Le due lettere che seguono furono scritte tra il 1726 ed il 1729. Voltaire era stato allontanato dalla Francia perché non gradito per le sue satire politiche. Nel 1726 si recò in Inghilterra dove resterà per circa 3 anni. Venne così a contatto con una società, con delle istituzioni avanzatissime rispetto a quelle francesi. In Inghilterra vi era già stata la rivoluzione liberale, la borghesia aveva preso il potere e amministrava il Paese con grande efficienza che faceva bella mostra di sé soprattutto se confrontata con la staticità della monarchia francese. Voltaire ebbe modo di conoscere l’opera di grandi pensatori inglesi quali Bacon, Locke e Newton che saranno ispiratori dell’Illuminismo francese. Voltaire, pur nelle contraddizioni che lo caratterizzarono (ammirava l’Inghilterra, pur sognando non un Parlamento ma un monarca illuminato; polemizzava violentemente con la Chiesa pur credendo ad un principio divino; … ), coglie l’arretratezza del pensiero dominante del suo Paese nella filosofia di eredità medioevale di Descartes (pur difendendo il filosofo dai suoi detrattori, ad esempio, riguardo alle sue fondamentali scoperte in matematica). Gli argomenti che porta a sostegno delle aperture filosofiche di Newton rispetto alla filosofia cartesiana, sono riportati nella Lettera XIV che segue. Anche qui, ma non è il caso di sottilizzare, Voltaire non aveva capito molto bene il pensiero di Newton (anche perché. probabilmente, non lo lesse sull’opera originale ma su quella di suoi estimatori come Pemberton, Fontenelle, Maupertuis) e soprattutto il fatto che la sua filosofia apriva a problematiche epistemologiche gigantesche (ipotheses non fingo, spazio e tempo assoluti, Dio regolatore all’interno del sistema mondo, …). Non è questo che si pretende da chi ci introduce in un nuovo mondo, ma solo l’averlo fatto. In ogni caso la Lettera XV è proprio relativa alla divulgazione della filosofia di Newton.
Sessant’anni dopo queste lettere, che aprirono ad una intensissima fase di elaborazione politico filosofica (l’età dell’Illuminismo), con Voltaire scomparso da circa un decennio, la Francia regalerà al mondo la sua Rivoluzione che caccerà dal potere nobiltà e clero.
R.R.
François-Marie Arouet (Voltaire) – Lettere inglesi
(dall’edizione degli Editori Riuniti (1971) commentata da Paolo Alatri)
Quattordicesima lettera
Cartesio e Newton
Un francese che arrivi a Londra trova le cose assai mutate in filosofia, come in tutto il resto. Ha lasciato il mondo pieno; lo trova vuoto1. A Parigi, si vede l’universo composto da vortici di materia sottile; a Londra, non si vede nulla di tutto questo. Da noi è la pressione della Luna che causa il flusso del mare; presso gli Inglesi è il mare che gravita verso la Luna, in modo che quando credete che la Luna dovrebbe darci l’alta marea, questi signori ritengono che si debba avere bassa marea: il che, disgraziatamente, non può controllarsi, perché sarebbe stato necessario — per chiarire la cosa — esaminare la Luna e le maree nel primo istante della creazione.
Noterete inoltre che il Sole, il quale in Francia non c’entra per nulla in questa faccenda, vi contribuisce in Inghilterra per circa un quarto. Secondo i vostri cartesiani tutto avviene per un impulso assolutamente incomprensibile; secondo Newton, tutto avviene per un attrazione di cui non si conosce meglio la causa. A Parigi, vi figurate la Terra fatta come un melone2; a Londra, essa è appiattita ai due poli. Per un cartesiano la luce esiste nell’aria; per un newtoniano, giunge dal Sole in sei minuti e mezzo. La chimica francese effettua tutte le sue operazioni con acidi, alcali e materia sottile; in Inghilterra, l’attrazione domina perfino nella chimica.
L’essenza stessa delle cose è totalmente mutata. Non è possibile accordarvi né sulla definizione dell’anima né su quella della materia. Cartesio assicura che l’anima s’identifica col pensiero, e Locke gli prova abbastanza bene il contrario. Cartesio assicura che l’estensione da sola costituisce la materia; Newton vi aggiunge la solidità. Ecco dei contrasti abbastanza stridenti.
Non nostrum inter vos tantas componere lites3.
Questo famoso Newton, distruttore del sistema cartesiano è morto nel mese di marzo dello scorso anno 1727. Ha vissuto onorato dai suoi compatrioti, ed è stato sepolto come un re che abbia fatto del bene ai propri sudditi Qui a Londra è stato letto con avidità e tradotto l’elogio del signor Newton che il signor di Fontenelle4 ha pronunziato all’Accademia delle Scienze. In Inghilterra il giudizio del signor di Fontenelle era atteso come una dichiarazione solenne della superiorità della filosofia inglese; ma quando si è visto che egli paragonava Cartesio a Newton, tutta la Società Reale di Londra si è sollevata. Lungi dall’accettare tale giudizio, si è criticato quel discorso. Parecchi (e non sono certo i più filosofi) sono anzi rimasti urtati da quel paragone, soltanto perché Cartesio era francese.
Bisogna riconoscere che questi due grandi uomini sono stati molto diversi l’uno dall’altro per la loro condotta, la loro fortuna e la loro filosofia.
Cartesio era nato con un’immaginazione vivace e vigorosa, che ne fece un uomo singolare nella vita privata come nella maniera di ragionare. Tale immaginazione si fa avvertire perfino nelle sue opere filosofiche, dove a ogni passo s’incontrano paragoni ingegnosi e brillanti. La natura ne aveva fatto quasi un poeta, e infatti egli compose per la regina di Svezia un divertimento in versi che, per rispetto alla sua memoria, non è stato stampato.
Egli tentò per qualche tempo il mestiere della guerra, e poi, essendo divenuto del tutto filosofo, non credette indegno di sé il fare l’amore. Ebbe dalla sua amante una figlia di nome Francine, che morì giovane e di cui egli rimpianse molto la perdita. Così, provò tutto ciò che fa parte della natura umana.
Credette per lungo tempo che fosse necessario fuggire gli uomini, e soprattutto la sua patria, per filosofare in libertà. Aveva ragione: gli uomini del suo tempo non ne sapevano abbastanza per illuminarlo, e non erano capaci d’altro che di nuocergli. Lasciò la Francia perché cercava la verità, che vi era perseguitata allora dalla meschina filosofia universitaria; ma non trovò un maggior raziocinio nelle università dell’Olanda, dove si ritirò. Infatti, mentre in Francia si condannavano le sole proposizioni della sua filosofia che fossero vere, egli fu perseguitato anche dai pretesi filosofi d’Olanda, che non lo capivano meglio e che, vedendo più da vicino la sua gloria, odiavano ancora di più la sua persona. Fu costretto ad abbandonare Utrecht; subì l’accusa di ateismo, estrema risorsa dei suoi calunniatori; e lui che aveva impiegato tutta la sagacia del proprio ingegno nel cercare nuove prove dell’esistenza di un Dio, fu sospettato di non riconoscerne nessuno.
Tante persecuzioni presupponevano grandissimi meriti e una strepitosa reputazione: egli aveva infatti gli uni e l’altra. La ragione riuscì tuttavia a penetrare un po’ nel mondo attraverso le tenebre della filosofia scolastica e i pregiudizi della superstizione popolare. Il suo nome finì col diventare tanto celebre che si cercò di attirarlo in Francia mediante ricompense. Gli fu offerta una pensione di mille scudi; con tale speranza egli venne, pagò le spese del diploma, che allora si vendeva, non ebbe la pensione, e se ne ritornò a filosofare nella solitudine dell’Olanda del nord, al tempo in cui il grande Galileo, all’età di ottant’anni, gemeva nelle prigioni dell’Inquisizione, per aver dimostrato il movimento della Terra. Morì infine a Stoccolma d’una morte prematura, causata da un cattivo regime, nella cerchia di alcuni dotti, suoi nemici, e tra le mani di un medico che lo odiava.
Completamente diversa è stata la carriera del cavaliere Newton. Ha vissuto ottantacinque anni, sempre tranquillo, felice e onorato, in patria.
La sua grande fortuna è stata di esser nato non solo in un paese libero, ma anche in un’epoca in cui le impertinenze scolastiche erano bandite e veniva coltivata soltanto la ragione; sicché il mondo non poteva essere che suo scolaro, e non suo nemico.
Singolare è il contrasto in cui si trova rispetto a Cartesio: nel corso della sua cosi lunga esistenza non ha avuto né passioni né debolezze; non ha mai avvicinato una donna, il che mi è stato confermato dal medico e dal chirurgo tra le cui braccia egli è morto. In questo si può ammirare Newton, ma non bisogna biasimare Cartesio.
Su questi due filosofi, l’opinione pubblica è, in Inghilterra, che il primo era un sognatore, e l’altro un saggio.
A Londra pochissimi leggono Cartesio, le cui opere sono effettivamente diventate inutili; e pochissimi leggono Newton, perché per capirlo occorre essere molto dotti. Ciononostante, tutti parlano di loro: non si accorda nulla al francese, e si concede tutto all’inglese. Taluni ritengono che, se non si crede più all’orrore del vuoto, se si sa che l’aria è pesante, se ci si serve delle lenti d’ingrandimento, se ne debba esser grati a Newton. Egli è qui l’Ercole della favola, cui gli ignoranti attribuivano tutte le gesta degli altri eroi.
In una critica del discorso del signor di Fontenelle fatta a Londra, si è giunti a sostenere che Cartesio non era un grande matematico. Quelli che parlano così rinnegano chi li ha nutriti. Dal punto in cui ha trovato la geometria fino al punto cui l’ha portata, Cartesio ha percorso tanto cammino quanto quello percorso da Newton dopo di lui; egli è il primo che abbia trovato la maniera di dare le equazioni algebriche delle curve. La geometria, grazie a lui divenuta oggi di uso comune, era ai suoi tempi così oscura che nessun professore si azzardava a spiegarla, e non vi erano altri che Schootem5 in Olanda e Fermat6 in Francia che la capissero.
Egli portò questo spirito geometrico e inventivo nella diottrica7, che divenne per opera sua un’arte del tutto nuova; e se s’ingannò in qualche cosa, è perché chi scopre nuove terre non può di colpo conoscerne tutte le caratteristiche: coloro che vengono dopo di lui e rendono fertili quelle terre hanno, nei suoi confronti, almeno l’obbligo di attribuirgli la scoperta. Non negherò invece che tutti gli altri lavori di Cartesio formicolino di errori.
La geometria era una guida ch’egli stesso aveva, in qualche modo, formata, e che lo avrebbe sicuramente guidato anche nel campo della fisica; tuttavia egli fini con l’abbandonare tale guida, per affidarsi allo spirito sistematico. Da allora la sua filosofia non fu più che un ingegnoso romanzo, verosimile tutt’al più per gli ignoranti. Egli si ingannò sulla natura dell’anima, sulle prove dell’esistenza di Dio, sulla materia, sulle leggi del movimento, sulla natura della luce; ammise le idee innate, inventò nuovi elementi, creò un mondo, fece l’uomo a modo suo, e si dice a ragione che l’uomo di Cartesio non è in effetti se non l’uomo di Cartesio, lontanissimo dall’uomo reale.
Spinse i suoi errori metafisici fino a pretendere che due e due fanno quattro soltanto perché Dio ha voluto così. Ma non è troppo asserire ch’egli restava degno di stima anche nei suoi errori. Si ingannò, ma lo fece almeno con metodo e con spirito conseguente; distrusse le assurde chimere di cui la gioventù s’infatuava da duemila anni; insegnò agli uomini del suo tempo a ragionare e a servirsi contro lui stesso delle sue armi. Se non ha pagato in buona moneta, è già molto che abbia screditato quella falsa.
Non credo, in verità, che si osi paragonare in nessun modo la sua filosofia con quella di Newton: la prima è solo un tentativo, la seconda un capolavoro. Ma chi ci ha messi sulla via della verità vale forse quanto colui che è salito poi sulla vetta di tale carriera.
Cartesio diede la vista ai ciechi: essi videro gli errori dell’antichità ed i suoi. La via ch’egli ha aperto è, dopo di lui, divenuta immensa. Il libretto di Rohault8 ha rappresentato per qualche tempo una fisica completa; oggi, tutte le raccolte delle Accademie d’Europa non costituiscono nemmeno un inizio di sistema: approfondendo quell’abisso, lo si è trovato infinito. Si tratta adesso di vedere che cosa il signor Newton ha cavato fuori da tale abisso.
NOTE
1 – Allusione, rispettivamente, alle posizioni filosofiche di Cartesio e di Newton. R. Naves osserva: «Tutto l’inizio di questa lettera è scritto in tono scherzoso, e Voltaire fa mostra di non decidere tra Descartes e Newton. G. Lanson si è basato su questa presentazione per vedere nella lettera XIV un testo nettamente anteriore alle tre lettere successive, che sono nettamente newtoniane; essa è senza dubbio del 1728 (come risulta dalla frase seguente del testo), e le lettere XV-XVII possono essere del 1732. Tuttavia, non bisogna vedervi una netta evoluzione del pensiero di Voltaire: la fine della lettera XIV prende partito a favore di Newton e giudica Descartes negli stessi termini che Voltaire riprenderà molto più tardi. Poteva essere abile non spaventare il lettore fin dall’inizio e condurlo soltanto gradualmente alla “sana filosofia”».
2 – La tesi che la Terra fosse uno sferoide allungato anziché appiattito ai due Poli era stata sostenuta dall’astronomo francese di origine italiana Jacques Cassini (1677-1756), direttore dell’osservatorio di Parigi, nell’opera La grandeur et la figure de la Terre (1718) e accolta da altri scienziati.
3 – “Non è affar nostro appianar tra voi dispute così importanti” VIRGILIO, Bucoliche, III, 108. Si veda, sopra, la nostra nota n. 1.
4 – Bernard Le Bovier de Fontenelle (1657-1757), letterato francese, Segretario perpetuo dell’Accademia delle Scienze: in tale qualità compose numerosi elogi di colleghi defunti, tra cui quello di Newton che ebbe nel 1728 ben quattro edizioni.
5 – Francesco von Schooten, matematico olandese del XVII secolo, autore di una Geometria dedicata a Descartes (Leida 1649) in cui sono stabilite le coordinate ottagonali, e di un’altra opera del 1656 dedicata alla « geometria con la riga ».
6 – Pierre Fermat (1601-65), matematico francese in relazione con Cartesio, sviluppò la geometria analitica deducendo dall’equazione di una curva (da lui chiamata « Proprietà specifica ») tutte le sue proprietà.
7 – Parte della fisica che si occupa dell’azione dei mezzi sulla luce che li attraversa.
8 – Jacques Rohault (1620-1675), autore di un Traité de physique (1671) assai diffuso, in cui sono esposte le dottrine di Cartesio.
Quindicesima lettera (*)
Il sistema dell’attrazione
Le scoperte che hanno procurato al cavaliere Newton una reputazione così universale riguardano il sistema del mondo, la luce, l’infinito matematico, e infine la cronologia, con cui egli si è divertito per riposarsi.
Vi dirò (se mi è possibile, senza verbosità) il poco che ho potuto captare di tutte queste idee sublimi1.
Riguardo al sistema del nostro mondo, si disputava da molto tempo sulla causa che fa ruotare e trattiene nelle loro orbite tutti i pianeti, e su quella che fa scendere tutti i corpi verso la superficie della Terra.
Il sistema di Cartesio, spiegato e molto mutato dopo di lui, pareva fornire una ragione plausibile di tali fenomeni, e tale ragione sembrava tanto più vera in quanto è semplice e accessibile a tutti. Ma, in filosofia, bisogna diffidare di ciò che si crede di capire troppo agevolmente, così come delle cose che non si capiscono.
La gravità, la caduta accelerata dei corpi precipitanti sulla Terra, la rivoluzione dei pianeti nelle loro orbite, la loro rotazione intorno al proprio asse, tutto ciò non è altro che moto. Ora, il moto non può esser concepito che per impulso; dunque tutti questi corpi vengono sospinti. Ma da che cosa? Tutto lo spazio è pieno; è dunque riempito da una materia sottilissima, giacché noi non la percepiamo; tale materia va quindi da ovest a est, poiché è da ovest a est che tutti i pianeti sono sospinti. Così, di supposizione in supposizione e di verosimiglianza in verosimiglianza, si è immaginato un vasto vortice di materia sottile, entro cui i pianeti vengono trascinati intorno al Sole; e un altro vortice particolare, che ruota dentro quello grande e che gira quotidianamente intorno al pianeta. Dopo di che, si pretende che la gravità dipenda da tale moto quotidiano; poiché, si dice, la materia sottile che gira intorno al nostro piccolo vortice deve essere diciassette volte più celere della Terra; ora, se essa si muove diciassette volte più celermente della Terra, deve possedere una forza centrifuga incomparabilmente maggiore e respingere di conseguenza tutti i corpi verso la Terra. Ecco, nel sistema cartesiano, la causa della gravità.
Ma prima di calcolare la forza centrifuga e la celerità di questa materia sottile, bisognava assicurarsi ch’essa esistesse, e supposto ch’essa esista, è ancora da dimostrare che possa esser la causa della gravità.
Newton sembra annullare senza rimedio tutti questi vortici, grandi e piccoli, sia quello che porta i pianeti intorno al Sole, sia quello che fa girare ogni pianeta su se stesso.
Anzitutto, riguardo al preteso piccolo vortice della Terra, è provato ch’esso deve perdere a poco a poco il suo moto; è provato che, se la Terra naviga dentro un fluido, tale fluido dev’essere della medesima densità della Terra, e in tal caso tutti i corpi che noi muoviamo devono avvertire una straordinaria resistenza, il che significa che per sollevare il peso di una libbra occorrerebbe una leva della lunghezza della Terra.
In secondo luogo, i grandi vortici sono ancor più chimerici. È impossibile accordarli con le regole di Keplero, la cui verità è dimostrata. Newton dimostra che la rivoluzione del fluido entro cui si suppone sia portato Giove, non sta alla rivoluzione dei fluido della Terra come la rivoluzione di Giove sta a quella della Terra.
Egli dimostra che — poiché tutti i pianeti compiono le loro rivoluzioni in orbite ellittiche, e di conseguenza sono assai più lontani l’uno dall’altro nei loro afeli e assai più vicini nei loro perielii — la Terra, per esempio, dovrebbe muoversi più rapidamente quando si trova più vicina a Venere e a Marte, poiché il fluido che la porta subisce allora una sollecitazione maggiore e deve quindi muoversi più rapidamente; e invece, è proprio allora che il moto della Terra è più lento.
Egli dimostra che non vi è una materia celeste che vada da ovest a est, poiché le comete attraversano quegli spazi sia da est a ovest, sia da nord a sud.
Infine, per risolvere ancor meglio, se è possibile, ogni difficoltà, egli dimostra, o almeno rende assai probabile, anche per via di esperimenti, che il pieno è impossibile, e ci ripropone il vuoto, che Aristotele e Cartesio avevano bandito dal mondo.
Avendo rovesciato, per tutte queste ragioni e per molte altre ancora, i vortici del cartesianismo, Newton disperava ormai di poter mai sapere se vi sia nella natura un principio segreto, che di volta in volta cagioni il moto di tutti i corpi celesti e che dia origine alla gravità sulla Terra. Ritiratosi nel 1666 in campagna vicino a Cambridge, passeggiando un giorno nel suo giardino e vedendo dei frutti cadere da un albero, si abbandonò a una profonda meditazione su quella gravità di cui tutti i filosofi hanno per tanto tempo cercato invano la causa, e nella quale il volgo non sospetta alcun mistero. Egli si disse: «Da qualsiasi altezza quei corpi cadano nel nostro emisfero, la loro caduta avverrà certamente secondo la progressione scoperta da Galileo; e gli spazi percorsi da essi saranno pari al quadrato dei tempi. Questo potere che fa discendere i corpi gravi è sempre il medesimo, senza nessuna diminuzione sensibile, a qualsiasi profondità ci si trovi dentro la Terra e a qualsiasi altezza su una montagna. Perché tale potere non potrebbe estendersi fino alla Luna? E se è vero che esso arriva fin là, non è molto probabile che tale potere trattenga la Luna nella sua orbita e determini il suo moto? Ma se la Luna obbedisce a tale principio, qualunque esso sia, non è anche ragionevole ritenere che vi siano soggetti anche gli altri pianeti? Se tale potere esiste, esso deve aumentare (il che d’altronde è provato) in ragione inversa al quadrato delle distanze. Non resta dunque che esaminare quale cammino compirebbe un corpo grave cadendo sulla Terra da una piccola altezza, e il cammino percorso nel medesimo tempo da un corpo che cadesse dall’orbita della Luna. Per risolvere il problema, si tratta soltanto di avere le misure della Terra e la distanza dalla Luna alla Terra».
Ecco come ragionò Newton. Ma allora, in Inghilterra, non si possedevano del nostro globo che misure false; ci si riferiva all’incerto computo dei piloti, che calcolavano sessanta miglia inglesi per un grado, mentre bisognava calcolarne quasi settanta. Poiché questo calcolo errato non si accordava con le conclusioni che Newton voleva trarne, egli le abbandonò.
Un filosofo mediocre e vanitoso avrebbe fatto quadrare come poteva le misure della Terra col proprio sistema. Newton preferì abbandonare il suo progetto. Ma dopo che il signor Picard2 ebbe misurato esattamente la Terra, tracciando quel meridiano che fa tanto onore alla Francia, Newton riprese le sue idee d’un tempo, e riuscì nel conteggio grazie al calcolo del signor Picard. Una cosa che mi è sembrata sempre mirabile è che si siano scoperte verità così sublimi con l’aiuto d’un quadrante e di un po’ di aritmetica.
La circonferenza della Terra è di centoventitre milioni e duecentoquarantanovemila seicento piedi parigini. Ciò è sufficiente per dedurne tutto il sistema dell’attrazione.
Si conosce la circonferenza della Terra, si conosce quella dell’orbita della Luna, e il diametro di quest’orbita. La rivoluzione della Luna in quest’orbita avviene in ventisette giorni, sette ore e quarantatre minuti: è dunque dimostrato che la Luna, nel suo moto medio, percorre centosettantasettemila novecentosessanta piedi parigini al minuto; e per un noto teorema, è dimostrato che la forza centrale che facesse cadere un corpo dall’altezza della Luna, non lo farebbe cadere, nel primo minuto, che di quindici piedi parigini.
Ora, se la legge secondo la quale i corpi pesano, gravitano, si attirano in ragione inversa al quadrato delle distanze è vera, e se è il medesimo potere quello che agisce secondo tale legge in tutta la natura, è evidente che, la Terra essendo distante dalla Luna sessanta mezzi diametri, un corpo grave deve cadere sulla Terra percorrendo quindici piedi nel primo secondo, e cinquantaquattromila piedi nel primo minuto.
Ora, è proprio vero, in effetti, che un corpo percorre, cadendo, quindici piedi nel primo secondo, e cinquantaquattromila piedi (numero che è il quadrato di sessanta moltiplicato per quindici) nel primo minuto; sicché i corpi pesano in ragione inversa al quadrato delle distanze, ed è il medesimo potere che produce il peso sulla Terra e trattiene la Luna nella propria orbita.
Essendo dunque dimostrato che la Luna gravita sulla Terra, ch’è il centro del suo moto particolare, è dimostrato che la Terra e la Luna gravitano sul Sole, ch’è il centro del loro moto annuale.
Gli altri pianeti devono essere anch’essi soggetti a questa legge generale, e se tale legge esiste, questi pianeti devono seguire le leggi trovate da Keplero3. Tutte queste leggi, tutti questi rapporti sono in effetti seguiti dai pianeti con la massima esattezza; sicché il potere della gravitazione fa sì che tutti i pianeti gravitino, come il nostro globo, verso il Sole. Infine, la reazione di ogni corpo essendo proporzionale all’azione, è certo che la Terra gravita a sua volta verso la Luna, e il Sole verso l’una e l’altra; che ciascuno dei satelliti di Saturno gravita verso gli altri quattro, e i quattro verso di esso, tutti e cinque verso Saturno, e Saturno poi verso tutti; che lo stesso si può dire di Giove; che tutti questi globi sono attirati dal Sole, attirato a sua volta da loro.
Questo potere di gravitazione agisce in proporzione alla materia di cui son composti i corpi: è una verità che Newton ha dimostrato per via sperimentale. Questa nuova scoperta è servita a dimostrare che il Sole, centro di tutti i pianeti, li attira tutti in ragione diretta delle loro masse, combinate con le loro distanze. Da ciò elevandosi per gradi a nozioni che non sembravano fatte per lo spirito umano. Newton ha osato calcolare quanta materia contenga il Sole, e quanta ogni pianeta; e così ha dimostrato che, con le semplici leggi della meccanica, ogni globo celeste deve trovarsi necessariamente al posto in cui si trova. Il solo principio da lui enunciato sulle leggi della gravitazione spiega tutte le apparenti differenziazioni che si notano nel cammino dei globi celesti. Le variazioni della Luna diventano una conseguenza necessaria di tali leggi. Inoltre, è dimostrato con evidenza perché i nodi della Luna effettuano la loro rivoluzione in diciannove anni, e quelli della Terra nello spazio di circa ventiseimila anni. Il flusso e il riflusso del mare è anch’esso un effetto assai semplice dell’attrazione. L’avvicinarsi della Luna quando è piena e quando è nuova, e l’allontanarsi quando è nei suoi quarti, combinati con l’azione del Sole, spiega chiaramente l’innalzarsi e abbassarsi dell’oceano.
Dopo aver spiegato con la sua sublime teoria il cammino e le differenziazioni dei pianeti. Newton fece dipendere il moto delle comete dalla medesima legge. Quei fuochi così a lungo ignoti, ch’erano il terrore del mondo e lo scoglio della filosofia, collocati da Aristotele al di sotto della Luna e rimandati da Cartesio al di sopra di Saturno, sono stati finalmente collocati al loro vero posto da Newton.
Egli ha provato che si tratta di corpi solidi, che si muovono nella sfera dell’azione solare, e descrivono una ellisse così eccentrica e tanto simile alla parabola che alcune comete debbono impiegare più di cinquecento anni per compiere la loro rivoluzione.
Halley4 ritiene che la cometa del 1680 sia la stessa che apparve al tempo di Giulio Cesare: questa soprattutto serve più di ogni altra a dimostrare che le comete sono corpi duri e opachi, giacché essa scese tanto vicina al Sole da non distarne che un sesto del suo disco, e dove di conseguenza acquistare un grado di calore duemila volte più forte di quello del ferro più rovente. Avrebbe dovuto esserne dissolta e consumata in poco tempo, se non fosse stata un corpo opaco. Cominciava allora la moda di predire il percorso delle comete. Il celebre matematico Jacques Bernouilli5 giunse col suo sistema a prevedere che la famosa cometa del 1680 sarebbe ricomparsa il 17 maggio 1719. Quella notte nessun astronomo d’Europa si coricò, ma la famosa cometa non comparve. V’è quanto meno maggiore abilità, se non maggior sicurezza, a darle cinquecentosessantacinque anni di tempo per ritornare. Un matematico inglese di nome Wilston6, ma più sognatore che matematico, ha affermato con tutta serietà che al tempo del diluvio c’era stata una cometa che — secondo lui — avrebbe inondato il nostro globo; ed ha poi avuto il torto di stupirsi che ci si sia burlati di lui. L’antichità pensava press’a poco nello stile di Wilston: credeva che le comete preannunziassero sempre qualche grande sventura sulla Terra7. Newton, invece, congettura ch’esse siano assai benefiche, e che i vapori che partono da esse non servano se non a soccorrere e a vivificare i pianeti, i quali s’imbevono durante il loro percorso di tutte quelle particelle che il Sole ha staccato dalle comete. Tale supposizione è almeno più verosimile dell’altra.
Non è tutto. Se la forza di gravità d’attrazione agisce in tutti i globi celesti, essa agisce senza dubbio su tutte le loro parti. Infatti, se i corpi si attirano in ragione delle loro masse, ciò non può avvenire che in ragione della quantità delle loro parti; e se tale potere è posto nel tutto, lo è senza dubbio anche nella metà, lo è nella quarta parte, nell’ottava parte, e così all’infinito. Inoltre, se tale potere non esistesse ugualmente in ogni parte, vi sarebbe sempre qualche parte del globo che graviterebbe più delle altre, il che non avviene. Dunque tale potere esiste realmente in tutta la materia e nelle sue più piccole particelle.
Così, ecco che l’attrazione è là grande molla che fa muovere tutta la natura.
Dopo aver dimostrato l’esistenza di questo principio, Newton aveva previsto che ci si sarebbe ribellati alla sua semplice enunciazione. In più d’un passo del suo libro8 egli mette in guardia il lettore nei confronti dell’attrazione, lo avverte di non confonderla con le proprietà occulte attribuite ai corpi dagli antichi, e di contentarsi di sapere che vi è in tutti i corpi una forza centrale, la quale agisce da un capo all’altro dell’universo sui corpi più vicini come in quelli più lontani, secondo le leggi immutabili della meccanica.
È stupefacente come, dopo le solenni proteste di questo grande filosofo, Saurin9 e Fontenelle, anch’essi degni di tal nome, gli abbiano rimproverato nettamente di seguire le chimere del peripatetismo: Saurin nelle Memorie dell’Accademia del 1709, e Fontenelle nell’elogio stesso di Newton.
Quasi tutti i Francesi, fossero o non fossero scienziati, hanno ripetuto lo stesso rimprovero. Si sente dire dovunque: «Perché Newton non si è servito della parola impulso, che si capisce così bene, anziché del termine attrazione, che è incomprensibile?». Newton avrebbe potuto rispondere a questi critici:
«Anzitutto, voi non capite la parola impulso più di quel che non comprendiate il vocabolo attrazione, e se non afferrate perché un corpo tenda verso il centro di un altro, non potete nemmeno concepire per quale virtù un corpo ne possa spingere un altro.
«In secondo luogo, non ho potuto ammettere l’impulso perché bisognerebbe, per far questo, ch’io avessi cognizione di una materia celeste che sospinge effettivamente i pianeti; ora, non soltanto io non conosco affatto tale materia, ma ho anzi dimostrato che non esiste.
«In terzo luogo, non mi servo della parola attrazione se non per designare un effetto da me scoperto nella natura, effetto sicuro e indiscutibile di un principio ignoto, qualità inerente alla materia, di cui altri più abili di me troveranno, se possono, la causa».
— Che cosa ci avete dunque insegnato — si insiste ancora — e perché tanti calcoli per dirci ciò che voi stesso non comprendete?
«Vi ho insegnato — potrebbe continuare Newton — che la meccanica delle forze centrali fa gravitare tutti i corpi in proporzione alla loro materia, e che solo queste forze centrali fanno muovere i pianeti e le comete nelle proporzioni determinate. Vi dimostro ch’è impossibile vi sia un’altra causa del peso e del moto di tutti i corpi celesti; infatti, poiché i corpi gravi cadono sulla Terra secondo la proporzione determinata dalle forze centrali, e i pianeti compiono il loro percorso secondo le medesime proporzioni, se vi fosse ancora un altro potere che agisse su tutti i corpi, esso ne aumenterebbe la velocità o ne muterebbe la direzione. Ora, nessuno di tali corpi possiede un solo grado di moto, di velocità, di determinazione, che non sia dimostrato esser l’effetto delle rispettive forze centrali: è quindi impossibile che esista un altro principio».
Mi sia concesso di far parlare ancora un momento Newton. Egli sarebbe nel suo diritto se dicesse: «Mi trovo in condizioni molto diverse da quelle degli antichi. Essi, ad esempio, vedevano l’acqua salire nelle pompe e dicevano: “L’acqua sale perché ha orrore del vuoto“. Ma io mi trovo nella situazione di chi abbia notato per primo l’acqua salire nelle pompe e lasci ad altri la cura di spiegare la causa di tale fenomeno. L’anatomista che per primo ha detto che il braccio si muove perché i muscoli si contraggono, ha insegnato agli uomini una verità incontestabile; gli si dovrebbe forse esser meno obbligati perché non conosceva la causa della contrazione dei muscoli? La causa dell’elasticità dell’aria è ignota; ma chi ha scoperto tale elasticità, ha reso un grande servigio alla fisica. La forza che io ho scoperto era più segreta, più universale; merito, quindi, maggior gratitudine. Ho scoperto una nuova proprietà della materia, uno dei segreti del Creatore; ne ho calcolati e dimostrati gli effetti; come si fa a cavillare sul nome che le attribuisco? Sono i vortici che si devono definire una proprietà occulta, giacché non si è mai provata la loro esistenza. L’attrazione, invece, è una realtà, giacché se ne dimostrano gli effetti e se ne calcolano le proporzioni. La causa di questa causa è nel grembo di Dio».
Procedes huc, et non ibis amplius10.
NOTE
(*) Nel presentare questa lettera alla rivista dell’Associazione per l’Insegnamento della Fisica (AIF), La Fisica nella Scuola n° 4 dell’Ottobre-dicembre 1978, Elio Fabri diceva:
“Duecento anni fa moriva Francois Marie Arouet, letterato e filosofo, universalmente conosciuto con lo pseudonimo di Voltaire. Mentre la sua fama è soprattutto dovuta a opere come « Candido » e il « Dizionario filosofico », il brano che presentiamo è tratto dalle « Lettere inglesi », scritte intorno al 1730. ‘
Questa 15.ma lettera sul « sistema dell’attrazione », cioè sulla gravitazione e sulla meccanica newtoniana, presenta in modo sintetico, ma non direi divulgativo, i principali aspetti fisico-filosofici dell’opera di Newton. Voltaire non è uno scienziato, e non scrive per gli scienziati: di conseguenza il testo non è privo di qualche approssimazione e anche di inesattezze, sulle quali però sarebbe pedante soffermarsi.
Il senso della lettera è duplice: da un lato essa è un esplicito attacco al cartesianismo allora dominante in Francia; dall’altro si presenta come una delle «Lettere», che nel loro insieme mirano a propagandare gli ideali e i risultati della rivoluzione borghese — già vittoriosa in Inghilterra con un secolo di anticipo sul 1789 — e nello stesso tempo, mettendo a confronto le istituzioni e i costumi dei due Paesi, a combattere pregiudizi e a smitizzare persone, idee e regole sociali.
Mi sembra assai significativo, per capire la portata storica di Newton (e di tutta la scienza inglese del Sei-Settecento) osservare come secondo Voltaire il sistema newtoniano sia parte integrante del « nuovo ordine », e come ritenga perciò necessario diffonderne la conoscenza nella cultura del suo Paese.
Venendo più da vicino al testo, vorrei solo richiamare l’attenzione del lettore sulla concezione niente affatto speculativa, ma molto concreta, che Voltaire ha dei rapporti fra scienza e filosofia: non è con discorsi astratti o con ingegnosi schemi concettuali che si capisce il mondo, ma con l’aderenza ai fatti e con l’uso dello strumento matematico. Le pagine finali, se si pensa che hanno 250 anni, appaiono di un’inattesa modernità epistemologica“.
1 – Come è stato dimostrato dal Lanson, Voltaire, più che da una lettura diretta dell’opera newtoniana, trae l’esposizione della sua dottrina (del resto alquanto confusa) da H. Pemberton, A view of sir Isaac Newton’s philosophy (1728), Fontanelle, Eloge de Newton, e Maupertuis, Discours sur les différentes figures des astres (1732).
2 – Jean Picard (1620-82), astronomo francese, aveva effettuato nel 1669 la misurazione del grado di meridiano.
3 – Johannes Kepler (1571-1630), grande astronomo tedesco, contemporaneo di Galileo. Pur rimanendo fedele al sistema copernicano, eliminò i vari cerchi rimasti per tanti secoli il fondamento dei calcoli astronomici, compiendo così una profonda riforma.
4 – Edmund Halley (1656-1742), astronomo inglese, autore di vari celebri lavori sulle comete, tra cui A synopsis of the astronomy of comets (1705), in cui stabilì l’ellitticità dell’orbita.
5 – Jacques Bernoulli (1654-1705), matematico svizzero, scrisse tra 1’altro un trattato sul calcolo delle probabilità e un Examen novi systematis cometarum (1682).
6 – William Whiston (1667-1752), teologo e astronomo inglese, successore di Newton nella cattedra di matematica nell’Università di Cambridge, autore di una Nuova teoria della Terra (1696), in cui tentava di spiegare con il diluvio universale tutti i mutamenti del globo terrestre. Nel 1714 vi aggiunse un’appendice nella quale attribuiva il diluvio all’incontro della Terra con una cometa.
7 – Nei suoi celebri Pensées diverses sur la comete (1682) Pierre Bayle aveva combattuto la teoria che le comete fossero presagio di disgrazie.
8 – Philosophiae naturalis principia mathematica.
9 – Joseph Saurin (1655-1733), sacerdote e matematico.
10 – “Avanzerai fino a qui, ma non procederai oltre“: GIOBBE, XXXVIII, 11.
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