KARL MARX: SUL CONCETTO DI FUNZIONE DERIVATA

Dai Manoscritti Matematici di K. Marx

Presentazione di Lucio Lombardo Radice

Introduzione di Roberto Renzetti

Introduzione         Credo sia noto a tutti che Marx fosse un economista ed un filosofo, oltreché un politico. Meno noto è il fatto che per permettere la lettura delle cose che scriveva dovesse spiegare in modo, da lui ritenuto semplice, alcuni concetti di analisi matematica. Lessi lo scritto che qui presento nel 1972, quando era molto vivo il dibattito sull’uso della scienza e sulla sua non neutralità. Tale dibattito era figlio del 1968 nelle facoltà scientifiche. Lo scritto si trovava in una Appendice al famoso Quaderno di Critica Marxista n° 6, Sul Marxismo e le Scienze (è notevole il fatto che scriveva su questo quaderno anche uno dei convertiti a Moratti, tal Silvano Tagliagambe che, tra l’altro, scriveva di ideologia dura!). Ma è meglio non rivangare altrimenti dovrei enumerare centinaia di cadaveri politici convertiti sulla via del potere e del denaro.         Ciò che è d’interesse invece è il fatto che Marx conoscessea bene questa matematica e ciò non dovrebbe sorprendere chi conosce gli scritti di famosi ideologi del comunismo. Engels, anche se in modo molto schematico, scriveva di fisica (e non solo) nel suo Dialettica della Natura (Editori Riuniti, 1971), Lenin mostrava di conoscere molto bene il livello del dibattito nella fisica di fine Ottocento nel suo Materialismo ed Empiriocriticismo (Editori Riuniti, 1973), scritto per ribattere le tesi neopositiviste di Mach. Difficile oggi incontrare persone che abbiano stessi livelli di competenza. Se ci si rivolge al mondo della politica abbondano i comizianti ed i chiacchieroni e comunque il potere non è certo delle persone che hanno solide basi culturali. Una controprova di quanto dico è vedere il  livello del dibattito quotidiano. Veramente deprimente.         Da ultimo devo accennare a Lucio Lombardo Radice che è stato, oltre ad un grande matematico, colui che ha introdotto in Italia l’Algebra Astratta (basti solo ricordare la Collana di Algebra della Feltrinelli da lui diretta). Era uno dei motori dell’Istituto Matematico Guido Castelnuovo, una specie di contropotere del barone Fichera che era tanto erudito in matematica, quanto scostante e reazionario. Quando il laico Lombardo Radice fu salutato alla sua scomparsa nell’Istituto di matematica, non fui il solo a cogliere le risa di Fichera ed assistenti che osservavano dalla galleria del primo piano. Su Lombardo Radice vi sarebbe moltissimo da dire ma rimando a quanto ne ha scritto Carlo Bernardini. Voglio solo ricordare i contributi di questo personaggio che fu uno dei riferimenti per tutti noi negli anni precedenti il 1968. Lo ricordo ancora, proprio nel 1968 a dare solidarietà ad Edoardo Amaldi, aggredito dai fascisti guidati da Almirante e Caradonna, il giorno in cui assaltarono la Facoltà di Legge alla Sapienza. Il suo fisico era tanto imponente quanto bonario: egli aveva sempre delle parole di sostegno e conforto per chi ne avesse bisogno. In particolare egli fu un punto fermo nello sviluppo della didattica della matematica. Seppe costruire intorno a sé un gruppo  di personalità tra cui vanno ricordate la Mancini Proia e la Emma Castelnuovo. Leggiamo con attenzione la presentazione di Lombardo Radice di questo scritto matematico di Marx.

Roberto Renzetti

Presentazione

     Il saggio che qui pubblichiamo fu scritto da Marx per Engels («per il Generale», leggiamo nel manoscritto, e «Generale» era uno dei soprannomi familiari di Friedrich Engels in casa Marx); fu scritto nel 1881, e letto da Engels il 17 agosto di quell’anno. «Ieri dunque finalmente mi sono fatto coraggio e ho studiato anche senza l’ausilio di libri, i tuoi manoscritti di matematica; sono stato contento di vedere che non avevo bisogno dei libri» (Engels a Marx a Londra, 18 agosto 1881).

         Engels non ebbe bisogno di libri, il lettore non avrà bisogno di molti commenti, il testo è quanto mai perspicuo, «la faccenda è talmente chiara come la luce del sole» (Engels, lettera citata), che sarebbe davvero un «pedantesco affronto», per usare una espressione di Galilei, frapporre tra il lettore ed il limpido testo marxiano le ombre delle minuziose precisazioni storiche e tecniche, che sono invece al loro posto nella edizione critica dalla quale abbiamo tratto il testo tedesco (pubblicato per la prima volta in K. MARX, Matematičeskie rukopisi (Manoscritti matematici) nel 1968 a Mosca dall’ Istituto per il marxismo-leninismo  del Cc del Pcus (Izdatel’stvo «Nauka». Glavnaja redakcija fiziko-matematičeskoj literatury); una traduzione russa, non completa, era invece già comparsa nel 1933 nella raccolta Marxismo e scienze naturali, edita a Mosca).

       Ci limitiamo perciò ad un breve commento matematico, facendolo seguire da un commento filosofico non più lungo (la questione investigata, e risolta, da Marx, è relativa ai fondamenti del calcolo infinitesimale: cioè filosofica.        Marx nega un’esistenzamatematica primaria (non riflessa) ai differenziali dx e dy, nega cioè l’esistenza di infinitesimi attuali, di quantità infinitamente piccole ma non nulle. Egli analizza il processo di passaggio da una funzione y = f(x) alla sua derivata. Lo analizza dal punto di operativo. Per prima cosa occorre costruire i1 rapporto incrementale, cioè il rapporto tra l’incremento  f(x1) – f(x) della funzione e quello x– x della variabile indipendente: si ha così una funzione, diciamo F(x,x1), che Marx chiama derivata provvisoria. Fin tanto che gli incrementi sono finiti vi è uguaglianza tra il rapporto incrementale e la derivata provvisoria (tra il primo e il secondo membro). Quando invece x1 varia, ritornando al valore x di partenza,  mentre a secondo membro abbiamo una normalissima trasformazione algebrica, in quanto F(x,x1) diventa F(x,x) (e, nei casi elementari trattati da Marx, F(x,x1), come funzione di  x1 è perfettamente definita per x1 uguale a x), a primo membro il rapporto incrementale perde un significato operatorio effettivo, in quanto si tramuta nel rapporto 0/0. Tale rapporto, che con Leibniz scriviamo come «quoziente differenziale» dy/dx, è per Marx allora null’altro che il simbolo della operazione “algebrica” effettivamente compiuta nel secondo membro: non ha una esistenza propria. Sono «figure d’ombra senza corpo», «venute al mondo con una sola faccia» (einseitig); «seguaci-replica [Doppelgänger] simbolici»[sono parole di Marx in un altro manoscritto Matematico, Uber das Differential (op cit., p.  54, passim)] del processo reale di passaggio da una funzione originaria, f(x), alla sua “derivata definitiva”, f'(x), processo che si svolge tutto a secondo membro.

       Nel manoscritto sopra tradotto, Marx dà quattro esempi. Nel primo quello della y proporzionale alla x,  y = ax (Marx considera però a parte il caso a = 1), nella “derivata provvisoria” non figu rano  x  e  x1,  in  quanto il rapporto  incrementale  è  costante,  uguale ad  a;  in  questo primo caso , il più semplice  di tutti,  si hanno  due  peculiarità:  1)  il rapporto  incrementale coincide col suo limite (col rapporto dei differenziali);  2) il procedimento di derivazione si interrompe dopo il primo passo, perché non più applicabile alla derivata (o, ad essere pedanti, applicabile ancora ma con risultato zero).  Marx  considera poi il caso  di una funzione  polinomiale (caso algebrico in senso stretto), di grado maggiore di uno; in questo caso nell’incremento della funzione si può mettere facilmente in evidenza il fattore x—x1, passando  al rapporto  incrementale viene quindi subito una  funzione  F(x,x1) definita per x = x1; il procedimento  algebrico  che  si svolge  a secondo membro acquista tutta la sua ricchezza,  pur restando tecnicamente molto semplice. Marx si occupa infine di una funzione ” trascendente”, la funzione esponenziale y = ax e constata che un procedimento “algebrico” (in questo caso, il commentatore pedante preferirà dire oggi “analitico”) è ancora possibile. Abbiamo omesso il quarto esempio addotto da Marx nachträglich (in una “aggiunta”), quello di «un caso nel quale il fattore x— x non può essere estratto direttamente dalla prima equazione alle  differenze  [finite], [che conduce] alla “derivata provvisoria”». Il caso trattato da Marx nella aggiunta è quello della funzione 

con il radicale inteso in senso aritmetico (positivo).  

       Ma, lo ripetiamo, non ci sembra il caso di soffermarci sugli sviluppi strettamente matematici, e meno che mai sulla non conoscenza di Marx della  fondazione  critica  dell’analisi,  da  Cauchy  a  Weierstrass  (tale  limite, d’altronde, mette in grande risalto la genialità di Marx, che arriva in modo autonomo a criticare, costruttivamente, la fondazione “mistica” del calcolo infinitesimale). Quando Engels invia a Marx, il 21 novembre 1882, un «tentativo matematico» del comune amico Samuel Moore, Marx risponde (il giorno successivo) alla osservazione di Moore, secondo la quale «the algebraic method is only the differential method disguised », replicando, che a questo modo, egli potrebbe mettere da parte tutto lo «svolgimento storico dell’analisi dicendo che in via pratica nulla è cambiato sostanzialmente nell’applicazione geometrica del calcolo differenziale […]».

        Si tratta, anche questo lo ripetiamo, di una questione relativa ai fondamenti del calcolo differenziale, considerato nel suo sviluppo storico,      

«cominciando dal metodo mistico di Newton e Leibniz, passando poi al metodo razionalistico di d’Alembert e di Eulero e concludendo con il metodo rigorosamente algebrico del Lagrange (che purtuttavia parte dalla medesima originaria concezione fondamentale di Newton-Leibniz) ».

       Abbiamo citato un altro passo della lettera di Marx ad Engels del 22 novembre 1882; passo che oggi ci viene ben chiarito dalla pubblicazione, nel volume dei Manoscritti matematici, di ampie note di Marx sul « corso dello  sviluppo  storico »  del calcolo  infinitesimale  (op. cit., p.  164 sgg.). Non intendiamo qui appesantire il commento illustrando le varie fasi elencate da Marx nella lettera ad Engels. Ci limitiamo alle prime righe dello scritto,  dalle quali risulta chiaramente perché Marx parla, a proposito di Newton-Leibniz (senza fare, come usa Engels, differenza tra i due a favore del dialettico Leibniz contro l’empirista Newton), di «calcolo differenziale mistico». «x1 = x  +  Dx sin dall’inizio viene mutato in  x= x + dx […] dove dx è presupposto [dato] mediante una definizione metafisica. Prima esiste, e poi viene  definito ».

        Marx rovescia la fondazione: derivate e differenziali non sono entità («sostanze» di tipo metafisico) di per sé esistenti, bensì simboli di operazioni, e pertanto vengono definiti operatoriamente. Non c’è dubbio che la impostazione di Marx si colloca su di una grande via dì pensiero moderna (Albert Einstein, Norbert Wiener) che è quella della definizione operativa;  che,  in particolare, nel caso  di una funzione  polinomiale  il “metodo algebrico” di Marx apre la via a sviluppi matematici importanti (ai quali certo  Marx non poteva pensare, per quel che concerne  i loro contenuti), cioè a una definizione operativo-formale della derivata di una funzione polinomiale  a coefficienti in un campo qualunque,  definizione del tutto indipendente dalle considerazioni di continuità e di limite che caratterizzano le funzioni di variabile reale. Non c’è dubbio, più in generale,  che  Marx  dedica  tanta  attenzione  e  tanto  sforzo  di pensiero  negli ultimi anni della sua vita alla fondazione del calcolo infinitesimale, perché trova in esso un argomento decisivo contro una interpretazione metafisico- mistica della legge dialettica della negazione della negazione.

   Vorrei  fermare  quindi  un  momento  l’attenzione  su  questo  nucleo  filosofico  delle  riflessioni  matematiche  di  Marx.  Precisamente,  vorrei fare qualche considerazione sulla nuova luce che i Manoscritti matematici di Marx (parlo di quelli relativi alla fondazione del calcolo differenziale), gettano su concordanze e su differenze esistenti di fatto tra il pensiero di Karl Marx e quello di Friedrich Engels, relativamente alla dialettica della natura e alla dialettica delle scienze naturali ed esatte.

       Vien fuori innanzitutto, mi pare, una conferma del fatto che Marx non limitava  la   dialettica  alla  storia  umana, che era convinto, non meno di  Engels,  del  fatto  che  i  processi  naturali  e  le  scienze  che  li  riflettono (o meglio, li ” imitano “) hanno una loro dialettica, e che tra le due dialettiche,  quella storico-umana e quella storico-naturale, vi è un rapporto molto stretto. Ho già trattato altre volte questo argomento (per esempio, nella Introduzione alla edizione 1967 della Dialettica della natura di Engels); la contrapposizione Marx-Engels su questo terreno mi pare del resto ormai  liquidata,  come contrapposizione diametrale,  dai più recenti studi italiani su Engels (parlo dei Saggi sul materialismo di Sebastiano Timpanare jr., di Engels e il materialismo dialettico di Eleonora Fioroni, e soprattutto del capitolo su « Engels e la dialettica della natura », che occupa una posizione centrale nel quinto volume della grande Storia del pensiero fìlosofico e scientifico di Ludovico Geymonat).

        Viene, nel tempo stesso, illuminata e precisata una qualche differenza (con sue “variazioni” che non consentono schematizzazioni) tra la concezione che ebbero della dialettica della natura Marx da una parte, Engels dall’altra; anzi, per la inseparabilità di una dialettica della natura da una generale concezione dialettica, una qualche differenza tra Marx ed Engels nel concepire il processo di «negazione  della negazione».

        Nella pagina dell’Antidühring dedicata al rapporto differenziale (alla derivata), mi pare che Engels batta la strada, che Marx rifiuta in partenza, della negazione della negazione come un semplice porre e poi togliere.

«Invece di x e y io ho, nelle formule o nelle equazioni che mi stanno davanti, la loro negazione, dx e dy. Ora io continuo a calcolare con queste formule, tratto dx e dy come grandezze reali, anche se sottoposte a certe leggi eccezionali, e ad un certo punto nego la negazione, cioè integro la formula differenziale, al posto di dx e di dy ottengo di nuovo le grandezza reali x e y, ma non mi trovo di nuovo al punto in cui ero in principio; invece ho così risolto un problema sul quale la geometria e l’algebra si sarebbero forse invano affaticate ».

       Il  discorso  di Engels è qui piuttosto assertorio;  poiché  il  processo differenziale non viene chiarito,  si ha l’impressione  di una dialettica ancora collocata sulla testa, ancora “mistica”. Si potrà obiettare, e penso con ragione, che l’Antidühring esce nel 1877-78; che Engels, dopo la scoperta di Marx del 1881, avrebbe riscritto diversamente quella pagina. Tuttavia, pur accettando per buona la tesi (che meriterebbe qualche verifica)  di una piena comprensione  da parte  di Engels  della “demistificazione” dei differenziali operata da Marx (bisognerebbe, per esempio, leggere e rileggere con rigore filologico e filosofico la reinterpretazione che dà Engels dello scritto di Marx che qui si pubblica nella lettera citata del 18 agosto), resta aperto il problema di una, o più ” oscillazioni ” di Engels, anche dopo il 1881, relativamente alla concezione dialettico-operativa (“metodo algebrico di Marx”) del differenziale.

     Si tratta, a me pare, di due oscillazioni in verso opposto. Innanzitutto, perdura in Engels il gusto di affermare che «rettilineo e curvilineo» sono «identificati in ultima istanza dal calcolo infinitesimale» (Dialettica della natura, ed. cit. p. 272):

 «Quando la matematica del rettilineo e del curvilineo era quasi esaurita, una nuova strada, estendentesi quasi all’infinito viene aperta dalla matematica che concepisce il curvilineo come rettilineo (triangolo differenziale) e il rettilineo  come curvilineo (curva del primo ordine, con curvatura infinitamente piccola). O metafisica! » (ivi, p. 274).

       Insomma, mentre Marx negava recisamente, come pura “chimera”, l’idea di un infinitamente piccolo, per così dire intermedio tra lo 0 e il finito,  e asseriva “brutalmente” che una differenza o è finita o è nulla, Engels resta legato alla idea di un «infinitesimo non quanto» (come diceva Galileo) e insieme non nullo, non riesce a staccarsi completamente dalla concezione “mistica” di Leibniz. Dalla parte opposta, c’è un tentativo, del resto assai interessante, di Engels (in particolare in un lungo brano scritto probabilmente  per  l’Antidühring;  vedi Dialettica  della natura, ed. cit. p. 274  e  sgg.)  di  dare  una  interpretazione  naturalistica  del  differenziale,  paragonando l’infinitesimo  matematico  all’indivisibile  fisico,  il  differenziale alle molecole e agli atomi.

«Il  mistero che  ancor oggi  circonda le grandezze usate nel calcolo infinitesimale — i differenziali e gli infiniti dei differenti ordini —, è la migliore dimostrazione del fatto che si  ha  ancor  sempre  la  convinzione  di  avere  a  che  fare  in questo campo con pure “libere creazioni e immaginazioni ” dello spirito umano, per le quali il mondo obiettivo non offrirebbe alcun corrispettivo. E tuttavia siamo proprio nel caso opposto. La natura offre i prototipi per tutte queste grandezze immaginarie […] la natura opera con questi differenziali, le molecole, proprio nello stesso modo e proprio secondo le stesse leggi e con le quali la matematica opera con i suoi astratti differenziali ».

        Queste oscillazioni non stupiscono, e tanto meno “scandalizzano”. Se pure la interpretazione <dgebrico-operativa di Marx del rapporto differenziale  è quella che, oggi più a convince (e meglio ci aiuta, tecnicamente e filosoficamente), commetteremmo un grave errore nel considerare chiusa, chiarita  definitivamente,  quella  dialettica  discreto-continuo,  quanto-infinitesimo, che ha travagliato scienza e filosofia per millenni, e che continua a svilupparsi in forme sempre nuove.

   Un’ultima considerazione, di carattere più generale. I Manoscritti matematici di Marx ci danno una indicazione metodologica validissima sul rapporto scienza-filosofia.  Marx certo non “giocava” colla matematica;  nelle lettere sui differenziali, ci sono anche la questione egiziana o problemi di economia politica. Egli riteneva essenziale andare in profondità, nella questione  della fondazione  del calcolo  differenziale, perché intuiva che quella era la via per chiarire la legge (generalissima) della “negazione della negazione”, per  “pensare meglio” non solo localmente ma globalmente. Il superamento della barriera tra le due culture non può e non deve essere un enciclopedismo (o impossibile o inutile), ma la piena comprensione dei fondamenti dei diversi metodi e indirizzi di ricerca, dalla storia alle scienze della natura alla matematica, per una reciproca fecondazione delle diverse, ma non divergenti, ” strade di pensiero “.  

l.  l.  r.

(Il lavoro di Marx è in PDF. Per leggerlo e scaricarlo vai a PAGINE => DOCUMENTI)



Categorie:Senza categoria

Rispondi