LA POSIZIONE SULLA SCIENZA DEGLI “SCAPESTRATI” DEL 1968

[Questa parte è stralciata dall’articolo I nuovi inquisitori perché credo meriti una riflessione a parte. Il libro di Enrico Bellone di cui si parla è La scienza negata e chi volesse capire meglio il punto di partenza della questione può appunto andare a leggere I nuovi inquisitori]

Ho riportato moltissime cose dal bel libro di Bellone. Ho condiviso, come annunciato tutti i suoi giudizi, meno la sufficienza con cui si liquida il 1968 come antiscientifico tout-court. Dice Bellone: 

Il discredito che governi e forze occulte avevano sparso sulla comunità scientifica italiana e l’opinione, diffusa ad arte, che negli enti di ricerca il potere fosse nelle mani i truffatori, (…) si legò, sul finire degli anni Sessanta, con i punti di vista che, da sinistra, raffiguravano le università come strumenti ideologici della borghesia e gli enti di ricerca come strumenti del dominio tecnologico del capitale.

In quegli anni non ero un teorico di queste cose. Non ne avrei avuto la capacità. Ero un assiduo lettore di tutto ciò che si pubblicava in proposito, soprattutto da autori italiani (toglierei subito dalla circolazione il mito di un 1968 improntato a Marcuse: davvero non c’era chi lo apprezzasse se non, forse, qualche frangia aristocratica che il 1968 lo guardava dal balcone mentre gli sfilava sotto).

Gli studiosi che, nelle facoltà scientifiche, hanno più scritto e più sono stati letti a me risultano essere: Silvio Bergia, Angelo Baracca, Marcello Cini, Arturo Russo, Stefano Ruffo, Giovanni Ciccotti, Ludovico Geymonat, Giulio Giorello, Franco Selleri, Ugo Giacomini, Elisabetta Donini, Giovanni Jona-Lasinio …  Non ho mai letto, in questi autori, una negazione del valore conoscitivo della scienza, neppure in Cini che all’epoca non era su posizioni newagiste. 

Ma, per confutare ciò che dice Bellone, occorre proprio tornare al discredito che agli inizi degli anni Sessanta, vari governi e varie forze occulte, gettarono sulla scienza e sugli scienziati (quando non eliminarono fisicamente chi rivendicava vie autonome). La cosa è ricordata da Bellone ma, evidentemente, ne traiamo conclusioni differenti. 

Era il 1963 quando mi iscrissi a fisica. E quell’anno fu un anno drammatico per le sorti della scienza (e non solo) nel nostro Paese. Certe analisi che riguardano la storia esterna dovrebbero essere fatte da Bellone e da chi condivide le sue analisi su questa vicenda. Il rinchiudersi su una scienza che dovrebbe vivere di vita propria rischia di non cogliere molti aspetti che, quantomeno, meritano di essere discussi. Tento di ricapitolare.

Il 1963 è l’anno in cui si tenta la prima esperienza di centrosinistra in Italia. Si avvia il governo Moro che include per la prima volta i socialisti (quelli seri) al governo del Paese. I socialisti entrano al governo con alcune richieste di fondo tra cui, quelle che più interessano le cose che dico sono: nazionalizzazione dell’energia elettrica e scuola media unica con l’eliminazione dell’avviamento professionale dopo la quinta elementare. La contropartita non viene richiesta dalla Democrazia Cristiana (bastava il sostegno numerico in Parlamento) ma imposta dagli Stati Uniti che, da quel momento, iniziano a tagliare l’erba sotto i piedi della costruzione dell’emancipazione del nostro Paese. Proprio in quell’anno ed agli inizi del successivo accadono, con la presenza inquietante dei servizi segreti USA, alcuni fatti straordinari: 

– viene ammazzato Mattei che aveva tentato la via dell’affrancamento energetico italiano dalle Sette Sorelle del Petrolio (vedi: http://www.fisicamente.net/index-68.htm);

– viene incriminato Ippolito, segretario generale del CNEN, con accuse ridicole. Ippolito lavora alacremente su progetti che prevedono la costruzione di centrali nucleari a brevetto italiano (vedi: http://www.fisicamente.net/index-68.htm). La sua condanna rapidissima ad 11 anni, su una campagna orchestrata da quel buffone di Saragat (poi premiato con la Presidenza della Repubblica) chiude ogni nostra velleità sul nucleare nazionale;

– viene svenduto alla Fairchild Semiconductor il settore computers, molto avanzato, della Olivetti. Con ciò muore ogni nostra velleità di inserirci in tale mercato;

– il direttore dell’Istituto Superiore di Sanità, Domenico Marotta, fu arrestato per irregolarità amministrative, anch’egli con accuse ridicole. La strada del brevetto di nuovi farmaci ci fu così preclusa.

Ecco, su questi fatti fondamentali si iniziavano a formare coloro che poi avrebbero partecipato, nelle facoltà scientifiche, al 1968. Alcune speranze di chi si iscriveva a fisica, come me, fidando negli appelli di Giorgio Salvini in TV, si infrangevano miseramente. Si veniva ridimensionati al nulla, si era denigrata la classe scientifica che operava alla frontiera e della scienza e della tecnologia e dell’economia. Eravamo stati colpiti nei nostri interessi nazionali nel modo più subdolo e doloroso. La classe politica non sembrava reagire o reagì debolmente (solo il PCI ed il PRI). Noi ci formavamo sulle dure prese di posizione, ad esempio, di Amaldi. Seguivamo ogni attività che denunciasse questo duro attacco alla scienza e tecnologia emergenti del nostro Paese. Ecco, questo è il punto chiave della situazione. La scienza era attaccata altrove e, anche qui, non si scambino cause con effetti. Nelle facoltà scientifiche nessuno mai ha attaccato la scienza. Non vi è stata opera di denigrazione nei riguardi di nessuno. Si lavorava insieme e, se qualche effetto dei rivolgimenti del 1968 si è avuto, era probabilmente a medicina, contro quelle baronie che, comunque, continuano indisturbate. Il caso citato da Bellone e denunciato ripetutamente da Carlo Bernardini (caro amico con il quale questo è stato un punto continuo di divergenza), quello del blocco per un certo periodo nella costruzione dell’acceleratore Adone e quindi della perdita, in un momento favorevole, di competitività internazionale, è forse un unico caso. Se è comprensibilissima l’irritazione di chi lavorava in quel settore alla frontiera della conoscenza (Bernardini, uno dei massimi fisici italiani, cocreatore di ADA, vedi http://www.fisicamente.net/index-584.htm ), non si deve dimenticare che la lotta, in  quel periodo, era contro quei governi che avevano fatto dei danni irreversibili proprio al mondo della ricerca, come accennato (i casi vergognosi che Bernardini denunciò, anche alla magistratura, senza esito, riguardano un periodo immediatamente seguente al 1968. Riguardano il famigerato Collettivo di Fisica, banda di teppisti agli ordini di uno strano personaggio, M.P., che scorrazzava impunito in Istituto per ottenere esami gratis, con minacce squadriste). L’altra vicenda che denuncia Bellone è l’occupazione dei laboratori avanzati di Marotta. Qui si conclude illogicamente che, a seguito di questo, Marotta rinunciò a fare ricerca in Italia e si chiuse così per noi la possibilità di brevettare nuovi farmaci. Non suona semplicistica questo ricercare una causa-effetto a chi era stato processato in modo vergognoso ? Un fisico non dovrebbe scambiare le cause con gli effetti. Alla fine anche Bellone trova i capri espiatori delle scelleratezze del potere in tanti anni ?

La scienza in quanto tale era richiamata in altri modi, se solo si vuole ascoltare. Penso ad esempio a Cini, che godeva di un grande rispetto e credibilità. Ricordo uno scritto che uscì nel 1969 su il manifesto, rivista mensile. Aveva per titolo Il satellite della Luna. In quell’articolo la tesi di fondo, assolutamente condivisibile da chi amava la fisica ma aborriva l’aggressione americana (ancora!) al Viet Nam, era che lo sbarco sulla Luna degli astronauti USA, vedeva solo per caso dei militari lì e non a bordo di un B 52 sganciando napalm ed esplosivi su quel Paese. Inoltre, la precisione del lancio di quel Saturno era da ammonimento all’URSS sulla potenza degli ICBM a disposizione degli USA. E quindi si richiamava la comunità scientifica a riflettere fino in fondo sull’uso che della scienza viene fatto e, non a caso, da allora questo dibattito si è aperto ed è stato l’unico che ha visto la luce in una comunità scientifica che sta degenerando nel macinare numero di pubblicazioni, non importa di quale spessore. Queste cose Bellone le conosce molto bene. Come sa che, a seguito delle nostre continue sollecitazioni e provocazioni, si aprì il dibattito sulla neutralità della scienza e dello scienziato, si aprirono fessure di conoscenza prima non di dominio pubblico (ad esempio: solo pochi sapevano che, allora, a fronte di circa  diecimila scienziati impiegati nel civile, vi erano oltre cinquecentomila scienziati occupati nel settore immediatamente militare, … Ed in tal senso, chiedo ancora oggi: ha o no un senso passare a capire cosa fanno questi personaggi dopo i dibattiti che sono seguiti al peccato di Hiroshima e Nagasaki? Tengono famiglia ? …).

E poi, credo debba essere ricordata con enfasi una scoperta che noi, giovani fisici, facemmo all’epoca: l’Italia soffriva (e sempre più soffre) della divisione internazionale del lavoro scientifico. Non è difficile capire che noi possiamo fare della eccellente (fino a quando  con governi di questa taglia ?) ricerca di base. Potremo lavorare su astrofisica e particelle raggiungendo ogni meta pensabile. Ci sono precluse le strade della ricerca applicativa, quella dei semiconduttori, dei materiali, della superconduttività, dell’elettronica integrata e digitale, … Queste cose le fanno gli altri e poi ci venderanno i loro risultati.

Anche sulla questione nucleare, al di là dei cappelli di paglia e delle spighe in bocca di svariati verdi, io scrissi un libro in cui mi occupavo del problema (L’energia, Savelli 1979). La tesi di fondo era che dovevamo essere noi in Italia a fare ricerca nucleare e a progettare i nostri eventuali reattori. Non era accettabile l’imposizione chiavi in mano di prodotti USA. E nel dire questo non sto dicendo che sia restato soddisfatto della scelta referendaria di NO al nucleare. E questo lo discuto in :  http://www.fisicamente.net/index-497.htm .

Ma ancora riguardo a quel problema del blocco di Adone. Dalle riflessioni del 1968 nacque un bel libro di  Baracca e Bergia, La spirale delle alte energie (Bompiani 1975), che, mentre auspicava una maggiore dedizione dello scienziato alla divulgazione seria (non cialtrona come spesso accade) al fine di far partecipe sempre un maggior numero di persone a cosa fa la scienza, ci si ponevano degli interrogativi sulla corsa alle grandi macchine acceleratrici. E, a me pare, che sia proprio della scienza e degli scienziati, soffermarsi ogni tanto a chiedersi delle cose. Poi si sceglie di andare avanti ma occorre capire alcune cose, sempre in ambito scientifico. Allora ci si chiedeva, ad esempio, se uno sbarco sulla Luna valesse di più di uno sbarco sul pianeta cancro, se fosse prioritaria una macchina da 300 GeV o investire in fertilizzanti, … Ripeto, poi alla fine si sarebbe pure deciso per la macchina, ma con ben altra consapevolezza collettiva.

Ricordo ai lettori, non certo a Bellone che in questo mi è maestro, che agli inizi del Novecento il grande dibattito nella fisica verteva proprio su problematiche di questo tipo. Di fronte alle tante questioni che ci si ponevano relative alla miriade di scoperte che si accumulavano, restava in piedi il problema storico: esiste un oggetto indipendentemente dalla nostra osservazione ? Il punto di vista realista-materialista o metafisico-ontologico (si, esiste l’oggetto) era di relativamente poche persone (tra cui Einstein, Planck, De Broglie, Schrödinger, Erhenfest, Lorentz, Laue …), il punto di vista idealista (no, l’oggetto non esiste) era di un molto maggior numero di scienziati (tra cui Bohr, Heisenberg, Born, Dirac, Pauli, Jordan …). Sembrerebbe che qui si sia finito, ma non è così. Vi è il terzo punto di vista (la questione non mi interessa perché mi fa perdere tempo, punto di vista agnostico o operativista) che è quello che alla fine ha vinto nei laboratori di ricerca dove, come accennavo, si fanno pubblicazioni a peso e sempre meno ci si interroga su cosa si sta facendo in un progetto generale. Ecco, è proprio contro questa posizione che si muoveva il 1968, si ricercava una consapevolezza che nasceva proprio dal rompere la consuetudine e ricominciare a porsi delle domande su ciò che si fa e sulle eventuali priorità in un mondo dalle risorse limitate.

Il dibattito sulla scienza, che prese il via nel 1968 (e questo fu un gran merito di quella esplosione collettiva), fu riassunto in un convegno che la Società Italiana di Fisica (SIF) organizzò a Firenze (a proposito dell’organizzazione dei fisici, la SIF, è significativo osservare che mentre allora si faceva questo, oggi ci si diletta nelle difese d’ufficio di un tal Zichichi). Il titolo ben scelto con cui furono pubblicati gli atti di quell’utilissimo  e dottissimo consesso fu La scienza nella società capitalistica (De Donato 1971). Vi furono eccellenti contributi, tra l’altro, di Toraldo di Francia, Baracca, Cini, Zorzoli, Cortellessa, Bergia, Salvini, De Marzo … Introducendo i lavori Toraldo di Francia, Presidente della SIF, disse:

È chiaro che questo discorso (sulla scienza, ndr) lo si poteva fare benissimo 50, 100, 200 anni fa. Tuttavia è un discorso che oggi diventa più importante e pone interrogativi più drammatici. È un discorso che oggi esce dalla ristretta cerchia degli ambienti scientifici, e può venire dalla bocca di qualsiasi cittadino. Lo si fa oggi perché oggi la scienza non comporta più il divertimento di pochi, che in fondo costano anche poco, ma comporta l’impiego di ingenti mezzi e l’insorgere di rilevanti conseguenze, che vanno dallo sviluppo industriale e dalla maggiore possibilità di produrre beni di ogni genere, alla possibilità di distruggere i nostri simili. La cosa è cosi macroscopicamente evidente che la società avverte che il problema va posto con urgenza.
D’altra parte il giorno in cui l’impegno diviene di questa mole è chiaro che la ricerca assume il carattere di una scelta politica. Allora è veramente colpevole continuare a dire che noi ci divertiamo. Di questa scelta politica noi non possiamo essere soltanto gli oggetti. Non possiamo ammettere che qualcuno che sta fuori dai nostri laboratori ci indichi sia pure indirettamente che cosa dobbiamo fare e perché lo dobbiamo fare; è chiaro che ci incombe il dovere di dire la nostra.
Con questo non intendo dire che la scelta politica della ricerca scientifica debba essere di competenza esclusiva degli scienziati. No, per carità! Ma è venuto certamente il momento in cui anche gli scienziati devono concorrere alla formulazione del perché si debba fare una certa ricerca e devono aver chiaro con quale impegno e dentro quali limiti.
Diciamo pure che su questi interrogativi non abbiamo le idee chiarissime, anzi molto spesso le abbiamo estremamente oscure, proprio perché molti di noi si sono baloccati per troppo tempo con il « divertiamoci, qualcuno ci paga ». Molti hanno continuato per troppo tempo a dire che la scienza è l’unica cosa di cui ci dobbiamo occupare, e che per il resto siamo neutrali. E’ chiaro che non possiamo essere neutrali, se abbiamo una coscienza civica appena sveglia.

Ho riportato questa lunga citazione perché il Presidente della SIF ha ben descritto le problematiche che erano in discussione e che furono ampiamente discusse in vari e diversi ambiti. Inoltre, anche perché tale Presidente era persona di notevole spessore che si rimpiange ogni volta che si sente parlare di Bassani, attuale Presidente SIF.

In quello stesso convegno, rimasi colpito dalla relazione di Bergia (ma anche da molte altre che mi aprivano scenari che precedentemente avevo solo intuito e mai razionalizzato). Egli, tra l’altro, disse:

Il ruolo della scienza nella società non si esaurisce peraltro nel fatto che essa si qualifichi come forza produttiva. Basterà pensare alla medicina per esempio, per convincersi che molti altri aspetti vanno tenuti presenti. In ogni caso, nell’esaminare oggi il ruolo della scienza nei vari campi, si delineano sempre più i tratti di una fondamentale antinomia: che agli aspetti positivi, connessi con aspetti quali la liberazione dalla fame e dal bisogno o dalla malattia, si accompagnano gli effetti negativi specularmente corrispondenti.
Così, mentre da un lato i fertilizzanti permettono di aumentare la produttività nell’agricoltura, d’altra parte la ricerca scientifica permette di produrre defoglianti capaci di condurre intere popolazioni alla fame; mentre i grandi progressi della medicina e della chirurgia permettono di debellare una serie di malattie, l’inquinamento atmosferico, tanto per dirne una, esso pure conseguenza dello sviluppo scientifico e tecnologico, ne provoca poi altre con cui si deve ricominciare a fare i conti (mentre l’industria farmaceutica prospera in virtù di una diffusione incontrollata di farmaci, fa scarsi progressi la medicina preventiva, per la quale si richiederebbe un intervento di natura sociale).
Mentre da un lato i reattori nucleari sono potenzialmente in grado di fornire all’uomo energia per la soddisfazione di un gran numero di suoi reali bisogni, dall’altro esiste, fortunatamente congelato per il momento, uno stock di bombe nucleari capace ormai di annientare l’intera umanità. E su questo, ovviamente si potrebbe continuare all’infinito.
Si coglie qui una delle contraddizioni cardinali della nostra epoca,  consistente nel fatto che mentre, da una parte, lo sviluppo scientifico e tecnologico appare fin da ora capace di liberare l’umanità dalla fame, dal bisogno e dalla malattia, di fatto poi questo non avviene, o non avviene che localmente e limitatamente ad alcune situazioni particolari.

Accanto a questi dibattiti, che credo fondamentali e che almeno per un certo tempo hanno permesso di ridiscutere di alcuni fondamenti del pensiero, dalle istanze critiche del 1968 discesero altri studi che si concretizzarono in opere che oggi possiamo considerare certamente un poco ingenue ma, altrettanto certamente, non denigratrici della scienza e degli scienziati. Parlo di:

Baracca, Rossi: Marxismo e scienze naturali, De Donato 1976.

Ciccotti, Cini, de Maria, Jona-Lasinio: L’ape e l’architetto, Feltrinelli 1976 (questo testo ebbe un interessante seguito, anni dopo, a seguito di un dibattito aperto su l’Unità e su il manifesto poi raccolto in un volumetto: 

AA. VV.: Api o architetti, l’Unità, il manifesto 1990).

AA. VV.: Sul marxismo e le scienze, Critica Marxista, Quaderni 6, 1972 (con interventi, tra gli altri, di: Geymonat, Selleri, Giorello, Giacomini, Somenzi e dello stesso Bellone).

Anche la rivista Marxiana (diretta da Enzo Modugno) propose nel 1976 un testo inedito di Marx sulle Macchine dal Manoscritto 1861-1863.

Vi è un altro aspetto, non secondario che mi interessa riportare. Noi che venivamo dalle facoltà scientifiche dure, e questo era particolarmente vero nell’Istituto di  Fisica, avevamo dei professori che, come scienziati, erano davvero di chiarissima fama. Ricordo: Amaldi, Salvini, C. Bernardini, Cabibbo, Cini, Conversi, Persico, … Soffrivamo però il fatto che se uno di loro non era capace di fare il maestro (caso clamoroso è quello di Cabibbo) non avevamo molto da rallegrarci per i sostegni cartacei alla risoluzione dei problemi. In Italia vi è sempre stata una scarsa considerazione per il lavoro del pedagogo sul campo (non si pensi ad un qualche riferimento ai novelli pedagoghi, che io disistimo profondamente). Un professore di chiara fama ha sempre aborrito due cose: fare libri di testo per i suoi studenti e fare divulgazione scientifica. Noi studenti venivamo da una preparazione ancora antiquata che ci vedeva quasi tutti conoscitori del francese e non dell’inglese. Oggi può sembrare cosa da poco ma allora era durissimo iniziare il terzo anno e non avere neppure un testo in italiano! In fondo ai programmi d’esame, che si potevano fare solo possedendo gli appunti delle lezioni del tal professore, vi erano sempre riferimenti a testi in lingua inglese (certamente eccellenti ma altrettanto certamente leggibili solo da chi si faceva corsi accelerati di inglese tecnico-scientifico – e qui voglio dare atto ad Enrico Persico di aver pensato a noi pubblicando per la Zanichelli l’aureo volumetto Guida alla lettura dell’inglese tecnico). Io mi ricordo che riuscii a salvarmi grazie alle Edizioni MIR di Mosca: dei libri stupendi di fisici di primo piano anche in francese (e per di più ultraeconomici). Su questi libri si sono evoluti molti Paesi poveri del mondo ed anche io. Naturalmente non bastava perché se si richiedevano quei libri era indispensabile conoscerli. Noi chiedevamo anche questo ai nostri professori che accedevano a comprendere le nostre istanze ma di testi continuavano a non farne. La stessa cosa vale per la divulgazione scientifica. Occorreva leggersi traduzioni di divulgatori stranieri che, data l’inerzia dei nostri editori (a parte la coraggiosa Zanichelli), arrivavano dalle parti nostre almeno 10 anni dopo. L’atteggiamento di qualcuno di loro era poi di questo tipo. Siamo nel 1968 ed inizio il corso di Struttura della materia con il professor Giorgio Careri (pioniere delle basse temperature in Italia). Nella prima lezione ci uccide più o meno così: “… Siete a Fisica. Avete già 19 o 20 anni, cosa avete fatto di fisica ? Alla vostra età Heisenberg aveva già realizzato questo e Fermi quest’altro. Se non siete ancora capaci di pensare a cose importanti lasciate perdere, andate in altra facoltà …“. Erano delle mazzate capaci di uccidere anche i migliori ottimisti. Qual era la reazione emotiva che a queste cose si doveva avere ? E, ripeto, noi eravamo nell’isola felice (allora!) di Fisica. A matematica vi erano personaggi come Fichera che ebbe i suoi meritati gatti selvaggi (con vari cani randagi) per essere un intollerante che disprezzava i suoi studenti nessuno dei quali, a suo giudizio, all’altezza (questa cosa, ad esempio, a fisica non è mai accaduta). Altri gatti selvaggi si ebbero a medicina e ad ingegneria, dove le baronie erano più forti e gli interessi economici che si intuivano erano molto importanti. Ecco, Bellone, come molti altri personaggi che avevamo intorno all’epoca, sembra proprio disinteressarsi delle problematiche di chi il 1968 lo faceva dal basso. E non sto dicendo che ogni cosa fosse azzeccata o fosse fatta bene. Probabilmente abbiamo peccato molto, soprattutto di ingenuità, ed abbiamo fatto una montagna di errori ma continuare a non tenere in conto il 1968 nel suo insieme è un tragico errore. Perché viene subito in mente questa considerazione: a quale altra età felice occorre riferirsi in Italia ? Il presessantotto, quello di cui abbiamo parlato ? O il postsessantotto con l’instabilità dell’intero Paese a gestione P2 ? O l’era craxiana, ben raccordata e seguita da Berlusconi ? In realtà si pensa che il mondo della scienza chiuso in sé sia l’isola felice. Non lo si ammette ma è così. E questo è proprio l’atteggiamento che allontana il pubblico, i cittadini dalla scienza. Ricordo che tutti si correva, si scendevano le scale di corsa, si andava ad esempio verso Legge, dove i fascisti guidati da Almirante attaccavano la facoltà. Dopo ore di scontri, tornando in istituto, si aprivano delle porte e dei talponi, ivi rinchiusi (quelli che hanno fatto carriera), chiedevano con un sorriso tanto angelico quanto idiota: Che succede ? Non voglio credere, per la grande stima che ho verso di lui che Bellone apprezzasse questi atteggiamenti, anche perché in molti testi dell’epoca lo ritrovo tra i pensatori critici.

Ed alla fine di questo brevissimo riesame dei dibattiti sulla scienza del 1968, posso concludere con ogni onestà d’animo che quei momenti furono di crescita culturale completamente aperta. Le chiusure non sono appartenute a chi tentava di capire e nella scienza aveva creduto tanto da investirci la vita. Semmai qualche vecchio marpione ha tentato di utilizzare la carica di quegli anni per riproporre qualcosa che magari si era tenuta nel cassetto. Oppure, e questa è la cosa più probabile, giudizi superficiali e negativi su scienza e scienziati potevano venire da chi di scienza non si occupava, un poco come accade anche oggi, nel modo splendidamente esemplificato da Bellone nel libro in oggetto.

Bellone conclude le sue osservazioni sul 1968 affermando che:

In fin dei conti, personalità come quelle di Ippolito, Marotta, Amaldi e Buzzati Traverso (direttore dei Laboratori di Biologia Molecolare che lasciò la sua carica dopo che i suoi laboratori furono occupati, ndr) incontrerebbero, oggi, ostacoli ancora maggiori di quelli che bloccarono, in quegli anni ormai lontani, i loro progetti.Qui il dissenso con ciò che sottintende Bellone è totale. Egli vede una sorta di continuità tra il 1968 ed i disastri della ricerca scientifica in Italia. La cosa è falsa. Diciamo che i piani che ci vogliono al margine del mondo occidentale si sono realizzati. I cattivi sessantottini hanno fatto ciò che potevano ma non si resiste con tanti nemici e soprattutto se, dall’interno del mondo della scienza, si guarda



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