Traffico d’organi a Kabul, i bambini le vittime preferite
di RENATO CAPRILE
KABUL – Un cuore fruttava dai 25 ai 30 milioni, la metà un rene o una cornea. Centinaia di bambini afgani, di età compresa fra i 4 e i 10 anni, sono stati usati come “pezzi di ricambio” e poi gettati morti per strada o nei fossati. Un maxitraffico di organi umani via Pakistan che ha prosperato per anni all’ombra dei Taliban così fiscali in fatto di barbe, donne e preghiere, ma che non hanno mai mosso un dito per reprimere questo orrore e che hanno addirittura mandato libero un reo confesso che solo lui di ragazzini ne aveva uccisi 60.
Non ci sono cifre ufficiali in materia, non c’è alcuna autorità a cui chiedere conto di questa barbarie, ma c’è la memoria della gente di Kabul, della gente di strada che ha contato i cadaveri, ha visto in faccia gli aguzzini arabi e pachistani per lo più, tutti ricchi e protetti dal regime e ha potuto solo sperare che la stessa sorte non toccasse ai propri figli. Nel più grande ospedale cittadino, Sha Faknà, c’era un reparto offlimits per i locali con personale medico straniero. Così attrezzato e pulito rispetto alla sporcizia e alla precarietà di tutto il resto da sembrare quasi una clinica svizzera. Gli espianti se non addirittura i trapianti, è opinione diffusa, si effettuavano proprio lì.
La materia prima era reperibile per le vie di Kabul, pullulanti di bambini nonostante i divieti degli studenti col mitra. Nel libro delle nefandezze commesse dai seguaci del mullah Omar, quello del traffico di organi umani occupa purtroppo un capitolo di molte pagine. Tante quante sono le storie di chi ha perso un figlio o una figlia. Quella che segue è solo una di queste, non l’ultima purtroppo.
Rhuma aveva 4 anni. Ne avrebbe compiuti 5 in ottobre. Era una bella, vivace bambina, l’unica figlia femmina di Ali Akmad, 40 anni, commesso in una botteguccia di ferramenta al bazar. Martedì 21 agosto 2001, ecco la data che quest’uomo, piccolo, macilento che da allora ha perso il sonno e l’appetito, non dimenticherà mai più. E’ la data della scomparsa della sua Rhuma. Poco dopo l’ora di pranzo, Rhuma, dopo aver mangiato un po’ di riso, esce in strada Akmad e i suoi vivono nel popoloso quartiere Shasdarak per giocare con gli altri bambini. Lo fa sempre. La madre non si preoccupa più di tanto. Qualche minuto dopo Najib, 18 anni, il fratello più grande, sente una brusca frenata, un pianto disperato e si precipita subito in strada, Rhuma non c’è più e i suoi compagni di gioco muti indicano il gippone che se la sta portando via. Urla a sua volta, Najib: “Papà, l’hanno rapita, rapita”. La strada si affolla di gente, di madri preoccupate. Riscatto, vendetta? Due ipotesi che Ali nemmeno prende in considerazione. Non ha soldi, guadagna solo poche decine di dollari al mese, e non ha mai torto un capello a nessuno. E allora perché?, si chiede senza trovare risposta. Anzi una risposta ce l’ha ma non vuole prenderla in considerazione. Vive ore da incubo facendo mille congetture, passando al setaccio tutta la sua povera vita. Ma niente, non sa spiegarsi perché sia toccato proprio a lui. Due giorni dopo, giovedì, ore 23. Il rombo di un’auto in corsa e qualcosa che va a sbattere quasi contro il loro uscio fa sobbalzare Ali e sua moglie che si precipitano fuori. Per terra c’è un sacco di terra grezza. Dentro c’è quel che resta di Rhuma. Gli assassini l’hanno come sventrata, le hanno portato via il cuore, i reni, un occhio e l’altro le penzola fuori dall’orbita.
Ali e la sua donna stringono per ore quel corpicino piangendo tutte le lacrime che hanno, mentre una tendina viene subito riaccostata nella bella casa di fronte. Quella dove vive l’arabo. Si chiama Yasser, ha poco più di trent’anni, è ricco sfondato. Ha trequattro mogli, servitori e guardie del corpo. Davanti alla sua palazzina stazionano sempre fuoristrada nuovissimi, ha la parabola sul tetto e gira sempre con un satellitare così piccolo che sembra un cellulare. E’ arrogante e violento, ha già ucciso un amico di Ali per prendersi la sua giovane donna. Traffica ogni genere di cose alla luce del sole e odia i tagiki.
Tutte le volte che incrocia Akmad, che è di quell’etnia, gli urla in faccia il suo disprezzo. Per il solo fatto che sia tagiko crede che sia parente di Massud, il leader dell’Alleanza del Nord, il nemico giurato dei Taliban. “Vi metteremo tutti al muro, compreso il tuo comandante”, lo minaccia. Ali ora non ha quasi più dubbi: Yasser deve sicuramente entrarci con la morte della sua bambina. Se avesse un’arma, Ali non esiterebbe a farlo fuori all’istante, ma non ha che le mani. Bussa alla porta del suo vicino, ma uno dei suoi guardaspalle poco ci manca che lo prenda a fucilate: “E’ tardi, tagiko, riprova domani”.
L’indomani arriva dal prefetto Njasir. “Hanno ucciso la mia figlia più piccola strappandole cuore, reni, occhi dice so chi è stato, chiedo, anzi pretendo giustizia”. Njasir lo ascolta distrattamente e poi lo licenzia con una minaccia: “Attento, vacci piano con le accuse, capisco il tuo stato d’animo ma stai gettando fango addosso a un galantuomo. Tornatene a casa, vedremo”. Se ne torna a casa Ali e fa l’unica cosa che può fare: spedire lontano gli altri due figli piccoli. E fa bene perché nel suo stesso quartiere, appena una settimana più tardi, un’altra bambina subisce la stessa terribile sorte di Rhuma.
(25 novembre 2001)
Fonte Repubblica.it
http://www.osservatoriobalcani.org/article/articleview/3107/1/41
Albania: le inchieste sul traffico di bambini
24.05.2004 Da Tirana, scrive Artan Puto
Le autorità albanesi hanno accertato l’esistenza del traffico di bambini ma negano l’esistenza in Albania di cliniche in grado di eseguire trapianti illeciti di organi destinati ai paesi vicini: Italia e Grecia

Traffico di organi: opportunismo giornalistico?
Secondo un lungo commento del giornale “Panorama” la storia del traffico di organi è stata inventata dalla stessa stampa albanese, presentando così gli albanesi come “i peggiori del mondo”.
Secondo il giornale anche la denuncia del commissario delle politiche estere della UE Chris Patten si basava sulle informazioni date dai media albanesi indicanti l’esistenza nella città di Fieri di una clinica specializzata in trapianti di organi.
L’intera vicenda è stata alimentata anche da un cosiddetto “rapporto segreto” dell’Ambasciata greca di Tirana, che è servito come punto di riferimento per i giornali greci precipitatisi a riprendere il tema dopo che la vicenda è apparsa sui quotidiani albanesi. Tuttavia quando il tema del traffico di organi di bambini è diventato dominante, i giornali greci hanno smesso di preoccuparsene e hanno preferito non dare ulteriori indicazione sulla vicenda.
“La morale di tutta questa storia, tanto comica quanto tragica, resta nel fatto che mettendo dei titoli di apertura scandalistici i media pensano a come sfruttare il momento opportuno piuttosto che alla loro professione”, scrive “Panorama”.
Le smentite ufficiali
Tuttavia la vicenda ha messo in movimento tutte le strutture dello stato albanese e delle organizzazioni che si occupano della difesa dei bambini.
Così che da un controllo eseguito dalla polizia e dalle autorità sanitarie nella città di Fieri, nel presunto luogo della famigerata clinica, al posto di organi umani sono stati trovati 61 kg di eroina ed un intero arsenale di armi sofisticate.
Il ministro albanese della sanità Leonard Solis, ha dichiarato che da tutti i controlli effettuati nelle cliniche private “non ci risulta che esista alcun servizio di questo tipo. Le nostre cliniche non hanno le capacità necessarie per fare una tale operazione. E se questo tipo di servizio ancora non è offerto negli ospedali, figuriamoci nelle cliniche private”, assicura il ministro.
Altri specialisti del settore dichiarano che il giorno in cui anche in Albania saranno possibili i trapianti sarà un giorno particolarmente importante per le strutture sanitarie locali. Perché nel paese delle aquile muoiono centinaia di persone all’anno a causa dell’impossibilità di sottoporsi ad un trapianto di organi.
Maksim Cikuli, medico, ed ex ministro della sanità del Partito Democratico (di opposizione) afferma che “il miglior modo per eseguire il trasporto degli organi è lo stesso corpo umano. In Albania esiste il traffico di persone e per questo riceviamo le critiche dalla UE, ma non quello di organi”.
Nel frattempo anche la Procura della Repubblica nega ogni esistenza sul territorio albanese di cliniche in grado di trafficare con gli organi umani.
Il direttore della lotta contro il crimine organizzato della Procura Generale della Repubblica, Zamir Shtylla, intervistato da “Gazeta Shqiptare” respinge ogni accusa della stampa greca, la quale sostiene che in Albania esistano cliniche in grado di eseguire il trapianto di organi. E se Shtylla nega in modo netto l’esistenza del traffico di organi dall’Albania, Artan Bajraktari, capo dell’Interpol albanese, ribadisce che i suoi colleghi greci non hanno inviato alcun rapporto a conferma di questa notizia.
I bambini vittime del traffico
Dal canto loro gli attivisti per la difesa dei bambini esprimono una certa preoccupazione per un eventuale aumento del traffico dei bambini albanesi verso la confinante Grecia, durante i giochi olimpici di questa estate.
“I giochi olimpici attireranno circa 4,5 milioni di spettatori, ma potrebbe essere anche un grande mercato per i trafficanti di minorenni”, dice Vincent Tournecuilleret, capo della missione della organizzazione internazionale “Terre des homes” attiva a Tirana.
I rappresentanti dell’Istituto Nazionale dell’Integrazione degli Orfani e della Associazione dei Rom in Albania hanno chiesto all’inizio della scorsa settimana che durante lo svolgimento delle Olimpiadi ad Atene le case degli orfani albanesi ed altri centri residenziali vengano posti sotto la difesa della polizia. Ilir Çumani, direttore dell’Istituto dell’Integrazione degli Orfani, dichiara al quotidiano “Shekulli” che “il traffico di bambini non è nella sua fase iniziale, perché questo fenomeno esiste ormai da 14 anni, da quando cadde il regime comunista in Albania. Lo si voglia o meno, questa attività esiste con tutte le sue forze, come una struttura criminale, sofisticata e organizzata in modo perfetto”, dice Çumani.
Secondo un sondaggio effettuato da questo istituto, la maggior parte dei bambini trafficati sono bambini rom. Secondo le statistiche circa il 5% della popolazione albanese e di origine rom, vale a dire circa 150.000 persone, delle quali 1.300 sono orfani. Mentre si calcola che il 30% dei rom risulta non registrato all’anagrafe, fornendo così “la preda più ambita” delle organizzazioni criminali. Questo gruppo sociale è anche il più povero della società con solo 0,8 $ al giorno.
Da quando è caduto il regime comunista nel 1991, migliaia di bambini albanesi sono stati venduti, acquistati per essere sfruttati economicamente e sessualmente nei ricchi paesi vicini, come l’Italia e la Grecia. Dal 1999 la fondazione “Terre des homes”, attiva nella lotta contro il traffico dei bambini albanesi verso la Grecia, ha evitato il trasferimento di circa 15.000 bambini. Attualmente in Albania ci sono circa 500 bambini ad “alto rischio”, la metà dei quali è già stata trafficata attraverso la Grecia. I bambini albanesi, vittime del traffico illecito, sono obbligati a passare a piedi la frontiera albano-greca, un terreno di difficile controllo da parte della polizia greca. Un’altra rotta è quella marittima verso la Grecia e l’Italia, mentre la più costosa è quella che attraversa la Macedonia.
Inchieste giudiziarie
Artan Bajraktari, capo della Interpol albanese, dice che per la mafia albanese il traffico di bambini non è così redditizio come quello dei narcotici e delle prostitute. “Si tratta di gruppi minori con attività sporadiche che oltre a mandare bambini all’estero, curano altre forme di traffico, come quella del trasporto delle madri incinte che partoriscono in Grecia, e che poi abbandonano i loro figli in cambio di una somma simbolica di denaro” spiega Bajraktari.
Una coppia di Korça (città nel su-est del paese), zona vicino alla frontiera con la Grecia, e stata condannata dalle autorità giudiziarie nel 2002 per avere costretto due donne albanesi incinte a partorire nella località di Janica, vicino a Salonicco, e a vendere i propri figli per 200 euro, prezzo che in altri casi è consistito nel regalo di un tv a colori. “Il vero problema è che non si sa niente di questi bambini, i quali possono essere usati anche per il trapianto degli organi”, dice Bajraktari.
Secondo la procura albanese, le autorità giudiziarie e di polizia greca non hanno dato alcuna informazione al riguardo. Il giornale “Shekulli” del 14 marzo ha scritto che 510 bambini albanesi sono spariti nel periodo 1998-2002 dalle istituzioni greche che operano nella riabilitazione dei bambini di strada. Una tale informazione, sempre secondo il giornale, è stata scambiata tra gli uffici dell’Ombudsman dei due paesi, Grecia e l’Albania.
A Tirana il Tribunale per i reati gravi ha iniziato la scorsa settimana un processo contro 4 albanesi sospettati di essere membri della cosiddetta “banda Petalli”, che ha trafficato 63 bambini in Italia. Altri sei membri della “banda Petalli”, inclusa anche la coppia Petalli, sono sotto processo in Italia. Per i suoi presunti legami con questa attività la giustizia italiana sta investigando anche su Ramadan Paja, attualmente vice direttore del SHISH (servizi segreti albanesi) di Durazzo, il più grande porto albanese. “Lo scandalo scoppierà quando l’Interpol italiana spiccherà un mandato d’arresto contro di lui”, dice Bajraktari. Tra i casi di traffico di bambini Bajraktari mette in evidenza quello dell’orfanotrofio di Elbasan (Albania centrale), dal quale nel 1993 sparirono 20 bambini.
Secondo le statistiche del Ministero del Lavoro e degli Affari Sociali, in Albania durante 1996-2004 sono state effettuate 552 adozioni. L’Istituto degli Orfani e altre strutture specializzate chiedono adesso allo stato albanese di avviare le indagini su tutte le procedure di adozione avvenute durante gli ultimi 13 anni.
http://www.missionaridafrica.org/archivio_rivista/2004_05/01.htm
Il silenzio degli innocenti
Orrore in Mozambico:
bimbi uccisi dai predatori di organi
testo di Alida Vanni e Marco Trovato – foto di Alida Vanni
Decine di bambini rapiti e uccisi per alimentare un traffico clandestino di organi. Sembra il copione di un film dell’orrore ma è un storia reale che arriva dal Mozambico. Una macabra vicenda denunciata, con coraggio, da un gruppo di suore missionarie
Sembra che i vicoli di Nampula stiano inghiottendo orfani e piccoli mendicanti di strada. Sono decine, forse centinaia, i bambini scomparsi negli ultimi mesi tra la polvere di questa grande città del Mozambico. E’ un giallo dai contorni torbidi e inquietanti: i fanciulli svaniscono all’improvviso, senza lasciare traccia. Oppure vengono ritrovati quando ormai è tardi: ai margini delle strade o sotterrati nei campi riaffiorano piccoli cadaveri abbandonati, corpi di bimbi squartati e sezionati orribilmente al solo scopo di prelevarne gli organi.
Pare un film dell’orrore, ma è l’angosciante trama di una storia reale che ha portato sotto i riflettori uno dei paesi più poveri del mondo. E più precisamente la città di Nampula, teatro di questa macabra vicenda, capoluogo dell’omonima provincia settentrionale del Mozambico, situata duemila chilometri a nord dalla capitale Maputo. Qui negli ultimi mesi si sono moltiplicate oscure sparizioni di giovani e raccapriccianti rinvenimenti di cadaveri senza reni, fegato, pancreas, cuore, occhi, organi sessuali. Sono oltre cento i casi denunciati alle autorità. Secondo alcuni missionari locali, i bambini di strada – indifesi, affamati e facilmente avvicinabili – sarebbero vittime di un traffico clandestino di organi verso il Sudafrica. «La scorsa primavera sedici medici chirurghi furono arrestati a Johannesburg perché non sapevano giustificare la presenza di numeri spropositati di organi nel loro ospedale», dice Frate Avallone, missionario rientrato recentemente dal Mozambico per fare da megafono alle denunce. «Ma è bastato pagare la cauzione perché tornassero in libertà, senza che si procedesse a indagini».
Un rebus inquietante
«Non c’è alcun dubbio: c’è un traffico di minori che punta ai loro piccoli organi per trapianti e per rituali tribali», afferma Alice Mabota, presidente della ”Lega dei Diritti Umani” del Mozambico. «Non si ha ancora la certezza che ci sia un vero e proprio traffico di organi», commenta con più cautela il giornalista mozambicano Carlos Coelho. «Esistono tuttavia indizi significativi: molte famiglie hanno denunciato la scomparsa di bambini piccoli e alcuni medici dell’ospedale hanno testimoniato di aver visto cadaveri a cui mancavano degli organi. C’è anche chi parla di membri di qualche setta che si servono dei cadaveri per le loro cerimonie».
La polizia locale sta indagando, con pochi mezzi e poca convinzione. I risultati tardano ad arrivare: «Qualcosa di strano sta succedendo a Nampula, ma per il momento non abbiamo ancora elementi certi per dire cosa», ha spiegato all’agenzia MISNA il procuratore della Repubblica del Mozambico, Joaquim Madeira, titolare delle indagini sul presunto traffico di minori e di organi. «L’unico punto fermo è la misteriosa sparizione di numerose persone, soprattutto bambini. Stiamo cercando di capire che fine hanno fatto queste persone e perché sono scomparse». Tradotto: l’inchiesta è ancora in alto mare. Ma potrebbe esserci una svolta in tempi rapidi, grazie alle testimonianze di sei persone arrestate la scorsa primavera per l’uccisione e la mutilazione di una donna e della sua bambina. Secondo alcune indiscrezioni, pubblicate dal giornale “Noticias”, alcuni degli arrestati avrebbero confessato il crimine spiegando di aver agito su commissione e di essere stati pagati per asportare alle vittime organi destinati a rituali magici. Mancano però conferme ufficiali.
La denuncia delle suore
Il caso Nampula è esploso a livello internazionale verso la fine dell’anno scorso, quando alcune missionarie presenti sul posto, le Monache Serve di Maria, hanno denunciato alla stampa la scomparsa di decine di bambini e il ritrovamento di cadaveri segnati da profonde e inspiegabili amputazioni. Racconta suor Juliana, 64 anni, spagnola e madre superiora del convento-orfanatrofio Mater Dei: «Hanno tentato in ogni modo di farci tacere. I poliziotti dicono che non abbiamo prove. Quali altre prove vogliono ? Cadaveri senza organi, decine di bambini e ragazzi scomparsi, una nostra consorella uccisa in un agguato, una lunga serie di intimidazioni e minacce. A mancare non sono le prove, ma la volontà di fermare quest’ignobile commercio». Le denunce delle religiose sono supportate dalle testimonianze di ragazzini fuggiti fortunosamente ai sequestratori. E da uno sconvolgente dossier fotografico che è stato consegnato alla polizia: decine di foto di cadaveri privi di organi, scattate da una laica brasiliana, Elida Dos Santos, collaboratrice per lungo tempo delle suore, minacciata di morte e per questo costretta a lasciare il Paese. Una donna coraggiosa che, prima di andarsene da Nampula, non ha avuto paura di dire a voce alta come la pensava: «Esiste una vera e propria rete malavitosa che coinvolge tutti, dai semplici contrabbandieri ai poliziotti, dal personale medico alle autorità portuali, e chissà quali altri Paesi africani, asiatici o europei. Ci sono nomi, fatti, testimonianze. Ma il Governo nega tutto».
Storie raccapriccianti
Le autorità di Maputo sono state costrette ad ammettere le “strane sparizioni di Nampula” perché la vicenda è stata amplificata dalla stampa internazionale. Ciononostante il Governo tende a minimizzare, parla di casi isolati, e non vuole la collaborazione di polizia e intellingence di altri paesi. «Anche a me hanno detto di non occuparmi della vicenda, ma non mi sono fatta intimidire», commenta Elida. «Un giorno ho visto tre ragazzi che stavano chiedendo la carità al mercato. Sono arrivati i poliziotti e tre sono fuggiti. Gli agenti ne hanno preso uno e l’hanno picchiato selvaggiamente con i manganelli e il calcio dei fucili. L’hanno portato via che non si muoveva più. Era morto. Mi sono personalmente recata all’ospedale della città e solo dopo incessanti richieste mi è stata data la possibilità di vederlo. Aveva quindici anni e il ventre inspiegabilmente aperto». Prosegue a raccontare madre Juliana: «Alcuni dei bambini che sono riusciti a scappare dopo il rapimento ci hanno raccontato di essere stati portati in celle buie dove stavano altri bambini, tra i 10-15 anni, tenuti come polli all’ingrasso. I sequestratori davano loro da mangiare quattro volte al giorno, cosa che per un bambino africano è molto rara. Quando uno dei loro compagni di sventura veniva fatto uscire con la scusa di essere portato ad una festa, non faceva più ritorno». Una moderna e tremenda rivisitazione della storia di Hansel e Gretel ? Parrebbe frutto della fantasia.
Fuggire o morire
Eppure tanti particolari agghiaccianti arrivano da Nampula. Uno degli ultimi bimbi che sono riusciti a scappare è il piccolo Marcelino, 13 anni. «Un giorno, mentre facevo il bagno nel fiume, mi si è avvicinato un uomo. Mi ha promesso del denaro, 30mila Metical (circa 3 euro NDR), se lo avessi aiutato a trovare un vicolo che cercava. Ma era un inganno: in quel posto c’erano due bianchi che mi hanno acchiappato, imbavagliato e legato i polsi, e mi hanno caricato a forza in una macchina. Mentre l’automobile si muoveva, sono riuscito a strapparmi l’adesivo dalla bocca e ho gridato a squarciagola. I sequestratori mi hanno portato in un magazzino buio dove c’erano altri bambini. Per fortuna qualcuno aveva sentito le grida e seguito l’automobile fino al magazzino: poiché non c’era nessuno a sorvegliarci, siamo stati liberati». Per una storia a lieto fine come questa, ce ne sono decine che si finiscono nel mistero. Come quella di Sarima, scomparsa all’età di 12 anni: «Dopo la scuola andavamo assieme a vendere frutta lungo la strada», racconta Amizinha, la giovanissima zia. «Un pomeriggio un uomo si è avvicinato al banchetto e ha chiesto a Sarima di portare in macchina le banane: le avrebbe comprato tutte. Ma quando lei è salita, l’auto è partita di corsa. Sarima non è più tornata».
Indizi e sospetti
Testimonianze simili si raccolgono numerose oggi a Nampula. E tutte ruotano attorno al medesimo interrogativo: cosa c’è dietro questi misteriosi rapimenti ? Chi è il regista oscuro della strage di decine di bambini mozambicani?
Le religiose hanno puntato il dito contro due persone, un uomo ed una donna “bianchi” (lui è un sudafricano, lei una danese) giunti di recente in città e il cui arrivo sarebbe coinciso con l’inizio delle sparizioni. Secondo le missionarie, sarebbero loro le menti del traffico di minori e di organi. Ma nessuna prova finora ha dato consistenza ai sospetti: ci sono solo misteri e fatti curiosi. I due vivono in una grande fattoria, a poca distanza dal monastero-orfanotrofio delle suore: affermano di avere un allevamento di polli, ma nessuno ha mai visto entrare né uscire volatili. In compenso le missionarie hanno sentito, di notte, un viavai di aerei ultra leggeri che atterravano e decollavano su una pista di atterraggio situata dentro la loro proprietà.
Dal dicembre scorso la coppia si trova agli arresti domiciliari. Ma finora la polizia non ha trovato alcun indizio che provi il loro presunto coinvolgimento nella sparizione dei bambini.
«E’ naturale che i poliziotti mozambicani non trovino nulla», commenta frate Claudio Avallone, confratello delle suore missionarie. «I due sospettati sono molto ricchi e influenti. La polizia è immischiata in questa sporca vicenda». Lo stesso procuratore capo del Mozambico, Joaquim Madeira, ha dichiarato all’agenzia di stampa mozambicana Aim che i sospettati godrebbero “di un alto tasso di protezione da parte delle autorità provinciali”. Parole riprese da Alice Mobota, attivista mozambicana per i diritti umani. «La lentezza e la superficialità con cui il Governo e la polizia del distretto di Nampula stanno portando avanti le indagini è una prova chiara della potenza dell’organizzazione che gestisce il traffico e degli interessi che coinvolgono uomini di potere».
Vivere nella paura
Del resto, l’ipotesi del traffico internazionale di organi non è l’unica pista seguita dagli inquirenti. Le sparizioni dei minori potrebbero essere legate alla diffusione dei riti tradizionali di anziani guaritori e ‘feticeiros’ locali che, nelle loro ‘pozioni’, utilizzerebbero anche parti del corpo umano. «Si tratta comunque di riti diffusi da sempre in Mozambico, così come in molte altre zone del continente, un fatto che non aiuta a spiegare il numero insolitamente alto di cadaveri mutilati», fa notare l’agenzia di stampa Misna. E le autorità mozambicane ripetono: «Allo stato attuale delle indagini non abbiamo prove sufficienti per confermare nessuna ipotesi». In attesa che sulla vicenda venga fatta piena luce, la gente di Nampula continua a vivere nel terrore. I genitori hanno paura a lasciare incustoditi i figli e quando cala il buio in pochi si arrischiano ad uscire per le strade. Il clima è tutt’altro che rilassato anche tra i quaranta orfanelli che vivono assieme alle suore missionarie. Il cammino che conduce al monastero si è fatto pericoloso: una stradina di campagna costeggiata da canne di bambù e platani è diventata la via dell’orrore. E’ sul ciglio di questa via che fu trovato uno dei corpi privato degli organi. Ora tutti i giorni le monache accompagnano e riprendono da scuola i “loro” bambini, inquieti e spaventati. «Speriamo che questa orribile storia finisca presto», dicono. Per il momento la strage silenziosa di Nampula resta avvolta nel mistero.
http://www.saveriani.bs.it/Missionari_giornale/arretrati/2002_07/traffico.htm
DITEMI CHE NON E’ VERO
Adozioni e traffico di organi
La notizia è stampata nel Jornal do Brasil del giovedì 4 aprile, sotto il titolo “Seres humanos à venda” (Esseri umani in vendita). Il professor Damásio de Jesus, citando il deputato francese Leon Schwarzemberg, ha affermato che dei quattro mila bambini brasiliani adottati irregolarmente da coppie italiane tra il 1988 e il 2001, appena mille sono ancora vivi. Demásio de Jesus è un giurista rispettabilissimo: l’affermazione è stata fatta durante il Colloquio Internazionale sul Traffico di Donne e Bambini, promosso a Rio de Janerio, dalla Associazione Internazionale di Diritto Penale agli inizi di aprile.
Il giornale che pubblica la notizia è uno dei più autorevoli del Brasile. Non posso quindi metterla in dubbio. D’altra parte non riesco a crederci. Sarà uno sbaglio di stampa. Hanno certamente aggiunto qualche zero o hanno saltato una riga. Succede, a volte.
Ma nessuno ha smentito i numeri, nessuno ha negato l’informazione. Damásio de Jesus non metterebbe a repentaglio la sua fama con una informazione senza fondamento.
3.000 bambini brasiliani
Chi ha ripreso la notizia e l’ha commentata qualche giorno dopo, sullo stesso quotidiano, è stato il giornalista Fritz Utzeri, in un articolo intitolato “Macello umano”: “È stata la notizia più terribile che ho letto la settimana passata nella stampa. Uno dei motivi che si usano per permettere l’adozione di bambini brasiliani è il desiderio di sottrarli ad un ambiente di violenza e miseria, dove la loro vita correrebbe rischi notevoli. L’Italia è un Paese senza problemi sanitari e senza un grado di violenza che spieghino la morte di 3 mila bambini (75% del gruppo preso in considerazione) in un periodo di 12 anni. Se i ragazzi fossero rimasti nella periferia più violenta del Brasile, avrebbero avuto maggiori possibilità di sopravvivenza”.

A questo punto il giornalista chiama in causa il Governo brasiliano che dovrebbe, a parer suo, esigere rapidamente energicamente una spiegazione dalle autorità italiane. E aggiunge che davanti a questo vero e proprio massacro silenzioso si è obbligati a sollevare l’ipotesi di commercio di bambini per la vendita di organi per trapianti. La semplice ipotesi è raccapricciante, ma nello stesso Simposio in cui è stata fatta la denuncia, si sono sentite informazioni insistenti circa un supposto mercato di esseri umani che movimenterebbe più di sette miliardi di dollari ed avrebbe a che fare con circa due milioni di donne e bambini dei Paesi poveri. La denuncia è destinata ad avere un seguito. Fatta a Rio de Janerio, sarà portata al Congresso Internazionale della AIDP (Associazione Internazionale di Diritto Penale), previsto nel 2004 a Pechino.
Pensandoci su
Sono stato sollecitato ripetutamente a fare da intermediario tra coppie italiane desiderose di adottare un bambino e madri brasiliane disposte a cedere il proprio figlio. A volte si trattava di casi patetici: un’enorme buona volontà da una parte ed un’abissale miseria dall’altra: “Il bambino ha tutto da guadagnare” mi dicevano. Grazie a Dio non mi sono prestato mai a un simile servizio. Non voglio giudicare chi lo ha fatto. Ognuno è responsabile dei propri atti ed io non sono infallibile. Ma sono contento di aver resistito alla tentazione.
La tragedia del traffico di organi è sufficientemente raccapricciante perché non la si tratti con un enorme rispetto e la massima serietà. Ma non riesco ad evitare una considerazione: quando si prende un bambino di pochi mesi o di alcuni anni, lo si separa dalla sua famiglia naturale, dalla famiglia allargata che è la parentela e la Comunità, si crede di fare un servizio a lui e, indirettamente, ai parenti. Lo tiriamo via da un destino di miseria, di violenza, di sofferenza e gli offriamo benessere materiale e un ambiente familiare sano. Chi può essere contrario a una simile proposta?
Ma lasciatemi fare un altro discorso: chi traffica in persone umane per trapianto deve pensare pressappoco così: questo fegato, questo cuore, questo occhio sono destinati a soffrire orribilmente: sarà un fegato intossicato da pessimi alimenti; sarà un cuore stressato da una vita miserabile; sarà un occhio destinato a vedere solo cose tristi. Perché non prelevarli da questo corpo destinato a marcire nella miseria e trapiantarli in un corpo bello e sano di un malato doc, che valorizzerebbe molto di più gli organi ricevuti? No, non voglio fare dell’umore nero su cose dolorosissime. Voglio ricordare che il corpo sociale è una cosa molto seria. E il sistema di adozioni, eccetto in casi specialissimi, lo violenta in forma non accettabile.
La miseria dei ragazzini dei Paesi poveri (e dei ragazzini poveri dei Paesi ricchi) non si risolve in adozioni o altri gesti generosi. Sarebbe troppo a buon mercato. È il sistema globale che bisogna cambiare. Perché non succeda più che una madre debba dare il suo figlio a degli estranei, forzata dalla miseria che la stordisce e le impedisce di ragionare.
p. Silvio Corinaldesi
Brasilia
http://www.disinformazione.it/commerciorgani.htm
Perché scrivere un libro sul commercio degli organi destinati ai trapianti?
di Carlo Bertani per Disinformazione.it
Libro “Ladri di organi“
Quando – nell’aprile del 2005 – proposi al mio editore di scrivere un libro sull’argomento l’accoglienza fu fredda, contrariamente a quanto era avvenuto per i precedenti che avevo pubblicato sulla questione medio orientale, sugli equilibri strategici dell’area, su Al-Qaeda e sul petrolio.
La ragione – per un editore – era sensata: l’argomento “non era sul mediatico”, vale a dire che nessuno si stava interessando alla faccenda, e scrivere un libro in materia rischiava di rivelarsi il classico buco nell’acqua, oppure poteva scivolare via leggero – come una goccia su una foglia – senza che nessuno se n’accorgesse.
E poi, perché mai uno scrittore di politica estera voleva affrontare un argomento così lontano dai suoi consueti ambiti?
La risposta – altrettanto speculare – era proprio perché l’argomento “non era sul mediatico”, ossia perché nessuno ne parlava.
Mi sono imbattuto nel traffico internazionale di organi per caso, mentre stavo mostrando come si esegue la ricerca su Internet ai miei allievi, quindicenni di un Liceo Scientifico. Un link sulla Homepage del quotidiano “Il Giorno” indicava un traffico di bambini in Mozambico: a volte un clic spalanca un mondo.
I primi a rimanere sorpresi furono i ragazzi: «Ma, davvero prof c’è qualcuno che ammazza dei bambini per rubare gli organi?» I quindicenni – nonostante telefonini e motorini – sono ancora molto vicini all’infanzia, ed avvertono un attacco all’infanzia come una violenza all’universale categoria dei giovani.
Non avere risposte – per un insegnante – è la peggior situazione: anni di studio e d’esperienza ti preparano ad affrontare quasi ogni frangente, ma quando non sai una cosa ti senti nudo di fronte ad una marea d’occhi che t’osservano in silenzio, come fanno pesciolini della barriera corallina. Anche in quel caso sei quasi nudo, ma i pesciolini non attendono risposte.
Decisi d’approfondire l’argomento. Da ogni link partiva un filo, ed ogni filo aveva una sua storia: alcuni portavano ad ingarbugliate matasse, altri si recidevano improvvisamente, come per un tardivo ripensamento.
Il leitmotiv che aleggiava su tutta la vicenda – però – era la “leggenda metropolitana”. Tutto era “leggenda metropolitana”, ogni sospetto, ogni e-mail, ogni dichiarazione.
Quel bollare ripetutamente l’argomento con l’epitaffio della “leggenda metropolitana” – invece d’acquietare la mia curiosità – la fece crescere, giacché quando un crimine è troppo aspro per essere dibattuto pubblicamente non si ha il coraggio di lasciarlo emergere: viene lasciato sedimentare in silenzio, nell’attesa che si sgonfi da solo.
Mi tornarono alla mente i ricordi della popolazione tedesca riguardo alla Shoà: i racconti della popolazione, non le ammissioni ufficiali dei nazisti od i rapporti delle truppe alleate. Raccontavano d’essersi insospettiti per quegli anomali convogli con le porte sprangate che circolavano – la notte – sulla rete ferroviaria, oppure per le strane “installazioni militari” dov’era impossibile avvicinarsi, giacché le SS di guardia avevano l’ordine di sparare a vista, anche sulla popolazione locale che non avesse rispettato l’inviolabilità di quelle aree.
Anche allora la vicenda – fino alla caduta del nazismo – rimase sospesa per l’aria, una sorta di “leggenda metropolitana” dell’epoca. I tedeschi erano stati abilmente addestrati all’odio razziale, sapevano dell’ostracismo verso gli ebrei, ma non avevano prove per capire chiaramente ciò che stava avvenendo, giacché la censura militare del regime impediva alla minima informazione di filtrare.
Anche la stagione dello stragismo – in Italia – ha lasciato poche certezze: saltarono per aria treni e stazioni, eppure si conosce, ancora oggi, assai poco di quegli eventi. Possiamo affermare che la P2, Gladio, la Rosa dei Venti, Ordine Nero e tutti gli interventi dei servizi segreti stranieri (CIA e Mossad in testa) siano stati soltanto una “leggenda metropolitana”?
Video, ergo sum: così potrebbe essere rivisitato il celebre assioma cartesiano nel terzo millennio. Solo ciò che assume visibilità mediatica ha valore di prova, ancor più delle sentenze della magistratura: ciò che a molti sfugge è che non è vero il contrario, ovvero che ciò che non ha visibilità mediatica sia inesistente.
Non vorremmo tediare il lettore con i miti di Orwell che ormai tutti conosciamo: solo proporre una meditazione più approfondita sugli eventi, giacché anche lo sterminio nazista sfuggì (o fu lasciato sfuggire) al grande fratello dell’epoca, ovvero ai giornali ed alla radio.
Per spiegare compiutamente il fenomeno del traffico internazionale di organi destinati ai trapianti non bastano poche righe, e rimando quindi il lettore al testo (Carlo Bertani – Ladri di Organi – Malatempora – Roma – 2005 – euro 8) giacché l’intreccio perverso d’interessi economici, imprinting culturali, spregio del valore della vita umana, corruzione, ignoranza, controllo mediatico, neocolonialismo e povertà endemica di vaste aree del pianeta costituisce il mix esplosivo della vicenda, l’humus dal quale nasce il turpe commercio, l’omicidio per rapina di un cuore o di un rene.
All’esterno delle mura del castello poteva avvenire qualsiasi nefandezza, ed il feudatario non se ne interessava molto: dedicava maggiori attenzioni alla tassazione della popolazione od all’arruolamento di carne umana per alimentare la fornace della guerra.
Allo stesso modo, sappiamo assai poco di quanto avviene all’esterno del castello-Europa o – più correttamente – della fortezza-Occidente. Ciò che c’interessa è che i flussi delle materie prime per gli apparati industriali siano costanti, che petrolio e rame, gas e diamanti giungano regolarmente all’interno delle mura. Sono ammessi anche i nuovi schiavi – quelli che chiamiamo “clandestini” od “immigrati” – giacché, per un tozzo di pane, raccolgono pomodori o si arrampicano sulle impalcature al nostro posto.
Se poi, in qualche landa disperata e lontana dalle mura, qualche brigante uccide per trovare un rene od un cuore che può salvare la vita al figlio del barone…beh…allora si può chiudere un occhio, come li hanno chiusi entrambi – nel novembre del 2004 – i componenti della Commissione Affari Esteri e Comunitari della Camera dei Deputati, chiamati ad esprimersi sulla vicenda del Mozambico. Attenzione: non hanno affermato l’inesistenza del fenomeno, ne hanno semplicemente depotenziato la deflagrante criminalità, circoscrivendo il fenomeno in un sapiente (sic!) verbale (commentato nel testo) condito con molto Valium e tanto “politichese”.
Purtroppo, il commercio internazionale d’organi destinati ai trapianti è un cancro che ha metastasi nella pedofilia, nella guerra, nel traffico d’esseri umani. Proprio il traffico di carne umana ci può aiutare a comprendere perché il fenomeno viene bollato come “leggenda metropolitana”, giacché trae origine dal suo antenato ed archetipo: lo schiavismo.
Sapevano, i raffinati nobili europei che acquistavano uno schiavo per reggere l’ombrellino parasole alla signora, che la prassi dei negrieri arabi – quando assalivano un villaggio – era quella di catturare quasi solamente donne e bambini? E gli uomini? Per cautelarsi da possibili ritorsioni, li uccidevano tagliando loro una gamba e li lasciavano morire dissanguati. Crimini avvenuti nella notte dei tempi? No, accaduti poco più di un secolo or sono nell’area Sahariana.
La contraddizione sulla mercificazione dell’essere umano è e fu stridente: mentre a Parigi s’osannavano i nuovi principi di libertà dell’Illuminismo, i negrieri francesi facevano affari in Africa e nelle Americhe.
Mentre dichiariamo di voler “esportare” la democrazia ovunque – anche a rischio d’uccidere i destinatari di tanta giustizia – non sappiamo che, già nel 1984, Al-Gore redasse un preciso verbale di fronte alla Camera dei Rappresentanti che inchiodava un trafficante d’organi, un medico americano.
Il Procuratore della Repubblica di Catanzaro ha dovuto ammettere – nel luglio del 2005 – che alcune intercettazioni telefoniche ed ambientali indicavano chiaramente che “fra le attività criminali degli organizzatori dell’immigrazione clandestina c’era sicuramente la tratta d’esseri umani destinati ai trapianti d’organi, senza alcun dubbio”. Il magistrato fece l’ammissione – inequivocabile – quasi ad occhi bassi, come se si vergognasse di ciò che stava dicendo.
Possiamo comprendere il ribrezzo del magistrato nell’aver scoperto tanto orrore: non per questo, però, sarà necessario prevedere un processo “a porte chiuse”. D’altro canto, non è la prima volta che accade: due medici turchi sono stati sospesi dall’attività dalla Sanità Pubblica turca per traffico d’organi.
Nel mezzo della tempesta ci sono l’AIDO, il Centro Trapianti e le Commissioni Parlamentari che ci assordano con tanto silenzio. Sulle nuove razzie schiaviste in Mozambico, sul turpe commercio in Afghanistan, sulla rapina dei reni in Moldavia e sul commercio d’organi su Internet mai una parola, anzi, un coro di disapprovazione per chi tenta di portare a galla il problema.
Se molti sanno – come l’ex ministro per la famiglia del primo governo Berlusconi (1994), Antonio Guidi – il quale dichiarò pubblicamente che “L’Italia è terra di passaggio: quei bambini attraversano il nostro paese come uccelli migratori, ed il loro destino è d’essere abbattuti”, perché nessuno cerca di squarciare il velo omertoso?
Non basta affermare che le indagini sono difficili, che le mafie internazionali “coprono” i loro traffici con astuzia, veleggiando ora in un “paradiso fiscale” e domani in un sito Internet: c’è dell’altro.
Il traffico d’organi è il più turpe mercato che si possa immaginare, ma è un mercato che segue anch’esso le regole del liberismo: si compra dove le materie prime costano poco, e si opera sapientemente affinché le condizioni di povertà mantengano quelle aree come serbatoi di materie prime a basso costo.
Quanto vale la vita di un africano che vive con gli aiuti internazionali? E quella di un bambino abbandonato in una metropoli brasiliana? Chi li protegge? Chi s’accorge se spariscono?
Ecco da dove inizia il cammino della nuova schiavitù, interi od a pezzi: oggi sei utile per raccogliere pomodori, domani potresti fornire un cuore a chi ne ha bisogno. E’ una novità? Assolutamente no: dal punto di vista giuridico, abbiamo soltanto restaurato – di fatto – il diritto di vita e di morte sugli schiavi, come avveniva nel mondo antico e nelle piantagioni americane.
Le nostre analisi sono estreme, poco credibili, fastidiose?
Chiedetelo ai bambini del Mozambico od a quelli afgani: chiedete loro se si sentono una “leggenda metropolitana”, oppure se hanno letto “Hansel e Gretel”. Non l’hanno letto, l’hanno vissuto.
Carlo Bertani
bertani137@libero.it
www.carlobertani.it
Baby Market
Di Ferdinando Imposimato – «La Voce della Campania»*, marzo 2004
La tratta degli esseri umani, compresa quella dei bambini, configura un «reato contro la persona e contro l’umanità». E’ un nuovo mercato criminale che consiste nel reclutamento, nell’illecito trasferimento e nella successiva introduzione, per fini di lucro, di una o più persone da uno Stato ad un altro ovvero all’interno dello stesso Stato, ad opera di organizzazioni criminali transnazionali che agiscono d’accordo con organizzazioni criminali esistenti nei paesi di transito e di destinazione finale. Al trasferimento segue lo «sfruttamento sessuale o sul lavoro» delle donne e dei bambini attraverso la violenza, l’inganno, il ricatto o l’abuso di potere o di una situazione di vulnerabilità della vittima o la concessione di somme di denaro per ottenere il consenso della persona che abbia autorità sui minori o sulle donne.
Vittime di questo mercato sono diversi milioni di donne e bambini.
Private della loro dignità personale e della loro libertà di azione e di movimento, le vittime sono considerate una merce e ridotte in una vera e propria condizione di ‘schiavitù’, in forza della quale si crea un asservimento del trafficato verso l’organizzazione criminale, spesso a causa del debito contratto dal trafficato per il trasporto dal paese di origine a quello di destinazione. Ad oggi non si dispone di dati precisi ed univoci sul mercato nero dei minori destinati allo sfruttamento sessuale, poiché le stime eseguite dalle Organizzazioni non governative e dalle Nazioni Unite non offrono valori concordanti ma diversi tra loro.
Le Nazioni Unite dicono, al 2003, che il numero dei bambini trafficati ogni anno nel mondo si aggira intorno ad 1,2 milioni di individui. Un milione di bambini entrano nel giro della prostituzione ogni anno. Oltre l’80 per cento del traffico di esseri umani provenienti dall’Albania consiste in ragazze minorenni. Circa 200 mila bambini vengono trafficati ogni anno nell’Africa Occidentale e centrale (dati Unicef End Child Exploitation, sempre al 2003).
Secondo l’Unicef circa un terzo del traffico globale di donne e bambini avviene all’interno dell’Asia sud orientale.
I NUMERI DELL’ORRORE
Le Organizzazioni non governative stimano in due milioni l’anno il numero dei bambini vittime del traffico per fini sessuali nel mondo intero. Secondo il World Social Forum, ogni giorno 3000 tra donne e bambini al mondo vengono coinvolte nel traffico. Il numero di minori trafficati è sempre più elevato. L’Organizzazione Internazionale del Lavoro (OIL) stima a 120 milioni il numero di bambini tra i 5 e i 14 anni costretti a forme di lavoro forzato e di sfruttamento sessuale; l’OIL denuncia sistemi di commercio di minori gestiti da organizzazioni criminali internazionali.
Il traffico di bambini è preso in esame dal protocollo delle Nazioni Unite per la prevenzione e la repressione della tratta delle donne e dei bambini, che integra la convenzione delle Nazioni stesse del 15 dicembre 2000 sulla criminalità organizzata stipulata a Palermo. Con tale protocollo ogni Stato si impegna a dare assistenza alle vittime della tratta, difendendole dalle minacce degli autori del traffico e provvedendo al loro recupero fisico, psicologico e sociale, con la collaborazione delle organizzazioni statali e non governative.
In particolare si invitano gli Stati a dare ai minori oggetti del turpe traffico alloggio adeguato, informazione sui diritti, assistenza medica, sociale e materiale, opportunità di impiego, educazione e formazione. Il protocollo stabilisce che il consenso dato dalla vittima della tratta ad ogni forma di sfruttamento non vale ad escludere il crimine in danno dei minori.
IL MACABRO BUSINESS
Le cause. Il traffico di bambini si alimenta di diversi fattori: lo scopo di lucro dei trafficanti, la povertà delle famiglie, la fragilità dei bambini, la corruzione delle autorità, la mancanza di leggi adeguate, l’inerzia dei paesi dell’Europa e l’indifferenza della pubblica opinione e dei mass media. Un fattore decisivo del traffico è la crescente domanda di sesso dei bambini da parte di consumatori europei. Personaggi insospettabili del mondo della finanza, della politica, delle istituzioni, della cultura e della società civile chiedono di fruire delle prestazioni sessuali di fanciulli sempre più giovani, offrendo in cambio denaro alle famiglie ed ai trafficanti.
E come l’aumento della domanda di droga provoca un aumento del traffico, così l’aumento vergognoso della richiesta di minori provoca l’incremento del traffico di minori. In esso sono coinvolti reclutatori, agenti corrotti, autisti di Tir, madam di bordelli, mafie di vario tipo e pedofili. Il listino dei prezzi di questo turpe commercio segue le regole del mercato: 50 mila euro per un neonato maschio in buona salute, 30 mila euro per un fegato da trapiantare. Un miliardo e duecento milioni di euro è il giro di affari l’anno.
Secondo l’Unicef il fenomeno dilaga nel cuore dell’Europa. Il teatro della vergogna è in una zona tra la Baviera, la Turingia, la Sassonia e la repubblica Ceca. Migliaia di bambini vengono portati a prostituirsi in quell’area dall’intera Europa dell’Est per 24 ore su 24. I turpi pedofili vengono dalla Germania e dalla Repubblica Ceca. I bambini per rendere al meglio vengono indotti al consumo di alcool e di droghe pesanti. Le conseguenze di queste esperienze ripugnanti sono i suicidi, le violenze, e le malattie veneree.
Questo indegno mercato si svolge con la complicità delle autorità locali corrotte, che accusano i bambini di essere consenzienti, colpevoli di offrirsi per guadagnare soldi. Il consenso dei bambini dunque giustificherebbe questo commercio. I guadagni dei trafficanti sono investiti per finanziare il traffico di armi, di droga, di visti d’ingresso, la prostituzione e per pagare le famiglie dei bambini sfruttati. Un’inchiesta dei giudici italiani ha provato un traffico di immagini di violenza sui bambini diffuse in tutto il mondo dalla mafia russa. Altra inchiesta della Direzione Nazione Antimafia riguarda bambini venduti non dichiarati alla nascita e scomparsi misteriosamente, probabilmente vittime di un traffico internazionale di organi.
In tutti gli ordinamenti giuridici democratici vige il principio di legalità: nessuno può essere punito per un fatto che non sia previsto dalla legge come reato. I romani dicevano «nullum crimen sine lege». Il traffico di minori sfugge alla sanzione penale anche perché si svolge con modalità e con azioni che in molti Stati non sono previsti come delitti. A livello regionale, nazionale e internazionale esistono numerose leggi e convenzioni che proteggono i diritti dei bambini. Tuttavia esiste un divario tra il linguaggio energico delle convenzioni internazionali e la debolezza della loro applicazione nella realtà. Questo provoca una sfiducia della pubblica opinione verso il potere legislativo e giudiziario e una crescita del fenomeno. In molti casi, i fatti di sfruttamento sono vietati dalla legge ma la debolezza del sistema di repressione lascia impuniti i responsabili. La conseguenza è l’impunità quasi assoluta dei trafficanti e dei pedofili. Con l’ulteriore conseguenza della ripetizione e della diffusione del fenomeno anche per l’indifferenza della pubblica opinione. E di molti mass media, sempre più propensi ad insabbiare gli scandali in cui siano coinvolti persone insospettabili.
Il «consenso» dei bambini e quello delle loro famiglie spesso costituisce un alibi salvifico per i trafficanti. La convenzione sui diritti del fanciullo del 1989 – articolo 10 – e molte leggi nazionali considerano il consenso del fanciullo o dei genitori come una condizione che legittima il trasferimento del bambino da uno Stato all’altro. Si tratta di un’aberrazione; infatti si dimentica che lo spostamento del bambino è il primo passo del traffico e che il consenso del bambino e quello delle famiglie povere è viziato dalla mancanza di maturità del fanciullo o dallo stato di necessità delle famiglie.
Questa prassi agevola il traffico di minori da parte di trafficanti che riescono a «convincere» facilmente i bambini e a corrompere le famiglie povere. Affidare a un bambino o alla sua famiglia il potere di decidere il trasferimento da uno Stato all’altro significa ignorare la realtà del traffico. Che si serve di tutti i mezzi, comprese le adozioni internazionali. Non è possibile consentire ad un bimbo di essere sfruttato. Lo sfruttamento sessuale, qualunque sia l’età ed il sesso della vittima, deve essere sempre vietato e punito. Sotto i 14 anni, tutti i rapporti sessuali con il bambino devono essere considerati violenza sessuale, anche con il consenso della vittima. Si deve configurare il delitto di violenza carnale presunta. Per i maggiori degli anni 14 e minori degli anni 18, la relazione sessuale deve essere sanzionata se esiste una differenza di età notevole (asimmetria) tra maggiorenne e minore.
In Italia è così ma nel resto dell’Europa, a dalla Francia le cose vanno diversamente. Un altro punto critico della legislazione in Europa riguarda la prostituzione minorile, della pornografia minorile e del turismo sessuale in danno di minori. Fenomeni diffusi in tutto il mondo e spesso impuniti nei paesi dell’Asia e dell’Africa, ma anche in Europa. La legge italiana prevede sanzioni molto severe contro gli italiani che commettono all’estero i reati di sfruttamento della prostituzione minorile, la pornografia minorile e il turismo sessuale con minori, anche quando tali reati non sono puniti all’estero. Ma in molti paesi questi fatti non sono puniti. L’Unione Europea deve farsi carico di esercitare pressioni su tutti i paesi europei ed extraeuropei, a cominciare da quelli che vogliono entrare nell’Unione, per indurli ad approvare leggi in applicazione della Convenzione di Palermo e delle altre convenzioni che puniscono la pornografia, la prostituzione ed il turismo sessuale, anche se commessi dai cittadini europei all’estero.
IL CYBERMARKET
Su internet esistono dei veri e propri babycibermarket e cassette porno in cui bambine e bambini vengono stuprati, torturati e uccisi. Tutto questo nell’indifferenza generale. Si tratta di delitti gravissimi puniti in Italia dal codice penale (articolo 600 ter) che sanziona le esibizioni pornografiche dei minori diffusi con qualsiasi mezzo, anche per via telematica. Norme analoghe mancano in altri paesi, dove il cibermarket viene permesso e protetto. Il problema richiede che siano perseguiti i trafficanti ed i pedofili che fruiscono dei cibermarket e gli Stati che lo tollerano.
Una legge sui pentiti appartenenti alle organizzazioni criminali del traffico di bambini potrebbe essere approvata in tutti i paesi d’Europa al pari di ciò che è avvenuto in Italia. Per l’attuazione del protocollo sul traffico delle donne e dei bambini, il Parlamento italiano ha approvato la legge 11 agosto 2003 numero 228 che ha introdotto nel codice penale la tratta di persone. La stessa legge, in attuazione dell’articolo 24 della Convenzione Onu di Palermo (protezione dei testimoni), prevede che lo speciale sistema di protezione dei testimoni e dei collaboratori di giustizia già adottato per i mafiosi che collaborano con la giustizia, sia esteso a coloro che si allontanano dal traffico di esseri umani.
Analoga legge potrebbe essere introdotta nei vari codici penali europei per rendere più efficace la lotta al traffico di minori e rompere il muro di omertà che lo circonda.
Né la polizia né la giustizia sono efficaci nella repressione del traffico dei minori. E questo accade perché manca un coordinamento moderno nella cooperazione giudiziaria tra inquirenti di vari paesi e perché gli episodi di violenza sono tenuti nascosti. Ma le violenze in danno dei bambini dovrebbero essere denunciate sia dalle vittime sia dai familiari, sia dalle Organizzazioni non governative, come enfants en danger. La convenzione delle Nazioni Unite sui diritti del fanciullo stabilisce che il fanciullo, a causa della mancanza di maturità fisica ed intellettuale, necessita di una protezione legale appropriata. In molti processi di violenza sessuale, i bambini sono privi di qualunque assistenza legale per l’assenza delle famiglie mentre gli autori dei delitti fruiscono di legali di grande livello.
Questa situazione è immorale e favorisce il traffico. La protezione legale deve consistere nell’obbligo stabilito dalla legge di assicurare la presenza di un difensore civico del fanciullo in ogni processo in cui il bambino sia vittima o imputato, a prescindere dall’atteggiamento dei genitori o dei rappresentanti legali. A questo riguardo occorre stipulare una convenzione ad hoc delle Nazioni unite e dell’Unione europea in cui si preveda l’obbligo della presenza fin dalla fase delle indagini e durante il processo, di un difensore civico del fanciullo.
*«La Voce della Campania», mensile di politica, economia, cultura. Anno XXI n.3 Marzo 2004
Sito web: www.lavocedellacampania.it
http://www.hermesnet.it/~hermesnet/corpo/speciali/traffico_organi/intervista.html
L’INTERVISTA
«Devi assolutamente conoscerla», mi aveva detto Saskia Sassen, la teorica delle città globali, «è una persona straordinaria». Ci ritroviamo così alle otto del mattino davanti a due tazze di caffè, Nancy Scheper-Hughes e io, seduti a un tavolino all’aperto vicino a un parco, in un fresco mattino d’autunno californiano. 57 anni ben portati, corti capelli chiari, fisico sportivo, irrequieti occhi ironici, Nancy è professoressa di antropologia all’Università di Berkeley, e da antropologa si occupa – se è consentito usare questo termine – di “sfiga globale”, dai contadini pazzi irlandesi, ai bambini brasiliani, alla violenza nel Sudafrica post-apartheid, al commercio di organi umani, temi che tratta in un orizzonte teorico che va da Donna Haraway a Michel Foucault e Pierre Bourdieu, da Giorgio Agamben a Franco Basaglia, da Ivan Illich a Victor Turner, da Margaret Mead a Walter Benjamin, a stare ai nomi citati nei suoi saggi.
Il traffico di organi sembra un argomento da controinformazione, piuttosto che da antropologia. Di solito gli antropologi studiano i nambikwara in Amazzonia e il circuito del “kula” negli arcipelaghi del Pacifico occidentale. In che senso si può fare un’antropologia del commercio di organi?
Come l’essere umano considera il proprio corpo è da sempre uno dei temi centrali della ricerca antropologica. In primo luogo assistiamo a una nuova antropologia della morte. C’è chi ha definito il trapianto di organi la nuova forma tecnologica del sacrificio rituale umano: il capitalismo globale e la tecnologia avanzata hanno insieme generato nuovi “gusti” medicalmente stimolati per i corpi umani, per il vivo e il morto, per pelle e ossa, carne e sangue, tessuti, midollo e materiale genetico “dell’altro”. C’è chi paragona i riti “new age” dei trapianti al “cannibalismo gastronomico”. E poi il trapianto distribuisce sul mercato quella che Giorgio Agamben chiama «la morte che precede la morte», per la necessità di definire una persona morta quando ancora possono esserne estratti organi viventi. È un problema di definizione teorica della morte. Ma anche una questione sanguinosa di violenza istituzionale. Addirittura in Cina, dove gli organi vengono prelevati dai condannati a morte in attesa di esecuzione, una dottoressa disse di aver partecipato a un’operazione in cui i due reni furono espiantati al condannato alla fine della notte; al primo mattino l’esecuzione con una pallottola in fronte. In Cina nel 1996 sono state confermate 4.360 condanne eseguite. Così si è creato un mercato di organi viventi, soprattutto in direzione di Taiwan e della diaspora cinese nel mondo. E ti dicono: «Vieni fra due settimane che sono in programma più esecuzioni».
E per quanto riguarda il nostro rapporto col nostro corpo?
Assistiamo a uno sconvolgimento inaudito. A una sua mercificazione, ma non generica (lo schiavismo comprava e vendeva i corpi, ma nella loro integralità); qui invece si comprano parti del corpo, il corpo diventa suddivisibile, questo lo vendo, questo no. E naturalmente tutto l’universo della medicina come pratica sociale è trasformato da questo commercio: cambia l’etica medica, cambia la bioetica, il paziente diventa un consumatore, un compratore di organi altrui. Il paziente compra viaggi medici, si è instaurato un turismo medico.
Cosa intendi per turismo medico?
Sempre più i centri medici, le aziende sanitarie propagandano i loro servizi medici come una località turistica pubblicizza i suoi campi da golf, l’agio dei suoi alberghi cinque stelle, la bontà della sua cucina, la convenienza dei suoi prezzi. Così nascono agenzie di viaggi medici organizzati, che possono avere come meta, che so, la Germania per la chirurgia plastica. Questi medical tour operators offrono pacchetti tutto compreso. Per esempio a Tel Aviv, in collaborazione con uno dei chirurghi dei trapianti più importanti d’Israele, una ditta ha sviluppato collegamenti con chirurghi dei trapianti in Turchia, Russia, Moldavia, Estonia, Georgia, Romania, e, da poco, New York City. Il costo del pacchetto tutto compreso è salito da 120.000 a 200.000 dollari (da 250 a 420 milioni di lire), e continua a rincarare. Il pacchetto comprende l’affitto di un aereo privato (per accogliere sei pazienti ognuno accompagnato da un familiare e da dottori israeliani); la “doppia operazione”: estrazione del rene del donatore e trapianto; il compenso al “donatore”; le “commesse” pagate ai funzionari della dogana e dell’aeroporto; l’affitto della sala operatoria e della stanza nelle cliniche e l’accoglienza in albergo per gli accompagnatori. Il pacchetto dura cinque giorni. Giorno 1: arrivo sul posto, pre-operazione, analisi, dialisi e riposo; giorni 2 e 3: operazioni (2 o 3 pazienti per notte a seconda della dimensione del gruppo): giorni 4 e 5 convalescenza sul posto e rientro.
Molti italiani vanno a curarsi i denti in Tunisia da dentisti laureati in Italia, ma da loro costa un terzo…
Sì. Negli Usa c’è un centro che ipocritamente si chiama Ufficio della medicina internazionale ma che funziona come azienda di soggiorno. Basta pensare a quanto corteggia i pazienti/turisti stranieri un centro di trapianti come quello del Texas. A Cuba invece sono più sinceri, lo chiamano proprio Ufficio per il turismo medico, con tanto di dépliants; all’Havana c’è un ospedale, Cico Garcia, solo per stranieri, dove non hanno ancora reparti di trapianti, ma con alcune specializzazioni per cui sono famosi in tutto il mondo, per esempio l’oftalmologia. Molti emigrati cubani di Miami vengono a farsi curare qui, visto quanto è cara la sanità negli Stati uniti. Lo stesso fanno i sudamericani, brasiliani, argentini, venezuelani, che a Cuba ricevono cure pari a quelle statunitensi ma a un prezzo molto minore. Così oggi a Cuba c’è una medicina a due piste e a due livelli. Ma nessuno se ne lamenta perché il livello per gli stranieri fornisce quei dollari che permettono di far funzionare la cura gratis per gli altri. «Per 25 anni abbiamo curato gratis tutti gli stranieri che venivano qui. Adesso ci facciamo pagare», mi hanno detto alla loro agenzia turistica/medica. Apprezzo la loro franchezza.
Uno dei problemi principali dei trapianti è che generarano un’insopportabile eufemizzazione del linguaggio. Tutto quest’universo di traffici, contrabbandi, spacci, ricatti, veri e propri crimini, viene tutto riformulato nella categoria del “dono”, dell’altruismo, del sacrificio di sé, e tanto più la pratica è ignobile, tanto più è ammantata in nobiltà d’animo. Ma la teoria del dono è già stata elaborata da Marcel Mauss e Pierre Bourdieu. In particolare Bourdieu ci ricorda che ogni dono è un inganno, perché presto o tardi esige un contro-dono. Ma a forza di praticare quest’ipocrisia, la stessa classse medica degenera in un cinismo di fondo, che si nasconde dietro l’ideologia della neutralità. Ci sono medici che dicono: «Questo traffico mi disgusta, ma non diremo niente al paziente, perché nella sua situazione comprerei anch’io un organo». La trasformazione della pratica medica è uno dei primi temi della ricerca dell’antropologia medica, un settore che ho contribuito a fondare.
In che senso parli di commercio globale?
Il finanziere George Soros ha detto di recente che i valori di mercato di un’economia globale capitalista erodono i valori sociali e la coesione sociale. Nulla lo illustra meglio degli attuali mercati di organi umani, con un meccanismo di mietitura, esportazione, distribuzione e vendita degli organi, con i loro brokers (agenti di borsa), per rifornire un’industria sanitaria determinata dal meccanismo della domanda e dell’offerta. Le tecnologie di trapianti si sono subito trasferite all’Est (Cina, Taiwan, India) e al Sud (in specie Argentina, Cile e Brasile) e questo ha creato una scarsità globale di organi viventi che ha innescato un movimento dei corpi malati in una direzione, e degli organi sani (trasportati in ordinari refrigeratorei di poliestere da picnic da compagnie aeree commerciali) nella direzione opposta, creando un circuito “kula” dei corpi e delle loro parti (ndr: Nancy Scheper-Hughes si riferisce a un elaborato scambio commerciale e simbolico che l’antropologo Bronislaw Malinoski credette di rilevare nel Pacifico occidentale). E questo flusso globale struttura i vari agenti per classe, per genere, per origine geografica. Il flusso segue di solito le moderne rotte del capitale, da sud a nord, dal Terzo al Primo mondo, dai poveri ai ricchi, dai neri e scuri ai bianchi, dalle donne agli uomini. In India, questi “doni” sono diventati lo strumento principale con cui genitori disperati sono riusciti ad accasare la figlia creandole una dote (dowry) con i soldi dell’organo. Lo stupefacente, nel senso di Benjamin, è con che velocità la gente si assuefa a quel che prima era inaudito e innaccettabile. Quando negli slum di Bombay, Calcutta e Madras sono comparsi “organ bazar”, dove i donatori sono pagati 2-3.000 dollari a organo, all’inizio c’è stato uno scandalo, la televisione e i settimanali indiani hanno fatto inchieste indignate. Ma dopo qualche anno sembrava tutto normale.
Cosa vuol dire tutto questo per la percezione del nostro corpo?
Che il nostro corpo diventa divisibile, che cominciamo a guardarlo con l’occhio di individuare i doppioni, le parti di ricambio… Non si sa mai, potrei sempre avere bisogno di venderne una, un occhio, un rene, qualunque “ridondanza”. Ti saresti mai immaginato che cento anni fa qualcuno guardasse alle ridondanze del proprio corpo? Abbiamo bisogno in antropologia di qualcosa come il manifesto radicale di Donna Haraway del 1985 sul cyber-corpo e il cyber-sé.
Due esempi brasiliani. Nel 1981 uscì sul Diario de Pernambuco quest’inserzione: «Sono pronto a vendere ogni organo del mio corpo che non sia vitale alla mia sopravvivenza, che possa aiutare a salvare la vita di una persona in cambio di una somma di denaro che possa permettermi di nutrire la mia famiglia» (l’inserzionista fu rintracciato e confermò tutto, ma aggiunse una postilla che è straziante: «Non sono stupido. Voglio che il dottore dapprima mi esamini e mi paghi il denaro prima dell’operazione. E, dopo aver pagato i miei debiti, investirò quel che resta nel mercato azionario»). Sul versante opposto dello spettro, ancora a Pernambuco stavo facendo ricerche sulle morti dei bambini, sempre tra obitorio e cimitero, e a un certo punto vidi un funerale che procedeva accompagnando una bara piccola piccola. Chiesi a chi la portava: «È figlio suo?» «No è un piede amputato che andiamo a ricongiungere al morto», mi rispose. Tanto per capire come nella cultura tradizionale fosse radicata l’idea dell’inseparabilità, dell’integralità del corpo.
Ma cosa ti coinvolge tanto in un argomento così mortuario?
È la violenza, la rapidità con cui le forze del mercato e la domanda dei consumatori possono riplasmare da cima a fondo l’etica. E nessuno si preoccupa delle conseguenze sociali di questa nuova etica. Ci sembra ormai quasi normale, scontato che sia emerso questo strano mercato, questo sovrappiù di capitale, “corpi sovrannumerari” e pezzi di ricambio del corpo che promettono a individui scelti, dotati di ragionevoli mezzi economici, e che vivono quasi ovunque nel mondo, di estendere miracolosamente la sfera del (loro) bios, del vivente nudo.
(30 ottobre 2001)
intervista di Marco D’Eramo, Il manifesto
http://www.zhora.it/pedofilia.htm
PEDOFILIA, UN ORRORE SENZA FINE
RACCAPRICCIANTE. Quanto ha recentemente svelato la maxi-inchiesta di Torre Annunziata sulla pedofilia via Internet, va al di là di ogni immaginazione. Centinaia, forse migliaia, di piccoli seviziati. Bambini stuprati, uccisi e filmati. Il turpe traffico, con diramazioni internazionali e basi in tutta Italia, è stato scoperto grazie anche all’aiuto di Telefono Arcobaleno. Tutto ha avuto inizio il 27 settembre 2000 quando la procura di Torre Annunziata, ha inviato sei ordini di cattura in Italia, per acquisto di immagini pedo-pornografiche, e tre in Russia, per la produzione e la vendita del materiale pedofilo. L’Italia ha appreso con sgomento che con sette milioni si può vedere uccidere un innocente, uno per spiarlo nudo, ecc. Ora si pensa, con orrore, alla tremenda fine che hanno potuto fare alcuni dei tanti giovanissimi scomparsi e, intanto, si cercano in tre città, Civitavecchia, Vercelli e Catania, alcuni bimbi dei filmati degli orrori.
Un numero incredibile di bambini che scompaiono.
L’allarme, tuttavia, era stato lanciato da tempo. Un numero incredibile di persone sparisce ogni giorno nel nulla, soprattutto giovanissimi. Molti di loro si trovano, di altri non se ne sa più niente. E’ come se si fossero volatilizzati, spariti. Nel mondo spariscono ogni anno molte migliaia di persone. Ogni anno in Italia sono dichiarati scomparsi oltre 2000 minori. Alcuni di loro tornano a casa da soli, altri vengono ritrovati dalle forze dell’ordine, altri ancora non hanno mai fatto ritorno. Secondo le cifre del Ministero dell’Interno, solo nel 1996, sono stati dichiarati scomparsi 2391 minori. Di questi, 1912 hanno riabbracciato le loro famiglie. Al marzo ’98 i minori dichiarati scomparsi erano 1419, di cui 796 sono stati rintracciati dalle forze dell’ordine. Che fine fanno i tanti di cui si perderà ogni traccia?
Per farsi una pallida idea di quanto è grave il fenomeno basti sapere che, nel 1997, “Il Giornale” (15 Marzo 1997) titolava un lungo pezzo: “Dal ’90 quadruplicati i ragazzi spariti”. Oggi sono molti di più. Un calcolo, anche approssimativo, è impossibile. Il quotidiano, tra l’altro, denunciava: “Cresce il numero dei giovani, soprattutto tra i 15 e i 18 anni, che svaniscono nel nulla. Le piste: droga, sette religiose, voglia d’avventura e mercato degli schiavi” e, come vedremo, altro ancora. Nel mondo la situazione è molto più allarmante. Solo negli Stati Uniti ogni giorno scompaiono 2200 bambini. Tra questi “desaparecidos” tanti sono, anche, i bambini al di sotto dei dieci anni. E’ un problema grave, molto sentito in Europa, ne fanno fede la “Raccomandazione” (n.R-79-6) in relazione alle “Missing Persons” stabilita dal Council of Europe e la pubblicazione della Oxford Up. “The dictionary of national biography: missing person”.
Se molti di questi giovani vengono ritrovati, di altri non se ne saprà più nulla. Alcuni di loro finiscono nella rete della prostituzione, della pornografia, della pedofilia, altri nel sottobosco criminale dei devoti di Satana. Il giornale “La Stampa” (8/2/87) riporta la notizia di una sètta satanica che reclutava bambini. Ecco quanto scrive il quotidiano: “La sètta, “Gli scopritori” (Finders), fondata a Washington da un ‘santone’ che oggi ha 66 anni, Marion Pettie, si serve dei piccoli per i suoi riti demoniaci, imperniati sul sacrificio di animali e, si sospetta, anche su pratiche sessuali. …La scoperta dell’organizzazione, sorta dai resti di una comune di hippies degli Anni Sessanta, ha sconvolto la capitale e tutti gli Stati Uniti”.
Pedofilia e satanismo.
Ciò che più lascia sconcertati di questa sètta è che, secondo Ted Gunderson, dirigente dell’FBI di Los Angeles fino al pensionamento nel 1979 e, da allora, investigatore privato e consulente per la sicurezza, è, a quanto scrive la rivista “Nexus. New Times”, n. 23 (edizione italiana), la sua affermazione: “La mia conferenza relativa ai ‘bambini scomparsi’ documenta che i Finders (Scopritori, ndt) di Washington, DC, sono un’organizzazione di facciata della CIA; si tratta di un’operazione coperta coinvolta nel traffico internazionale di bambini”. Egli, commenta Uri Dowbenko, autore dell’articolo sulla citata rivista, si riferisce ad un rapporto del Servizio Dogana U.S.A. che asserisce che il caso della sètta Finders deve essere chiuso per il motivo che è “un affare interno della CIA”.
Uri Dowbenko scrive ancora nel n. 23 di “Nexus”: “Bambini scomparsi, violenze sessuali su di essi e pedofilia a livello mondiale puntano tutti verso il coinvolgimento di una rete organizzata di criminali di alto livello che controllano di nascosto il sistema legale. L’ex agente del FBI ed investigatore privato Ted Gunderson si trova d’accordo. Egli sostiene che – esiste una considerevole sovrapposizione di vari gruppi e organizzazioni, tuttavia la forza trainante è rappresentata dal movimento del culto satanico odierno- ”.
La drammatica testimonianza di una giovane vittima.
Paul Bonacci, è un giovane recluso al centro correzionale di Lincoln, in isolamento, perché più volte minacciato di morte, per via di accuse gravissime rivolte dal giovane ad insospettabili uomini di potere. Lo psichiatra che lo ha sottoposto a perizia, Beverly Mead, ha dichiarato che il ragazzo è sano di mente e, a suo parere, dice il vero. Bonacci racconta: “Ero nelle mani di un gruppo denominato Namba (North American man – Boy Love Association) che mi portava in riunioni a New York o a Boston. All’età di 9 anni, fui portato in un hotel con altri 5 ragazzi e ci hanno costretti ad avere rapporti sessuali mentre ci filmavano. In seguito mi obbligarono ad avere rapporti con bambini. Solo nel 1986 sono riuscito a slegarmi dal gruppo. (…). Nell’estate del 1985, Larry King (leader del progetto repubblicano di aiuti alla comunità di colore americana, ndr) mi portò, insieme ad un altro ragazzo, Nicholas, di Aurora, nel Colorado, in California per girare un film. …c’era un ragazzo in gabbia. (…). Ci fecero spogliare e indossare dei vestiti tipo Tarzan e ci obbligarono ad avere rapporti con il ragazzo nella gabbia. Ci dissero di picchiarlo. (…). Arrivò un uomo e iniziò a sbattere il ragazzo come se fosse una bambola. Prese una pistola, gliela puntò in testa e sparò… (Bonacci poi fa i nomi di alcune delle persone che hanno abusato sessualmente di lui, ndr) Alan Bair, Peter Citron, Larry King, Harry Anderson, il deputato Barney Franks, a Washington. (…). …nel 1984 mi portarono al ranch South Fork, a Dallas, nel Texas, in corso la Convention Repubblicana e Larry King organizzava dei party-pedofili” (Giovanni Caporaso e M. Cocozza Lubisco, Bambini. Il mercato degli orrori, in “Avvenimenti”, 17 luglio 1991).
Paul Bonacci fu testimone di accadimenti ancora più spaventosi e prosegue il suo racconto con rivelazioni shoccanti: “Sono stato testimone del sacrificio umano di un bambino di pochi mesi. Era la ricorrenza del tempo della nascita di Cristo e, in questo rituale annuale, tutti cantavano per pervertire il sangue di Cristo. Con un pugnale uccisero e fecero a pezzi il bambino; poi riempirono una coppa col suo sangue mescolandola ad urina e ci obbligarono a bere dalla coppa mentre loro cantavano: ‘Satana è il Signore…’ ” (DeCamp J., The Franklin Cover-up, AWT, Inc. Lincoln, Nebraska 1992).
Le indagini della Commissione Franklin.
Le persone legate a King, leader del progetto Repubblicano di aiuti alla comunità nera tramite la “Credit Union” e il “National Black Repubblican Council”, erano dedite a “rapimenti di bambini da impiegare nella prostituzione, produzione di snuff-film (film con morti in diretta) e party-pedofili. Dopo l’avvio delle indagini della Commissione Franklin, numerosi ‘incidenti’ hanno allontanato la data del processo contro di lui. Dan Ryan, socio di King, è stato trovato strangolato nella sua macchina. Bill Baker… partner del vice-presidente del ‘National Blak Repubblican Council’ nel business della pornografia, è stato ucciso con un colpo alla nuca. Curtis Tucker… si è ‘gettato’ da una finestra dell’Holiday Inn. Charlie Rogers, amante di King, si è ‘fatto saltare’ la testa con un colpo di pistola. Bill Skaleske, ufficiale del Dipartimento di Polizia di Omaha che dirigeva le indagini su King, è stato trovato morto… Joe Malek, altro socio del mercante di bambini e proprietario del Peony Park, dove si svolgevano i party dei pedofili, è stato trovato morto, ucciso da un colpo di pistola: la polizia ha archiviato il caso come suicidio. Molti testimoni sono restii a presentarsi… Mike Lewis, 32 anni, incaricato di proteggere le vittime-testimoni, è stato trovato morto per un attacco di diabete. La commissione Franklin si è poi definitivamente arenata quando l’investigatore incaricato delle indagini, Gary Caradori, è morto in un misterioso incidente aereo, dopo aver informato il suo ufficio di avere informazioni sensazionali: ‘è dinamite…’ “ (Giovanni Caporaso e M. Cocozza Lubisco, Bambini. Il mercato degli orrori, cit.)
Quanto ho raccolto in questo dossier, in relazione a certe efferatezze orripilanti, è, tuttavia, solo la punta di un iceberg di impensabili proporzioni. Nell’incredibile indifferenza dei mass media le stragi di innocenti continuano. A Los Angeles, in 22 comuni della contea, gli inquirenti stanno investigando su un gran numero di casi di pedofilia a sfondo rituale. In più parti del mondo si conoscono casi di bambini sacrificati a Satana. Ecco una terribile conferma: “Satana ha preso piede anche in Sudafrica con tutti i raccapriccianti aspetti del suo culto, quali il sacrificio di bambini sgozzati sull’ ‘altare’ del principe delle tenebre… riunioni orgiastiche dove giovanissimi sono obbligati ad avere rapporti sessuali con cani o caproni, i simboli più oleografici di Lucifero” (“Corriere della Sera”, 20 maggio 1990).
inchieste insabbiate.
Le indagini vengono, quasi sempre, insabbiate, vi è come una congiura del silenzio, coperture misteriose. Ted Gunderson, per quanto riguarda gli Stati Uniti, ha affermato: “Ho quattro testimonianze particolareggiate di tre detenuti coinvolti in rituali satanici e una di un sacerdote dello Utah, che mi hanno confermato l’esistenza di cinquantamila-sessantamila casi annuali di sacrifici umani. (…). Sono stati ritrovati numerosi cimiteri in tutto il Paese, con decine di cadaveri non identificati e nessuno ha indagato a fondo…” (Giovanni Caporaso e M. Cocozza Lubisco, Bambini. Il mercato degli orrori, cit.).
I crimini satanici sono in espansione in tutto il mondo. Per quanto concerne l’Inghilterra, Dianne Core, responsabile dell’Istituto Childwatch (Associazione di assistenza e protezione dei minori), ha denunciato connubi dei satanisti con lobby politiche che tendono a coprire le loro efferatezze. La dott.ssa Core ha, tra l’altro, affermato: “Purtroppo non abbiamo ancora individuato il vertice della gerarchia che controlla il satanismo in Gran Bretagna. …godono di protezioni ad altissimo livello”. Pedofili satanisti sono presenti anche a Londra. Il “Corriere della Sera” del 18 marzo 1990, denuncia: “Londra. Bambini torturati e violentati nel corso di riti satanici, feti estratti a forza dal ventre di madri minorenni e immolati… Ai confini della realtà suonano, infatti, i racconti di bambine e adolescenti offerte agli alti sacerdoti di una sètta e ai loro adepti per essere violentate. Una volta gravide, le piccole verrebbero costrette ad abortire e il feto di quattro mesi sacrificato per la purificazione dei satanisti che ne berrebbero il sangue o se ne ciberebbero. …Un’inchiesta condotta da 66 gruppi di ricerca della ‘Società nazionale per la prevenzione della crudeltà contro i bambini’ nel Regno Unito conferma l’esistenza di tali pratiche…”.
Feti mangiati in una cena satanica.
L’inglese Dianne Core, il 19 gennaio del 1998, alla cerimonia di fondazione del “Tribunale Internazionale Martin Luther King” denunciò che in Inghilterra nel mese di Aprile sarebbe iniziato un processo per stupro nei confronti di una giovane della quale disse: “Fu violentata da quando era piccola fino all’età di 15 anni. Quando raggiunse la fecondità, fu messa incinta otto volte; ogni volta fu fatta abortire al quarto mese e i feti furono messi nel congelatore, quindi mangiati in una cena satanica a cui lei fu obbligata a partecipare”. Il rapporto tra pedofilia e satanismo è stato più volte provato. Diverse inchieste giornalistiche e molti responsabili di centri di protezione per l’infanzia hanno lanciato il messaggio che, più frequentemente di quanto si creda, il racket della prostituzione dei minori e della pedofilia sono gestiti da sètte sataniche. Telefono Arcobaleno, l’associazione contro la pedofilia il cui direttore è il parroco di Avola (Siracusa), don Fortunato Di Noto, ha scoperto e denunciato un sito satanista che mostra terribili foto di sacrifici umani a Satana e le vittime sono giovanissimi. Di Noto ha affermato: “Si aveva il sospetto che il satanismo fosse in qualche modo legato alla pedofilia e ai sacrifici umani. Ma non si erano ancora rinvenuti siti così crudeli da ostentare le foto di sacrifici umani anche su soggetti minorenni. Le immagini a quanto pare non sono risultato di fotomontaggio” (“Gazzetta del Sud”, sabato 1 Luglio 2000).
In Inghilterra un bambino ha fatto rivelazioni allucinanti. Il quotidiano “Il Giorno” (15/9/90) scrive: “Nei suoi racconti confusi emergono truculente storie di uccisioni di neonati, di tombe aperte di notte, di cannibalismo e di riti misteriosi con diavoli e fantasmi e bambini costretti a bere pozioni misteriose prima di venir violentati e chiusi in gabbia. Le rivelazioni erano state fatte dal piccolo e da sua sorella in marzo, con l’aiuto di bambole e disegni”. Misfatti, che sembrerebbero godere di protezioni ad alto livello.
Lobby politiche di alto livello e pedofilia.
Il giornalista Maurizio Blondet, nel corso di un’intervista (apparsa su “Teologica”, settembre/ottobre 1996), mi disse: “Certi personaggi praticano strani riti su un’isola vicino a Washington. Sono personaggi di alto livello, si riuniscono, in notti di luna piena, e celebrano dei riti molto particolari. Naturalmente nessuno vuole indagare su questo perché si tratta di gente molto potente. Sono cose che si sussurrano. Allo stesso modo in certi ‘entourage’ politici di alto livello si dice, molto sottovoce, che vengano stuprati dei bambini. Il tutto avviene in un sottofondo rituale di magia nera. Non sono persone comuni che fanno queste cose, si tratta di gente che ricopre altissime cariche, funzionari del Pentagono, etc.”.
Orrori su orrori, che si intersecano in quella terra buia degli adoratori del diavolo. Ecco quanto scrive ancora “Il Corriere della Sera” (28/7/90): “Orrore a Londra dopo la scoperta di un mercato di pellicole per pedofili con riprese dal vero” e più avanti “Scotland Yard teme che almeno venti bambini, scomparsi senza lasciare traccia negli ultimi sei anni, abbiano fatto una fine orribile. Una squadra speciale è stata formata per indagare nel lurido mercato dei video pornografici ‘snuff’ destinati a pedofili sadici. La parola ‘snuff’ in gergo significa ‘morire, spegnersi’ e in questi video le piccole vittime sono riprese dalle telecamere mentre sono torturate e uccise dopo avere subito violenze sessuali. La polizia è convinta che almeno sei bambini siano morti in questo modo a Londra e nella contea del Kent. L’Inghilterra… ha appreso con orrore che in seno alla società circolano mostri pronti a filmare i tormenti, l’agonia e la morte di bambini per soddisfare il piacere perverso di tanti altri mostri pronti a pagare dieci milioni per una copia del film”.
I misteri del Belgio.
E’ una tragedia immane, che dilaga sempre di più ovunque. Le stime esatte delle giovanissime vittime sono impossibili e non esistono dati certi sull’entità del fenomeno, tuttavia, non meno di 250 milioni di copie di videocassette sono commercializzate in tutto il mondo, solo negli Stati Uniti sono stati venduti 20 milioni di video. Film sempre più ‘forti’, spesso, con torture seguite dalla morte del bambino. Ogni anno, nel mondo, un milione di minori di 18 anni è vittima dei commerci più turpi, che vanno dal sesso perverso nelle sue più svariate forme: prostituzione, turismo sessuale, pedofilia, pornografia, sadismo, etc., fino all’omicidio. Fatti orribili accadono in ogni parte di questo nostro pianeta. Sono recentissime le efferatezze compiute in Belgio. Fatti che, giorno dopo giorno, emergono identici a quelli appena narrati. Orrori, come quelli che sarebbero stati compiuti dal pedofilo criminale Marc Dutroux, ribattezzato il <<mostro di Marcinelle>>. Fatti truci e sconvolgenti, che la dicono lunga sulla diffusione di questo raccapricciante fenomeno.
Nei video del Dutroux “si vedrebbero – scrive la ‘Gazzetta del Sud’ del 23 novembre 1996 – bambine violentate fino ad essere uccise. La denuncia è stata fatta ieri durante le manifestazioni organizzate a Parigi in occasione della prostituzione minorile e a dare l’incredibile notizia è stata la signora Sophie Wirtz, a capo della sezione belga del ‘Movimento del nido’ “. Più avanti altri fatti terribili: “Non si è ancora toccato il fondo dell’orrore in questa tragedia – ha detto la signora Wirtz – da due anni continuiamo a dire che le cassette video che fanno vedere la morte in diretta di bambini circolano in Belgio e temo che nell’affare Dutroux ci si orienti proprio verso questo genere di nefandezze”. La Wirtz afferma che, dall’inizio dei fatti accaduti in Belgio, le video cassette di pornografia minorile sequestrate sarebbero 600. La presidente del “Movimento del nido”, nell’intervista pubblicata dal quotidiano, spiega che la pedofilia: “non è un rapporto affettivo anzi è l’espressione del dominio sul bambino e lo stadio estremo di questo dominio è proprio la morte”. Parole che bruciano come fuoco.
Nell’affare Dutroux c’è di tutto: pedofilia, omicidi, necrofilia, snuff-film e personaggi dell’alta società belga, del mondo dell’alta finanza, della politica, etc. Questa è almeno l’opinione dei cittadini belgi. E’ anche strano che ad oggi l’inchiesta non abbia portato ancora a nulla circa i complici del Dutroux, anzi, sembra essersi arenata. Sono tanti i misteri. Dutroux aveva già ricevuto nell’89 una condanna di 13 anni di carcere per aver sequestrato e violentato, a più riprese, due minorenni nel 1985 e la sua compagna Michèle Martin è stata condannata a sei anni di carcere per analoghe imputazioni. Ma i due non hanno scontato totalmente la pena, avendo ottenuto la grazia direttamente dal re. Si mormora anche che le piccole vittime sono molto di più di quanto è stato detto. Così, mentre in Belgio oltre 350 mila persone manifestavano in piazza contro il mostro di Marcinelle e i tanti misteri che circondano quei crimini, in Svizzera calava il più stretto silenzio sul magnate elvetico arrestato, in Sri Lanka, con l’accusa di aver violentato mille e cinquecento bambini.
La sètta Anubis e il caso Dutroux.
La zia di una delle due ragazzine assassinate da Mark Dutroux, il mostro di Marcinelle, ha fatto gravi dichiarazioni: “Il mercato dei video porno che coinvolgono minori ha tentacoli in tutta Europa, in Olanda, in Germania e in Svizzera”. Mostruosità di un mondo che abusa dei bambini in ogni modo possibile, li stupra, li sevizia, li uccide brutalmente. Non è estraneo a questa efferatezza il revival dei culti satanici, che sono tornati in auge. Dal quotidiano fiammingo “Der Standaard”, si è appreso con stupore, che almeno quattro poliziotti farebbero parte della sètta satanica “Abrasax”, sospettata di aver comprato bambine, dal killer-pedofilo Dutroux, per i loro riti. Si è arrivati a questa sconcertante scoperta grazie ad una lettera (un “buono di comando” si è detto) trovata durante una delle perquisizioni successive alla scoperta dei corpi di Julie e Melissa, nella casa di Bernard Weinstein, sepolto vivo dallo stesso Dutroux. In questa lettera firmata “Anubis” si chiedeva a Weinstein di “non dimenticare di ricordargli che la grande festa si avvicina e noi attendiamo il regalo per la grande sacerdotessa”. Evidentemente Weinstein doveva “ricordare” la promessa a Dutroux.
In più è stato trovato, anche, uno strano documento, nel quale, si faceva presente la necessità di trovare il prima possibile “otto vittime da uno a 33 anni”. “Anubis” è, al secolo, Francis Desmedt che è anche “gran maestro” della cosiddetta “vieille religion”, una specie di associazione internazionale di streghe. E la grande sacerdotessa ha anche lei un nome? Certo, si chiama Dominique Nephtys, anche lei un pezzo da novanta della “chiesa belga di Satana”. Chi sono gli altri membri di questa sètta satanica rimasti segreti? E su quali protezioni hanno potuto contare? Le indagini si presentano subito difficili e lascia stupiti il fatto che viene cacciato il giudice anti-pedofilo Connerotte. Il magistrato non indagherà più su Dutroux. La Corte di Cassazione ha, infatti, deciso di togliere l’inchiesta al giudice istruttore Jean Marc Connerotte, che era diventato un eroe popolare. Alla notizia seguono manifestazioni e scioperi a catena. Una donna, mentre i manifestanti urlavano: “Justice pourrie” (giustizia marcia) ha gridato: “Oggi i bambini sono stati uccisi per la seconda volta”.
Ii console pedofilo.
Personaggi insospettabili continuano a fare scempio dei bambini e, spesso, rimangono impuniti. Recentemente il console aggiunto israeliano a Rio de Janeiro, Arie Scher, è stato accusato di pedofilia e traffico di minorenni è ed fuggito dal Brasile rifugiandosi in Israele. Scher sarebbe riuscito a scappare dal Brasile prima che le forze dell’ordine riuscissero a diffondere le sue generalità ai posti di frontiera. La polizia brasiliana ha raccolto, tra l’altro, le dichiarazioni di una ragazzina di tredici anni. La bambina “avrebbe partecipato a varie festicciole ‘a luci rosse’ nell’appartamento del console nell’elegante quartiere di Ipanema. La stessa ragazzina appare nuda, abbracciata al diplomatico, in una foto tra le numerose sequestrate nell’appartamento. Secondo la polizia, Scher e il suo complice, il professore di ebraico George Schteinberg, mantenevano nove siti Internet di pornografia e pedofilia” (“Gazzetta del Sud”, 7 Luglio 2000).
La caccia ai bambini in Belgio.
Ma c’è di peggio. il settimanale”Diario”(anno V numero 15. Da mercoledì 12 aprile a martedì 18 aprile 2000) pubblica un servizio davvero pauroso: “Dopo la terribile denuncia dell’eurodeputato Olivier Dupuis al congresso radicale, ‘Diario’ è andato a vedere che c’é di vero riguardo ai minori inseguiti e uccisi a fucilate per divertimento”. L’inchiesta dal titolo:”La caccia ai bambini in Belgio” è firmata dalgiornalista Gianluca Paolucci. Ecco un piccolissimo brano di quanto si legge: “Place Fontenas, pieno centro di Bruxelles, a due passi dalla Grand’ Place e dai caffé alla moda… Il percorso che ha portato a PLace Fontenas è partito da Roma, dove, durante il congresso del Partito radicale, l’europarlamentare belga Olivier Dupuis ha lanciato una serie di affermazioni che hanno letteralmente gelato la platea. Ha raccontato che nel suo Paese c’é stato un periodo nel quale alcuni bambini venivano costretti a subire violenze di ogni tipo, dove alcuni di questi bambini venivano perfino uccisi, come conigli, durante delle partite di caccia ‘alle quali partecipano nobili, finanzieri, notabili e funzionari dello Stato’ “.
Personaggi insospettabili nel revival delle sètte sataniche.
Nella nostra società il satanismo è un pericolo dilagante di cui, spesso, non se ne parla abbastanza, oppure lo si fa nel modo sbagliato. Gli adoratori del diavolo sono in aumento anche a Roma. Il quotidiano “Avvenire” del 5 settembre 1996 scrive: “un’altra sètta satanica è stata scoperta a Roma. Tremila adepti, 5 milioni per iscriversi…”. Il fatto che più “lascia stupiti – dissero gli inquirenti – è l’apparente insospettabilità di molte delle persone indagate…”. Si è anche appreso che: “sembra, che la congregazione contasse anche l’affiliazione di noti nomi del mondo dello spettacolo…”. In Inghilterra spariscono, ogni anno, circa centomila giovani. Scotland Yard, a Londra, deve occuparsi ogni giorno della sparizione di ben 2500 teenagers. I più vengono rintracciati, di alcuni non se ne saprà più nulla. Il giornalista Alfio Bernabei riporta altri fatti terribili accaduti a Londra: “Carni di bambini e di feti umani sono state mangiate da uomini e donne che hanno preso parte a riti cannibalistici in Inghilterra in questi ultimi anni nel quadro di un sinistro revival di cerimonie sataniche. Alcuni bambini sono stati sacrificati su altari dopo aver subito torture e sevizie sessuali…” (”L’Unità”, 9 agosto 1990). Sembra un’umanità impazzita.
Millecinquecento persone sparite in sei mesi.
Negli Stati Uniti questi orrori sono ancora più frequenti. E’ Modesto, “la cittadina californiana che detiene il record nazionale Usa di chi sparisce nel nulla”. “Non è chiaro perché, ma questo fazzoletto di California a est di San Francisco, detiene il record per il più alto numero di persone sparite nel nulla in America. I mancanti all’appello sono ben 1.500, soltanto negli ultimi sei mesi. Il fenomeno è davvero preoccupante, enorme: negli Stati Uniti, ogni anno, viene compilata una lista di circa 100 mila nomi” (“Diario della settimana”, n.17. Da mercoledì 28 aprile a martedì 4 maggio 1999). Gli investigatori, almeno per alcuni di questi casi, puntano il dito sul mondo variegato e misterioso delle sètte sataniche. Questo è anche il pensiero di Fay Yager, dirigente il “Centro per la difesa dei bambini” (Children of the Underground). Il giornalista Giorgio Medail, nella trasmissione televisiva “Arcana”, trasmessa su Canale 5 (1989) affermava che negli Stati Uniti, secondo fonti attendibili, ogni anno vengono uccisi nel corso di riti satanici 50.000 persone, per lo più giovanissimi.
Bambini sacrificati a satana.
L’ex direttore dell’FBI di Los Angeles, Ted Gunderson, che ha dedicato molti anni ad indagare sui legami tra le sparizioni dei bambini e i riti satanici, affermò, in una puntata della trasmissione “Arcana”, che le vittime vengono torturate e poi uccise. Gunderson, tra l’altro, denuncia: “Durante le mie indagini, ho scoperto che esistono organizzazioni che rapiscono bambini per poi utilizzarli per sacrifici umani durante feste sataniche. Questi fatti coinvolgono, ai più alti livelli politici, avvocati, giudici, gente di potere… Sì, questi gruppi satanici sono indubbiamente coinvolti nel traffico di droga, nella prostituzione minorile, nella pornografia e nella produzione di “snuff-film”… Ho raccolto testimonianze di bambini di otto, nove anni. Avevano disegnato cose orribili: gente, fuoco, un bambino nel fuoco, feticci satanici, bambini torturati. Come può un bambino immaginare cose simili se non le ha vissute?” (Giovanni Caporaso e M. Cocozza Lubisco, Bambini. Il mercato degli orrori, cit.).
L’inchiesta del Washington Times.
Il perché questi orrendi crimini, nella stragrande maggioranza dei casi, restano impuniti e si fa poco a livello di indagini sarebbe dovuto al fatto, sempre secondo Gunderson, che manca la volontà politica. La legge non è severa, perché questi gruppi hanno protezioni ad alto livello. Negli USA si “discute su due scandali legati alla prostituzione infantile: droga-party con la partecipazione di bambini ed uccisioni in diretta per produrre snuff-film, che hanno coinvolto politici… molto vicini alla Casa Bianca. I servizi segreti, che dipendono direttamente dal presidente, sono intervenuti insabbiando le indagini, le vittime sono finite in prigione e i testimoni sono scomparsi e morti in strani incidenti o suicidi” (Ibid.). Il giornalista Paul Rodriguez del “Washington Times”, dopo una lunga e delicata indagine affermò: “Sono riuscito a provare che personaggi legati alla Casa Bianca e ai servizi gestivano una rete di ragazzi di vita, ho trovato molti documenti che provano il coinvolgimento di Craig Spence – probabile ex agente della Cia, legato agli ambienti dei servizi della Casa Bianca, ex direttore dello staff di George Bush e figura chiave nello scandalo Iran-Contras – nell’organizzazione di party gay e di pedofili. Dalle prove emerge il nome di un altro deputato, Barry Franks. Ci abbiamo lavorato in quattro per oltre un anno e le informazioni raccolte sono agghiaccianti. L’FBI è stato estromesso dalle indagini e del caso si sono occupati i servizi segreti che dipendono direttamente dalla Casa Bianca. E tutto ciò è molto strano. La rete criminale aveva legami sia con esponenti repubblicani che democratici e si estendeva da New York alla Pensilvania, dal Nebraska alla California. Il reclutamento dei ragazzi avveniva in molti modi, alcuni venivano rapiti per strada e poi detenuti in fattorie particolari. E’ un business imponente, prendono i bambini scappati di casa, negli istituti di adozione, nei campeggi…” (Ibid.).
Rodriguez editorialista del “Washington Times”, ha svolto indagini per alcuni mesi, prima di sparare in prima pagina del suo giornale articoli di fuoco su una rete di ragazzi “di vita” che coinvolgeva deputati e vip legati a Ronald Reagan e George Bush. “Sesso in vendita in un appartamento di un deputato”, “Il servizio segreto insabbia l’inchiesta sui prostituti dei vip”, “Ragazzi di vita portati in un tour di mezzanotte alla Casa Bianca”: questi i titoli del Washington Times”. (Ibid.). Dopo alcuni articoli Rodriguez mollò misteriosamente l’indagine.
Pezzi di ricambio umani.
Vi è, addirittura, anche un mercato di “pezzi di ricambio” umani. Vengono inviati ai possibili clienti veri e propri cataloghi di organi, che dovrebbero servire o come feticci umani per riti satanici o, in altri casi, per corroborare il traffico internazionale clandestino dei trapianti. “Centinaia di minorenni, maschi e femmine, spariscono ogni anno. Molti finiscono all’estero, nel mercato delle adozioni clandestine. Molti finiscono nel circuito della pedofilia e della pornografia” (“Visto”, 8/11/1996). Così ha denunciato la parlamentare Rosario Godoy de Osejo, fondatrice di un “Comitato per i bambini scomparsi” e prosegue: “Ho il sospetto che la ragione della scomparsa possa essere il prelievo di giovani e sani organi da vendere nei paesi ricchi. Se le cose stanno così, è facile capire che fine fanno questi bambini una volta ‘esportati’ “. Fatti allucinanti.
Piccole cavie da cui espiantare organi.
Non è, infatti, neppure una “leggenda urbana” quella del supermarket degli organi di giovani cadaveri, ma una realtà agghiacciante. La “Gazzetta del Sud” di Venerdì 25 Agosto 1995, al proposito, scriveva: “L’Onu ha denunciato, in forma ufficiale, il traffico di bambini che si svolge, con queste finalità, in alcuni paesi. (…). La commissione delle Nazioni Unite ha esaminato, in questi ultimi tempi, un numero imprecisato di testimonianze, documenti scritti e anche video, forniti dalle organizzazioni per la protezione del fanciullo, dai quali risulterebbe che i reati, da sempre negati energicamente dai paesi interessati, vengono commessi… Un portavoce della commissione si è rifiutato di fare il nome dei paesi sospetti”. Eric Sottas direttore di “Torture International” ha ricordato fatti orribili, come i 1395 giovani malati, spariti, in Argentina, dall’ospedale psichiatrico di La Colonia Montes de Oca, vicino Buonos Aires, come ha denunciato, con documentazione ineccepibile, la giornalista investigativa francese Marie Monique Robin. Sottas ha anche rammentato il ritrovamento, nelle celle frigorifero della camera mortuaria della Facoltà di Medicina, dell’Università di Barranquilla, Colombia, di numerosissimi corpi, dai quali erano stati espiantati organi destinati a corroborare il traffico dei trapianti.
Un pozzo di orrori che sembra non avere mai fine. “Anche Baby Doc, l’ex dittatore di Haiti, si sarebbe arricchito commerciando cadaveri freschi e organi congelati. Coloro che ricevevano gli organi da trapiantare erano cliniche statunitensi e istituti americani universitari o di ricerca. (…). Anche in Guatemala vi è stato un traffico di bambini venduti agli USA per trapianti (‘Corriere del Ticino’, 6 marzo1987. ‘Gente’, 20 marzo1987) mentre quanto accaduto in Honduras è stato confermato dalle agenzie di stampa (Agenzie ATS, ANSA, APP, e ‘Corriere del Ticino’, 5 gennaio 1987). In Colombia i bambini vengono rapiti mentre giocano sulla strada, portati in laboratori dove vengono loro estirpati gli occhi e poi rimessi in libertà dopo opportuna medicazione (Agenzia AGI-EFE, giugno 1987). In una colonia tedesca del Cile alcune sperimentazioni mediche, soprattutto manipolazioni genetiche, sarebbero praticate su bambini e adolescenti… (‘Libération’, 7 dicembre 1987)” (Milly Schar-Manzoli, Manuale di difesa immunologica, Meb, Padova 1988).
Cadaverini da smembrare o da mangiare.
Dagli Stati Uniti ci arrivano notizie di “interesse scientifico” semplicemente assurde. Ecco quanto pubblicava il quotidiano “La Repubblica” (del 23 novembre 1994) in merito alla “tecnica” messa appunto da ricercatori dell’Università dell’Indiana (USA): “Un cuore nuovo? Meglio rinnovare il vecchio organo, evitando il trapianto… La possibilità ora c’è: le cellule del cuore dell’embrione. Impiantate nel muscolo cardiaco adulto, si moltiplicano e, poi, si saldano con le vecchie, portando all’organo malato la forza e la longevità delle cellule giovani. E per ridurre ulteriormente i rischi di rigetto, quasi a zero, le cellule nuove potrebbero essere prelevate dal figlio del ricevente, un embrione creato in provetta col seme del paziente e l’ovulo della madre. Nella impossibilità di adottare tale sistema – che è in assoluto il più valido – si può ripiegare sull’ovulo di un’anonima donatrice, in modo che le cellule siano per metà geneticamente identiche”. Se qualcheduno non lo avesse ancora capito, la raccomandazione “scientifica” è che, se si vuole dare più tono al proprio cuore invecchiato, occorre soltanto generare un figlio e poi ucciderlo per farsi innestare le sue giovani cellule nel proprio vecchio cuore. Da inorridire.
Ma non è tutto, si possono anche integrare le diete e con grande giovamento, con feti abortiti. Increduli? Ecco quanto scrive P. Andrea nel suo “Onan il grande peccato ieri e oggi” (Salus Infirmorum, Padova – Edizioni Pater, L’Aquila, 1996) citando il quotidiano “Avvenire” del 5 maggio 1995: “Feti abortiti usati come integratori alimentari per garantire ‘pelle morbida e un corpo più forte’. Cadaverini utilizzati in cucina per farne ‘zuppe ottime per la salute’. Sembra essere questa l’ultima ‘novità’ dietetica in voga in Cina, almeno a quanto rivelato, nei giorni scorsi, da un’agghiacciante inchiesta pubblicata dal quotidiano di Hong Kong Express Extra…”.
Se è pur vero che il sistema mediologico non serve a far sapere la realtà, ma a creare un rumore di fondo omologante (la logica omologante presiede alla globalizzazione del mondo) in cui tutti pensino allo stesso modo e a far credere alla gente che viviamo in un mondo trasparente, pulito, dove non c’è nulla da nascondere, di tanto in tanto, tuttavia, nella baraonda delle notizie, appiccicate alla rinfusa sui quotidiani, energono fatti tremendi: “Piccole cavie. Gran Bretagna, 28 bambini uccisi per sperimentare un ‘nuovo trattamento’ “. Ecco quanto pubblica “Il Manifesto” del 9 Maggio 2000. In breve l’agghiacciante notizia: “Neonati prematuri alla stregua di porcellini d’india, utilizzati per sperimentare un nuovo ventilatore da incubatrice: tutto questo è accaduto in Gran Bretagna, in un ospedale del nord del paese. Risultato: 28 bambini deceduti, altri 15 con danni cerebrali permanenti, su un totale di 122 bambini sottoposti al ‘nuovo’ trattamento. Questo tremendo bilancio emerge dal rapporto di una speciale commissione d’inchiesta ordinata dal ministro della sanità britannica, per indagare sui fatti avvenuti nel North Staffordshire Hospital di Stoke-on Trent tra il 1989 e il 1993”.
Chi indaga sui traffici di organi muore.
Nel maggio 1996 il giornalista francese Xavier Gautier de “Le Figaro” viene trovato impiccato alle Baleari, nella sua residenza estiva. Una morte avvolta nel più fitto mistero. Gli investigatori spagnoli, poi, parleranno di suicidio. Gautier, prima di partire per le vacanze, aveva lavorato ad una lunga inchiesta su un presunto traffico di organi dalla Bosnia ad una nota clinica dell’Italia del nord.
L’ex ministro per la Famiglia Antonio Guidi aveva avvisato: “Il fenomeno è mondiale. Ma l’Italia, così com’è stata ed è un luogo di passaggio delle droghe, adesso è un punto di transito di bambini a rischio… Arrivano dai Paesi in guerra dell’Est, da quelli poveri dell’Africa. Parecchi di loro – chi può individuarne il numero? – sono destinati ad essere carne di riserva per i ricchi. Piccoli depositi di organi per i figli di chi ha denaro”. Guidi alla domanda se alcuni di questi bambini venivano mutilati, per conseguenti trapianti in Italia, aveva risposto: “In Italia, no. E’ impossibile. Ma attraversano le nostre terre come uccelli migratori, il cui destino è di essere abbattuti” (”Il Giornale”, 4 settembre 1995).
Le accuse fatte all’Italia.
Eppure l’Italia, scrive Giangiacomo Foà, è stata denunciata “dall’autorevole quotidiano La Nacion di Buenos Aires che in un articolo di fondo si fa eco delle accuse di don Paul Baurell, professore di Teologia dell’Università di San Paolo, e delle denunce fatte il primo agosto 1991 a Ginevra da René Bridel, rappresentante nelle Nazioni Unite dell’Associazione internazionale giuristi per la difesa della democrazia. (…). All’articolo di fondo de La Nation ha fatto eco O Globo di Rio che ci definisce ‘i maggiori importatori di bimbi brasiliani’. Il corrispondente di O Globo a Roma afferma: ‘L’Italia è il più importante compratore di bambini…’. (…). Anche in Perù la stampa ci accusa. Da mesi il quotidiano La Repubblica di Lima denuncia, con nome e cognome, coniugi italiani che sono arrivati in Perù per comprare bambini di pochi mesi o di pochi anni. Negli ultimi tempi avremmo ‘importato’ 1.500 piccoli peruviani, molti dei quali – secondo la stampa di Lima – sarebbero stati poi assassinati per asportare i loro organi per trapianti” (”Corriere della Sera”, 7 settembre 1991).
Quello dei bambini rapiti, schiavizzati, violentati, costretti a prostituirsi, immolati a Satana o uccisi per espiantare i loro organi è un orrore su scala planetaria. Eppure si continua a fare poco o nulla. Giornali e televisione non denunciano il problema in tutta la sua reale gravità. Ne parlano poco e male, di tanto in tanto. I pericoli per i giovanissimi, come si è visto, vengono da più fronti, non ultima è la constatazione che, sul nostro pianeta, aumentano sempre di più le sètte dedite al culto del diavolo. Lo stesso Guidi aveva avvertito: “Alle soglie del 2000 si sta addirittura registrando un aumento di riti ‘religiosi’, mi raccomando le virgolette, che prevedono anche il sacrificio umano di bambini” (”L’Italia settimanale”, 15 settembre 1995).
Si ringrazia GIUseppe Cosco
Human life has no price!
Ma gli organi si!!!
“L’unico momento in cui mi sono accorto di fare qualcosa di diverso è quando tolsi il cuore del paziente, il muscolo cardiaco non era più nella sua sede naturale e questo mi pose davanti a una situazione del tutto diversa, eccezionale, perché avevo tolto il cuore ad una persona ancora viva e lo avevo trasferito nel petto di un’altra persona…”
Christian Barnard
Questo è il listino aggiornato U.S.A. (anno 2000) per gli organi :
Capelli : $5, 30 grammi
Due cornee : $8.000
Cervello ( per chi lo possiede ): $661.587,22
Cuore : $57000
Due polmoni : $116400
Due reni : $92450
Seno : $56562,50
Ghiandole surrenali : $5,75
Pancreas : $46080,64
Apparato riproduttivo : 445046,60
Intestino tenue : $69600
Fluidi e tessuti : $42674493,56
La cui somma porta ad un totale di : $44701295,82
Non so cosa ci facciano con organi tipo il cervello ma questi sono i prezzi.
Provate a digitare su un motore di ricerca questa frase : kidney for sale ( rene in vendita ), vi appariranno una marea di pagine, le pagine della vergogna della rete! . Un esempio ?
“Sono un 43 enne, con gruppo sanguigno A+, non ho mai bevuto alcool, metto in vendita uno dei miei reni. Gli offerenti dovranno aspettare il mio suicidio, il 25 gennaio, il miglior offerente vincerà, contattatemi via mail!”
“Ciao, il mio nome è Angel, ho 29 anni, il mio gruppo sanguigno è O+, per maggiori informazioni contattare………”
“Voglio vendere il mio rene, sono un 25 enne della Polonia, il mio gruppo sanguigno è AB rh+, donatore regolare di sangue. Contattare……”
Addirittura esiste un sito : www.organkeeper.com/links.html che significa “il trovatore di organi”. Si può trovare il link a qualsiasi cosa tu stia cercando, informazioni scientifiche o siti dove li vendono!
La storia inizia nel lontano 1999, ecco a voi la storia come l’ho letta io……
Una notte d’agosto del 2001. Come fanno molti per distrarsi dall’afa estiva, anche Timothy, giovane internauta americano, legge la posta elettronica. Una e-mail lo lascia di stucco: “ 0” type kidney for sale, c’è scritto nell’oggetto del messaggio. Il mittente, jimsdad@bigfoot.net , gli chiede: “Se hai bisogno o se conosci qualcuno che ha bisogno di un rene, per favore contattami.
Sto vendendo all’asta silenziosa un rene molto sano, di tipo ‘0’. L’asta si chiuderà il 31 agosto. Fai la tua offerta per e-mail. Jim”.
A caldo, Timothy si sfoga su una chat line: “Quando ho letto il messaggio, ho dovuto fermarmi un momento. Poi, con orrore, ho cominciato a percepirne i dettagli. Per essere disponibile in una data precisa, il rene non può essere donato da un morente mantenuto artificialmente in vita, la cui famiglia ha deciso di staccare la spina. No : questa è una persona sana che si fa togliere un rene per venderlo all’asta!”. Comprensibile lo stupore di Timothy, ma non si tratta di un evento isolato. Il traffico di organi on-line avviene da tempo ed è balzato alla cronaca nel 1999, quando uno dei più famosi siti di aste – eBay.com – Internet Auction House – ha dovuto sospendere le vendite per ordine dell’Fbi. Qualcuno aveva avvertito i federali che nel sito c’era un’offerta decisamente illegale:“Vendesi rene perfettamente funzionante. Potete scegliere uno dei due. Ovviamente un solo rene è in vendita, perché l’altro mi serve a vivere. I compratori devono pagare le spese dell’espianto e le cure mediche. Solo offerte serie”. E a quel punto le offerte sono arrivate a pioggia: dai 25 mila dollari di partenza, in pochi giorni il battitore elettronico è arrivato sino a 5,7 milioni di dollari. Dopo un’accurata ispezione del sito eBay.com, è risultato che altri 17 reni e un fegato erano in vendita all’asta. Senza l’intervento delle autorità, centinaia di venditori e compratori avrebbero fatto affari conservando l’anonimato grazie alla corrispondenza via e-mail. Ma il gioco sembrava terminato in quel lontano settembre del 1999. Invece, no. Il traffico on-line di organi prospera ancora, e rigoglioso.
[ tratto da http://www.happywebonline.it/archivio/03-2002/mag-art2.htm ]
Sempre su e-bay si trovano oggigiorno strane videocassette battute all’asta : cassette sui trapianti “nuove di zecca”, non suona strano? No? Non ditemi che tutti gli studenti di medicina italiani si ammazzano di videocassette sui trapianti……
Da dove provengono gli organi :
Turchia
Alcuni immigrati curdi, giunti in Italia con evidenti segni di un recente espianto di rene, potrebbero essere la prova che i trafficanti turchi di clandestini si fanno pagare il “viaggio della speranza” in questo modo.
Cina
Il mercato coinvolge i condannati a morte, che vengono depredati dei loro organi subito prima dell’esecuzione. I maggiori acquirenti sono i ricchi malesi, che si fanno operare nelle cliniche cinesi di Stato.
Russia, Ucraina, Moldavia, Romania
Per questi paesi passa la nuova autostrada dei traffici di organi.
Gli adulti vengono portati in Turchia e in Georgia con il visto turistico.
I bambini vengono rapiti e venduti localmente, oppure passano per le vie della prostituzione infantile, mentre i loro organi vengono recapitati per via aerea in Europa e Usa.
Italia
Anche l’Italia è coinvolta nel traffico d’organi: infatti accade che gli immigrati clandestini, ricattati dagli usurai e manovrati dalla malavita organizzata, finiscano per pagare il loro viaggio con un organo (di solito un rene) proprio o di qualche parente
Afghanistan
Durante il regime dei talebani, centinaia di bambini dai 4 ai 10 anni sono stati rapiti in strada. I genitori li ritrovavano qualche giorno dopo tra le immondizie:
senza cuore, occhi e reni. Non è certo che il mercato si sia interrotto dopo la sconfitta degli integralisti.
Filippine
Anche le Filippine sono tristemente note come serbatoio per i trapianti di reni nei paesi arabi
India e Pakistan
Con il pretesto di effettuare le analisi necessarie a trovare un lavoro, si viene ricoverati e ci si risveglia con un rene in meno.
Sudafrica
Il prelievo illegale di organi avviene negli obitori della polizia, con il consenso degli ufficiali corrotti dai trafficanti
Iraq
Da quando è sottoposto a embargo, l’Iraq è diventato un fornitore di reni per le cliniche di lusso dei paesi arabi
Brasile, Argentina, Messico, Ecuador, Honduras, Paraguay
In questi paesi ogni anno spariscono decine di bambini, rapiti dalla malavita locale.
Egitto
È considerato uno dei paesi fornitori di reni per i ricchi che vanno a operarsi nei paesi del Golfo, Arabia Saudita in testa.
Questa “vendita di pezzi di ricambio” è qualcosa di obbrobrioso e qualcosa che andrebbe censurato in rete come in tutto il mondo!
Incominciamo a censurare questo tipo di siti, anzi la dico tutta chiara e precisa :
“URBANI piuttosto che tirarti le paranoie sul P2P ( Pear2Pear ) e sul file sharing, prova a partorire qualche idea più intelligente, diversa dalle tasse imposte a noi webmaster sulle foto che pubblichiamo, oppure sul mettere noi scrittori in ERBA alla stregua degli scrittori sovversivi (ma siamo nel fascismo?), prova a mettere qualche finanziere in più a controllare questi siti!!”
Con questo chiudo il discorso, disgustato ed amareggiato per cosa offre questa rete dell’indecenza, ringrazio tutti per la cortese attenzione!
Lucignolo | 29 Settembre 2004
da “il manifesto” del 30 Aprile 2002
BIOMERCATO/1
Istanbul, il bazar degli organi
La valigia russa Ad Aksaray, accanto a spezie e tappeti, venditori provenienti dall’ex Urss offrono sigarette, falsi Vuitton, ed esseri umani Trattative Turchi e moldavi, poveri e disperati, mettono in vendita parti del loro corpo. Un rene per 10 mila dollari
Marina Jiménez, giornalista del quotidian canadese National Post, candidata quest’anno al National Newspaper Award per i suoi reportage sul commercio di organi umani nelle Filippine, recentemente si è recata a Istanbul per indagare sul commerci In una città famosa per le gallerie labirintiche e i bazar esotici, un mercato nuovo e più sinistro prospera nel parcheggio di una strada secondaria. Mentre il Bazar Coperto di Istanbul – dove si vende di tutto, dagli arazzi di seta alle spezie dall’aroma acre – non è cambiato molto dai tempi dell’impero ottomano, questo nuovo mercato gestito dai russi e da altri cittadini dell’ex Unione Sovietica si trova in un vecchio quartiere di filande vicino al cuore della città. Le merci in vendita a Aksaray sono prodotti contraffatti – ed esseri umani, e parti del loro corpo.
Il «commercio della valigia russa» [forma di traffico semi-clandestino, ndt] è sorto una decina di anni fa dopo il crollo dell’Unione Sovietica. Da allora i venditori ambulanti sono arrivati qui da tutta l’Europa orientale per vendere di contrabbando le loro merci introdotte in Turchia in ordinati pacchi marroni. In offerta ci sono barrette di cioccolata dei Pokémon prodotte in Giappone a un dollaro a confezione, sigarette importate e false valige Louis Vuitton, bottiglie di vino rosso della Moldavia piene di sedimenti, kit di attrezzi da lavoro fabbricati in Germania e imitazioni dei profumi Chanel.
Insieme alle valige sono in vendita anche delle persone. Poco tempo fa, una domenica mattina, più di 300 immigrati si sono riversati nella strada ghiacciata. Molti provenivano dalla Romania e dalla confinante Moldavia, piccola ex repubblica sovietica priva di accesso al mare con il triste primato di avere l’economia più povera d’Europa.
Donne matronali in pesanti cappotti e scialli «babushka» dai colori vivaci, le caviglie gonfie costrette in scarpe di basso prezzo, formano piccoli capannelli sperando di trovare lavoro come domestiche o bambinaie a 300 dollari al mese. Per la stessa paga gli uomini cercano lavoro come giardinieri o muratori.
Con i capelli tinti e il mascara applicato con cura, moldave più giovani e graziose vendono il loro corpo per 100 dollari a notte. Gli sfruttatori le offrono come schiave del sesso anche per 100.000 dollari «per farci quello che ti pare».
Infine, in piedi ai bordi della strada, ci sono mercanti che non troverete in nessun altro bazar: i venditori di reni.
Questa gente impoverita – turchi, moldavi e di altri paesi dell’Europa dell’Est – è così disperata da essere pronta a rinunciare a un organo pur di fare soldi. Contrattano furiosamente sul prezzo: partono da 50.000 dollari ma, come i venditori di tappeti e i mercanti d’oro del Bazar coperto, sono sempre disposti ad accordarsi per una cifra più bassa.
Le trattative sono un tormento lento, condotte davanti a una tazza di tè turco lontano dagli sguardi imbronciati delle prostitute, delle domestiche e delle bambinaie moldave che disapprovano il commercio illegale di organi per cui Istanbul è ora rinomata.
Satilmis Korucu viene da un villaggio sulle coste del Mar Nero in Turchia. Ha saputo del commercio di reni da un amico moldavo. È stato messo in contatto con un tizio che pensava fosse un trafficante di reni sotto copertura, ma che in realtà era un giornalista turco. A sua volta, «l’agente» ci ha presentate come sue clienti nordamericane. Korucu vuole 50.000 dollari per un rene – ma è pronto a venderlo per 20.000. «Non avevo mai pensato di arrivare a questo punto, ma ho cominciato a pensare di vendere un rene nell’ultimo anno» racconta il quarantenne fornaio, dita contratte e sudicie, fronte grinzosa, una giacca sciupata e inzaccherata di pioggia. «Ho perso il lavoro. Ho appena divorziato. Ho un bisogno disperato dei soldi. Voglio mettere su un’attività, magari una sala da tè».
Korucu, con i suoi affanni, non è che una rotella nell’ingranaggio del commercio di organi umani, che si rivela un traffico globale da molti milioni di dollari, altamente sofisticato e ben organizzato.
Istanbul è diventata una delle molte nuove mete del commercio di reni che sono emerse nel mondo, mentre il traffico illegale si sta estendendo all’Asia, al Medio Oriente e al Sud America. La città ha tutti gli ingredienti perché il commercio abbia successo: un hinterland di gente povera, rotte commerciali tra Oriente e Occidente e un sistema sanitario relativamente sofisticato.
Gli acquirenti, molti dei quali arrivano da Israele, vengono portati qui in «tour dei trapianti» organizzati da un chirurgo israeliano fuorilegge. In Turchia i mediatori fanno incontrare le parti, mentre compiacenti medici locali officiano la cerimonia eseguendo nel cuore della notte interventi chirurgici illegali in sale operatorie affittate da cliniche private.
Preoccupato per la sua immagine – specialmente alla luce di un possibile ingresso nell’Unione Europea – il governo turco ha cercato di ridurre al minimo le dimensioni del traffico di reni. A Istanbul le autorità hanno compiuto quattro irruzioni in ospedali compiacenti dando la caccia ai medici ritenuti responsabili.
Ma a favore della sua persistente vitalità depongono tutti coloro che prendono parte al mercato: dottori, venditori e acquirenti. Secondo fonti israeliane, negli ultimi cinque anni si sono recati all’estero centinaia di israeliani, molti dei quali in Turchia, per ricevere organi espiantati da migranti dell’Europa dell’Est. I compratori pagano da 100.000 a 180.000 dollari per intervento chirurgico, assistenza postoperatoria e medicazioni.
Michael Friedlaender, primario di nefrologia all’Hadassah University Hospital di Gerusalemme, spiega che nella sua clinica circa il 25% dei pazienti ha acquistato all’estero i reni trapiantati. Secondo prove raccolte da svariate fonti, tra cui Interpol, polizia turca e moldava, il commercio di organi è controllato da una mafia transnazionale – anche se nessun esponente della criminalità organizzata è stato mai arrestato per questo tipo di traffico.
In Moldavia i trafficanti di organi lavorano con le controparti turche andando a caccia di venditori. Dal 1998 hanno fatto arrivare a Istanbul, in autobus o in aereo, circa 300 moldavi che vengono ospitati in alberghi nel quartiere di Aksaray finché non si trova l’acquirente. Poi subiscono l’intervento e firmano una liberatoria in cui dichiarano di non essere stati costretti né pagati per donare i loro organi. I moldavi sono pagati circa 2.700 dollari, una piccola parte della somma chiesta dai venditori turchi. (Ci sono anche prove che questo particolare mercato clandestino ha raggiunto il Nord America; l’anno scorso il Dipartimento di Stato Usa ha aperto un’indagine su dozzine di casi di «turisti» moldavi che sono entrati o hanno cercato di entrare nel paese. Le autorità sospettano che il motivo non sia cercare lavoro o fare del turismo, ma vendere un rene.)
Poi ci sono i giocatori più disperati: i venditori freelance al «mercato russo della valigia» di Istanbul. «Ragazze, organi, pacchi, tutto è mescolato. Potrebbero essere controllati dagli stessi gruppi criminali» spiega il turco Eugun Ozsunay, professore di diritto che si occupa di bioetica e che ha collaborato ad alcuni procedimenti sulle merci contraffatte. «Una città portuale avrà sempre fenomeni simili, ma non in proporzioni così vaste. Il mercato nero qui è stupefacente».
Poco tempo fa – è domenica – le strade di Aksaray si riempiono di minivan provenienti dalla Moldavia e di immigrati in jeans e giacche nere di pelle a buon mercato. Si disperdono quando la polizia si avvicina; ma le autorità li lasciano stare e presto si raggruppano di nuovo, pronti a vendere oggetti di tutti i tipi o ad accettare qualunque lavoro. Alcuni moldavi sono turbati dall’idea di vendere una parte del corpo. «Non faremmo mai una cosa simile. Al giorno d’oggi è in vendita proprio tutto?» dice una donna di 42 anni che cerca lavoro come cameriera. «Non si può vendere la propria vita».
Altri non hanno simili scrupoli. Satilmis Korucu, il turco che si è trovato in ristrettezze, si offre di cercare i suoi due amici moldavi, che fanno parte di un giro di venditori di reni. Di recente, quattro moldavi e una coppia rumena hanno incontrato un giornalista che fingeva di essere un trafficante di organi in incognito e hanno avviato una trattativa. Il rumeno, che ha detto di chiamarsi Ahmet, voleva 50.000 dollari e progettava di mandare i soldi a casa per mantenere i suoi due figli. Si è offerto di reclutare altri venditori.
Korucu, che ritiene di essere un donatore perfetto per un paziente con sangue di tipo AB, dice di essere in buona salute e che le due ferite infette e piene di pus che ha sulla mano sono solo ferite superficiali. «Ho fatto un’antitetanica ma non mi posso permettere di comprare gli antibiotici che mi sono stati prescritti. Ma sono pulito» dice, rimuovendo la fasciatura a brandelli sulla mano destra. «Non ho mai avuto niente a parte l’influenza».
Lui divide una stanza con un amico e guadagna 2 dollari al giorno come robivecchi, spingendo il suo carretto vicino agli hotel e ai discount di articoli in pelle a Aksaray, raccogliendo pezzi di metallo e vecchie lattine. Preferisce vendere un rene piuttosto che tornare a lavorare come fornaio. Dice di non temere l’intervento chirurgico.«Non va contro la mia religione. Mio fratello ha un rene solo e questo secondo è marcio [per insufficienza renale], ma vive bene perciò non credo che avrò alcun danno se ne vendo uno. La sola cosa che chiedo è di essere operato in un buon ospedale».
Un funzionario del ministero della sanità turco, Yasar Naci Uz, sottolinea che la Turchia non è il solo paese in cui si fa compravendita di organi: «La nostra è solo una fetta molto piccola del mercato» insiste. E inoltre, il governo ha «preso a cuore il problema». «Perché veniamo rimproverati noi per ogni moldavo che vende un rene?» chiede: «Abbiamo una legge che vieta il traffico di organi e che protegge le persone dal traffico».
Ma nonostante le severe leggi anti-contraffazione, le autorità turche non riescono a controllare il mercato dei reni, proprio come sono impotenti a reprimere il commercio di falsi rossetti Estée Lauder e di detergenti Tide. «Nel mondo c’è una grande richiesta di reni ma il tasso delle donazioni è basso, e non solo in Turchia» dice Nedim Sendag, presidente dell’Ordine dei medici turco: «La Turchia è il ponte tra l’Est e l’Ovest. È possibile che molti medici che sono in grado di eseguire un trapianto eseguano operazioni illegali. In questo business girano tanti soldi».
Mentre sorseggia le ultime tazze di tè in un albergo vicino al mercato, Satilmis Korucu abbassa il prezzo per l’ultima volta: «Per il rene accetto 10.000 dollari» dichiara in tono deciso. «Ed è la mia ultima offerta».
Traduzione di Marina Impallomeni© Featurewell e il manifesto
http://www.ilmanifesto.it/g8/php3/ric_view_g8.php3?page=/g8/dopogenova/3cd27c459e8b5.html&word=biomercato/1
da “il manifesto” del 03 Maggio 2002
BIOMERCATO/2
Fronte del corpo, l’affarista in camice verde
Il chirurgo avvoltoio Al centro del traffico d’organi è il dottor Sonmez, inventore di un nuovo «turismo dei trapianti»: far viaggiare non più i pazienti ma i donatori Tariffario Sospeso dall’Ordine dei medici, Sonmez continua a operare clandestinamente in cliniche private gestite da uomini d’affari sospettati di legami con la mafia
MARINA JIMÉNEZ, NANCY SCHEPER-HUGHES, Se la metropoli turca è il nuovo centro del traffico globale di reni, lo deve in buona parte al dottor Yusuf Ercin Sonmez, 44 anni, un turco ascetico, calvo, dalle dita affusolate, noto come il «dottor avvoltoio» per alcuni, «Robin Hood» per altri. Il chirurgo sta al centro di una vasta rete globale che coordina compratori e venditori. Vi sono prove per cui dietro il commercio di organi c’è la criminalità organizzata che gestisce il lucroso affare sotto la copertura di viaggi turistici organizzati. Ma il commercio non potrebbe prosperare senza la disponibilità di un personaggio come il dottor Sonmez a trapiantare reni acquistati nell’addome di disperati pazienti stranieri. Nonostante il suo ruolo centrale, Sonmez rimane defilato, sempre un passo avanti rispetto alle autorità e sempre sfuggente con la stampa. Fonte di molte chiacchiere, è aborrito e amato. Persino i suoi nemici dicono che è uno dei migliori chirurghi turchi in trapianti. Laureato in medicina all’università di Istanbul, all’inizio della carriera Sonmez osservò un fenomeno interessante che gli diede un’idea del mercato nero degli organi e che gli fornì una straordinaria trovata commerciale: allora per il trapianto i ricchi turchi si recavano nei bazar dei reni a Bombay e a Madras, in India. Le liste di attesa in Turchia erano lunghe e c’era penuria cronica di organi prelevati da cadaveri e donatori (oggi i turchi in attesa di un rene sono 11.000, ma il paese esegue solo 3.500 trapianti all’anno, per lo più con reni di donatori viventi).
«Dovevamo praticare l’assistenza post-operatoria a pazienti che erano andati all’estero» ricorda il dottor Hamdi Kocer, un suo ex collega. «Sonmez allora pensò di far venire in Turchia i donatori indiani». Era l’uovo di Colombo: far viaggiare non più i pazienti in attesa di trapianto, ma i donatori.
Ma a metà degli anni `90 l’abile ma volubile chirurgo era già un amareggiato outsider. Fu licenziato dalla clinica universitaria per contrasti con il primario e gli fu vietato di praticare in un secondo ospedale pubblico (Haydarpasa) perché i suoi metodi di procurarsi gli organi dai cadaveri erano ritenuti discutibili dal punto di vista etico. Bandito dalla sanità pubblica, Sonmez fu costretto a perseguire in altro modo il suo progetto. Prese a collaborare con un collega israeliano, il dottor Zaki Shapira, e con il dipartimento per il trapianto di organi del Beilinson Medical Center di Petach Tikvah in Israele. Il dottor Shapira forniva un flusso costante di pazienti, mentre il dottor Sonmez poteva contare su una rete locale di cosiddetti cacciatori di reni che lo rifornivano di organi.
All’inizio in Turchia c’era a disposizione un mercato di venditori che chiedevano per un rene dai 10.000 ai 30.000 dollari. I «turisti del trapianto» israeliani pagavano dai 100.000 ai 180.000 dollari per l’intervento chirurgico, il trattamento post-operatorio e le medicazioni.
Istanbul si rivelò una sede eccellente da cui coordinare il mercato. Con le sue rotte commerciali Est-Ovest e un relativamente avanzato sistema sanitario, aveva tutti gli elementi per far prosperare il mercato. Proprio come lo stretto del Bosforo collega l’Europa e l’Asia, così la città faceva incontrare i pazienti europei con i venditori poveri dell’hinterland. Per il dottor Sonmez il dottor Shapira si rivelò un partner perfetto. Con lui poteva eseguire centinaia di interventi in sale operatorie prese in affitto da cliniche sia pubbliche che private di Istanbul, spesso a tarda sera dopo che gli altri medici erano andati via da parecchio. Con uno staff di infermiere ridotto all’osso, e pochi giovani colleghi e anestesisti fidati, Shapira e Sonmez erano in grado di operare due pazienti renali alla volta. Un trapianto poteva richiedere al massimo quattro ore: l’organo estratto veniva immerso in una soluzione fredda per conservarlo e poi trasferito nell’addome del ricevente.
Malati cronici israeliani colsero al volo l’occasione dei i tour del trapianto e del mercato nero dei reni. A causa di persistenti dubbi tra gli ebrei ortodossi sulla natura tecnica della morte cerebrale, in Israele i tassi di donazione da cadavere erano – e sono ancora – molto bassi. Le liste d’attesa per il trapianto erano lunghe (oggi in Israele ci sono 1.200 pazienti in attesa di un rene) e per la maggior parte dei pazienti, anche se possono sopravvivere per molti anni con la dialisi, si tratta di un trattamento scomodo ed estenuante.
Anche i trapianti da parenti vivi sono rari in Israele; e quelli da donatori esterni al nucleo famigliare sono sottoposti a un monitoraggio attento per garantire che non vi siano compensi economici né coercizione. (In Canada e negli Usa i donatori non parenti – che forniscono più del 50% dei reni totali – vengono anch’essi monitorati per garantire che non si verifichino situazioni improprie).
Anche se in Israele è illegale comprare e vendere parti del corpo, il governo non persegue penalmente chi compie questa pratica all’estero. Per i candidati al trapianto che non vogliono più aspettare c’è un’interessante scappatoia: il sistema sanitario nazionale copre parte dei costi dei trapianti effettuati all’estero, incentivando così molti pazienti a uscire da Israele.
Così il dottor Sonmez aveva i pazienti. Ora doveva solo assicurarsi di non restare senza venditori di organi. Lui e i suoi intermediari allargarono la ricerca di reni dalla Turchia a Romania, Moldavia, alla Bulgaria, Bielorussia e Ucraina, tutti paesi dove per via della crisi economica il prezzo richiesto era molto più basso.
Il governo turco è molto sensibile al rischio di essere associato al traffico di organi perché se vuole che sia accettata la sua richiesta di aderire all’Ue, deve dimostrare di rispettare gli standard democratici e i diritti umani.
I nomi di Sonmez e Shapira furono fatti per la prima volta nel `98, quando il ministro degli affari interni rumeno presentò una protesta ufficiale al consolato turco di Bucarest perché i rumeni stavano vendendo i loro reni a Istanbul attraverso una rete coordinata dai due chirurghi. L’informazione fu passata all’Ordine dei medici turco. Nel giugno dello stesso anno Mehmet Ali Onel, un affermato giornalista che all’epoca lavorava ad «Arena», un programma della tv turca, contribuì a realizzare un servizio sensazionale che accusava Sonmez. Le telecamere nascoste registrarono un giornalista che si era finto un venditore clandestino e Sonmez discutere un prezzo di vendita di 8.000 dollari. Proprio quando il «venditore» e il medico stavano per entrare nella sala operatoria della clinica Mayan a Istanbul, il reporter lo accusò di traffico di organi. Nelle corsie della clinica c’erano sette pazienti, quasi tutti israeliani, che attendevano il trapianto di rene. Sonmez reagì freddamente, telefonò al suo avvocato e negò di aver fatto qualcosa di illegale.
Il servizio però provocò uno scandalo nazionale. Le autorità si mossero rapidamente per arrestare Sonmez. Per loro era difficile muovere le accuse perché tutti i pazienti avevano firmato delle liberatorie. Invece, l’Ordine dei medici ha sospeso a Sonmez la licenza per sei mesi e il servizio sanitario di Istanbul gli ha vietato per sempre di esercitare nella sanità pubblica. Il governo ha anche rifiutato di autorizzare le cliniche private a eseguire i trapianti, sperando di impedire che Sonmez operi lì.
Ma il dottor Sonmez presto ha ripreso le sue attività clandestine. Ha affittato le sale operatorie in una serie di cliniche private, molte appartenenti a Azmi Ofluoglu, un uomo d’affari sospettato di legami con la mafia che possiede oltre 50 strutture mediche in Turchia.
Sonmez entrerebbe nelle sale operatorie in piena notte dopo che gli altri medici sono andati a casa – per la frustrazione dell’Ordine dei medici. «Credo che il commercio continuerà per la grande domanda di reni non solo in Turchia ma nel mondo. Temo anzi che questa possa portare a forme di approvvigionamento ancora più terribili, come il rapimento di persone per la strada» dice in tono molto preoccupato il presidente dell’Ordine, Nedim Sendag, strabuzzando gli occhi e accendendosi una sigaretta mentre scartabella due faldoni pieni di documenti su Sonmez. «La Turchia è un paese ponte».
Il dottor Kocer, un vecchio collega del dottor Sonmez, è anche lui mortificato che il suo paese sia diventato famoso per questa obrobriosa impresa commerciale. Cinque anni fa ha lasciato la chirurgia dei trapianti per il disgusto, convinto che non possa essere una specialità «pulita». «Noi siamo l’Occidente» dice. «Mi auguro che lo stato possa fermare Yusuf. Ma il mercato è così grande che non può essere un solo medico a gestirlo».
Mehmet Ali Onel, il giornalista che per primo ha denunciato il mercato clandestino dei reni e ora produce uno show sulla televisione turca Star tv, ritiene che i medici siano i veri organizzatori dietro il commercio, potendo contare su una rete mondiale di acquirenti.
Il dottor Izzet Titiz, un chirurgo che lavorava con Sonmez all’ospedale Haydarpasa, è convinto che ci siano altre persone coinvolte e che il dottor Sonmez sia solo il capro espiatorio. Dopo tutto, lui sta solo offrendo un servizio di cui i pazienti hanno bisogno. «Siete molto ingenue a pensare che persone e istituzioni più grandi non stiano traendo vantaggio da questo commercio» dice Titiz in modo criptico. «Come avrebbe potuto andare avanti senza che si sapesse in certi circoli? E comunque, se si entra nella filosofia di quanto Sonmez sta facendo, è difficile individuare la parte colpevole».
Certo, il governo fa ogni sforzo per dimostrare che prende sul serio il mercato nero e che fa tutto il possibile per perseguire penalmente Sonmez. Tra il 1998 e il 2001 la polizia ha compiuto tre irruzioni in tre diverse cliniche di Istanbul dove si trovava Sonmez: la Mayan, la Bursa Vatan e la Kadikoy Vatan. Ogni volta sul posto sono stati trovati pazienti israeliani e venditori moldavi. Dopo l’irruzione del 2000, il dottor Sonmez è stato in prigione per 30 giorni, ma è stato poi rilasciato dopo aver prodotto documenti che dimostravano che i pazienti avevano firmato le liberatorie. Il governo ha anche avviato tre procedimenti d’accusa contro il dottor Sonmez e i suoi complici. Ad aprile Yasar Naci Uz, vice direttore del ministero della sanità, si è recato da Ankara a Istanbul con cinque funzionari per una lunga intervista con noi. Era ansioso di difendere il comportamento del governo e considerava un affronto il suggerimento che la Turchia sia al centro della «mafia» degli organi, un’etichetta che a suo parere infanga la reputazione del suo paese.
«La Turchia non è il solo posto in cui questo avviene. Abbiamo una legge che vieta il traffico di organi e abbiamo fatto tutto quanto era in nostro potere per fermarlo. Perché non andate in Iran, in Russia o in Iraq?» dice il dottor Naci Uz, impeccabile in un abito grigio scuro. «Perché veniamo rimproverati noi per ogni moldavo che vende un rene? Abbiamo preso a cuore questo problema e Yusuf Sonmez non pratica più come chirurgo. Lui non è libero di praticare la medicina in Turchia».
Al di là del maestoso ponte sul Bosforo, appartato in una tranquilla strada residenziale nella parte asiatica di Istanbul, c’è l’ultimo posto di lavoro di Sonmez: la clinica Yesilbahar. Con il suo giardino trascurato e le persiane bianche scrostate, più che una moderna struttura medica, la clinica privata a due piani ricorda una residenza vittoriana di fine Ottocento. All’ingresso sono appesi un ritratto di Mustafa Ataturk, fondatore del moderno stato turco, e un grande occhio azzurro di vetro che dovrebbe tenere lontano il malocchio. Alla reception siede un addetto con gli occhi affilati. E’ riluttante a far usare il bagno ai visitatori. Appare un medico con il camice verde e ci dice che il dottor Sonmez arriverà più tardi. Poi, socchiudendo gli occhi, si informa: «Chi vi manda?»
Lui non sa dire se il dottor Sonmez qui continui a operare i pazienti israeliani. Si limita a commentare che molti dottori hanno affittato le sale operatorie e le stanze di reparto presso la clinica privata da 10 posti letto per la chirurgia plastica e chirurgia generale: «Non so che tipo di chirurgia venga fatta al piano di sopra mentre stiamo qui sotto» dice. «Queste non sono belle domande, non sono domande educate» aggiunge prima di congedarci.
Il dottor Sonmez ha declinato due richieste di parlare con il nostro giornale strillando arrabbiato al telefono: «Voi state facendo la stessa cosa anche in Canada. Non sono affatto interessato a parlare con voi. Smettetela di disturbarmi».
Ma nel giugno 2000 il dottor Sonmez parlò lungamente con i ricercatori di Organs Watch, il gruppo statunitense che indaga sul traffico globale di organi. Raccontò di aver effettuato negli ultimi quattro anni circa 360 trapianti in molti paesi, compresi la Russia, l’Estonia e l’Ucraina. Molti venditori lo contattano giornalmente, disse, offrendosi di rinunciare a un rene. «I miei pazienti arrivano da Israele» riferì, specificando che pagano da 30.000 a 50.000 dollari Usa per la procedura, la residenza in ospedale e le medicazioni.
Sonmez giustificò la pratica, citando dal libro dell’Organizzazione Mondiale della Sanità che prevede il risarcimento ai donatori di organi per i salari perduti. «Questo significa che si possono pagare i donatori» disse.
Sonmez ritiene che molti altri chirurghi effettuino trapianti con reni comprati, ma che lui è il solo a farlo apertamente. Aggiunse che per ogni piccolo gruppo di israeliani che opera, opera anche gratuitamente i bambini poveri turchi, cosa che gli ha fatto guadagnare il nomignolo di «Robin Hood».
Infine crede che, poiché non è in grado di risolvere il problema delle liste d’attesa per il trapianto di rene né di scoraggiare l’entusiasmo dei venditori il governo turco dovrebbe accettare il mercato, regolarlo e stabilire un prezzo equo per un rene.
«Io credo nelle scelte che ha fatto per noi Ataturk» disse in modo sinistro. «Questa è una repubblica democratica con valori occidentali, che dovrebbero guidare le scelte politiche. La gente parla in un modo e agisce in un altro. Credo anche in Dio. È un mio buon amico. Mi ha aiutato anche di recente e in questi giorni il suo aiuto mi servirà ancora».
Alle due del mattino del 14 marzo, meno di una settimana dopo che la Direzione generale del ministero della sanità turco aveva rassicurato il nostro giornale che il dottor Sonmez non effettuava più trapianti illegali nonostante le prove del contrario che avevamo raccolte, la polizia e alcuni funzionari della sanità sono andati alla clinica Yesilbahar. Dentro hanno trovato due moldavi e due israeliani reduci dall’intervento chirurgico per il trapianto. Hanno raccontato alla polizia che i moldavi erano stati pagati 2.500 dollari per il loro rene, e che agli israeliani erano stati chiesti per l’intervento 150.000 dollari.
Lo staff dell’ospedale ha confermato che il chirurgo che aveva effettuato il trapianto era Sonmez. Più tardi la polizia lo ha arrestato insieme ad altri tre medici, un’infermiera e un dirigente della clinica. Anche se sarà accusato di aver effettuato trapianti con donatori diversi dai parenti – ufficialmente un reato in Turchia – il chirurgo fuorilegge è stato rilasciato dopo aver prodotto le liberatorie firmate dai pazienti.
E anche se sarà condannato, probabilmente sconterà in prigione soltanto un breve periodo – e presto sarà di nuovo in affari, inchinandosi a un mercato per cui sembra esserci una domanda insaziabile, e adempiendo quella che lui considera la volontà di Dio.
2/continua(Traduzione di Marina Impallomeni)© Featurewell e il manifesto
http://www.ilmanifesto.it/g8/dopogenova/3cd65a5b07b9d.html
da “il manifesto” del 05 Maggio 2002
BIOMERCATO/3
Moldavia, gli uomini dimezzati di Minjir
Le cifre della povertà Dal 1998, hanno venduto un rene oltre 300 moldavi. Tra questi, almeno 15 vengono da Menjir, un piccolo villaggio di soli cinquemila abitanti Commercio sacrilego Disprezzati dalla società, i venditori non possono permettersi controlli medici post-operatori né pagare i 50 dollari necessari per una ecografia
MARINA JIMÉNEZ, NANCY SCHEPER-HUGHESMINJIR Una volta erano solo le giovani donne a scomparire da questo povero villaggio della Moldavia, piccola ex repubblica sovietica priva di accesso al mare. Si lasciavano alle spalle i cavalli, i carri, le case di calcestruzzo, i pozzi ricoperti dal ghiaccio e la triste vita contadina e prendevano un volo da 100 dollari per il più ricco tra i paesi vicini: la Turchia. Nel mercato del sesso di Istanbul in pieno boom, avrebbero venduto il solo bene che avevano da offrire: un bel viso tondo e un paio di gambe tornite.
Di questi tempi però dalla Moldavia partono anche molti uomini. Non è il loro corpo che mettono in vendita nella redditizia economia sommersa turca, bensì singoli organi. «Stiamo diventando un paese di uomini dimezzati» dice padre Antonie, il giovane, fervente prete dell’unica chiesa ortodossa del villaggio di Minjir, 120 chilometri dalla capitale Chisinau. «Stiamo diventando famosi nella regione come il villaggio con un rene solo».
Nicolae Barden è stato uno dei primi a diventare un uomo dimezzato. Saldatore di mestiere, ventisettenne dall’aria stanca, occhi malinconici e scarpe sporche di fango, Balden aveva cercato di guadagnarsi da vivere in una ex fattoria collettiva dopo la fine dell’Unione Sovietica e il crollo dell’economia moldava durante gli anni `90. Il suo obiettivo era mettere da parte abbastanza soldi per costruire una casa per la moglie e i due figli.
Situata tra Romania e Ucraina, la Moldavia è un paese di 4,6 milioni di abitanti, in gran parte agricolo che la difficile transizione alla democrazia di mercato con un tasso di disoccupazione del 15% e un salario medio mensile di 30 dollari. Con i suoi villaggi quasi introvabili e le strade che d’inverno diventano impraticabili, è difficile far arrivare al mercato i pochi prodotti da esportazione: non riuscendo a trovare nessun cliente interessato al loro vino rosso, molti paesani finiscono per trincarne essi stessi in grande quantità.
La famiglia Barden riusciva a malapena a tirare avanti. In lista d’attesa per un alloggio pubblico, si spostava di continuo da stanze in affitto a case in coabitazione. Vioril, cinque anni, diceva a suo padre che si sentiva senza casa. Un giorno, nel 1999, Nicolae Barden incontrò un amico che si era appena comprato una macchina nuova. Quando gli domandò come potesse permettersi un articolo così costoso, il vicino gli dette il numero di una trafficante locale di reni chiamata Nina Ungureanu. «Mi servivano soldi per comprare casa e non volevo cominciare a rubare. Ci pensai a lungo, ma non vedevo altre soluzioni» racconta in un freddo giorno d’inverno. Seduto sul letto matrimoniale che la famiglia condivide, ripercorre il suo viaggio nel mercato clandestino dei reni, mentre sua moglie riscalda le dita ai bambini con mani rosse e indurite dal lavoro.
Nicolae Barden e Nina Ungureanu presero l’autobus per il capoluogo della provincia, Hancesti, dove lei lo aiutò a procurarsi un passaporto. Circa un mese dopo, Barden e altri due abitanti del villaggio si recarono nella città ucraina di Grigorov e da lì volarono a Istanbul, una delle nuove piazze «calde» dell’organizzatissimo, multimiliardario traffico globale degli organi.
Barden raggiunse in taxi uno scalcinato albergo economico di Aksaray, un quartiere proletario nel centro della città che sta vivendo il boom del contrabbando. Lì gli emigranti moldavi e rumeni vendono non solo falsi profumi griffati, sigarette e cappotti in finta pelle, ma anche i loro reni. Per Nicolae Barden non fu necessaria una contrattazione. Yakup, un trafficante locale di organi, dalla corporatura robusta armato di pistola, lo mandò a fare le analisi in una clinica del posto. Una settimana dopo gli fu detto che un paziente con tipo di sangue e di tessuto compatibili era pronto per il trapianto, e lui tornò in clinica per l’intervento chirurgico. Mentre passava nella hall fece un cenno col capo al ricevente, un europeo che non parlava rumeno, ma non seppe mai il suo nome né la nazionalità.
Dopo l’intervento a Barden fu pagata la tariffa corrente di 3.000 dollari, meno i 300 dollari che doveva ai trafficanti per il viaggio. Tornò a casa in autobus, soffrendo per i dolori per quasi tutte le venti ore di viaggio e preoccupato che la sua guarigione non fosse così facile come i trafficanti gli avevano garantito.
Il volto del giovane malato a cui è andato il suo rene gli è rimasta stampata nella memoria, come quella del chirurgo: un turco ascetico e calvo dalle dita affusolate e gli occhi penetranti, il dottor Yusuf Ercin Sonmez, 44 anni, l’uomo al centro del commercio di reni di Istanbul, che a Minjir è conosciuto come «Dottor Avvoltoio» (vedi la puntata precedente).
Quando cominciò a importare reni dalla Moldavia, il dottor Sonmez si alleò con Nina Scobiola che – prima di passare agli organi verso la fine degli anni `90 – trafficava donne per il mercato del sesso. Scobiola lavorava con Nina Ungureanu, la trafficante che a Minjir aveva introdotto Nicolae Barden nel mercato.
Insieme le due reclutavano venditori dagli impoveriti villaggi contadini, oltre che dalla capitale Chisinau. Alcuni furono attratti nella rete – e infine nella sala operatoria di Sonmez – dalla promessa di lavorare all’estero. Fu il caso di Vladimir Diminet, un giovane vivace con un piercing sul labbro, che aveva terminato la scuola superiore. Nell’autunno del 2000 Nina Scobiola e Nina Ungureanu, conosciute sul posto come «le due Nina», offrirono al diciannovenne un lavoro da 80 dollari al mese presso una tintoria a secco di Istanbul. Vladimir Diminet raggiunse la città in autobus insieme ad altri due, ma fu subito chiaro che non si erano lì per stirare pantaloni e rammendare camicie.
Un altro reclutatore li portò in un albergo e disse che sarebbero stati pagati loro 3.000 dollari per vendere un rene. All’inizio Diminet rimase scioccato, ma poi accettò pensando di non avere scelta. Tre giorni più tardi fu operato in un ospedale di Istanbul. Tornò al paese in autobus. «Con i soldi non ho fatto niente di speciale. Ne ho dati un po’ a mia sorella, inoltre qualcuno è entrato in casa mia e mi ha rubato 600 dollari» dice masticando semi di girasole e sputandoli nell’aria fredda fuori dal suo cancello. «Nel villaggio le notizie viaggiano veloci, e aver venduto un rene è considerato una vergogna. In pubblico non se ne parla. Dicono che siamo una disgrazia per il villaggio e per l’intero paese. Piuttosto che fare questo è meglio restare a casa e mangiare solo pane. Io ho rimpianti enormi».
Quando suo padre, vedovo, seppe dell’intervento chirurgico segreto, s’imbestialì sia con il figlio che con le due Nina. «Ci vendicheremo. Nina [Ungureanu] ha trascinato in questo disastro circa 35 persone» dice amaramente mentre gira i fagioli in un grande tegame sul fuoco, nella sua casa di tre stanze decorata con icone religiose e stoffe vivaci. «Quando Vladimir venne a casa, era debolissimo e pallido. Adesso non può fare niente. Ma almeno è tornato a casa. Ci sono altri del paese che non sono mai tornati. Sono partiti per la Russia tre o quattro anni fa e nessuno sa che cosa gli sia successo. Non sappiamo nemmeno se sono vivi o morti.»
A Chisinau c’è un contrabbandiere che conosce bene la vita di strada, Viorel Vadyam, sui 25 anni. Anche lui è stato attratto dall’offerta di Nina Scobiola di un lavoro da 300 dollari al mese a Istanbul. Nel 1998 prese l’autobus per Istanbul e fu ospitato in un albergo per tre settimane.
Accompagnati dai trafficanti moldavi, furono sottoposti alle analisi del sangue lui e due donne moldave che cercavano anche loro lavoro in Turchia. Una formalità, fu detto loro, per dimostrare che erano in buona salute.
Dal loro infimo albergo furono spostati nello scantinato di una fabbrica. Poi, un giorno, furono portati nella casa di un turco. «Quella volta ci dissero la verità. Volevano il mio rene! Ero stupefatto e rifiutai debolmente» ricorda Vadyam fumando una sigaretta dopo l’altra e tracannando grandi boccali di birra in un bar nel centro di Chisinau. Nel ricordare alza il tono di voce rabbiosamente. Continua: «Poi, quando opposi resistenza, tirarono fuori i coltelli e penso che avessero anche una pistola. Ci dissero che era il nostro ultimo giorno. Le donne cominciarono a piangere. Non avevo scelta. Non potevo scappare perché avevano i miei documenti di identità».
Pochi giorni dopo furono spediti a Tblisi, capitale della Georgia, dove il dottor Shapira li aspettava con i suoi pazienti. Vadyam all’epoca non lo conosceva, ma ora ritiene che l’uomo magro col camice da chirurgo fosse il dottor Sonmez.
Prima di essere portato in sala operatoria, a Vadyam fu fatta firmare una liberatoria in cui dichiarava di donare il suo organo senza coercizione. «L’ho firmato perché ero terrorizzato» racconta. «Erano in molti ed erano armati. Facevano parte di un’organizzazione. Tutto è organizzato: il trasporto, gli alberghi, la nostra custodia».
Vadyam ha ricevuto 2.300 dollari e per quanto ancora furibondo per ciò che gli è successo, si considera fortunato a essere sopravvissuto. «Se a Istanbul avessi fatto una mossa falsa, oggi il mio corpo galleggerebbe nello Stretto del Bosforo» dice. «Come può Sonmez chiamarsi un dottore? Quel figlio di puttana mi ha lasciato invalido. Se avessi Yusuf adesso davanti a me lo ammazzerei a forza di pugni, con le mie mani».
Secondo la polizia e altre fonti, dal 1998 hanno venduto un rene oltre 300 moldavi. Almeno 15 venditori erano di Minjir (il villaggio conta 5.000 abitanti) mentre altri venivano dalle città vicine di Hancesti, Orhei, Edinet e Cahul.
Il governo moldavo e quello turco sono imbarazzati dal traffico di reni e hanno fatto alcuni passi per contrastarlo – e per fermare l’irrefrenabile dottor Sonmez e la sua rete di trafficanti d’organi. Ma, data la carenza di reni estratti dai cadaveri a livello globale e una disponibilità virtualmente infinita di venditori e acquirenti disperati, smantellare l’impresa appare impossibile.
A dicembre Vasile Tarlev, il primo ministro della Moldavia, ha ammesso in un’intervista che il traffico è collegato alla criminalità organizzata, e che è difficile «combattere un nemico che non mostra il suo volto».
Di recente la Moldavia ha modificato il codice penale penalizzando il traffico di organi, e le due Nina non sono più nel business. Nina Ungureanu si è nascosta chissà dove e, lo scorso maggio, Nina Scobiola è stata finalmente accusata di «truffa» e possesso fraudolento di beni, dopo essersi fatta notare dalle autorità per la prima volta due anni prima mentre tentava di far uscire illegalmente dal paese una grossa somma di denaro. L’indagine della polizia sul suo caso, comunque, non è mai stata completata, e anche Nina Scobiola è riuscita a lasciare il paese.
L’anno scorso il servizio di intelligence del paese ha detto a un giornalista locale che quasi ogni giorno un moldavo vende il proprio rene e che un quinto della popolazione adulta nel paese lavora all’estero, molti nella prostituzione, nel contrabbando e nel commercio illegale di organi. Questo, nonostante lo stigma sociale che questo tipo di commercio genera specialmente nei piccoli villaggi.
A Minjir per esempio, con la sua acqua del pozzo, i cavalli, i calessi e la cultura contadina, sembra che il tempo si sia fermato, e molti di quelli che hanno venduto un rene si vergognano tanto di quanto hanno fatto che non vanno più a messa. Nicolae Barden, che ha speso rapidamente il suo capitale per pagare i debiti e costruire l’agognata casa, si è pentito presto della sua decisione.
A differenza che nelle Filippine e in India, dove vendere un rene è un modo socialmente accettabile di fare soldi, in Moldavia è considerato un atto di cui vergognarsi profondamente. Oggi Barden è un paria, in preda alla paura e alla solitudine. Inoltre accusa costantemente dolori e non è in grado di fare lavori faticosi. «Spesso mi chiedo quanto ancora mi resta da vivere» dice osservando il suo rifugio di due stanze con una stufa a legna ma senza impianto idraulico dentro casa. «Al paese non ho nessuno con cui confidarmi. Anche se ne parlassi, non cambierebbe niente. Spesso mi alzo di notte e cammino per stimolare il rene che mi resta, altrimenti mi duole tutto il giorno. A volte bevo. È molto difficile».
Poiché hanno venduto una parte inestimabile del proprio corpo che non potrà mai più essere rimpiazzata, i venditori di reni vengono rispettati persino meno, sembra, delle giovani donne che entrano nel mercato del sesso. I genitori spingono le ragazze dei villaggi a controllare che i loro pretendenti non abbiano ferite all’altezza dei reni, così da essere sicure di non sposare «merci avariate».
Lo scorso dicembre, nel giorno della festa di San Nicola, padre Antonie, il prelato del villaggio di Minjir, ha detto nel sermone: «Alcuni dei nostri fratelli vendono il loro corpo e così facendo commettono un peccato molto grave». Invita caldamente i venditori a confessare i loro peccati e chiama il traffico di reni un «commercio sacrilego» e «un attacco alla cristianità».
«Vendendo il loro corpo, stanno anche vendendo la loro anima» ha detto. «Volevano diventare ricchi, ma sono soltanto diventati più poveri vendendo la loro salute. Le persone che comprano i reni hanno come scopo quello di ferire la cristianità» ha aggiunto, riferendosi ai turchi e agli israeliani che costituiscono il grosso dei pazienti per i trapianti.
La maggior parte dei venditori non hanno avuto controlli medici dopo l’intervento, non potendosi permettere la «mancia» di 50 dollari che i medici in alcuni ospedali pubblici in Moldavia richiedono per un’ecografia.
Organs Watch, un gruppo con sede a Berkeley (California) che indaga sul traffico globale di organi, recentemente ha aiutato Nicolae Baden e Viorel Vadyam a fare un’ecografia. Mentre in Vadyam il rene superstite non mostra segni di malattia, Barden non è stato altrettanto fortunato. Simion Mitsa, il medico in servizio presso lo spartano e a malapena funzionante ospedale di Minjir, gli ha detto che ha la pressione alta e che il rene che gli resta mostra tracce di nefrite.
«In futuro questo paziente potrebbe avere problemi enormi» ha predetto il dottore. «Dovrebbe avere il riconoscimento dell’invalidità, non è in grado di lavorare. Se seguirà il trattamento correttamente, potrebbe vivere ancora 15-20 anni. Se non lo farà, potrebbe morire entro dieci anni».
3/continuaTraduzione di Marina Impallomeni©Featurewell e il manifesto La doppia morale dell’Occidente Il manifesto – 29-07-2004
CUBA
Ipocrisie. Per Cuba vige un metro di misura speciale. Anche a sinistra
GIANNI MINA’
Sembra che Cuba – proprio nel momento più difficile della sua storia – non possa essere giudicata come qualunque altra nazione, perfino da quei mondi che definiamo di sinistra. Persino la legge che inasprisce fino ai limiti più estremi dei diritti delle persone le sanzioni contro Cuba varate a maggio da Bush per ingraziarsi la comunità cubana della Florida non ha toccato le coscienze di molti democratici italiani, dai vecchi radicali ai nuovi riformisti. Lo stesso dicasi della coscienza di molti dei giornalisti che disinvoltamente maneggiano la questione «diritti umani», come per esempio Reporters sans frontiéres. Per questo gruppo di pressione l’Onu, recentemente, ha messo in atto un processo di espulsione dal ruolo di entità consultiva per «atti incompatibili con i principi e gli obiettivi della Carta delle Nazioni Unite». Non c’è da sorprendersi perché alcuni di questi giornalisti a comando sono gli stessi che avevano eluso, nel loro rapporto annuale del 2003, le disinvolte imprese del governo Bush in Iraq e avevano ignorato il plateale tentativo di destabilizzazione messo in atto dal Dipartimento di stato americano verso Cuba quando ha dotato il nuovo responsabile dell’ufficio di interessi Usa all’Avana, James Cason, di un budget di 53 milioni di dollari l’anno per «costruire una opposizione interna alla revolucion cubana». Insomma, per comprare una presunta democrazia per l’isola a colpi di 5-10mila dollari a botta.
Sono notizie imbarazzanti, non solo per i dissidenti autentici, ma anche per chiunque non abbia una doppia morale. Perché si fanno beffe del diritto di autodeterminazione dei popoli, e segnalano, da parte degli Usa, un progetto così dichiaratamente repressivo verso chi, come Cuba o il Venezuela, o i movimenti indigeni sudamericani, si opponga alle strategie politico-economiche di Washington, da fare impallidire perfino le illiberalità del regime dell’isola. Oltretutto sono atti e sanzioni che potrebbero essere prossimamente riservate anche a Brasile e Argentina se diventassero anch’esse due nazioni «disubbidienti» alle intimazioni del Fmi e della Banca Mondiale, o al richiamo dell’Alca (il trattato di libero commercio continentale voluto dagli Usa).
Ma questo panorama complesso, questa storia di popoli che vogliono sopravvivere al neoliberismo, non interessa molte di quelle forze politiche, come per esempio i Ds, che l’anno scorso appoggiarono l’azione di Aznar e Berlusconi alla Comunità Europea perché fossero varate perfino delle sanzioni culturali contro Cuba, dopo che gli «investimenti» del Dipartimento di Stato avevano prodotto tre dirottamenti aerei in due settimane e il sequestro del ferry boat di Regla ai quali il governo di Castro aveva risposto brutalmente con la fucilazione di tre degli undici sequestratori dell’imbarcazione. Era chiaro già allora che simili strategie non potevano essere opera di semplici «dissidenti», come proprio alcuni organi di stampa nordamericani, hanno ben presto rivelato segnalando che le «azioni terroristiche» previste, prima del duro giro di vite deciso all’Avana, erano addirittura sedici.
Questo non giustifica certo le fucilazioni decise l’anno scorso all’Avana dopo quattro anni di moratoria sulla pena di morte, ma spiega almeno il contesto e il clima di timore in cui erano state decise. Fu il sottosegretario Baccini dell’Udc, e non purtroppo qualcuno della sinistra a segnalare in quel frangente che «non è certo interrompendo i rapporti culturali che si aiuta un paese ad aprirsi verso una democrazia più compiuta». Ma Aznar e Berlusconi tirarono dritto, forti dell’appoggio di chi si proclama socialdemocratico. E lo stesso fece la Comunità Europea, creando i presupposti della illegale e pericolosa situazione attuale, dove Bush e il suo apparato hanno già cominciato, come fecero per l’Iraq, la campagna di persuasione per giustificare un domani qualunque intervento su Cuba (e anche sul Venezuela e la Bolivia), arrivando grottescamente ad accusare la revolucion di essere connivente nel traffico della prostituzione, anche giovanile.
In un continente dove i bambini sono in vendita interi o a pezzi, per il fiorente traffico di organi verso il nord del mondo, Cuba, pur con tutte le sue contraddizioni, errori, integralismi, è un’eccezione, non solo per il drammatico presente dell’America latina, ma anche per la disarmante realtà di tutto il sud del mondo. «Questa notte 200 milioni di bambini dormiranno per le strade del pianeta. Nessuno di loro è cubano» ha ricordato Frei Betto, citando un cartello non smentibile che dà il benvenuto al viaggiatore in arrivo all’aeroporto dell’Avana. «Non vale nulla tutto questo?», chiedeva Betto.
Il problema di difendere il diritto di Cuba all’autodeterminazione e a non essere cancellata dalla prepotenza del più forte, non per i suoi errori, ma per i suoi meriti, si pone quindi in tutta la sua complessità ed è, innanzi tutto, un problema etico, come avrebbe affermato Enrico Berlinguer, che fu l’ultimo segretario dell’ex Pci italiano ad andare in visita ufficiale a Cuba, alla metà degli anni `80.
La revolucion e il Pci, in verità non avevano mai avuto un rapporto idilliaco. I nostri, come sempre, pontificavano, e i cubani si chiedevano invece «in base a quale merito potessero insegnar loro come ribellarsi e difendersi dalla politica imperialista della Casa Bianca». Ma Berlinguer seppe capire e mediare un nuovo rapporto franco, specie apprendendo che, solo pochi anni prima, un presidente nordamericano etico e senza pregiudizi, Jimmy Carter, aveva messo in marcia una possibile storica pace con Fidel Castro e la rivoluzione, sfumata nel 1980 con l’elezione di Reagan. Allora la guerra a Cuba ritornò «sporca», risorsero ovunque i Comitati per i diritti umani a Cuba. In Europa, ce n’era uno in ogni capitale, diramazioni della Cia, prodiga nella distribuzione di denaro, e nella produzione di dissidenti. In Italia aveva la sua sede a Mondo Operaio, nell’orbita craxiana. Adesso ha solo cambiato padrini, sempre nella cosiddetta area riformista.
Nessuno si imbarazza perché lo stesso trattamento riservato a Cuba non riguarda, per esempio, la «macelleria» Colombia di Uribe, il gigante Cina dei due-tre mila fucilati l’anno o la Russia di Putin che spiana la Cecenia e fa 250 mila vittime nel silenzio generale. Cuba ha commesso tanti peccati, ma non di questa portata, eppure la sua sopravvivenza orgogliosa, come ha scritto Galeano, non si perdona. Tremila desaparecidos negli Usa per le leggi anti terrorismo non fanno notizia, così come l’abolizione dell’habeas corpus o le 45 pagine di condanna agli Stati Uniti dell’Alto Commissario Onu per i diritti umani per «uccisioni arbitrarie, torture, trattamenti disumani di detenuti da parte dell’esercito nordamericano in Iraq».
Una volta in tv qualcuno mi ha detto che questo modo di ragionare si chiamava «altrismo». Io penso invece che la condivisione dell’accanimento contro Cuba riveli ipocrisia e doppia morale. C’è qualcuno a sinistra che sente il dovere di opporsi alle nuove inquietanti iniziative di Bush jr. verso Cuba evitando ulteriore sofferenza, indigenza, insicurezza a migliaia di persone? E che almeno si vuol far carico, per etica, dell’esigenza di giudicare Cuba con lo stesso metro usato per quelle nazioni che definiamo «democratiche» solo perché sono convenienti ai nostri interessi economici o politici?
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