LA CHIESA SCOMUNICA I COMUNISTI: ED IN CONTEMPORANEA FORNISCE OGNI SOSTEGNO A FASCISTI E NAZISTI

Scomunica ai comunisti

Congregazione per la Dottrina della Fede, 1-7-1949

E’ stato chiesto a questa Congregazione:

1 – Se sia lecito iscriversi ai partiti comunisti, od approvarli.

No: il Comunismo infatti è materialistico ed anticristiano; i capi dei comunisti, poi, anche se a parole dichiarano di non avversare la religione, tuttavia mostrano di essere ostili sia nella teoria che nella pratica a Dio e alla vera religione e alla Chiesa di Cristo.

2 – Se sia lecito pubblicare, diffondere o leggere libri, periodici, giornali e pubblicazioni che sostengono dottrine o azioni di comunisti, o scrivere in essi.

No: ciò infatti è proibito dalla legge stessa.

3 – Se i fedeli di Cristo, che avessero messo in pratica consapevolmente e in piena libertà ciò di cui si è trattato nei punti 1 e 2, possano essere ammessi ai sacramenti.

No, secondo i principi generali che riguardano l’esclusione dai sacramenti di coloro che non sono disposti.

4 – Se i fedeli di Cristo, che professano la dottrina materialistica e anticristiana dei comunisti, e per primi coloro che la difendono o la divulgano, incorrano per ciò stesso, come apostati dalla fede cattolica, nella scomunica riservata in modo speciale alla Sede Apostolica.

Si.



Obbligate a scegliere ………

Le elezioni politiche del 1948

Bianca Bracci Torsi  

(una persona eccellente che ho avuto il piacere di avere come carissima amica, ndr)

In una società maschilista come quella degli ultimi anni Quaranta, la religione era unanimemente ritenuta una cosa deforme e nelle donne tollerata, a volte apprezzata come garanzia di onesti comportamenti sessuali.
Gli uomini accompagnavano mogli e figlie alla messa e le aspettavano sul sagrato fumando e chiacchierando, spesso si assoggettavano al matrimonio religioso e al battesimo dei figli in quanto nozze e bambini rientravano nella sfera delle competenze femminili.
Quando erano le fidanzate a piegarsi al rito civile, i preti chiudevano un occhio considerandolo il male minore rispetto alla convivenza “more uxorio” e si limitavano a raccomandare il battesimo della futura prole, magari somministrato di nascosto, e le preghiere per l’anima di “quel senzadio”.

Per contro, fra le ragazze, complesse le più religiose, l’uomo assiduo frequentatore della chiesa e dei suoi riti non riscuoteva consensi, ma semmai canzonature e sospetti, essendo unanimemente considerato “baciapile”; un essere effeminato e di dubbia virilità.

Il voto alle donne, pur caldeggiato anche da De Gasperi, creò un serio problema alla chiesa, costretta, contro la tradizione consolidata, a predicare l’obbedienza a dio opposta a quella a padri e mariti: un atto di autonomia femminile che poteva avere strascichi funesti.
Pio XII aveva già ordinato alle donne cattoliche di uscire dalla Unione Donne Italiane, la prima fra le organizzazioni dl massa nate dalla Resistenza ad essere spezzata e divisa, e aveva rivolto alle donne un minaccioso monito che riprendeva le vecchie teorie – la donna angelo del focolare, la lavoratrice sciagurata contronatura “a caccia di loschi piaceri” – con una novità: l’obbligo, religioso prima che civile, di andare a votare, in difesa della famiglia e della morale, per riequilibrare le schede rosse degli uomini di casa.

Che mogli e madri riuscissero a cambiare il colore di queste ultime era un’ipotesi poco credibile anche per i parroci più ottimisti. Ma tutto ciò non era bastato.
I comunisti si erano ripresi dalla sconfitta del ’48, la scissione del sindacato non aveva portato sensibili cambiamenti fra gli operai, alle comuniste “storiche”, alle staffette partigiane si erano aggiunte donne ragazze che aderivano alla Cgil, al partito, alle associazioni di massa, si schieravano nelle fabbriche, nei campi, nei quartieri a fianco dei loro uomini sempre meno come docili appendici, sempre più come compagne che rivendicavano anche per sé lavoro, servizi, dignità di cittadini.

Pio XII ricorse allora a quello che riteneva un rimedio estremo: la bolla di scomunica contro comunisti, socialisti, loro alleati, simpatizzanti, elettori, lettori della loro stampa, insomma contro tutti coloro che non fossero disposti a considerare la sinistra come una banda di appestati.
Vescovi e parroci si adeguarono, seppure con maggiore o minore entusiasmo: nelle confessioni l’iscrizione al voto al Pci era il peggiore dei peccati che non bastava il pentimento a cancellare, era necessaria l’abiura, pubblica e solenne, accompagnata da pesanti penitenze.
I comunisti non potevano ricevere nessun sacramento, sposarsi in chiesa, battezzare i propri figli, avere funerali religiosi e neppure essere padrini o madrine di battesimi o cresime, testimoni di nozze.
Ci furono laceranti crisi di coscienza, diatribe familiari, dolorose rotture, mai rese pubbliche, ma consumate nell’intimo di quelle “sofferte coscienze cristiane” cui farà riferimento Togliatti qualche anno dopo.

Larga pubblicità ebbero, invece, alcuni miracoli che santi e madonne operarono su “comunisti sfegatati riportati alla fede” da guarigioni impossibili; salvezze improbabili da mortali incidenti o semplicemente da folgoranti apparizioni.
Furono anche diffusi, e additati al pubblico ludibrio, i casi di irriducibilità manifesta.
Tutti i giornali pubblicarono le foto di due fidanzati pratesi bollati come “pubblici concubini” dal locale vescovo in quanto sposati con rito civile. E che, anziché pentirsi, accusarono l’alto prelato di diffamazione e vinsero la causa.
Uguale sorte ebbe l’accusa del vescovo di Padova contro i dirigenti di una sezione comunista accusati di corruzione di minori, effettuata nel doposcuola gratuito organizzato per figli di lavoratori: il tribunale li assolse con formula piena.

Avendo verificato come fossero scarsamente attaccabili nella vita pubblica i comunisti, parrocchie, vescovi e comitati civici scavarono alacremente nel privato: rotture di matrimoni, convivenze, figli illegittimi, considerati fino ad allora banali incidenti, tutt’al più degni delle chiacchiere di cortile, diventarono esempi pericolosi della teoria del libero amore.
Nel partito questa campagna provocò un mai dichiarato, ma diffuso, riflusso di moralismo, in verità più consono alla morale borghese che ai precetti religiosi.
Nelle sezioni, soprattutto dei paesi contadini, si consigliava di tenere nascoste eventuali relazioni extraconiugali o comunque di non portarle alle estreme conseguenze, evitando rotture di matrimoni e nuove unioni, “per non danneggiare l’immagine del partito fra gli elettori cattolici”.

In realtà, gli elettori, cattolici in maggioranza, almeno formalmente, nel paese, non furono molto condizionati né dalla scomunica, né dall’anticomunismo grottesco di quegli anni.
Una simpatica ottuagenaria pisana, madre di molti figli, faceva alla nuora dubbiosa un lucido ragionamento: «Io voto per il prete perché sono vecchia, posso morire fra poco e finirei all’inferno, ma tu sei giovane e devi votare per il partito dei lavoratori, per il pane dei tuoi figlioli. Tanto, hai tutta la vita davanti…».
Tutta la vita per pentirsi o per veder cancellata la scomunica, la vecchietta non lo precisava, lasciando la soluzione del problema nelle mani di dio e degli uomini di buona volontà.

In effetti, la scomunica fu catalogata fra le stranezze della politica, come gli orripilanti manifesti del ’48, prima ancora che dimenticata anche da chi doveva applicarne le regole.
Il che seguì dopo pochi anni.



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