UNA LETTERA SUL NUCLEARE

(Pubblicato su Sapere, 49, 5, 1983)

Roberto Renzetti

[Da Roberto Renzetti, docente al Liceo Italiano di Barcellona, abbiamo ricevuto questa lunga lettera indirizzata al direttore di Sapere che volentieri pubblichiamo, con una breve replica di Carlo Bernardini].

            Caro Carlo,

credo di poterti dare un’opportunità dialettica (vedrai in seguito perché aggiungo tale aggettivo) con lo scriverti questa lettera.

        Nei tuoi scritti, sempre interessanti, onesti e stimolanti, traspare lucidamente una opzione non acritica verso la scelta nucleare. Dico non acritica perché ti conosco e so che anche tu hai un qualche dubbio che una volta (1980) mi esprimesti così: ho letto quel tuo libro sull’energia; non mi è piaciuto. Secondo me non hai centrato il problema che in realtà consiste nel fatto che noi (credo di aver capito: noi italiani) non siamo in grado di costruire centrali nucleari. Più o meno è questo ciò che mi dicesti.

        Tu sai chi sono. Sai che ho studiato fisica alla migliore scuola (tra l’altro la tua) pur non potendo garantire sui risultati. Penso tu sappia che anch’io credo di muovermi in un ambito di onestà se non altro garantita dal mio dover emigrare per sopravvivere. Ebbene, con questa premessa, che non avrei scritto se il solo interlocutore fossi stato tu, vorrei riferirmi al tuo editoriale di Sapere del mese di maggio.

        Le cose che tu dici sono tutte vere, costituiscono dati di estremo interesse, è giusto che vengano conosciute.

        C’era però qualcosa che non mi funzionava, non certo nei contenuti ma nel metodo. Mi veniva alla mente la frase rituale nei processi nord-americani (alla Perry Mason) “giuri di dire la verità, tutta la verità, nient’altro che la verità”. Ho passato anni a chiedermi il senso di tante supposte ridondanze e poi ho capito qualcosa.

        Il tuo editoriale mi ha fatto ricordare ciò che avevo capito. La tua verità, Carlo, è una verità vera ma parziale, discutibile e indimostrabile.

        Si potrebbero qui richiamare tutti i santoni della epistemologia per tentare di dire qualcosa, ma io preferisco il buon senso non ingenuo. All’epoca (bella!) del referendum sul divorzio, la TV di Stato (incredibile, le cose sono addirittura peggiorate!), intervistava strani personaggi, i divetti di successo, che naturalmente erano contrari al divorzio.

        Una lettura dell’allora importante Pio Baldelli mi fece capire il ruolo della manipolazione dell’informazione. Come gente famosa in un campo e non qualificata in un altro possa fornire giudizi che alla gran massa dei cittadini sembrano aver valore definitivo (ad esempio: prima del referendum, sentirsi dire da una nota diva in diretta sul TG 1 che lei è contraria al divorzio, che informazione aggiunge alla scelta referendaria dei cittadini?).

        Mi sembra che, assolutamente in modo involontario, stiamo in una situazione con qualche analogia (fatti i doverosi, davvero, distinguo).

        Tu parli di nucleare da scienziato qual sei o da cittadino?

        La prima ipotesi ti fa direttore di Sapere, la seconda no. Immagino quindi di poter parlare a te nella veste dello scienziato direttore di una rivista. Le cose che tu dici però sono sagge e legittime opinioni di un cittadino, e non certamente giudizi definitivi di uno scienziato. La tua situazione è simmetrica a quella di Mattioli, che la nostra incivile società dei consumi scopre ora. Anche lui è scienziato. Ed allora? Chi ha ragione? Quello più simpatico o la Scienza (con la “S” maiuscola?). E una situazione da manuale di epistemologia.

        Il problema, credo, è il seguente.

        Pur essendo ambedue di “sinistra” (mi rendo conto che questo complemento di specificazione non specifica niente, però nel nostro cripto-linguaggio può darsi che ci capiamo) ambedue violentate le cose che tutti noi (io, tu e Mattioli) sostenevamo almeno dal 1968. Insomma, così come Mattioli non può dirsi antinucleare perché è un fisico (cosa su cui la stampa indulge allo stesso modo che di fronte allo stregone), tu non puoi portare ragioni filonucleari perché sei un fisico.

        Cerchiamo di spezzare l’equivoco e di dire le cose come stanno. Sono i cittadini che decidono. Tanto meglio quante più informazioni e “pregiudizi” hanno. Senza con ciò evocare tempi oscuri che, semmai, nel passato, sono sempre stati evocati da corporazioni, classi o caste che detenevano il potere. Quindi: va bene che tu dica la tua, ma non mescolare il tuo essere fisico con il tuo essere cittadino, questo imbroglia allo stesso modo di quanto imbroglia il “fisico Mattioli”.

        Per non dire che sono fisico dico solo (gli insegnanti di fisica sono meno dei fisici) che sono un insegnante. Che faccio? Forte del mio essere (non rispetto all’insieme dei fisici, ma rispetto a quello degli studenti) un insegnante di fisica, dico agli studenti che devono aspettare i giudizi di Bernardini o di Mattioli per decidere sul nucleare, dico loro qualcosa io, oppure dico loro che questo non è un problema che riguarda la fisica ma solo la politica e l’economia? Io mi batterò finché vivo perché non esistano compartimenti stagni, perché ognuno parli di tutto e su tutto esprima la sua degna opinione; però, noi volenti o no, le cose che diciamo ci travalicano e sono usate in modo insospettabile.

        Carlo, è tutto vero quello che hai detto sulla “puzza” dei milioni di tonnellate di scarichi di svariate centrali a carbone. Credo che si potesse aggiungere di più. Le centrali a carbone immettono nell’atmosfera grosse quantità di radioattività, come certamente sai.

        Però, io non sono il piazzista di niente e tu neppure. Allora: diciamo ambedue che tutte le forme di energia che passano per l’intermediazione termica creano problemi. Chi più, chi meno. Tra le meno c’è il gas (peccato che non è rinnovabile!); tra le più… chi lo sa? Io, non come fisico (ed è inutile che ti dica come insegnante), dico che secondo me il nucleare fa paura e la fa proprio per tutto ciò che tu non dici nel tuo editoriale.

        L’EDF, ente elettrico francese, dirà sempre le cose che tu citi. Ed esse saranno sempre probabilmente vere (così come – con un grado inferiore di probabilità – lo saranno quelle dell’ENEL; basti ricordare lo scandalo del petrolio). Ciò che non dice l’EDF è: dove mette le scorie, a chi le vende, in un traffico di scorie che sta fornendo armi nucleari alla Libia, all’Iraq, all’Iran, all’Argentina, al Brasile, all’India, al Pakistan (con l’aiuto tedesco ed italiano per gli impianti di riprocessamento)?

        Queste cose tu le sai molto meglio di me (e ne è testimone il tuo impegno civile e la rivista che tu dirigi con le pagine che sacrosantamente dedichi al problema del disarmo). Perché non si collegano le due cose e non si dice a chiare lettere che, per la maggioranza dei paesi del mondo, nucleare civile è solo porta per nucleare militare?

        Ancora.

        Perché, secondo la tua opinione (credo importantissima in quanto testimone presenziale di tanta tragedia), è “stato fatto fuori Ippolito” nel 1963 a qualche mese di distanza dalla messa fuori-vita (dolce eufemismo) di Mattei ed a qualche mese dalla liquidazione Olivetti (che si inseriva nel ramo calcolatori) alla Fairchild (USA)?

        Perché i cinque progetti di centrali nucleari CNEN di Ippolito sono morti con l’aiuto di colui (Saragat) che per questo fu premiato con la presidenza della Repubblica?

        Perché da un certo punto in poi il nucleare è diventato affidabile?

        Perché lo è diventato da quando gli americani ci vendono (quasi chiavi in mano) i loro brevetti?

        Insomma, così come tentavo di sostenere nel mio libro (che a te non è piaciuto) il problema è principalmente politico ed economico. Poi relativo alla sicurezza. Ed in questo senso so bene che la centrale nucleare in sé è sicura eccetera eccetera (a parte gli eccetera Three Miles Island e Chernobyl) e so che noi abbiamo una vocazione al trascendente tale da essere il popolo prediletto di Sant’Antonio, per cui a noi nulla mai accadrà, però, da qui a crearmi l’immagine del nucleare che ci fa crescere meglio ce ne passa.

        Solo qualche domanda.

        Perché, a lato della centrale, non importiamo dagli Usa anche la relativa legislazione?

        In tal caso non credi che, indipendentemente da equivoci referendum, la centrale di Montalto avrebbe seguito la stessa sorte seguita dalla centrale di Long Island (USA) chiusa (fine maggio) dal governo senza che abbia potuto produrre neppure un chilovattora di energia ?

        La motivazione la sai: in caso di incidente le strade che avrebbero permesso l’esodo delle popolazioni erano troppo anguste. Credi che l’Aurelia, soprattutto di sabato e di domenica, sia strada che risponda a requisiti USA?

        Perché, al di là di tutte le buone intenzioni, è inevitabile che interessi particolari “inquinino” (divertente gioco di parole) il nucleare?

        Perché le centrali nucleari della “democraticissima” Germania nascondevano i loro rilasci dietro la centrale “autoritaria” di Chernobyl?

        Perché, tra infinite differenze, l’atteggiamento di fronte al nucleare è lo stesso sia all’Est che all’Ovest (e non nel senso ditrasparenza informativa ma di occultamento di dati ed informazioni)?

        Perché…

        Insomma, Carlo, non ti assumere il compito della difesa, non già della fisica nucleare che si difende da sola, ma dei tecnici, dei politici, dei militari, dei maneggioni in genere che con il nucleare ed indipendentemente da qualsiasi riguardo per le popolazioni, fanno lucrosi affari.

        Il nucleare non è più oggi questione scientifica.

        È questione tecnico-politica ed economica. Solo gli ingegneri ho visto stracontenti del giocattolo che i fisici hanno regalato loro.

        Io credo che: o si modifica drasticamente il giocattolo o occorre toglierlo loro di mano.

Roberto Renzetti


Caro Roberto,

la tua lettera ha la spontaneità e la sincerità che si possono trovare solo nella corrispondenza privata. Per questo la pubblico con gioia, perché fa capire che si può essere amici pur pensando in modo profondamente diverso: anch ‘io so che le tue convinzioni di cittadino sono meditate e sofferte. Ma non contrapporrò qui le mie idee alle tue. Dirigendo Sapere, ho molte occasioni per esprimermi liberamente; le ho già ampiamente sfruttate e ho sempre parlato con sdegno del malvezzo giornalistico di dire l’ultima parola. Semmai, mi auguro che qualcun altro ti risponda, e che ne nasca un dialogo a cui la rivista non può che essere aperta.

Grazie.

Molto cordialmente (c.b.)



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