Roberto Renzetti
I cattolici insistono a spacciare le loro visioni metafisiche come fisiche. Lo possono fare dato il livello di ignoranza che persiste in giro per il mondo.
In un Paese civile sarebbero presi a calci e spernacchiati.
L’ipocrisia è uno dei mali del nostro tempo. Per quieto vivere si fa di tutto e soprattutto si accettano cose incredibili. In questo caso l’ipocrita è la Chiesa di Roma, quella dei cattolici, che è creazionista fino al midollo, a costo di negare se stessa ma che, per non rinunciare alle laute prebende dello Stato dalle nostre parti dove, notoriamente, non si è imbecilli come negli USA, deve mostrarsi possibilista e dialogante.
Riguardo poi alla vicenda in sé della creazione da parte di un Dio che, guarda un poco!, avrebbe fatto l’uomo a sua immagine e somiglianza, viene da ridere. Quasi da sganasciarsi. Così che l’eventuale Dio sarebbe brutto come noi ? Sarebbe così infelice da avere occhi che guardano solo in un ristretto angolo ? Avrebbe solo due mani ? Un solo sesso ? Ma non hanno ragione da vendere quelli che sostengono che il Dio è stato fatto a nostra immagine e somiglianza. E’ antropomorfo e, perché no?, biondo con gli occhi azzurri.
La vera anima della Chiesa la trovate in questi articoli e documenti tratti da siti cattolici, o meglio cattolico fascisti con illustri (?) prelati che, allegramente, hanno rubriche fisse sul quotidiano neofascista. Certo che per Fini, Calderoli, Bossi, Storace, Gasparri, … non vi è possibile rimedio. E’ una sorta di autodifesa. O Dio ci ha creati così o, evolutivamente, siamo a livelli assolutamente inferiori addirittura a quello dei primati.
Mescolando interessi razzisti dei novelli garantisti delle razze con interessi economici della sempiterna esosa Chiesa, viene fuori il pastrocchio di un evoluzionismo negato ma tollerato.
La negazione discende dal fatto che un anello mancante (ma ha avete ben osservato i suddetti personaggi ?) non sarebbe stato ancora individuato nella scala evolutiva. E quindi, poiché mancherebbe tale evidenza sperimentale, resta valida la metafisica della creazione che, come tutti sapete, è evidente pure a Emilio Fede.
E’ inutile che si spieghi a tali beoti che la scienza non spaccia né certezze né verità definitive. Che la scienza non è una fede, non è una religione. E’ inutile che si tenti di dire a questi personaggi che la scienza medesima dice di attendere di provare e riprovare, di cercare nuove prove, nuovi modelli interpretative, da sottoporre a stretti trattamenti teorici, da rigettare anche in toto se necessario. Che si vorrebbe fosse la stessa pratica degli stregoni addetti al rito della religione. Ma no! Costoro di fronte ad una pagliuzza mancante in un ragionamento completamente razionale e completamente aperto rispondono con un’alternativa totalmente irrazionale ed al di fuori di ogni spiegazione, conferma, prova, … Ma questa è la fede che, di per sé, è tutt’altra cosa rispetto alla scienza. Stupisce semmai (poi non troppo se si vede come si viene premiati con finanziamenti) vedere presunti scienziati che fanno professione di fede. E’ forse dovuto alla divisione del lavoro che costruisce operatori scientifici che lavorano in ambiti così ristretti da perdere completamente la visione complessiva. Sta di fatto che non si esce dall’alternativa: AUT FIDES AUT SCIENTIA. Il resto sono sciocchezze per i gonzi.
Per rendersi conto delle bestialità sostenute dai sostenitori della creazione o del disegno intelligente (caspita che Dio che abbiamo!) occorre leggere le fluide prose seguenti.
Roberto Renzetti
Creazione od evoluzione?
La Chiesa di Roma risponde così
Creazionisti contro darwinisti, “disegno intelligente” contro selezione casuale: la controversia è sempre più accesa. Il papa la studia con un team di esperti. Ecco le verità che vuole riaffermare. E le confusioni che vuole dissipare
di Sandro Magister
ROMA, 11 agosto 2006 – Al seminario a porte chiuse su “creazione ed evoluzione” che Benedetto XVI terrà ai primi di settembre a Castel Gandolfo con i suoi ex allievi di teologia, tutti arriveranno con nella cartella la dovuta documentazione.
In questa documentazione spicca un articolo uscito su “L’Osservatore Romano” il 16 gennaio 2006. Il suo autore è Fiorenzo Facchini, sacerdote e scienziato, professore di antropologia all’università di Bologna e autore di libri sulla questione dell’evoluzione.
A confermare l’importanza di questo articolo – riprodotto integralmente più sotto – è arrivato l’ultimo numero della “Civiltà cattolica”, la rivista dei gesuiti di Roma stampata con il controllo e l’autorizzazione delle autorità vaticane.
Nella “Civiltà Cattolica” del 5-19 agosto il gesuita Giuseppe De Rosa dedica dieci pagine al fatto e ai meccanismi dell’evoluzione, da Lamarck e Darwin fino ai giorni nostri. E conclude citando proprio l’articolo di Facchini su “L’Osservatore Romano” come la sintesi più aggiornata delle posizioni della Chiesa cattolica in materia.
A sua volta, padre De Rosa sintetizza così il punto a cui è arrivata la controversia sul piano scientifico:
“Deve essere chiara la distinzione tra il fatto dell’evoluzione e la teoria, o meglio, le teorie che cercano di spiegarlo. Mentre il fatto può ritenersi sufficientemente certo, le teorie che cercano di spiegarlo devono passare al vaglio della verifica sperimentale per poter divenire teorie di valore scientifico. Finora questo non è avvenuto. Per tale motivo, sul problema dell’evoluzione non è stata detta l’ultima parola sul piano scientifico. Molto lavoro resta ancora da fare per giungere alla piena comprensione dei meccanismi del processo evolutivo”.
Ma oltre al piano scientifico – sottolinea padre De Rosa – ci sono il piano filosofico e quello teologico, “che devono essere trattati separatamente”.
Proprio dal confondere questi piani – fa capire tra le righe padre De Rosa – possono nascere infatti grossi equivoci. In particolare quelli che attribuiscono valore scientifico alla teoria antidarwiniana del “disegno intelligente” impresso da Dio nella creazione: teoria oggetto di accese dispute soprattutto negli Stati Uniti.
Con un articolo sul “New York Times” del 7 luglio 2005 sembrò sposare la teoria del “disegno intelligente” il cardinale Christoph Schönborn, arcivescovo di Vienna e teologo molto vicino a Benedetto XVI.
In realtà quell’articolo – anch’esso riprodotto più sotto – è molto attento nel tenere distinti i punti di vista scientifico, filosofico e teologico.
Il cardinale Schönborn sarà uno dei due relatori che introdurranno il seminario del 2-3 settembre a Castel Gandolfo col papa.
Lo stesso Benedetto XVI ha più volte toccato la questione dell’evoluzione.
Vi ha fatto cenno la prima volta già nell’omelia della messa inaugurale del suo pontificato, il 24 aprile 2005:
“Non siamo il prodotto casuale e senza senso dell’evoluzione. Ciascuno di noi è il frutto di un pensiero di Dio. Ciascuno di noi è voluto, ciascuno è amato, ciascuno è necessario”.
Un’altra volta vi è tornato sopra il 6 aprile 2006, parlando ai giovani riuniti in piazza San Pietro in preparazione alla giornata mondiale della gioventù:
“La scienza suppone la struttura affidabile, intelligente della materia, il ‘disegno’ della creazione”.
Ma in modo più approfondito hanno affrontato la questione Giovanni Paolo II, la Commissione Teologica Internazionale e lo stesso Catechismo della Chiesa Cattolica.
Sia l’articolo di Facchini, sia quello del cardinale Schönborn sul “New York Times” citano tutti questi interventi.
Ecco dunque i due articoli, seguiti dai documenti citati:
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1. Fiorenzo Facchini:
“Evoluzione e creazione”
“L’Osservatore Romano”, 16 gennaio 2006
L’acceso dibattito su evoluzione e creazione, sviluppatosi da diversi decenni negli Stati Uniti, è giunto in Europa da qualche anno e va infiammando il mondo culturale. Purtroppo è inquinato da posizioni politiche, oltre che ideologiche, e ciò non giova a una serena discussione. Certe affermazioni dei “creazionisti” americani hanno suscitato nell’ambiente scientifico reazioni ispirate a un certo dogmatismo nella difesa del neodarwinismo e hanno fatto riemergere posizioni scientiste, tipiche della cultura ottocentesca.
Molte volte si ha l’impressione che la confusione regni sovrana. Anche la vicenda dei nuovi programmi di scienze nelle scuole italiane, in cui in un primo tempo l’evoluzione è stata cassata e poi riammessa, è il segno di qualche disorientamento derivante da conoscenze non adeguate del problema. È del mese scorso il pronunciamento del giudice federale Jones, in Pennsylvania, sulla non ammissibilità dell’insegnamento dell’Intelligent Design (versione recente del creazionismo scientifico, di cui si parlerà più avanti, basato su una interpretazione letterale della Genesi), come teoria alternativa a quella della evoluzione da insegnare nei corsi di scienze.
Su questa materia il magistero della Chiesa, particolarmente negli interventi di Giovanni Paolo II, si è espresso con grande chiarezza e apertura in varie occasioni. Di recente, nel 2004, è stato pubblicato, con l’approvazione del cardinale Joseph Ratzinger, un documento della Commissione Teologica Internazionale dal titolo: “Comunione e servizio. La persona umana creata a immagine di Dio”.
Nel mondo scientifico l’evoluzione biologica rappresenta la chiave interpretativa della storia della vita sulla terra, il quadro culturale della biologia moderna.
Si ritiene che la vita sulla terra sia incominciata in ambiente acquatico intorno a 3,5-4 miliardi di anni fa con esseri unicellulari, i procarioti, sprovvisti di vero nucleo. Essi si ritrovano a lungo senza cambiamenti fino a 2 miliardi di anni quando compaiono i primi eucarioti (unicellulari con nucleo) nelle acque che ricoprivano il pianeta. I viventi pluricellulari tarderanno a venire. Dalla loro comparsa, 1 miliardo di anni fa, il ritmo evolutivo procederà ancora lento e non generalizzato. Sarà durante il Cambriano, fra 540 e 520 milioni di anni fa, che si svilupperanno in modo quasi esplosivo le principali classi dei viventi.
E presumibile che per molto tempo non vi siano state sulla terra le condizioni idonee per l’evoluzione degli animali e vegetali oggi viventi. Ma la successione con cui compaiono pesci, anfibi, rettili, mammiferi, uccelli e la grande rapidità con cui evolvono sono un problema ancora da chiarire. Negli ultimi minuti dell’orologio della vita si forma la linea evolutiva che ha portato all’uomo. Intorno a 6 milioni di anni fa viene vista la divergenza fra la direzione evolutiva che ha portato alle scimmie antropomorfe e la direzione che ha portato a un cespuglio di forme, gli Ominidi, fra cui intorno a due milioni di anni fa si individua la linea evolutiva umana. Prima della forma umana moderna, le cui più antiche espressioni si ritrovano intorno a 150.000 anni fa, sono esistite altre forme umane, classificate come Homo Erectus e, prima ancora Homo Habilis, alle quali va ricongiunto Homo Sapiens.
La ricostruzione delle varie tappe è compito della paleoantropologia a cui si aggiungono le moderne indagini biomolecolari sul DNA per individuare analogie e differenze a livello genetico, da riportare a un’ascendenza comune.
Quanto ai fattori e alle modalità evolutive il discorso è tutto aperto. La felice intuizione di Darwin, e insieme con lui, anche se meno famoso, di Wallace, sull’importanza della selezione naturale operante sulle piccole variazioni della specie che si formano casualmente (i cosiddetti errori nella replicazione del DNA secondo la sintesi moderna) rappresenta un modello interpretativo che viene esteso da molti a tutto il corso evolutivo. Altri studiosi lo ammettono per la microevoluzione, ma non ritengono adeguato questo meccanismo, fondato sulla casualità delle piccole variazioni (o mutazioni), per spiegare in tempi relativamente brevi la formazione di strutture assai complesse e delle grandi direzioni evolutive dei vertebrati.
A questo proposito vanno tenuti presenti i possibili sviluppi della biologia evolutiva nello studio dei geni regolatori che possono comportare sensibili cambiamenti morfologici. Esperimenti compiuti su geni regolatori che guidano lo sviluppo embrionale di crostacei permetterebbero di ipotizzare la possibilità del formarsi di nuovi piani organizzativi per una singola mutazione genetica. Ricerche in questa direzione potrebbero aprire nuovi orizzonti. Resta poi sempre da vedere se le cause di queste mutazioni siano del tutto casuali o possano avere avuto qualche orientamento preferenziale.
Nel processo evolutivo una particolare attenzione dovrebbe essere sempre data ai mutamenti ambientali. L’ambiente può svolgere un ruolo di rallentamento, come forse è stato nei primi miliardi di anni della vita sulla terra, o di accelerazione, come negli ultimi 500 milioni di anni. Non ci troveremmo qui a parlare di queste cose se una ventina di milioni di anni fa non ci fosse stata la formazione del Rift africano, con valli e regioni aperte che hanno consentito l’evoluzione del bipedismo e dell’uomo. La storia della vita suggerisce che lo sviluppo dei viventi ha richiesto una coincidenza di fattori genetici e di condizioni ambientali favorevoli in una serie di eventi naturali.
A questo punto possono porsi due interrogativi: c’è spazio per la creazione e per un progetto di Dio? La comparsa dell’uomo rappresenta un necessario sviluppo delle potenzialità della natura?
Giovanni Paolo II in un discorso a un simposio su “Fede cristiana e teoria dell’evoluzione”, nel 1985, affermava: “Una fede rettamente compresa nella creazione e un insegnamento rettamente inteso della evoluzione non creano ostacoli. […] L’evoluzione suppone la creazione, anzi la creazione si pone nella luce dell’evoluzione come un avvenimento che si estende nel tempo, come una ‘creatio’ continua”.
Il Catechismo della Chiesa Cattolica osserva che “la creazione non è uscita dalle mani del Creatore interamente compiuta” (n. 302). Dio ha creato un mondo non perfetto, ma “in stato di via verso la sua perfezione ultima. Questo divenire nel disegno di Dio comporta con la comparsa di certi esseri la scomparsa di altri, con il più perfetto anche il meno perfetto, con le costruzioni della natura, anche le distruzioni” (n. 310).
Giovanni Paolo II nel messaggio dell’ottobre 1996 alla Pontificia Accademia delle Scienze ha riconosciuto alla evoluzione il carattere di teoria scientifica, in ragione della sua coerenza con le vedute e le scoperte di varie branche della scienza. Nello stesso tempo rilevava che esistono diverse teorie esplicative del processo evolutivo, tra cui anche alcune che per l’ideologia materialista cui si ispirano non sono accettabili per un credente. Ma in questo caso non è in gioco la scienza, ma una ideologia.
Il citato documento “Comunione e servizio” dà per scontato il processo evolutivo. Quello che è da riaffermare nella teologia (e in un retto ragionare) è il rapporto di dipendenza radicale del mondo da Dio, che ha creato le cose dal nulla, ma non ci è detto come.
A questo punto può inserirsi il dibattito in corso sul progetto di Dio sulla creazione. Come noto, i sostenitori dell’Intelligent Design (ID) non negano l’evoluzione, ma affermano che la formazione di certe strutture complesse non può essere avvenuta per eventi casuali, ma ha richiesto interventi particolari di Dio nel corso dell’evoluzione e risponde a un progetto intelligente. A parte il fatto che in ogni caso non basterebbero mutazioni delle strutture biologiche perché occorrono anche cambiamenti ambientali, con il ricorso a interventi esterni suppletivi o correttivi rispetto alle cause naturali viene introdotta negli eventi della natura una causa superiore per spiegare cose che ancora non conosciamo, ma che potremmo conoscere. Ma così non si fa scienza. Ci portiamo su un piano diverso da quello scientifico. Se il modello proposto da Darwin viene ritenuto non sufficiente, se ne cerchi un altro, ma non è corretto dal punto di vista metodologico portarsi fuori dal campo della scienza pretendendo di fare scienza.
La decisione del giudice della Pennsylvania appare dunque corretta. L’ID non appartiene alla scienza e non si giustifica la pretesa che sia insegnato come teoria scientifica accanto alla spiegazione darwiniana. Si crea solo confusione tra il piano scientifico e quello filosofico o religioso. Non è neppure richiesto in una visione religiosa per ammettere un disegno generale sull’universo. Meglio riconoscere che il problema dal punto di vista scientifico rimane aperto. Se si esce dall’economia divina che agisce attraverso le cause seconde (quasi ritraendosi dalla sua opera di creatore), non si capisce perché certi eventi catastrofici della natura o linee o strutture evolutive senza significato o mutazioni genetiche dannose non siano state evitate in un progetto intelligente.
Purtroppo al fondo di tutto va anche riconosciuta una certa tendenza in scienziati darwinisti ad assumere l’evoluzione in senso totalizzante, passando dalla teoria alla ideologia, in una visione che pretende di spiegare tutta la realtà vivente, compreso il comportamento umano, in termini di selezione naturale escludendo altre prospettive, quasi che l’evoluzione renda superflua la creazione e tutto possa essersi autoformato e possa essere ricondotto al caso.
Quanto alla creazione, la Bibbia parla di una dipendenza radicale di tutti gli esseri da Dio e di un disegno, ma non dice come ciò si sia realizzato. L’osservazione empirica coglie l’armonia dell’universo che si basa su leggi e proprietà della materia e rimanda necessariamente a una causa superiore, non con dimostrazioni scientifiche, ma in base a un retto ragionare. Negarlo sarebbe un’affermazione ideologica e non scientifica. La scienza in quanto tale, con i suoi metodi, non può dimostrare, ma neppure escludere che un disegno superiore si sia realizzato, quali che siano le cause, all’apparenza anche casuali o rientranti nella natura. “Anche l’esito di un processo naturale veramente contingente può rientrare nel piano provvidenziale di Dio per la creazione” si osserva nel citato documento “Comunione e servizio”. Ciò che a noi appare casuale doveva esser certamente presente e voluto nella mente di Dio. Il progetto di Dio sulla creazione può realizzarsi attraverso le cause seconde con il corso naturale degli eventi, senza dover pensare a interventi miracolistici che orientano in una o nell’altra direzione. “Dio non fa le cose, ma fa in modo che si facciano”, ha osservato Teilhard de Chardin. E il Catechismo della Chiesa Cattolica afferma: “Dio è la causa prima che opera nelle e per mezzo delle cause seconde” (n. 308).
L’altro punto delicato è rappresentato dall’uomo, che non può considerarsi un prodotto necessario e naturale della evoluzione. L’elemento spirituale che lo caratterizza non può emergere dalle potenzialità della materia. È il salto ontologico, la discontinuità che il magistero ha sempre riaffermato per la comparsa dell’uomo. Essa suppone una volontà positiva di Dio. Maritain ha osservato che la trascendenza dell’uomo in forza dell’anima avviene “grazie all’intervento finale di una scelta libera e gratuita operata da Dio creatore che trascende tutte le possibilità della natura materiale”. Quando, dove e come Dio ha voluto, si è accesa dunque la scintilla dell’intelligenza in uno o più Ominidi. La natura ha la potenzialità di accogliere lo spirito secondo la volontà di Dio creatore, ma non può produrlo da sé. In fondo, è quello che avviene anche nella formazione di ogni essere umano ed è ciò che fa la differenza tra l’uomo e l’animale; un’affermazione che si colloca fuori dalla scienza empirica e, in quanto tale, non può essere né provata né negata con le metodologie della scienza.
Quanto poi al momento in cui è comparso l’uomo non siamo in grado di stabilirlo. Si possono però cogliere i segni della specificità dell’essere umano, come ha notato Giovanni Paolo II nel citato messaggio del 1996. Questi segni possono essere riconosciuti anche nei prodotti della tecnologia, nella organizzazione del territorio, se rivelano progettualità e significato nel contesto di vita. In una parola sono le manifestazioni della cultura che possono orientare in modo più chiaro nell’individuare la presenza umana. Le manifestazioni della cultura si collocano in un piano extrabiologico ed esprimono un trascendimento (come riconoscono Dobzhansky, Ayala e altri scienziati evoluzionisti), una discontinuità, che sul piano filosofico viene considerata di natura ontologica. A parere di chi scrive non è necessario attendere l’Homo Sapiens, le sepolture o l’arte. Ma la delimitazione del livello evolutivo in cui può essere riconosciuto l’uomo, se cioè 150.000 anni fa con Homo Sapiens o anche 2 milioni di anni fa con Homo Habilis, è materia di discussione sul piano scientifico più che su quello filosofico o teologico.
Per concludere, in una visione che va oltre l’orizzonte empirico, possiamo dire che non siamo uomini per caso e neppure per necessità, e che la vicenda umana ha un senso e una direzione segnate da un disegno superiore.
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2. Christoph Schönborn:
“Scoprire un disegno nella natura”
”The New York Times”, July 7, 2005
A partire dal 1996, quando papa Giovanni Paolo II disse che l’evoluzione (un termine che non definì) era “più che una mera ipotesi”, i difensori del dogma neodarwiano hanno spesso invocato la supposta accettazione – o almeno l’acquiescenza – della Chiesa cattolica romana quando essi difendono la loro teoria come qualcosa di compatibile con la fede cristiana.
Ma ciò non è vero. La Chiesa cattolica, mentre lascia alla scienza molti dettagli circa la storia della vita sulla terra, proclama che alla luce della ragione l’umano intelletto può facilmente e chiaramente discernere una finalità e un disegno nel mondo maturale, incluso il mondo degli esseri viventi.
L’evoluzione nel senso di una comune discendenza può essere vera, ma l’evoluzione nel senso neodarwiniano – un processo non guidato e non pianificato di variazioni casuali e di selezione naturale – non lo è. Ogni sistema di pensiero che nega o cerca di escludere la schiacciante evidenza di un disegno nella biologia è ideologia, non scienza.
Prendiamo il reale insegnamento del nostro amato Giovanni Paolo. Mentre la sua piuttosto vaga e non importante lettera del 1996 sull’evoluzione è citata sempre e dovunque, vediamo che nessuno discute queste parole in un’udienza generale del 1985 che rappresenta il suo robusto insegnamento sulla natura:
“Tutte le osservazioni concernenti lo sviluppo della vita conducono a un’analoga conclusione. L’evoluzione degli esseri viventi, di cui la scienza cerca di determinare le tappe e discernere il meccanismo, presenta un interno finalismo che suscita l’ammirazione. Questa finalità che orienta gli esseri in una direzione, di cui non sono padroni né responsabili, obbliga a supporre uno Spirito che ne è l’inventore, il creatore”.
Egli proseguì dicendo: “A tutte queste indicazioni sull’esistenza di Dio creatore, alcuni oppongono la virtù del caso o di meccanismi propri della materia. Parlare di caso per un universo che presenta una così complessa organizzazione negli elementi e un così meraviglioso finalismo nella vita, significa rinunciare alla ricerca di una spiegazione del mondo come ci appare. In realtà, ciò equivale a voler ammettere degli effetti senza causa. Si tratta di una abdicazione dell’intelligenza umana, che rinuncerebbe così a pensare, a cercare una soluzione ai suoi problemi”.
Si noti che in questo passaggio la parola “finalità” è un termine filosofico sinonimo di causa finale, fine o disegno. In un passaggio di un’altra udienza generale dell’anno successivo, Giovanni Paolo II conclude: “È chiaro quindi che la verità di fede sulla creazione si contrappone in modo radicale alle teorie della filosofia materialistica, che vedono il cosmo come risultato di una evoluzione della materia riconducibile a puro caso e necessità”.
Naturalmente, l’autorevole Catechismo della Chiesa Cattolica concorda: “Indubbiamente, l’intelligenza umana può già trovare una risposta al problema delle origini. Infatti, è possibile conoscere con certezza l’esistenza di Dio Creatore attraverso le sue opere, grazie alla luce della ragione umana”. E aggiunge: “Noi crediamo che il mondo è stato creato da Dio secondo la sua sapienza. Non è il prodotto di una qualsivoglia necessità, di un destino cieco o del caso”.
In una impropria variante di questa vecchia controversia, dei neodarwinisti hanno recentemente cercato di ritrarre il nostro nuovo papa, Benedetto XVI, come un convinto evoluzionista. Essi hanno ripreso un’affermazione circa la comune discendenza da un documento del 2004 della Commissione Teologica Internazionale, hanno sottolineato che Benedetto era all’epoca capo di questa commissione, e hanno concluso che la Chiesa cattolica non ha difficoltà ad accettare la nozione di “evoluzione” quale usata dai biologisti che vanno per la maggiore – che è sinonimo di neodarwinismo.
Il documento della commissione riaffema invece il perenne insegnamento della Chiesa cattolica sulla realtà di un disegno nella natura. Commentando il largo abuso che si fa della lettera di Giovanni Paolo II del 1996 sull’evoluzione, la commissione avverte che “il messaggio di Giovanni Paolo II non può essere letto come un’approvazione generale di tutte le teorie dell’evoluzione, incluse quelle di provenienza neodarwinista, che negano esplicitamente che la divina Provvidenza possa avere avuto qualunque ruolo veramente causale nello sviluppo della vita dell’universo”.
Inoltre, a giudizio della commissione, “un processo evolutivo privo di guida – un processo che quindi non rientra nei confini della divina Provvidenza – semplicemente non può esistere”.
Proprio questo ha detto poche settimane fa Benedetto XVI nell’omelia d’inaugurazione del pontificato: “Non siamo il prodotto casuale e senza senso dell’evoluzione. Ciascuno di noi è il frutto di un pensiero di Dio. Ciascuno di noi è voluto, ciascuno è amato, ciascuno è necessario”.
Nel corso della storia la Chiesa ha difeso la verità della fede ricevuta da Gesù Cristo. Ma nell’era moderna, la Chiesa cattolikca si è trovata nell’insolita posizione di ergersi anche a difesa della ragione. Nel XIX secolo il Concilio Vaticano I ha insegnato a un mondo tentato dalla “morte di Dio” che con l’uso della sola ragione l’umanità può conoscere la realtà della Causa Incausata, del Primo Motore, il Dio dei filosofi.
Oggi, all’inizio del XXI secolo, messa a confronto con tesi scientifiche come quelle del neodarwinismo e con le multiformi ipotesi di cosmologia inventate per fini e disegni rinvenuti nella scienza moderna, la Chiesa cattolica difenderà di nuovo la ragione umana proclamando che l’immanente disegno evidente nella natura è reale. Le teorie scientifiche che cercano di spazzar via l’apparire del disegno come effetto di “caso e necessità” non sono per niente scientifiche ma, come Giovanni Paolo II ha messo in luce, un’abdicazione dell’umana intelligenza.
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3. La dottrina della Chiesa sull’evoluzione: i testi di riferimento
Di Giovanni Paolo II, sul tema dell’evoluzione, si cita spesso il discorso da lui rivolto il 22 ottobre 1996 ai membri della Pontificia Accademia delle Scienze, assente nel sito del Vaticano ma disponibile in lingua italiana nel sito della Pontificia Università Gregoriana:
Intervento del Santo Padre Giovanni Paolo II
sull’EVOLUZIONE
22 Ottobre 1996
Ai Membri della Pontificia Accademia delle Scienze riuniti in Assemblea Plenaria
È con grande piacere che rivolgo un cordiale saluto a lei, Signor Presidente, e a voi tutti che costituite la Pontificia Accademia delle Scienze, in occasione della vostra Assemblea Plenaria. Formulo in particolare i miei voti ai nuovi Accademici, venuti a prendere parte ai vostri lavori per la prima volta. Desidero anche ricordare gli Accademici defunti durante l’anno trascorso, che affido al Maestro della vita.
1. Nel celebrare il sessantesimo anniversario della rifondazione dell’Accademia, sono lieto di ricordare le intenzioni del mio predecessore Pio XI, che volte circondarsi di un gruppo scelto di studiosi affinché informassero la Santa Sede in tutta libertà degli sviluppi della ricerca scientifica e l’aiutassero anche nelle sue riflessioni.
A quanti egli amava chiamare il Senatus scientificus della Chiesa domandò di servire la verità. È lo stesso invito che io vi rinnovo oggi, con la certezza che noi tutti potremo trarre profitto dalla “fecondità di un dialogo fiducioso fra la Chiesa e la scienza” (Discorso all’Accademia delle Scienze, 28 ottobre 1986, n.1).
2. Sono lieto del primo tema che avete scelto, quello dell’origine della vita e dell’evoluzione, un tema fondamentale che interessa vivamente la Chiesa, in quanto la Rivelazione contiene, da parte sua, insegnamenti concernenti la natura e le origini dell’uomo. In che modo s’incontrano le conclusioni alle quali sono giunte le diverse discipline scientifiche e quelle contenute nel messaggio della Rivelazione? Se, a prima vista, può sembrare che vi siano apposizioni, in quale direzione bisogna muoversi per risolverle? Noi sappiamo in effetti che la verità non può contraddire la verità (cfr Leone XIII, Enciclica Providentissimus Deus).
Inoltre, per chiarire meglio la verità storica, le vostre ricerche sui rapporti della Chiesa con la scienza fra il XVI e il XVIII secolo rivestono grande importanza.
Nel corso di questa sessione plenaria, voi conducete una “riflessione sulla scienza agli albori del terzo millennio” e iniziate individuando i principali problemi generati dalle scienze, che hanno un’incidenza sul futuro dell’umanità.
Attraverso il vostro cammino, voi costellate le vie di soluzioni che saranno benefiche per tutta la comunità umana. Nell’ambito della natura inanimata e animata, l’evoluzione della scienza e delle sue applicazioni fa sorgere interrogativi nuovi. La Chiesa potrà comprenderne ancora meglio l’importanza se ne conoscerà gli aspetti essenziali. In tal modo, conformemente alla sua missione specifica, essa potrà offrire criteri per discernere i comportamenti morali ai quali l’uomo è chiamato in vista della sua salvezza integrale.
3. Prima di proporvi qualche riflessione più specifica sul tema dell’origine della vita e dell’evoluzione, desidero ricordare che il Magistero della Chiesa si è già pronunciato su questi temi, nell’ambito della propria competenza.
Citerò qui due interventi.
Nella sua Enciclica Humani generis (1950) il mio predecessore Pio XII aveva già affermato che non vi era opposizione fra l’evoluzione e la dottrina della fede sull’uomo e sulla sua vocazione, purché non si perdessero di vista alcuni punti fermi (cfr AAS 42, 1950, pp. 575-576).
Da parte mia, nel ricevere il 32 ottobre 1992 i partecipanti all’Assemblea plenaria della vostra Accademia, ho avuto l’occasione, a proposito di Galileo, di richiamare l’attenzione sulla necessità, per l’interpretazione corretta della parola ispirata, di una ermeneutica rigorosa. Occorre definire bene il senso proprio della Scrittura, scartando le interpretazioni indotte che le fanno dire ciò che non è nelle sue intenzioni dire. Per delimitare bene il campo del loro oggetto di studio, l’esegeta e il teologo devono tenersi informati circa i risultati ai quali conducono le scienze della natura (cfr AAS 85, 1993, pp. 764-772); Discorso alla Pontificia Commissione Biblica, 23 aprile 1993, che annunciava il documento su l’interpretazione della Bibbia nella Chiesa; AAS 86, 1994, pp. 232-243).
4. Tenuto conto dello stato delle ricerche scientifiche a quell’epoca e anche delle esigenze proprie della teologia, l’Enciclica Humani generis considerava la dottrina dell'”evoluzionismo” un’ipotesi seria, degna di una ricerca e di una riflessione approfondite al pari dell’ipotesi opposta. Pio XII aggiungeva due condizioni di ordine metodologico: che non si adottasse questa opinione come se si trattasse di una dottrina certa e dimostrata e come se ci si potesse astrarre completamente dalla Rivelazione riguardo alle questioni da essa sollevate.
Enunciava anche la condizione necessaria affinché questa opinione fosse compatibile con la fede cristiana, punto sul quale ritornerò.
Oggi, circa mezzo secolo dopo la pubblicazione dell’Enciclica, nuove conoscenze conducono a non considerare più la teoria dell’evoluzione una mera ipotesi. È degno di nota il fatto che questa teoria si sia progressivamente imposta all’attenzione dei ricercatori, a seguito di una serie di scoperte fatte nelle diverse discipline del sapere. La convergenza non ricercata né provocata, dei risultati dei lavori condotti indipendentemente gli uni dagli altri, costituisce di per sé un argomento significativo a favore di questa teoria.
Qual è l’importanza di una simile teoria? Affrontare questa questione, significa entrare nel campo dell’epistemologia. Una teoria è un’elaborazione metascientifica, distinta dai risultati dell’osservazione, ma ad essi affine. Grazie ad essa, un insieme di dati e di fatti indipendenti fra loro possono essere collegati e interpretati in una spiegazione unitiva. La teoria dimostra la sua validità nella misura in cui è suscettibile di verifica; è costantemente valutata a livello dei fatti; laddove non viene più dimostrata dai fatti, manifesta i suoi limiti e la sua inadeguatezza. Deve allora essere ripensata. Inoltre, l’elaborazione di una teoria come quella dell’evoluzione, pur obbedendo all’esigenza di omogeneità rispetto ai dati dell’osservazione, prende in prestito alcune nozioni dalla filosofia della natura.
A dire il vero, più che della teoria dell’evoluzione, conviene parlare delle teorie dell’evoluzione. Questa plurità deriva da un lato dalla diversità delle spiegazione che sono state proposte sul meccanismo dell’evoluzione e dall’altro dalle diverse filosofie alle quali si fa riferimento. Esistono pertanto letture materialiste e riduttive e letture spiritualistiche. Il giudizio è qui di competenza propria della filosofia e, ancora oltre, della teologia.
5. Il Magistero della Chiesa è direttamente interessato alla questione dell’evoluzione, poiché questa concerne la concezione dell’uomo, del quale la Rivelazione ci dice che è stato creato a immagine e somiglianza di Dio (cfr Gn 1, 28-29). La Costituzione conciliare Gaudium et spes ha magnificamente esposto questa dottrina, che è uno degli assi del pensiero cristiano. Essa ha ricordato che l’uomo è “la sola creatura che Dio abbia voluto per se stesso” (n. 24). In altri termini, l’individuo umano non deve essere subordinato come un puro mezzo o come un mero strumento né alla specie né alla società; egli ha valore per se stesso. È una persona.
Grazie alla sua intelligenza e alla sua volontà, è capace di entrare in rapporto di comunione, di solidarietà e di dono di sé con i suoi simili.
San Tommaso osserva che la somiglianza dell’uomo con Dio risiede soprattutto nella sua intelligenza speculativa, in quanto il suo rapporto con l’oggetto della sua conoscenza è simile al rapporto che Dio intrattiene con la sua opera (Summa theologica, I-II, q. 3, a. 5, ad 1).
L’uomo è inoltre chiamato a entrare in un rapporto di conoscenza e di amore con Dio stesso, rapporto che avrà il suo pieno sviluppo al di là del tempo, nell’eternità. Nel mistero di Cristo risorto ci vengono rivelate tutta la profondità e tutta la grandezza di questa vocazione (cfr Gaudium et spes, n. 22).
È in virtù della sua anima spirituale che la persona possiede, anche nel corpo, una tale dignità. Pio XII aveva sottolineato questo punto essenziale: se il corpo umano ha la sua origine nella materia viva che esisteva prima di esso, l’anima spirituale è immediatamente creata da Dio (“animas enim a Deo immediate creari catholica fides nos retinere iubet”, Enciclica Humani generis, AAS 42, 1950, p.575).
Di conseguenza, le teorie dell’evoluzione che, in funzione delle filosofie che le ispirano, considerano lo spirito come emergente dalle forze della materia viva o come un semplice epifenomeno di questa materia, sono incompatibili con la verità dell’uomo. Esse sono inoltre incapaci di fondare la dignità della persona.
6. Con l’uomo ci troviamo dunque dinanzi a una differenza di ordine ontologico, dinanzi a un salto ontologico, potremmo dire. Tuttavia proporre una tale discontinuità ontologica non significa opporsi a quella continuità fisica che sembra essere il filo conduttore delle ricerche sull’evoluzione dal piano della fisica e della chimica? La considerazione del metodo utilizzato nei diversi ordini del sapere consente di conciliare due punti di vista apparentemente inconciliabili. Le scienze dell’osservazione descrivono e valutano con sempre maggiore precisione le molteplici manifestazioni della vita e le iscrivono nella linea del tempo. Il momento del passaggio all’ambito spirituale non è oggetto di un’osservazione di questo tipo, che comunque può rivelare, a livello sperimentale una serie di segni molto preziosi della specificità dell’essere umano. L’esperienza del sapere metafisico, della coscienza di sé e della propria riflessività, della coscienza morale, della libertà e anche l’esperienza estetica e religiosa, sono però di competenza dell’analisi e della riflessione filosofiche, mentre la teologia ne coglie il senso ultimo secondo il disegno del Creatore.
7. Nel concludere, desidero ricordare una verità evangelica che potrebbe illuminare con una luce superiore l’orizzonte delle vostre ricerche sulle origini e sullo sviluppo della materia vivente. La Bibbia, in effetti, contiene uno straordinario messaggio di vita. Caratterizzando le forme più alte dell’esistenza, essa ci offre infatti una visione di saggezza sulla vita. Questa visione mi ha guidato nell’Enciclica che ho dedicato al rispetto della vita umana e che ho intitolato precisamente Evangelium vitae.
É significativo il fatto che, nel Vangelo di San Giovanni, la vita designi la luce divina che Cristo ci trasmette. Noi siamo chiamati ad entrare nella vita eterna, ossia nell’eternità della beatitudine divina. Per metterci in guardia contro le grandi tentazioni che ci assediano, nostro Signore cita le parole del Deuteronomio: “l’uomo non vive soltanto di pane, ma… vive di quanto esce dalla bocca del Signore” (8, 3; Mt 4, 4).
La vita è uno dei più bei titoli che la Bibbia ha riconosciuto a Dio. Egli è il Dio vivente.
Di tutto cuore invoco su voi tutti e su quanti vi sono vicini l’abbondanza delle Benedizioni divine.
Dal Vaticano, 22 ottobre 1996
GIOVANNI PAOLO PP. I
Ma a giudizio del cardinale Schönborn questo discorso è “piuttosto vago e poco importante”, mentre più “robusti” sarebbero altri insegnamenti di papa Karol Wojtyla in materia.
In particolare il suo discorso del 26 aprile 1985 al simposio internazionale su “Fede cristiana e teoria dell’evoluzione” tenuto a Roma alla presenza del cardinale Ratzinger, disponibile in italiano e in tedesco nel sito del Vaticano. Tra i relatori del simposio c’era il professor Robert Spaemann, che parteciperà anche al seminario del 2-3 settembre 2006 del Ratzinger-Schülerkreis, il circolo degli ex allievi dell’attuale papa Benedetto XVI:
DISCORSO DI GIOVANNI PAOLO II
AI PARTECIPANTI AL SIMPOSIO INTERNAZIONALE
SU «FEDE CRISTIANA E TEORIA DELL’EVOLUZIONE»
Venerdì, 26 aprile 1985
Signore e signori,
in questo periodo pasquale nel quale festeggiamo con grande gioia il mistero della Risurrezione di Gesù Cristo dai morti, colgo volentieri l’occasione per salutare i partecipanti al Simposio Scientifico Internazionale qui presenti i quali si sono riuniti in questi giorni a Roma per dibattere l’importante tema: “Fede Cristiana e Teoria dell’Evoluzione”. Il mio saluto particolare va a lei, eminentissimo Cardinale Ratzinger, Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, ai suoi collaboratori, ai consultori del Suo dicastero i quali partecipano al lavoro di questi giorni.
Il mio saluto altrettanto cordiale va ai Professori Robert Spaemann e Reinhard Löw e ai loro collaboratori della Prima Cattedra di Filosofia dell’Università Ludwig-Maximilian di Monaco. Da essi infatti è partita l’iniziativa per questo congresso di scienziati, del cui felice svolgimento siete stati anche voi responsabili in prima persona. Avete del resto già dimostrato la vostra capacità a questo riguardo nei due simposi precedenti su “Evoluzione e Libertà” e “Teoria dell’evoluzione e coscienza umana di fronte al mondo scientifico”. Siete riusciti così ad ottenere l’adesione di numerosi e illustri esperti delle varie discipline filosofiche e teologiche, ai quali porgo parimenti il mio benvenuto.
Il concetto polivalente e considerato sotto il profilo filosofico di “evoluzione” si sta da tempo sviluppando sempre più nel senso di un ampio paradigma della conoscenza del presente. Pretende di integrare la fisica, la biologia, l’antropologia, l’etica e la sociologia in una logica di spiegazione scientifica generale. Il paradigma dell’evoluzione si sviluppa, non ultimo, attraverso una letteratura in continua crescita, per diventare una specie di concezione del mondo chiusa, un’“immagine del mondo evoluzionistica”.
Questa concezione del mondo si differenzia dall’immagine materialistica del mondo, che fu propagata alla svolta del secolo, per una vasta elaborazione e per una grande capacità d’integrare dimensioni apparentemente incommensurabili. Mentre il materialismo tradizionale cercava di smascherare come illusione la coscienza morale e religiosa dell’uomo e, talvolta, la combatteva attivamente, l’evoluzionismo biologico si sente abbastanza forte per motivare questa coscienza funzionalmente con i vantaggi della selezione ad essa legati e integrarla nel suo concetto generale. La conseguenza pratica ne è che i fautori di questa concezione del mondo evoluzionaria hanno imposto una nuova definizione dei rapporti con la religione, che si differenzia notevolmente da quella del passato più recente e di quello più remoto.
Per quanto riguarda l’aspetto puramente naturalistico della questione, già il mio indimenticato predecessore papa Pio XII richiamava l’attenzione del 1950, nella sua enciclica Humani generis, sul fatto che il dibattito sul modello esplicativo di “evoluzione” non viene ostacolato dalla fede se questa discussione rimane nel contesto del metodo naturalistico e delle sue possibilità. Egli sottolinea il limite della portata di questo metodo quando afferma che il magistero della Chiesa non vieta “che in conformità dell’attuale stato delle scienze e della teologia, sia oggetto di ricerche e di discussioni, da parte dei competenti in tutti e due i campi, la dottrina dell’evoluzionismo, in quanto cioè essa fa ricerche sull’origine del corpo umano, che proverrebbe da materia organica preesistente (la fede cattolica ci obbliga a ritenere che le anime sono state create immediatamente da Dio). Però questo deve essere fatto in tale modo che le ragioni delle due opinioni, cioè di quella favorevole e di quella contraria all’evoluzionismo, siano ponderate e giudicate con la necessaria serietà, moderazione e misura” (cf. Denz.-S. 3896). In base a queste considerazioni del mio predecessore, non creano ostacoli una fede rettamente compresa nella creazione o un insegnamento rettamente inteso dell’evoluzione: l’evoluzione infatti presuppone la creazione; la creazione si pone nella luce dell’evoluzione come un avvenimento che si estende nel tempo – come una “creatio continua” – in cui Dio diventa visibile agli occhi del credente come Creatore del Cielo e della terra.
La questione del giusto limite e della retta coordinazione dei differenti ambiti del conoscere umano, che è al centro della citata affermazione dell’enciclica Humani generis, ha acquistato anche dimensioni nuove attraverso la nuova “immagine evoluzionistica”. Nella sua vasta pretesa non si tratta più semplicemente dell’origine dell’uomo, ma, nell’accezione più estesa, di ricondurre tutti i fenomeni spirituali inclusa la morale e la religione al modello-base dell’“evoluzione” a partire dal quale vengono contemporaneamente circoscritti la loro funzione e i loro limiti. Una simile funzionalizzazione della fede cristiana dovrebbe colpire l’uomo e modificarlo nel suo intimo. Ecco perché il pensiero che si fonda sulla fede non può non occuparsi di questa concezione del mondo evoluzionaria, che va molto oltre i suoi fondamenti naturalistici. Il problema centrale della fede è sempre quello della ricerca della verità. Bisogna dunque chiedersi anche qui quale contenuto di verità ed eventualmente quale collocazione vada attribuita alle teorie scientifiche che dovrebbero sostenere e motivare la filosofia spesso presentata in maniera divulgativa, la quale viene inserita nella conoscenza naturalistica o sviluppata in seguito ad essa.
È evidente che questo problema grave e urgente non può essere risolto senza filosofia. Spetta proprio alla filosofia sottoporre a un esame critico la maniera in cui i risultati e le ipotesi vengono acquisiti, differenziare da estrapolazioni ideologiche il rapporto tra teorie e affermazioni singole, la collocazione delle affermazioni naturalistiche e la loro portata, in particolare il contenuto proprio delle asserzioni naturalistiche.
Per questi motivi saluto questo simposio nel quale scienziati e studiosi competenti – specialmente filosofi e teologi di differenti orientamenti e differenti specializzazioni – hanno voluto dedicarsi a questo lavoro con l’intenzione di individuare con precisione i problemi, e dalla conoscenza delle questioni elaborare le risposte giuste. In definitiva si tratta della comprensione dell’uomo, che certamente non può essere separata dalla questione di Dio. Secondo un detto profondo di Romano Guardini, comprende l’uomo soltanto chi conosce Dio. Effettivamente è solo in questa prospettiva più ampia che viene alla luce la vera grandezza dell’uomo, diventa evidente chi egli è nel più profondo: un essere voluto e amato dal suo Creatore, la cui inalienabile grandezza è quella di poter dire “tu” a Dio.
In questo spirito impartisco di tutto cuore la Benedizione Apostolica a tutti voi per il vostro lavoro.
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Nei mesi successivi Giovanni Paolo II è tornato sul tema in due udienze generali dedicate alla creazione del mondo, disponibili in italiano e in spagnolo nel sito del Vaticano:
UDIENZA GENERALE DI GIOVANNI PAOLO II
Mercoledì, 10 luglio 1985
1. Quando ci chiediamo: “Perché crediamo in Dio?”, la prima risposta è quella della nostra fede: Dio si è rivelato all’umanità, è entrato in contatto con gli uomini. La suprema rivelazione di Dio ci è venuta in Gesù Cristo, Dio incarnato. Noi crediamo in Dio perché Dio si è fatto scoprire da noi come l’essere supremo, il grande “esistente”.
Tuttavia, questa fede in un Dio che si rivela, trova anche un sostegno nei ragionamenti della nostra intelligenza. Quando riflettiamo, constatiamo che non mancano le prove dell’esistenza di Dio. Queste sono state elaborate dai pensatori sotto forma di dimostrazioni filosofiche, secondo il concatenamento di una logica rigorosa. Ma esse possono rivestire anche una forma più semplice e, come tali, sono accessibili a ogni uomo che cerca di comprendere ciò che significa il mondo che lo circonda.
2. Quando si parla di prove dell’esistenza di Dio, dobbiamo sottolineare che non si tratta di prove d’ordine scientifico-sperimentale. Le prove scientifiche, nel senso moderno della parola, valgono solo per le cose percettibili ai sensi, giacché solo su queste possono esercitarsi gli strumenti di indagine e di verifica, di cui la scienza si serve. Volere una prova scientifica di Dio, significherebbe abbassare Dio al rango degli esseri del nostro mondo, e quindi sbagliarsi già metodologicamente su quello che Dio è. La scienza deve riconoscere i suoi limiti e la sua impotenza a raggiungere l’esistenza di Dio: essa non può né affermare, né negare questa esistenza.
Da ciò non deve tuttavia trarsi la conclusione che gli scienziati siano incapaci di trovare, nei loro studi scientifici, motivi validi per ammettere l’esistenza di Dio. Se la scienza, come tale, non può raggiungere Dio, lo scienziato, che possiede un’intelligenza il cui oggetto non è limitato alle cose sensibili, può scoprire nel mondo le ragioni per affermare un essere che lo supera. Molti scienziati hanno fatto e fanno questa scoperta.
Colui che, con uno spirito aperto, riflette su quello che è implicato nell’esistenza dell’universo, non può impedirsi di porre il problema dell’origine. Istintivamente, quando siamo testimoni di certi avvenimenti, ci chiediamo quali ne siano le cause. Come non fare la stessa domanda per l’insieme degli esseri e dei fenomeni che scopriamo nel mondo?
3. Un’ipotesi scientifica come quella dell’espansione dell’universo, fa apparire più chiaramente il problema: se l’universo si trova in continua espansione, non si dovrebbe risalire nel tempo fino a quello che si potrebbe chiamare il “momento iniziale”, quello in cui quell’espansione è cominciata? Ma, quale che sia la teologia adottata circa l’origine dell’universo, la questione più fondamentale non può essere elusa. Questo universo in costante movimento postula l’esistenza di una causa che, dandogli l’essere, gli ha comunicato questo movimento e continua ad alimentarlo. Senza tale causa suprema, il mondo e ogni moto in esso esistente resterebbero “inspiegati” e “inspiegabili”, e la nostra intelligenza non potrebbe essere soddisfatta. Lo spirito umano può ricevere una risposta ai suoi interrogativi solo ammettendo un essere che ha creato il mondo con tutto il suo dinamismo, e che continua a sostenerlo nell’esistenza.
4. La necessità di risalire a una causa suprema s’impone ancora di più quando si considera la perfetta organizzazione che la scienza non cessa di scoprire nella struttura della materia. Quando l’intelligenza umana si applica con tanta fatica a determinare la costituzione e le modalità di azione delle particelle materiali, non è forse indotta a cercarne l’origine in un’intelligenza superiore, che ha concepito tutto? Di fronte alle meraviglie di quello che si può chiamare il mondo immensamente piccolo dell’atomo, e il mondo immensamente grande del cosmo, lo spirito dell’uomo si sente interamente superato nelle sue possibilità di creazione e persino di immaginazione, e comprende che un’opera di tale qualità e di tali proporzioni richiede un Creatore, la cui sapienza trascenda ogni misura, la cui potenza sia infinita.
5. Tutte le osservazioni concernenti lo sviluppo della vita conducono a un’analoga conclusione. L’evoluzione degli esseri viventi, di cui la scienza cerca di determinare le tappe e discernere il meccanismo, presenta un interno finalismo che suscita l’ammirazione. Questa finalità che orienta gli esseri in una direzione, di cui non sono padroni né responsabili, obbliga a supporre uno Spirito che ne è l’inventore, il creatore.
La storia dell’umanità e la vita di ogni persona umana manifestano una finalità ancor più impressionante. Certo, l’uomo non può spiegare a se stesso il senso di tutto ciò che gli succede, e quindi deve riconoscere che non è padrone del proprio destino. Non solo egli non ha fatto se stesso, ma non ha nemmeno il potere di dominare il corso degli avvenimenti nello sviluppo della sua esistenza. Tuttavia è convinto di avere un destino e cerca di scoprire come l’ha ricevuto, com’è iscritto nel suo essere. In certi momenti può discernere più facilmente una finalità segreta, che traspare da un concorso di circostanze o di avvenimenti. Così è portato ad affermare la sovranità di colui che l’ha creato e che dirige la sua vita presente.
6. Infine, tra le qualità di questo mondo che spingono a guardare verso l’alto, vi è la bellezza. Essa si manifesta nelle svariate meraviglie della natura; si traduce nelle innumerevoli opere d’arte, letteratura, musica, pittura, arti plastiche. Si fa apprezzare pure nella condotta morale: vi sono tanti buoni sentimenti, tanti gesti stupendi. L’uomo è consapevole di “ricevere” tutta questa bellezza, anche se con la sua azione concorre alla sua manifestazione. Egli la scopre e l’ammira pienamente solo quando riconosce la sua fonte, la bellezza trascendente di Dio.
7. A tutte queste “indicazioni” sull’esistenza di Dio creatore, alcuni oppongono la virtù del caso o di meccanismi propri della materia. Parlare di caso per un universo che presenta una così complessa organizzazione negli elementi e un così meraviglioso finalismo nella vita, significa rinunciare alla ricerca di una spiegazione del mondo come ci appare. In realtà, ciò equivale a voler ammettere degli effetti senza causa. Si tratta di una abdicazione dell’intelligenza umana, che rinuncerebbe così a pensare, a cercare una soluzione ai suoi problemi.
In conclusione, una miriade di indizi spinge l’uomo, che si sforza di comprendere l’universo in cui vive, a orientare il proprio sguardo verso il Creatore. Le prove dell’esistenza di Dio sono molteplici e convergenti. Esse contribuiscono a mostrare che la fede non mortifica l’intelligenza umana, ma la stimola a riflettere e le permette di capire meglio tutti i “perché” posti dall’osservazione del reale.
Ai pellegrini italiani
Porgo il mio cordiale saluto ai numerosi pellegrini italiani che sono qui convenuti. Un particolare benvenuto rivolgo ai seminaristi del Pontificio Seminario Pio XI di Reggio Calabria.
Questo incontro, che rinnova quello che ebbi con voi lo scorso anno nel vostro seminario, mi offre l’occasione per esortarvi a perseverare nel cammino vocazionale, perché diventiate coraggiosi portatori del messaggio e della presenza del Redentore. Il Signore infonda nei vostri cuori fiducia e serenità, mentre di cuore imparto a voi, ai vostri superiori, ai vostri cari la mia benedizione.
* * *
Un affettuoso saluto anche alle Suore della Congregazione delle religiose ospedaliere di Gesù Nazareno.
Carissime! Auspico che il servizio ai sofferenti, cui siete chiamate, diventi sempre più strada di santità per voi e fonte di consolazione per quanti hanno bisogno di sostegno fraterno. Sia tenace la vostra fede, fiduciosa la vostra preghiera, e vi conforti a mia benedizione.
Ai giovani
Rivolgo ora un saluto particolarmente affettuoso a tutti i giovani, le ragazze e i ragazzi presenti a questo incontro, reso festoso e vibrante dal loro entusiasmo e dalla loro capacità di cogliere con ottimismo gli aspetti belli ed elevati della vita.
Carissimi, in questo periodo di riposo dai vostri impegni di studio e di lavoro, fate tesoro dei vostri viaggi e incontri per arricchire le vostre conoscenze storiche, artistiche e, al tempo stesso, trovandovi qui a Roma, per consolidare la vostra fede cristiana alla vista di antichi monumenti che stanno a testimoniare le radici primordiali del cristianesimo.
Vi auguro un felice soggiorno a Roma e vi accompagno con la mia benevolenza e la mia benedizione apostolica.
Agli ammalati
Anche a voi, cari ammalati, che siete tanto vicini al mio cuore, esprimo un pensiero speciale e beneaugurante. Auspico che possiate trovare sempre la forza cristiana per sopportare le prove, cui la malattia vi assoggetta. È la prova della croce, alla quale Gesù fu sottoposto per la nostra redenzione e che nessun cristiano può ignorare, senza privarsi dei meriti soprannaturali ad essa collegati.
La mia benedizione vi sia di sostegno e di conforto nei momenti più difficili della vostra vita.
Agli sposi novelli
Non dimentico, infine, le coppie di sposi novelli, che sono venuti per testimoniare la loro fede cristiana e per implorare sulla loro nascente famiglia la pienezza delle grazie celesti.
Cari sposi, vi auguro che il vostro amore, reso più forte dal sacramento del matrimonio, si mantenga sempre saldo e granitico, anche in mezzo alle difficoltà che potranno insorgere durante il percorso della vita a due; anzi si fortifichi sempre più mediante l’esercizio delle virtù cristiane e diventi veramente un segno luminoso dell’amore che unisce Cristo alla Chiesa.
A questo fine vi imparto una speciale benedizione.
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GIOVANNI PAOLO II
UDIENZA GENERALE
Mercoledì, 5 marzo 1986
1. La riflessione sulla verità della creazione, con cui Dio chiama all’esistenza il mondo dal nulla, spinge lo sguardo della nostra fede alla contemplazione di Dio Creatore, il quale rivela nella creazione la sua onnipotenza, la sua sapienza e il suo amore. L’onnipotenza del Creatore si mostra sia nel chiamare le creature dal nulla all’esistenza, sia nel mantenerle nell’esistenza. “Come potrebbe sussistere una cosa, se tu non vuoi? O conservarsi se tu non l’avessi chiamata all’esistenza?”, chiede l’Autore del Libro della Sapienza (Sap 11, 25).
2. L’onnipotenza rivela anche l’amore di Dio che, creando, dona l’esistenza ad esseri diversi da lui e insieme differenti tra di loro. La realtà del suo dono permea tutto l’essere e l’esistere del creato. Creare significa donare (donare soprattutto l’esistenza). E colui che dona, ama. Lo afferma l’Autore del Libro della Sapienza, quando esclama: “Tu ami tutte le cose esistenti e nulla disprezzi di quanto hai creato, se avessi odiato qualcosa, non l’avresti neppure creata”; (Sap 11, 24) e aggiunge: “Tu risparmi tutte le cose, perché tutte son tue, Signore, amante della vita” (Sap 11, 26).
3. L’amore di Dio è disinteressato: mira soltanto a che il bene venga all’esistenza, perduri e si sviluppi secondo la dinamica che gli è propria. Dio Creatore è Colui “che tutto opera efficacemente, conforme alla sua volontà” (Ef 1, 11). E tutta l’opera della creazione appartiene al piano della salvezza, il misterioso progetto “nascosto da secoli nella mente di Dio, creatore dell’Universo” (Ef 3, 9). Mediante l’atto della creazione del mondo, e in particolare dell’uomo, il piano della salvezza inizia a realizzarsi. La creazione è opera della Sapienza che ama, come la Sacra Scrittura ricorda a più riprese. (cf. ex. Gr., Prov. 8, 22-36)
È chiaro quindi che la verità di fede sulla creazione si contrappone in modo radicale alle teorie della filosofia materialistica, che vedono il cosmo come risultato di una evoluzione della materia riconducibile a puro caso e necessità.
4. Sant’Agostino dice: “È necessario che noi, guardando il Creatore attraverso le opere da lui compiute, ci eleviamo alla contemplazione della Trinità, di cui la creazione in una certa e giusta proporzione porta la traccia” (S. Augustini De Trinitate, VI, 10, 12). È verità di fede che il mondo ha il suo inizio nel Creatore, il quale è Dio Uno e Trino. Benché l’opera della creazione venga attribuita soprattutto al Padre – così infatti professiamo nei simboli della fede (“Credo in Dio Padre onnipotente, creatore del cielo e della terra”) – è anche verità di fede che il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo sono l’unico e indivisibile “principio” della creazione.
5. La Sacra Scrittura conferma in diversi modi questa verità: prima di tutto per quanto riguarda il Figlio, il Verbo, la Parola consostanziale al Padre. Sono già presenti nell’Antico Testamento alcuni accenni significativi, come ad esempio questo eloquente versetto del Salmo: “Dalla parola del Signore furono fatti i cieli” (Sal 33 [32], 6). È una affermazione che trova la sua piena esplicitazione nel Nuovo Testamento, come ad esempio nel Prologo di Giovanni: “In principio era il Verbo e il Verbo era presso Dio e il Verbo era Dio . . . Tutto è stato fatto per mezzo di lui, e senza di lui niente è stato fatto di tutto ciò che esiste . . . e il mondo fu fatto per mezzo di lui” (Gv 1, 1-2. 10). Le Lettere di Paolo proclamano che ogni cosa è stata fatta “in Gesù Cristo”: vi si parla infatti di “un solo Signore Gesù Cristo, in virtù del quale esistono tutte le cose e noi esistiamo per lui” (1 Cor 8, 6). Nella Lettera ai Colossesi leggiamo: “Egli (Cristo) è immagine del Dio invisibile, generato prima di ogni creatura; poiché, per mezzo di lui sono state create tutte le cose, quelle nei cieli e quelle sulla terra, quelle visibili e quelle invisibili . . . Tutte le cose sono state create per mezzo di lui e in vista di lui. Egli è prima di tutte le cose e tutte sussistono in lui” (Col 1, 15-17).
L’Apostolo sottolinea la presenza operante di Cristo sia come causa della creazione (“per mezzo di lui”), sia come suo fine (“in vista di lui”). È un tema sul quale occorrerà tornare. Intanto notiamo che anche la Lettera agli Ebrei afferma che Dio per mezzo del Figlio “ha fatto anche il mondo” (Eb 1, 2) e che il “Figlio . . . sostiene tutto con la potenza della sua parola” (Eb 1, 3).
6. Così il Nuovo Testamento, e in particolare gli scritti di san Paolo e di san Giovanni, approfondiscono e arricchiscono il richiamo alla Sapienza e alla Parola creatrice già presente nell’Antico Testamento . . . “Dalla parola del Signore furono fatti i cieli” (Sal 33 [32], 6). Precisano che quel Verbo creatore non soltanto era “presso Dio”, ma “era Dio”, e anche proprio in quanto Figlio consostanziale al Padre, il Verbo ha creato il mondo in unione con il Padre: “e il mondo fu fatto per mezzo di lui” (Gv 1, 10).
Non solo: il mondo è stato anche creato in riferimento alla persona (ipostasi) del Verbo. “Immagine del Dio invisibile” (Col 1, 15), il Verbo, che è l’Eterno Figlio, “irradiazione della gloria del Padre e impronta della sua sostanza” (cf. Eb 1, 3) è anche Colui che è stato “generato prima di ogni creatura” (Col 1, 15), nel senso che tutte le cose sono state create nel Verbo-Figlio, per diventare, nel tempo, il mondo delle creature, chiamato dal nulla all’esistenza “al di fuori di Dio”. In questo senso “tutto è stato fatto per mezzo di lui, e senza di lui niente è stato fatto di ciò che esiste” (Gv 1, 3).
7. Si può dunque affermare che la rivelazione presenta, dell’universo, una struttura “logica” (da “Logos”: Verbo) e una struttura “iconica” (da “eikon”: immagine, immagine del Padre). Fin dai tempi dei Padri della Chiesa si è consolidato infatti l’insegnamento, secondo cui il creato porta in sé “le vestigia della Trinità” (“vestigia Trinitatis”). Esso è opera del Padre per mezzo del Figlio nello Spirito Santo. Nella creazione si rivela la Sapienza di Dio: in essa l’accennata duplice struttura “logico-iconica” delle creature è intimamente unita alla struttura del dono, come dicono alcuni teologi moderni.
Le singole creature non sono soltanto “parole” del Verbo, con cui il Creatore si manifesta alla nostra intelligenza, ma sono anche “doni” del Dono: esse portano in sé l’impronta dello Spinto Santo, Spirito creatore.
Non è forse detto già nei primi versetti della Genesi: “In principio Dio creò il cielo e la terra (l’universo) . . . e lo spirito di Dio aleggiava sulle acque” (Gen 1, 1-2)? L’accenno, suggestivo anche se vago, all’azione dello Spirito in quel primo “principio” dell’universo, appare molto significativo per noi che lo leggiamo alla luce della piena rivelazione neotestamentaria.
8. La creazione è opera di Dio Uno e Trino. Il mondo “creato” nel Verbo-Figlio viene “restituito” insieme con il Figlio al Padre, mediante quel Dono Increato consostanziale ad entrambi, che è lo Spirito Santo. In tal modo il mondo viene “creato” in quell’Amore che è lo Spirito del Padre e del Figlio. Questo universo abbracciato dall’eterno Amore, incomincia a esistere nell’istante scelto dalla Trinità come inizio del tempo.
In tal modo la creazione del mondo è opera dell’Amore; l’universo, dono creato, scaturisce dal Dono Increato, dall’Amore reciproco del Padre e del Figlio, dalla santissima Trinità.
Ai giovani
Ed ora do il mio affettuoso benvenuto a tutti i gruppi di giovani, presenti a questa Udienza, ed esprimo la mia gratitudine a quanti li guidano a maturità umana e cristiana. Saluto specialmente gli studenti delle varie scuole e in particolare gli alunni del Centro Studi “Antonio Manieri”, che sono accompagnati dai rispettivi Presidi e Insegnanti e intendono in questa occasione fare un gesto di fraternità verso il popolo indiano, offrendo un contributo per l’erigendo edificio della “Dominic Savio Boy’s Home” di Tamil Nadù, Tirupattur.
Giovani carissimi, già sapete quanta consolazione mi procura il vostro entusiasmo, in cui si riflettono la vostra leale adesione al Vangelo di Gesù, l’impegno di praticarne gli insegnamenti e la vostra aspirazione a concorrere alla formazione di una società aliena da ogni forma di violenza e quindi più giusta e fraterna. Nell’incoraggiarvi in questi propositi vi accompagno con la mia Benedizione Apostolica.
Agli ammalati
Cordiale come sempre, è il mio saluto a voi, carissimi infermi, a cui desidero manifestare ammirazione e gratitudine per la generosità con cui avete accettato la sofferenza per amore di Dio, mettendola a sua disposizione per il bene della Chiesa e delle anime.
Vi sia di sostegno nel vostro dolore il sapere che siete autentici benefattori del mondo, che ha bisogno della vostra preziosa e sofferta testimonianza. Il Signore si serve di voi per effondere la sua misericordia. Nella vostra generosa dedizione vi seguo con la mia preghiera e con tutto l’affetto vi benedico.
Agli sposi novelli
Ringrazio di cuore gli sposi desiderosi di ricevere con la Benedizione Apostolica una parola d’incoraggiamento e di augurio. Voi siete per la Comunità dei fedeli i testimoni della grandezza e della santità del vincolo matrimoniale, in un momento in cui tante insidie minacciano la stabilità della famiglia umana. Vi esprimo fervido augurio che il vostro esempio costituisca, specialmente per i giovani sposi, un salutare richiamo agli insegnamenti del Vangelo, che sono stati per voi luce e conforto nell’instaurare il vostro focolare domestico. Imparto a voi ed alle rispettive famiglie la desiderata Benedizione Apostolica.
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Inoltre è intervenuta sul tema la Commissione Teologica Internazionale, per incarico della congregazione vaticana per la dottrina della fede che all’epoca era presieduta dal cardinale Ratzinger. Il documento, del 23 luglio 2004, è disponibile nel sito del Vaticano in italiano e in inglese:
COMMISSIONE TEOLOGICA INTERNAZIONALE
COMUNIONE E SERVIZIO
La persona umana creata a immagine di Dio*
INTRODUZIONE
1. L’aumento esplosivo delle conoscenze scientifiche e delle capacità tecnologiche nell’epoca moderna ha portato notevoli vantaggi al genere umano, ma pone anche difficili sfide. Alla luce delle nostre conoscenze sull’immensità e l’antichità dell’universo appaiono assai meno rilevanti e sicure la posizione e l’importanza dell’uomo al suo interno. Il progresso tecnologico ha considerevolmente accresciuto la nostra capacità di controllare e dirigere le forze della natura, ma ha anche finito con l’esercitare un impatto imprevisto e forse incontrollabile sul nostro ambiente e persino sullo stesso genere umano.
2. La Commissione Teologica Internazionale offre la seguente meditazione teologica sulla dottrina dell’imago Dei per orientare la riflessione sul significato dell’esistenza umana di fronte a tali sfide. Al tempo stesso desideriamo presentare la visione positiva della persona umana all’interno dell’universo che ci viene offerta da questo tema dottrinale recentemente riscoperto.
3. Soprattutto a partire dal Concilio Vaticano II, la dottrina dell’imago Dei ha avuto una rilevanza sempre maggiore nell’insegnamento del Magistero e nella ricerca teologica. In precedenza, a causa di diversi fattori, la teologia dell’imago Dei era stata lasciata in ombra da alcuni teologi e filosofi occidentali moderni. Nella filosofia il concetto stesso di «immagine» è stato oggetto di pesanti critiche provenienti da quelle teorie della conoscenza che o privilegiavano il ruolo dell’«idea» a scapito dell’immagine (razionalismo), o consideravano l’esperienza il criterio ultimo della verità, senza fare riferimento al ruolo dell’immagine (empirismo). Esistono inoltre fattori culturali, come l’influenza dell’umanesimo secolare e, in tempi più recenti, la profusione di immagini da parte dei media, che hanno reso difficile affermare, da una parte, l’orientamento umano verso il divino e, dall’altra, il riferimento ontologico dell’immagine, entrambi presupposti essenziali per una qualsiasi teologia dell’imago Dei. All’interno della stessa teologia occidentale lo scarso peso attribuito a questo tema si spiega anche alla luce di interpretazioni bibliche che hanno sottolineato la validità permanente del divieto di creare immagini (cfr Es 20,3-4) o hanno postulato un influsso ellenistico sulla comparsa di questo tema nella Bibbia.
4. Soltanto alla vigilia del Concilio Vaticano II i teologi hanno cominciato a riscoprire la fecondità di questo tema ai fini di una comprensione e articolazione dei misteri della fede cristiana. Effettivamente i documenti conciliari esprimono e al tempo stesso confermano questo sviluppo significativo nella teologia del XX secolo. In linea con il crescente recupero di interesse del tema dell’imago Dei, verificatosi successivamente al Concilio Vaticano II, la Commissione Teologica Internazionale si propone nelle pagine seguenti di riaffermare la verità che la persona umana è creata a immagine di Dio per godere di una comunione personale con il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo e, in loro, con gli altri uomini, e per esercitare, in nome di Dio, un’amministrazione responsabile sul mondo creato. Alla luce di questa verità, l’universo non ci appare come semplicemente immenso e forse privo di significato, ma piuttosto come un luogo creato per la comunione personale.
5. Come cercheremo di dimostrare nei capitoli seguenti, queste verità profonde non hanno perduto nulla della loro rilevanza o del loro peso. Dopo una breve rassegna delle basi scritturistiche e tradizionali dell’imago Dei nel capitolo 1°, passiamo ai due grandi temi della teologia dell’imago Dei: nel capitolo 2° esaminiamo l’imago Dei come fondamento della comunione con il Dio uno e trino e tra le persone umane e, nel capitolo 3°, l’imago Dei come fondamento della partecipazione al governo che Dio esercita sulla creazione visibile. Queste riflessioni mettono insieme i principali elementi dell’antropologia cristiana e alcuni elementi dell’etica e della teologia morale così come vengono illuminati dalla teologia dell’imago Dei. Siamo ben consapevoli dell’ampiezza delle tematiche che abbiamo qui cercato di affrontare, ma offriamo queste riflessioni per ricordare a noi stessi e ai nostri lettori quanto sia immensa la potenza esplicativa della teologia dell’imago Dei proprio per riaffermare la verità divina relativamente all’universo e al significato della vita umana.
CAPITOLO PRIMO
LA PERSONA UMANA CREATA A IMMAGINE DI DIO
6. Come testimoniato dalla Sacra Scrittura, dalla Tradizione e dal Magistero, la verità che gli esseri umani sono creati a immagine di Dio è nel cuore della rivelazione cristiana. I Padri della Chiesa e i grandi teologi scolastici hanno riconosciuto tale verità e ne hanno esposte le implicazioni di massima. Nonostante che questa verità, come vedremo più oltre, sia stata messa in discussione da alcuni influenti pensatori moderni, oggi i teologi e gli studiosi biblici sono concordi con il Magistero nel riscoprire e riaffermare la dottrina dell’imago Dei.
1. L’«imago Dei» nella Scrittura e nella Tradizione
7. Con alcune rare eccezioni, la maggior parte degli esegeti contemporanei riconosce la centralità del tema dell’imago Dei nella rivelazione biblica (cfr Gn 1,26-27; 5,1-3; 9,6). Questo tema viene visto come la chiave per una comprensione biblica della natura umana e per tutte le affermazioni di antropologia biblica nell’Antico come nel Nuovo Testamento. Per la Bibbia, l’imago Dei costituisce quasi una definizione dell’uomo: il mistero dell’uomo non può essere compreso separatamente dal mistero di Dio.
8. Il concetto veterotestamentario dell’uomo creato a imago Dei riflette in parte il pensiero del Vicino Oriente antico, secondo il quale il re era immagine di Dio sulla Terra. L’interpretazione biblica è però diversa, in quanto estende il concetto di immagine di Dio a tutti gli uomini. La Bibbia si differenzia ulteriormente dal pensiero del Vicino Oriente in quanto vede l’uomo come diretto innanzitutto non verso il culto degli dèi, ma verso la coltivazione della Terra (cfr Gn 2,15). Collegando, per così dire, il culto più direttamente con la coltivazione, la Bibbia comprende che l’attività umana nei sei giorni della settimana è ordinata al sabato, un giorno di benedizione e di santificazione.
9. Due temi convergono nel dare forma alla prospettiva biblica. Innanzitutto è l’uomo nella sua interezza ad essere creato a immagine di Dio. Questa prospettiva esclude le interpretazioni che fanno risiedere l’imago Dei nell’uno o nell’altro aspetto della natura umana (ad esempio, nella sua rettitudine o nel suo intelletto), o in una delle sue qualità o funzioni (ad esempio, la sua natura sessuale o il suo dominio sulla Terra). Evitando sia il monismo sia il dualismo, la Bibbia presenta una visione dell’essere umano nella quale la dimensione spirituale è vista insieme alla dimensione fisica, sociale e storica dell’uomo.
10. In secondo luogo il racconto della creazione della Genesi mette in evidenza come l’uomo non sia stato creato come un individuo isolato: «Dio creò l’uomo a sua immagine; a immagine di Dio lo creò; maschio e femmina li creò» (Gn 1,27). Dio ha posto i primi esseri umani in relazione l’uno con l’altro, ognuno con un partner dell’altro sesso. La Bibbia afferma che l’uomo esiste in relazione con altre persone, con Dio, con il mondo e con se stesso. Secondo questo concetto, l’uomo non è un individuo isolato, ma una persona: un essere essenzialmente relazionale. Lungi dal significare un attualismo puro che ne negherebbe lo status ontologico permanente, il carattere fondamentalmente relazionale dell’imago Dei stessa ne costituisce la struttura ontologica ed è fondamento per l’esercizio della libertà e della responsabilità.
11. Secondo il Nuovo Testamento, l’immagine creata presente nell’Antico Testamento deve essere completata nell’imago Christi. Nello sviluppo neotestamentario di questo tema emergono due elementi distintivi: il carattere cristologico e trinitario dell’imago Dei, e il ruolo della mediazione sacramentale nella formazione dell’imago Christi.
12. Poiché l’immagine perfetta di Dio è Cristo stesso (2 Cor 4,4; Col 1,15; Eb 1,3), l’uomo dev’essere a lui conformato (Rm 8,29) per diventare figlio del Padre attraverso la potenza dello Spirito Santo (Rm 8,23). Effettivamente per «diventare» immagine di Dio è necessario che l’uomo partecipi attivamente alla sua trasformazione secondo il modello dell’immagine del Figlio (Col 3,10), che manifesta la propria identità tramite il movimento storico dalla sua Incarnazione alla sua gloria. Secondo il modello tratteggiato per primo dal Figlio, l’immagine di Dio in ogni uomo è costituita dal suo stesso percorso storico che parte dalla creazione, passando per la conversione dal peccato, fino alla salvezza e al suo compimento. Proprio come Cristo ha manifestato la sua signoria sul peccato e sulla morte attraverso la sua Passione e Risurrezione, così ogni uomo consegue la propria signoria attraverso Cristo nello Spirito Santo — non soltanto una sovranità sulla Terra e sul regno animale (come afferma l’Antico Testamento) — ma principalmente sul peccato e sulla morte.
13. Secondo il Nuovo Testamento, questa trasformazione nell’immagine di Cristo si attua attraverso i sacramenti, innanzitutto come effetto dell’illuminazione del messaggio di Cristo (2 Cor 3,18-4,6) e del battesimo (1 Cor 12,13). La comunione con Cristo deriva dalla fede in lui e dal battesimo, attraverso il quale si muore all’uomo vecchio tramite Cristo (Gal 3,26-28) e ci si riveste dell’uomo nuovo (Gal 3,27; Rm 13,14). La Penitenza, l’Eucaristia e gli altri sacramenti ci confermano e ci rafforzano in questa trasformazione radicale, che avviene secondo il modello della Passione, Morte e Risurrezione di Cristo. Creati a immagine di Dio e perfezionati a immagine di Cristo grazie alla potenza dello Spirito Santo nei sacramenti, siamo stretti in un abbraccio d’amore dal Padre.
14. La visione biblica dell’immagine di Dio ha continuato a occupare un posto di rilievo nell’antropologia cristiana dei Padri della Chiesa e nella teologia successiva, fino all’inizio dell’epoca moderna. A dimostrazione della centralità di questo tema vediamo come i primi cristiani hanno cercato di interpretare la proibizione biblica delle rappresentazioni artistiche di Dio (cfr Es 20,2-3; Dt 27,15) alla luce dell’Incarnazione. Infatti il mistero dell’Incarnazione ha dimostrato la possibilità di rappresentare Dio-fatto-uomo nella sua realtà umana e storica. Le argomentazioni che nelle dispute iconoclastiche del VII e VIII secolo sono state addotte a difesa della rappresentazione artistica del Verbo Incarnato e degli eventi della salvezza si basavano su una profonda comprensione dell’unione ipostatica, che rifiutava di separare nell’«immagine» il divino dall’umano.
15. La teologia patristica e medievale per certi aspetti ha preso le distanze dall’antropologia biblica, e per altri l’ha ulteriormente sviluppata. La maggior parte dei rappresentanti della tradizione, ad esempio, non ha aderito pienamente alla visione biblica che identificava l’immagine con la totalità dell’uomo. Uno sviluppo significativo del racconto biblico è dato dalla distinzione che fa sant’Ireneo tra immagine e somiglianza, secondo la quale «immagine» denota una partecipazione ontologica (methexis) e «somiglianza» (mimēsis) una trasformazione morale (Adv. Haer. V, 6, 1; V, 8, 1; V, 16, 2). Secondo Tertulliano, Dio ha creato l’uomo a sua immagine e gli ha trasfuso il suo soffio vitale in quanto sua somiglianza. Mentre l’immagine non potrà mai essere distrutta, la somiglianza può essere perduta tramite il peccato (Bapt. 5, 6. 7). Sant’Agostino non ha fatto sua questa distinzione, ma ha presentato una versione più personalistica, psicologica ed esistenziale dell’imago Dei. Per lui, l’immagine di Dio nell’uomo ha una struttura trinitaria, che riflette o la struttura tripartita dell’anima umana (spirito, coscienza di sé e amore) o i tre aspetti della psiche (memoria, intelligenza e volontà). Secondo Agostino, l’immagine di Dio nell’uomo lo orienta verso Dio nell’invocazione, nella conoscenza e nell’amore (Confessioni I, 1, 1).
16. In Tommaso d’Aquino, l’imago Dei possiede una natura storica, in quanto passa attraverso tre fasi: l’imago creationis (naturae), l’imago recreationis (gratiae) e l’imago similitudinis (gloriae) (S. Th. I q. 93 a. 4). Per l’Aquinate, l’imago Dei è fondamento della partecipazione alla vita divina. L’immagine di Dio si realizza principalmente in un atto di contemplazione nell’intelletto (S. Th. I q. 93 a. 4 e 7). Questa concezione si distingue da quella di Bonaventura, per il quale l’immagine si realizza principalmente attraverso la volontà nell’atto religioso dell’uomo (Sent. II d. 16 a. 2 q. 3). Rimanendo nella stessa visione mistica, ma con maggiore audacia, Meister Eckhart tende a spiritualizzare l’imago Dei, collocandola al vertice dell’anima e distaccandola dal corpo (Quint. I, 5, 5-7; V, 6. 9 s).
17. Le controversie legate alla Riforma dimostrano quanto peso continuasse ad avere la teologia dell’imago Dei per i teologi protestanti come per quelli cattolici. I riformatori accusavano i cattolici di ridurre l’immagine di Dio a una «imago naturae», che presentava una concezione statica della natura umana e incoraggiava il peccatore a costituirsi davanti a Dio. Da parte loro, i cattolici accusavano i riformatori di negare la realtà ontologica dell’immagine di Dio, riducendola a pura relazione. Inoltre, i riformatori insistevano sul fatto che l’immagine di Dio era corrotta dal peccato, mentre i teologi cattolici vedevano il peccato come una ferita dell’immagine di Dio nell’uomo.
2. La critica moderna della teologia dell’«imago Dei»
18. La centralità della teologia dell’imago Dei all’interno dell’antropologia teologica si è mantenuta fino agli albori dell’era moderna. Tale era la forza e il fascino esercitato da questa dottrina che lungo tutto il corso della storia del pensiero cristiano essa è stata in grado di tenere testa a quelle critiche isolate (ad esempio, nell’iconoclastia) secondo le quali il suo antropomorfismo fomentava l’idolatria. Nell’epoca moderna, tuttavia, la teologia dell’imago Dei è stata oggetto di critiche più serrate e sistematiche.
19. La concezione di un universo che progredisce grazie alla scienza moderna si è sostituita all’idea classica di un cosmo fatto a immagine divina, scardinando così un elemento importante della struttura concettuale a sostegno della teologia dell’imago Dei. Quest’ultima venne considerata una tematica poco conforme all’esperienza dagli empiristi, e ambigua dai razionalisti. Ma il più significativo tra i fattori che hanno minato la teologia dell’imago Dei è stata la concezione dell’uomo come soggetto autonomo auto-costituentesi, scisso da qualsiasi rapporto con Dio. Uno sviluppo del genere non rendeva più possibile sostenere la nozione di imago Dei. Da qui al rovesciamento dell’antropologia biblica il passo era breve, un passaggio che assunse forme diverse nel pensiero di Ludwig Feuerbach, Karl Marx e Sigmund Freud: non è l’uomo a essere stato fatto a immagine di Dio, ma è Dio a essere semplicemente un’immagine proiettata dall’uomo. Alla fine, perché l’uomo potesse dichiararsi autocostituito, l’ateismo era un presupposto necessario.
20. Inizialmente nella teologia occidentale del XX secolo non spirava un’aria favorevole al tema dell’imago Dei. Tenuto conto degli sviluppi del secolo precedente che abbiamo appena descritto era forse inevitabile che alcune forme della teologia dialettica considerassero il tema come un’espressione dell’arroganza umana, per cui l’uomo si confronta o si equipara a Dio. La teologia esistenziale, ponendo l’accento sull’evento dell’incontro con Dio, ha messo in discussione il concetto, implicito nella dottrina dell’imago Dei, di una relazione stabile o permanente con Dio. La teologia della secolarizzazione ha respinto la nozione di un riferimento oggettivo nel mondo che collochi l’uomo con riferimento a Dio. Il «Dio senza proprietà» — di fatto un Dio impersonale — proposto da alcune versioni della teologia negativa non poteva essere un modello per l’uomo fatto a sua immagine. Nella teologia politica, che pone al centro del suo interesse l’ortoprassi, il tema dell’imago Dei è stato lasciato in ombra. Infine, altre critiche sono state mosse da teologi e da rappresentanti del pensiero laico che accusavano la teologia dell’imago Dei di avere alimentato una mancanza di considerazione nei confronti dell’ambiente naturale e del benessere degli animali.
3. L’«imago Dei» nel Concilio Vaticano II e nella teologia di oggi
21. Nonostante queste tendenze contrarie, per tutta la metà del XX secolo si è assistito a un progressivo recupero d’interesse nei confronti della teologia dell’imago Dei. Grazie a un attento studio delle Scritture, dei Padri della Chiesa e dei grandi teologi scolastici, si è ripreso coscienza di quanto sia capillare e importante il tema dell’imago Dei. Questa riscoperta era già ampiamente in atto presso i teologi cristiani prima ancora del Concilio Vaticano II. Il Concilio ha poi dato nuovo slancio alla teologia dell’imago Dei, particolarmente nella Costituzione sulla Chiesa nel mondo contemporaneo Gaudium et spes.
22. Appellandosi al tema dell’immagine di Dio, nella Gaudium et spes il Concilio afferma la dignità dell’uomo così come questa viene insegnata in Genesi 1,26 e nel Salmo 8,6 (GS, n. 12). Nella visione conciliare, l’imago Dei consiste nel fondamentale orientamento dell’uomo verso Dio, fondamento della dignità umana e dei diritti inalienabili della persona umana. Poiché ogni essere umano è un’immagine di Dio, nessuno può essere costretto a soggiacere a qualsiasi sistema o finalità di questo mondo. La signoria dell’uomo nel cosmo, la sua capacità di esistenza sociale, e la conoscenza di Dio e l’amore verso Dio sono tutti elementi che trovano le loro radici nel fatto che l’uomo è stato creato a immagine di Dio.
23. Alla base dell’insegnamento conciliare c’è la determinazione cristologica dell’immagine: è Cristo a essere immagine del Dio invisibile (Col 1,15) (GS, n. 10). Il Figlio è l’uomo perfetto che restituisce ai figli e alle figlie di Adamo la somiglianza divina, ferita dal peccato dei primi genitori (GS, n. 22). Rivelato da Dio che ha creato l’uomo a sua immagine, è il Figlio a dare all’uomo una risposta agli interrogativi sul significato della vita e della morte (GS, n. 41). Il Concilio, inoltre, sottolinea la struttura trinitaria dell’immagine: conformandosi a Cristo (Rm 8,29) e attraverso i doni dello Spirito Santo (Rm 8,23), viene creato un uomo nuovo, capace di adempiere il comandamento nuovo (GS, n. 22). Sono i santi ad essere pienamente trasformati nell’immagine di Cristo (cfr Cor 3,18); in loro, Dio manifesta la sua presenza e la sua grazia come segno del suo regno (GS, n. 24). Partendo dalla dottrina dell’immagine di Dio, il Concilio insegna che l’attività umana rispecchia la creatività divina che ne rappresenta il modello (GS, n. 34) e che essa va orientata verso la giustizia e la comunione per promuovere la formazione di una sola famiglia nella quale tutti possano essere fratelli e sorelle (GS, n. 24).
24. Il rinnovato interesse per la teologia dell’imago Dei emerso dal Concilio Vaticano II si riflette anche nella teologia contemporanea, dove si sono verificati sviluppi in diverse aree. Innanzitutto, i teologi stanno lavorando per dimostrare come la teologia dell’imago Dei illumini le connessioni tra antropologia e cristologia. Senza negare la grazia unica donata al genere umano attraverso l’Incarnazione, i teologi vogliono riconoscere il valore intrinseco della creazione dell’uomo a immagine di Dio. Le possibilità che Cristo apre all’uomo non significano la soppressione della realtà dell’uomo in quanto creatura, ma la sua trasformazione e realizzazione secondo l’immagine perfetta del Figlio. Inoltre, congiuntamente a questa nuova comprensione del legame tra cristologia e antropologia, emerge anche una maggiore comprensione del carattere dinamico dell’imago Dei. Senza negare il dono rappresentato dalla creazione originaria dell’uomo a immagine di Dio, i teologi vogliono riconoscere la verità che, alla luce della storia umana e dell’evoluzione della cultura umana, l’imago Dei può essere considerata, in un senso reale, ancora in divenire. Non solo, ma la teologia dell’imago Dei stabilisce anche un’ulteriore connessione tra antropologia e teologia morale dimostrando come l’uomo, nel suo stesso essere, possieda una partecipazione alla legge divina. Questa legge naturale orienta le persone umane verso la ricerca del bene nelle loro azioni. Ne consegue infine che l’imago Dei ha una dimensione teleologica ed escatologica che definisce l’uomo come homo viator, orientato alla parousia e al compimento del piano divino per l’universo così come viene realizzato nella storia di grazia nella vita di ogni singolo essere umano e nella storia dell’intero genere umano.
CAPITOLO SECONDO
A IMMAGINE DI DIO: PERSONE IN COMUNIONE
25. La comunione e il servizio sono i due grandi filoni di cui è intessuta la trama della dottrina dell’imago Dei. Il primo filone, che esamineremo in questo capitolo, può essere così ricapitolato: il Dio uno e trino ha rivelato il suo progetto di condivisione della comunione della vita trinitaria con persone create a sua immagine. Anzi, è per questa comunione trinitaria che le persone umane sono create a immagine di Dio. È proprio su questa somiglianza radicale al Dio uno e trino che si fonda la possibilità di una comunione di esseri creati con le persone increate della Santissima Trinità. Creati a immagine di Dio, gli esseri umani sono per natura corporei e spirituali, uomini e donne fatti gli uni per gli altri, persone orientate verso la comunione con Dio e reciproca, feriti dal peccato e bisognosi di salvezza, e destinati ad essere conformati a Cristo, immagine perfetta del Padre, nella potenza dello Spirito Santo.
1. Corpo e anima
26. Gli esseri umani, creati a immagine di Dio, sono persone chiamate a godere della comunione e a svolgere un servizio in un universo fisico. Le attività derivanti dalla comunione interpersonale e dal servizio responsabile interessano le capacità spirituali — intellettuali e affettive — delle persone umane, ma non escludono il corpo. Gli esseri umani sono esseri fisici che dividono il mondo con altri esseri viventi. Implicita nella teologia cattolica dell’imago Dei è la verità profonda che il mondo materiale crea le condizioni per l’impegno delle persone umane l’una nei confronti dell’altra.
27. Questa verità non ha sempre ricevuto l’attenzione che merita. La teologia di oggi sta cercando di superare l’influenza delle antropologie dualistiche che collocano l’imago Dei esclusivamente in relazione all’aspetto spirituale della natura umana. In parte sotto l’influsso dell’antropologia dualistica prima platonica e poi cartesiana, nella stessa teologia cristiana si è avuta la tendenza a identificare l’imago Dei negli esseri umani con quella che è la caratteristica più specifica della natura umana, ossia la mente o lo spirito. Un importante contributo al superamento di questa tendenza è stato dato dalla riscoperta sia di elementi dell’antropologia biblica sia di aspetti della sintesi tomistica.
28. Che la corporeità sia essenziale all’identità della persona è un concetto fondamentale, seppure non esplicitamente tematizzato, nella testimonianza della Rivelazione cristiana. L’antropologia biblica esclude il dualismo mente-corpo. L’uomo viene considerato nella sua interezza. Tra i termini ebraici fondamentali utilizzati nell’Antico Testamento per designare l’uomo, nèfèš significa la vita di una persona concreta che è viva (Gn 9,4; Lv 24,17-18; Prv 8,35). Ma l’uomo non ha un nèfèš; è un nèfèš (Gn 2,7; Lv 17,10). Basar si riferisce alla carne degli animali e degli uomini, e talvolta al corpo nel suo insieme (Lv 4,11; 26,29). Anche in questo caso l’uomo non ha un basar, ma è un basar. Il termine neotestamentario sarx (carne) può denotare la corporeità materiale dell’uomo (2 Cor 12,7), ma anche la persona nel suo insieme (Rm 8,6). Un altro termine greco, soma (corpo), si riferisce all’intero essere umano, ponendo l’accento sulla sua manifestazione esteriore. Anche qui l’uomo non ha il suo corpo, ma è il suo corpo. L’antropologia biblica presuppone chiaramente l’unità dell’uomo e comprende come la corporeità sia essenziale all’identità personale.
29. Nei dogmi centrali della fede cristiana è sottinteso che il corpo è parte intrinseca della persona umana e partecipa quindi alla sua creazione a immagine di Dio. La dottrina cristiana della creazione esclude completamente un dualismo metafisico o cosmico, poiché insegna come nell’universo tutto, spirituale e materiale, sia stato creato da Dio e promani quindi dal Bene perfetto. Nel contesto della dottrina dell’Incarnazione, anche il corpo è visto come parte intrinseca della persona. Il Vangelo di Giovanni afferma che «il Verbo si fece carne (sarx)», per sottolineare, in contrapposizione al docetismo, che Gesù aveva un corpo fisico reale e non un corpo-fantasma. Inoltre Gesù ci redime attraverso ogni atto da Lui compiuto nel suo corpo. Il suo Corpo offerto per noi e il suo Sangue versato per noi significano il dono della sua Persona per la nostra salvezza. L’opera redentrice di Cristo si compie nella Chiesa, suo corpo mistico, ed è resa visibile e tangibile tramite i sacramenti. Gli effetti dei sacramenti, per quanto essi stessi principalmente spirituali, si attuano attraverso segni materiali percettibili, che possono essere ricevuti soltanto nel o con il corpo. Questo dimostra che non solo la mente dell’uomo è redenta, ma anche il suo corpo. Il corpo diventa tempio dello Spirito Santo. Infine, che il corpo sia parte essenziale della persona umana è insito nella dottrina della risurrezione del corpo alla fine dei tempi, che fa comprendere come l’uomo esista nell’eternità come persona fisica e spirituale completa.
30. Per mantenere l’unità di corpo e anima insegnata nella Rivelazione, il Magistero adotta la definizione dell’anima umana come forma substantialis (cfr Concilio di Vienna e Quinto Concilio Lateranense). Qui il Magistero si è basato sull’antropologia tomistica che, attingendo alla filosofia di Aristotele, vede il corpo e l’anima come i princìpi materiali e spirituali di un singolo essere umano. Possiamo notare come tale impostazione non sia incompatibile con le più recenti scoperte scientifiche. La fisica moderna ha dimostrato che la materia, nelle sue particelle più elementari, è puramente potenziale e non ha tendenza alcuna verso l’organizzazione. Ma il livello di organizzazione nell’universo, nel quale si trovano forme altamente organizzate di entità viventi e non viventi, sottintende la presenza di una qualche «informazione». Un ragionamento di questo genere fa pensare a una parziale analogia tra il concetto aristotelico di forma sostanziale e il concetto scientifico moderno di «informazione». Quindi, ad esempio, il DNA dei cromosomi contiene le informazioni necessarie affinché la materia possa organizzarsi secondo lo schema tipico di una data specie o singolo essere. Analogicamente, la forma sostanziale fornisce alla materia prima quelle informazioni di cui ha bisogno per essere organizzata in un particolare modo. Questa analogia va presa con la dovuta cautela, in quanto non è possibile un raffronto diretto tra concetti spirituali e metafisici e dati materiali e biologici.
31. Queste indicazioni bibliche, dottrinali e filosofiche convergono nell’affermazione che la corporeità dell’uomo partecipa all’imago Dei. Se l’anima, creata a immagine di Dio, forma la materia per costituire il corpo umano, allora la persona umana nel suo insieme è portatrice dell’immagine divina in una dimensione tanto spirituale quanto corporea. Questa conclusione è ulteriormente rafforzata se si tiene pienamente conto delle implicazioni cristologiche dell’immagine di Dio. «In realtà solamente nel mistero del Verbo incarnato trova vera luce il mistero dell’uomo […]. Cristo […] svela pienamente l’uomo all’uomo e gli fa nota la sua altissima vocazione» (GS, n. 22). Unito spiritualmente e fisicamente al Verbo incarnato e glorificato, soprattutto nel sacramento dell’Eucaristia, l’uomo arriva alla sua destinazione: la risurrezione del suo stesso corpo e la gloria eterna, alla quale partecipa come persona umana completa, corpo e anima, nella comunione trinitaria condivisa da tutti i beati nella compagnia del cielo.
2. Uomo e donna
32. Nella Familiaris consortio, Giovanni Paolo II ha affermato: «In quanto spirito incarnato, cioè anima che si esprime nel corpo e corpo informato da uno spirito immortale, l’uomo è chiamato all’amore nella sua totalità unificata. L’amore abbraccia anche il corpo umano e il corpo è reso partecipe dell’amore spirituale» (n. 11). Creati a immagine di Dio, gli esseri umani sono chiamati all’amore e alla comunione. Poiché questa vocazione si realizza in modo peculiare nell’unione procreativa tra marito e moglie, la differenza tra uomo e donna è un elemento essenziale nella costituzione degli esseri umani fatti a immagine di Dio.
33. «Dio creò l’uomo a sua immagine; a immagine di Dio lo creò; maschio e femmina li creò» (Gn 1,27; cfr Gn 5,1-2). Secondo la Scrittura, quindi, l’imago Dei si manifesta, sin dall’inizio, nella differenza tra i sessi. Potremmo dire che l’essere umano esiste soltanto come maschile o femminile, poiché la realtà della condizione umana appare nella differenza e pluralità dei sessi. Quindi, lungi dall’essere un aspetto accidentale o secondario della personalità, questo è un elemento costitutivo dell’identità personale. Tutti noi abbiamo un nostro modo di esistere nel mondo, di vedere, di pensare, di sentire, di stabilire rapporti di scambio reciproco con altre persone, che sono anch’esse definite dalla loro identità sessuale. Secondo il Catechismo della Chiesa Cattolica: «La sessualità esercita un’influenza su tutti gli aspetti della persona umana, nell’unità del suo corpo e della sua anima. Essa concerne particolarmente l’affettività, la capacità di amare e di procreare, e, in modo più generale, l’attitudine a intrecciare rapporti di comunione con altri» (n. 2332). I ruoli attribuiti all’uno o all’altro sesso possono variare nel tempo e nello spazio, ma l’identità sessuale della persona non è una costruzione culturale o sociale. Appartiene al modo specifico in cui esiste l’imago Dei.
34. Questa specificità è rafforzata dall’Incarnazione del Verbo. Egli ha assunto la condizione umana nella sua totalità, assumendo un sesso, ma diventando uomo in entrambi i sensi del termine: come membro della comunità umana, e come essere di sesso maschile. La relazione tra ciascuno di noi e Cristo è determinata in due modi: dipende dall’identità sessuale propria e da quella di Cristo.
35. Inoltre l’incarnazione e la risurrezione estendono anche all’eternità l’identità sessuale originaria dell’imago Dei. Il Signore risorto, ora che siede alla destra del Padre, rimane un uomo. Possiamo inoltre osservare che la persona santificata e glorificata della Madre di Dio, adesso assunta corporalmente in cielo, continua ad essere una donna. Quando in Galati 3,28 san Paolo annuncia che in Cristo vengono annullate tutte le differenze, inclusa quella tra uomo e donna, sta dicendo che nessuna differenza umana può impedire la nostra partecipazione al mistero di Cristo. La Chiesa non ha accolto le tesi di san Gregorio di Nissa e di qualche altro Padre della Chiesa, che sostenevano che le differenze sessuali in quanto tali sarebbero state annullate dalla risurrezione. Le differenze sessuali tra uomo e donna, pur manifestandosi certamente con attributi fisici, di fatto trascendono il puramente fisico e toccano il mistero stesso della persona.
36. La Bibbia non dà alcun adito al concetto di una superiorità naturale del sesso maschile rispetto a quello femminile. Nonostante le loro differenze, i due sessi godono di una implicita eguaglianza. Come ha scritto Giovanni Paolo II nella Familiaris consortio: «Anzitutto è da rilevare l’eguale dignità e responsabilità della donna rispetto all’uomo. Tale eguaglianza trova una singolare forma di realizzazione nella reciproca donazione di sé all’altro e di ambedue ai figli, propria del matrimonio e della famiglia […]. Creando l’uomo “maschio e femmina”, Dio dona la dignità personale in eguale modo all’uomo e alla donna, arricchendoli dei diritti inalienabili e delle responsabilità che sono proprie della persona umana» (n. 22). Uomo e donna sono ugualmente creati a immagine di Dio. Entrambi sono persone, dotate di intelligenza e volontà, capaci di orientare la propria vita con l’esercizio della libertà. Ma ciascuno lo fa in maniera propria e peculiare della sua identità sessuale, in modo che la tradizione cristiana può parlare di reciprocità e complementarità. Questi termini, che in tempi recenti sono divenuti in un certo qual modo controversi, sono comunque utili ad affermare che l’uomo e la donna hanno bisogno l’uno dell’altra per raggiungere una pienezza di vita.
37. Certo, l’originaria amicizia tra uomo e donna è stata seriamente compromessa dal peccato. Attraverso il miracolo compiuto alle nozze di Cana (Gv 2,1ss), nostro Signore mostra di essere venuto a ripristinare l’armonia voluta da Dio nella creazione dell’uomo e della donna.
38. L’immagine di Dio, che va trovata nella natura della persona umana in quanto tale, può essere realizzata in modo speciale nell’unione tra gli esseri umani. Poiché tale unione è rivolta alla perfezione dell’amore divino, la tradizione cristiana ha sempre affermato il valore della verginità e del celibato, che promuovono rapporti di casta amicizia tra persone umane e nel contempo sono segno della realizzazione escatologica di tutto l’amore creato nell’amore increato della Beata Trinità. Proprio a tale proposito il Concilio Vaticano II ha tracciato un’analogia tra la comunione delle persone divine tra loro, e quella che gli esseri umani sono chiamati a formare sulla Terra (cfr GS, n. 24).
39. Se è certamente vero che l’unione tra gli esseri umani può realizzarsi in molteplici modi, la teologia cattolica afferma oggi che il matrimonio costituisce una forma elevata di comunione tra le persone umane e una delle migliori analogie della vita trinitaria. Quando un uomo e una donna uniscono il loro corpo e il loro spirito in un atteggiamento di totale apertura e donazione di sé, formano una nuova immagine di Dio. La loro unione in una sola carne non risponde semplicemente a una necessità biologica, ma all’intenzione del Creatore che li conduce a condividere la felicità di essere fatti a sua immagine. La tradizione cattolica parla del matrimonio come di un eminente cammino di santità. «Dio è amore e vive in se stesso un mistero di comunione e di amore. Creandola a sua immagine […] Dio iscrive nell’umanità dell’uomo e della donna la vocazione, e quindi la capacità e la responsabilità dell’amore e della comunione» (Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 2331). Anche il Concilio Vaticano II ha sottolineato il significato profondo del matrimonio: «I coniugi cristiani, in virtù del sacramento del matrimonio, significano e partecipano il mistero di unità e di fecondo amore che intercorre tra Cristo e la Chiesa (cfr Ef 5,32); si aiutano a vicenda per raggiungere la santità nella vita coniugale, educando la prole» (LG, n. 11; cfr GS, n. 48).
3. Persona e comunità
40. Le persone create a immagine di Dio sono esseri corporei la cui identità, maschile o femminile, li destina a uno speciale tipo di comunione gli uni con gli altri. Come ha insegnato Giovanni Paolo II, il significato nuziale del corpo trova la sua realizzazione nell’amore e nell’intimità umana, che rispecchiano la comunione della Santissima Trinità, il cui mutuo amore è riversato nella creazione e nella redenzione. Questa verità è al centro dell’antropologia cristiana. Gli esseri umani sono creati a imago Dei proprio come persone capaci di una conoscenza e di un amore che sono personali e interpersonali. È in virtù dell’imago Dei in loro che questi esseri personali sono esseri relazionali e sociali, compresi in una famiglia umana la cui unità è al tempo stesso realizzata e prefigurata nella Chiesa.
41. Quando si parla della persona, ci si riferisce sia alla irriducibile identità e interiorità che costituiscono il singolo individuo, sia al rapporto fondamentale con gli altri che è alla base della comunità umana. Nella prospettiva cristiana, questa identità personale, che è anche un orientamento verso l’altro, si fonda essenzialmente sulla Trinità delle Persone divine. Dio non è un essere solitario, ma una comunione fra tre Persone. Costituito dall’unica natura divina, l’identità del Padre è la sua paternità, la sua relazione al Figlio e allo Spirito; l’identità del Figlio è la sua relazione al Padre e allo Spirito; l’identità dello Spirito è la sua relazione al Padre e al Figlio. La rivelazione cristiana ha condotto all’articolazione del concetto di persona e gli ha attribuito un significato divino, cristologico e trinitario. In effetti nessuna persona in quanto tale è sola nell’universo, ma è sempre costituita con gli altri ed è chiamata a formare con loro una comunità.
42. Ne consegue che gli esseri personali sono anche esseri sociali. L’essere umano è veramente umano nella misura in cui attualizza l’elemento essenzialmente sociale nella sua costituzione in quanto persona all’interno di gruppi familiari, religiosi, civili, professionali e di altro genere, che insieme formano la società circostante alla quale appartiene. Pur affermando il carattere fondamentalmente sociale dell’esistenza umana, la civiltà cristiana ha comunque riconosciuto il valore assoluto della persona, nonché l’importanza dei diritti individuali e della diversità culturale. Nell’ordine creato ci sarà sempre una certa tensione tra la singola persona e le esigenze dell’esistenza sociale. Nella Santissima Trinità c’è un’armonia perfetta tra le Persone che condividono la comunione di un’unica vita divina.
43. Ogni singolo essere umano, come pure la comunità umana nel suo insieme, è creato a immagine di Dio. Nella sua unità originaria — di cui è simbolo Adamo — l’umanità è fatta a immagine della divina Trinità. Voluta da Dio, procede attraverso le vicissitudini della storia dell’uomo verso una comunione perfetta, anch’essa voluta da Dio, ma che deve ancora essere realizzata. In questo senso, gli esseri umani partecipano alla solidarietà di un’unità che al tempo stesso già esiste e deve ancora essere raggiunta. Condividendo una natura umana creata e confessando il Dio uno e trino che dimora in mezzo a noi, siamo tuttavia divisi dal peccato e aspettiamo la venuta vittoriosa di Cristo che ristabilirà e ricreerà l’unità voluta da Dio in una redenzione finale della creazione (cfr Rm 8,18-19). Questa unità della famiglia umana deve ancora essere realizzata escatologicamente. La Chiesa è sacramento di salvezza e del regno di Dio: cattolica, in quanto riunisce uomini di ogni razza e cultura; una, in quanto avamposto dell’unità della comunità umana voluta da Dio; santa, in quanto essa stessa santificata dalla potenza dello Spirito Santo e santificante tutti gli uomini attraverso i sacramenti; e apostolica, nel proseguire la missione scelta da Cristo per gli uomini, ossia la progressiva attuazione dell’unità del genere umano voluta da Dio e il compimento della creazione e della redenzione.
4. Peccato e salvezza
44. Creati a immagine di Dio per condividere la comunione della vita trinitaria, gli esseri umani sono persone costituite in modo tale da poter liberamente abbracciare questa comunione. La libertà è il dono divino che consente alle persone umane di scegliere la comunione che il Dio uno e trino offre loro come bene ultimo. Ma con la libertà viene anche la possibilità del fallimento della libertà. Invece di abbracciare il bene ultimo della partecipazione alla vita divina, le persone umane possono allontanarsene per godere di beni transitori o persino soltanto immaginari. Il peccato è proprio questo fallimento della libertà, questo voltare le spalle al divino invito alla comunione.
45. Nella prospettiva dell’imago Dei, che nella sua struttura ontologica è essenzialmente dialogica o relazionale, il peccato, in quanto rottura del rapporto con Dio, deturpa l’imago Dei. È possibile comprendere le dimensioni del peccato alla luce di quelle dimensioni dell’imago Dei che sono colpite dal peccato. Questa alienazione fondamentale da Dio turba inoltre il rapporto dell’uomo con gli altri (cfr 1 Gv 3,17) e, in un senso reale, provoca una divisione al suo interno tra corpo e spirito, conoscenza e volontà, ragione ed emozioni (Rm 7,14-15). Il peccato colpisce anche l’esistenza fisica dell’uomo, arrecando sofferenze, malattia e morte. Inoltre, proprio come l’imago Dei, anche il peccato ha una dimensione storica. La testimonianza della Scrittura (cfr Rm 5,12 ss) ci presenta una visione della storia del peccato, provocato dal rifiuto dell’invito alla comunione rivolto da Dio all’inizio della storia dell’umanità. Infine il peccato si ripercuote sulla dimensione sociale dell’imago Dei; è possibile discernere ideologie e strutture che sono la manifestazione oggettiva del peccato e che si oppongono alla realizzazione dell’immagine di Dio da parte degli esseri umani.
46. Gli esegeti cattolici e protestanti sono attualmente concordi sul fatto che l’imago Dei non può essere totalmente distrutta dal peccato, poiché definisce l’intera struttura della natura umana. Da parte sua, la tradizione cattolica ha sempre insistito che, mentre l’imago Dei può essere sfigurata o deformata, non può però essere distrutta dal peccato. La struttura dialogica o relazionale dell’immagine di Dio non può essere perduta, ma, sotto il regno del peccato, ne risulta compromesso l’orientamento verso la sua realizzazione cristologica. Inoltre la struttura ontologica dell’immagine, seppure colpita dal peccato nella sua storicità, permane nonostante la realtà delle azioni peccaminose. A questo proposito — come hanno argomentato molti Padri della Chiesa in risposta allo gnosticismo e al manicheismo — la libertà, che in quanto tale definisce che cosa significa essere umano e che è fondamentale alla struttura ontologica dell’imago Dei, non può essere soppressa, persino se la situazione nella quale la libertà viene esercitata è in parte determinata dalle conseguenze del peccato. Infine, in contrapposizione al concetto di una corruzione totale dell’imago Dei ad opera del peccato, la tradizione cattolica ha insistito che la grazia e la salvezza sarebbero illusorie se esse non riuscissero a trasformare la realtà esistente, per quanto peccaminosa, della natura umana.
47. Compresa nella prospettiva della teologia dell’imago Dei, la salvezza comporta il ripristino dell’immagine di Dio da parte di Cristo, che è immagine perfetta del Padre. Ottenendo la nostra salvezza attraverso la sua Passione, Morte e Risurrezione, Cristo ci conforma a se stesso tramite la nostra partecipazione al mistero pasquale e riconfigura così l’imago Dei nel suo giusto orientamento alla beata comunione della vita trinitaria. In questa prospettiva, la salvezza non è altro che una trasformazione e una realizzazione della vita personale dell’essere umano, creato a immagine di Dio e adesso nuovamente rivolto a una partecipazione reale alla vita delle persone divine, attraverso la grazia dell’Incarnazione e la dimora dello Spirito Santo. La tradizione cattolica giustamente parla qui di una realizzazione della persona. Soffrendo di una carenza di carità a causa del peccato, la persona non può conseguire la sua autorealizzazione separatamente dall’amore assoluto e benigno di Dio in Cristo Gesù. Con questa trasformazione salvifica della persona attraverso Cristo e lo Spirito Santo, tutto nell’universo viene parimenti trasformato e arriva a condividere la gloria di Dio (Rm 8,21).
48. Nella tradizione teologica, l’uomo colpito dal peccato è sempre bisognoso di salvezza, ma al tempo stesso ha un desiderio naturale di vedere Dio — è capax Dei — che, in quanto immagine del divino, costituisce un orientamento dinamico verso il divino. Tale orientamento, pur non venendo distrutto dal peccato, non può neppure essere realizzato senza la grazia salvifica di Dio. Dio salvatore si rivolge a un’immagine di sé, disturbata nel suo orientamento verso di lui, ma ciononostante capace di ricevere la divina attività salvifica. Queste formulazioni tradizionali affermano sia l’indistruttibilità dell’orientamento dell’uomo verso Dio, sia la necessità della salvezza. La persona umana, creata a immagine di Dio, è ordinata dalla natura al godimento dell’amore divino, ma soltanto la grazia divina rende possibile ed efficace la libera adesione a questo amore. In tale prospettiva la grazia non è semplicemente un rimedio al peccato, ma una trasformazione qualitativa della libertà umana resa possibile da Cristo, una libertà liberata per il Bene.
49. La realtà del peccato personale dimostra che l’immagine di Dio non è aperta a Dio in modo inequivocabile, ma può chiudersi in se stessa. La salvezza sottintende una liberazione da questa auto-glorificazione attraverso la croce. Il mistero pasquale, originariamente costituito dalla Passione, Morte e Risurrezione di Cristo, fa sì che ogni persona possa partecipare alla morte al peccato che conduce alla vita in Cristo. La croce significa non la distruzione dell’umano, ma il passaggio che conduce a una vita nuova.
50. Gli effetti della salvezza per l’uomo creato a immagine di Dio si ottengono attraverso la grazia di Cristo che, nuovo Adamo, è il capo di una nuova umanità e crea per l’uomo una nuova condizione salvifica attraverso la sua morte per i peccatori e la sua risurrezione (cfr 1 Cor 15,47-49; 2 Cor 5,2; Rm 5,6 ss). In tal modo l’uomo diventa una nuova creatura (2 Cor 5,17), capace di una nuova vita di libertà, una vita «liberata da» e «liberata per».
51. L’uomo è liberato dal peccato, dalla legge, e dalla sofferenza e dalla morte. Innanzitutto la salvezza è una liberazione dal peccato che riconcilia l’uomo con Dio, persino nel pieno di una battaglia continua contro il peccato combattuta nella potenza dello Spirito Santo (cfr Ef 6,10-20). Inoltre la salvezza non è liberazione dalla legge in quanto tale, ma da qualsiasi forma di legalismo che si opponga allo Spirito Santo (2 Cor 3,6) e alla realizzazione dell’amore (Rm 13,10). La salvezza conduce a una liberazione dalla sofferenza e dalla morte, che acquisiscono un nuovo significato come partecipazione salvifica alla sofferenza, alla morte e alla risurrezione del Figlio. Inoltre, secondo la fede cristiana, «liberato da» significa «liberato per»: libertà dal peccato significa libertà per Dio in Cristo e lo Spirito Santo; libertà dalla legge significa libertà per l’amore autentico; libertà dalla morte significa libertà per una vita nuova in Dio. Questa «libertà per» è resa possibile da Gesù Cristo, icona perfetta del Padre, che restaura l’immagine di Dio nell’uomo.
5. «Imago Dei» e «imago Christi»
52. «In realtà solamente nel mistero del Verbo incarnato trova vera luce il mistero dell’uomo. Adamo, infatti, il primo uomo, era figura di quello futuro e cioè di Cristo Signore. Cristo, che è il nuovo Adamo, proprio rivelando il mistero del Padre e del suo amore, svela anche pienamente l’uomo all’uomo e gli fa nota la sua altissima vocazione. Nessuna meraviglia, quindi, che tutte le verità su esposte trovino in lui la loro sorgente e tocchino il loro vertice» (GS, n. 22). Questo famoso brano, tratto dalla Costituzione sulla Chiesa nel mondo contemporaneo del Concilio Vaticano II, ben si presta a concludere questa ricapitolazione dei principali elementi della teologia dell’imago Dei. È infatti Gesù Cristo a rivelare all’uomo la pienezza del suo essere, nella sua natura originaria, nel suo compimento finale e nella sua realtà attuale.
53. Le origini dell’uomo vanno ricercate in Cristo: egli è stato creato «per mezzo di lui e in vista di lui» (Col 1,16), il Verbo [che è] la vita […] e la luce che illumina ogni uomo e viene nel mondo (Gv 1,3-4,9)». Se è vero che l’uomo è stato creato ex nihilo, è anche possibile affermare che è creato dalla pienezza (ex plenitudine) di Cristo stesso, che è al tempo stesso creatore, mediatore e fine dell’uomo. Il Padre ci ha destinati ad essere suoi figli e figlie e «a essere conformi all’immagine del Figlio suo, perché egli sia il primogenito tra molti fratelli» (Rm 8,29). Che cosa significhi essere stati creati a imago Dei ci viene quindi pienamente svelato soltanto nell’imago Christi. In lui troviamo la totale ricettività del Padre che dovrebbe caratterizzare la nostra stessa esistenza, l’apertura all’altro in un atteggiamento di servizio che dovrebbe caratterizzare le relazioni con i nostri fratelli e sorelle in Cristo, e la misericordia e l’amore per l’altro che Cristo, in quanto immagine del Padre, mostra nei nostri riguardi.
54. Proprio come le origini dell’uomo vanno ricercate in Cristo, così anche la sua finalità. Gli esseri umani sono orientati verso il regno di Dio come a un futuro assoluto, il compimento dell’esistenza umana. Poiché «tutte le cose sono state create per mezzo di lui e in vista di lui» (Col 1,16), trovano in lui la loro direzione e il loro destino. La volontà di Dio, che Cristo sia la pienezza dell’uomo, deve trovare una realizzazione escatologica. Lo Spirito Santo porterà a compimento la configurazione ultima delle persone umane secondo Cristo alla risurrezione dei morti, ma già oggi gli esseri umani partecipano a questa somiglianza escatologica a Cristo qui su questa Terra, nel mezzo del tempo e della storia. Attraverso Incarnazione, Risurrezione e Pentecoste, l’eschaton è già qui; questi eventi lo inaugurano e lo introducono nel mondo degli uomini, anticipandone la realizzazione finale. Lo Spirito Santo opera in modo misterioso in tutti gli esseri umani di buona volontà, nelle società e nel cosmo, per trasfigurare e divinizzare gli esseri umani. Inoltre lo Spirito Santo opera attraverso i sacramenti, in particolare attraverso l’Eucaristia che è l’anticipazione del banchetto celeste, la pienezza della comunione nel Padre, Figlio e Spirito Santo.
55. Tra le origini dell’uomo e il suo futuro assoluto si trova l’attuale situazione esistenziale del genere umano, il cui pieno significato va parimenti ricercato soltanto in Cristo. Abbiamo visto che è Cristo — nella sua Incarnazione, Morte e Risurrezione — a riportare l’immagine di Dio nell’uomo alla sua debita forma. «Piacque a Dio […] per mezzo di lui riconciliare a sé tutte le cose, rappacificando con il sangue della sua croce, cioè per mezzo di lui, le cose che stanno sulla terra e quelle nei cieli» (Col 1,20). Nel cuore della sua esistenza peccaminosa l’uomo è perdonato e, attraverso la grazia dello Spirito Santo, sa di essere salvato e giustificato per mezzo di Cristo. Gli esseri umani crescono nella loro somiglianza a Cristo e collaborano con lo Spirito Santo, il quale, soprattutto attraverso i sacramenti, li plasma a immagine di Cristo. In tal modo l’esistenza quotidiana dell’uomo è definita come uno sforzo di sempre più piena conformazione all’immagine di Cristo, cercando di dedicare la propria vita al combattimento per arrivare alla vittoria finale di Cristo nel mondo.
CAPITOLO TERZO
A IMMAGINE DI DIO:
AMMINISTRATORI DELLA CREAZIONE VISIBILE
56. Il primo grande tema all’interno della teologia dell’imago Dei concerne la partecipazione alla vita della comunione divina. Creati a immagine di Dio, come abbiamo visto, gli umani sono esseri che condividono il mondo con altri esseri corporei, ma che si distinguono per il loro intelletto, amore e libertà, e che sono quindi ordinati dalla loro stessa natura alla comunione interpersonale. Il primo esempio di questa comunione è l’unione procreativa dell’uomo e della donna, che rispecchia la comunione creativa dell’amore trinitario. Il deturpamento dell’imago Dei da parte del peccato, con le sue inevitabili conseguenze negative sulla vita personale e interpersonale, è vinto dalla Passione, Morte e Risurrezione di Cristo. La grazia salvifica della partecipazione al mistero pasquale riconfigura l’imago Dei secondo il modello dell’imago Christi.
57. In questo capitolo esamineremo il secondo dei due grandi temi della teologia dell’imago Dei. Creati a immagine di Dio per partecipare alla comunione dell’amore trinitario, gli esseri umani occupano un posto unico nell’universo in accordo con il piano divino: godono del privilegio di partecipare al governo divino della creazione visibile. Tale privilegio è ad essi concesso dal Creatore, il quale permette alla creatura fatta a sua immagine di partecipare alla sua opera, al suo progetto di amore e salvezza, addirittura alla sua stessa signoria sull’universo. Poiché la posizione dell’uomo come dominatore è di fatto una partecipazione al governo divino della creazione, ne parliamo qui come di una forma di servizio.
58. Secondo la Gaudium et spes: «L’uomo, creato a immagine di Dio, ha ricevuto il comando di sottomettere a sé la Terra […] e di governare il mondo nella giustizia e nella santità, e così pure di riportare a Dio se stesso e l’universo intero, riconoscendo in lui il Creatore di tutte le cose; in modo che, nella subordinazione di tutta la realtà all’uomo, sia glorificato il nome di Dio su tutta la terra» (n. 34). Questo concetto di dominio o di signoria dell’uomo ha un ruolo importante nella teologia cristiana. Dio designa l’uomo come suo amministratore proprio come fa il padrone nelle parabole del Vangelo (cfr Lc 19,12). L’unica creatura che Dio ha espressamente voluto per se stesso occupa un posto unico al vertice della creazione visibile (Gn 1,26; 2,20; Sal 8,6-7; Sap 9,2-3).
59. Per descrivere questo speciale ruolo, la teologia cristiana usa immagini tratte sia dall’ambiente domestico sia da quello del potere regale. Nell’utilizzare immagini attinenti alla signoria, viene detto che gli esseri umani sono chiamati a governare nel senso di esercitare una supremazia sull’insieme della creazione visibile, alla stregua di un re. Ma il significato interiore della signoria è il servizio, come Gesù ricorda ai suoi discepoli: soltanto soffrendo volontariamente come vittima sacrificale Cristo diventa re dell’universo, con la Croce come suo trono. Utilizzando invece immagini domestiche, la teologia cristiana ci mostra l’uomo come l’amministratore di una casa a cui Dio ha affidato la cura di tutti i suoi beni (cfr Mt 24,45). L’uomo può utilizzare il suo ingegno nel dispiegare le risorse della creazione visibile, ed esercita questa signoria partecipata sulla creazione visibile attraverso la scienza, la tecnologia e l’arte.
60. Al di sopra di lui, e tuttavia nell’intimità della sua stessa coscienza, l’uomo scopre l’esistenza di una legge, che la tradizione chiama «legge naturale». Tale legge è di origine divina, e la consapevolezza che ne ha l’uomo è essa stessa una partecipazione alla legge divina. Riferisce l’uomo alle vere origini dell’universo e a quelle sue stesse (Veritatis splendor, n. 20). Questa legge naturale spinge la creatura razionale a ricercare la verità e il bene nella sua signoria sull’universo. Creato a immagine di Dio, l’uomo esercita tale signoria sulla creazione visibile soltanto in virtù del privilegio conferitogli da Dio. Imita il dominio divino, ma non può sostituirvisi. La Bibbia diffida da questo peccato di usurpazione del ruolo divino. È un grave fallimento morale per gli esseri umani agire da dominatori della creazione visibile separandosi dalla più alta legge divina. Essi agiscono in vece del loro padrone in quanto amministratori (cfr Mt 25,14 ss), ai quali è attribuita la libertà necessaria per fare fruttare i doni che sono stati affidati ad essi, e a farlo con una certa ardita creatività.
61. L’amministratore deve rendere conto della sua gestione, e il divino Maestro giudicherà le sue azioni. La legittimità morale e l’efficacia dei mezzi impiegati dall’amministratore costituiscono i criteri di tale giudizio. Né la scienza né la tecnologia sono fini a se stesse; ciò che è tecnicamente possibile non è necessariamente anche ragionevole o etico. La scienza e la tecnologia devono essere messe al servizio del disegno divino per l’insieme della creazione e per tutte le creature. Questo disegno dà significato all’universo nonché alle imprese umane. L’amministrazione umana del mondo creato è proprio un servizio svolto attraverso la partecipazione al governo divino, e ad esso è sempre subordinata. Gli esseri umani svolgono tale servizio acquistando una conoscenza scientifica dell’universo, occupandosi responsabilmente del mondo naturale (inclusi gli animali e l’ambiente) e salvaguardando la loro stessa integrità biologica.
1. La scienza e l’amministrazione della conoscenza
62. La cultura umana, in ogni sua epoca e in quasi tutte le società, è stata caratterizzata dal tentativo di comprendere l’universo. Nella prospettiva della fede cristiana, questo sforzo è proprio un esempio del servizio che gli esseri umani svolgono in accordo con il piano di Dio. Senza abbracciare uno screditato concordismo, i cristiani hanno la responsabilità di collocare le moderne conoscenze scientifiche dell’universo all’interno della teologia della creazione. La posizione degli esseri umani nella storia di questo universo in continua evoluzione, così come è stata ricostruita dalle scienze moderne, può essere vista nella sua realtà completa soltanto alla luce della fede, come una storia personale dell’impegno di Dio uno e trino con le persone sue creature.
63. Secondo la tesi scientifica più accreditata, 15 miliardi di anni fa l’universo ha conosciuto un’esplosione che va sotto il nome di Big Bang, e da allora continua a espandersi e a raffreddarsi. Successivamente sono andate verificandosi le condizioni necessarie per la formazione degli atomi e, in epoca ancora successiva, si è avuta la condensazione delle galassie e delle stelle, seguita circa 10 miliardi di anni più tardi dalla formazione dei pianeti. Nel nostro sistema solare e sulla Terra (formatasi circa 4,5 miliardi di anni fa) si sono create le condizioni favorevoli all’apparizione della vita. Se, da un lato, gli scienziati sono divisi sulla spiegazione da dare all’origine di questa prima vita microscopica, la maggior parte di essi è invece concorde nell’asserire che il primo organismo ha abitato questo pianeta circa 3,5-4 miliardi di anni fa. Poiché è stato dimostrato che tutti gli organismi viventi della Terra sono geneticamente connessi tra loro, è praticamente certo che essi discendono tutti da questo primo organismo. I risultati convergenti di numerosi studi nelle scienze fisiche e biologiche inducono sempre più a ricorrere a una qualche teoria dell’evoluzione per spiegare lo sviluppo e la diversificazione della vita sulla Terra, mentre ci sono ancora divergenze di opinione in merito ai tempi e ai meccanismi dell’evoluzione. Certo, la storia delle origini umane è complessa e passibile di revisioni, ma l’antropologia fisica e la biologia molecolare fanno entrambe ritenere che l’origine della specie umana vada ricercata in Africa circa 150.000 anni fa in una popolazione umanoide di comune ascendenza genetica. Qualunque ne sia la spiegazione, il fattore decisivo nelle origini dell’uomo è stato il continuo aumento delle dimensioni del cervello, che ha condotto infine all’homo sapiens. Con lo sviluppo del cervello umano, la natura e la velocità dell’evoluzione sono state alterate per sempre: con l’introduzione di fattori unicamente umani quali la coscienza, l’intenzionalità, la libertà e la creatività, l’evoluzione biologica ha assunto la nuova veste di un’evoluzione di tipo sociale e culturale.
64. Papa Giovanni Paolo II ha affermato alcuni anni fa che «nuove conoscenze conducono a non considerare più la teoria dell’evoluzione una mera ipotesi. È degno di nota il fatto che questa teoria si sia progressivamente imposta all’attenzione dei ricercatori, a seguito di una serie di scoperte fatte nelle diverse discipline del sapere» (Messaggio alla Pontificia Accademia delle Scienze sull’evoluzione, 1996). In linea con quanto già affermato dal magistero pontificio del XX secolo in materia di evoluzione (in particolare l’enciclica Humani generis di Pio XII), il messaggio del Santo Padre riconosce che esistono «diverse teorie dell’evoluzione» che sono «materialiste, riduzioniste e spiritualiste» e quindi incompatibili con la fede cattolica. Ne consegue che il messaggio di Giovanni Paolo II non può essere letto come un’approvazione generale di tutte le teorie dell’evoluzione, incluse quelle di provenienza neodarwinista, che negano esplicitamente che la divina Provvidenza possa avere avuto qualunque ruolo veramente causale nello sviluppo della vita dell’universo. Focalizzandosi principalmente sull’evoluzione, in quanto «concerne la concezione dell’uomo», il messaggio di Giovanni Paolo II è tuttavia specificatamente critico nei confronti delle teorie materialiste delle origini dell’uomo, e insiste sull’importanza della filosofia e della teologia per una corretta comprensione del «salto ontologico» all’umano, che non può essere spiegato in termini puramente scientifici. L’interesse della Chiesa per l’evoluzione si concentra quindi in particolare sulla «concezione dell’uomo», che, in quanto creato a immagine di Dio, «non deve essere subordinato come un puro mezzo o come un mero strumento né alla specie né alla società». In quanto persona creata a immagine di Dio, l’essere umano è capace di intessere rapporti di comunione con altre persone e con il Dio uno e trino, nonché di esercitare signoria e servizio nell’universo creato. Queste affermazioni mostrano che le teorie dell’evoluzione e dell’origine dell’universo rivestono un particolare interesse teologico quando toccano le dottrine della creazione ex nihilo e la creazione dell’uomo a immagine di Dio.
65. Abbiamo visto come le persone siano create a immagine di Dio affinché possano diventare partecipi della natura divina (cfr 2 Pt 1,3-4), partecipando così alla comunione della vita trinitaria e al dominio divino sulla creazione visibile. Al cuore dell’atto divino della creazione c’è il desiderio divino di fare spazio alle persone create nella comunione delle Persone increate della Santissima Trinità, attraverso la partecipazione adottiva in Cristo. Non solo, ma la comune ascendenza e la naturale unità del genere umano sono la base di una unità in grazia delle persone umane redente, con a capo il Nuovo Adamo, nella comunione ecclesiale delle persone umane unite tra loro e con il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo increati. Il dono della vita naturale è fondamento del dono della vita di grazia. Ne consegue che se la verità centrale concerne una persona che agisce liberamente, è impossibile parlare di una necessità o di un imperativo alla creazione, e in ultima analisi non è corretto parlare del Creatore come di una forza, di un’energia o di una causa impersonale. La creazione ex nihilo è l’azione di un agente personale trascendente, che agisce liberamente e intenzionalmente, teso alla realizzazione delle finalità totalizzanti dell’impegno personale. Nella tradizione cattolica la dottrina dell’origine degli esseri umani articola la verità rivelata di questa visione fondamentalmente relazionale o personalista di Dio e della natura umana. L’esclusione del panteismo e dell’emanazionismo nella dottrina della creazione può essere interpretata alla radice come un modo di difendere questa verità rivelata. La dottrina della creazione immediata o speciale di ogni singola anima umana non solo affronta la discontinuità ontologica tra materia e spirito, ma getta anche le basi per una divina intimità che abbraccia ogni singola persona umana sin dal primo momento della sua esistenza.
66. La dottrina della creatio ex nihilo è quindi una singolare affermazione del carattere veramente personale della creazione e del suo ordine verso una creatura personale plasmata come imago Dei, e che risponde non a una causa impersonale, forza o energia, ma a un Creatore personale. Le dottrine dell’imago Dei e della creatio ex nihilo ci insegnano che l’universo esistente è teatro di un evento radicalmente personale, in cui il Creatore uno e trino chiama dal niente coloro che poi richiama nell’amore. È questo il significato profondo delle parole della Gaudium et spes: «L’uomo in Terra è la sola creatura che Dio abbia voluto per se stessa» (n. 24). Creati a immagine di Dio, gli esseri umani assumono il ruolo di responsabili amministratori nell’universo fisico. Sotto la guida della divina Provvidenza e riconoscendo il carattere sacro della creazione visibile, l’umanità dà una forma nuova all’ordine naturale e diviene un agente nell’evoluzione dello stesso universo. Nell’esercitare il loro servizio di amministratori della conoscenza, i teologi hanno il compito di collocare le moderne conoscenze scientifiche all’interno di una visione cristiana dell’universo creato.
67. Con riferimento alla creatio ex nihilo, i teologi possono notare che la teoria del Big Bang non contraddice questa dottrina, sempre che si possa affermare che la supposizione di un inizio assoluto non è scientificamente inammissibile. Poiché la teoria del Big Bang in realtà non esclude la possibilità di un precedente stadio della materia, è possibile rilevare che essa sembra dare un sostegno semplicemente indiretto alla dottrina della creatio ex nihilo, che in quanto tale può essere conosciuta soltanto attraverso la fede.
68. Con riferimento all’evoluzione di condizioni favorevoli alla comparsa della vita, la tradizione cattolica afferma che, in quanto causa trascendente universale, Dio è causa non solo dell’esistenza, ma anche causa delle cause. L’azione di Dio non si sostituisce all’attività delle cause creaturali, ma fa sì che queste possano agire secondo la loro natura e, ciononostante, conseguire le finalità da lui volute. Nell’avere voluto liberamente creare e conservare l’universo, Dio vuole attivare e sostenere tutte quelle cause secondarie la cui attività contribuisce al dispiegamento dell’ordine naturale che egli intende produrre. Attraverso l’attività delle cause naturali, Dio provoca il verificarsi di quelle condizioni necessarie alla comparsa e all’esistenza degli organismi viventi e, inoltre, alla loro riproduzione e differenziazione. Nonostante che sia in corso un dibattito scientifico sul grado di progettualità o intenzionalità empiricamente osservabile in questi sviluppi, essi hanno de facto favorito la comparsa e lo sviluppo della vita. I teologi cattolici possono vedere in un tale ragionamento un sostegno alle affermazioni derivanti dalla fede nella divina creazione e nella divina Provvidenza. Nel disegno provvidenziale della creazione, il Dio uno e trino ha voluto non solo creare un posto per gli esseri umani nell’universo, ma anche, e in ultima analisi, riservare ad essi uno spazio nella sua stessa vita trinitaria. Inoltre, operando come cause reali anche se secondarie, gli esseri umani contribuiscono a trasformare e a dare una nuova forma all’universo.
69. L’attuale dibattito scientifico sui meccanismi dell’evoluzione sembra talvolta partire da un’errata concezione della natura della causalità divina e necessita quindi di un commento teologico. Molti scienziati neodarwinisti, e alcuni dei loro critici, hanno concluso che se l’evoluzione è un processo materialistico radicalmente contingente, guidato dalla selezione naturale e da variazioni genetiche casuali, allora in essa non può esserci posto per una causalità provvidenziale divina. Una compagine sempre più ampia di scienziati critici del neodarwinismo segnala invece le evidenze di un disegno (ad esempio, nelle strutture biologiche che mostrano una complessità specifica) che secondo loro non può essere spiegato in termini di un processo puramente contingente, e che è stato ignorato o mal interpretato dai neodarwinisti. Il nocciolo di questo acceso dibattito concerne l’osservazione scientifica e la generalizzazione, in quanto ci si domanda se i dati disponibili possono far propendere a favore del disegno o del caso: è una controversia che non può essere risolta attraverso la teologia. È tuttavia importante notare che, secondo la concezione cattolica della causalità divina, la vera contingenza nell’ordine creato non è incompatibile con una Provvidenza divina intenzionale. La causalità divina e la causalità creata differiscono radicalmente in natura e non soltanto in grado. Quindi, persino l’esito di un processo naturale veramente contingente può ugualmente rientrare nel piano provvidenziale di Dio per la creazione. Secondo san Tommaso d’Aquino: «Effetto della divina Provvidenza non è soltanto che una cosa avvenga in un modo qualsiasi; ma che avvenga in modo contingente, o necessario. Perciò quello che la divina Provvidenza dispone che avvenga infallibilmente e necessariamente, avviene infallibilmente e necessariamente; quello che il piano della divina Provvidenza esige che avvenga in modo contingente, avviene in modo contingente» (Summa Theol. I, 22, 4 ad 1). Nella prospettiva cattolica, i neodarwinisti che si appellano alla variazione genetica casuale e alla selezione naturale per sostenere la tesi che l’evoluzione è un processo completamente privo di guida vanno al di là di quello che è dimostrabile dalla scienza. La causalità divina può essere attiva in un processo che è sia contingente sia guidato. Qualsiasi meccanismo evolutivo contingente può esserlo soltanto perché fatto così da Dio. Un processo evolutivo privo di guida — un processo che quindi non rientra nei confini della divina Provvidenza — semplicemente non può esistere poiché «la causalità di Dio, il quale è l’agente primo, si estende a tutti gli esseri, non solo quanto ai princìpi della specie, ma anche quanto ai princìpi individuali […]. È necessario che tutte le cose siano soggette alla divina Provvidenza, nella misura della loro partecipazione all’essere» (Summa Theol. I, 22, 2).
70. Con riferimento alla creazione immediata dell’anima umana, la teologia cattolica afferma che particolari azioni di Dio producono effetti che trascendono la capacità delle cause create che agiscono secondo la loro natura. Il ricorso alla causalità divina per colmare vuoti genuinamente causali, e non per dare risposta a ciò che resta inspiegato, non significa utilizzare l’opera divina per riempire i «buchi» del sapere scientifico (dando così luogo al cosiddetto «Dio tappabuchi»). Le strutture del mondo possono essere viste come aperte all’azione divina non disgregatrice in quanto sono causa diretta di certi eventi nel mondo. La teologia cattolica afferma che la comparsa dei primi membri della specie umana (singoli individui o popolazioni) rappresenta un evento che non si presta a una spiegazione puramente naturale e che può essere appropriatamente attribuito all’intervento divino. Agendo indirettamente attraverso catene causali che operano sin dall’inizio della storia cosmica, Dio ha creato le premesse per quello che Giovanni Paolo II ha chiamato «un salto ontologico […], il momento di transizione allo spirituale». Se la scienza può studiare queste catene di causalità, spetta alla teologia collocare questo racconto della specifica creazione dell’anima umana all’interno del grande piano del Dio uno e trino di condividere la comunione della vita trinitaria con persone umane create dal nulla a immagine e somiglianza di Dio e che, a suo nome e secondo il suo piano, esercitano in modo creativo il servizio e la sovranità sull’universo fisico.
2. La responsabilità del mondo creato
71. I sempre più rapidi progressi scientifici e tecnologici degli ultimi centocinquanta anni hanno condotto a una situazione radicalmente nuova per tutti gli esseri viventi sul nostro pianeta. Miglioramenti quali una maggiore abbondanza materiale, più elevati tenori di vita, migliore stato di salute e una più lunga speranza di vita sono stati accompagnati dall’inquinamento atmosferico e delle acque, dal problema dei rifiuti industriali tossici, dallo sfruttamento e talvolta dalla distruzione di habitat delicati. In questa situazione gli esseri umani hanno sviluppato una maggiore consapevolezza dei legami organici che essi hanno con gli altri esseri viventi. La natura viene ormai vista come una biosfera in cui tutti gli esseri formano una rete di vita complessa e tuttavia attentamente organizzata. È inoltre ormai un fatto assodato che esistono limiti sia alle risorse naturali disponibili, sia alla capacità da parte della natura di porre rimedio ai danni ad essa arrecati attraverso l’incessante sfruttamento delle sue risorse.
72. Purtroppo una delle conseguenze di questa nuova sensibilità ecologica è che il cristianesimo è stato da alcuni accusato di essere in parte responsabile della crisi ambientale, proprio per avere messo in risalto la posizione dell’uomo, creato a immagine di Dio per governare la creazione visibile. Alcuni critici arrivano a dire che nella tradizione cattolica mancano le risorse per mettere in campo una solida etica ecologica in quanto l’uomo è considerato essenzialmente superiore al resto del mondo naturale, e che per una tale etica sarà necessario rivolgersi alle religioni asiatiche e tradizionali.
73. Questa critica, tuttavia, si fonda su una lettura profondamente errata della teologia cristiana della creazione e dell’imago Dei. Parlando della necessità di una «conversione ecologica», Giovanni Paolo II ha affermato: «La signoria dell’uomo non è assoluta, ma ministeriale […], è la missione non di un padrone assoluto e insindacabile, ma di un ministro del regno di Dio» (Discorso, 17 gennaio 2001). È possibile che un’errata comprensione di questo insegnamento abbia indotto alcuni ad agire in modo sconsiderato nei confronti dell’ambiente naturale, ma la dottrina cristiana sulla creazione e l’imago Dei non ha mai incoraggiato lo sfruttamento incontrollato e l’esaurimento delle risorse naturali. Le osservazioni di Giovanni Paolo II rispecchiano la crescente attenzione con cui il Magistero segue la crisi ecologica, una preoccupazione che trova le sue radici già nelle encicliche sociali dei moderni pontificati. Nella prospettiva di questo insegnamento, la crisi ecologica è un problema umano e sociale, legato alla violazione dei diritti umani e alla disuguaglianza nell’accesso alle risorse naturali. Giovanni Paolo II ha ricapitolato questa tradizione del magistero sociale quando ha scritto nella Centesimus annus: «Del pari preoccupante, accanto al problema del consumismo e con esso strettamente connessa, è la questione ecologica. L’uomo, preso dal desiderio di avere e di godere, più che di essere e di crescere, consuma in maniera eccessiva e disordinata le risorse della terra e la sua stessa vita. Alla radice dell’insensata distruzione dell’ambiente naturale c’è un errore antropologico, purtroppo diffuso nel nostro tempo. L’uomo, che scopre la sua capacità di trasformare e, in un certo senso, di creare il mondo col proprio lavoro, dimentica che questo si svolge sempre sulla base della prima originaria donazione delle cose da parte di Dio» (n. 37).
74. La teologia cristiana della creazione contribuisce in modo diretto alla risoluzione della crisi ecologica, affermando la verità fondamentale che la creazione visibile è essa stessa un dono divino, il «dono originario», che fissa uno «spazio» di comunione personale. In effetti si potrebbe dire che una corretta teologia cristiana dell’ecologia è data dall’applicazione della teologia della creazione. Osserviamo come il termine «ecologia» combini le due parole greche oikos (casa) e logos (parola): l’ambiente fisico dell’esistenza umana potrebbe essere visto come una sorta di «abitazione» per la vita umana. Considerato che la vita interiore della Santissima Trinità è una vita di comunione, l’atto divino della creazione è la produzione gratuita di partner che possano condividere tale comunione. In questo senso si può dire che la divina comunione ha adesso trovato la sua «abitazione» nel cosmo creato. Per questo motivo possiamo parlare del cosmo come di un luogo di comunione personale.
75. La cristologia e l’escatologia possono insieme illuminare ulteriormente questa verità. Nell’unione ipostatica della Persona del Figlio con la natura umana, Dio viene nel mondo e assume la corporeità che Egli stesso ha creato. Nell’Incarnazione, attraverso il Figlio unigenito nato da una Vergine attraverso la potenza dello Spirito Santo, il Dio uno e trino crea la possibilità di una comunione intima e personale con gli esseri umani. Poiché Dio ha voluto benignamente elevare persone create alla partecipazione dialogica alla sua vita, egli deve, per così dire, abbassarsi al livello della creatura. Alcuni teologi parlano di questa divina condiscendenza come di una forma di «ominizzazione» attraverso la quale Dio rende liberamente possibile la nostra divinizzazione. Dio non solo manifesta la sua gloria nel cosmo tramite atti teofanici, ma anche assumendone la corporeità. In questa prospettiva cristologica, la «ominizzazione» di Dio è un atto di solidarietà, non solo con persone create, ma con l’intero universo creato e il suo destino storico. Non solo, ma nella prospettiva escatologica, la seconda venuta di Cristo può essere vista come l’evento in cui Dio prende fisicamente dimora nell’universo perfezionato che porta a compimento il piano originale della creazione.
76. Lungi dall’incoraggiare uno sfruttamento sregolato e antropocentrico dell’ambiente naturale, la teologia dell’imago Dei afferma il ruolo cruciale dell’uomo nella realizzazione di questo prendere eterna dimora nell’universo perfetto da parte di Dio. Gli esseri umani, per disegno di Dio, sono gli amministratori di questa trasformazione anelata da tutta la creazione. Non solo gli esseri umani, ma l’insieme della creazione visibile è chiamata a partecipare alla vita divina. «Sappiamo che tutta la creazione geme e soffre fino ad oggi nelle doglie del parto; essa non è la sola, ma anche noi, che possediamo le primizie dello Spirito, gemiamo interiormente aspettando l’adozione a figli, la redenzione del nostro corpo» (Rm 8,23). Nella prospettiva cristiana, la nostra responsabilità etica nei confronti dell’ambiente naturale, «dimora della nostra esistenza», trova quindi le sue radici in una profonda comprensione teologica della creazione visibile e del nostro posto al suo interno.
77. Riferendosi a questa responsabilità in un importante passo dell’Evangelium vitae, Giovanni Paolo II ha scritto: «Chiamato a coltivare e custodire il giardino del mondo (cfr Gn 2,15), l’uomo ha una specifica responsabilità sull’ambiente di vita, ossia sul creato che Dio ha posto al servizio della sua dignità personale. […] È la questione ecologica — dalla preservazione degli habitat naturali delle diverse specie animali e delle varie forme di vita alla ecologia umana propriamente detta — che trova nella pagina biblica una luminosa e forte indicazione etica per una soluzione rispettosa del grande bene della vita, di ogni vita […]. Nei confronti della natura visibile, siamo sottomessi a leggi non solo biologiche, ma anche morali, che non si possono impunemente trasgredire» (n. 42).
78. In ultima analisi, dobbiamo osservare che la teologia non potrà offrire una soluzione tecnica alla crisi ambientale; tuttavia, come abbiamo visto, la teologia può aiutarci a vedere il nostro ambiente naturale così come lo vede Dio, come lo spazio di una comunione personale in cui gli esseri umani, creati a immagine di Dio, devono ricercare la comunione reciproca e la perfezione finale dell’universo visibile.
79. Questa responsabilità si estende al mondo animale. Gli animali sono creature di Dio e, secondo le Scritture, egli li circonda di provvidenziali attenzioni (Mt 6,26). Gli esseri umani dovrebbero accoglierli con gratitudine, e rendere grazie a Dio per la loro esistenza, adottando persino un atteggiamento di ringraziamento verso ogni elemento della creazione. Con la loro stessa esistenza gli animali benedicono Dio e gli rendono gloria: «Benedite, uccelli tutti dell’aria, il Signore […]. Benedite, animali tutti, selvaggi e domestici, il Signore» (Dn 3,80-81). Inoltre l’armonia che l’uomo deve instaurare, o restaurare, nell’insieme della creazione include anche il suo rapporto con gli animali. Quando Cristo verrà nella sua gloria, egli «ricapitolerà» tutta la creazione in un momento di armonia escatologico e definitivo.
80. Ciononostante, esiste una differenza ontologica tra gli esseri umani e gli animali, poiché soltanto l’uomo è creato a immagine di Dio, e Dio gli ha dato la signoria sul mondo animale (Gn 1,26-28; Gn 2,19-20). Ricalcando la tradizione cristiana in merito al giusto uso degli animali, il Catechismo della Chiesa Cattolica afferma: «Dio ha consegnato gli animali a colui che egli ha creato a sua immagine. È dunque legittimo servirsi degli animali per provvedere al nutrimento o per confezionare indumenti. Possono essere addomesticati, perché aiutino l’uomo nei suoi lavori e anche a ricrearsi negli svaghi» (n. 2417). Questo brano cita inoltre il legittimo impiego di animali per la sperimentazione medica e scientifica, ma sempre riconoscendo che è «contrario alla dignità umana far soffrire inutilmente gli animali» (n. 2418). Quindi, in qualunque modo ci si serva degli animali, occorre sempre essere guidati dai princìpi già illustrati: la signoria umana sopra il mondo animale è essenzialmente un’amministrazione della quale gli esseri umani devono rendere conto a Dio, che è Signore della creazione nel senso più vero.
3. La responsabilità nei confronti dell’integrità biologica degli esseri umani
81. La moderna tecnologia, congiuntamente ai più recenti sviluppi della biochimica e della biologia molecolare, continua a offrire alla medicina contemporanea nuove possibilità diagnostiche e terapeutiche. Queste tecniche non solo rendono possibili nuove e più efficaci terapie, ma aprono anche la strada alla possibilità di modificare l’uomo stesso. Il fatto che queste tecnologie siano disponibili e praticabili rende tanto più urgente chiedersi quali limiti debbano essere posti al tentativo dell’uomo di ri-creare se stesso. L’esercizio di una responsabile amministrazione nel campo della bioetica richiede un’attenta riflessione morale sulla portata delle tecnologie che possono incidere sull’integrità biologica degli esseri umani. In questa sede possiamo offrire soltanto qualche breve indicazione in merito alle specifiche sfide morali poste dalle nuove tecnologie e ad alcuni princìpi che devono essere applicati se vogliamo riuscire ad amministrare in modo responsabile l’integrità biologica degli esseri umani creati a immagine di Dio.
82. Il diritto di disporre pienamente del proprio corpo significherebbe che la persona può usare il corpo come un mezzo per raggiungere un fine che egli stesso ha scelto: potrebbe cioè sostituirne alcune parti, modificarlo o porgli termine. In altre parole, una persona potrebbe determinare la finalità o il valore teleologico del corpo. Il diritto di disporre di qualcosa si estende soltanto a oggetti cha abbiano un valore meramente strumentale, e non a oggetti che sono un bene in se stessi, che siano cioè un fine in se stessi. La persona umana, essere creato a immagine di Dio, rientra proprio in quest’ultima categoria. L’interrogativo, in particolar modo così come si profila nella bioetica, è se questo ragionamento possa applicarsi anche ai diversi livelli ravvisabili nella persona umana: il livello biologico-somatico, quello emotivo e quello spirituale.
83. Nella prassi clinica è un fatto generalmente acquisito che si possa disporre in forma limitata del corpo e di certe funzioni mentali per preservare la vita, come, ad esempio, nel caso dell’amputazione di un arto o dell’asportazione di un organo. Interventi del genere sono consentiti dal principio di totalità e integrità (noto anche come principio terapeutico). Il significato di tale principio è che la persona umana sviluppa, protegge e preserva tutte le sue funzioni fisiche e mentali di modo che 1) le funzioni inferiori non vengano mai sacrificate tranne che per un migliore funzionamento della persona nella sua totalità, e anche in quel caso facendo sempre uno sforzo per compensare la funzione sacrificata; e 2) le facoltà fondamentali che appartengono essenzialmente all’essere umano non vengano mai sacrificate, tranne che nel caso in cui ciò sia necessario per salvare la vita.
84. I vari organi e gli arti che insieme costituiscono una unità fisica sono, in quanto parti integranti, completamente assorbiti nel corpo e ad esso subordinati. Ma i valori inferiori non possono essere semplicemente sacrificati a beneficio di quelli superiori: tutti questi valori insieme costituiscono una unità organica e sono in un rapporto di reciproca dipendenza. Poiché il corpo, in quanto parte intrinseca della persona umana, è un bene in se stesso, le facoltà umane fondamentali possono essere sacrificate soltanto per preservare la vita. Dopo tutto, la vita è un bene fondamentale che interessa la totalità della persona umana. In assenza del fondamentale bene della vita, i valori — come, ad esempio, la libertà — che sono di per sé superiori alla vita stessa cessano di esistere. Poiché l’uomo è stato creato a immagine di Dio anche nella sua corporeità, egli non ha nessun diritto di disporre pienamente della sua stessa natura biologica. Dio stesso e l’essere creato a sua immagine non possono essere oggetto di un’azione umana arbitraria.
85. Perché possa applicarsi il principio di totalità e di integrità devono essere soddisfatte le seguenti condizioni: 1) deve trattarsi di un intervento a carico di quella parte del corpo che è o colpita o causa diretta di una situazione pericolosa per la vita; 2) non devono esistere altre alternative per salvare la vita; 3) deve esservi una probabilità di successo proporzionata ai rischi e alle conseguenze negative dell’intervento; 4) deve esserci il consenso del paziente. Gli effetti collaterali negativi derivanti dall’intervento possono essere giustificati in base al principio del duplice effetto.
86. Alcuni hanno tentato di interpretare questa gerarchia di valori in modo tale da legittimare il sacrificio delle funzioni inferiori, come, ad esempio, la capacità procreativa, a tutela di valori più alti, come, ad esempio, la salute mentale o migliori rapporti con gli altri. Tuttavia la facoltà riproduttiva viene qui sacrificata per mantenere elementi che possono essere essenziali alla persona in quanto totalità funzionante, ma non sono essenziali alla persona in quanto totalità vivente. In realtà, la persona in quanto totalità funzionante è violata dalla perdita della facoltà riproduttiva, e in un momento in cui la minaccia alla sua salute mentale non è imminente e potrebbe essere scongiurata in altro modo. Inoltre questa interpretazione del principio di totalità introduce la possibilità di sacrificare una parte del corpo a favore di interessi sociali. Secondo questo ragionamento, la sterilizzazione per motivi di eugenetica potrebbe essere giustificata in ragione di interessi di Stato.
87. La vita umana è frutto dell’amore coniugale — la donazione reciproca, totale, definitiva ed esclusiva tra uomo e donna — che rispecchia il dono di amore tra le tre Persone Divine che diventa fecondo nella creazione, e il dono di Cristo alla sua Chiesa che diventa fecondo nella rinascita dell’uomo. Il fatto che una donazione totale dell’uomo interessa tanto il suo spirito quanto il suo corpo è alla base dell’inseparabilità dei due significati dell’atto coniugale, che 1) è autentica espressione dell’amore sponsale a livello fisico e 2) arriva a compimento attraverso la procreazione nel periodo fertile della donna (Humanae vitae, n. 12; Familiaris consortio, n. 32).
88. La reciproca donazione di sé tra uomo e donna nell’intimità sessuale è resa incompleta dalla contraccezione o dalla sterilizzazione. Se inoltre viene utilizzata una tecnica che non coadiuva l’atto coniugale nel raggiungimento del suo obiettivo, ma si sostituisce a tale atto, in modo che il concepimento avviene per intervento di una parte terza, allora il bambino così procreato non nasce dall’atto coniugale che è espressione autentica della donazione reciproca dei genitori.
89. Nel caso della clonazione — la produzione di individui geneticamente identici tramite la divisione dell’embrione o attraverso il trapianto del nucleo — il bambino è generato in modo asessuato e non può essere in nessun modo considerato il frutto di un reciproco dono di amore. La clonazione, ancor più se comporta la produzione di un gran numero di persone a partire da un singolo individuo, rappresenta una violazione dell’identità della persona. La comunità umana, che come abbiamo osservato deve essere anch’essa considerata immagine del Dio uno e trino, esprime nella sua varietà qualcosa delle relazioni delle tre Persone Divine nella loro unicità, che, pur nella stessa natura, ne segna le mutue differenze.
90. L’ingegneria genetica sulla linea germinale finalizzata a un intento terapeutico sarebbe in se stessa accettabile se non risultasse difficile immaginare come un intervento del genere possa essere attuato senza rischi sproporzionati soprattutto nella prima fase sperimentale, quali, ad esempio, la massiccia perdita di embrioni e l’incidenza di effetti indesiderati, e senza ricorrere all’uso di tecniche riproduttive. Una possibile alternativa sarebbe il ricorso alla terapia genica sulle cellule staminali che producono gli spermatozoi dell’uomo, in modo che questi possa concepire una prole sana, utilizzando il suo stesso seme nell’atto coniugale.
91. Un tipo di ingegneria genetica tende a migliorare alcune caratteristiche specifiche. Si potrebbe cercare di giustificare la gestione dell’evoluzione umana mediante tale tipo di intervento invocando il concetto dell’uomo «co-creatore» con Dio. Ma questo significherebbe che l’uomo ha il pieno diritto di disporre della sua natura biologica. Modificare l’identità genetica dell’uomo in quanto persona umana attraverso la creazione di un essere infraumano è radicalmente immorale. Il ricorso a modificazioni genetiche per produrre un essere superumano o un essere con facoltà spirituali essenzialmente nuove è inconcepibile, posto che il principio di vita spirituale dell’uomo — che forma la materia nel corpo della persona umana — non è prodotto dalle mani dell’uomo e non è soggetto all’ingegneria genetica. L’unicità di ogni persona umana, in parte costituita dalle sue caratteristiche biogenetiche e sviluppata attraverso l’educazione e la crescita, le appartiene intrinsecamente e non può essere strumentalizzata per migliorare alcune di queste caratteristiche. Un uomo può veramente migliorare soltanto realizzando più pienamente l’immagine di Dio in lui, unendosi a Cristo e nell’imitazione di Cristo. Queste modifiche, in ogni caso, violerebbero la libertà di persone future che non hanno avuto modo di intervenire in decisioni che determinano le loro caratteristiche e la loro struttura fisica in modo significativo e forse irreversibile. La terapia genica finalizzata ad alleviare patologie congenite, come la sindrome di Down, sicuramente eserciterebbe un impatto sull’identità della persona in questione con riferimento al suo aspetto e alle sue capacità intellettive, ma una tale modifica aiuterebbe la persona a dare piena espressione alla sua vera identità, bloccata da un gene difettoso.
92. Gli interventi terapeutici servono a ripristinare le funzioni fisiche, mentali e spirituali, dando alla persona una posizione centrale e rispettando pienamente la finalità dei vari livelli nell’uomo in relazione a quelli della persona. Avendo un carattere terapeutico, la medicina che si mette al servizio dell’uomo e del suo corpo in quanto fini in se stessi rispetta l’immagine di Dio in entrambi. Secondo il principio di proporzionalità, le terapie straordinarie finalizzate a prolungare la vita devono essere utilizzate quando esiste una giusta proporzione tra i risultati positivi che se ne attendono e i possibili danni per il paziente. Laddove sia invece assente tale proporzionalità, la terapia può essere sospesa, anche se così ne risultasse abbreviata la vita del paziente. Nella terapia palliativa un decesso anticipato a seguito della somministrazione di analgesici rappresenta un effetto indiretto che, come tutti gli effetti collaterali in medicina, può rientrare nel principio del duplice effetto, sempre che il dosaggio sia calibrato alla soppressione del dolore e non alla cessazione della vita.
93. Disporre della morte è in realtà il modo più radicale di disporre della vita. Nel suicidio assistito, nell’eutanasia diretta e nell’aborto diretto — per quanto tragiche e complesse possano essere le situazioni personali — la vita fisica è sacrificata per una finalità autodeterminata. Ricade nella medesima categoria la strumentalizzazione dell’embrione, che avviene sia nella sperimentazione sugli embrioni, sia nella diagnosi preimpianto.
94. Il nostro status ontologico di creature fatte a immagine di Dio impone determinati limiti alla nostra capacità di disporre di noi stessi. La signoria attribuitaci non è illimitata: noi esercitiamo una certa signoria partecipata sul mondo creato e, infine, dobbiamo rendere conto del nostro servizio al Signore dell’Universo. L’uomo è creato a immagine di Dio, ma non è egli stesso Dio.
CONCLUSIONE
95. Lungo il corso di queste riflessioni, il tema dell’imago Dei ha dimostrato la sua capacità sistematica di chiarire molte verità della fede cristiana. Ci aiuta a presentare una concezione relazionale — addirittura personale — degli esseri umani. È proprio questa relazione con Dio che definisce gli esseri umani ed è fondamento del loro rapporto con le altre creature. Ciononostante, come abbiamo visto, il mistero dell’uomo può essere pienamente chiarito soltanto alla luce di Cristo, che è immagine perfetta del Padre e che ci introduce, attraverso lo Spirito Santo, a una partecipazione al mistero di Dio uno e trino. È all’interno di questa comunione di amore che il mistero di ogni essere, abbracciato da Dio, trova il suo pieno significato. Al tempo stesso grandiosa e umile, questa concezione dell’essere umano come immagine di Dio rappresenta una guida per le relazioni tra l’uomo e il mondo creato, ed è la base su cui valutare la legittimità dei progressi tecnici e scientifici che hanno un impatto diretto sulla vita umana e sull’ambiente. In queste aree, proprio come le persone umane sono chiamate a rendere testimonianza della loro partecipazione alla creatività divina, così sono anche tenute a riconoscere la loro posizione di creature alle quali Dio ha affidato la preziosa responsabilità di amministrare l’universo fisico.
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* NOTA PRELIMINARE. Il tema «La persona umana creata a immagine di Dio» è stato sottoposto allo studio della Commissione Teologica Internazionale. Per preparare questo studio venne formata una Sottocommissione composta dal domenicano p. Joseph Augustine Di Noia, dal vescovo mons. Jean-Louis Bruguès, da mons. Anton Strukelj, dal p. Tanios Bou Mansour dell’Ordine Libanese Maronita, da don Adolphe Gesché, dal vescovo mons. Willem Jacobus Eijk, dai gesuiti p. Fadel Sidarouss e p. Shun ichi Takayanagi.
Le discussioni generali si sono svolte in numerosi incontri della Sottocommissione e durante le sessioni plenarie della stessa Commissione Teologica Internazionale, tenutesi a Roma dal 2000 al 2002. Il presente testo è stato approvato in forma specifica, con il voto scritto della Commissione, ed è stato poi sottoposto al suo Presidente, il card. J. Ratzinger, Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, il quale ha dato la sua approvazione per la pubblicazione.
Infine c’è il Catechismo della Chiesa Cattolica, che tocca il tema dell’evoluzione nel capitolo su Dio creatore. Uno dei principali autori del catechismo, promulgato nel 1992, è stato il cardinale Schönborn:
Paragrafo 4
IL CREATORE
279 “In principio Dio creò il cielo e la terra” (⇒ Gen 1,1). Con queste solenni parole incomincia la Sacra Scrittura. Il Simbolo della fede le riprende confessando Dio Padre onnipotente come “Creatore del cielo e della terra”, “di tutte le cose visibili e invisibili”. Noi parleremo perciò innanzi tutto del Creatore, poi della sua creazione, infine della caduta a causa del peccato, da cui Gesù Cristo, il Figlio di Dio, è venuto a risollevarci.
280 La creazione è il fondamento di “tutti i progetti salvifici di Dio”, “l’inizio della storia della salvezza”, [Congregazione per il Clero, Direttorio catechistico generale, 51] che culmina in Cristo. Inversamente, il Mistero di Cristo è la luce decisiva sul mistero della creazione: rivela il fine in vista del quale, “in principio, Dio creò il cielo e la terra” (⇒ Gen 1,1): dalle origini, Dio pensava alla gloria della nuova creazione in Cristo [Cf ⇒ Rm 8,18-23 ].
281 Per questo le letture della Veglia Pasquale, celebrazione della nuova creazione in Cristo, iniziano con il racconto della creazione; parimenti, nella Liturgia Bizantina, il racconto della creazione è sempre la prima lettura delle vigilie delle grandi feste del Signore. Secondo la testimonianza degli antichi, l’istruzione dei catecumeni per il Battesimo segue lo stesso itinerario [Cf Eteria, Peregrinatio ad loca sancta, 46: PLS 1, 1047; Sant’Agostino, De catechizandis rudibus, 3, 5].
I. La catechesi sulla creazione
282 La catechesi sulla creazione è di capitale importanza. Concerne i fondamenti stessi della vita umana e cristiana: infatti esplicita la risposta della fede cristiana agli interrogativi fondamentali che gli uomini di ogni tempo si sono posti: “Da dove veniamo?” “Dove andiamo?” “Qual è la nostra origine?” “Quale il nostro fine?” “Da dove viene e dove va tutto ciò che esiste?”. Le due questioni, quella dell’origine e quella del fine, sono inseparabili. Sono decisive per il senso e l’orientamento della nostra vita e del nostro agire.
283 La questione delle origini del mondo e dell’uomo è oggetto di numerose ricerche scientifiche, che hanno straordinariamente arricchito le nostre conoscenze sull’età e le dimensioni del cosmo, sul divenire delle forme viventi, sull’apparizione del l’uomo. Tali scoperte ci invitano ad una sempre maggiore ammirazione per la grandezza del Creatore, e a ringraziarlo per tutte le sue opere e per l’intelligenza e la sapienza di cui fa dono agli studiosi e ai ricercatori. Con Salomone costoro possono dire: “Egli mi ha concesso la conoscenza infallibile delle cose, per comprendere la struttura del mondo e la forza degli elementi. . . perché mi ha istruito la Sapienza, artefice di tutte le cose” (⇒ Sap 7,17-21).
284 Il grande interesse, di cui sono oggetto queste ricerche, è fortemente stimolato da una questione di altro ordine, che oltrepassa il campo proprio delle scienze naturali. Non si tratta soltanto di sapere quando e come sia sorto materialmente il cosmo, né quando sia apparso l’uomo, quanto piuttosto di scoprire quale sia il senso di tale origine: se cioè sia governata dal caso, da un destino cieco, da una necessità anonima, oppure da un Essere trascendente, intelligente e buono, chiamato Dio. E se il mondo proviene dalla sapienza e dalla bontà di Dio, perché il male? Da dove viene? Chi ne è responsabile? C’è una liberazione da esso?
285 Fin dagli inizi, la fede cristiana è stata messa a confronto con risposte diverse dalla sua circa la questione delle origini. Infatti, nelle religioni e nelle culture antiche si trovano numerosi miti riguardanti le origini. Certi filosofi hanno affermato che tutto è Dio, che il mondo è Dio, o che il divenire del mondo è il divenire di Dio (panteismo); altri hanno detto che il mondo è una emanazione necessaria di Dio, che scaturisce da questa sorgente e ad essa ritorna; altri ancora hanno sostenuto l’esistenza di due princìpi eterni, il Bene e il Male, la Luce e le Tenebre, in continuo conflitto (dualismo, manicheismo); secondo alcune di queste concezioni, il mondo (almeno il mondo materiale) sarebbe cattivo, prodotto di un decadimento, e quindi da respingere o oltrepassare (gnosi); altri ammettono che il mondo sia stato fatto da Dio, ma alla maniera di un orologiaio che, una volta fatto, l’avrebbe abbandonato a se stesso(deismo); altri infine non ammettono alcuna origine trascendente del mondo, ma vedono in esso il puro gioco di una materia che sarebbe sempre esistita (materialismo). Tutti questi tentativi di spiegazione stanno a testimoniare la persistenza e l’universalità del problema delle origini. Questa ricerca è propria dell’uomo.
286 Indubbiamente, l’intelligenza umana può già trovare una risposta al problema delle origini. Infatti, è possibile conoscere con certezza l’esistenza di Dio Creatore attraverso le sue opere, grazie alla luce della ragione umana, [Cf Concilio Vaticano I: Denz. -Schönm., 3026] anche se questa conoscenza spesso è offuscata e sfigurata dall’errore. Per questo la fede viene a confermare e a far luce alla ragione nella retta intelligenza di queste verità: “Per fede sappiamo che i mondi furono formati dalla Parola di Dio, sì che da cose non visibili ha preso origine ciò che si vede” (⇒ Eb 11,3).
287 La verità della creazione è tanto importante per l’intera vita umana che Dio, nella sua tenerezza, ha voluto rivelare al suo Popolo tutto ciò che al riguardo è necessario conoscere. Al di là della conoscenza naturale che ogni uomo può avere del Creatore, [Cf ⇒ At 17,24-29; ⇒ Rm 1,19-20 ] Dio ha progressivamente rivelato a Israele il mistero della creazione. Egli, che ha scelto i patriarchi, che ha fatto uscire Israele dall’Egitto, e che, eleggendo Israele, l’ha creato e formato, [Cf ⇒ Is 43,1 ] si rivela come colui al quale appartengono tutti i popoli della terra e l’intera terra, come colui che, solo, “ha fatto cielo e terra” (⇒ Sal 115,15; ⇒ Sal 124,8; 287 ⇒ Sal 134,3).
288 La rivelazione della creazione è così inseparabile dalla rivelazione e dalla realizzazione dell’Alleanza di Dio, l’Unico, con il suo Popolo. La creazione è rivelata come il primo passo verso tale Alleanza, come la prima e universale testimonianza dell’amore onnipotente di Dio [Cf ⇒ Gen 15,5; 288 ⇒ Ger 33,19-26 ]. E poi la verità della creazione si esprime con una forza crescente nel messaggio dei profeti, [Cf ⇒ Is 44,24 ] nella preghiera dei Salmi[Cf ⇒ Sal 104 ] e della Liturgia, nella riflessione della sapienza [Cf ⇒ Pr 8,22-31 ] del Popolo eletto.
289 Tra tutte le parole della Sacra Scrittura sulla creazione, occupano un posto singolarissimo i primi tre capitoli della Genesi. Dal punto di vista letterario questi testi possono avere diverse fonti. Gli autori ispirati li hanno collocati all’inizio della Scrittura in modo che esprimano, con il loro linguaggio solenne, le verità della creazione, della sua origine e del suo fine in Dio, del suo ordine e della sua bontà, della vocazione dell’uomo, infine del dramma del peccato e della speranza della salvezza. Lette alla luce di Cristo, nell’unità della Sacra Scrittura e della Tradizione vivente della Chiesa, queste parole restano la fonte principale per la catechesi dei misteri delle “origini”: creazione, caduta, promessa della salvezza.
II. La creazione – opera della Santissima Trinità
290 “In principio, Dio creò il cielo e la terra” (⇒ Gen 1,1). Queste prime parole della Scrittura contengono tre affermazioni: il Dio eterno ha dato un inizio a tutto ciò che esiste fuori di lui. Egli solo è Creatore (il verbo “creare” – in ebraico “bara” – ha sempre come soggetto Dio). La totalità di ciò che esiste (espressa nella formula “il cielo e la terra”) dipende da colui che gli dà di essere.
291 “In principio era il Verbo. . . e il Verbo era Dio. . . Tutto è stato fatto per mezzo di lui e senza di lui niente è stato fatto” (⇒ Gv 1,1-3). Il Nuovo Testamento rivela che Dio ha creato tutto per mezzo del Verbo eterno, il Figlio suo diletto. “Per mezzo di lui sono state create tutte le cose, quelle nei cieli e quelle sulla terra. . . Tutte le cose sono state create per mezzo di lui e in vista di lui. Egli è prima di tutte le cose e tutte in lui sussistono” (⇒ Col 1,16-17). La fede della Chiesa afferma pure l’azione creatrice dello Spirito Santo: egli è il “datore di vita”, [Simbolo di Nicea-Costantinopoli] lo “Spirito Creatore”, [Liturgia delle Ore, Inno “Veni, Creator”] la “sorgente di ogni bene” [Liturgia bizantina, Tropario dei Vespri di Pentecoste].
292 Lasciata intravvedere nell’Antico Testamento, [Cf ⇒ Sal 33,6; ⇒ Sal 104,30; ⇒ Gen 1,2-3 ] rivelata nella Nuova Alleanza, l’azione creatrice del Figlio e dello Spirito, inseparabilmente una con quella del Padre, è chiaramente affermata dalla regola di fede della Chiesa: “Non esiste che un solo Dio. . . : egli è il Padre, è Dio, il Creatore, l’Autore, l’Ordinatore. Egli ha fatto ogni cosa da se stesso, cioè con il suo Verbo e la sua Sapienza”, “per mezzo del Figlio e dello Spirito”, che sono come “le sue mani” [Sant’Ireneo di Lione, Adversus haereses, 2, 30, 9 e 4, 20, 1]. La creazione è l’opera comune della Santissima Trinità.
III. “Il mondo è stato creato per la gloria di Dio”
293 È una verità fondamentale che la Scrittura e la Tradizione costantemente insegnano e celebrano: “Il mondo è stato creato per la gloria di Dio” [Concilio Vaticano I: Denz. -Schönm., 3025]. Dio ha creato tutte le cose, spiega san Bonaventura, “non propter gloriam augendam, sed propter gloriam manifestandam et propter gloriam suam communicandam – non per accrescere la propria gloria, ma per manifestarla e per comunicarla” [San Bonaventura, In libros sententiarum, 2, 1, 2, 2, 1]. Infatti Dio non ha altro motivo per creare se non il suo amore e la sua bontà: “Aperta manu clave amoris creaturÍ prodierunt – Aperta la mano dalla chiave dell’amore, le creature vennero alla luce” [San Tommaso d’Aquino, In libros sententiarum, 2, prol]. E il Concilio Vaticano I spiega:
Nella sua bontà e con la sua onnipotente virtù, non per aumentare la sua beatitudine, né per acquistare perfezione, ma per manifestarla attraverso i beni che concede alle sue creature, questo solo vero Dio ha, con la più libera delle decisioni, insieme, dall’inizio dei tempi, creato dal nulla l’una e l’altra creatura, la spirituale e la corporale [Concilio Vaticano I: Denz. -Schönm., 3002].
294 La gloria di Dio è che si realizzi la manifestazione e la comunicazione della sua bontà, in vista delle quali il mondo è stato creato. Fare di noi i suoi “figli adottivi per opera di Gesù Cristo”, è il benevolo disegno “della sua volontà. . . a lode e gloria della sua grazia” (⇒ Ef 1,5-6). “Infatti la gloria di Dio è l’uomo vivente e la vita dell’uomo è la visione di Dio: se già la Rivelazione di Dio attraverso la creazione procurò la vita a tutti gli esseri che vivono sulla terra, quanto più la manifestazione del Padre per mezzo del Verbo dà la vita a coloro che vedono Dio” [Sant’Ireneo di Lione, Adversus haereses, 4, 20, 7]. Il fine ultimo della creazione è che Dio, “che di tutti è il Creatore, possa anche essere “tutto in tutti” (⇒ 1Cor 15,28) procurando ad un tempo la sua gloria e la nostra felicità” [Conc. Ecum. Vat. II, Ad gentes, 2].
IV. Il mistero della creazione
Dio crea con sapienza e amore
295 Noi crediamo che il mondo è stato creato da Dio secondo la sua sapienza [Cf ⇒ Sap 9,9 ]. Non è il prodotto di una qualsivoglia necessità, di un destino cieco o del caso. Noi crediamo che il mondo trae origine dalla libera volontà di Dio, il quale ha voluto far partecipare le creature al suo essere, alla sua saggezza e alla sua bontà: “Tu hai creato tutte le cose, e per la tua volontà furono create e sussistono” (⇒ Ap 4,11). “Quanto sono grandi, Signore, le tue opere! Tutto hai fatto con saggezza” (⇒ Sal 104,24). “Buono è il Signore verso tutti, la sua tenerezza si espande su tutte le creature” (⇒ Sal 145,9).
Dio crea “dal nulla”
296 Noi crediamo che Dio, per creare, non ha bisogno di nulla di preesistente né di alcun aiuto [Cf Concilio Vaticano I: Denz. -Schönm., 3022]. La creazione non è neppure una emanazione necessaria della sostanza divina [Cf ibid., 3023-3024]. Dio crea liberamente “dal nulla”: [Concilio Lateranense IV: Denz. -Schönm., 800; Concilio Vaticano I: ibid. , 3025]
Che vi sarebbe di straordinario se Dio avesse tratto il mondo da una materia preesistente? Un artigiano umano, quando gli si dà un materiale, ne fa tutto ciò che vuole. Invece la potenza di Dio si manifesta precisamente in questo, che egli parte dal nulla per fare tutto ciò che vuole [San Teofilo d’Antiochia, Ad Autolycum, 2, 4: PG 6, 1052].
297 La fede nella creazione “dal nulla” è attestata nella Scrittura come una verità piena di promessa e di speranza. Così la madre dei sette figli li incoraggia al martirio:
Non so come siate apparsi nel mio seno; non io vi ho dato lo spirito e la vita, né io ho dato forma alle membra di ciascuno di voi. Senza dubbio il Creatore del mondo, che ha plasmato all’origine l’uomo e ha provveduto alla generazione di tutti, per la sua misericordia vi restituirà di nuovo lo spirito e la vita, come voi ora per le sue leggi non vi curate di voi stessi. . . Ti scongiuro, figlio, contempla il cielo e la terra, osserva quanto vi è in essi e sappi che Dio li ha fatti non da cose preesistenti; tale è anche l’origine del genere umano (⇒ 2Mac 7,22-23; ⇒ 2Mac 7,28).
298 Dio, poiché può creare dal nulla, può anche, per opera dello Spirito Santo, donare ai peccatori la vita dell’anima, creando in essi un cuore puro, [Cf ⇒ Sal 51,12 ] e ai defunti, con la risurrezione, la vita del corpo, egli “che dà vita ai morti e chiama all’esistenza le cose che ancora non esistono” (⇒ Rm 4,17). E, dal momento che, con la sua Parola, ha potuto far risplendere la luce dalle tenebre, [Cf ⇒ Gen 1,3 ] può anche donare la luce della fede a coloro che non lo conoscono [Cf ⇒ 2Cor 4,6 ].
Dio crea un mondo ordinato e buono
299 Per il fatto che Dio crea con sapienza, la creazione ha un ordine: “Tu hai disposto tutto con misura, calcolo e peso” (⇒ Sap 11,20). Creata nel e per mezzo del Verbo eterno, “immagine del Dio invisibile” (⇒ Col 1,15), la creazione è destinata, indirizzata all’uomo, immagine di Dio, [Cf ⇒ Gen 1,26 ] chiamato a una relazione personale con Dio. La nostra intelligenza, poiché partecipa alla luce dell’Intelletto divino, può comprendere ciò che Dio ci dice attraverso la creazione, [Cf ⇒ Sal 19,2-5 ] certo non senza grande sforzo e in spirito di umiltà e di rispetto davanti al Creatore e alla sua opera [Cf ⇒ Gb 42,3 ]. Scaturita dalla bontà divina, la creazione partecipa di questa bontà (“E Dio vide che era cosa buona. . . cosa molto buona”: ⇒ Gen 1,4; ⇒ Gen 1,10; 299 ⇒ Gen 1,12; ⇒ Gen 1,18; ⇒ Gen 1,21; ⇒ Gen 1,31). La creazione, infatti, è voluta da Dio come un dono fatto all’uomo, come un’eredità a lui destinata e affidata. La Chiesa, a più riprese, ha dovuto difendere la bontà della creazione, compresa quella del mondo materiale [Cf San Leone Magno, Lettera Quam laudabiliter: Denz. -Schönm. , 286; Concilio di].
Dio trascende la creazione ed è ad essa presente
300 Dio è infinitamente più grande di tutte le sue opere: [Cf ⇒ Sir 43,28 ] “Sopra i cieli si innalza” la sua “magnificenza” (⇒ Sal 8,2),“la.su. grandezza non si può misurare” (⇒ Sal 145,3). Ma poiché egli è il Creatore sovrano e libero, causa prima di tutto ciò che esiste, egli è presente nell’intimo più profondo delle sue creature: “In lui viviamo, ci muoviamo ed esistiamo” (⇒ At 17,28). Secondo le parole di sant’Agostino, egli è “superior summo meo et interior intimo meo – più intimo della mia parte più intima, più alto della mia parte più alta” [Sant’Agostino, Confessiones, 3, 6, 11].
Dio conserva e regge la creazione
301 Dopo averla creata, Dio non abbandona a se stessa la sua creatura. Non le dona soltanto di essere e di esistere: la conserva in ogni istante nell’essere, le dà la facoltà di agire e la conduce al suo termine. Riconoscere questa completa dipendenza in rapporto al Creatore è fonte di sapienza e di libertà, di gioia, di fiducia:
Tu ami tutte le cose esistenti, e nulla disprezzi di quanto hai creato; se tu avessi odiato qualcosa, non l’avresti neppure creata. Come potrebbe sussistere una cosa se tu non vuoi? O conservarsi se tu non l’avessi chiamata all’esistenza? Tu risparmi tutte le cose, perché tutte son tue, Signore, amante della vita (⇒ Sap 11,24-26).
V. Dio realizza il suo disegno: la Provvidenza divina
302 La creazione ha la sua propria bontà e perfezione, ma non è uscita dalle mani del Creatore interamente compiuta. È creata “in stato di via” (“in statu viae”) verso una perfezione ultima alla quale Dio l’ha destinata, ma che ancora deve essere raggiunta. Chiamiamo divina Provvidenza le disposizioni per mezzo delle quali Dio conduce la creazione verso questa perfezione.
Dio conserva e governa con la sua Provvidenza tutto ciò che ha creato, “essa si estende da un confine all’altro con forza, governa con bontà eccellente ogni cosa” (⇒ Sap 8,1). Infatti “tutto è nudo e scoperto agli occhi suoi” (⇒ Eb 4,13), anche quello che sarà fatto dalla libera azione delle creature [Concilio Vaticano I: Denz. -Schönm., 3003].
303 La testimonianza della Scrittura è unanime: la sollecitudine della divina Provvidenza è concreta e immediata; essa si prende cura di tutto, dalle più piccole cose fino ai grandi eventi del mondo e della storia. Con forza, i Libri Sacri affermano la sovranità assoluta di Dio sul corso degli avvenimenti: “Il nostro Dio è nei cieli, egli opera tutto ciò che vuole” (⇒ Sal 115,3); e di Cristo si dice: “Quando egli apre, nessuno chiude, e quando chiude, nessuno apre” (⇒ Ap 3,7); “molte sono le idee nella mente dell’uomo, ma solo il disegno del Signore resta saldo” (⇒ Pr 19,21).
304 Spesso si nota che lo Spirito Santo, autore principale della Sacra Scrittura, attribuisce delle azioni a Dio, senza far cenno a cause seconde. Non si tratta di “un modo di parlare” primitivo, ma di una maniera profonda di richiamare il primato di Dio e la sua signoria assoluta sulla storia e sul mondo [Cf ⇒ Is 10,5-15; ⇒ Is 45,5-7; ⇒ Dt 32,39; ⇒ Sir 11,14 ] educando così alla fiducia in lui. La preghiera dei Salmi è la grande scuola di questa fiducia [Cf ⇒ Sal 22; ⇒ Sal 32; 305 ⇒ Sal 35; ⇒ Sal 103; ⇒ Sal 138; e.a.].
305 Gesù chiede un abbandono filiale alla Provvidenza del Padre celeste, il quale si prende cura dei più elementari bisogni dei suoi figli: “Non affannatevi dunque dicendo: Che cosa mangeremo? Che cosa berremo? Che cosa indosseremo?. . . Il Padre vostro celeste, infatti, sa che ne avete bisogno. Cercate prima il Regno di Dio e la sua giustizia, e tutte queste cose vi saranno date in aggiunta” (⇒ Mt 6,31-33) [Cf ⇒ Mt 10,29-31 ].
La Provvidenza e le cause seconde
306 Dio è il Padrone sovrano del suo disegno. Però, per realizzarlo, si serve anche della cooperazione delle creature. Questo non è un segno di debolezza, bensì della grandezza e della bontà di Dio onnipotente. Infatti Dio alle sue creature non dona soltanto l’esistenza, ma anche la dignità di agire esse stesse, di essere causa e principio le une delle altre, e di collaborare in tal modo al compimento del suo disegno.
307 Dio dà agli uomini anche il potere di partecipare liberamente alla sua Provvidenza, affidando loro la responsabilità di “soggiogare” la terra e di dominarla [Cf ⇒ Gen 1,26-28 ]. In tal modo Dio fa dono agli uomini di essere cause intelligenti e libere per completare l’opera della creazione, perfezionandone l’armonia, per il loro bene e per il bene del loro prossimo. Cooperatori spesso inconsapevoli della volontà divina, gli uomini possono entrare deliberatamente nel piano divino con le loro azioni, le loro preghiere, ma anche con le loro sofferenze [Cf ⇒ Col 1,24 ]. Allora diventano in pienezza “collaboratori di Dio” (⇒ 1Cor 3,9; ⇒ 1Ts 3,2) e del suo Regno [Cf ⇒ Col 4,11 ].
308 Dio agisce in tutto l’agire delle sue creature: è una verità inseparabile dalla fede in Dio Creatore. Egli è la causa prima che opera nelle e per mezzo delle cause seconde: “È Dio infatti che suscita” in noi “il volere e l’operare secondo i suoi benevoli disegni” (⇒ Fil 2,13) [Cf ⇒ 1Cor 12,6 ]. Lungi dallo sminuire la dignità della creatura, questa verità la accresce. Infatti la creatura, tratta dal nulla dalla potenza, dalla sapienza e dalla bontà di Dio, niente può se è separata dalla propria origine, perché “la creatura senza il Creatore svanisce”; [Conc. Ecum. Vat. II, Gaudium et spes, 36] ancor meno può raggiungere il suo fine ultimo senza l’aiuto della grazia [Cf ⇒ Mt 19,26; ⇒ Gv 15,5; ⇒ Fil 4,13 ].
La Provvidenza e lo scandalo del male
309 Se Dio Padre onnipotente, Creatore del mondo ordinato e buono, si prende cura di tutte le sue creature, perché esiste il male? A questo interrogativo tanto pressante quanto inevitabile, tanto doloroso quanto misterioso, nessuna rapida risposta potrà bastare. È l’insieme della fede cristiana che costituisce la risposta a tale questione: la bontà della creazione, il dramma del peccato, l’amore paziente di Dio che viene incontro all’uomo con le sue Alleanze, con l’Incarnazione redentrice del suo Figlio, con il dono dello Spirito, con il radunare la Chiesa, con la forza dei sacramenti, con la vocazione ad una vita felice, alla quale le creature libere sono invitate a dare il loro consenso, ma alla quale, per un mistero terribile, possono anche sottrarsi. Non c’è un punto del messaggio cristiano che non sia, per un certo aspetto, una risposta al problema del male .
310 Ma perché Dio non ha creato un mondo a tal punto perfetto da non potervi essere alcun male? Nella sua infinita potenza, Dio potrebbe sempre creare qualcosa di migliore [Cf San Tommaso d’Aquino, Summa theologiae, I, 25, 6]. Tuttavia, nella sua sapienza e nella sua bontà infinite, Dio ha liberamente voluto creare un mondo “in stato di via” verso la sua perfezione ultima. Questo divenire, nel disegno di Dio, comporta, con la comparsa di certi esseri la scomparsa di altri, con il più perfetto anche il meno perfetto, con le costruzioni della natura anche le distruzioni. Quindi, insieme con il bene fisico esiste anche il male fisico, finché la creazione non avrà raggiunto la sua perfezione [Cf San Tommaso d’Aquino, Summa contra gentiles, 3, 71].
311 Gli angeli e gli uomini, creature intelligenti e libere, devono camminare verso il loro destino ultimo per una libera scelta e un amore di preferenza. Essi possono, quindi, deviare. In realtà, hanno peccato. È così che nel mondo è entrato il male morale, incommensurabilmente più grave del male fisico. Dio non è in alcun modo, né direttamente né indirettamente, la causa del male morale [Cf Sant’Agostino, De libero arbitrio, 1, 1, 1: PL 32, 1221-1223; San Tommaso d’Aquino, Summa teologiae, I-II, 79, 1]. Però, rispettando la libertà della sua creatura, lo permette e, misteriosamente, sa trarne il bene:
Infatti Dio onnipotente. . ., essendo supremamente buono, non permetterebbe mai che un qualsiasi male esistesse nelle sue opere, se non fosse sufficientemente potente e buono da trarre dal male stesso il bene [Sant’Agostino, Enchiridion de fide, spe et caritate, 11, 3].
312 Così, col tempo, si può scoprire che Dio, nella sua Provvidenza onnipotente, può trarre un bene dalle conseguenze di un male, anche morale, causato dalle sue creature: “Non siete stati voi”, dice Giuseppe ai suoi fratelli, “a mandarmi qui, ma Dio; . . . se voi avete pensato del male contro di me, Dio ha pensato di farlo servire a un bene. . . per far vivere un popolo numeroso” (⇒ Gen 45,8 ⇒ Gen 50,20) [Cf Tb 2,12-18 vulg]. Dal più grande male morale che mai sia stato commesso, il rifiuto e l’uccisione del Figlio di Dio, causata dal peccato di tutti gli uomini, Dio, con la sovrabbondanza della sua grazia, [Cf ⇒ Rm 5,20 ] ha tratto i più grandi beni: la glorificazione di Cristo e la nostra Redenzione. Con ciò, però, il male non diventa un bene.
313 “Tutto concorre al bene di coloro che amano Dio” (⇒ Rm 8,28). La testimonianza dei santi non cessa di confermare questa verità:
Così santa Caterina da Siena dice a “coloro che si scandalizzano e si ribellano davanti a ciò che loro capita”: “Tutto viene dall’amore, tutto è ordinato alla salvezza dell’uomo, Dio non fa niente se non a questo fine” [Santa Caterina da Siena, Dialoghi, 4, 138].
E san Tommaso Moro, poco prima del martirio, consola la figlia: “Nulla accade che Dio non voglia, e io sono sicuro che qualunque cosa avvenga, per quanto cattiva appaia, sarà in realtà sempre per il meglio” [San Tommaso More, Lettera ad Alice Alington di Margaret Roper sul colloquio avuto in carcere con il padre, cf Liturgia delle Ore, III, Ufficio delle letture del 22 giugno].
E Giuliana di Norwich: “Imparai dalla grazia di Dio che dovevo rimanere fermamente nella fede, e quindi dovevo saldamente e perfettamente credere che tutto sarebbe finito in bene. . . : “Tu stessa vedrai che ogni specie di cosa sarà per il bene ” [Giuliana di Norwich, Rivelazioni dell’amore divino, 32].
314 Noi crediamo fermamente che Dio è Signore del mondo e della storia. Ma le vie della sua Provvidenza spesso ci rimangono sconosciute. Solo alla fine, quando avrà termine la nostra conoscenza imperfetta e vedremo Dio “a faccia a faccia” (⇒ 1Cor 13,12), conosceremo pienamente le vie, lungo le quali, anche attraverso i drammi del male e del peccato, Dio avrà condotto la sua creazione fino al riposo di quel Sabato [Cf ⇒ Gen 2,2 ] definitivo, in vista del quale ha creato il cielo e la terra.
IN SINTESI
315 Nella creazione del mondo e dell’uomo, Dio ha posto la prima e universale testimonianza del suo amore onnipotente e della sua sapienza, il primo annunzio del suo “disegno di benevolenza”, che ha il suo fine nella nuova creazione in Cristo.
316 Sebbene l’opera della creazione sia particolarmente attribuita al Padre, è ugualmente verità di fede che il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo sono il principio unico e indivisibile della creazione.
317 Dio solo ha creato l’universo liberamente, direttamente, senza alcun aiuto.
318 Nessuna creatura ha il potere infinito necessario per “creare” nel senso proprio del termine, cioè produrre e dare l’essere a ciò che non l’aveva affatto (chiamare all’esistenza “ex nihilo” – dal nulla) [Cf Congregazione per l’Educazione Cattolica, Decreto del 27 luglio 1914, Theses approbatae philosophiae tomisticae: Denz. -Schönm., 3624].
319 Dio ha creato il mondo per manifestare e per comunicare la sua gloria. Che le sue creature abbiano parte alla sua verità, alla sua bontà, alla sua bellezza: ecco la gloria per la quale Dio le ha create.
320 Dio, che ha creato l’universo, lo conserva nell’esistenza per mezzo del suo Verbo, “questo Figlio che. . . sostiene tutto con la potenza della sua Parola” (⇒ Eb 1,3), e per mezzo dello Spirito Creatore che dà vita.
321 La divina Provvidenza consiste nelle disposizioni con le quali Dio, con sapienza e amore, conduce tutte le creature al loro fine ultimo.
322 Cristo ci esorta all’abbandono filiale alla Provvidenza del nostro Padre celeste [Cf ⇒ Mt 6,26-34 ] e l’apostolo san Pietro gli fa eco: gettate “in lui ogni vostra preoccupazione, perché egli ha cura di voi” (⇒ 1Pt 5,7) [Cf ⇒ Sal 55,23 ].
323 La Provvidenza divina agisce anche attraverso l’azione delle creature. Agli esseri umani Dio dona di cooperare liberamente ai suoi disegni.
324 Che Dio permetta il male fisico e morale è un mistero che Dio illumina nel suo Figlio, Gesù Cristo, morto e risorto per vincere il male. La fede ci dà la certezza che Dio non permetterebbe il male, se dallo stesso male non traesse il bene, per vie che conosceremo pienamente soltanto nella vita eterna.
In questo sito, altre notizie sul seminario di studio del 2-3 settembre 2006 tra Benedetto XVI e i suoi ex allievi di teologia:
Il professor Ratzinger rivà a scuola. Un anno fa l’islam, quest’anno Darwin
Sarà l’evoluzione il tema del prossimo seminario del papa con i suoi ex allievi, a Castel Gandolfo. Intanto, il gesuita Christian W. Troll aggiorna l’analisi sui pensatori musulmani liberali
di Sandro Magister
ROMA, 2 agosto 2006 – Quest’anno il Ratzinger-Schülerkreis dedicherà il suo seminario di studio a “Schöpfung und Evolution”, creazione ed evoluzione. L’incontro, a porte chiuse, si terrà sabato e domenica 2 e 3 settembre nella villa pontificia di Castel Gandolfo (vedi foto), la residenza estiva dei papi.
Il Ratzinger-Schülerkreis è il circolo degli ex allievi dell’attuale papa, che una volta all’anno si incontrano col loro antico professore di teologia a discutere su un tema ogni volta diverso.
I primi incontri li tennero quando Joseph Ratzinger era docente a Ratisbona. Divenuto arcivescovo di Monaco, lo pregarono di continuare ed egli accettò. Lo stesso avvenne quando si trasferì a Roma come prefetto della congregazione per la dottrina della fede. Gli incontri occupavano un finesettimana e avvenivano di solito in un monastero. Al termine dell’incontro del 2004 i partecipanti si lasciarono con già fissato il tema dell’anno seguente: il concetto di Dio nell’islam.
Nella primavera del 2005, eletto Ratzinger papa, i suoi ex allievi pensarono che la tradizione si sarebbe interrotta. Ma non fu così. Benedetto XVI volle continuare. Il che sta avvenendo.
Il prossimo 2 settembre, a introdurre la discussione su creazione ed evoluzione interverranno il professor Peter Schuster, presidente dell’Österreichichen Akademie der Wissenschaften, l’accademia delle scienze austriaca, e il cardinale Christoph Schönborn, arcivescovo di Vienna e teologo. Parteciperanno al seminario anche il gesuita Paul Erbrich, professore di filosofia della natura a Monaco, e Robert Spaemann, filosofo della politica, uno dei massimi studiosi tedeschi della modernità.
Sul tema dell’evoluzione il cardinale Schönborn pubblicò il 7 luglio del 2005 un articolo sul “New York Times” che fece il giro del mondo.
Ma anche Ratzinger si è già occupato del tema. Da papa, l’ha sfiorato lo scorso 6 aprile con i giovani che gremivano piazza San Pietro per la giornata mondiale della gioventù. Rispondendo a una domanda, affermò che “la scienza suppone la struttura affidabile, intelligente della materia, il ‘disegno’ della creazione”.
In vista del prossimo seminario, i componenti del Ratzinger-Schülerkreis potranno inoltre leggere utilmente un articolo stampato sull’ultimo numero di “La Civiltà Cattolica”, la rivista dei gesuiti di Roma pubblicata con il controllo e l’autorizzazione previa della segreteria di stato vaticana.
L’articolo, scritto dal gesuita Giuseppe De Rosa e intitolato “L’evoluzione dei viventi: il fatto e i meccanismi”, fa il punto sul dibattito in campo scientifico su darwinismo e neodarwinismo, concludendo che “mentre la maggior parte degli scienziati ritiene validi la selezione naturale e il mutazionismo casuale, altri, pur ammettendo il fatto dell’evoluzione, negano che i meccanismi sinora indicati siano sufficienti a spiegarlo”.
* * *
Ma “La Civiltà Cattolica” incrocia i passi del Ratzinger-Schülerkreis anche per un altro suo articolo, uscito sul penultimo numero e dedicato all’islam: tema discusso col papa dai suoi ex allievi nel precedente incontro del settembre 2005.
L’autore dell’articolo, il gesuita tedesco Christian W. Troll, professore di islamologia nella facoltà teologica Sankt Georgen di Francoforte, è lo stesso che introdusse la discussione nel seminario del Ratzinger-Schülerkreis dello scorso anno.
Quel seminario ebbe una vasta eco, specie negli Stati Uniti. Il resoconto fatto da uno dei partecipanti, il gesuita americano Joseph Fessio, ingenerò l’impressione che Benedetto XVI ritenesse inconciliabili islam e democrazia.
Ma le cose non stavano così. Sia padre Fessio, sia il professor Troll, sia un altro gesuita islamologo che aveva preso parte all’incontro, l’egiziano Samir Khalil Samir, sia il professor Stephan Horn, coordinatore del Ratzinger-Schülerkreis, chiarirono che il papa ritiene sì difficile, ma non impossibile, un positivo incontro tra l’islam e la modernità.
Ebbene, l’articolo del professor Troll su “La Civiltà Cattolica” ritorna precisamente su questo punto. Illustra e analizza quanto si sta muovendo dentro l’islam nello sforzo di conciliare la modernità col Corano.
L’articolo ha per titolo “Il pensiero progressista nell’islam contemporaneo. Un profilo critico”, ed è uscito su “La Civiltà Cattolica” del 15 luglio 2006, alle pagine 123-135.
Eccone qui di seguito i passaggi principali. Va detto che, dei nuovi pensatori musulmani citati, la maggior parte vivono e insegnano in Occidente, o hanno dovuto abbandonare i rispettivi paesi.
Il pensiero progressista nell’islam contemporaneo
di Christian W. Troll S.I.
Nel mondo islamico sembrano farsi strada tre tendenze principali. Sullo sfondo di un islam culturale, che pur con qualche riserva si potrebbe anche chiamare islam tradizionale, si colloca un islam “islamita”, ossia un islam della lettera. C’è poi un islam che sta cercando nuove interpretazioni: un islam secondo lo spirito della lettera.
Oggi questo islam secondo lo spirito non emerge con evidenza, […] ma i suoi sforzi sono immensi e non di rado coincidono con gli obiettivi e il modo di pensare di una vasta popolazione.
Certo, questo islam secondo lo spirito tace ancora su molte cose e alcune le lascia volutamente nel vago, anche perché teme di essere aggredito e accusato da parte degli “islamiti“ o da parte di quei potentati antidemocratici che si servono dell’islam culturale o tradizionale per conservare inalterato lo status quo.
Ma questo islam secondo lo spirito potrebbe alla fine avere il futuro dalla sua parte, perché si mostra flessibile nei confronti della modernità, senza negare una certa continuità almeno con alcuni modi di concepire l’islam, tipici del passato. […] C’è un numero sempre più ampio di musulmani che si sta convertendo a una religione critica, cioè a una religione che è sempre meno condizionata dall’ambiente e si fonda invece su un’adesione personale e responsabile.
All’interno dell’islam reinterpretato si riscontra anche, in misura considerevole, il fenomeno di un nuovo pensiero islamico. […] I rappresentanti di questo pensiero progressista guardano alla modernità con occhio diverso da quello dei riformatori del passato, della fine del XIX secolo e dei primi decenni del XX. […] Essi sono convinti, con Rachid Benzine, che “nel cuore della modernità è insita l’idea dell’individuo che agisce liberamente e conosce liberamente; i suoi esperimenti possono penetrare nei misteri della natura e i suoi sforzi possono collaborare con altri all’edificazione di un mondo nuovo e migliore”.
Detto in altre parole: i rappresentanti di questo pensiero nuovo e progressista vedono la modernità con occhio critico e attenendosi a una salda coscienza della libertà individuale. Nasr Hamid Abu Zayd ha scritto così su “Al-Ahram” nel 2002: “Abbiamo bisogno di analizzare liberamente la nostra eredità religiosa. Questa è la prima condizione per un rinnovamento religioso”. […]
Un appello di questo genere racchiude un’esigenza di libertà in senso generico, ma anche di un ordinamento sociale che renda possibile questo pensiero libero e non lo opprima con la violenza. […]
La critica scientifica aperta del fenomeno religioso e del discorso religioso rappresenta una novità per le società musulmane. Per questo motivo i rappresentanti del nuovo pensiero vengono continuamente bollati come apostati. Essi non sono graditi all’establishment, poiché, al di là delle questioni specificamente teologiche, si occupano costantemente anche dei problemi attuali che riguardano le relazioni tra la religione islamica e lo stato, le interferenze tra la shari’a e il diritto positivo degli stati moderni, soprattutto per quanto riguarda i diritti dell’uomo e l’emancipazione della donna, e poi anche naturalmente delle questioni sociali concrete, come, ad esempio, la concezione islamica dei rapporti tra fede e giustizia sociale, oppure se l’islam possegga un proprio sistema sociale o politico ben definito.
Si incorrerebbe tuttavia in un grossolano equivoco se si condividesse ciò che gli oppositori di questo pensiero libero continuamente gli rimproverano, e cioè di adottare acriticamente un modo di vedere occidentale e di cadere vittima, ciecamente e acriticamente, dell’Occidente e del suo sistema di valori. Per questo pensiero la modernità non significa ciò che è moderno alla maniera occidentale. La modernità si definisce invece come la luce critica che le conoscenze moderne hanno prodotto. A questo modo i protagonisti del pensiero progressista, studiando l’islam e l’interpretazione dei testi, favoriscono quelle prospettive ampie, e nello stesso tempo critiche, che sono tipiche delle scienze sociali moderne: la linguistica, la semiotica, la scienza delle religioni comparate e in particolare la sociologia. […]
Tra i numerosi rappresentanti di questo pensiero ricordiamo, ad esempio: Mohamed Arkoun (Algeria/Francia), Leila Babès (Algeria/Francia), Rachid Benzine (Marocco/Francia), Abdul Karim Soroush (Iran), Nasr Hamid Abu Zayd (Egitto/Olanda), Abdou Filali-Ansary (Marocco), Abdelmajid Charfi (Tunisia), Farid Esack (Sudafrica/USA), Ebrahim Moosa (USA), Ashgar Ali Engineer (India), Abdullahi an-Naim (Sudan/USA), Amina Wadud (USA), Fatima Mernissi (Marocco), Khaled Abou El Fadl (USA), Nurcholish Madjid (Indonesia), Farish Noor (Malaysia), Ömer Özsoy (Turchia). […]
In proporzione, vi sono tra di loro più persone che coltivano le scienze umanistiche di quante ve ne siano tra gli “islamiti”, tra cui prevalgono coloro che hanno una formazione scientifica e tecnica. […]
In pratica tutti i pensatori progressisti cercano di definire quale sia il posto che spetta alla religione in un mondo che, nonostante ogni apparenza in contrario, si va sempre più secolarizzando. Infatti la secolarizzazione ha investito il mondo islamico più o meno all’improvviso, per così dire dall’oggi al domani, senza che esso vi fosse preparato da un processo interno di maturazione. Questo processo pone direttamente i pensatori musulmani di fronte al problema del come si possano conciliare tra loro la religione, ossia una realtà ritenuta immutabile, e il cambiamento. […]
I pensatori progressisti ritengono che soltanto una lettura dei testi fondamentali dell’islam fresca e libera da pregiudizi possa essere in grado di conciliare tra loro i valori essenziali dell’islam e le esigenze del mondo moderno, in tutte le loro varianti. Soltanto una reintepretazione così intesa può far assumere alla giurisprudenza un atteggiamento aperto, solamente essa può far sì che il pensiero politico dell’islam aderisca alla democrazia con coerenza spirituale e intellettuale e con convinzione, e che si realizzi una vera parità dei sessi, e tutto questo con una coscienza pulita nei confronti dell’islàm e della sunna, in un dialogo aperto con il pensiero critico del mondo moderno. […]
I pensatori progressisti affrontano oggi espressamente le questioni che le prospettive contemporanee e la mentalità scientifica possono sollevare nei riguardi del Corano. […]
Essi trovano una risposta a queste sollecitazioni ricorrendo al metodo storico-critico, che […] cerca di collocare il testo nell’ambiente delle sue origini. Esso considera il Corano come parte della storia. Il Corano sarebbe quindi parola di Dio, la quale però è carica di storicità, la storicità – come dice Rachid Benzine – della sua “incarnazione” nella testualità, ossia nella natura e nella struttura di un testo. […]
Secondo questo nuovo modo di vedere, il Corano parla dunque certamente di verità eterne, ma le trasmette nelle forme di una cultura particolare, che non è universalizzabile, la cultura degli arabi dello Higiaz del settimo e ottavo secolo. […]
Per una lettura e una comprensione adeguata del Corano si adottano oggi anche le leggi della linguistica e della scienza letteraria. Ad esse si dedicano molti tra i nuovi pensatori, e soprattutto l’egiziano Nasr Hamid Abu Zayd, studioso di letteratura nato nel 1943, che attualmente insegna a Leida, in Olanda. […]
Risulta evidente che non ci si può accostare al Corano – come a qualunque altro testo simile – se non attraverso gli occhiali di una cultura particolare, la cultura a cui appartiene il lettore/ascoltatore. […] Ogni lettura è sempre una ri-lettura, […] il Corano non può essere ridotto a una sola prospettiva di lettura. Non c’è nessuna lettura che possa essere l’unica vera, per tutti i tempi.
Per il pensiero progressista musulmano la ricerca scientifica e l’analisi letteraria non si contrappongono a un accostamento credente e religioso al Corano. Al contrario […] esse intendono e possono contribuire a far cogliere quale sia il senso più profondo, e quindi anche l’autentico significato religioso che quel testo può avere per il giorno d’oggi. […]
Forse si apre così la via per un altro stile di fede, più convinto e aperto di fronte alle questioni e ai problemi che possono sorgere, orgoglioso degli ampi orizzonti a cui si estende la missione del Corano, ma consapevole anche che questa vastità permette al credente soltanto di crescere in umiltà e in apertura all’altro. […]
Comunque sia, due domande – espresse o inespresse – assillano costantemente il pensiero progressista nell’islam contemporaneo. La prima suona così: “Come parla Dio?”, e la seconda: “Chi parla in nome di Dio?”. […]
Infatti, nel momento stesso in cui il fondamento del Corano, ancora relativamente univoco nella sua interpretazione letterale oppure nell’interpretazione che gli è stata attribuita nei primi due secoli, non è più ritenuto sacralmente intoccabile e vincolante, e inizia a essere abbandonato a favore di una interpretazione personale dello spirito della lettera, comunque essa si configuri o si giustifichi, si pone inevitabilmente il problema della legittimazione di questa nuova esegesi, e anzi continuamente nuova. E così pure non si può fare a meno di sollevare il problema della misura e dei criteri da adottare per una vera comprensione del Corano e quindi anche della rivelazione di Dio nel nostro tempo.
Inoltre l’islam, inteso come fenomeno sociale e politico, pone il problema, antico e sempre nuovo, del consenso (igma’): esiste una dottrina della società islamica (umma) che sia teologicamente fondata, per così dire una “ummalogia”? Qual è il suo ruolo e in che modo concreto è chiamata a esercitarlo, quando si tratta di esplicitare quale sia ai nostri giorni la volontà rivelata di Dio in materia di fede e di etica, e di difenderla con autorità, se necessario? E infine: non è forse vero che coloro che difendono le idee classiche sull’autorità del profeta o della parola di Dio comunicata da lui, e coloro che la pongono seriamente in dubbio, in ultima analisi combattono per il diritto di rivendicare a sé l’autorità del profeta o dei testi rivelati trasmessi dal profeta?
http://digilander.libero.it/moses/id01.html
Il disegno intelligente è abbastanza intelligente?
di Eric Amich
Le sirene antidarwiniane ululano giorno e notte. Alla teoria evolutiva (di origine strettamente scientifica) si oppone da qualche tempo un ibrido di tipo religioso-filosofico, con qualche appiglio nello stesso mondo della ricerca scientifica e non pochi addentellati nel variegato universo politico dei neocons americani. Alle loro spalle, una volta tanto, non ci sta la famigerata lobby ebraica, ma quella dei cristiani fondamentalisti. Questi sono straricchi e non lesinano finanziamenti. Quotidiani, settimanali, riviste, fanno a gara per notificarci le ultime. Gli scienziati prima hanno sorriso, quasi si trattasse di una sciocchezza, poi hanno cominciato a preoccuparsi. Il filosofo puro sembra tentennare. Non ci crede, ma vorrebbe. Altri ci credono, ma non vorrebbero. Altri ancora ci credono e vorrebbero. E c’è anche chi, infine, non ci crede e non vorrebbe. Credo sia la maggioranza tra coloro che usano la testa come Faust comanda. Non mi tiro indietro e non mi nascondo: sono fra questi. Ho sposato tale convinzione da tempo, ed anche se non sono né zoologo né biologo, ma solo un appassionato di storia della scienza credo di essere in possesso di sufficienti argomenti e “verifiche” per poterla difendere e sostenere.
Con ciò annuncio un impegno. In futuro ci occuperemo della questione “evoluzione” in modo radicale e continuativo. Ormai urge dedicare a Darwin un profilo adeguato. A Darwin seguirà un approfondimento della storia delle teorie e delle scoperte biologiche e socio-biologiche in tutto il Novecento. Cercheremo di fare del nostro meglio con il massimo dell’obiettività.
Orbene,a beneficio di chi proprio non sa nulla dell’intelligent design, vediamo di ricapitolare le tesi principali.
Si tratta di un movimento sorto una decina di anni fa. Le teorie del disegno intelligente si contrappongono frontalmente ai fondamenti darwiniani della teoria dell’evoluzione ma, allo stesso tempo, si differenziano dal creazionismo tradizionale. I creazionisti tradizionali hanno sempre difeso la Bibbia alla lettera e ciò li rendeva particolarmente incredibili a chiunque avesse studiato in qualcosa di simile ad un liceo. I fautori del disegno intelligente si limitano a parlare di “un programmatore intelligente” capace di indirizzare la vita dell’universo.
Rispetto all’interpretazione darwiniana, i fautori del disegno intelligente si limitano ad osservare che esso è insufficiente a spiegare la complessità degli organismi viventi. In particolare, vi sono, secondo costoro, due grandi novità che rendono fragile l’interpretazione darwiniana.
La prima fu la rivoluzione molecolare intervenuta in biologia negli anni ’50 del secolo scorso, quando i biologi molecolari scoprirono quanto fosse complessa l’organizzazione cellulare degli organismi viventi. Tale complessità, secondo i sostenitori dell’intelligent design, è tutta al di là della semplicistica spiegazione darwiniana.
La seconda grande novità fu quella rappresentata dall’introduzione delle applicazioni matematiche allo studio biologico. Le scoperte realizzate per questa via mettono in dubbio l’evoluzione.
Una delle “menti” del disegno intelligente è Michael J. Behe, biologo della Lehigh University, un biochimico che scrive trattati tecnici sulla struttura del DNA. Il suo libro Darwin’ s Black Box del 1996 divenne un best seller negli Stati Uniti.
Secondo H. Allen Orr, “non sorprende che i dubbi di Behe nei confronti del darwinismo prendano il via da considerazioni di biochimica”. (1) Infatti, solo cinquantanni fa qualsiasi biologo avrebbe potuto raccontare credibilmente la storia dell’evoluzione di un organo complesso come l’occhio umano. Oggi, le cose stanno diversamente. “Quando i biochimici hanno iniziato ad analizzare i meccanismi interni, ciò che hanno trovato li ha sbalorditi. Una cellula è piena di strutture estremamente complesse, centinaia di macchine microscopiche ognuna delle quali ha un compito preciso.” Di fronte a ciò, secondo Behe, la tesi sostenuta dai darwiniani per la quale una qualsiasi cellula originaria avrebbe dovuto contenere il principio dell’occhio diventa insostenibile.
Secondo Behe le cellule non sono complesse solo secondo il grado di specializzazione, ma anche come tipo. Questo comporta che se si rimuove una qualsiasi parte della struttura, essa non funziona più.
“Gli scienziati – dice Behe – devono affrontare il fatto che molti sistemi biochimici non possono essere costruiti da una selezione naturale che si basa sulle mutazioni”. Le cellule complesse nascono perché qualcuno le ha progettate. Poi, ancora secondo Behe, essa può anche essersi evoluta. Ma la complessità inaugurale non può essere frutto di un’evoluzione.
Behe sembra così singolarmente vicino alle posizioni filosofico-teologiche di Papa Woytila, per il quale creazione ed evoluzione, «se rettamente intese, non formano ostacoli». «Dio può aver creato un mondo in evoluzione, capace di evolvere per leggi e proprietà della materia vivente». Chi non riesce ad ammettere la discendenza biologica dalla scimmia, consideri che «la discontinuità ontologica tra scimmia e uomo è colmata dalla volontà creatrice di Dio». (2) O, forse, fu Woytila ad ispirarsi a Behe.
Resta che le posizioni di questo biochimico non sembrano reggere ad una confutazione di tipo scientifico.
Allen Orr scrive che “ci sono diversi modi con cui l’evoluzione darwiniana può dar luogo a sistemi irriducibilmente complessi. Una possibilità è che strutture elaborate possono evolvere per una funzione e poi essere cooptate per un’altra del tutto differente, e iiriducibilmente complessa. Chi dice che le 30 proteine dei flagelli non fossero presenti nel batterio molto prima che i batteri iniziassero ad avere il flagello? Avrebbero potuto assolvere ad altri compiti, e solo successivamente essere usatre nella costruzione del flagello. In effetti, oggi ci sono tracce evidenti del fatto che in passato diverse proteine flagellari hanno avuto un ruolo in un tipo di pompa molecolare scoperta nelle membrane delle cellule batteriche.” (3)
L’ intelligent design, al momento, ha un’altra testa d’ariete: William A. Dembsky, matematico, filosofo e teologo. Le sue argomentazioni fondamentali consistono nel fatto che un romanzo non può essere il risultato di qualcuno che scarabocchia lettere a caso su un foglio di carta. Analogamente, un organismo biologico, non può essere il risultato di casualità e necessità. Secondo Dembsky, inoltre, se un ‘occhio somiglia ad una macchina fotografica, ciò significa che anche l’occhio è stato progettato da un’intelligenza. L’argomento più “forte” messo in campo da Dembsky è di tipo matematico e si basa sui teoremi No Free Lunch (NFL). Allen Orr li descrive così: «Questi teoremi riguardano l’efficienza di differenti algoritmi di ricerca. Prendiamo la ricerca di un terreno alto in una zona collinosa sconosciuta. Siete a piedi ed è una notte senza luna, avete due ore per trovare il posto più alto. Come procedere? Un algoritmo di ricerca sensato direbbe: “Camminate nella direzione più ripida, se non trovate una via verso l’alto, fate un paio di passi a sinistra e riprovate.” Un altro, chiamato algoritmo di ricerca cieco, vi direbbe forse: “Camminate in una direzione scelta a caso.” Ciò potrebbe portarvi a volte verso l’alto, a volte verso il basso. In pratica i teoremi NFL dimostrano il fatto singolare che, fatta la media su tutti i possibili terreni, non c’è un algoritmo di ricerca più valido di un altro.» (3) Pertanto,secondo Dembsky, se si considera il darwinismo come un algoritmo di ricerca, esso non è più efficace di altri e la ricerca avviene comunque al buio in una zona sconociuta perché non abbiamo testimoni diretti di quel che è accaduto.
Orr riporta che le tesi di Dembsky, peraltro molto prudente nell’asserire l’idea del “creatore”, pur essendo state con entusiasmo dai sostenitori dell’intelligent design, non sono affatto pertinenti dal punto di vista matematico. «Gli organismi, per Orr, non stanno cercando di combaciare con nessun disegno “apriori”: l’evoluzione non ha un fine stabilito, e la storia della vita non ha un punto d’arrivo. Se creare una struttura complessa come l’occhio vuol dire aumentare il numero di discendenti, l’evoluzione può produrre un occhio. Ma se distruggere quella stessa struttura facesse aumentare ancora la prole, l’evoluzione la eliminerebbe con altrettanta facilità. Pesci e crostacei che vivono nell’oscurità assoluta spesso hanno occhi degenerati o coperti di pelle: congegni strani che nessun agente intelligente progetterebbe. Nonostante le chiacchiere su disegni e macchine, gli organismi non stanno lottando per realizzare il progetto di un ingegnere ma solo per avere più prole del vicino.» (4)
Le teorie di Dembsky paiono deboli anche rispetto ai casi di coevoluzione, quando cioè due specie evolvono in funzione l’una dell’altra. Secondo Orr “la maggior parte dell’evoluzione è sicuramente coevoluzione”. L’espressione è efficace: «Gli organismi non passano la loro vita per adattarsi alle rocce; sono continuamente sfidati da, e di conseguenza si adattano a, serie sempre mutevoli di virus, parassiti, predatori e prede. Un teorema che non si applica a queste situazioni non ha alcuna rilevanza in biologia.» (5)
La nostra sensazione è che l’intero intelligent design si basi su elementi scientifici piuttosto precari e muova semmai da intenti filosofici e metafisici. Ciò, ovviamente, e fino a prove definitivamente contrarie, non delegittima un programma di ricerca nella direzione suggerita dai teorici dell’intelligent design, secondo le ben note teorie di Imre Lakatos. Ciò che desta perplessità e preoccupazione, tuttavia, è che prima ancora che si sia fatta sufficiente chiarezza attorno alle questioni sollevate, sia partita una campagna contro il darwinismo che utilizza strumentalmente la semplice esistenza di biologi “credenti” impegnati in tale ricerca, dimenticando il numero rilevante di biologi “credenti” che non credono affatto all’intelligent design e quindi giustificano e spiegano la loro fede in modo del tutto diverso. Ancora più preoccupante è che, sempre muovendo da queste basi precarie, si voglia arrivare, anche nel nostro paese, a modificare i programmi di insegnamento nelle scuole pubbliche, presentando come scientifico ciò che non è altro, per ora, che una posizione filosofica supportata da vaghe supposizioni mai sperimentate e verificate.
Sull’ultimo numero di Micromega, il 4/2005, è apparso un importante articolo di Telmo Pievani (6) che denuncia un quadro allarmante. Persino un filosofo della scienza come Evandro Agazzi, che si era decisamente distinto recentemente per le sue coraggiose posizioni sul referendum sulla procreazione assistita, ora sembra aver sposata la causa della revisione del darwinismo. Un fatto che desta non pochi interrogativi.
(1) da le Scienze n 446 ottobre 2005 – Intelligent design il creazionismo evoluto – di H. Allen Orr
(2) da un articolo di Luigi Dell’Aglio sul quotidiano cattolico “Avvenire” del 31 marzo 2004 – http://lgxserver.uniba.it/lei/rassegna/040331b.htm
(3) idem come (1)
(4) idem
(5) idem
(6) Telmo Pievani – Santi, navigatori, poeti e oscutantismi – Micromega n°4/2005
moses – 9 ottobre 2005
http://www.ilmanifesto.it/Quotidiano-archivio/09-Settembre-2006/art45.html
Ex Press
Neo-evoluzionismo, il Dio degli spaghetti
Maria Teresa Carbone
Quando lo scorso anno il Kansas Board of Education ha approvato un curriculum di scienze che metteva sullo stesso piano l’evoluzionismo di Darwin e la teoria creazionista del Disegno Intelligente (sostenendo fra l’altro che – almeno in Kansas – la scienza «non si limita più alla ricerca delle spiegazioni naturali dei fenomeni»), sono stati in molti negli Stati Uniti – e non solo – a protestare o a rattristarsi. Ma il venticinquenne Bobby Henderson, neolaureato dell’università dell’Oregon, ha fatto di meglio: in quattro e quattr’otto ha confezionato una elaboratissima teoria in base alla quale l’universo è stato creato da un mostro volante a forma di spaghetti (il Flying Spaghetti Monster) e ha scritto al Kansas Board of Education facendo rilevare che la sua ipotesi aveva le stesse basi logiche del Disegno Intelligente e dunque i programmi scolastici dello stato avrebbero dovuto tenerne conto. Non si sa quale sia stata allora la risposta delle autorità del Kansas, ma in un anno, grazie anche al sito web di Henderson (www.venganza.org), la religione «pastafariana» ha fatto molta strada. Tanto che è adesso uscito, ovviamente a firma dell’intraprendente giovanotto, un libro, The Gospel of the Flying Spaghetti Monster, recensito con simpatia dal divulgatore Simon Singh sul britannico Telegraph. Il «vangelo» degli spaghetti – spiega Singh – ha notevoli ambizioni, visto che non si limita a spiegare come sia nato l’universo, ma affronta anche la teoria della gravità (dovuta alle noodly appendages, le appendici-fettuccine del mostro) o il problema del riscaldamento globale (causato dal calo del numero dei pirati). Ma, oltre all’inventiva di Henderson, l’autore dell’Ultimo teorema di Fermat apprezza la sua audacia: «Troppo a lungo gli scienziati e gli altri accademici hanno ignorato l’idea perniciosa del Disegno Intelligente, convinti che prima o poi si sarebbe dissolta. In questo modo, i sostenitori del creazionismo hanno potuto condurre una propaganda sottile fatta di mezze verità, influenzando così le scuole, i politici e la gente comune». E a dimostrazione che la fantasia può essere più efficace di tanti discorsi, pochi giorni fa la maggioranza antievoluzionista del Kansas Board of Education è stata rimandata a casa.
Il caso letterario dell’anno in Cina si intitola Fratelli e lo ha scritto Yu Hua, un autore già conosciuto al pubblico italiano per diversi titoli, da Vivere (edito da Donzelli e portato anche sul grande schermo da Zhang Yimou) a Cronache di un venditore di sangue, uscito nel 1999 per Einaudi. Il romanzo, che nelle librerie cinesi è arrivato a due riprese (il primo volume nel 2005, il secondo quest’anno), ha venduto quasi un milione di copie, un risultato eccezionale nel regno delle copie-pirata e dei libri scaricati dalla Rete. Racconto della vita di due giovani, Song Gang e Li Guangtou, dalla Rivoluzione culturale al boom economico, Fratelli è stato di volta in volta esaltato come un capolavoro e criticato come «una soap opera strappalacrime». Ma in una intervista (riportata da David Barboza sul New York Times) lo scrittore ha ribattuto di essersi limitato a descrivere la Cina contemporanea: «Durante la Rivoluzione culturale – ha detto Yu Hua – vivevamo in una società chiusa, in un mondo folle dove tutto era bianco e nero e chi si trovava dalla parte sbagliata era spacciato. Ma anche la ricerca della ricchezza è folle, il male è uscito allo scoperto e la nostra società ha trovato il vuoto. Allora, sulla scena c’era solo il governo, oggi chiunque si può esibire. E ogni giorno puoi vedere uno spettacolo differente».
Scienze naturali ed evoluzione
di ERMANNO PAVESI
Un giudizio sulla scientificità delle “dimostrazioni” dell’evoluzionismo
[Tratto da: http://www.alleanzacattolica.org/indici/articoli/pavesie56.htm ]
http://www.paginecattoliche.it/modules.php?name=News&file=article&sid=797
“Le scienze naturali non conoscono l’evoluzione”
Un destino quasi comune caratterizza la diffusione delle teorie scientifiche: tranne poche eccezioni, esse sono state accolte, per lo più, con indifferenza, tra critiche e incomprensioni. Una di queste eccezioni, forse la più problematica, è rappresentata dalla teoria dell’evoluzione di Charles Darwin.
Darwin ha incontrato senz’altro anche numerosi critici, ma il favore e il fanatisimo con cui le sue teorie sono state accettate, diffuse e difese fin dall’inizio da vasti ambienti scientifici, hanno, per lo meno, dello straordinario. Un giudizio sulla scientificità delle “dimostrazioni” dell’evoluzionismo lo lascio a un convinto evoluzionista quale Giuseppe Montalenti, quando cerca di spiegare le cause dello scetticismo verso la teoria dell’evoluzione: “Un primo ordine di cause è inerente alla difficoltà stessa del problema, alla impossibilità pratica di raccogliere prove assolutamente esaurienti e decisive, di costruire alberi genealogici completi e privi di lacune. Torneremo a discutere criticamente questo argomento: per ora basti riconoscerne l’esistenza e ricordare come, di fronte al facile ottimismo di chi pretendeva di spacciare lunghi e complessi alberi genealogici come verità scientificamente dimostrata, fu facile impresa ai critici dimostrarne l’inconsistenza. Dimostrare cioè che molte, troppe difficoltà venivano superate con voli di fantasia, anziché con seria documentazione scientifica” (1). E il giudizio di Montalenti non è meno severo nei confronti di uno dei primi sostenitori del darwinismo in Germania, il famoso Haeckel: “infiammato di polemico ardore e inspirato da una fede cieca nella validità delle dottrine scientifiche unita ad una fantasia da romanziere, s’illuse di poter tracciare le più ardite e complete genealogie, dalla “monera” all’uomo, superando le lacune e le difficoltà con arditi voli, inventando addirittura nuovi organismi, come appunto le “momere”, là dove non esistevano le forme che gli avrebbero fatto comodo” (2).
Con il passare degli anni il fanatismo degli evoluzionisti non è diminuito: di generazione in generazione le vecchie “dimostrazioni dell’evoluzionismo” sono state riconosciute come voli di fantasia e sostituite da nuove “dimostrazioni”, senza che la fede nella assoluta validità dell’evoluzionismo ne venisse minimamente scalfita. Si deve anche sottolineare il disagio degli scienziati evoluzionisti a riconoscere che altri uomini di scienza mettano in dubbio la validità scientifica dell’evoluzione. Montalenti relega questi episodi nel passato: “Sul finire del secolo scorso e nei primi decenni del presente, si registra infatti un cambiamento di tono nei riguardi dell’evoluzionismo: molti biologi si esprimono in termini piuttosto scettici sul valore della teoria e delle “prove” su cui essa si fonda” (3). Ma questa fase di “sfiducia e di stanchezza” è per Montalenti ormai superata: la scienza moderna non avrebbe più dubbi al riguardo. Un atteggiamento critico nei confronti dell’evoluzionismo è per lui un “pregiudizio”, alimentato da ambienti estranei al mondo della scienza: “I sentimentalismi antievoluzionistici, la repugnanza per la genealogia animalesca dell’uomo e la preferenza per la sua derivazione da esseri spiritualmente superiori, le concezioni religiose che postulano l’esistenza di un’anima immortale, le filosofie a base idealistica, che sostituiscono ad un monismo materialistico un monismo spiritualistico, o per lo meno dichiarano la totale predominanza dello spirito sulla materia, si coalizzarono contro il materialismo, il positivismo, il naturalismo, e, nella specie, contro la dottrina evoluzionistica. […]
“Così, da una parte le difficoltà intrinseche nel problema […], e dall’altra l’ostilità dichiarata della filosofia tradizionalistica e del risorgente idealismo, crearono un’atmosfera di scetticismo, dalla quale ancor oggi molti ambienti sono inquinati” (4). La tesi di Montalenti può essere così sintetizzata: la scienza dà per scontata l’evoluzione; se ci sono state defezioni in ambiente scientifico, queste risalgono al passato; se ci sono ancora oggi ambienti scettici nei confronti dell’evoluzione, si tratta di “inquinamento” tradizionalistico o idealistico. Questa interpretazione è accettata dalla intellighentsia scientifica. A tutti i livelli: accademico, scolastico e divulgativo, si incontra un atteggiamento analogo. Ma viene completamente taciuto che ancora oggi, e oggi forse più che in passato, qualificati scienziati di varie discipline sono convinti proprio del contrario, e cioè che le teorie evoluzioniste non solo non sono dimostrate, ma spesso contraddicono le nostre conoscenze scientifiche. Solo l’ostracismo a livello accademico, la ossequiente accondiscendenza verso i potenti della scienza da parte della fascia intermedia della divulgazione scientifica e il “silenzio stampa” hanno creato il mito dell’evoluzionismo.
Questa cortina di silenzio, quasi perfetta, non può impedire, almeno nei paesi occidentali, che qualificate voci si levino a smascherare l’inganno. Tra i più attivi demitizzatori dell’evoluzionismo deve essere annoverato A. Ernst Wilder Smith. La sua qualificazione come uomo di scienza e di cultura è al di sopra di ogni discussione. Come docente universitario ha avuto cattedre di farmacologia in numerose università europee, asiatiche e americane. Per la sua alta qualificazione gli sono stati affidati anche importanti incarichi al di fuori dell’ambiente accademico: per dieci anni ha diretto il settore ricerche di una industria farmaceutica svizzera ed è stato consigliere delle truppe americane della NATO in Europa per il problema della droga.
La teoria dell’evoluzione è una teoria estremamente complessa che deve spiegare tutta una serie di fenomeni, dalla comparsa della vita sulla terra fino all’uomo. Wilder Smith ha affrontato in numerosi libri e pubblicazioni molti di questi problemi, ma le dimensioni di un articolo consentono appena di accennare a qualcuna delle argomentazioni portate dall’autore contro la teoria dell’evoluzione.
Origine della vita
“La vita è […] oggi costituita da un sistema binario in cui l’informazione è contenuta negli acidi nucleici che la trasmettono alle proteine; queste a loro volta esplicano tutte le funzioni in seno all’organismo, compresa quella di ricostruire, al momento della riproduzione, gli acidi nucleici rispettando la loro struttura” (5).
L’informazione per la vita è contenuta in acidi nucleici che per la teoria dell’evoluzione si sarebbero formati per puro caso. Wilder Smith critica questa ipotesi basandosi sulle moderne teorie dell’informazione. Le sue argomentazioni sono spesso complicate e presuppongono conoscenze specifiche. Alcuni esempi, però, sono significativi e facili da comprendere.
Battendo a caso sulla tastiera di una macchina da scrivere è possibile che a un certo punto venga scritta una parola che abbia un senso, per esempio “pani“. A questo punto si potrebbe andare in visibilio per il fatto che il caso ha creato informazione. Ma se all’esperimento fossero presenti stranieri che non conoscono l’italiano, questi rimarrebbero perplessi, perché per loro la parola “pani” non significa assolutamente nulla. Però, se vi fosse un polacco, anche questo potrebbe essere stupefatto dall’esperimento, giacché “pani” in polacco significa “signora“. Questo esempio mostra chiaramente come la trasmissione di una informazione necessiti di un codice e di una convenzione preesistenti. La successione degli acidi nucleici fornisce il substrato all’informazione, così come la successione delle lettere fornisce il substrato alla parola, però il significato della parola dipende da un codice, e a seconda del codice una sequenza può non avere alcun significato oppure averne anche di differenti.
Inoltre, è necessaria anche l’esistenza di un sistema capace di leggere, interpretare ed eventualmente mettere in pratica le informazioni codificate nella sequenza degli acidi nucleici, cioè “una relazione fra acidi nucleici e la formazione di proteine specifiche. Purtroppo a questo punto non è facile trovare una soluzione al problema” (6), come è costretto ad ammettere un convinto evoluzionista.
Un postulato dell’evoluzione è costituito dalla mutazione: cioè, da errori di trascrizione del patrimonio genetico delle cellule si avrebbe, in alcuni casi, la formazione di esseri viventi, che meglio si adattano all’ambiente di quelli originari. Anche questa concezione contraddice – secondo Wilder Smith – le attuali teorie dell’informazione, secondo cui da un errore della trasmissione di una informazione scaturirebbe un aumento dell’informazione.
È come ammettere che, facendo copiare infinite volte lo schema di una radio, venga commessa una serie di errori. Le radio costruite in base a questi schemi “mutati” sarebbero in alcuni casi addirittura migliori di quelle costruite secondo lo schema originale e avrebbero maggiore successo sul mercato (selezione). Da una serie di errori di copiatura (mutazioni) e dalla situazione di mercato (selezione) si svilupperebbero radio sempre più complesse, e, ovviamente dopo un congruo numero di sbagli, ne uscirebbe addirittura un televisore!
Proteine utilizzabili per strutture viventi non si possono formare per caso
Le proteine sono grosse molecole formate da lunghe catene di aminoacidi. Queste catene non sono casuali, ma la sequenza degli aminoacidi, la lunghezza e la forma sono del tutto specifiche e conferiscono individualità a ogni essere o specie vivente.
Secondo la teoria evoluzionista, sulla terra si sarebbero formati per caso aminoacidi, che si sarebbero accumulati in soluzione nell’oceano, e dalla sintesi casuale di più aminoacidi si sarebbero formate le prime proteine.
Aminoacidi si possono formare spontaneamente in natura in particolari condizioni e si può senz’altro ammettere che si siano formati sulla terra prima della comparsa di esseri viventi. Però, qui sorge una difficoltà: gli aminoacidi hanno strutture tridimensionali, che hanno come centro un atomo di carbonio. Di ogni aminoacido esistono due forme simmetriche che, in base a particolari caratteristiche, vengono definite destro o levogire. Queste forme simmetriche hanno, in parte, le stesse caratteristiche; però, in certe reazioni o strutture, è utilizzabile solo l’una o l’altra forma. Gli aminoacidi che si formano spontaneamente sono per il 50% destrogiri e per il 50% levogiri, mentre le catene proteiche degli esseri viventi utilizzano esclusivamente forme levogire. Questo fatto costituisce una grande difficoltà per la teoria dell’evoluzione: le proteine sono costituite da decine e centinaia di aminoacidi, ed è sufficiente l’inserimento di un solo aminoacido destrogiro per rendere la catena proteica inutilizzabile per la vita! Come si può pretendere che, in una soluzione contenente in pari quantità forme destro e levogire, si formino per sintesi casuale
catene di soli aminoacidi levogiri? Gli evoluzionisti hanno finora cercato invano di dare una risposta soddisfacente a questo quesito. Per quanto riguarda, poi, la sintesi delle catene proteiche, vi è un’altra difficoltà. Le reazioni chimiche non avvengono a caso, ma sono soggette a una serie di leggi: una di queste è la legge di azione di massa. Se dalla reazione A+B si originano le sostanze C e D, la reazione può andare anche in senso inverso, cioè da C+D si possono formare A e B. La direzione della reazione, o il suo equilibrio, dipende da una serie di fattori. Nel caso della sintesi di due aminoacidi si ha la produzione di una molecola di acqua: se dal sistema ove avviene la reazione si toglie acqua, la reazione di sintesi viene facilitata; se
invece nel sistema è presente molta acqua, gli aminoacidi tenderanno a rimanere in soluzione. Ma dove vi è più acqua che nell’oceano? Eppure gli evoluzionisti ammettono che la sintesi delle grosse molecole proteiche sia avvenuta proprio nell’oceano, nonostante la legge di azione di massa. E Wilder Smith può affermare che “quasi l’ultimo posto su questo pianeta, dove le proteine della vita si potrebbero formare spontaneamente da aminoacidi è proprio l’oceano. Eppure quasi tutti i manuali di biologia insegnano questo errore, per giustificare la teoria dell’evoluzione e la biogenesi spontanea. Si deve conoscere molto male la chimica organica, o ignorarla di proposito, per non prendere in considerazione i fatti accennati” (7).
Vi sono organi e organismi che non possono essere assolutamente considerati come risultato di una evoluzione
Mutazioni e selezioni sarebbero alla base dell’evoluzione. Però in natura si trovano in continuazione ostacoli insormontabili. Wilder Smith porta come esempio l’allattamento dei mammiferi acquatici: l’allattamento nell’acqua comporta una situazione completamente differente da quella sulla terra. Nell’acqua è necessario succhiare o ricevere il latte senza aspirare acqua! Ci troviamo in questo caso di fronte a una situazione chiara: gli organi o sono fin dall’inizio perfettamente adatti allo scopo, e allora l’allattamento può avvenire anche nell’acqua, o non lo sono, ma ciò significa la morte dell’individuo. In questo caso, come in numerosi altri, il modello di una lenta evoluzione, di una lenta trasformazione, è completamente inadeguato.
Un altro esempio è costituito dagli organismi termofili, cioè quegli organismi che vivono tra i 60° e i 100° C. Gli organismi termofili trovano le migliori condizioni di vita, di sviluppo e di riproduzione a temperature che per altri organismi sono letali, cioè a temperature che denaturano le proteine di altri organismi. L’evoluzione non può spiegare la comparsa di tali organismi. La termofilia non dipende da un solo gene, ma da più geni, in quanto sono numerose le strutture proteiche che devono essere adatte a temperature superiori a quelle dei cosiddetti mesofili, per cui non è possibile ammettere la comparsa di tale carattere con la mutazione di un solo gene. Inoltre, non è neanche possibile una lenta evoluzione di organismi sempre più resistenti al calore, in quanto questi organismi possono svilupparsi solamente a temperature elevate. Anche nel caso degli organismi termofili ci troviamo di fronte a organismi perfettamente adattati a condizioni di vita molto particolari, per i quali è impossibile ammettere l’esistenza di forme intermedie. Anche in campo evoluzionista viene riconosciuta una tale difficoltà: “Aumentare quindi nell’evoluzione la temperatura cui può vivere un organismo vuol dire aumentare la resistenza al calore di tutte le proteine contemporaneamente, perché aumentare la stabilità alla temperatura di una singola specie molecolare è perfettamente inutile. In teoria servono quindi numerosissime mutazioni contemporanee, il che è praticamente impossibile” (8). Questo ordine di difficoltà è stato ben sintetizzato da Morpurgo: “Come ha fatto il processo di selezione naturale a portare alla formazione di una funzione che nel suo stato finale è utile o indispensabile, ma nei suoi stati intermedi è inutile o dannosa” (9)?
Datazione
L’evoluzione per mutazione e selezione, considerata anche dal punto di vista statistico, è talmente inverosimile che i teorici dell’evoluzione si sono visti costretti a dilatare quasi all’infinito la dimensione tempo, ammettendo periodi sempre più lunghi per lo sviluppo della vita sulla terra, come se con questo espediente si potesse rendere possibile l’impossibile!
Per molto tempo gli evoluzionisti si sono serviti, per la datazione di rocce e di fossili, di un metodo assolutamente inattendibile: assegnata, in modo del tutto arbitrario, una determinata età a un certo fossile, questo consentiva di datare le rocce che lo contenevano; a sua volta l’età delle rocce, stabilita con il metodo accennato, serviva a determinare l’età di altri fossili. Lo stesso Montalenti ammette la scarsa scientificità di questo metodo: “Nel determinare l’età delle rocce ci si dibatté per lungo tempo in un circolo vizioso” (10).
Particolarmente adatti per questo metodo sembravano essere i fossili di animali estinti o ritenuti tali. Questo è stato il caso della latimeria, una specie di pesce ritenuto estinto circa 300 milioni di anni fa. Nella datazione delle rocce, tutte quelle contenenti latimerie fossili venivano considerate vecchie per lo meno di 300 milioni di anni. Recentemente, però, sono stati pescati, al largo delle coste del Madagascar, esemplari viventi di latimeria. Perciò, tutte le datazioni effettuate sulla base di fossili di latimeria sono prive di valore.
Ma esistono altri esempi che non solo mettono in dubbio la validità di questo metodo, ma fanno vacillare addirittura tutta la teoria dell’evoluzione. Secondo gli alberi genealogici costruiti dagli evoluzionisti, i dinosauri si sarebbero estinti da almeno 70 milioni di anni, mentre i primi uomini sarebbero comparsi al più presto un paio di milioni di anni fa. Tra l’estinzione dei dinosauri e la comparsa dell’uomo vi sarebbe, quindi, un intervallo di circa 70 milioni di anni, per cui dovrebbe essere stato impossibile che un uomo e un dinosauro si siano mai incontrati.
Qualche anno fa è stata fatta una interessante scoperta nel letto di un fiume del Texas, il Paluxy River: in una formazione di gesso si trovano impronte, estremamente nitide, di brontosauro e di uomo. L’unica spiegazione possibile è che il brontosauro e l’essere umano, che hanno lasciato quelle impronte, siano stati contemporanei. Infatti, se il gesso si fosse solidificato dopo avere ricevuto le impronte di brontosauro e fosse diventato di nuovo molle dopo 70 milioni di anni, le impronte di brontosauro sarebbero andate perdute (11). Quello del Paluxy River è senz’altro uno dei più significativi, ma non è l’unico esempio di tale genere. Non sono rari i ritrovamenti di tracce umane in strati geologici che dovrebbero risalire a periodi molto anteriori alla comparsa dell’uomo sulla terra. Ma la scienza ufficiale ignora tali ritrovamenti.
Per sopperire ai limiti della datazione con i fossili, si è utilizzata la tecnica degli isotopi radioattivi e soprattutto del C14, isotopo radioattivo del carbonio. Nell’aria è presente una certa quantità di C14, che entra nell’organismo tramite la respirazione e viene utilizzato per costruire i tessuti. Dopo la morte, con la cessazione della respirazione, cessa anche l’assunzione di nuovo C14, mentre quello presente nei tessuti si trasforma in carbonio non radioattivo con una velocità conosciuta. Conoscendo la concentrazione di C14 nei tessuti al momento della morte di un organismo e potendo misurare quanto ne è ancora presente, è possibile calcolare con una certa approssimazione l’età del fossile. Wilder Smith mette in dubbio la validità dei risultati ottenuti con questa tecnica, che presuppone la costanza del C14 nell’aria e quindi nei tessuti. Secondo Wilder Smith questo è falso. Il C14 si forma dal bombardamento di atomi di azoto da parte di raggi cosmici. La intensità di tale bombardamento, e quindi la concentrazione del C14, dipende dal campo magnetico terrestre: quanto maggiore è il campo magnetico, tanto minore è la quantità di raggi cosmici che riescono a penetrare nell’atmosfera. È da poco più di un secolo che gli scienziati sono in grado di misurare il campo magnetico terrestre, e in questo periodo il campo magnetico è considerevolmente diminuito. Ciò ha notevoli conseguenze: se in passato il campo magnetico terrestre era superiore all’attuale, allora la concentrazione di C14 nell’aria era inferiore e, di conseguenza, la quantità di isotopo presente negli organismi viventi, per cui già al momento della morte la concentrazione era inferiore a quella ammessa oggi.
Perciò la bassa concentrazione di C14 nei fossili non può essere considerata solo come dipendente dalla considerevole età, poiché dipende anche dalla minore concentrazione di C14 presente nei tessuti già al momento della morte!
Questi fatti hanno un’altra ripercussione sulla teoria della evoluzione, se si tiene presente il ruolo svolto dalle radiazioni cosmiche nell’accelerare le mutazioni geniche. “In tempi primitivi, con una scarsa irradiazione cosmica, saranno avvenute meno mutazioni che non in tempi di più intensa irradiazione. Se, dunque, le mutazioni sono la vera fonte dell’evoluzione darwiniana (come viene sostenuto quasi unanimemente) allora questo tipo di evoluzione sarà stato meno veloce con un forte campo magnetico terrestre […] l’evoluzione dovrebbe essere avvenuta molto più lentamente in tempi preistorici con una debole irradiazione cosmica rispetto a oggi con una elevata irradiazione e frequenti mutazioni” (12).
Ma neanche enormi periodi di tempo riescono a spiegare alcuni fenomeni: se l’evoluzione fosse avvenuta come gli evoluzionisti si immaginano, si dovrebbero trovare molti fossili di forme intermedie e dovrebbe essere possibile dimostrare la comparsa successiva degli animali più complessi nei vari strati. I ritrovamenti fossili dimostrano spesso il contrario. “In breve tempo compaiono praticamente tutti i grandi gruppi di animali oggi viventi, sia pure con forme diverse dalle attuali” (13). Le grandi trasformazioni che hanno portato alla formazione dei grandi gruppi animali oggi esistenti sarebbero avvenute in breve tempo e non sono documentate da fossili, mentre i ritrovamenti fossili dimostrerebbero piuttosto una considerevole stabilità delle specie nel corso delle “decine e centinaia di milioni di anni“!
Come ho accennato all’inizio, mi sono dovuto limitare a riportare solo alcune delle obiezioni che Wilder Smith muove all’evoluzione. Il problema è molto complesso, la teoria dell’evoluzione fa acqua da tutte le parti e autorevoli esponenti della scienza ne sono pienamente convinti. Purtroppo, la disinformazione ufficiale ha creato una cortina di silenzio attorno a questi scienziati, facendo credere che la “scienza” dia per scontata l’evoluzione stessa. Ma, come dice il titolo dell’ultimo libro di Wilder Smith, “le scienze naturali non conoscono l’evoluzione”.
Ermanno Pavesi
***
(1) GIUSEPPE MONTALENTI, L’evoluzione, Einaudi, Torino 1975, p. 94.
(2) Ibid., p. 79.
(3) Ibid., p. 94.
(4) Ibid., pp. 96-97.
(5) GIORGIO MORPURGO, Capire l’evoluzione. Argomenti di genetica e biologia molecolare, Boringhieri, Torino 1975, pp. 18-19.
(6) Ibid., p. 23.
(7) A. ERNEST WILDER SMITH, Die Naturwissenshaften kennen keine Evolution. Experimentelle und theoretische Einwände gegen die Evolutionstheorie, Schwabe & Co. AG Verlag, Basilea-Stoccarda 1978, p. 24.
(8) G. MORPURGO, op. cit., p. 144.
(9) Ibid., p. 50.
(10) G. MONTALENTI, op. cit., p. 116.
(11) Cfr. A. E. WILDER SMITH, op. cit., p. 98.
(12) Ibid., p. 108.
(13) G. MONTALENTI, op. cit., p. 122.
Giovanni Paolo II.
Ai membri della Pontificia Accademia delle Scienze. L’origine della vita e l’evoluzione. Il Magistero della Chiesa
Sua Santità Giovanni Paolo II
Ai Membri della Pontificia Accademia delle Scienze riuniti in Assemblea Plenaria
La verità non può contraddire la verità
È con grande piacere che rivolgo un cordiale saluto a lei, Signor Presidente, e a voi tutti che costituite la Pontificia Accademia delle Scienze, in occasione della vostra Assemblea Plenaria. Formulo in particolare i miei voti ai nuovi Accademici, venuti a prendere parte ai vostri lavori per la prima volta.
Desidero anche ricordare gli Accademici defunti durante l’anno trascorso, che affido al Maestro della vita.
1. Nel celebrare il sessantesimo anniversario della rifondazione dell’Accademia, sono lieto di ricordare le intenzioni del mio predecessore Pio XI, che volte circondarsi di un gruppo scelto di studiosi affinché informassero la Santa Sede in tutta libertà degli sviluppi della ricerca scientifica e l’aiutassero anche nelle sue riflessioni.
A quanti egli amava chiamare il Senatus scientificus della Chiesa domandò di servire la verità. È lo stesso invito che io vi rinnovo oggi, con la certezza che noi tutti potremo trarre profitto dalla “fecondità di un dialogo fiducioso fra la Chiesa e la scienza” (Discorso all’Accademia delle Scienze, 28 ottobre 1986, n.1).
2. Sono lieto del primo tema che avete scelto, quello dell’origine della vita e dell’evoluzione, un tema fondamentale che interessa vivamente la Chiesa, in quanto la Rivelazione contiene, da parte sua, insegnamenti concernenti la natura e le origini dell’uomo. In che modo s’incontrano le conclusioni alle quali sono giunte le diverse discipline scientifiche e quelle contenute nel messaggio della Rivelazione? Se, a prima vista, può sembrare che vi siano apposizioni, in quale direzione bisogna muoversi per risolverle? Noi sappiamo in effetti che la verità non può contraddire la verità (cfr. Leone XIII, Enciclica Providentissimus Deus).
Inoltre, per chiarire meglio la verità storica, le vostre ricerche sui rapporti della Chiesa con la scienza fra il XVI e il XVIII secolo rivestono grande importanza.
Nel corso di questa sessione plenaria, voi conducete una “riflessione sulla scienza agli albori del terzo millennio” e iniziate individuando i principali problemi generati dalle scienze, che hanno un’incidenza sul futuro dell’umanità.
Attraverso il vostro cammino, voi costellate le vie di soluzioni che saranno benefiche per tutta la comunità umana. Nell’ambito della natura inanimata e animata, l’evoluzione della scienza e delle sue applicazioni fa sorgere interrogativi nuovi. La Chiesa potrà comprenderne ancora meglio l’importanza se ne conoscerà gli aspetti essenziali. In tal modo, conformemente alla sua missione specifica, essa potrà offrire criteri per discernere i comportamenti morali ai quali l’uomo è chiamato in vista della sua salvezza integrale.
3. Prima di proporvi qualche riflessione più specifica sul tema dell’origine della vita e dell’evoluzione, desidero ricordare che il Magistero della Chiesa si è già pronunciato su questi temi, nell’ambito della propria competenza.
Citerò qui due interventi.
Nella sua Enciclica Humani generis (1950) il mio predecessore Pio XII aveva già affermato che non vi era opposizione fra l’evoluzione e la dottrina della fede sull’uomo e sulla sua vocazione, purché non si perdessero di vista alcuni punti fermi (cfr. AAS 42, 1950, pp. 575-576).
Da parte mia, nel ricevere il 32 ottobre 1992 i partecipanti all’Assemblea plenaria della vostra Accademia, ho avuto l’occasione, a proposito di Galileo, di richiamare l’attenzione sulla necessità, per l’interpretazione corretta della parola ispirata, di una ermeneutica rigorosa. Occorre definire bene il senso proprio della Scrittura, scartando le interpretazioni indotte che le fanno dire ciò che non è nelle sue intenzioni dire. Per delimitare bene il campo del loro oggetto di studio, l’esegeta e il teologo devono tenersi informati circa i risultati ai quali conducono le scienze della natura (cfr. AAS 85, 1993, pp. 764-772; Discorso alla Pontificia Commissione Biblica, 23 aprile 1993, che annunciava il documento su l’interpretazione della Bibbia nella Chiesa; AAS 86, 1994, pp. 232-243).
4. Tenuto conto dello stato delle ricerche scientifiche a quell’epoca e anche delle esigenze proprie della teologia, l’Enciclica Humani generis considerava la dottrina dell’ “evoluzionismo” un’ipotesi seria, degna di una ricerca e di una riflessione approfondite al pari dell’ipotesi opposta. Pio XII aggiungeva due condizioni di ordine metodologico: che non si adottasse questa opinione come se si trattasse di una dottrina certa e dimostrata e come se ci si potesse astrarre completamente dalla Rivelazione riguardo alle questioni da essa sollevate.
Enunciava anche la condizione necessaria affinché questa opinione fosse compatibile con la fede cristiana, punto sul quale ritornerò.
Oggi, circa mezzo secolo dopo la pubblicazione dell’Enciclica, nuove conoscenze conducono a non considerare più la teoria dell’evoluzione una mera ipotesi. È degno di nota il fatto che questa teoria si sia progressivamente imposta all’attenzione dei ricercatori, a seguito di una serie di scoperte fatte nelle diverse discipline del sapere. La convergenza non ricercata né provocata, dei risultati dei lavori condotti indipendentemente gli uni dagli altri, costituisce di per sé un argomento significativo a favore di questa teoria.
Qual è l’importanza di una simile teoria? Affrontare questa questione, significa entrare nel campo dell’epistemologia. Una teoria è un’elaborazione metascientifica, distinta dai risultati dell’osservazione, ma ad essi affine.
Grazie ad essa, un insieme di dati e di fatti indipendenti fra loro possono essere collegati e interpretati in una spiegazione unitiva. La teoria dimostra la sua validità nella misura in cui è suscettibile di verifica; è costantemente valutata a livello dei fatti; laddove non viene più dimostrata dai fatti, manifesta i suoi limiti e la sua inadeguatezza. Deve allora essere ripensata.
Inoltre, l’elaborazione di una teoria come quella dell’evoluzione, pur obbedendo all’esigenza di omogeneità rispetto ai dati dell’osservazione, prende in prestito alcune nozioni dalla filosofia della natura.
A dire il vero, più che della teoria dell’evoluzione, conviene parlare delle teorie dell’evoluzione. Questa pluralità deriva da un lato dalla diversità delle spiegazione che sono state proposte sul meccanismo dell’evoluzione e dall’altro dalle diverse filosofie alle quali si fa riferimento. Esistono pertanto letture materialiste e riduttive e letture spiritualistiche. Il giudizio è qui di competenza propria della filosofia e, ancora oltre, della teologia.
5. Il Magistero della Chiesa è direttamente interessato alla questione dell’evoluzione, poiché questa concerne la concezione dell’uomo, del quale la Rivelazione ci dice che è stato creato a immagine e somiglianza di Dio (cfr. Gn 1, 28-29). La Costituzione conciliare Gaudium et spes ha magnificamente esposto questa dottrina, che è uno degli assi del pensiero cristiano. Essa ha ricordato che l’uomo è “la sola creatura che Dio abbia voluto per se stesso” (n. 24). In altri termini, l’individuo umano non deve essere subordinato come un puro mezzo o come un mero strumento né alla specie né alla società; egli ha valore per se stesso. È una persona.
Grazie alla sua intelligenza e alla sua volontà, è capace di entrare in rapporto di comunione, di solidarietà e di dono di sé con i suoi simili.
San Tommaso osserva che la somiglianza dell’uomo con Dio risiede soprattutto nella sua intelligenza speculativa, in quanto il suo rapporto con l’oggetto della sua conoscenza è simile al rapporto che Dio intrattiene con la sua opera (Summa theologica, I-II, q. 3, a. 5, ad 1).
L’uomo è inoltre chiamato a entrare in un rapporto di conoscenza e di amore con Dio stesso, rapporto che avrà il suo pieno sviluppo al di là del tempo, nell’eternità. Nel mistero di Cristo risorto ci vengono rivelate tutta la profondità e tutta la grandezza di questa vocazione (cfr. Gaudium et spes, n. 22).
È in virtù della sua anima spirituale che la persona possiede, anche nel corpo, una tale dignità. Pio XII aveva sottolineato questo punto essenziale: se il corpo umano ha la sua origine nella materia viva che esisteva prima di esso, l’anima spirituale è immediatamente creata da Dio (“animas enim a Deo immediate creari catholica fides nos retinere iubet“, Enciclica Humani generis, AAS 42, 1950, p.575).
Di conseguenza, le teorie dell’evoluzione che, in funzione delle filosofie che le ispirano, considerano lo spirito come emergente dalle forze della materia viva o come un semplice epifenomeno di questa materia, sono incompatibili con la verità dell’uomo. Esse sono inoltre incapaci di fondare la dignità della persona.
6. Con l’uomo ci troviamo dunque dinanzi a una differenza di ordine ontologico, dinanzi a un salto ontologico, potremmo dire. Tuttavia proporre una tale discontinuità ontologica non significa opporsi a quella continuità fisica che sembra essere il filo conduttore delle ricerche sull’evoluzione dal piano della fisica e della chimica? La considerazione del metodo utilizzato nei diversi ordini del sapere consente di conciliare due punti di vista apparentemente inconciliabili. Le scienze dell’osservazione descrivono e valutano con sempre maggiore precisione le molteplici manifestazioni della vita e le iscrivono nella linea del tempo. Il momento del passaggio all’ambito spirituale non è oggetto di un’osservazione di questo tipo, che comunque può rivelare, a livello sperimentale una serie di segni molto preziosi della specificità dell’essere umano. L’esperienza del sapere metafisico, della coscienza di sé e della propria riflessività, della coscienza morale, della libertà e anche l’esperienza estetica e religiosa, sono però di competenza dell’analisi e della riflessione filosofiche, mentre la teologia ne coglie il senso ultimo secondo il disegno del Creatore.
7. Nel concludere, desidero ricordare una verità evangelica che potrebbe illuminare con una luce superiore l’orizzonte delle vostre ricerche sulle origini e sullo sviluppo della materia vivente. La Bibbia, in effetti, contiene uno straordinario messaggio di vita. Caratterizzando le forme più alte dell’esistenza, essa ci offre infatti una visione di saggezza sulla vita. Questa visione mi ha guidato nell’Enciclica che ho dedicato al rispetto della vita umana e che ho intitolato precisamente Evangelium vitae.
É significativo il fatto che, nel Vangelo di San Giovanni, la vita designi la luce divina che Cristo ci trasmette. Noi siamo chiamati ad entrare nella vita eterna, ossia nell’eternità della beatitudine divina.
Per metterci in guardia contro le grandi tentazioni che ci assediano, nostro Signore cita le parole del Deuteronomio: “l’uomo non vive soltanto di pane, ma… vive di quanto esce dalla bocca del Signore” (8, 3; Mt 4, 4).
La vita è uno dei più bei titoli che la Bibbia ha riconosciuto a Dio. Egli è il Dio vivente.
Di tutto cuore invoco su voi tutti e su quanti vi sono vicini l’abbondanza delle benedizioni divine.
GIOVANNI PAOLO PP. II
Fede ed evoluzione
CARD. GIUSEPPE SIRI,
“Fede” e’ il complesso della Rivelazione Divina, che parla anche dell’origine dell’uomo, per dire cio’ che ha fatto Dio. L’evoluzione e’ una teoria sull’origine dell’uomo. Ma e’ solo una teoria
[Tratto da: http://www.alleanzacattolica.org/indici/mag_episcopale/sirig95.htm ]
http://www.paginecattoliche.it/modules.php?name=News&file=article&sid=795
La cultura di massa – che in gran parte contagia anche i suoi operatori – accredita la tesi della universale evoluzione della materia, della quale l’uomo sarebbe soltanto una fase o uno stadio di transizione. Sulla base di questa discutibile e discussa ipotesi, tale cultura predispone ad accettare interventi “evolutivi” sull’uomo stesso, previsti dalla sociobiologia e dalla ingegneria genetica. La natura ipotetica, non scientifica ma ideologica, dell’evoluzionismo e la sua funzionalità rispetto al progetto totalitario del comunismo è denunciata – accompagnata da una ferma riproposizione della dottrina cattolica sull’argomento – nella prolusione tenuta dal cardinale Giuseppe Siri ai corsi teologici del Didascaleion, il 31 gennaio 1983, che riportiamo dal settimanale cattolico, anno IX, n. 7, 20-2-1983.
Cristianità n. 95 (1983)
Fede ed evoluzione
Il tema che debbo trattare equivale ad una spassosissima commedia umana. Giudicherete voi.
Mettiamo subito chiari i termini. Qui “Fede” significa il complesso della Rivelazione Divina fatta agli uomini da Dio, perfezionata e completata in Cristo. Questa Rivelazione parla anche dell’origine del mondo e delle specie viventi nonché dell’uomo. Ma ne parla solo per dire quel che ha fatto Dio.
La evoluzione è una teoria sull’origine del mondo, ma soprattutto sulla origine e mutazione delle specie viventi, compreso l’uomo. È una teoria, solo una teoria; le “Teorie sole” sono ipotesi e le ipotesi concludono niente, possono variare secondo che si vuole, entrando in tal modo nel campo puramente soggettivo, anche nel fantastico. Questo debbo però dimostrarlo a proposito del soggetto in argomento.
Evidentemente la Fede parte da un dato certo storicamente. Per vincere sulla Fede la teoria evoluzionistica dovrebbe partire ugualmente da un dato storicamente certo: è infatti anch’essa, come ipotesi, presentata come un “fatto”. Paragoniamo ora per un momento il fatto certo con la ipotesi. Il fatto certo asserisce che tutto ha origine per creazione ossia per deduzione dal nulla da parte di Dio. La teoria evoluzionistica vorrebbe dire nella sua redazione più assoluta che Dio non c’entra e che la materia si è evoluta da sé producendo tutto quello che geologia, cimiteri, musei conservano e non solo questi, ma l’intero genere umano. Evidentemente questa teoria cruda non si accorda col dato rivelato ossia colla Fede. La Fede afferma con certezza che tutto è stato creato e che Dio è direttamente intervenuto nella creazione dell’uomo. Per sé non esclude la possibilità di mutazioni nelle specie inferiori all’uomo, dimostrare le quali tocca alla scienza e pertanto agli uomini saputi di scienza. Poste così le relative affermazioni, si tratta di vedere che valgono le ipotesi dette scientifiche.
Si vuole onorare Darwin, ma non è lui l’inventore del sistema ipotizzato. Di questo è stato iniziatore Lamarck nel 1800 in aprile col suo discorso alla inaugurazione del Museo di Storia naturale di Parigi. Questi non fu un evoluzionista assoluto colla sua teoria della “evoluzione ascendente ed evoluzione adattiva”; fece un tentativo di sintesi e i tentativi non sono tesi dimostrate. Darwin riprese il retaggio di Lamarck. Nel saggio sull’origine delle specie (1889) non si dimostra ateo, anzi fa un inno al Creatore in chiusura del libro, per quanto la scoperta delle sue Notes segrete (1937) dimostri che era già diventato materialista. Si apprese dalle Notes che era in sostanza diventato un discepolo di Comte.
Concludendo fu ipotizzato un evoluzionismo che si appoggiava su fatti stimolanti la ricerca, ma non ancora probanti. I contorni rimanevano incerti.
A questo punto viene la domanda: l’evoluzionismo nella sua accezione assoluta (esclusione di Dio Creatore e di intervento diretto di Dio nella origine dell’uomo) o nella sua accezione relativa (ammessi i due punti sopra esclusi) ha avuto una dimostrazione scientifica, o è rimasto allo stato di ipotesi (che potrebbe essere anche fantasia?). Occorre qui dare gli elementi per una prudente risposta.
1. Anzitutto va sottolineato lo scopo: dare una sintesi della vita sul nostro pianeta, giustificando i diversi stadi e le diverse forme nonché la loro eventuale elasticità. È possibile una sintesi della vita? Si sa che la volontà delle sintesi dominò la cultura, che può definirsi illuministica, dell’ottocento: Hegel avrebbe abbracciato questa via (sulle orme di costui e sotto un punto vista più ristretto, anche Marx lo seguì, più tardi Spencer con i rispettivi seguaci). Non meraviglia una tale voglia. Ma è giustificata nelle sue pretese quando la umana cognizione della realtà non conosce altro che i corrispettivi dei cinque sensi ed oltre può inoltrarsi soltanto colla intelligenza, ma fino ad un certo punto, che è poi quello dei principi universali? Lascio la risposta a chi ascolta, pregando di ricordarsi che occorre non perdere mai il senso dei limiti.
Non si dimentichi che questa sintesi ha evitato il punto più importante, quello di partenza, ossia l’origine delle cose, del mondo. Evasione troppo grave, tanto più se si prendono in esame i modi tenebrosi e oscillanti coi quali si cerca di nascondere la evasione stessa.
2. In secondo luogo non si può dimenticare che la trasformazione di una specie è un fatto, per noi preterito ossia storico (nessuno ha assistito). E i fatti storici vanno documentati con testimoni pertinenti e concreti. Non possono sostenersi inventando dei princìpi gratuiti e con interpretazioni arbitrarie della fisiologia della materia che ha i suoi cicli, finora mantenuti nel quadro delle leggi immutabili quando esiste la parità delle condizioni. La distribuzione dei milioni d’anni appare piuttosto facilona, se non addirittura allegra ad una mentalità seriamente scientifica.
3. I tentativi di prova sono generalmente partiti da una mentalità materialista negatrice di Dio, dell’anima, della eternità e capace solo di condannare l’insaziabile spirito intelligente e conscio di sé alla tenebrosa avventura del “nulla”. Qui abbiamo veramente l’anima della avventura evoluzionistica.
Essa fa più avventura filosofica che scientifica, anche se il primo inventore della ipotesi evoluzionista non la pensava così. Ci pensarono gli altri. Questo è in via teorica il punto supremo della distruttrice critica che si possa muovere all’evoluzionismo di qualunque specie. È facile inventare filosofie, è difficile provare dei fatti con altrettanti fatti.
4. Si è tentata per la documentazione la via scientifica. C’erano due vie principali, non escludendo apporti secondari da altre discipline. Quella biologica e quella paleontologica. La prima cominciò con una disavventura quando Haeckel nei mari di Giava credette aver trovato la dimostrazione della generazione spontanea nel “bathybius haechelii” del quale si seppe poi che era un semplice precipitato senza vita alcuna. La seconda mise insieme una grande quantità di ossa trovate qua e là, non dovendosi dimenticare qui l’altra disavventura dell’uomo sinensis degli anni trenta, che non era né uomo, né sinensis ossia cinese.
Tutte queste ossa (nelle quali il grande naturalista Cuvier non volle mai riconoscere dei dati favorevoli all’evoluzionismo), supposto che con esse e con oneste illazioni si possa arrivare a costruire lo scheletro di un vertebrato di poco dissimile dall'”homo sapiens”, dimostreranno che nella scala degli esseri esiste un numero di più, ma non è affatto dimostrato che, essendoci un A, A sia diventato B. Che si deve dimostrare è il passaggio, nessuna grande rassomiglianza autorizza ad affermare la trasformazione. Qui si tratta di logica. Qui abbiamo l’altro grande punto critico dell’evoluzionismo, che ha fondato la sua dimostrazione sedicente scientifica proprio su questo salto di natura illogica. La logica va applicata egualmente in tutte le scienze in modo che un non qualificato in una determinata scienza, non può aprire bocca nelle affermazioni che la riguardano, ma può accorgersi, se è istruito in logica, quando una determinata premessa è o non è in grado di generare quella conseguenza o conclusione. La prima regola di qualunque ragionamento resta sempre: “Latius hos quam praemissae conclusio non vult”.
La via biologica è stata tentata cercando di ottenere artificialmente delle variazioni attraverso trattamenti particolari e persino vessatori di laboratorio; ma a parte che i discendenti sono ritornati alla perfetta normalità, è divertente pensare o sognare che in epoche anteriori all’uomo la terra fosse piena di laboratori per ottenere le trasformazioni care alla ipotesi evoluzionistica. Le mutazioni ottenute artificialmente possono provare la possibilità delle mutazioni alle debite condizioni, ma non provano affatto le trasformazioni spontanee. È sempre questione di logica. E qui non appartiene a me, non affatto scienziato, il parlare di quelle ragioni che tanto in istologia, quanto in genetica possono addursi a rilevare lo stacco netto tra l’uomo e gli animali.
Quello che emerge chiaramente è nei fautori dell’evoluzionismo il voler spiegare materialisticamente i fatti spirituali di intelligenza e di libertà e che sono nell’uomo: il dissidio attesta sulle due posizioni: negazione dell’anima umana e affermazione della sua spiritualità, o, se si vuole, Dio e non-dio. Forse è vera la affermazione che la questione sta qui.
Posso fare una conclusione?
Nel 1959 fu celebrato l’anno Darwiniano. Nelle due università, più di tutte impegnate alla celebrazione, Oxford e Cambridge, fu posta la domanda se l’ipotesi Darwiniana era diventata tesi ossia se era dimostrata. Al termine venne pubblicato dalle due Università un volume colla risposta. Essa era: no!
Alcuni anni or sono il direttore della Facoltà di lettere e scienze umane della Università di Montpellier pubblicò un notevole volume dal titolo L’uomo e l’invisibile. Anche qui la risposta era: no! Negli ultimi anni comparve un volume di Sermonti che con un collega dà, direi sonoramente, la risposta: no!
Preferisco dare la risposta di competenti scienziati piuttosto che con le mie parole. L’11 aprile dello scorso anno uno dei più illustri scienziati francesi trattò l’argomento in una celebre conferenza tenuta a Nótre Dame di Parigi. Pose la stessa mia domanda. Concluse la lunga argomentazione, riportata per intero su l’Homme Nouveau (numero del 19 dicembre 1982). Ecco le sue parole “qui io vi debbo un parere, carico di conseguenze che i teorici non fanno punto volentieri: noi ne sappiamo niente!”.
A questo punto occorre tirare le fila. La Rivelazione cristiana è precisa su due punti: la creazione di tutto da parte di Dio e il Suo diretto intervento nella creazione dell’uomo. Salvi questi due punti non è contro la Fede chi volesse sostenere un evoluzionismo mitigato. Ma la scienza lo sostiene? Nessuno può provare seriamente che i dati a nostra disposizione lo sostengano con certezza. Resta una ipotesi.
E tuttavia si tratta di una ipotesi delicata. Infatti ha avuto per sé uno schieramento ottocentesco, sotto la spinta positivistica emergente in quel secolo.
È l’anima materialistica di quello schieramento che deve mettere in guardia. Il concetto materialista spoglia l’uomo di tutto. Senza anima l’uomo non ha né intelligenza, né diritto, né libertà e può essere trattato logicamente come si trattano gli animali. Il che è avvenuto in modo completo e fino alle ultime conseguenze in qualche parte del mondo e sta avvenendo in forma attenuata, per la prudenza che incute un grande Paese civile, sotto i nostri occhi. Si guarda ben oltre l’evoluzionismo.
Il quale ha una caratteristica: viene dato per provato e documentato, mentre non lo è. Perché questo?
Si tratta di una delle tessere colle quali si tenta comporre la fallace fisionomia di un secolo che sta morendo e di un altro secolo che si vorrebbe fin dagli avamposti accaparrare. L’uomo con ascendenza scimmiesca è di più facile conquista. Forse qui c’è il sugo di tutto il discorso.
+ card. Giuseppe Siri
arcivescovo di Genova
La vita non e’ nata per caso
di GIULIO DANTE GUERRA.
Viene esaminata una questione che potrebbe fare crollare la intera costruzione di qualunque dottrina evoluzionistica, darwiniana o no: quella relativa alla origine della vita
[Tratto da: http://www.alleanzacattolica.org/indici/articoli/guerragd97.htm ]
http://www.paginecattoliche.it/modules.php?name=News&file=article&sid=793
La celebrazione, nello scorso anno 1982, del centenario della morte di Charles Darwin si è risolto in massima parte, a livello di mass media, in un mucchio di carta stampata, in cui il cosiddetto “padre dell’evoluzionismo” è stato trionfalmente commemorato in tutti i modi possibili, più o meno scientifici – e forse meno che più -, ma in cui è stata praticamente passata sotto silenzio una questione, tra l’altro prudentemente esclusa dallo stesso Darwin, che, se non risolta, potrebbe fare crollare, per mancanza di fondamenta, la intera costruzione di qualunque dottrina evoluzionistica, darwiniana o no: quella relativa alla origine della vita (1).
La “generazione spontanea” e la moderna “abiogenesi”
La teoria secondo cui la vita sarebbe sorta casualmente dalla materia inorganica non è, in fondo, che la versione moderna di una credenza vecchia quanto la osservazione superficiale della natura, la “generazione spontanea”: quella, per intenderci, in base alla quale gli antichi credevano che le anguille nascessero dalla melma dei fiumi, le zanzare dai miasmi delle paludi, le mosche dalla carne putrefatta, e altre favolette simili (2). La loro inconsistenza fu sperimentalmente dimostrata da Francesco Redi nel 1668 per gli insetti, dall’abate Lazzaro Spallanzani nel 1748 per i protozoi e da Louis Pasteur nel 1861 per i batteri. Tutti e tre gli scienziati dovettero faticare molto per fare accettare le loro scoperte; ma, mentre Redi dovette lottare solo contro i pregiudizi di sedicenti “conservatori”, Spallanzani e più ancora Pasteur si trovarono di fronte la opposizione dei “progressisti”, che della generazione spontanea facevano il supporto “scientifico” di una filosofia materialistica: “La genesi spontanea non è più un ‘ipotesi, ma una necessità filosofica. Soltanto essa è razionale, soltanto essa ci sbarazza per sempre delle puerili cosmogonie e fa rientrare nelle quinte quel deus ex machina esteriore e del tutto artificiale che secoli di ignoranza hanno a lungo adorato” (3).
È chiaro che, partendo da un simile preconcetto, non si poteva fare a meno di cercare il modo di riaffermare quello che la esperienza scientifica aveva negato. E il modo è stato trovato, e contrabbandato per “prova scientifica”, ricorrendo a due accorgimenti: primo, la sostituzione del vecchio e screditato termine “generazione spontanea” con espressioni altisonanti, coniate pour épater le bourgeois, quali “abiogenesi”, “fase prebiotica della evoluzione”, “evoluzione chimica”, e simili; secondo, la retrodatazione della presunta “abiogenesi” a lontanissime ere geologiche, in condizioni ambientali non verificate né verificabili, ma “ricostruibili in laboratorio”, in cui – si afferma – sarebbe potuto avvenire quello che oggi è impossibile.
Fra le numerose “teorie abiogenetiche” oggi disponibili la più accreditata rimane quella delineata una cinquantina di anni fa, dal biologo sovietico Aleksandr Ivanovic Oparin (4). Questa teoria (o, meglio, ipotesi) postula la esistenza – necessaria per l'”abiogenesi” – di un’atmosfera primitiva a carattere fortemente riducente, composta di idrogeno, vapore acqueo, metano, azoto e ammoniaca. In tale atmosfera le radiazioni ultraviolette solari e le scariche elettriche dei fulmini avrebbero provocato la sintesi di composti organici, tra cui amminoacidi, purine e pirimidine. Tali composti, disperdendosi negli oceani, avrebbero formato il cosiddetto “brodo prebiotico”, nel quale, per reazioni chimiche successive, si sarebbero formate, sempre casualmente, le prime biomolecole – soprattutto proteine – e, infine, i primi organismi viventi.
Quando, all’inizio degli anni Cinquanta, la ipotesi di Oparin fu ripresa dall’americano Harold Clayton Urey in base alle sue teorie sulla formazione del sistema solare (5), si andarono subito a cercare le tanto agognate “conferme sperimentali”: e Stanley L. Miller ritenne di averle trovate allorché, facendo passare scariche elettriche attraverso miscele gassose di metano, ammoniaca, vapore acqueo e idrogeno, ottenne una miscela di composti organici da cui isolò, tra l’altro, alcuni amminoacidi (6).
I risultati di Miller, successivamente confermati ed estesi, sia pure con qualche lieve modifica per quanto riguarda la composizione dell'”atmosfera primordiale”, da esperimenti successivi (7), diedero un grande impulso alla “ipotesi abiogenetica”: gli amminoacidi sono i componenti fondamentali delle proteine di cui sono costituiti i tessuti biologici; altri composti organici identificati da Miller nella sua miscela di prodotti (8) si ritrovano, in gran parte, tra i prodotti del metabolismo di organismi viventi. Altri amminoacidi (9) e supposti “precursori prebiotici” di altri costituenti fondamentali della cellula, quali gli acidi nucleici (10), sono sintetizzabili in condizioni che, secondo gli autori, ricordano da vicino quelle dell’ipotetico “brodo prebiotico”.
Le difficoltà della “teoria abiogenetica”
Tutto bene, allora? Nessun dubbio? Sembrerebbe, a prima vista, proprio così, dato che le discussioni tra gli “addetti ai lavori” hanno come oggetto non già l'”abiogenesi” in sé, che si dà per scontata, ma, caso mai, il meccanismo con cui si sarebbe verificata. Così, alcuni preferiscono, alle scariche elettriche, la irradiazione con luce ultravioletta di una “atmosfera” di metano, azoto e vapore acqueo, allo scopo di produrre altri composti organici, presentati anch’essi come possibili “elementi prebiotici” (11); ma non mettono in discussione il “fatto” dell'”abiogenesi”.
E, invece, proprio tale preteso “fatto” è da mettere in discussione: se, infatti, i lavori riportati nelle memorie scientifiche sopra citate hanno in sé e per sé, come metodi per la sintesi di alcuni composti chimici, una loro indubbia validità scientifica, non ne hanno invece nessuna come “prove sperimentali dell’abiogenesi”. Una affermazione così netta può, a prima vista, stupire; tuttavia essa è deducibile già da una attenta lettura degli stessi scritti di alcuni abiogenisti, nei quali la “importanza prebiotica” dei risultati riportati è spesso discussa in poche righe, a conclusione di un normalissimo articolo di chimica organica (12); e, ancora, dalla “fuga nella fantascienza” di altri, che presentano, come “prova dell’abiogenesi”, la fotosintesi di composti organici in miscele gassose riproducenti l’atmosfera di Giove (13). Tuttavia, dato che i risultati di simili esperimenti vengono quotidianamente sbandierati come “prove” non solo in scritti “divulgativi” (14), ma anche in rispettabili testi universitari (15), sarà bene esaminarli un poco più approfonditamente.
In tutti gli esperimenti sopra riportati si otteneva, al termine della scarica o della irradiazione, una grande varietà di composti, da cui i supposti “elementi prebiotici” andavano estratti e purificati con procedure spesso assai sofisticate. Anche le rese erano bassissime: nel celebre esperimento di Miller esse andavano dal 10,3 al 7,3% dei prodotti organici totali per gli amminoacidi e dal 16,5 al 7,1% per gli acidi e ossiacidi organici (16). Ma vi è di più: negli esperimenti di “sintesi prebiotica” sono stati ottenuti anche parecchi amminoacidi che non si ritrovano nelle proteine, talvolta con rese più alte che quelli proteici; “la presenza di glicina, alanina, valina, isoleucina e leucina nelle proteine, ma l’assenza di acido alfa-ammino-n-butirrico, norvalina, alloisoleucina e norleucina, non può essere spiegata sulla base delle rese ottenute da questo tipo di sintesi” (17). Inoltre, la proporzione tra i vari amminoacidi nelle proteine è quasi inversa che tra i prodotti di sintesi; per risolvere questa difficoltà, Miller è costretto a supporre una ulteriore “condizione necessaria”, cioè una precipitazione frazionata di amminoacidi per evaporazione in qualche laguna, con formazione di polipeptidi nella fase solida: e tutto questo a conclusione di una serie di esperimenti in cui la resa totale in amminoacidi “utili” e no, era in media l’1,90% (18). Analoghe critiche potrebbero essere mosse alle varie sintesi di “precursori prebiotici” degli acidi nucleici.
Tutte queste teorie, come si è già visto, presuppongono la presenza, sulla terra, di una atmosfera riducente all’epoca della “evoluzione prebiotica” e “protobiotica”. Orbene, le teorie più recenti sulla formazione della terra e della sua atmosfera escludono proprio questa ipotesi fondamentale, affermando che all’epoca della comparsa dei primi viventi la terra aveva un’atmosfera neutra o debolmente ossidante, non molto diversa dall’attuale, salvo, forse, per la mancanza di ossigeno (19).
Un tentativo di ovviare a questo inconveniente, che rischia di mandare all’aria tutta la “teoria abiogenetica”, è stato fatto in America da Allen J. Bard e dai suoi collaboratori. Costoro, dopo avere scoperto che, irradiando con luce ultravioletta una soluzione acquosa di ammoniaca satura di metano in presenza di biossido di titanio platinato – cioè ricoperto di platino finemente suddiviso -, si ottiene una miscela di amminoacidi (20), superano la obiezione relativa alla composizione dell’atmosfera primordiale osservando che il biossido di titanio catalizza la riduzione dell’azoto ad ammoniaca e dell’anidride carbonica a metano, formaldeide e metanolo, sia pure con basse rese (21). Peccato che, per la formazione di amminoacidi sia indispensabile l’uso del biossido di titanio platinato, un catalizzatore sintetico, inesistente in natura. Infatti, sia il biossido di titanio non platinato, sia l’ossido ferrico, sia il minerale ilmenite – ossido misto di titanio e ferro – non producono amminoacidi nelle condizioni di reazione (22). Siamo, come si può vedere, ancora al punto di partenza.
Dalle molecole organiche alle biomolecole: ulteriori difficoltà
Passando poi alla seconda fase della “evoluzione chimica” quella in cui le “molecole prebiotiche” avrebbero reagito tra di loro per formare polisaccaridi, polipeptidi – e poi proteine – e polinucleotidi – e poi acidi nucleici -, che unendosi insieme avrebbero formato i primi organismi, le difficoltà salgono alle stelle. Qui il “caso” invocato dagli abiogenisti si rivela molto, molto intelligente.
La prima difficoltà è data dalla attività ottica delle sostanze di origine biologica, dovuta alla dissimmetria sterica delle molecole (23). Gran parte delle molecole organiche sono dissimmetriche, ossia prive di piani di simmetria, così che possono esistere in due forme distinte, dette enantiomeri, che differiscono tra di loro per essere l’una la immagine speculare dell’altra così come la mano destra differisce dalla sinistra, donde il nome di molecole chirali – dal greco chéir, mano. La possibilità di distinguere tra di loro i due enantiomeri è data, appunto, dalla loro attività ottica: se la soluzione di un enantiomero, attraversata da un raggio di luce polarizzata, ne ruota il piano di polarizzazione, per esempio, verso destra, una soluzione uguale dell’enantiomero opposto lo ruoterà, a parità di condizioni sperimentali, di un uguale angolo verso sinistra (24). La miscela di eguali quantità dei due enantiomeri si chiama racemo e, ovviamente, non ruota il piano della luce polarizzata. Orbene, tutte le molecole chirali che fanno parte degli organismi biologici sono enantiomeri puri, e tutti della stessa configurazione cioè “tipo mano destra” o “tipo mano sinistra” -, a seconda della classe di molecole a cui appartengono. Così, tutti gli amminoacidi che entrano a fare parte delle proteine sono otticamente attivi – meno la glicina, che è simmetrica – e tutti hanno la stessa configurazione sterica, quella “tipo mano sinistra”. Invece, tutte le sintesi di amminoacidi compiute dagli abiogenisti dànno luogo a miscele racemiche, dato che, per obbedienza al presupposto di partenza, sono compiute su reagenti non chirali, senza impiegare catalizzatori otticamente attivi. Addirittura, l’assenza di enantiomeri puri tra i prodotti è stata addotta come prova che gli amminoacidi non erano dovuti a contaminazione da parte di microorganismi (25). Ora, è difficile capire perché da reazioni casuali tra amminoacidi statisticamente distribuiti tra le due forme si sarebbero formati polipeptidi enantiomericamente puri; lo stesso dicasi per i “precursori prebiotici” dei polisaccaridi e degli acidi nucleici.
Ma non basta. Nelle proteine, non solo la configurazione sterica, ma anche la sequenza degli amminoacidi è tutt’altro che casuale, come pure la sequenza delle basi puriniche e pirimidiniche negli acidi nucleici: entrambe sono strettamente ordinate alle funzioni biologiche della macromolecola all’interno dell’organismo; tra le sequenze di basi negli acidi nucleici e le sequenze di amminoacidi nelle proteine esiste una correlazione valida per tutto il mondo biologico – il codice genetico, basato sulla corrispondenza fra terne di basi e amminoacidi -, così che la struttura dei primi determina quella delle seconde. Polipeptidi statistici sono stati ottenuti da Fox riscaldando a 170°C una miscela di amminoacidi posti su un pezzo di roccia vulcanica (26), e dalla équipe romena di Simionescu – insieme con polisaccaridi a struttura non ordinata, pseudo-lipidi e impurezze varie – mediante esperimenti simili a quelli di Miller, ma condotti sotto vuoto alle temperature “siberiane” di -40°C e -60°C, anziché a pressione e a temperatura ambiente (27). I prodotti ottenuti, posti in soluzioni acquose, si aggregano in microsfere, talvolta delimitate da una membrana polisaccaridica, chiamate dagli autori modelli di “protocellule” (28), ma che con le cellule autentiche non hanno proprio niente a che vedere: sono prive di attività metaboliche e riproduttive, in altre parole non vivono.
La vita trascende la fisica e la chimica
Tutte le precedenti obiezioni alla “teoria abiogenetica” sono riconducibili a un semplice principio, ovvio per ogni mente sgombra da preconcetti: l’ordine non può nascere spontaneamente dal caos. Un organismo vivente è molto di più che un aggregato di molecole e di macromolecole organiche: è una forma organizzatrice, che costruisce e ordina queste molecole secondo un progetto strutturale, – è un sistema cibernetico dotato di un grado di informazione superiore a quello delle singole parti che lo compongono. “Quando dico che la vita trascende la fisica e la chimica, intendo dire che la biologia non può spiegare la vita, quale vi presenta oggi, in termini di semplice azione di leggi fisiche e chimiche” (29).
Prendiamo come esempio il codice genetico, a cui ho già accennato, e che consiste nella corrispondenza fra terne di basi nella struttura del DNA, o acido desossiribonucleico, e amminoacidi delle proteine. È un codice universale e, dal punto di vista chimico, arbitrario, sulla cui origine “invece che di “problema”, si dovrebbe parlare ai enigma. Il codice non ha senso se non è tradotto. Il meccanismo traduttore della cellula moderna comporta almeno cinquanta costituenti macromolecolari, anch’essi codificati nel DNA. Il codice genetico può dunque essere tradotto solo dai prodotti stessi della traduzione. È questa l’espressione moderna dell’omne vivum ex ovo. Ma quando e come questo anello si è chiuso su se stesso? È molto difficile anche solo immaginarlo” (30) dice Monod, che qui, nel suo campo specifico, è rigoroso, salvo poi pretendere, poco dopo, di spiegare tutto con il solito binomio caso-necessità (31).
La pretesa degli abiogenisti, che i vari componenti della cellula, formatisi spontaneamente nel “brodo prebiotico”, secondo Fox, o nelle tempeste delle regioni polari, secondo Simionescu, si siano casualmente aggregati “inventando” il codice genetico “non appartiene neanche alla fantascienza, ma al delirio intellettuale” (32).
Allo scopo di rompere il circolo vizioso dell’uovo-DNA e della gallina-proteine, è stata recentemente proposta una nuova teoria sulla origine della vita, la “teoria ribotipica”, che fa originare la cellula dalle ribonucleoproteine attraverso un meccanismo a catena di “quasi-replicazione” (33). Una analisi della teoria esula dagli scopi dei presente articolo, e, soprattutto, dalla mia competenza specifica di chimico, rientrando piuttosto nel campo della genetica molecolare e della microbiologia; essa, tuttavia, dà per scontata la “evoluzione chimica”, ossia la formazione spontanea di acido ribonucleico – RNA, diverso dal DNA – e di proteine (34). Ma, come si è visto precedentemente, tale “evoluzione chimica” è tutt’altro che scontata.
In ogni caso, il “messaggio” contenuto nella struttura degli acidi nucleici costituisce uno “schema” ben preciso che non può essere riducibile a una sequenza statistica di nucleotidi. “Dobbiamo rifiutarci di considerare lo schema attraverso il quale il DNA diffonde informazione come parte delle sue proprietà chimiche. Il suo schema funzionale deve essere riconosciuto come una condizione al contorno posta all’interno della molecola del DNA” (35).
“Infine, una parola sul modo in cui le condizioni al contorno che controllano i processi fisico-chimici in un organismo possano aver avuto origine a partire da materia inanimata. Il problema è se la categoria logica delle mutazioni casuali includa o no la formazione di nuovi principi non definibili in termini di fisica e di chimica. Sembra molto improbabile che possa includerla” (36).
Conclusione
A questo punto qualcuno mi potrà obiettare: “E con tutti questi ragionamenti, che cosa credi di avere ottenuto? Forse di avere “dimostrato scientificamente” la esistenza di Dio?”. No di sicuro. Tanto più che scientificamente in senso stretto non si può dimostrare proprio niente, nemmeno che la terra gira intorno al sole, visto che, per affermare ciò, occorre fare uso di un concetto, quello di “moto assoluto”, che non è scientifico, ma filosofico.
Spero solo di avere mostrato la inconsistenza, anche scientifica, di quelle teorie che pretendono di spiegare col “caso” la esistenza di quella bellissima armonia che è l’insieme delle creature viventi, e di avere fornito così nuovi argomenti sperimentali a sostegno della quinta via di San Tommaso, quella che giunge a Dio a partire dall’ordine del creato (37). E concludo innalzando al Creatore il canto dei tre fanciulli in Babilonia: “Benedite mostri marini / e quanto si muove nell’acqua, il Signore, / lodatelo ed esaltatelo nei secoli. / Benedite, uccelli tutti dell’aria, il Signore, / lodatelo ed esaltatelo nei secoli. / Benedite, animali tutti, selvaggi e domestici, il Signore, / lodatelo ed esalatelo nei secoli. / Benedite, figli dell’uomo, il Signore, / lodatelo ed esaltatelo nei secoli” (38).
Giulio Guerra
***
(1) Per una critica all’evoluzionismo da un punto di vista biologico e paleontologico, cfr. Giuseppe Sermonti e Roberto Fondi, Dopo Darwin, Rusconi, Milano 1980. Per una critica di carattere filosofico-teologico, cfr. mons. Pier Carlo Landucci, Miti e realtà, La Roccia, Roma l968; e IDEM, La verità sull’evoluzione e l’origine dell’uomo, La Roccia, Roma s.d. Il presente articolo si limiterà a un esame del problema della origine della vita da un punto di vista soprattutto chimico.
(2) Tuttavia gli antichi, più logici dei loro epigoni moderni, invocavano, per giustificare una così palese violazione del principio di causa ed effetto, l’intervento di misteriose “influenze astrali”, che avrebbero vivificato la materia inerte.
(3) Pierre Larousse, Grand Dictionnaire Universel du XIXe Siècle, voce Génération, cit. in G. Sermonti e R. Fondi, op. cit., p. 23. Per le implicazioni morali e sociali di una simile visione del mondo, cfr. anche Luciano Benassi, Mistificazioni evoluzionistiche e matematica, in Cristianità, anno XI, n. 95, marzo 1983.
(4) Cfr. Aleksandr Ivanovic Oparin, The Origin of Life, tr. inglese, Mac Millan, Londra 1936.
(5) Cfr. Harold Clayton Urey, The Planets, Yale University Press, New Haven 1952; e Stanley L. Miller e H. C. Urey, Organic Compound Synthesis on the Primitive Earth, in Science, vol. 130, n. 3370, 31-7-1959, pp. 245-251.
(6) Cfr. S. L. Miller, Production of Some Organic Compounds under Possible Primitive Earth Conditions, in Journal of the American Chemical Society, vol. 77, 5-5-1955, pp. 2351-2361.
(7) Cfr. Idem, The Atmosphere of the Primitive Earth and the Prebiotic Synthesis of Amino Acids, in Origins of Life, vol. 5, 1974, pp. 139-151.
(8) Cfr. IDEM, Production of Some Organic Compounds under Possible Primitive Earth Conditions, cit., p. 2358.
(9) Cfr. Nadav Friedmann e S. L. Miller, Synthesis of Valine and Isoleucine in Primitive Earth Conditions, in Nature, vol. 221, n. 5186, 22-3-1969, pp. 1152-1153.
(10) Cfr. Gordon Schlesinger e S. L. Miller, Equilibrium and Kinetics of Gliconitrile Formation in Aqueous Solution, in Journal of the American Chemical Society, vol. 95, n. 11, 30-5-1973, pp. 3729-3735.
(11) Cfr. J. P. Ferris e C. T. Chen, Chemical Evolution. XXVI. Photochemistry of Methane, Nitrogen, and Water Mixtures as a Model for the Atmosphere in the Primitive Earth, in Journal of the American Chemical Society, vol. 97, n. 11, 28-5-1975, pp. 2962-2967.
(12) Cfr., per esempio, G. Schlesinger e S. L. Miller, art. cit., p. 3735.
(13) Cfr. J. P. Ferris e C. T. Chen, Photosynthesis of organic compounds in the atmosphere of Jupiter, in Nature, vol. 258, n. 5536, 18-12-1975, pp. 587-588. Si tratta – lo riferisco a titolo di cronaca – di un lavoro finanziato addirittura dalla NASA.
(14) Cfr. Jacques Monod, Il caso e la necessità. Saggio sulla filosofia naturale della biologia contemporanea, tr. it., 7a ed., Mondadori, Milano 1974, p. 137. Sul carattere né scientifico né filosofico, ma ideologico del saggio di Monod, nonché sul suo “pressappochismo” scientifico, cfr. anche il mio De libello a Jacobo Monod de alea et necessitate conscripto thomistica censura, in AA.VV., Atti dell’VIII Congresso Tomistico Internazionale, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano 1982, vol. V, pp. 359-364.
(15) Cfr., per esempio, Robert Thornton Morrison e Robert Neilson Boyd, Chimica Organica, tr. it., 1a ed., C.E.A., Milano 1965, cap. 2, § 2.4, p. 34.
(16) Cfr. S. L. Miller, Production of Organic Compounds under Possible Primitive Earth Conditions, cit., p. 2358. Calcolando le rese sui reagenti, anziché sui prodotti, esse si riducono alla metà o a un quinto, a seconda degli esperimenti.
(17) Idem, The Atmosphere of the Primitive Earth and the Prebiotic Synthesis of Amino Acids, cit., p. 145.
(18) Cfr. ibid., p. 144.
(19) Cfr. R. Fondi, in G. Sermonti e R. Fondi, op. cit., pp. 164-167.
(20) Cfr. Wendell W. Dunn, Yosihiro Aikawa e Allen J. Bard, Heterogeneous Photosynthetic Production of Amino Acids at Pt/TiO2 Suspensions by Near Ultraviolet Light, in Journal of the American Chemical Society, vol. 103, n. 23, 1981, pp. 6893-6897. Al posto del metano si possono usare anche metanolo ed etanolo.
(21) Cfr. ibid., p. 6897.
(22) Cfr. ibid., p. 6895.
(23) Per ovvie ragioni di comprensibilità, mi limiterò a una spiegazione piuttosto elementare e semplificata, anche se non errata. Per una trattazione sistematica cfr., per esempio, Giulio Natta e Mario Farina, Stereochimica, molecole in 3D, Mondadori, Milano 1968.
(24) Questo non significa però che tutti gli enantiomeri “a forma di mano destra” ruotino il piano della luce polarizzata verso destra e tutti quelli “a forma di mano sinistra” verso sinistra, come sembra dire J. Monod (op. cit., p. 58, nota). Un simile “strafalcione”, decisamente “da bocciatura”, non stupisce in Monod, visto il già notato “pressappochismo” e l’autentico disprezzo dell’intelligenza del lettore di cui è pieno il suo libro. Dispiace, invece, lo stesso errore da parte di uno studioso serio come Fondi (in G. Sermonti e R. Fondi, op. cit., p. 173). Mi auguro che venga corretto in una seconda edizione del libro.
(25) Cfr. S. L. Miller, Production of Organic Compounds under Possible Primitive Earth Conditions, cit., p. 2359; e Idem, The Atmosphere of the Primitive Earth and the Prebiotic Synthesis of Amino Acids, cit., pp. 144-145.
(26) Cfr. G. Sermonti e R. Fondi, op. cit., p. 175.
(27) Cfr. Cristofor I. Simionescu, Ferencz Dénes e Ioan Negulescu, Abiotic Synthesis and the Properties of Some Protobiocopolymers, in Journal of Polymer Science, Polymer Symposia, n. 64, 1978, pp. 281-304.
(28) Cfr. ibid., pp. 296-299.
(29) Michael Polanyi, Life Transcending Physics and Chemistry, in Chemical and Engineering News, 21-8-1967, pp. 64-65.
(30) J. Monod, op. cit., p. 139.
(31) Cfr. ibid., pp. 140-142.
(32) R. Fondi, in G. Sermonti e R. Fondi, op. cit., p. 185. Sulla improbabilità matematica di simili eventi, cfr. L. Benassi, art. cit.
(33) Cfr. Marcello Barbieri, La Teoria Ribotipica sull’Origine della Vita, in Rivista di Biologia, vol. 75, n. 4, inverno 1982, pp. 515-561.
(34) Cfr. ibid., p. 522.
(35) M. Polanyi, art. cit., p. 62.
(36) ibid., p. 64.
(37) Cfr. san Tommaso d’Aquino, Summa theologiae, I, q. 2, a. 3.
(38) Dan. 3, 79-82.
Dottrina della Chiesa, ipotesi evoluzionistica e teoria dell’evoluzione
GIOVANNI CANTONI,
Cristianità n. 259 (1996)
http://www.alleanzacattolica.org/indici/articoli/cantonig259a.htm
Per gli avversari della Chiesa la ricerca del mutamento non solo nella Chiesa — evidente e inevitabile —, ma soprattutto della Chiesa è angosciante. E necessita di venire alimentata continuamente. Oggi 24 ottobre 1996 tocca alla posizione della dottrina cattolica sul cosiddetto “evoluzionismo”, e trae spunto dal messaggio di Papa Giovanni Paolo II alla Pontificia Accademia delle Scienze, datato 22 ottobre (4).
Quali le “cose vecchie”? Nel documento viene ribadito — il richiamo esplicito è a Papa Pio XII (5) ma non mancano precedenti interventi dello stesso Pontefice Regnante (6) — come “punto essenziale” (7) che, “[…] se il corpo umano ha la sua origine nella materia viva che esisteva prima di esso, l’anima spirituale è immediatamente creata da Dio” (8).
Quali le “cose nuove”? Non riguardano assolutamente la dottrina, ma il fatto con cui la dottrina si deve confrontare; anzi, il modo di presentare il fatto. Papa Giovanni Paolo II afferma che “oggi […] nuove conoscenze conducono a non considerare più la teoria dell’evoluzione una mera ipotesi” (9); quindi — pensa grossolanamente o maliziosamente qualcuno e induce altri a pensarlo — se non è una pura ipotesi si tratta di una certezza: perciò, “la Chiesa accetta l’evoluzionismo”!
No, l’evoluzionismo non è più solamente un’ipotesi non perché si sia trasformato in una certezza, ma perché si tratta di una teoria, cioè a suo proposito sono avanzate diverse teorie, cioè — ancora — sono stati proposti diversi insiemi di ipotesi. Quindi, il Papa si chiede che cosa sia una teoria: “Una teoria è un’elaborazione metascientifica, distinta dai risultati dell’osservazione, ma ad essi affine. Grazie ad essa, un insieme di dati e di fatti indipendenti fra loro possono essere collegati e interpretati in una spiegazione unitiva. La teoria dimostra la sua validità nella misura in cui è suscettibile di verifica; è costantemente valutata a livello dei fatti; laddove non viene più dimostrata dai fatti, manifesta i suoi limiti e la sua inadeguatezza. Deve allora essere ripensata.
“Inoltre, l’elaborazione di una teoria come quella dell’evoluzione, pur obbedendo all’esigenza di omogeneità rispetto ai dati dell’osservazione, prende in prestito alcune nozioni dalla filosofia della natura” (10).
Perciò, “a dire il vero, più che della teoria dell’evoluzione, conviene parlare delle teorie dell’evoluzione. Questa pluralità deriva da un lato dalla diversità delle spiegazioni che sono state proposte sul meccanismo dell’evoluzione e dall’altro dalle diverse filosofie alle quali si fa riferimento. Esistono pertanto letture materialistiche e riduttive e letture spiritualistiche. Il giudizio è qui di competenza propria della filosofia e, ancora oltre, della teologia” (11).
Dunque, se l’ipotesi evoluzionistica deve passare al vaglio cui sono sottoposte tutte le scoperte scientifiche, quello dei fatti, la teoria evoluzionistica deve superare anche l’esame della filosofia — scienza e non sistema di pensiero — e della teologia. E il Magistero della Chiesa è direttamente interessato alla questione dell’evoluzione, perché concerne la concezione dell’uomo, del quale la Rivelazione biblica dice che è stato creato a immagine e somiglianza di Dio.
“Di conseguenza — conclude Papa Giovanni Paolo II —, le teorie dell’evoluzione che, in funzione delle filosofie che le ispirano, considerano lo spirito come emergente dalle forze della materia viva o come un semplice epifenomeno di questa materia, sono incompatibili con la verità dell’uomo. Esse sono inoltre incapaci di fondare la dignità della persona” (12).
Come si vede, la novità dottrinale sfugge perché non esiste. Non deve però sfuggire l’atteggiamento di dialogo con la comunità scientifica e con le sue conquiste, dal momento che il creato è opera dello stesso Dio che si è rivelato, per cui la Chiesa, veicolo della Tradizione soprannaturale, lo è anche della tradizione naturale. Infatti, il documento all’origine del preteso mutamento dottrinale è messaggio all’Assemblea Plenaria della Pontificia Accademia delle Scienze nel “[…] sessantesimo anniversario della rifondazione dell’Accademia” (13) stessa, realizzata nel 1936 da Papa Pio XI nell’intento di “[…] circondarsi di un gruppo scelto di studiosi affinché informassero la Santa Sede in tutta libertà degli sviluppi della ricerca scientifica e l’aiutassero anche nelle sue riflessioni” (14); e si parla di rifondazione, perché l’istituzione vaticana è stata fondata a Roma nel 1603, restaurata nel 1847, ampliata nel 1887, quindi appunto rifondata nel 1936.
Secondo una notazione del 1992 di un “reazionario” del nostro tempo, Nicolás Gómez Dávila, tanto acuto quanto ignoto, “chi non si sente erede anche dei propri avversari intellettuali raccoglie solo parte della propria eredità” (15); e questo non è, evidentemente, il caso in genere della Chiesa e, in specie, di Papa Giovanni Paolo II.
Se avessi avuto qualche dubbio relativamente all’interpretazione del documento pontificio, ne sarei stato felicemente liberato da un’affermazione di S. Em. il card. Joseph Ratzinger, enunciata nel corso di una conferenza stampa svoltasi a Monaco di Baviera il 5 novembre 1996, cioè dopo la pubblicazione del messaggio di Papa Giovanni Paolo II, e riferita da un redattore del quindicinale tedesco PUR Magazin: “La dottrina dell’evoluzione — ha detto il porporato nell’occasione — è per certo un’ipotesi importante, che però presenta decisamente molti problemi, i quali necessitano ancora di un’ampia discussione” (16). Ergo e ad abundantiam, il messaggio in questione fa stato di una problematica, ma non intende assolutamente risolverla.
Giovanni Cantoni
* Articolo anticipato, senza note, con il titolo redazionale Ma Darwin non è stato riabilitato, in Secolo d’Italia. Quotidiano di Alleanza Nazionale, anno XLV, n. 248, 25-10-1996, pp. 1 e 6.
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(4) Cfr. Giovanni Paolo II, Messaggio ai partecipanti all’Assemblea Plenaria della Pontificia Accademia delle Scienze, del 22-10-1996, in L’Osservatore Romano, 24-10-1996.
(5) Cfr. Pio XII, Enciclica Humani generis su false opinioni che minacciano la dottrina cattolica, del 12-8-1950, in Enchiridion delle encicliche. 6. Pio XII (1939-1958), EDB, Bologna 1995, pp. 628-661 (p. 657).
(6) Cfr., per esempio, Giovanni Paolo II, Discorso ai partecipanti al Simposio Internazionale su Fede cristiana e teoria dell’evoluzione, del 26-4-1985, in Insegnamenti di Giovanni Paolo II, vol. VIII, 1, pp. 1127-1133; Idem, Discorso all’udienza generale, del 16-4-1986, n. 7, ibid., vol. IX, 1, pp. 1038 -1041 (pp. 1040-1041); e Idem, Discorso ai partecipanti all’Assemblea Plenaria della Pontificia Accademia delle Scienze, del 31-10-1992, ibid., vol. XV, 2, pp. 456-465.
(7) Idem, Messaggio ai partecipanti all’Assemblea Plenaria della Pontificia Accademia delle Scienze, cit., n. 5.
(8) Ibidem.
(9) Ibid., n. 4.
(10) Ibidem.
(11) Ibidem.
(12) Ibid., n. 5.
(13) Ibid., n. 1.
(14) Ibidem.
(15) Nicolás Gómez Dávila, Sucesivos escolios a un texto implícito, Instituto Caro y Cuervo, Santa Fé de Bogotá 1992, p. 19.
(16) Harry Luck, Der zweite Mann im Vatikan [Il numero due vaticano], in PUR Magazin, n. 22, 18-11-1996, pp. 14-15 (p. 15).
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