Non sono come noi!

di

Carlo Bernardini

 (maggio 2004)

Forse, questo governo e questa maggioranza di destra sono peggio di quanto immaginavamo e immaginiamo. In fondo, sinora abbiamo pensato che fossero una variante di un ceppo culturale unificato come “popolo italiano”. Non è bastato nemmeno Bossi, con la sua cafoneria che fa inorridire noi raffinati terroni, a farci pensare che non fossimo culturalmente unitari. Ma la lettera pubblicata il 6 luglio da Repubblica e firmata da un gruppo di rinomati linguisti  e molti altri ci avverte che persino nell’uso elementare della lingua quelli che hanno preso il potere sembrano diversi. Probabilmente, quando arrivarono i barbari, alla fine dell’impero romano, avvenne qualcosa di simile: cambiarono le cose importanti, i valori,  cambiarono destinazione le risorse comuni, cambiarono le parole e i significati. Ma qui i barbari entrati nelle istituzioni non hanno attraversato i confini, erano già in casa; in un certo senso, si tratta di “barbarie endogena”, un fenomeno abbastanza raro, su questa scala, nelle comunità umane, ma riscontrabile su piccola scala quando in un gruppo si infiltra un parvenu. L’analogia più forte mi sembra quella con i parassiti che vivono quiescenti nell’organismo sano e che poi qualche comportamento dannoso dell’individuo attiva abbassando le difese immunitarie e rendendoli virulenti e dannosi. Da quel momento, non è più l’interesse biologico dell’individuo ospitante a condurre il gioco, ma quello del parassita. L’individuo, ormai malconcio e debole per non aver previsto e prevenuto l’insorgere del male, ha dalla sua parte solo una possibilità per debellare il male: usare l’intelligenza. Non può sterminare il parassita che, quiescente, fa parte del suo corpo, magari nella forma di un indispensabile saprofago; ma deve annullarne la virulenza improvvidamente insorta.

A me non sembra poi nemmeno che il fatto politico che stiamo vivendo somigli all’avvento di una dittatura con connotati ideologici opposti a quelli della democrazia precedente. Nessun dittatore nato in casa, che non sia cioè un invasore, azzera la tradizione culturale del paese: può distorcerla, può darla in pasto ai revisionisti, ma non si azzarda ad azzerarla come res nullius e a rimpiazzarne i valori portanti con tradizionali e deprecati non-valori. Qui stiamo assistendo invece allo strangolamento della antica e rinomata qualità culturale del paese, nota in tutto il mondo, che ormai possiamo definire “classica”, in funzione dell’affermazione di una cultura (ma è lecito chiamarla così, o si tratta d’altro?) che attende solo alla produzione del profitto e che ormai possiamo definire con un neologismo; propongo “cultura di Re Mida”. E’ molti gradini più in basso della cultura più servile e di regime di tutti i tempi:  ricchi autocrati e aristocratici signori erano spesso tuttavia mecenati, promuovevano le arti, la letteratura e le scienze. Questi non si pongono nemmeno il problema, perché non lo conoscono né riconoscono. Per questo dico che sono corpi estranei.

Arrivano spesso sollecitazioni autorevoli a dialogare, persino a fare fronte comune con l’attuale maggioranza su specifici problemi di interesse pubblico. Per esempio, sul problema del terrorismo. Ma a me sembra che il dialogo con costoro non abbia senso: il terrorismo è un terribile virus che si aggiunge al danno provocato al paese dal parassita che lo sta tormentando. Nei fatti recenti non ho potuto non leggere i mille tentativi di strumentalizzazione che il parassita ha messo in atto per trarne vantaggi nella sua logica: è un caso che mentre divampava l’affare Scajola il parlamento stesse discutendo e approvando sporche leggi della cultura di re Mida (falso in bilancio, tutela di interessi privati, ecc.)?

I terroristi sono un altro male ancora: come una setta che pratica sacrifici umani e che non può identificarsi con concezioni politiche di alcuna natura ma solo come una specifica forma di criminalità. Non è nemmeno lecito insinuare che parti politiche rappresentative, siano esse di governo o di opposizione, alimenterebbero il terrorismo per esserne state alla radice: sarebbe una ulteriore ignobile speculazione che contribuirebbe solo a distogliere la politica dai suoi peculiari problemi. Preoccupiamoci allora dell’autonomia e dell’indipendenza delle forze dell’ordine e della magistratura e lasciamo loro il compito di debellare legalmente il terrorismo dovunque esso si annidi.

Tornando al tema centrale, cioè alla degenerazione della cultura italiana e all’inversione di civiltà, credo che si debbano esaminare attentamente non solo i segnali che arrivano da chi governa, ma anche l’assenza di segnali, cioè la mancanza di provvedimenti in settori strategici per lo sviluppo culturale. Accantoniamo per un momento il disgusto che può prendere alla gola un vecchio accademico alla vista del premier che fa le corna dietro un collega spagnolo, o nell’ascoltare discorsi troppo scopertamente ricalcati su stereotipi pubblicitari (non a caso gli spot sono il brodo di coltura delle bugie, ammesse perché la finalità dell’adescamento all’acquisto è manifesta), o nel registrare la preoccupazione ossessiva e indecente di neutralizzare la magistratura. Penso che si debba procedere con prima priorità a una operazione di salvataggio. Non è vero che lo scontro è quello di una cultura di destra contro una cultura di sinistra: il tentativo è soltanto quello di marginalizzare l’attività culturale rispetto al mercato. Attenzione! Il vero problema agghiacciante è che questo tentativo è, a suo modo, popolare; fa leva sull’analfabetismo di fondo e ripropone il problema delle modalità della rimozione dell’ignoranza (non a caso si parla di “obbligo” scolastico, se non altro per l’istruzione pubblica). Bisogna trovare spazi, almeno equivalenti a quelli delle lotte sociali per l’occupazione e l’equità fiscale, per la scuola, l’università e la ricerca. Come nel medioevo tanta cultura si salvò nei conventi, così  oggi bisogna attrezzare le istituzioni culturali nate da un’antica fede nella conoscenza per salvare il più possibile di ciò che è troppo lontano dal mercato per interessare l’establishment. I linguisti della lettera del 6 luglio menzionata all’inizio chiamano addirittura a proteggere la lingua, figuriamoci il resto! Questi governanti non sono come noi: prima che il patrimonio culturale del paese sia disperso e venduto, per trasformarlo in oro nelle loro mani, da Berlusconi, Tremonti, Moratti, Dell’Utri, e compagnia bella, organizziamo il salvataggio. Propongo intanto un “gesto” dimostrativo: tutti i professori universitari di prima fascia diano un giorno di stipendio per finanziare un imponente convegno nazionale di protesta contro la non-politica della scuola e della ricerca. Sarà certamente onesto e positivo discutere in quella stessa occasione errori e difetti “tecnici” nell’assetto attuale, fermo restando, però, che l’obiettivo principale è quello di contrastare Re Mida.



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