IL PROSEGUIMENTO DEL PROGRAMMA RELATIVISTICO DI EINSTEIN
Quanto abbiamo visto in quest’ultimo capitolo deve averci convinto che se da una parte Einstein prende le mosse dalle asimmetrie elettromagnetiche, dall’altra egli si pone sulla strada della formulazione di una nuova meccanica. Non sembra possa esserci dubbio che egli si muove sulla strada dei Kirchhoff, degli Hertz e dei Mach, più che su quella dagli Abraham e dei Kaufmann con i loro programmi elettromagnetici.
E certo che, nel momento in cui il programma elettromagnetico sembrava essere il punto di rottura con la tradizione meccanicista, il tornare a riprendere la meccanica per modificarla ed aggiornarla doveva sembrare un’operazione alquanto reazionaria.
In ogni caso i lavori di Einstein non caddero nel vuoto: da una parte si tentò con ogni mezzo di confutarli, dall’altra si iniziò a svilupparli e ad ampliarli con il contributo di un numero sempre maggiore di sostenitori.
Qualche mese dopo la pubblicazione del secondo lavoro di Einstein del 1905 sulla relatività, W. Kaufmann pubblicò sugli Annalen i risultati di sue esperienze. (926) Egli, all’inizio della sua memoria, affermava (927):
“Avanzo qui necessariamente il risultato generale delle misure che si descrivono nel seguito: i risultati delle misure non sono compatibili con l’ipotesi fondamentale di Lorentz ed Einstein”.
Secondo Kaufmann i valori che sia Lorentz sia Einstein assegnavano alle masse longitudinale e trasversale degli elettroni erano errati; le sue esperienze mostravano un notevole accordo con i valori calcolati da Abraham nell’ipotesi di pura massa elettromagnetica.
Fu Planck il primo ad intervenire a sostegno dei lavori relativistici di Einstein. Nel 1906 egli pubblicò due lavori. In uno di essi (928) mise in discussione la correttezza delle conclusioni, di Kaufmann a seguito dell’inattendibilità della precisione delle sue misure; nell’altro lavoro (929), come abbiamo già detto nel paragrafo 3 del capitolo precedente (vedi nota 884), corresse l’errore nel quale era incorso Einstein nel suo primo lavoro del 1905 e relativo al modo di ricavarsi le equazioni di trasformazione per la seconda legge [in breve: Einstein lavorava su F = m.(dv/dt) mentre Planck lavorò su F = d(mv)/dt].
Lo stesso Einstein intervenne nel 1907 (930) sulla stroncatura sperimentale del.suo lavoro ad opera di Kaufmann. Dice Einstein: (931)
“si potrà affermare con certezza se esiste un errore sistematico insospettato o se i fondamenti della teoria della relatività non si accordano con l’esperienza, soltanto quando si disponga di un gran numero di osservazioni…”
e, con una affermazione che ha una valenza epistemologica più generale, aggiunge che le teorie di Abraham e Kaufmann hanno una piccola probabilità di essere corrette,
“perché le loro ipotesi fondamentali rispetto alla massa degli elettroni in moto sono inspiegabili in termini di sistemi teorici che inglobino un insieme più ampio di fenomeni.”
Mentre Einstein si difendeva in questo modo, continuava a portar avanti il suo programma.
Nel 1907 tornò ancora sull’equivalenza massa-energia (932). Egli prende in esame un sistema in cui abbiano luogo processi meccanici ed elettromagnetici e dimostra che la condizione per cui la sua relazione abbia validità è la conservazione del moto del baricentro del sistema. Nel 1907 affermò (933) che una dimostrazione generale della validità del suo principio ancora non si era potuta trovare perché i fisici erano ancora distanti dall’intendere il mondo in base al principio di relatività.
Intanto in Gran Bretagna ci si cominciò ad occupare di relatività. Nel 1908 O.N. Lewis (1875-1946), utilizzando la teoria della pressione di radiazione, provò che un corpo, il quale assorda energia da radiazione, aumenta la sua massa in accordo con la relazione di Einstein. (934) Nel 1909 G. N. Lewis e R.C. Tolman (1881-1948) ritornarono ulteriormente sul modo di ricavare la seconda legge della dinamica (935) ad opera di Einstein. Infatti, nonostante il lavoro di Planck del 1906, era ancora necessario scrollarsi di dosso molte incrostazioni classiche. Il lavoro dei due fisici britannici fu molto importante poiché andò a ricavare l’intera dinamica sulla base del principio di conservazione della quantità di moto, a partire dalla cinematica delle trasformazioni di Lorentz. Non si usa più quindi la seconda legge ma la conservazione della quantità di moto. Essa viene assunta ad invariante relativistica e da essa si procede appunto a ricavare l’intera dinamica, compresa l’equazione del moto. Un criterio di controllo che viene introdotto dai nostri è la validità delle leggi classiche nel limite v << c.
Sempre nel 1908 ancora Planck tornò sull’equivalenza massa-energia. (936)
Ed ancora in quell’anno, esperienze alla Kaufmann, realizzate con maggior cura dal fisico tedesco A. H. Bucherer, sembrarono confermare i lavori di Einstein e Lorentz. (937)
Nel frattempo nascevano i primi paradossi legati alla nuova meccanica relativistica. Furono proprio Lewis e Tolman a metterli in evidenza nel loro lavoro del 1909. Nel 1911 questi primi paradossi trovarono una spiegazione in un lavoro di A. Sommerfeld (1868-1951) e M. Von Laue (1879-1960). (938)
In mezzo a tutte queste polemiche cresceva e si affermava la teoria della relatività. Essa era ormai entrata in tutti gli istituti di ricerca con piena autorità.
Ma non si possono concludere queste pagine senza accennare ad uno dei contributi più importanti per gli sviluppi futuri, quello di H, Minkowskij (1864-1909) del 1908. (939)
Da quanto visto a proposito delle trasformazioni di Lorentz, dovrebbe risultar chiaro che i concetti di spazio (distanze, coordinate,…) non sono scindibili da quelli di tempo [si rivedano le stesse trasformazioni (8) e si noti come per trasformare la coordinata spaziale x’ occorre introdurre il tempo t e come per trasformare il tempo t’ occorre introdurre la coordinata spaziale x]. Che spazio e tempo siano legati insieme per definire un dato evento è poi ben noto anche nell’ambito della fisica classica, dove, per definire univocamente un dato evento, oltre alle coordinate spaziali x, y, z, del luogo in cui si verifica, occorre dare anche la coordinata temporale t dell’istante in cui ha luogo l’evento. Una particolare quaterna, ad esempio x1, y1, z1, t1 , denoterà un dato evento P1 ed un’altra quaterna, ad esempio x2, y2 , z2, t2, ne denoterà un altro P2.
In uno spazio ordinario (euclideo) a tre dimensioni (x, y, z) la distanza al quadrato s2 tra due punti P1 = (x1 ; y1 ; z1 ) e P2 = (x2; y2; z2 ) è data da:
(55 bis) s2 = (x2 – x1)2 + (y2 – y1)2 + (z2 – z1)2
e se poniamo:
x2 – x1 = x ; y2 – y1 = y ; z2 – z1 = z
la precedente relazione si può scrivere:
(55) s2 = x2 + y2 + z2
che equivale ad aver considerato la distanza di un punto P = (x, y, z) dall’origine degli assi.
Se ora vogliamo dare la lunghezza s2 per un altro qualsiasi riferimento (euclideo) con gli assi comunque orientati, le componenti x, y, z varieranno a seconda del riferimento rispetto al quale vogliamo dare s2 , ma s2 resterà invariante nel suo valore e nella sua orientazione.
Quanto detto non è altro che l’affermazione dell’invarianza della lunghezza dei segmenti in uno spazio euclideo (che definisce la metrica di quello spazio) e, per altri versi, l’invarianza della lunghezza ed orientazione di un segmento per una trasformazione di Galileo. (940)
Se invece di avere punti in uno spazio euclideo, abbiamo degli eventi, è possibile costruirsi una geometria rappresentativa, ad esempio, della distanza tra due eventi ? E’ possibile, in questa nuova geometria, trovare un elemento invariante che definisca una nuova metrica ? In parole molto povere è questo il problema che si è posto ed ha risolto Minkowkij (941) costruendo una geometria in uno spazio a quattro dimensioni, espressione della teoria einsteniana della relatività.
In analogia con quanto la (55) dice a proposito della distanza tra due punti, se dobbiamo calcolare la distanza tra due eventi P1 = (x1 , y1, z1, t1) e P2 = (x2 , y2 , z2 , t2) si può procedere nel modo indicato di seguito.
Supponiamo che in un riferimento S, ad un dato istante t = t1 = 0, venga emessa dall’origine O un’onda luminosa (quest’onda venga emessa nell’istante in cui l’origine O’ di un altro riferimento S’, in moto con velocità v rispetto ad S, coincide con l’origine O di S). Dopo un tempo t ≠ 0 il segnale luminoso si troverà, in un punto P di S le cui coordinate soddisfano l’equazione:
(x2 + y2 + z2)1/2 = ct =>
(56) x2 + y2 + z2 – c2t2 = 0
la quale, più in generale, quando non si consideri più l’onda luminosa come partita dall’origine O degli assi ed al tempo t = 0, si può scrivere
(56 bis) (x2 – x1)2 + (y2 – y1)2 + (z2 – z1)2 –c2(t2 – t1)2 = 0
Ebbene, data la costanza di c, si può facilmente vedere che la (56) è invariante rispetto ad una trasformazione di Lorentz mentre non lo è per una di Galileo. In S’ si ha allora:
x’2 + y’2 + z’2 – c2t’2 = 0
e, anche qui, più in generale:
(x’2 – x’1)2 + (y’2 – y’1)2 + (z’2 – z’1)2 –c2(t’2 – t’1)2 = 0
Si può allora assumere la (56) come elemento invariante che definisce la nuova metrica, di modo che la distanza tra due eventi P e P sarà ora data dalla quantità:
(57) s2 = x2 + y2 + z2 – c2t2
Si può anche andare oltre (ma noi non ci addentreremo su questa strada) ed introdurre la grandezza immaginaria u = ict; con questa posizione la (57) diventa:
(57 bis) s2 = x2 + y2 + z2 + u2
e le cose vanno come se avessimo a che fare con uno spazio a 3 + 1 dimensioni in cui, in luogo di considerare gli ordinari vettori a tre dimensioni, dovremo ora considerare dei vettori a quattro dimensioni o quadrivettori.
Sembrerebbe tutto a posto e la possibilità di poter trattare la nuova geometria in perfetta analogia con quella euclidea sembrerebbe ovvia. Il fatto però che una delle coordinate (u) sia una grandezza immaginaria comporta delle grandi differenze. Vediamone qualcuna.
Confrontando la (57) con la (56) si trova subito che, quando s = 0, risulta:
x2 + y2 + z2 = c2t2
relazione che, per come l’abbiamo introdotta, rappresenta il tragitto percorso da un’onda luminosa. Ciò vuol dire che ad una distanza s nulla tra due eventi non corrisponde necessariamente il fatto che i due eventi coincidano. Diamo allora ad s il nome di geodetica (per distinguere la distanza s ora introdotta dalla distanza s che in geometria euclidea era sempre rappresentata da un segmento di retta). Si può con ciò dire che la propagazione della luce avviene secondo una geodetica di lunghezza nulla e che la propagazione della luce è l’unico fenomeno caratterizzato da s = 0. Tenendo presente la (57 bis) si può affermare che tutti gli altri moti sono caratterizzati da s2 > 0 (nel caso, infatti, in cui risultasse s2 < 0 si avrebbe un risultato immaginario, a conferma del fatto che non sono ammesse velocità superiori a quella della luce). Se si pensa poi al cammino che la luce segue nel passaggio da un mezzo ad un altro con indici di rifrazione differenti, si trova che la linea più breve unente due punti nei due mezzi non è la retta ma la geodetica. Ciò vuol dire che mentre nella geometria euclidea la retta era il cammino più breve tra due punti, nella nuova geometria è la geodetica che gode di questa proprietà.
Dicevamo che abbiamo ora a che fare con uno spazio a 3+1 dimensioni, e diciamo 3+1 e non 4 per dare il senso della distinzione esistente tra spazio e tempo contemporaneamente a quello della loro interdipendenza. Questo continuo spazio-temporale a 3+1 dimensioni fu chiamato da Minkowski, universo. (942) Un evento in questo spazio prende il nome di punto d’universo. La linea che segue l’evoluzione temporale di un dato punto in questo spazio si chiama linea d’universo. Un piccolo tratto s di una linea d’universo è la già nota geodetica.
II principio di relatività di Einstein può allora essere enunciato nel modo seguente: una geodetica, data da un elemento di traiettoria e dal tempo impiegato a percorrerla, è invariante qualunque sia il riferimento rispetto al quale la si consideri.
Come esemplificazione si può ricavare la contrazione delle lunghezze utilizzando i diagrammi di Minkowskij nell’ipotesi di y = z = 0 (fatto che non modificherà la sostanza delle nostre conclusioni perché le trasformazioni di Lorentz, cosi come le abbiamo ricavate, ci dicono che y = y’ e z = z’ e ciò vuol dire che non si hanno modificazioni sugli assi y e z perpendicolari alla direzione del moto traslatorio preso in considerazione). Con questa posizione dovremo considerare uno spazio a due dimensioni x, ct (riferimento S) ed x’, ct’ (riferimento S’) cosi facendo il nostro spazio sarà rappresentato dall’asse x (ed x’) mentre l’universo sarà costituito dal piano x, ct (ed x’, ct’). Un moto uniforme a velocità v nell’universo x, ct sarà rappresentato da una retta non passante per l’origine degli assi, se al tempo t = 0 l’oggetto in moto occupava l’ascissa x = x 0; sarà invece rappresentato da una retta passante per l’origine, se al tempo t = 0 si aveva x = 0 (figura 77). (943)

Figura 77
Si noti che sull’asse delle ascisse dovrebbe figurare la quantità ct; per semplicità abbiamo utilizzato per x una unità di misura che rende uguale ad 1 la velocità della luce c; misurando infatti la x in secondi luce, c risulterà uguale ad un secondo-luce al secondo. Con questa posizione la bisettrice del 1° e 3° quadrante, rappresentata dall’equazione x = t, sarà la retta che ci fornisce la propagazione della luce (figura 78)

Figura 78
Poiché c è la massima velocità raggiungibile, questa retta sarà quella che avrà la massima pendenza tra tutte le possibili rette che si possono tracciare nel nostro piano.
Un altro sistema di riferimento S’ si muova rispetto al nostro sistema S (il sistema S è solo l’asse x !) con velocità costante v e a t = t’ = 0 risulti anche che le origini dei due riferimenti coincidano. Nel nostro universo (x, t) il moto del riferimento S’ sarà rappresentato da una retta passante per l’origine e con una pendenza tanto maggiore quanto più è grande la velocità di S’ rispetto ad S (ben inteso questa pendenza non potrà mai superare i 45°). Questa retta è la linea d’universo x = vt e può essere considerata come l’asse t’ dell’universo (x’, t’). Se vogliamo completare il nuovo universo delibiamo disporre di un asse x’. La condizione per costruire quest’asse è la costanza della velocità della luce che comporta che la retta che descrive la propagazione della luce (asse della luce) sia ancora bisettrice del nuovo universo. La costruzione cosi fatta è mostrata in figura 79. Chiediamoci ora:

Com’è possibile passare da un universo ad un altro? Quale fattore di proporzionalità lega i due universi? Riferiamoci alla figura 80.

Figura 80
Consideriamo un’asta rigida di lunghezza OA situata immobile sull’asse delle x dell’universo (x, t). Le linee d’universo degli estremi O ed A di quest’asta saranno delle rette parallele (nell’universo in cui l’asta risulta in quiete la sua lunghezza non varia nel tempo). In particolare la linea d’universo di O sarà lo stesso asse t, mentre la linea d’universo di A sarà la retta x = a, parallela all’asse t, (più in generale, la linea d’universo di qualunque punto in quiete sull’asse x sarà una retta parallela all’asse t). Stando così le cose, su S’ l’asta avrà le sue estremità in O’ ed A’ (a t’ = 0). La linea d’universo di A’ sarà la retta x’ = a’, parallela all’asse t’; questa retta intersecherà l’asse t in A”, fatto che equivale a dire che A’ è osservato in A” dal sistema S (a t = 0). Se la lunghezza OA’ per l’osservatore su S vale:
OA’ = k.OA
la lunghezza OA” varrà, per l’osservatore su S’:
OA” = k.OA’
Per il principio di relatività queste due lunghezze dovranno fornire una stessa misura. Si dovrà cioè avere:
(58) OA” = k.OA’ = k.(k.OA) = k2.OA
Dal triangolo rettangolo OAA’ si può ricavare:
AA’ = OA.tgα
mentre dal triangolo rettangolo A’AA” si trova:
AA” = AA’.tgα
di modo che:
(59) AA” = OA.tg2α
Dalla figura 80 e ricordando la (58) si trova poi:
(60) AA” = OA – OA” = OA – k2.OA = OA.(1-k2)
Confrontando la (60) con la (59) si ricava:
(61) tg2α = 1 – k2 => k2 = 1 – tg2α
Riferendoci ora alla figura 77 (quando ancora non avevamo posto c = 1 secondo-luce al secondo) la pendenza di una retta era data da v = tg α; con la posizione fatta a proposito dell’unità di misura di c, e quindi di x, si ha che (c numericamente vale 1):
v/c = tgα
Con questo risultato la (61 ) diventa:
k2 = 1 – v2/c2 -> k = (1 – v2/c2)1/2
In questo modo, se si indica con d la lunghezza, dell’asta nel riferimento in cui è in quiete (d = OA), la lunghezza dell’asta in moto, osservata da un sistema in quiete, risulterà (OA’ = k.OA => d’ = k.d):
d’ = d.(1- v2/c2)1/2
ed allo stesso modo si può procedere per trovare tutti gli altri risultati della relatività. (944)
Ma ora non ci interessa tanto soffermarci su questo punto guanto sottolineare la grande potenza che fornisce al calcolo la rappresentazione geometrica di Minkowskij, la completa portata non tanto della quale quanto del metodo geometrico indotto balzerà agli occhi nell’ambito degli sviluppi dell’altra relatività di Einstein, quella generale. (945)
Dopo i lavori di Minkowskij il calcolo si protese sempre più a risolvere i problemi della nuova fisica. Vennero ripresi alcuni lavori del passato (1901) sul calcolo tensoriale e sulle trasformazioni affini di G. Ricci Curbastro (1853-1925) e T. Levi Civita (1873-1941); altri se ne realizzarono ad opera di A. Sommerfeld nel 1910, di G. Hessenberg (1917), di T. Levi Civita (1917) e B. Weyl (1918) soprattutto nel campo dei metodi geometrici.
II lavoro di Einstein stava dando vita ad una messe di risultati inattesi. Si pensi ad esempio alla spiegazione che Sommerfeld riuscì a fornire della struttura fine degli spettri atomici (1916) mediante l’introduzione dei metodi relativistici nella trattazione del moto dell’elettrone intorno al nucleo (prendendo le mosse dal modello atomico di Bohr).
Ma Einstein stava preparando una relatività che non fosse più limitata a sistemi di riferimento in moto rettilineo uniforme gli uni rispetto agli altri; una relatività, per questo chiamata generale, estesa a sistemi di riferimento dotati di un moto qualsiasi gli uni rispetto agli altri (introduzione delle accelerazioni). La relatività generale è insieme una teoria della relatività ed una della gravitazione. Essa fu costruita con contributi successivi di Einstein ma il suo corpo principale è in un lavoro del 1916. (946)
Noi non ci occuperemo di quest’altro affascinante capitolo della fisica non ancora completamente scritto (a tutt’oggi si è all’affannosa ricerca delle onde gravitazionali). Semplicemente riporteremo alcuni brani dell’introduzione che Einstein appose al suo lavoro del 1916. Meglio di ogni altro discorso descrive i limiti della relatività ristretta e la necessità di una relatività generale.
Nella prima parie del suo lavoro, “Osservazioni sulla teoria della relatività ristretta”, Einstein dice:
“La modificazione alla quale la teoria della relatività ristretta ha assoggettato la concezione dello spazio e del tempo è invero di vasta portata, ma un punto importante non è stato ancora sviscerato. Infatti le leggi della geometria, anche secondo la teoria della relatività ristretta, debbono venir interpretate direttamente come leggi che si riferiscono alle possibili posizioni relative dei corpi rigidi a riposo, e, più in generale, le leggi della cinematica debbono venir interpretate come leggi che descrivono le relazioni tra i campioni di lunghezza e gli orologi. A due prefissati punti materiali di un corpo rigido fisso corrisponde sempre una distanza che ha un valore ben definito, valore che non dipende dal luogo in cui si trova il corpo né dall’orientamento e che non dipende nemmeno dal tempo.
Vedremo tra poco che la teoria della relatività generale non può rimanere fedele a questa semplice interpretazione fisica dello spazio e del tempo.”
Fatte queste premesse, Einstein passa alle “Ragioni che esigono un’estensione del postulato della relatività.” Egli dice:
“Nella meccanica classica vi è un innato difetto epistemologico, che fu chiaramente precisato (forse per la prima volta) da E. Mach, e che si ripercuote anche nella teoria della relatività ristretta.”
Quando ci troviamo in un riferimento S1 in rapida rotazione (sia questo riferimento una sfera) e ne osserviamo un altro S2 , anch’esso in rapida rotazione, esso ci apparirà in forma di un ellissoide di rivoluzione.
“Qual è la ragione di tale diversità tra i due corpi ?”
Se andiamo ad indagare ci accorgiamo che:
“la sola risposta soddisfacente alla domanda formulata sopra non può avere che la forma seguente: il sistema fisico costituito da S1 ed S2 non rivela in se stesso nessuna causa immaginabile, alla quale possa farsi risalire il diverso comportamento di S1 ed S2 . La causa deve quindi risiedere al di fuori di questo sistema.”
Si potrebbe pensare all’esistenza di altre masse, masse distanti (947), che modificano le forme di S1 ed S2 e che potrebbero essere assunte come causa principale o fittizia dei diversi comportamenti di S1 ed S2. Ora, poiché
“di tutti gli spazi immaginabili R1, R2, … comunque in moto relativo gli uni rispetto agli altri, non ve ne è nessuno che possa essere considerato come privilegiato a priori, senza far risorgere l’obiezione epistemologica sopra citata, [e’ necessario ammettere che]:
Le leggi della fisica debbono essere di natura tale che esse si possano applicare a sistemi di riferimento comunque in moto.
Seguendo questa via giungiamo ad una generalizzazione della teoria della relatività”.
Supponiamo infine di avere un riferimento K rispetto al quale una data massa si muova di moto rettilineo uniforme. Supponiamo poi di avere un riferimento K’ in moto uniformemente accelerato rispetto a K.
“Allora, relativamente a K’, una massa sufficientemente distante dalle altre masse avrà un moto accelerato tale che la sua accelerazione e la direzione di questa siano indipendenti dalla natura materiale e dallo stato fisico della massa. Un osservatore in riposo rispetto a K’, può concludere che egli si trova su un sistema di riferimento realmente accelerato ? La risposta è negativa; infatti la relazione sopra citata delle masse liberamente mobili rispetto a K’ può essere interpretata ugualmente bene nel seguente modo. Il sistema di riferimento K’ non è accelerato, ma la regione spazio-temporale in questione subisce l’influenza di un campo gravitazionale, il quale genera il moto accelerato dei corpi rispetto a K’.
Questo punto di vista ci è reso possibile in quanto l’esperienza ci insegna che esiste un campo di forza, il campo gravitazionale, il quale gode della notevole proprietà di imprimere la medesima accelerazione a tutti i corpi. Il comportamento meccanico dei corpi rispetto a K’ è lo stesso di quello che si osserva in presenza di sistemi che siamo soliti considerare a riposo oppure privilegiati. Quindi dal punto di vista fisico, l’ipotesi suggerisce essa stessa prontamente che i sistemi K e K’ possono entrambi con egual diritto essere considerati a riposo, vale a dire che essi hanno egual diritto di venir scelti quali sistemi di riferimento per la descrizione dei fenomeni fisici.
Si vede da queste considerazioni che nell’istituire la teoria della relatività generale saremo condotti ad una teoria della gravitazione, in quanto siamo capaci di produrre un campo gravitazionale semplicemente cambiando il sistema delle coordinate. Si vede altresì che il principio di costanza della velocità della luce nel vuoto deve venir modificato , in quanto si constata facilmente che la traiettoria di un raggio di luce rispetto a K’ deve essere in generale curvilinea, se rispetto a K la luce si propaga lungo una linea retta con determinata velocità costante.”
Fatte queste premesse, Einstein avverte che sarà necessario abbandonare l’ordinaria geometria euclidea ed anche quella dello spazio-tempo di Minkowskij
“per sostituirla con una concezione più generale, onde enunciare chiaramente il postulato della relatività generale, supponendo che la teoria della relatività ristretta si applichi al caso limite in cui sia assente il campo gravitazionale. “
Inoltre
“nella teoria della relatività generale, lo spazio ed il tempo non possono venir definiti in modo tale che le differenze tra le coordinate spaziali possano venir direttamente misurate mediante il campione di lunghezza scelto come unità di misura, e la differenze tra le coordinate temporali possano venir direttamente misurate da un orologio campione.”
Quanto detto porta ad esigere il postulato di relatività generale:
“Le leggi generali della misura debbono potersi esprimere mediante equazioni che valgano per tutti i sistemi di coordinate, cioè che siano covarianti a qualunque sostituzione (covarianti in modo generale).”
E da questo punto inizia l’elaborazione della nuova teoria che, praticamente, impegnerà Einstein fino alla morte (1955).
Egli, prima di tutti e quando tutti entusiasticamente avevano accettato la sua teoria della relatività ristretta, si rese conto di alcuni difetti di essa (già dal 1908). La stessa definizione di sistema inerziale lo lasciava scettico; questi sistemi, di difficile definizione e che comunque restano privilegiati, erano un qualcosa che non tornava all’esigenza, oltreché di simmetria, di equivalenza che aveva Einstein. Inoltre la gravitazione, sulla quale pure molti studiosi avevano lavorato e lavoravano da anni (si ricordi ad esempio Poincaré), non riusciva a trovar posto nella relatività ristretta. Infine l’identità, riconosciuta sperimentalmente, tra massa inerziale e gravitazionale (la cui distinzione fece per primo Galileo), non era in alcun modo prevista dalla teoria.
Questi fattori contribuirono a spingerlo sulla strada della relatività generale. Per rendere conto dell’enorme portata di questo passo è interessante ricordare un aneddoto citato da Infeld. Il collaboratore di Einstein (Infeld, appunto) gli disse: (948)
“Ritengo che la teoria della relatività speciale sarebbe stata enunciata con pochissimo ritardo, anche se non l’aveste enunciata voi “
A questa affermazione Einstein rispose?
“Si, è vero, ma non così per la teoria della relatività generale. Io dubito che sarebbe stata nota ancora oggi. “
E ritengo credibile Einstein in questa osservazione.
E’ interessante infine notare che anche nella formulazione della relatività generale Einstein utilizza il suo consueto metodo di ricerca di principi generali (in questo caso è inevitabile il bisticcio di parole).
Per sua stessa affermazione fu proprio l’equivalenza tra massa inerziale e gravitazionale, insieme alle insoddisfazioni che gli nascevano dalla relatività ristretta e che abbiamo appena ricordato, che lo condussero alla nuova elaborazione. (949)
Appena tre anni dopo la pubblicazione del suo articolo venne la prima prova sperimentale di quanto ivi sostenuto. L’astrofisico britannico A. Eddington (1882-1944), che seguì l’eclisse totale di Sole del 1919 all’isola di Principe (Africa Occidentale), misurò uno spostamento apparente delle stelle situate, al momento, dietro il Sole, a seguito del campo gravitazionale del Sole medesimo. (950) Un raggio di luce (quello proveniente da una stella) risultava incurvato quando passava vicino al campo gravitazionale del Sole.
Altre verifiche vennero successivamente: spostamento del perielio di Mercurio, spostamento delle linee spettrali verso il rosso, rallentamento degli orologi ad alta quota rispetto agli orologi al livello del mare,… Ma, appunto, noi non ci occuperemo di tutto ciò avvertendo soltanto che, a fronte dei molti successi, molti problemi si aprirono con la relatività generale, soprattutto d’ordine cosmologico. Lo stesso Einstein lavorò, come già detto, fino agli ultimi anni della sua vita in un tentativo che aveva rappresentato il sogno della sua vita: il tentativo di costruire una “teoria del campo unificato“. Non vi riuscì e, a quanto sembra, ancora oggi siamo lontani dal possedere una teoria che riesca ad unificare, a comprendere in una teoria unitaria, le varie forze che conosciamo in natura (ed è ancora quella gravitazionale la più sfuggente).
Per concludere il paragrafo e con esso il lavoro, non voglio ricordare la pur importante esperienza di vita di Einstein ma, mi si permetta, solo il suo costante impegno umano e civile che, se da una parte lo vide schierato in una strenua difesa del suo amato popolo ebraico (ma mai del Sionismo), dall’altra lo portò a concludere la sua vita, con un saggio dal titolo “Perché il socialismo”. (951)
NOTE
(926) W. Kaufmann – Sulla costituzione degli elettroni – Annalen der Physik, 19, 1906; pagg. 487-553.
(927) Citato da Holton (bibl. 127, pag. 187).
(928) M. Planck – Riguardo alle misure di Kaufmann sulla deviazione dei raggi β… – Physikalische Zeitschrift, 7, 1906; pagg. 753-761.
(929) M. Planck – Il principio di relatività e la legge fondamentale della meccanica – Berichte der Deutschen Physilcalischen Gesellschaft 1906; pagg. 136 -141.
(930) A. Einstein – Sul principio di relatività e sulle conseguenze che da esso discendono – Jahrbuch der Radioaktivität und Elektronik, 4. 1907; pagg. 411-462
(931) Citato da Holton (bibl. 127, pag. 188).
(932) A. Einstein – II principio di conservazione del centro di massa e l’inerzia dell’energia – Annalen der Physik, 20, 1906; pagg. 627 – 633.
(933) A. Einstein – Il passaggio dal principio di relatività all’inerzia dell’energia – Annalen der Physik, 23, 1907; pagg. 371-372.
(934) G. N. Lewis, su Philosophical Magazine, 16, 1908 ; pag. 705.
(935) G. N. Lewis, R. C. Tolman – Il principio di relatività e la meccanica non-newtoniana – Philosophical Magazine, 18, 1909; pagg. 510-523.
(936) M. Planck, su Berichte der Deutschen Physikalischen Gesellschaft, 10, 1908; pag. 728.
(937) A. H. Bucherer – Misure sui raggi di Becquerel. Conferma sperimentale della teoria di Lorentz e di Einstein -. Physikalischen Zeitschrift, 9, 1908; pagg. 755-762. Altre esperienze che confermarono ulteriormente i risultati precedenti furono realizzate da Bucherer nel 1909. Anche altri sperimentatori giunsero, negli stessi anni, alle stesse conclusioni.
(938) M. Von Laue, su Berichte der Deutschen Physikalischen Gesellschaft, 1911; pag. 513.
(939) H. Minkowskij – Spazio e tempo – Discorso pronunciato all’ ottantesima assemblea degli scienziati e dei medici tedeschi a Colonia (21 settembre 1908). Traduzione inglese in bibl. 131 pagg. 73-91. Un precedente cenno a quanto Minkowskij sostenne a Colonia era stato fatto dallo stesso autore in una comunicazione del 5 novembre 1907 all’Accademia di Gottinga.
(940) Ricordando le trasformazioni di Galileo (x’ = x – vt; y’ = y; z’ = z; t’ = t) trasformando la (55 bis) per un riferimento S’, in moto con velocità v rispetto al riferimento S nel quale è data la (55 bis), si trova che s’2 = x’2 + y’2 + z’2 , avendo posto x’2 – x’1 = x’ ; y’2 – y’1 = y’ ; z’2 – z’1 = z’. Si può facilmente vedere che la (55) è invariante per una trasformazione di Galileo. Analogamente, se alla (55 bis) si applicano le trasformazioni di Lorentz (8), si trova che la (55) non è invariante per una tale trasformazione (si ricordi la contrazione delle lunghezze).
(941) Sviluppi importanti sulla strada aperta da Minkowski.j furono realizzati da Born con tre articoli del 1909 da P. Frank (1909); da A. Sommerfeld che ne fece una trattazione sistematica. (1910)
(942) L’universo è stato chiamato anche “cronotopo” utilizzando una parola coniata da V. Gioberti nel 1857; la parola è stata ripresa da E. Troilo nel 1920 ed applicata alla relatività.
(943) Per quel che segue mi sono rifatto a bibl. 212.
(944) Per la dilatazione dei tempi e la composizione delle velocità vedi bibl. 212. Si tenga poi conto che il testo 196 di bibl. tratta tutta la cinematica in modo semplice con i diagrammi di Minkowskij. Molti altri testi dedicano poi svariate pagine all’argomento. Si può in particolare vedere bibl. 94, pagg. 189-201 e bibl. 190 (articolo di O. Frisch).
(945) Anche se Einstein dovrà sostituire la geometria pseudoeuclidea (o iperbolica) di Minkowskij con quella sferica di Riemann.
(946) A. Einstein – I fondamenti della teoria della relatività generale – Annalen der Physik, 4, 49, 1916; pagg. 769-822. Traduzione italiana in bibl. 174, pagg. 509-559 (tutte le citazioni che seguiranno saranno tratte da questa traduzione). Lavori precedenti di Einstein che trattano in modo più o meno esteso delle questioni che saranno poi argomento del lavoro del 1916 sono del 1911 (Annalen der Physik, 4, 35, 1911; pag. 898), del 1914, insieme con M. Grossmann che si occupò della parte strettamente matematica (Zeitsch. Math. Phys., 63, 1914; pag. 215), del 1915 (Stzgsb. Ak. Berlin, 41, 1915; pagg. 778 ed 844).
Altri lavori seguirono poi quello del 1916; tra di essi ricordiamo:
Einstein – Il principio di Hamilton e la teoria della relatività generale – Sitz. Preuss. Akad. Wissenschaften, 1916; pagg. 1111-1116.
Einstein – Considerazioni cosmologiche sulla teoria della relatività generale – Sitz. Preuss. Akad. Wiss., 1917; pagg. 142-152.
A. Einstein – Generalizzazione della teoria della gravitazione – Appendice II al volume di Einstein II significato della Relatività, Princeton, 1953 (quarta edizione). Questi ultimi tre lavori sono tradotti in italiano in bibliografia 174.
(947) Si noti che qui c’è un evidente riferimento alle masse nascoste introdotte da Hertz.
(948) Vedi bibl. 199, pag. 58. Si noti che l’oggi cui si riferisce Einstein è situabile intorno agli anni ’40.
(949) Quanto qui riportato è sostenuto da Einstein in una lettera al suo amico Besso del 28 agosto 1918 (citata da Holton in bibl. 127, pag. 179). In conclusione del lavoro non si possono non ricordare anche gli enormi contributi dati da Einstein alla teoria dei calori specifici dei solidi ed alla formulazione delle statistiche quantistiche (statistica di Bose-Einstein).
(950) II fenomeno è osservabile solo durante una eclisse totale di Sole, poiché allora risultano visibili le stelle che si trovano dietro il Sole. Si noti che la deflessione del raggio di luce risulta dal confronto con la posizione delle stelle, ad esempio di notte, quando il Sole non si trova più lungo la congiungente la stella con la Terra.
(951) II saggio fu scritto nel 1944 per la rivista Monthly Review (New York). Esso è riportato nella sua traduzione in italiano in bibl. 161, pagg. 225
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201) G.LANCZOS – Einstein – UBALDINI, 1967.
202) S.CIURLEO – La teoria della relatività – D’ANNA, 1973.
203) M.GARDNER – Che cos’è la relatività -SANSONI, 1977.
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