetica è poi relativamente semplice ricavarsi la massa elettromagnetica, cosa che Abraham fece, calcolando per la prima volta (1903) le masse longitudinale e trasversale di un elettrone in moto. (775)  I valori di queste masse risultarono diversi da quelli che l’anno successivo (1904) fornì Lorentz e la cosa sembrava una seria obiezione alla teoria di  quest’ultimo, in quanto i risultati sperimentali di Kaufmann davano ragione ad   Abraham.  (776)

         Solo più tardi (1908) nuove esperienze, effettuate con maggiore cura sperimentale dal fisico tedesco A.H. Bucherer (1863-1927) e successivamente da altri, mostrarono che effettivamente le relazioni trovate da Lorentz erano quelle corrette.

        Nel 1903, comunque, la teoria di Abraham aveva il conforto sperimentale ma al suo interno poneva dei problemi che lo stesso Abraham fa risaltare.

Egli scrive (777)  che le equazioni del moto che ha trovato

corrispondono esattamente alle equazioni differenziali che si ottengono per il moto di un corpo solido in un fluido perfetto. Tuttavia, mentre per il problema meccanico, le componenti dell’impulso e del momento dell’impulso sono funzioni lineari della velocità attuale di traslazione e di rotazione, … nel problema elettrodinamico l’impulso ed il momento dell’impulso non dipendono solo dal moto attuale dell’elettrone ma anche dalla sua storia precedente …

Questa circostanza crea una grande complicazione nel nostro problema, che non sembra rendere possibile una soluzione completa della dinamica dell’elettrone.”

Come osservano Petruccioli e Tarsitani, “si perdeva il ‘carattere  deterministico‘ delle equazioni differenziali che regolavano il moto dei corpi materiali, nel senso che l’impulso ed il momento – ora ‘grandezze‘ di natura elettromagnetica – non erano più definite in modo univoco in un punto dello spazio e del tempo, una volta assegnate le condizioni iniziali, ma contenevano informazioni riguardanti tutta la vita degli elettroni anteriore all’istante considerato.”  (777 bis )

        Altre difficoltà sorsero poi quando si vollero estendere i risultati di Abraham agli altri costituenti la materia che non fossero gli elettroni, alle forze molecolari ed a quelle gravitazionali. (778)   Sembra ritrovarsi qui la situazione creatasi con l’opera di Copernico, cambiare i ruoli di Terra (meccanica) e Sole (elettromagnetismo) senza preoccuparsi di tutti i problemi fisici che la nuova struttura avrebbe comportato.

        Ricapitolando brevemente, si può dire che a cavallo dei due secoli esistevano grosse differenze di opinione, contrasti anche molto duri, sui fondamenti ed i metodi (ed anche oltre) dell’intera scienza fisica. C’è chi ama parlare di ‘crisi‘, chi di ‘continuità‘; personalmente ritengo che certamente una quantità di problemi nascevano dall’esigenza di sistematizzare l’enorme messe dei dati sperimentali che si veniva producendo nei più svariati campi della fisica, sotto le pressioni delle esigenze tecnologiche della seconda rivoluzione industriale. Ed una qualche crisi doveva ben esserci se solo si pensa, in termini di storia interna, che una quantità di risultati non rientrava in una spiegazione razionale, determinata e conseguente con la fisica che fino ad allora si era costruita. L’eventuale crisi quindi nasceva dal venir meno dell’ideale di scienza unificata, di possibilità di interpretazione della realtà naturale a partire da un unico principio unificante, fosse esso quello meccanico, quello termodinamico, quello elettromagnetico.

        Semplificando molto si può dire che almeno quattro correnti di pensiero si contendevano il primato nell’ambito della fisica:

– quelli che ritenevano di dover procedere con gli strumenti ed i metodi fino ad allora seguiti;

– quelli che sentivano l’indispensabilità di una rifondazione della meccanica;

– quelli che ritenevano di poter basare l’intera fisica sulla termodinamica;

– quelli che ritenevano di poter basare l’intera fisica sull’elettrodinamica.

E neanche a pensare che non ci fosse sovrapposizione; molto spesso i sostenitori di una posizione confluivano in un’altra, purché, ad esempio, l’ideale comune antimeccanicistico (che sempre più diventava antimaterialistico) fosse realizzato. .Oppure quando si pensava che una data posizione non escludesse l’altra, o quando si tentava di mediare per garantire la continuità. In ogni caso, vi erano ancora quelli che credevano alla ‘curiosità scientifica‘, dei sopravvissuti ‘filosofi naturali‘, dei quali si perderà ogni traccia nel nostro secolo.

        Un’altra corrente di pensiero, in aggiunta a quelle schematicamente ricordate, vincerà sul piano scientifico ma non su quello filosofico, interpretativo e politico generale: si tratta, dei Planck e degli Einstein.  

NOTE

(662 bis) Ed oltre al fatto che qui deve essere ricordato: i metodi e gli strumenti della meccanica sono quelli che hanno permesso lo sviluppo della fisica fino a questi livelli.

(662 ter) Citato in bibl. 149, Vol I, pag. 42 2. Sulle concezioni di L. Carnot e di B. de Saint-Venant si può vedere bibl. 6, pagg. 227-230.

(663) Citato in bibl. 149, Vol.I, pag. 423. Il più noto rappresentante di questa scuola, detta scuola del filo, fu il fisico francese J. Andrade (1857- -1933) che espose la sua meccanica nelle Lezioni di Meccanic a fisica (Parigi, 1898). Anche Jean Perrin, nel suo Traité de chimie physique (1945), aderì alla scuola del filo.

(664) Si veda, allo scopo, bibl.149, pagg.426-428. Si veda anche bibl.6, pagg.235-237 . 

(665) Si veda la nota 355 al paragrafo 7 del capitolo III.

(666) Ambedue riportati in bibl. 99. Gli opuscoli sono le trascrizioni di due conferenze.

(667) Soprattutto per quel che riguarda il carattere relativo delle nostre conoscenze.  

(668) Bibl. 99, pag. 27.

(669) Bibl. 56, pag. 278 e segg. Si veda anche bibl. 6, pagg. 237-242.

(670) Ibidem. Si noti che in queste argomentazioni di Hertz vi è polemica nei riguardi della scuola degli energetisti che, all’epoca, si andava diffondendo, come più avanti vedremo.

(671) E mediante l’utilizzazione del principio del minimo sforzo elaborato da Gauss e della teoria dei vincoli nel senso di Lagrange.

(672) L’energia potenziale non è altro che l’energia delle masse nascoste.

(673) Citato in bibl. 149, pag. 432.

(674) L’opera ebbe varie edizioni aggiornate da Mach: dalla 2ª del 1888 alla 7ª, l’ultima curata da Mach, del 1912 . L’edizione alla quale farò riferimento è la ristampa della 9ª edizione (l933), curata dal figlio di Mach (bibl. 97).

(675) Bibl. 97, pag. 215.

(676) Ibidem, pag. 220. Si noti che dalla relazione  m1v= – m2v2  discende  m1/m2 = – v2/v1 e cioè la proporzionalità inversa di masse e velocità.          

(677) Ibidem, pag. 221.

(678) Ibidem, pagg. 236-237.

(679) Ibidem, pag. 239.

(680) Ibidem, pagg. 239-240.

(680 bis) Alcune delle cose che qui sosterrò traggono ispirazione da un lavoro di M. Bunge, Il tentativo di Mach di ricostruire la meccanica classica, American Journal of Physics, 34; 1966; pagg. 585-596.

(681) Si riveda il paragrafo 1 del Cap. I. Si veda inoltre bibl. 3, pagg. 113-117.  

(682) Bibl. 97, pag. 241.

(683) Ibidem.

(684) Ibidem, pagg. 241-243.  Molte delle cose che Mach afferma sono certamente ispirate a Berkeley (cfr. paragrafo 3 del Capitolo I). Si noti inoltre che una completa relativizzazione del tempo e dello spazio era stata sostenuta anche da Maxwell nella sua maturità (si veda nota 268 al paragrafo 5. Cap. III).

(685) Aggiungeva Mach che “ quando diciamo che il tempo fluisce in una direzione determinata ciò significa semplicemente che i processi fisici (e per conseguenza anche quelli fisiologici) si svolgono in una direzione determinata.

(686) Qualche pagina più avanti (pagg.271-272) Mach sostiene: “La ricerca storica sullo svolgimento che una scienza ha avuto è indispensabile, se non si vuole che i principi che essa abbraccia degenerino a poco a poco in un sistema di prescrizioni capite solo a metà, o addirittura in un sistema di dogmi. L’indagine storica non soltanto fa comprendere meglio lo stato attuale della scienza, ma, mostrando come essa sia in parte convenzionale ed accidentale, apre la strada al nuovo. Da un punto di vista più elevato, al quale si arriva per cammini diversi, si può guardare con una visuale più ampia, e scoprire strade non ancora percorse.”  Per sua stessa ammissione Mach ignorava però la storia della filosofia; riguardo alla storia della meccanica non conosceva completamente il periodo medioevale; Truesdell ha poi mostrato che si serviva di fonti non attendibili (Bunge, in nota 680 bis).

(687) Si riveda il paragrafo 1 del Cap. I. Si veda poi bibl.3, pagg. 121-126.

(688) Bibl. 97, pagg. 245-246.

(689) Ibidem, pagg. 248-249.

(690) Mach respingerà ripetutamente l’accusa di berkeleysmo (si veda ad esempio in ibidem, pag. 493).

(691) Ibidem, pagg. 249-250.

(692) Ibidem. Secondo Mach, le forze inerziali che nascono in sistemi accelerati discendono da una interazione con le stelle fisse. Le forse centrifughe che nascono dentro una piattaforma in rapida rotazione sono dovute alle stelle fisse. Se nell’universo non vi fossero queste masse, spari rebbero le forze inerziali e lo stesso parlare di rotazione non avrebbe più alcun significato. L’insieme di questa formulazione di Mach del principio d’inerzia fu chiamato da Einstein Principio di Mach. Si osservi che a Mach è dovuto anche il riconoscimento che il principio d’inerzia e la 2ª legge della dinamica  “sono già contenute nella definizione della forza, secondo la quale senza forza non si ha accelerazione e quindi si ha quiete o moto rettilineo uniforme” (ibidem, pag 261).

(693) Come già detto, il fatto che le stelle fisse non sono fisse fu scoperto da  Halley nel 1718.

(694)  Ibidem, pag. 250.

(695) Ibidem, pagg. 470-471. Qualche riga più avanti Mach introduce un elemento che sarà poi la base delle sue concezioni e sul quale torneremo: “ Non le cose (i corpi), ma piuttosto i colori, i suoni, le pressioni, gli spazi, le durate (ciò che di solito chiamiamo sensazioni) sono i veri elementi del mondo.”                                                 

(696) Anche l’economista britannico Adam Smith (1723-1790) fondatore del liberismo economico, aveva sostenuto concetti simili a proposito dell’economia della scienza. La cosa e’ ricordata dallo stesso Mach in ibidem, pag. 481.

(697) Ibidem, pagg. 493-494.

(698) Le cose oggi funzionano proprio così. Rimane un interrogativo, per me retorico, chi tira le fila del tutto e a quali fini ? Poiché solo a pochi è concesso il privilegio di credere alle curiosità della scienza, ai più resta l’amarezza di vedere schiere di scienziati che lavorano per lo sfruttamento e per la guerra.

(699) Ibidem, pagg. 484-487.  

(700) L’altro filone del fenomenismo è quello dell’energetismo del quale ci occuperemo nelle pagine seguenti.

(701) Un altro nome che si associa all’empiriocriticismo è quello del fisiologo  e filosofo fenomenista tedesco R. Avenarius (1843-1896) il quale, partendo da presupposti diversi (tentativo di porre la filosofia come unificatrice ad un livello superiore di tutte le scienze e di fornire ad essa una base oggettiva analoga alla scienza), converge con alcune delle tesi di Mach. L’opera principale di Avenarius (bibl. 154) è Critica dell’esperienza pura (1889-1890 ).

(702) Si può citare ad esempio il fatto che i neopositivi viennesi intitoleranno a Mach il loro Circolo (1929). Alle idee di Mach si ispirerà anche la Scuola di Copenaghen (1926) alla quale faranno capo Bohr, Heisenberg, Jordan, Born e che vedrà come oppositori Planck, Einstein, De Broglie, Schrodinger. Infine anche il pragmatismo che si sviluppò negli Stati Uniti ad opera principalmente di H. James (1842-1910) si ispirerà alle vedute economicistiche di Mach.

(703) Di Boltzmann ci occuperemo più oltre, accenniamo ora alle polemiche di Planck (da una parte) e Lenin. (dall’altra) contro Mach e l’empiriocriticismo. Planck, in un suo scritto del 1908, L’unita’ dell’immagine fisica del mondo (bibl.l53, pagg.11-43), sostenne che se si dovessero accettare le idee di Mach, “ l’adattamento economico del nostro pensiero alle nostre sensazioni“, ne conseguirebbe che “ogni fisico coscienzioso dovrebbe aver cura di distinguere la propria immagine del mordo, come cosa concettualmente unica ed isolata, da quella di tutti gli altri, e se per caso due suoi colleghi eseguendo indipendentemente l’uno dall ‘altro lo stesso esperimento ritenessero di essere giunti a risultati opposti, come talvolta succede, commetterebbe un errore di principio se volesse concluderne che almeno uno dei due è in errore. Il contrasto potrebbe essere infatti dovuto alla differenza del loro modo di vedere il mondo. Io non credo che un vero fisico potrebbe mai cadere in cosi strani sofismi.” (ibidem, pag. 39).

Mach obietterà in un articolo del 1910, I pensieri direttivi della mia teoria della conoscenza scientifica e la loro accoglienza presso i contemporanei  (Scientia, fasc.2; 1910; pag. 225 e segg.), che quanto sostenuto da Planck non  intacca la sua teoria della conoscenza ed inoltre che lo stesso Planck non ha nemmeno la capacità di collaborare alla medesima teoria della conoscenza fisica.

Planck replicò con un nuovo articolo del 1910, Intorno alla teoria di Mach sulla conoscenza fisica (bibl. 117, pagg. 84-92), nel quale sostenne:

 Ancora al tempo della mia permanenza in Kiel (1885-1889), mi annoveravo tra i partigiani risoluti della filosofia di Mach, che, come volentieri riconosco, ha esercitato una forte azione sul mio pensiero fisico. Ma più tardi mi sono allontanato da essa, perché ero giunto alla convinzione che la filosofia della natura di Mach non è in grado in alcuna maniera di mantenere la brillante promessa che gli ha guadagnato la maggior parte dei suoi seguaci: l’eliminazione di ogni elemento metafisico dalla teoria della conoscenza fisica.” (ibidem, pag.85). Come esempio Planck va a discutere il concetto stesso di economia della scienza. “ La scienza fisica, come ognuno riconosce, è nata dai bisogni pratici; dunque, conclude Mach, la conoscenza fisica è, in fondo, di natura economica“; ma Mach aggiunge che “l’economia di pensiero non è per questo limitata e legata nei suoi fini alla ricerca di bisogni economici pratici nuovi.” A questo osserva Planck: “Non è possibile, prima, rappresentare il principio dell’economia come un trionfo contro la metafisica con l’appello esplicito al suo significato pratico umano, e poi in seguito, quando la cosa così non va più, negare di nuovo esplicitamente l’aspetto pratico umano dell’economia” e aggiunge: « L’economia di pensiero nei suoi fini non è legata  ai bisogni pratici umani ! Già, a quali altri bisogni allora ?” arrivando a rigettare su Mach l’accusa di fare della metafisica, “ oso affermare che il concetto di economia perde il suo primitivo significato e si trasforma senz’altro in uno metafisico” (tutte le citazioni provengono da ibidem, pag.86).

Più oltre poi Planck sostiene che nessun contributo alla fisica potrà venire dalle idee di Mach, andando infine a discutere alcune sue affermazioni in ambito fisico ritenute imprecise o addirittura errate.

In uno scritto più tardo, Positivismo e mondo esterno reale (1930), Planck, riferendosi alle teorie dei neopositivisti ma anche a queIle di Mach, sosterrà che per fondare una vera scienza è necessario servirsi delle esperienze di più ricercatori i quali dovranno comunicarsi i risultati. “Le esperienze sensibili altrui ci sono date infatti secondariamente attraverso informazioni. Qui si insinua dunque nella definizione della scienza un nuovo fattore; l’attendibilità e la sicurezza delle informazioni, e con ciò viene già ad essere logicamente rotta in un punto quella che è la base del positivismo, l’esigenza cioè che il materiale scientifico sia costituito da dati immediati” (bibl. 153, pag. 223).

      Per quel che riguarda Lenin, egli, nel 1909, darà alle stampe un volume tutto centrato sulla polemica con Mach e soprattutto con i suoi seguaci. Si tratta del noto Materialismo ed empiriocriticismo (bibl.156) sul quale non possiamo che dire due parole rimandando, ad esempio, a bibl. 78 e a bibl. 53, pagg. 170-192.

      Certamente, osserva, Lenin, il meccanicismo è pericoloso per il sostegno che esso fornisce al materialismo dogmatico, ma ancora più pericoloso è il fenomenismo che porta alla metafisica, al fideismo, all’irrazionalismo.

      Al materialismo meccanicistico e dogmatico ed al fenomenismo, Lenin contrappone il materialismo dialettico (là dove la sottolineatura, ad opera dello stesso Lenin, è solo sul dialettico), già definito da Engels (bibl. 103), che offre una visione del mondo estremamente articolata in una serie di nessi e processi. Lenin distingue scienza da ideologia (alla prima assegna la conoscenza del mondo ed alla seconda l’organizzazione di esso) ed afferma il carattere relativo di qualunque conoscenza. Per concludere si tenga conto che l’analisi critica di Lenin va vista strettamente legata al suo tempo.

(704) In proposito Planck osserverà (bibl.153, pag.40) “ Debbo esplicitamente dichiarare che ritengo ingiustificati ed insostenibili gli attacchi mossi da quella parte contro l’ipotesi atomica e la teoria degli elettroni. Anzi a queste obiezioni io oppongo la recisa affermazione … che gli atomi, anche se noi non sappiamo nulla sulla loro intima natura, sono reali né più né meno che i corpi celesti e gli oggetti terrestri che ci circondano. Quando io dico che l’atomo d’idrogeno pesa 1,6.10-24 g non ho maggiori probabilità di sbagliare che quando dico che la Luna pesa 7.1025 g. Certamente non posso mettere un atomo di idrogeno sulla bilancia e non lo posso vedere, ma non posso mettere su un piatto di bilancia nemmeno la Luna, e, quanto al vedere, è noto che ci sono dei corpi celesti invisibili la cui massa è stata misurata con discreta precisione: fu misurata perfino la massa di Nettuno, prima ancora che gli astronomi lo cogliessero nell’obiettivo dei loro telescopi.”

Si osservi che Boltzmann interverrà in termini addirittura accorati in difesa delle concezioni atomistiche (come vedremo più oltre). Ed ancora relativamente a Planck, c’è da osservare che egli, pur partito da posizioni critiche nei riguardi delle concezioni statistiche di Boltzmann, già nel 1896 diventerà un duro critico delle posizioni dell’energetismo (si veda più oltre) sostenendo che è arrivato “alla conclusione irrefutabile che la nuova energetica manca di una qualsiasi base dotata di serietà; che le sue semplici dimostrazioni, quelle stesse a cui i suoi sostenitori danno grande importanza, non sono che delle apparenze di dimostrazioni, che esse non affrontano i veri problemi e ancora di più non sanno contribuire a risolverli.” (Citato in bibl. 54, pag. 246).

(705) Oltre a quanto qui diremo si può vedere anche cosa sostiene Robert Musil nella sua tesi di dottorato (bibl. 151, pagg. 47-66).

(706) Bibl.97, pagg.472-473.

(707) Come lo stesso Mach ricorda, il primo a porre questa questione fu lo storico e filosofo britannico D. Hume (1711-1766).

(708) Osserviamo a parte che ulteriore conseguenza della non esistenza di una realtà al di là dell’esperienza, in connessione col fatto che ci rapportiamo al mondo con le nostre sensazioni, fa concludere a Mach che non esistono leggi scientifiche definitive; ed in questo contesto non ha alcun senso parlare, come fa Newton, di esperimenti cruciali.

(709) Altri aspetti dell’opera di Mach sono messi in evidenza da vari autori. In particolare:

P. Frank tratta del rapporto tra Einstein, Mach ed il positivismo logico (bibl. 168, pagg. 219-236).

T. Hirosige tratta delle influenze di Hume and Mach sul pensiero di Einstein (bibl. 124, pagg. 56-57).

G. Holton si occupa di Mach, Einstein e la ricerca della realtà (bibl. 127, pagg. 164-203).

K. R. Popper si occupa di Berkeley quale precursore di Mach ed Einstein (bibl. 14, Vol. I, pagg. 287-391).

G. Lenzi tratta, tra l’altro, di Mach fisico sperimentale e didattico (bibl. 157, pagg. 3-8).

Infine brani originale di Mach su argomenti diversi sono riportati in bibll. 54, 56, 85.

Di passaggio ricordo che Mach, pur rimanendo molto ben impressionato dal tentativo di Hertz di costruire una nuova meccanica, criticherà la cosa perché la riterrà troppo astratta (bibl. 97, pagg. 272-277). Analogamente Hertz avrà modo di criticare il fenomenismo di Mach.

(710) Per quanto dirò su Rankine ed Helm mi sono rifatto a bibl. 17, Vol. 5, pagg. 224-225.

(711) Mach loderà il lavoro di Helm (si veda, ad esempio, bibl.97, pag. 492).

(712) Citato in bibl.7, Vol.5, pag.310 e tratto da Helm, L’energetica nel suo sviluppo storico (1898).         

(713) Ostwald fu premio Nobel per la chimica nel 1909.

(714) Helm osserverà che: “nei tentativi di attribuire all’energia un’esistenza sostanziale, vi è una preoccupante deviazione rispetto alla chiarezza originale delle vedute di Mayer” (ibidem),

(715) Bibl. 155, pag.119 e segg. Si tratta di una edizione francese dell’opera di  Ostwald, datata 1910. Una traduzione di alcuni brani si può trovare in bibl. 54, pagg.189-192. Si noti che la conversione di Ostwald dal meccanicismo all’energetica avviene a seguito della lettura del lavoro di Helm citato e la  prima opera di Ostwald in tennini di energetica è la 2ª edizione (1893) della sua Chimica generale (bibl.127, pag.166).                                       i

(716) Ostwald. si riferisce principalmente alle ipotesi particellari che si erano sviluppate nella chimica, ma anche (l’opera in cui scrive queste cose è del 1908) alle teorie particellari dell’elettricità.

(716 bis) Si osservi che l’identificazione tra materialismo  e  meccanicismo  è di Hegel e contro questa identificazione si batterà Engels (bibl.103, pagg. 258-263).

(717) Citato in bibl. 54, pag. 106.

(718) Citato in bibl.158, pag. 180. Altri brani di Ostwald si possono trovare in bibl.56, pagg. 308-314 ed in bibl. 159, pagg. 119-195.

(719) Citato in bibl.7, Vol.5, pagg.309-310.

(720) Citato in bibl. 54, pag. 193.

(721) F. Klein (1849-1925),  matematico, collaborò con Lie allo sviluppo della teoria dei gruppi  e dette notevolissimi contributi in quasi tutti i campi della matematica dell’epoca. Si occupò anche di didattica e di storia della matematica.  

(722) Si veda la nota 428.

(723) Ostwald afferma che bisogna passare dalle ipotesi alle prototesi, essendo queste ultime delle ipotesi verificabili sperimentalmente. Riguardo al rifiuto degli atomi, Ostwald, nel 1909, nei suoi Fondamenti di chimica generale (4ª edizione), ritornò sulle sue posizioni ammettendone l’evidenza sperimentale.

(724) Citato in bibl. 16.Vol.2, pagg. 523.

(725) Bibl.155, pagg. 199-200.

(726) Quando Ostwald sviluppa l’argomento dell’energetica sociologica, dice una sola cosa che mi sento di condividere: “Il compito generale della civilizzazione consiste nell’ottenere, per le energie da trasformare, dei coefficienti di trasformazione i più vantaggiosi possibile.”

Si noti poi l’assonanza di molte delle cose qui sostenute con quelle che più tardi saranno del fascismo e del nazismo.

(727) Bellone (bibl.l58,pag.l80) osserva:”Il fatto che la tesi di Ostwald abbia avuto numerosi seguaci è del tutto irrilevante, se è vero che in materia di scienze fisiche i problemi non si risolvono per alzata di mano. ” E’ già dubbio che quanto afferma Bellone sia vero per una storia interna se solo si pensa che certe ricerche, nell’ambito delle istituzioni scientifiche, vengono finanziate solo se ci sono sufficienti alzate di mano. E’ del tutto falsa in relazione ad una storia esterna.

(728) Bellone osserva giustamente (ibidem) che qui si usa “ lo strattaggemma per cui la categoria filosofica di materia viene fatta coincidere con la categoria di materia operante nel mondo fisico.”

(729) Citato in bibl.l27, pag.l66. Citando questo brano Holton avanza l’ipotesi che la posizione in esso espressa dovesse incontrare il favore del giovane Einstein.

(730) Per quanto diremo in proposito e per le citazioni senza indicazione bibliografica che immediatameate seguiranno, si veda l’opera di Duhem (1902) di bibl. 105, pagg. 221-225.

(731) Duhem si riferisce qui ad un lavoro di Boltzmann in due volumi: Lezioni sulla teoria di Maxwell dell’elettricità e della luce (l891-l893). 

(732) Citato in bibl. 54, pagg. 186-187.

(733) Si osservi che Duhem non solo sosteneva che la teoria di Maxwell era “un tradimento della ragione“, estendendo questo giudizio anche alla meccanica statistica di Boltzmann, ma anche che la Relatività di Einstein era una pura e semplice follia che non ha nulla a che vedere né con la ragione né con il buon senso (si veda l’opera di Duhem, La teoria fi sica – l906 – nella prima e seconda edizione).               

(734) Citato in bibl. 54, pag. 179. Boltzmann, dopo Lubecca, scrisse anche un arti colo dal tono vagamente ironico, Una parola della matematica all’energetica, Wiedemann’s  Annalen, 1896.   

(735) Bibl.95, pag.265. La citazione è tratta da una conferenza di Boltzmann del 1866 dal titolo: La seconda legge della termodinamica.

(736) Ibidem, pag. 263. 

(737) Ibidem, pag. 265.

(738) Citato in bibl. 54, pag. 198. Si tratta di un articolo di Boltzmann del 1897, L’indispensabilità dell’atomismo nelle scienze naturali, raccolto, insieme ad altri in: Boltzmann, Theoretical Physics and Philosophical Problems, Reidel , 1975. Come si potrà osservare si tratta della definizione e della difesa della nascente fisica teorica.

(739) Si tratta di un articolo di Boltzmann del 1899 (si veda nota precedente e bibl. 95, pagg. 270-271).  

(740) Altrove (bibl.54, pagg. 194-195; si veda la nota 738) Boltzmann aveva sostenuto il medesimo concetto con parole differenti: “ Mi sembra che di un coerente insieme di fatti non possiamo mai avere una descrizione diretta ma solo e sempre un’immagine mentale. ” Si noti che, come sempre, sono i materialisti quelli che più esaltano le capacità creative dell’intelligenza (dello spirito?).

(741) Bibl. 95, pag.271. Si noti che un’analisi lucida e penetrante  dei rapporti tra Boltzmann, la crisi del meccanicismo e la nascita della teoria dei quanti si può trovare nel saggio di Ciccotti e Donini in bibl. 79, pagg. 145-159.  

(742) Si pensi alle scelte che saranno della Scuola di Copenaghen (1926)  alla quale abbiamo accennato in nota 702. In breve si può dire che di fronte alla domanda: “Esiste una realtà indipendente dalle nostre osservazioni ?” i fisici di  quella scuola, in maggioranza, risposero: “La questione non ci interessa.” Allo scopo si può vedere bibl.57 ed anche il bel saggio di F. Selleri, Sull’ideologia nella fisica contemporanea, bibl.53, pagg.l20-150.             

(743) Bibl. 95, pagg. 280-281.

(744) Ibidem, pag.273. Si noti che più avanti Duhem sosterrà che la scienza deve far ricorso al senso comune.

(745) Bibl. 140, pagg. 93-95.

(746) Ibidem, pag. 96.

(747) Ibidem, pag. 100. Si noti che quest’ultima affermazione è sostenuta da Poincaré sulla base del fatto che, se dovessero sorgere accelerazioni impreviste, si potrà sempre supporre che esse derivano dalla presenza (posizione e velocità) di altri corpi di cui non sospettavamo l’esistenza.

(748) Ibidem, pag. 101.

(749) Ibidem, pag.102.

(750) Ibidem, pag.103. Ritorna la legge di Mach.

(751) Ibidem, pag.105.  

(752) Ibidem, pag. 106.

(753) Ibidem, pag. 113.

(754) Ibidem, pagg. 114-115. Si noti che Poincaré critica la meccanica di Kirchhoff per essere egli partito dalla definizione di forza ricavata dai concetti, supposti primitivi, di spazio, tempo e materia. Ma, ancora di più, critica la Scuola del filo per la scarsa generalità della definizione che viene data al concetto di forza. In ogni caso anche questa definizione è convenzionale come quella di Kirchhoff (convenzionali si,  ma non arbitrarie, poiché, in qualche modo, discendono dalle esperienze).

(755) Ibidem, pagg. 123-124.

(756) Il principio di Hamilton è uno dei possibili enunciati del principio di minima azione.

(757) Ibidem, pag. 126.  

(758) Ibidem, pag. 127.

(759) I principi cui fa riferimento Poincaré sono: quello di conservazione dell’energia, quello di degradazione dell’energia (o di Carnot), quello di azione e reazione (di Newton), quello di relatività», quello di conservazione della massa (di Lavoisier), quello di minima azione (di Maupertuis).

(760) Questo brano e gli altri citati nel seguito sono tratti dall’intervento di Poincaré alla conferenza di St.  Louis del 1904, interamente riportato ne Il valore della scienza (1904). Bibl. 142, pag. 111.

(761) II fenomeno fu scoperto dal botanico britannico R. Brown (l773-l858) nel 1827.

(762) La spiegazione di ciò è di origine statistica. Le particelle più grandi urtate da tutti i lati dagli atomi in moto, rimangono ferme perché c’è compensazione tra gli urti. Le particelle più piccole ricevono invece pochi urti perché si realizzi la compensazione e quindi sono incessantemente in moto.  

(763) Ibidem, pag.125. Anche Einstein si rifarà ad una fisica dei principi, ma il senso è del tutto diverso, come vedremo più oltre. Si veda bibl. 161, pagg. 212-213.

(764) Ibidem.

(765) Ibidem, pag. 130.  

(766) J.J. Thomson: On the electric and magnetic effects. produced by the motion of electrified bodies, Phil. Mag. 11; 1881; pagg. 229-249. O Heaviside: On the electromagnetic effects due to the motion of electrification through a dielectric, Phil. Mag. 27; 1889; pagg. 324-339. Nel lavoro di Thomson era avanzata la possibilità di poter considerare l’inerzia come un fenomeno elettromagnetico. In questa ipotesi, un conduttore carico in movimento doveva aumentare di massa, anche se questo aumento risultava indipendente dalla velocità del conduttore. Heaviside dette a questo aumento di massa un significato fisico preciso, forza d’inerzia elettrica, distinguendolo così dall’inerzia puramente meccanica. Si veda bibl. 160, pagg. 140-145.

(767) Citato in bibl. 160, pag. 147.

(768) Per rendersi conto qualitativamente dei campi che circondano una particella carica in moto a velocità costante e in moto accelerato (emissione di onde elettromagnetiche), si può vedere bibl. 222, Vol. II, pag. 536.

(769) Questo fatto si può anche dire nel modo seguente: per mettere in moto una particella priva di carica, occorre vincere solo l’inerzia meccanica; quando la particella è carica, ad una sua messa in moto corri sponde la creazione di un campo magnetico; in quest ‘ultimo caso vi sono quindi due inerzie da vincere, poiché la creazione di un campo magnetico si ottiene a spese di un dato lavoro (inerzia elettrica) che va ad aggiungersi all’ordinario lavoro che bisogna fare per mettere in moto la massa (inerzia meccanica).

(770) I risultati di Kaufmann di cui si parla sono discussi nelle memorie seguenti:

      W. Kaufmann: Sulle deviazioni elettriche e magnetiche delle radiazioni di Becquerel e sulla massa. apparente degli elettroni, Gött. Nachr. 1901.

     W. Kaufmann:  Sulla ‘Massa Elettromagnetica’ degli elettroni,  Gött. Nachr. 1903.   

     W. Kaufmann: Sulla costituzione degli elettroni, Sitzb. preuss. Akad. Wiss., 1905.

(771) M. Abraham: Sulla dinamica degli elettroni, Gött . Nachr., 1902. M. Abraham: Principi di dinamica degli elettroni, Annalen der Physik, 1903. Si noti che anche A. Sommerfeld aderì al programma di Wien-Abraham, programma al  quale,  per  breve  tempo,   aderì  anche  Planck.

(772) J.H. Poynting: On the transfer of energy in an electromagnetic field, Phil. Trans., 175; 1884.

(773) Abraham si fece i conti nei due casi, trovando gli stessi risultati.

(774) Citato in bibl. 160, pag. 151.

(775) Nel suo lavoro del 1904 Lorentz troverà valori differenti per queste masse ed osserverà (bibl.131, pagg. 30-31):

 I valori che ho trovato per le masse longitudinale e trasversale di un elettrone, espresse in funzione della sua velocità, non sono gli stessi di quelli precedentemente ottenuti da Abraham. Il motivo di questa differenza nasce dall’unica circostanza che, nella sua teoria, gli elettroni sono trattati come sfere di dimensioni invariabili. Ora, riguardo alla massa trasversale, i risultati di Abraham sono stati confermati in modo brillante dalle misure di Kaufmann della deflessione di radiazioni in campi elettrici e magnetici. Quindi, se non vi sono obiezioni più serie alla teoria da me ora proposta, deve essere possibile mostrare che queste misure sono in accordo con i miei valori quasi allo stesso modo che con quelli di Abraham.

(776) Poincaré, preso atto di questa conclusione, cominciò a porsi del problemi sulla validità del principio di relatività (bibl. 141, pag. 175), dicendo:

Il principio di relatività non avrà allora il valore che si à cercato di attribuirgli“, e subito dopo osservando che “ prima di accettare questa conclusione, è necessario riflettere un poco“.  

(777) Citato in bibl. 133, pag. 62.

(777 bis) Ibidem.

(778) Per ulteriori notizie sui lavori di Abraham si veda bibl. 160, pagg. 148-157.  



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