A CHE SERVONO I PEDAGOGISTI ?(per non dir di docimologi)

Roberto Renzetti

(Questo lavoro era stato scritto per la rivista del CIDI, Insegnare. Avevo avuto dal direttore l’accettazione del lavoro, evidentemente prima che si scatenassero le reazioni al mio precedente articolo che Insegnare aveva pubblicato nel numero di Giugno 2004, Le mani sulla scuola che si trova in http://www.fisicamente.net/index-521.htm . Da quel momento questo ed altri articoli che avevo scritto per la rivista, nel completo silenzio della redazione, sono morti).


            Deve essere stata una delusione per Mario Pirani, fustigatore dei pedagogisti di sinistra (che vuol dire il complemento di specificazione?) e, peggio, sessantottini, scoprire che vi sono anche quelli di destra (che vuol dire come sopra?), che associano al loro essere pedagoghi una maggiore dose di ignoranza. Insomma quella dei pedagogisti è una vil razza dannata senza distinzione di sesso, razza, ideologia e affini. Ma recentemente il Pirani ha addrizzato il tiro ed ha parlato, caricandoli a testa bassa, dei pedagogisti e basta. E solo ora mi trovo sostanzialmente d’accordo. Ma passo ad argomentare affinché si capisca che la mia posizione nasce solo dall’esperienza e non è frutto di pregiudizio.

            Credo sia elementare comprendere che vi sono almeno due abilità da dover prendere in considerazione: la disciplina ed il modo di offrirla agli studenti. Tralasciando per un momento la prima ponderosa questione resta la parte che ci occupa, il modo di organizzare dei contenuti perché siano recepiti al meglio dagli studenti. Ciò sarebbe comunque riduttivo. Credo si debba anche considerare il clima, l’ambito culturale in cui muoversi, l’atteggiamento generale (più che interdisciplinare) da dover mantenere nella scuola. Insomma vi sono i problemi di metodo che non sono disciplinari in senso stretto. Vi è la necessità di capire che la libertà di insegnamento deve coniugarsi con la condivisione di un progetto. In classe tutti dovrebbero avere analoga posizione nei riguardi degli studenti, ad evitare che delle discipline divengano di rifugio mentre altre continuano da spauracchio. Vi è quindi un ambito che va al di là della disciplina in cui dovrebbe essere benvenuto un personaggio che non rappresenta alcun mercato tra discipline. D’altra parte sono sempre stato favorevole ad un approccio alla didattica della fisica supportato da quel qualcosa in più che la pedagogia può offrire e, nella sua storia, ha certamente offerto. Tentavo con i  miei colleghi ricercatori presso l’Istituto di Fisica dell’Università di Roma di avere rapporti stretti con chi ci aprisse al logoscopio della didattica trovando una chiusura costante verso il nostro misero telescopio. Eppure abbiamo inseguito le cose per anni con alcune felici intersezioni (ricordo in particolare quella con Clotilde Pontecorvo in un periodo di fecondi rapporti con Paolo Guidoni e Matilde Vicentini Missoni all’epoca di Scuola e Città). Eravamo noi fisici che chiedevamo ai pedagogisti cosa fare. Volevamo, noi, capire quel di più che certamente ci mancava, convinti come eravamo che una didattica completa nasce solo dall’intersezione di varie competenze ed abilità (almeno: il professionista duro della disciplina, il suo insegnante, il pedagogista). Era l’epoca in cui Vertecchi e Maragliano (sembra impossibile che tal pedagogista possa avere un passato così illustre, vero?) conducevano bene la prestigiosa rivista Riforma della Scuola.

            In un qualche momento però qualcosa da qualche parte si è rotta. I miti pedagogisti  utilmente ricercati dai cultori della didattica delle varie discipline, hanno smesso le vesti dell’agnello per trasformarsi in animali famelici. Hanno instaurato una sorta di perverso sistema epistemologico senza verifiche. Mentre i cultori della disciplina, a scuola, avevano un qualche confronto con prove di valutazione od esame, lor signori sfuggivano e sfuggono a ciò, potendo cambiare olimpicamente i loro postulati in corso d’opera. A me (e non solo) è sembrata un’operazione di potere che i pochi onesti rimasti (e ve ne sono, per Giove!) hanno tentato inutilmente di ridimensionare. A riprova di quanto dico basti vedere la crescita abnorme degli Istituti di Scienza dell’Educazione che proliferano sul territorio nazionale. E, fatto straordinario  per nulla da intendersi come coincidenza,  questa crescita è diventata patologica proprio nel momento della maggiore caduta verticale della parte formativa della nostra scuola. Occorre ammettere che lor signori non difettano di fantasia, di giustificazionismo, di bla bla bla … pur di ottenere una qualche misera cattedra. In fondo, tra tante, una cattedruccia non si nega a nessuno. Abbiamo infatti  a che fare con una miriade di esse: psicologia dell’educazione,  psicologia dell’età evolutiva,  sociologia dell’educazione,  antropologia dell’educazione,  semiotica dell’educazione,  didattica generale, educazione degli adulti,  educazione permanente, scienza della valutazione, didattiche varie, didattiche della didattica, ….

           Non è da stupire tale ricaduta accademica. Se un gruppo sociale ti permette di giustificare risparmi e lavora per il consenso, merita di essere premiato. Cosa fa la pedagogia? la teorizzazione cavillosa degli enunciati più banali; l’elevazione a scienza  ed alla formalizzazione di : istanze ideologiche, motivi di moda, comportamenti non definiti . L’idealismo, in questo assolutamente preveggente, l’aveva messa tra le ancelle della cultura. Oggi è assurta a protagonista accademica avendo prodotto per partenogesi gli insegnamenti di cui sopra.

            Fabrizio Canfora già dal 1977 (Quale scuola ?) aveva denunciato l’insipienza di queste pretese pedagogie progressiste che risultavano invece distruttive, antiegualitarie, responsabili della legislazione del non dispiacere.

            Con questi apprendisti stregoni, la scuola passa gran parte del suo tempo a discutere se stessa e la sua modificazione e, a forza di percepire l’oggetto dal punto di vista della sua riforma (in sé), ci dimentichiamo dell’oggetto per sé. In particolare i contenuti non esistono più, ingombrano e basta, anche perché i nostri pedagogisti hanno poca dimestichezza con essi (si leggano le pagine liriche di Maragliano sui videogiochi per comprendere).

             Inoltre se sommiamo al pedagogista di moda il populismo di certo cattolicesimo, alla Bertagna (addirittura digiuno di Don Milani), che ricopre di disprezzo i saperi astratti e complicati dei borghesi, per vantare i saperi concreti e semplici delle classi popolari (come dire: tu popolaccio, occupati solo della produzione! Quello è il tuo destino! ), ci possiamo avvicinare alla comprensione del potere distruttivo del pedagogista [diceva già Gramsci nel Volume III dei Quaderni dal Carcere:

Oggi la tendenza è di abolire ogni tipo di scuola “disinteressata” (non immediatamente interessata) e “formativa” o di lasciarne solo un esemplare ridotto per una piccola élite di signori e di donne che non devono pensare a prepararsi un avvenire professionale e di diffondere sempre più le scuole professionali specializzate in cui il destino dell’allievo e la sua futura attività sono predeterminati.] .

             Ma ritornando alla vertente di sinistra (o sinistra?) se i nostri marxisti immaginari, almeno loro!, avessero letto il Gramsci di cui sopra, anche nella sua pedagogia del serio impegno, saremmo davvero protetti sulla strada dell’impegnato lavoro e della fatica scolastica:

Occorre persuadere molta gente che anche lo studio è un mestiere, e molto faticoso, con un suo speciale tirocinio, oltre che intellettuale, anche muscolare-nervoso: è un processo di adattamento, è un abito acquisito con lo sforzo, la noia e anche la sofferenza. … Occorrerà resistere alla tendenza di render facile ciò che non può esserlo senza essere snaturato.”

[vi è un ponderoso libro di M. Alighiero Manacorda, Il principio educativo in Gramsci, Armando 1970, che consiglierei vivamente, prima di avventurarsi nella pretesa pedagogia anglosassone].

             Anche E. D. Hirsch (The Schools We Need, 1996) ha messo in luce le gravissime responsabilità delle teorie pedagogiche “progressiste” nel generale collasso dell’istruzione, nella perdita di quei saperi culturali di base il cui possesso è sola garanzia di una autentica uguaglianza tra cittadini.

             Chi osserva da fuori questa scuola ed ogni attività resta davvero sorpreso dal fatto che la pedagogia si pone ormai come l’unica scienza umana che sfugge ad ogni critica ed assume toni direttivi nella trasmissione e comunicazione del sapere e della cultura. Insistono su computer e su reti telematiche perché i loro orizzonti si fermano fin dove il mercato fa capire loro (hanno l’autonomia di giudizio che i loro livelli di preparazione gli permettono). Questa loro full-immersion si dovrà scontrare con la rapida obsolescenza di questi sistemi e MEZZI. Ma costoro ci ossessionano giornalmente con cose orecchiate e mai capite. Infatti, se avessero capito qualcosa, dovrebbero chiedersi quantomeno qual è l’oggetto della comunicazione. Di esso, dei contenuti, non si parla MAI.

             Se qualcuno si prende la briga di leggere i POF (altra vergognosa invenzione dei pedagogisti-aziendalisti) di tutte le scuole che sono in rete, si rende conto del vuoto sotteso. Parole mutuate dai dibattiti TV, unico modello vincente. Più il POF è ricco, più è vuota quella scuola. Una pletora di concatenazioni che arrivano all’interdisciplinarità tra biologia e fisica, attraverso la caduta di gatti e non di sassi (senza peraltro immaginare le complicazioni dei momenti angolari ed altro ….). Chi li interrompe, poi, gli eroici fanciulli, con le loro letterine di Natale dei percorsi individuali, in sede d’esame ? Non sta bene, poi si rompono, si imbarazzano, …

             Rimedieremo … già sono pronti corsi di recupero per gli studenti e corsi di aggiornamento per insegnanti … la scuola è insufficiente di per sé, è noto a tutti!

             Meno i Dirigenti, lor signori sono fuori dalle tristi vicende delle valutazioni, soprattutto per quel che li riguarda …

LA CREATIVITA’ DEL PEDAGOGISTA

                  Naturalmente, per avere tanto credito, il pedagogista deve sembrare indispensabile, deve inventare nomi, strutture, concetti, … senza i quali la didattica dovrebbe essere ridotta un cumulo di macerie. Ed allora nascono: crediti, debiti, fine della riparazione, griglie, test oggettivi, pausa didattica, interdisciplina , antinozionismo , convergenza sul presente, no alla selezione , interattività, multimedialità, comunicazione pluridirezionale, costruzione di percorsi individuali, esami con i professori che hanno preparato quei percorsi, …. Solo un  aneddoto relativo ai percorsi personalizzati che mostra solo a quali livelli di preparazione si è arrivati con l’intervento massiccio dei pedagoghi nella scuola. Una studentessa, 4 anni fa, si presentò all’esame di liceo scientifico con il suo percorso con oggetto la sofferenza.  A parte che solo la sofferenza di fare matematica poteva entrare nel tema, come al solito le scienze sono del tutto differenziali. La sofferenza da Fosca passa a Nietzsche. “Bene, che ci racconti di Nietzsche relativo alla sofferenza?”. “La morte di Dio”. “D’accordo, vai avanti”. “Allora Dio si fece uomo e … morì tra grandi sofferenze sulla croce per noi … “. Che dire? “Ma è una brava ragazza! Ha sempre studiato! E’ l’emozione! Poverina è emozionantissima! …” e poiché un 60 non si nega a nessuno, la Commissione decise di darle 70. Ma che caspita di società costruiamo in questo modo cialtrone? Con questo apparente voler bene che si abbatterà sempre più sulle generazioni future in un processo di continuo degrado delle conoscenze. Tra l’altro il seme del loro sapere lo stanno propagando dappertutto, se solo si pensa che nelle supposte Scuole di Specializzazione per l’Insegnamento Superiore (SSIS) si impartiscono ai futuri insegnanti di matematica e fisica i seguenti insegnamenti: Psicologia generale, Pedagogia, Storia della scuola, Docimologia, Psicologia dell’educazione, Psicologia dello sviluppo, Didattica generale, Sociologia, Antropologia.

LA VALUTAZIONE

                  Ed a proposito di valutazione è indispensabile parlare delle truppe cammellate a sostegno dei pedagogisti: quelle dei docimologi. Almeno da dopo Gattullo, persona di autentica grande preparazione ed onestà intellettuale, non c’è chi riesca a fermare l’impazzare del docimologo con un coacervo così contraddittorio e così mal orecchiato da letteratura straniera da far venire i brividi. Intanto qualcuno molto più autorevole di me dovrebbe spiegar loro che i fasti del Positivismo sono passati da tempo. Non si può misurare sempre e comunque TUTTO. Che restino contenti loro e tutti i cultori delle pseudoscienze della classificazione di Comte, non tentino ulteriori scalate perché rischiano di cadere. Tutti voi che avete la ventura di leggere queste righe avete anche avuto a che fare con le griglie predisposte dal docimologo. Ci dicono che un test oggettivo deve prevedere varie tipologie e ce le affibbiano in sede d’esame. Importano in Italia un  sistema profondamente criticato nei Paesi anglosassoni; sovrappongono una valutazione a metodi didattici completamente differenti; fanno una operazione anticulturale per eccellenza; in ogni caso lavorano perché tutti siano promossi (pur facendo le facce feroci, il numero dei promossi è sempre cresciuto negli ultimi anni tendendo asintoticamente al 100%: il che farebbe immensamente piacere se avesse – ipotetica del 3° tipo –  una qualche corrispondenza con la preparazione reale degli studenti). Illustro una situazione reale in un corso di aggiornamento sulla terza prova all’esame di Stato presso un Liceo Scientifico. L’esperta ci spiega che qualunque domanda che noi rivolgiamo per iscritto ai ragazzi la dobbiamo suddividere in tanti piccoli periodi ciascuno dei quali deve poter essere valutato da noi a seconda di ciò che a priori desideriamo. Per far ciò dobbiamo assegnare punteggi parziali ad ogni singola risposta e, per evitare di imbrogliare con preconcetti riguardo agli alunni, dobbiamo noi fornire la risposta scritta con il massimo punteggio che daremmo. Questa prova da noi preparata e risolta analiticamente la dobbiamo depositare presso il Dirigente in modo che vi sia il notaio indipendente ed al di sopra delle parti. Tralasciamo ogni possibile indignazione per il ruolo che il docimologo assegna al docente e ricordiamo quali sono i lavori che l’insegnante deve fare: preparare non una ma varie domande da fare ai ragazzi; rispondersi come si vorrebbe rispondessero i ragazzi; assegnare i punteggi parziali con i relativi pesi. Ci siamo sottoposti all’esperienza. Ognuno di noi, nella propria disciplina, ha somministrato prove ai suoi studenti. Con il punteggio stabilito a priori successe un finimondo: i voti più alti in qualunque disciplina non superavano il quattro. Comunicata la cosa alla docimologia nessuna sorpresa e nessun dubbio. Ci ha spiegato che quando le cose vanno così dobbiamo cambiare il voto e tornare alla valutazione globale, quella che sempre facciamo. Caspita! Avevamo dimostrato l’inapplicabilità del metodo di quella docimologia e la docimologia ci dice che dobbiamo continuare ad operare nel modo che ci aveva detto, salvo cambiare se le cose andavano male. Ma con chi abbiamo a che fare nel nostro lavoro? Chi è l’esperto di chi e di che? Ma vi è di più, molto di più. Riproduco qui lo schema che ci è stato fornito e che figura nel libretto sulla valutazione che la nostra esperta ha scritto. Lo faccio cambiandone grafica ed ordine per evitare che si riconosca la persona che ha scritto queste cose anche se … ab uno disce omnes. Ecco cosa occorre valutare da una sola domanda (Tipologia A o B, ad esempio) con 15 righe di risposta o con 3 risposte da 5 righe:

GRIGLIA DI VALUTAZIONE

VARIABILICONOSCENZECOMPRENSIONEAPPLICAZIONEESPRESSIONECAPACITA’ DI ANALISICAPACITA’ DI SINTESI E CRI TICHEIMPRESSIONE GENERALE
 1) Contenuti1) Cogliere senso1) Saper applicare le conoscenze1)Impostazione fluida e corretta1) Approccio metodico ed accurato1)Rielaborare1)Ordine e chiarezza
  2) Cogliere implicazioni 2) Proprietà di linguaggio 2)Commentare i risultati2) Grafica
  3) Correlare argomenti   3) Gestire nuove situazioni3) Completezza
LIVELLIL’alunno ha:L’alunno:L’alunno:Si esprime:Effettua:Sintetizza in:Svolge:
Basso . Voto          < o = 4Conoscenze gravemente lacunoseCommette gravi errori di comprensioneCommette gravi errori nell’applicazioneCon difficoltà ed imprecisioneAnalisi gravemente lacunose e scorretteModo scorretto o incoerenteIn modo caotico e con troppe correzioni
Medio  basso. Voto 5Conoscenze carentiCommette qualche errore di comprensione anche in argomenti sempliciCommette qualche errore ma sa applicare in argomenti sempliciCon improprietà linguistiche ed incertezzeAnalisi parzialiModo semplice ed imprecisoIn modo piuttosto caotico ed incompleto
Medio. Voto 6Conoscenze globalmente complete con qualche imperfezioneCoglie correttamente il senso ed i contenuti di argomenti sempliciSa applicare le conoscenze in argomenti sempliciIn modo semplice con qualche incertezzaAnalisi corretteModo semplice ma correttoIn modo abbastanza ordinato
Medio      alto. Voto 7Conoscenze complete con qualche imperfezioneCoglie correttamente il senso ed i contenuti anche di argomenti complessiSa applicare le conoscenze anche in argomenti complessi con qualche erroreIn modo semplice ma correttoAnalisi completeModo corretto e completoIn modo ordinato
Alto. Voto 8Conoscenze complete e articolateSa interpretare un concetto cogliendo correlazioniSa applicare le conoscenze anche in argomenti complessiCon proprietà linguisticaAnalisi complete e coerentiModo completo corretto e chiaroIn modo ordinato, chiaro e senza troppe correzioni
Molto    alto. Voto 9/10Conoscenze complete, ampliate e personalizzateCoglie implicazioni e determina corrette correlazioniSa applicare le conoscenze anche in argomenti complessi e con le migliori procedureIn modo fluido e con un lessico ricco e appropriatoAnalisi complete e approfonditeCon precisione e completezzaIn modo ordinato, chiaro, senza correzioni e con buona presentazione

Il voto deve nascere dall’intersezione di conoscenze, comprensione, applicazione, espressione, capacità di analisi, capacità di sintesi e critiche, impressione generale. Il presunto esperto che crede di aver costruito una tabella oggettiva dovrebbe spiegare da dove ha tratto lo zero della sua scala di valutazione e che significato hanno parole ed espressioni del tipo: grave, lacunoso, difficoltà, imprecisione, scorretto, parziale, semplice, carente, qualche, incertezza, caotico, completo, articolato, coerente, troppi, abbastanza, … Se non si fa questo si è fatta una operazione di facciata, buona per i grulli ma assolutamente inutile.

Il docente che dispone di quella griglia,  dovrà poi assegnare dei pesi ad ogni singola voce di modo che occorrerà un calcolo non elementare per assegnare il voto finale. Il docimologo si è però preparato anche uno schema per questo, schema dal quale è un poco più semplice assegnare il sospirato voto finale (esemplifico con la tipologia A ma le cose sono le stesse per le altre tipologie):

_____________________________________

TIPOLOGIA A

·     a = conoscenza

·     b = comprensione

·     c = applicazione

·     d = espressione

·     e = metodi e capacità di analisi

·     f = sintesi e capacità critica

·     g = impressione generale

a + b + c + d + e + f + g  = 10

p1  + p2 + p3   =   15

*********************************************

1° sottoquesito

Materiap1abcdefg
1)        
2)        
3)        
4)        

2° sottoquesito

Materiap2abcdefg
1)        
2)        
3)        
4)        

3° sottoquesito

Materiap3abcdefg
1)        
2)        
3)        
4)        

E fin qui, ancora ancora, nulla di male (pensate a che livello possono ridurre una persona!). Il male viene quando, dopo un lavoro immane da ripetersi per ogni studente (mediamente 25) per 6 volte (almeno) l’anno, occorre alla fine buttare tutto via e valutare con il solito metodo, detto globale. Ma i docimologi vanno avanti a testa bassa e, non contenti di proporre tali valutazioni (nessuno dica che esiste il test del chi quadro perché lor signori, già fortemente zoppicanti in gaussiane, inizierebbero il papocchio finale!) ne propongono anche per la scuola come istituzione complessiva. E, come no?, per l’insieme dei docenti tutti. Naturalmente la scuola è ormai intesa come azienda (che volete farci? Questo è il Paese di Baldassar Castiglione, di Machiavelli e di Monsignor della Casa!) e ciò che fornisce ai suoi clienti sono prodotti. D’altra parte tutto questo era contenuto nella Legge Bassanini istitutiva dell’autonomia scolastica (Legge n. 59,  15 marzo 1997). Ed in quelle ispirate pagine, tra l’altro,  si dice che la scuola abbisogna (?) di alcune cose:

“- estendere il regime di diritto privato del rapporto di lavoro anche ai dirigenti generali ed equiparati delle amministrazioni pubbliche;

– compensi di incentivazione o similari;

– razionalizzare gli organi collegiali esistenti anche mediante soppressione;

– criteri di flessibilità;

– sistemi per la valutazione;

– elaborazione di specifici indicatori di efficacia, efficienza ed economicità ed alla valutazione comparativa dei costi, rendimenti e risultati;

– collegare l’esito dell’attività di valutazione dei costi, dei rendimenti e dei risultati alla allocazione annuale delle risorse;

– l’autonomia organizzativa è finalizzata alla realizzazione della flessibilità, della diversificazione, dell’efficienza e dell’efficacia del servizio scolastico, alla integrazione e al miglior utilizzo delle risorse e delle strutture, all’introduzione di tecnologie innovative e al coordinamento con il contesto territoriale.  Essa si esplica liberamente, anche mediante superamento dei vincoli in materia di unità oraria della lezione, dell’unitarietà del gruppo classe e delle modalità di organizzazione e impiego dei docenti, secondo finalità di ottimizzazione delle risorse umane, finanziarie, tecnologiche, materiali e temporali;

– obbligo di adottare procedure e strumenti di verifica e valutazione della produttività scolastica e del raggiungimento degli obiettivi”.

Credo sia facile rendersi conto di come, così, con un colpo di legge mai concertato, discusso con gli operatori scolastici, condiviso e/o preannunciato, si sia resa la scuola merce. Di come la natura della scuola si sia modificata in modo insopportabile, preannunciando una profonda decadenza sociale. Di come, con altra invenzione di Bassanini, sia sparito il Pubblico nel Ministero della scuola. Solo un colpo di reni, uno sforzo propositivo di tutti, convergente proprio verso quegli impegni programmatici che si dovrebbero mettere su, prima delle prossime elezioni politiche, solo questo (insieme all’ammissione di svariati errori, anche gravi, da parte del governo di centrosinistra ed all’affermazione di voler superare quelle sbandate neoliberiste) potrà permettere (comunque con fatica) di ricostruire una scuola che dia all’intera società civile la speranza di crescere proficuamente per il bene complessivo del Paese.

Roberto Renzetti



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