I tre monoteismi uniti nella lotta contro i gay

http://www.ilmanifesto.it/Quotidiano-archivio/08-Novembre-2006/art21.html

Diritti civili


«Guerra santa» anti-gay a Gerusalemme


L’omofobia vince in Israele. Nel silenzio del mondo
Gruppi ebrei ultraortodossi scatenati contro il «pride» di venerdì a Gerusalemme: barricate e scontri con la polizia. Contro la sfilata, già notevolmente ridimensionata, rabbini, imam e cattolici. E i politici, da Olmert al socialista Peretz, tacciono


Michele Giorgio


Gerusalemme
Dopo violente manifestazioni notturne e scontri con la polizia, ora contro gli organizzatori della gay parade di Gerusalemme potrebbe essere pronunciata anche la pulsa denura (in aramaico «frusta di fuoco»), la maledizione che, nelle intenzioni dei rabbini più fanatici, dovrebbe causare la morte del destinatario entro un anno, come accadde al primo ministro Yitzhak Rabin assassinato da un estremista di destra 11 anni fa. Ma il rabbino Shmuel Papenheim e gli ultraortodossi di Eda Haredit, schierati contro gay e lesbiche che chiedono di tenere il 10 novembre la loro marcia, non avranno bisogno di invocare gli «angeli della distruzione» affinché non perdonino i peccati del maledetto – la Open House di Gerusalemme – e scatenino su di lui tutte le disgrazie menzionate nella Torah. Gli oppositori, sempre più numerosi, della marcia dell’orgoglio gay di fatto hanno già vinto. Quello che doveva essere il World Gay pride si è ridimensionato fino a diventare una marcia locale alla quale prenderanno parte solo poche migliaia di persone. Ed è una magra consolazione il fatto che accanto a gay e lesbiche ci saranno tante altre persone che temono questa ulteriore virata a destra, sotto la spinta del fondamentalismo ebraico, fatta dalla società israeliana.
Non solo. La polizia (che impiegherà 12 mila uomini) ha concordato – in realtà ha imposto – ad Open House un nuovo tracciato per la gay parade che sarà totalmente all’interno della zona dei ministeri, dove non ci sono rioni residenziali. Ma il Ko definitivo potrebbe giungere oggi se l’Alta Corte accoglierà una petizione contro la marcia presentata dal vicepremier Eli Yishai (Shas, ultraortodossi sefarditi) ribaltando il via libera dato due giorni fa dall’Avvocato dello stato Menachem Mazuz. Tacciono nel frattempo il «laico» primo ministro Olmert e il «socialista» ministro della difesa Amir Peretz, preoccupati di non urtare i potenti vertici religiosi. E in silenzio sono rimasti anche alcuni dei più osannati (anche in Italia) intellettuali di Israele, come gli scrittori Abraham Yehoshua e Amos Oz, pronti a scendere in campo lo scorso luglio per benedire «la guerra giusta» contro il Libano e invece muti mentre i fondamentalisti ebrei fanno il bello e il cattivo tempo a Gerusalemme.
Il World Gay pride era previsto già ad agosto del 2005, ma la coincidenza con l’evacuazione di coloni e soldati israeliani dalla Striscia di Gaza aveva indotto la Open House a rinviare di un anno la marcia, alla quale avrebbero dovuto prendere parte omosessuali di angolo del pianeta. Quest’anno, come molti si attendevano, i problemi sono cominciati all’inizio dell’estate. A meno di un mese dal grande raduno internazionale a Gerusalemme, i rabbini (con il sostegno indiretto di religiosi cristiani e musulmani) hanno cominciato a moltiplicare gli sforzi per impedire la «profanazione di massa» della Città Santa, fino ad arrivare alla distribuzione nei rioni ortodossi ebraici di Mea Shearim e di Gheula di volantini in cui si proponeva addirittura una ricompensa di 20 mila shekel (quasi 4.000 euro) a chi «avrebbe provocato la morte di quanti vengono da Sodoma e Gomorra». «Trecentomila animali corrotti, noti peccatori della comunità di Sodoma, vogliono invadere la nostra Città Santa e corrompere i nostri figli», si leggeva nei comunicati firmati dal gruppo «La Mano rossa per la salvazione». Altri volantini riportavano istruzioni su come preparare bottiglie incendiarie «Schlissel-Special», dedicate a Yishai Schlissel, l’estremista ebreo che qualche anno fa si era lanciato a testa bassa con un coltello contro una marcia di omosessuali nel centro di Gerusalemme, ferendo in modo grave uno dei partecipanti. Pochi giorni dopo illustri rabbini, fra cui il centenario Elyashiv e la guida spirituale di Shas, Ovadia Yossef, hanno ordinato ai loro seguaci di scendere nelle strade per impedire con la propria presenza la «marcia disgustosa». Simile il giudizio del sindaco di Gerusalemme, Uri Lupoliansky, un ebreo ortodosso, contrario alla marcia gay ma privo degli strumenti legali per impedirla.
Di fronte ad oppositori tanto importanti, gli organizzatori due mesi fa avevano chiesto alla polizia il permesso di sfilare a Gerusalemme il 21 settembre, ottenendo però ancora una volta una risposta negativa poiché la data era «troppo vicina» al Capodanno ebraico. Dopo negoziati estenuanti e il giudizio favorevole della Corte Suprema, la polizia aveva accettato di spostare la gay parade al 10 novembre, ma giunti alla fine di ottobre le minacce agli organizzatori si sono fatte più gravi e insistenti. Due esponenti della destra estrema israeliana, Baruch Marzel e Hillel Weiss (portavoce del Nuovo Sinedrio, una congregazione di 70 rabbini che si propongono come alternativa alle istituzioni civili) hanno esortato a lanciare una «guerra santa» con ogni mezzo contro gli omosessuali per impedire loro di «profanare» la Città Santa. Un appello prontamente raccolto da migliaia di ebrei ultraortodossi. Nelle ultime notti le strade di Mea Shearim sono state invase da zeloti anti-parade, che hanno bruciato cassonetti dell’immondizia e attaccato le forze di polizia. I rappresentanti di Open House hanno provato a resistere a questa offensiva fondamentalista che, fatto significativo, lascia indifferente la maggioranza della popolazione israeliana. «Quella di venerdì sarà una manifestazione per i diritti civili e la libertà di espressione, la comunità gay non sarà soffocata dalle minacce. Continueremo a lottare per una società migliore», ha assicurato Noa Satat, una dirigente della comunità omolesbica di Gerusalemme, Noa Satat. Ma il potere dei rabbini ha avuto il sopravvento sui diritti. Gay e lesbiche di Israele non solo hanno dovuto rinunciare al World pride ma dovranno accontentarsi di una marcia di profilo molto basso che eviterà totalmente il centro cittadino e rimarrà confinata in un’area non residenziale, piena di uffici ministeriali che venerdì saranno vuoti.
Eppure gli omosessuali israeliani possono considerarsi fortunati. La loro protesta almeno ha trovato spazio sulle pagine dei giornali, mentre non è accaduto lo stesso alla manifestazione dei falasha, gli ebrei etiopici . Due giorni fa in centinaia sono scesi in strada per denunciare lo stato di discriminazione in cui si trovano, ma la polizia ha bloccato il loro corteo con la forza perché «illegale». All’origine della tensione è una inchiesta televisiva da cui, la settimana scorsa, è emerso che le donazioni di sangue degli ebrei etiopici non vengono utilizzate a causa dell’assurdo timore di malattie molto diffuse in Africa, prime fra tutte l’aids. I donatori originari dell’Etiopia non vengono informati che il loro sangue viene congelato e che difficilmente sarà utilizzato. Già dieci anni fa migliaia di ebrei etiopici si scontrarono per giorni con la polizia dopo aver scoperto che le loro donazioni di sangue venivano gettate. «In questi dieci anni non abbiamo fatto alcun progresso», ha commentato con amarezza l’ex deputato laburista Adisso Massala, nato in Etiopia. Protestano anche i leader religiosi della comunità falasha, che si sentono discriminati rispetto ai rabbini ortodossi ashkenaziti e sefarditi.


«La strada per i nostri diritti in Israele è ancora lunga»
Reluca Gana, portavoce di Hopen house, l’associazione che organizza il corteo: siamo ottimisti perché esiste ancora uno stato di diritto. Agli ortodossi dico: una società pluralista si costruisce sulla tolleranza


Gerusalemme
Gay e lesbiche di Israele in questi ultimi mesi hanno avuto non poche delusioni, addolcite solo dal semaforo verde dato alla loro marcia a Gerusalemme dall’Avvocato dello stato Menachem Mazuz. Il colpo più basso non sono state tanto le manifestazioni violente degli ebrei ultraortodossi – l’«intifada degli zeloti» – e le minacce subite, quanto l’impossibilità di tenere la marcia nelle vie del centro della zona ebraica (ovest) di Gerusalemme, come accadeva fino a qualche anno fa. Venerdì prossimo poche migliaia di omosessuali e lesbiche, contro le decine di migliaia che si attendevano per l’iniziale World Gay pride, sfileranno in zone periferiche fino all’ateneo di Givat Ram, rimanendo a distanza dalle aree residenziali della città. Ne abbiamo discusso con Reluca Gana, portavoce di Open House, l’associazione di Gerusalemme che assiste gay e lesbiche e che in questi giorni ha condotto le trattative con la polizia.
Se non ci saranno sorprese dall’Alta Corte di Giustizia, venerdì finalmente si svolgerà la vostra parade. Ritenete che il bicchiere sia mezzo vuoto o mezzo pieno dopo questa estenuante maratona di negoziati con la polizia e di battaglie legali?
Mi piace guardare a questi ultimi avvenimenti in modo positivo e pertanto il bicchiere è a mio avviso mezzo pieno. Lo dico perché istituzioni importanti come l’Avvocato dello stato Menachem Mazuz e la Corte suprema hanno sancito la piena legalità della nostra richiesta. Sappiamo che esiste ancora uno stato di diritto e questo ci tranquillizza.
Fino ad un certo punto però. La vostra marcia da World Gay parade si è trasformata in una sfilata di modeste dimensioni che dovrà essere protetta da migliaia di poliziotti. Inoltre le proteste degli ebrei ultraortodossi non hanno scosso o fatto indignare la maggior parte della popolazione israeliana e ciò è una battuta di arresto per chi mira proprio a cambiare la società.
Senza dubbio il quadro della situazione può anche essere letto in questa maniera ma, come sottolineavo in precedenza, preferiamo guardare le cose con ottimismo: se le violenze degli ebrei haredim (ultraortodossi) non hanno provocato indignazione, è altrettanto vero che la maggior parte della gente non si oppone alla nostra marcia. La verità è che la strada che porta ai diritti e alla tutela di gay e lesbiche in Israele è ancora molto lunga. E’ una campagna impegnativa che inevitabilmente prevede stop dolorosi lungo il percorso. Non nascondo che fino a qualche mese fa eravamo sicuri di poter tenere a Gerusalemme il World Gay pride e non è stato facile dover rinunciare a un appuntamento tanto rilevante che, ne siamo certi, avrebbe aiutato l’opinione pubblica a capire meglio le nostre rivendicazioni. Eppure andiamo avanti e Open House sa di essere diventata un punto di riferimento importante nella società civile israeliana.
Venerdì sarà una giornata di forte tensione, gli ortodossi ebrei stanno organizzando manifestazioni di protesta non solo a Gerusalemme ma anche in altre città. Vi aspettate incidenti, vi sentite in pericolo?
Il capo della polizia di Gerusalemme ci ha assicurato il massimo della protezione e abbiamo sentito che verranno schierati più di 10 mila agenti. La marcia inoltre non passerà accanto ai quartieri dove vivono i religiosi, quindi ci sentiamo tranquilli. Invito tuttavia gli ebrei ultraortodossi a riconsiderare le loro azioni, una società pluralista si costruisce sulla tolleranza, un bene comune che favorisce anche loro e non solo gay e lesbiche.
 


http://www.ilmanifesto.it/Quotidiano-archivio/09-Novembre-2006/art59.html

Il papa a Israele: ferma i gay
Leo Lancari


«Fermate il gay pride di Gerusalemme». La richiesta arriva direttamente dalla Sede sede, che ieri è intervenuta con le autorità israeliane chiedendo di vietare lo svolgimento della parata omosessuale prevista per domani. Una richiesta che alza ulteriormente la tensione, resa già incandescente per le proteste degli ebrei ortodossi che da giorni si scontrano con la polizia proprio per impedire lo svolgilmento delcorteo.
Proprio ieri, prima che il Vaticano intervenisse ufficialmente, l’ipotesi di un rinvio della parata si era fatta più forte soprattutto per il timore di possibili attentati in seguito alla strage di Beit Hanun, dove diciotto palestinesi sono morti sotto i colpi dell’artiglieria israeliana. La polaiza israeliana sostiene infatti di non avere forze sufficienti per assicurare al tempo stesso lo svolgimento della gay parade e lo stato di allerta nel resto del paese.
Nella nota del Vaticano, resa pubblica in serata, si affermano l’«amarezza» e il «disappunto» della Chiesa per «una delle cosiddette manifestazioni dell’orgoglio omosessuale» perché, si spiega, «essa costituisce un grave affronto ai sentimenti di milioni di credenti ebrei, musulmani e cristiani, i quali riconocono il particolare carattere sacro della città di Geruslemme e chiedono che la loro convinzione sia rispetatta». Nelle stesse ore una nota analoga veniva consegnata dalla Nunziatura apostolica in Israele al ministero degli Affari esteri israeliano.
La Santa sede non è l’unica a protestare contro il gay pride israeliano. Da una settimana, infatti, nel quartiere degli zeloti a Mea Sharim, nel cuore di Gerusalemme, centianaia di ultraortodossi si scontrano con la polizia lanciando pietre e dando fuoco ai cassonetti dell’immondizia chiedendo di vietare la manifestazione, che giudicano blasfema. E questo nonostante la parata omosessuale, organizzata dall’associazione Open House, si terrà nella zona dei mnisteri, lontano dai quartieri abitati dagli ultra ortodossi. Un corteo super bindato, visto che ben 12 mila poliziotti sono stati chiamati a proteggere i circa 2-3 mila manifetsanti previsti.
La nota contro i gay pride israeliano è stato criticata ieri dal deputato dei Ds Franco Grillini, che ha parlato di «gravissima ingerenza» da parte del Vaticano (*).

_____________

(*) Il problema è, Grillini, che l’organizzazione del gaypride spetterebbe di diritto solo al Vaticano, ndr.


http://www.ilmanifesto.it/Quotidiano-archivio/10-Novembre-2006/art64.html

I gay non sfileranno a Gerusalemme


Niente corteo per il gay pride israeliano. La manifestazione è stata trasferita all’interno dell’università ebraica per il rischio di possibili attentati. Una soluzione che soddisfa tutti, tranne il Vaticano


Leo Lancari


Alla fine su ogni cosa hanno prevalso le esigenze di sicurezza nazionale e il gay pride israeliano, previsto per oggi a Gerusalemme, non ci sarà. Al posto dell’annunciato corteo per le vie della città, che nei giorni scorsi ha provocato la rivolta degli ebrei ortosdossi e una protesta ufficiale da parte del Vaticano, Open House, l’organizzazione promotrice dell’incontro, ha deciso di far svolgere la manifestazione al chiuso dello stadio dell’università ebraica di Givat Ram. Una decisione presa in accordo con i rappresentati degli ortodossi e adottatta come misura precauzionale in seguito allo stato di allerta proclamato in tutto il paese dopo la strage di Beit Hanun.
Almeno per il momento, dunque, la guerra del gay pride è terminata, messa da parte da un’altra guerra, quella vera. La decisione di spostare la manifestazione all’interno dello stadio dell’università ebraica ha soddisfatto tutti. Gli ebrei ortodossi, che hanno promesso di mettere fine alle proteste che duravano ormai da una settimana, gli organizzatori del gay pride, convinti dalla reali esigenze di sicurezza, e la polizia, preoccpuata dal fatto di dever impegnare crca 12 mila uomini per proteggere il corteo omosessuale in un momento delicatissimo per il paese. «Sono contento per il compromesso raggiunto, che ci permette di liberare agenti da impiegare sul resto del territorio», ha spiegato il capo della polizia israeliana, Moshé Karadi. In cambio sono stati rilasciati anche una decina di ebrei ortodossi che erano stati fermati nei giorni scorsi durante gli scontri con la polizia.
Unica voce contraria all’accordo, quella del Vaticano. Due giorni fa la Santa sede aveva inoltrato una protesta formale al ministero degli esteri israeliano chiedendo di impedire lo svolgimento del gay pride per le strade di Gerusalemme, ritenendolo un’offesa per una città considerata santa da cristiani, ebrei e musulmani. Un presa di posizione eccessiva se si considera il silenzio con cui il Vaticano, nello stesso giorno, ha accolto la notizia del massacro di Beit Hanun. Silenzio ancora più incoprensibile se si tiene conto che solo domenica scorsa, parlando a San Pietro, Benedetto XVI aveva rivolto un appello per la «ripresa immediata» del negoziato in Medio Oriente. Ieri fonti vaticane hanno ribadito l’opposizione della Santa sede.
Seppure chiuso all’interno dello stadio dell’università, il gay pride potrà comunque tenersi. Gli organizzatori prevedono la partecipazione di circa tremila persone provenienti da vari paesi, sulle quali vigileranno tremila poliziotti. A garantire che non ci saranno disordini c’è anche la promessa degli ebrei ortodossi di evitare ogni manifestazione di protesta.
Fra gli invitati, anche una delegazione del partito radicale italiano guidata dall’eurodeputato Marco Cappato: «Saremmo stati contrari a un rinvio che fosse stato deciso in seguito alle minacce del fondamentalismo – ha commentato Cappato – ma in questo caso la polizia ha sollevato un problema vero, quello della sicurezza in tutto il paese a seguito della tragedia di Bei Hanun». Critico, invece, il giudizio di Franco Grillini. Per il parlamentare dei Ds, la scelta di far svolgere la manifestazione all’interno di uno stadio «rappresenta una limitazione della libertà fondamentale dell’individuo: quella di espressione e quella di di manifestare il proprio pensiero».
Per Grillni quanto accaduto a Gerusalemme costringe a una riflessione: «dove dominano le religioni, che si sovrappongono pesantemente al potere temporale – ha detto – la libertà è cancellata o pesantemente limitata»
 


Omofobia
Arrestati sette attivisti a Minsk Organizzavano un meeting internazionale
A. D’Arg.


In prigione perché omosessuali, è successo mercoledì sera a Minsk, capitale della Bielorussa, a due passi dai confini della Ue. Alle 20.20 di mercoledì la polizia fa irruzione in un appartamento in cui si tiene la riunione del Comitato organizzativo della Conferenza internazionale di gay, lesbiche, bisessuali e transgender in programma per il fine settimana nella capitale. La polizia di Lukaschenko arresta i sette attivisti presenti, perquisisce l’appartamento e confisca il materiale della Conferenza. I sette, trasportati in centrale, vengono interrogati sul programma dell’incontro e sulla lista dei partecipanti, in particolare sugli ospiti stranieri. Per 4 il fermo dura solo poche ore mentre per gli altri finisce solo ieri pomeriggio, dopo 22 ore di detenzione. Gli arresti sono stati denunciati ieri al Parlamento europeo dall’Ilga, l’Associazione internazionale di gay e lesbiche, al termine di un incontro organizzato dal Pse per chiedere la fine della discriminazione basata sull’orientamento sessuale.
 


http://www.ilmanifesto.it/Quotidiano-archivio/11-Novembre-2006/art35.html

Gerusalemme In 4 mila nello stadio Tra loro i gruppi «laici» per i diritti civili


Tra loro i gruppi «laici» per i diritti civili L’altra Israele al gay pride


Il raduno si trasforma in un’occasione per manifestare contro l’influenza degli ortodossi sulla società israeliana. Slogan per i palestinesi, assenti a causa dello «stato di allerta» dopo Beit Hanoun


Michele Giorgio


Gerusalemme
Non è stato il World Gay Pride con molte migliaia di partecipanti che gli organizzatori di Open House avevano programmato, non è stata la sfilata colorata che gli omosessuali avrebbero voluto tenere nelle strade del centro cittadino, eppure il raduno gay di ieri nel minuscolo stadio dell’università di Givat Ram, nella zona ebraica di Gerusalemme, rappresenta ugualmente un piccolo successo. I fondamentalisti ebrei (sempre più numerosi) che per settimane, anche con l’appoggio del vice premier Eli Yishai, hanno protestato in modo violento contro la gay parade non solo non sono riusciti ad impedirla ma il loro scagliarsi contro quella che hanno definito «una iniziativa abominevole e vergognosa» ha avuto l’effetto di mobilitare le associazioni israeliane che si battono in difesa del laicismo e dei diritti umani. Questo appuntamento annuale per gli omosessuali di Israele si è perciò trasformato in occasione per tutta la società civile di esprimersi contro il potere degli ebrei ultraortodossi su aspetti fondamentali della vita del paese, in particolare nel diritto di famiglia. E non sono mancate voci in sostegno dei diritti dei palestinesi sotto occupazione e vittima di massacri, come quello di mercoledì a Beit Hanun. Le militanti dell’associazione Dirty Laundry invocavano riconoscimenti per lesbiche e gay ma anche il diritto alla libertà e all’indipendenza dei palestinesi. Ieri però gli omosessuali palestinesi, o meglio quei pochi che dichiarano apertamente il loro orientamento sessuale, al raduno a Gerusalemme non sono andati. L’esercito israeliano ha infatti ha chiuso ermeticamente le «città-prigioni» della Cisgiordania e sigillato Gaza, a causa dei presunti 80 attentati in preparazione che i servizi segreti avrebbero registrato da quando i gruppi armati dell’Intifada hanno annunciato di voler vendicare la strage di Beit Hanun.
«Siamo qui per sostenere i diritti degli omosessuali, ma la nostra presenza a questo raduno vuole più di tutto lanciare l’allarme sulla crescita del fondamentalismo ebraico in Israele a danno dello stato di diritto e di tutti i cittadini che credono nella libertà individuale», ha spiegato Sivan Malin-Maas, rabbina «laica» del Training jewish leadership, una associazione che promuove l’istituzione del matrimonio civile in Israele. «Nel nostro paese le coppie possono sposarsi solo religiosamente e questo è un crimine del quale sono colpevoli i leader dei partiti politici che pur di non turbare le gerarchie religiose lasciano un potere enorme nelle mani dei rabbini ortodossi», ha aggiunto. Malin-Maas ha rivelato che almeno 180 mila israeliani proclamano di volersi sposare con rito civile ma non possono farlo. »Sono costretti ad unirsi in matrimonio all’estero e poi a richiedere il riconoscimento della loro unione al ministero dell’interno».
Al raduno hanno partecipato circa quattromila persone, protette da un imponente dispositivo di sicurezza: tremila poliziotti, diversi elicotteri e anche un dirigibile. L’intera zona dell’università di Givat Ram è stata chiusa al traffico e isolata. Le forze di sicurezza hanno comunicato che la decisione di vietare la sfilata è stata presa alla luce delle minacce di attentati dopo il massacro di Beit Hanun. Invece è molto più credibile che la motivazione del pericolo attentati sia stata un pretesto per bloccare una marcia che continuava a scatenare le proteste degli ebrei ortodossi. «Nonostante la crescita del fondamentalismo ebraico, le istituzioni nazionali sono ancora pronte a difendere i laici e questo ci conforta», ha commentato Noa Satat, una dirigente di Open House, in riferimento alla decisione dell’Avvocato dello stato, Meni Mazuz, e della Corte Suprema di autorizzare il World Gay Pride. «A coloro che protestano contro questo evento dico che non esiste un unico modo di essere ebreo», ha detto lo scrittore Sami Michael di Haifa, rivolgendosi alla folla riunita nel piccolo stadio, tra bandiere colorate e striscioni. Il raduno si è concluso senza incidenti di rilievo. La polizia ha fermato una trentina di giovani gay diretti al centro di Gerusalemme, in violazione degli accordi raggiunti. Nel quartiere di Mea Sharim (ultra-ortodosso) è esplosa una rissa tra alcuni manifestanti e una decina di religiosi, ma la polizia è intervenuta subito evitando il peggio.
 


Il «pride» in Israele non è un lusso


Gianni Rossi Barilli


Caro Serra, che delusione. Leggendo su Repubblica la tua «amaca» del 10 novembre abbiamo scoperto che la questione delle identità sessuali è un lusso superfluo laddove, come in Israele, ci sono problemi molto più gravi. Ma come? Non siamo perfino stati capaci di organizzare una sanguinosa quanto inutile guerra per andare a liberare le donne afghane dal peso del burqa? Forse intendevi solo dire che la questione delle identità (omo)sessuali, che si manifesta con l’esibizione di lustrini e paillettes, è un lusso superfluo. E allora faresti meglio ad andare a raccontarlo alla quantità incalcolabile di persone omo e transessuali che sono state perseguitate in nome di ragioni religiose, etniche, politiche e belliche nel corso dei secoli. E che lo sono tuttora nella gran parte dei paesi del mondo, incluse ampie zone del Medio Oriente. Le nostre paillettes, caro Serra, mettono per l’appunto in questione le dittature religiose e politiche che giustificano le guerre. E la liberazione delle identità sessuali oppresse mette in questione quel dominio maschile che da che mondo è mondo agisce le guerre, con il loro contorno di macerie e di vittime innocenti.
Quindi poter tenere pacificamente il «pride» a Gerusalemme, anziché uno sfizio partorito da menti frivole e «vagamente sadiche», sarebbe fare bingo. E affermare una buona volta che il valore della pace passa necessariamente attraverso il riconoscimento e il rispetto dell’altro. Il lusso e la frivolezza della democrazia, casomai, consiste nel consentire a opinionisti dalla mente torpida di reiterare pregiudizi vecchi come il cucco, spacciandoli per punti di vista liberali, dalla comoda postazione delle loro amache. Continuando serenamente a sentirsi progressisti.



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