Il principio di indeterminazione
Per poter determinare con precisione la posizione e la velocità (e quindi l’energia) di un corpo in movimento è necessario che noi non modifichiamo con la nostra osservazione il fenomeno che vogliamo studiare.
Capiamo meglio questo fatto.
C’è un camion che cammina ad una certa velocità v su una auto strada. Che posizione occupa ad un certo istante? Lo guardiamo in quell’istante; passa esattamente con il suo muso davanti al segnale di curva. Andiamo sul posto e diciamo; il camion, all’istante voluto, era qui. Per essere più precisi potremmo fotografarlo: avremo allora un’istantanea che ci mostra il camion nella posizione che occupa proprio all’istante che volevamo. E se a quell’istante il camion stesse transitando sotto un tunnel dove non c’è possibilità né di vederlo né di fotografarlo? Allora o non lo facciamo passare attraverso il tunnel, facendolo deviare per un’altra strada, ma questo modifica il fenomeno che stiamo osservando ed un’istantanea sulla deviazione che ha preso il camion non ha interesse, o diciamo che in quell’istante il camion si trova sotto il tunnel, non possiamo dire con precisione dove, ma è sicuramente confinato nel tunnel, o cerchiamo altre tecniche per sapere dove è. Comunque, qualunque sia la tecnica da noi usata per determinare la posizione del camion, l’importante è che per fare questa misura noi non modifichiamo le condizioni di moto del corpo ed, in particolare la sua velocità e la sua direzione.
Supponiamo di voler determinare la traiettoria e la velocità di una palla all’interno di una stanza buia mediante una macchina fotografica ed uno stroboscopio (un flash che può fornire lampi con precisi e ridotti intervalli di tempo). Teniamo il diaframma e l’obbiettivo della macchina completamente aperti: trovandoci al buio la pellicola non si impressiona. Facciamo partire i lampi dello stroboscopio contemporaneamente al lancio della palla. Alla fine dell’esperimento avremo una foto in cui la palla è ritratta in diverse posizioni ad intervalli successivi:

E’ facile allora vedere quale è stata la traiettoria della palla.
Altrettanto facile è calcolare la sua velocità per ogni piccolo tratto di traiettoria: si conosce la distanza tra un punto ed uno successivo occupati dalla palla nella foto, si conosce l’intervallo di tempo intercorso tra due lampi successivi dello stroboscopio, basta quindi applicare la relazione
v = s/t
ad ogni coppia di successive posizioni della palla per conoscere le sue velocità media in quei piccoli, successivi, tratti.
Facendo queste misure abbiamo modificato la velocità e la traiettoria della palla?
Sento già un coro di no.
Invece abbiamo modificato e traiettoria e velocità.
Di poco.
Ma le abbiamo modificate.
Ricordiamo che la luce è composta da tanti e tanti fotoni a ciascuno dei quali compete una energia E = hν . Se abbiamo 1 miliardo di fotoni (109) tutti di frequenza n avremo una energia totale E = 109 hν . Questi fotoni per illuminare la palla la devono colpire fornendo dunque ad essa la loro energia. La palla ha quindi acquistato una energia E = 109 hν . L’acquisto di questa energia ha in qualche modo modificato e la posizione della palla nell’istante in cui viene fotografata e di conseguenza, la traiettoria e, di conseguenza la sua velocità. Rendiamoci conto di come questa modificazione ha influito sulla nostra misura e per far questo troviamo l’ordine di grandezza di E = 109 hν . E’ a questo punto che entra in gioco l’estrema piccolezza della costante di Planck, h = 6,63.10-34 joule.s. Facendo infatti il conto che ci interessa, si ha:
E= 109. 6,63.10-34 ν Joule = 6.63.10-25ν Joule
Tenendo ora conto che la frequenza dei fotoni della luce visibile è compresa tra 1014 e 1015 cicli al secondo (Hz) si ha che ν ~ 5.1014 Hz e allora:
E = 6.63.10-25.5.1014 Joule ~ 3.10-10 Joule = 3/1000 erg.
Affinché la palla rimanga impressionata sulla lastra occorre che un certo numero di fotoni la urti. E’ evidente che con questi urti i fotoni cedono la loro energia alla palla la quale si ritroverà con il suo stato di moto modificato. Questa modificazione è però tanto piccola rispetto alle dimensioni, degli oggetti che stiamo studiando da non tenerne affatto conto: l’energia dei fotoni rispetto a quella della palla è davvero ben piccola cosa, totalmente trascurabile.
E’ proprio il fatto che queste due energie sono tanto diverse a far si che noi possiamo agevolmente misurare, senza tener conto dei microscopici errori, la posizione e la velocità della palla.
Nei ragionamenti che stiamo sviluppando abbiamo implicitamente ammesso che per studiare una qualche caratteristica di un certo oggetto dobbiamo in qualche modo toccarlo, dobbiamo cioè in qualche modo interagire con esso.
E questo fatto è abbastanza chiaro anche se non evidente.
Per renderci conto del peso di un oggetto dobbiamo pesarlo mettendolo quindi in relazione con altri oggetti; per vedere qual è la lunghezza di un tavolo dobbiamo sovrapporgli un metro; per calcolare il livello dell’acqua in un serbatoio dobbiamo introdurvi un’asta graduata; per camminare in una stanza buia dobbiamo toccare per muoverci agevolmente; se la stanza non è buia ci sembra però di poterci muovere senza modificare nulla, senza toccare. Invece non è così. La funzione che svolgevano le nostre mani, toccando per farci muovere, è ora svolta da altri oggetti. Sono infatti i fotoni che toccano per noi gli oggetti rendendoceli visibili.
Per studiare quindi, nell’ipotesi minimale, la posizione di un determinato oggetto occorre almeno vederlo. Per vederlo oc corre che questo oggetto sia illuminato. Se illuminiamo l’oggetto per studiarlo vuol dire che noi ci mettiamo in relazione con esso mediante i fotoni. In ogni caso, misurare significa perturbare.
Ritorniamo alla nostra palla. Noi l’abbiamo perturbata con energie piccole al confronto con la sua. Ma cosa succedereb be se noi la perturbassimo con un’energia dello stesso ordine di grandezza? Avremmo un fotone grande come la palla che lo colpisce. Potremo dire allora che la palla si trovava lì al momento dell’urto con il fotone, ed infatti la lastra fotografica ci darebbe ragione. Ma, un istante dopo, la palla non è più lì avendo modificato completamente la sua traiettoria e la sua velocità.
Senza fantasticare su fotoni grandi come palle, cerchiamo palle piccole come fotoni, scendiamo cioè nel campo delle grandezze atomiche e prendiamo in considerazione un elettrone: vogliamo studiare la sua posizione e la sua velocità.
Per far questo facciamo come Heisenberg nel 1927: costruiamoci cioè un’esperienza ideale, una esperienza cioè in cui lo sperimentatore dispone di un laboratorio ideale in cui egli possa costruire qualsiasi genere di strumento o congegno purché la sua struttura ed il suo funzionamento non contraddicano le leggi fondamentali della fisica.
Vogliamo osservare la traiettoria di un elettrone in movimento, lanciato da un particolare meccanismo e soggetto alla forza di gravità della Terra. .
L’attrezzatura per fare l’esperienza è la seguente:
a) una camera dentro la quale è stata aspirata completamente l’aria, fino all’ultima molecola;
b) un cannoncino in grado di sparare elettroni, uno alla volta, orizzontalmente e sistemato su una parete della camera;
c) una sorgente luminosa capace di emettere fotoni in numero variabile a piacere e di qualsiasi frequenza;
d) un microscopio in grado di poter osservare qualsiasi frequenza (perfino le lunghe onde radio e i cortissimi raggi γ).
L’attrezzatura di questa esperienza ideale è ideale perché:
a) a tutt’oggi non si intravede la minima possibilità di ottenere il vuoto assoluto;
b) non ci sono cannoncini che sparino elettroni uno alla volta;
c) una tale sorgente luminosa non è stata ancora realizzata;
d) un microscopio con tali caratteristiche non esiste;
e con il supporre di avere questa attrezzatura non si contraddice nessun principio fondamentale della fisica.
Lo schema costruttivo dell’esperienza è riportato nella figura seguente:

Cerchiamo di vedere e capire cosa succede ad un elettrone quando, sparato dal cannoncino, si pone in moto nella camera.
L’elettrone evidentemente è un piccolo proiettile e, secondo quanto sappiamo di fisica classica, la sua traiettoria dovrebbe essere un arco di parabola come mostrato nella figura seguente

Allora vediamo se, effettivamente, questo elettrone segue una traiettoria parabolica. Abbiamo detto vediamo. Ma per vedere occorre illuminare e per illuminare occorre che almeno un fotone colpisca l’elettrone.
Qui non siamo come nel caso della traiettoria di una palla. L’energia dell’elettrone è molto minore di quella di una palla. Quindi se un elettrone è colpito da un fotone, al contrario di una palla colpita da uno o più fotoni, gli scambi di energia sono del lo stesso ordine di grandezza ed allora, dopo l’urto, l’elettrone avrà completamente variato la sua traiettoria e la sua velocità.
Osservando con il nostro microscopio l’elettrone, troveremo una traiettoria a zig-zag; infatti per osservare l’elettrone per un certo tempo saranno diversi i fotoni che colpiranno in tempi successivi:

In questo caso, ad ogni istante, la posizione dell’elettrone è individuata esattamente, ma la sua traiettoria è com pletamente indeterminata.
Tenendo conto che non si può disporre, ad esempio, di mezzo fotone, si potrebbe pensare di diminuire l’energia del fotone che urta l’elettrone in modo da perturbare il meno possibile l’elettrone stesso.
Ricordando che la relazione che ci da l’energia per un fotone è:
E = hν
per diminuire E si può agire sulla frequenza ν, si può cioè rendere sempre più piccola la frequenza ν .
Poiché frequenza e lunghezza d’onda sono tra loro inversamente proporzionali, diminuire la frequenza equivale ad aumentare la lunghezza d’onda:

Abbiamo quindi un fotone con energia piccolissima, cioè un fotone che dispone di una piccolissima frequenza, cioè un fotone che ha una grande lunghezza d’onda.
Cerchiamo di capire ciò che succede in questo caso.
Tutti noi, almeno una volta, avremo osservato una specie di sparpagliamento della luce quando viene fatta passare attraverso un forellino sottilissimo. Questo sparpagliamento ha luogo quando il diametro del forellino è dello stesso ordine di grandezza della lunghezza d’onda della luce che lo attraversa. Questo fenomeno è chiamato diffrazione della luce. Ora si ha la diffrazione anche quando poniamo un piccolissimo oggetto (il cui diametro sia dell’ordine di grandezza della lunghezza d’onda della luce) davanti ad una sorgente luminosa: su di uno schermo posto di fronte troveremo non un ombra netta ma confusa.

Evidentemente questa diffrazione sarà più evidente quanto più sarà grande la lunghezza d’onda della luce rispetto alle dimensioni dell’oggetto interposto tra sorgente luminosa e schermo (e viceversa). L’immagine, quindi, di un oggetto puntiforme su di uno schermo non sarà puntiforme ma sarà invece una piccola macchia le cui dimensioni sono dell’ordine di grandezza della lunghezza d’onda della luce usata.
Di conseguenza, dovendo osservare un oggetto con un microscopio, noi potremo osservare l’immagine di questo oggetto tanto più netta, e quindi localizzata, quanto più useremo piccole lunghezze d’onda. Viceversa avremo una immagine sfocata, cioè poco precisa, cioè poco localizzata quando usiamo radiazione con grande lunghezza d’onda. Osserviamo tra parentesi che non si è in grado di osservare oggetti più piccoli della lunghezza d’onda della luce usata . Torniamo allora al nostro fotone che deve urtare l’elettrone che viaggia nella camera per permetterci di vederlo.
Usando, come ci eravamo proposti, un fotone di bassa energia per non perturbare la traiettoria e la velocità dell’elettro ne che stiamo osservando ci troviamo nella condizione in cui il fotone ha una bassa frequenza e quindi una grande lunghezza d’onda. Se dunque aumentiamo la lunghezza d’onda del fotone per perturbare meno traiettoria e velocità dell’elettrone, troveremo nel nostro microscopio delle immagini scadenti, cioè una misura poco precisa della posizione dell’elettrone.
Sfuggire da Scilla significa incappare in Cariddi.
Quindi per un fotone che si muove con una grande frequenza n, cioè con una piccola lunghezza d’onda l, avremo sul microscopio una immagine come quella in cui l’elettone si vede come se avesse una traiettoria a zig zag. Mano a mano che diminuiamo la frequenza, e quindi aumentiamo la lunghezza d’onda, otterremo via via sul nostro microscopio delle immagini come quel le riportate nelle figure successivamente riportate:


Nell’ultima figura possiamo intravedere una traiettoria anche se grossolanamente approssimata. Non siamo in grado comunque di dare la posizione dell’elettrone.
Allora: o si dà la posizione dell’elettrone rimanendo completamente indeterminata la sua traiettoria (figura con elettrone a zig zag), oppure si dà la traiettoria rimanendo completamente indeterminata la posizione (ultima figura). La penultima figura ci fornisce però una via di mezzo: usando una frequenza intermedia si avrà una traiettoria alterata solo parzialmente ed anche la posizione si potrà stabilire con una piccola incertezza. L’elettrone non avrà una linea ben definita come traiettoria ma comunque resterà confinato entro una striscia.
Questi ragionamenti furono quelli che portarono Heisenberg al suo famoso principio di indeterminazione (1927) che egli riuscì a formulare anche con una relazione matematica.
Secondo il principio di indeterminazione: è impossibile determinare con esattezza e simultaneamente la posi zione e la velocità di un elettrone ( e più in generale di una particella).
La forma matematica di queste principio è molto semplice Se chiamiamo con x la posizione dell’elettrone e quindi con Δx l’indeterminazione sulla posizione, da quanto abbiamo detto si ricava che Δx è dell’ordine di grandezza della lunghezza d’onda l del fotone, mentre, se chiamiamo con q la quantità di moto dell’elettrone (q = mv => Δq = Δmv) e quindi con Δq l’indeterminazione nella sua quantità di moto, si può facilmente vedere che anche Δq dipende da λ e maggiore è l’energia trasportata dal fotone, maggiore è l’energia che questo scambia con l’elettrone. Più precisamente si avrà:

combinando queste due relazioni si trova:

Con altre considerazioni, che ora non ci interessano, la forma definitiva del principio di indeterminazione risulta essere:

essendo h la costante di Planck ed m la massa dell’elettrone.
Ritorniamo ora al camion che avevamo incontrato qualche pagina indietro. Applichiamogli il principio di indeterminazione e vediamo cosa succede.
Supponiamo che il camion abbia una massa m = 10.000 Kg ed una velocità v ~ 10 m/s. Supponiamo inoltre che l’indeterminazione sulla velocità sia Δv = 1 m/s (il che significa dire che la velocità del camion può variare del 10 % intorno al valore, di 10 m/s, dato). Calcoliamoci l’indeterminazione nella posizione del camion. Si ha:

essendo h la costante di Planck ed m la massa dell’elettrone. E’ evidente che l’indeterminazione nella posizione è tanto piccola (si ricordi che le dimensioni atomiche sono dell’ordine di 10-10 m) da non poter essere in alcun modo presa in considerazione.
Facciamo ora lo stesso conto per un pallino di piombo da caccia di massa m = 1 mg (=10-3g=10-6Kg) e con velocità v ~ 100 m/s. Supponiamo che l’indeterminazione sulla velocità sia Δv = 10 m/s (anche qui il 10% della velocità v). Si trova:

Anche in questo caso quindi questa indeterminazione è assolutamente ridicola ed al di fuori di ogni portata valutativa (in nessun modo è possibile rendersene conto).
Applichiamo infine il principio di indeterminazione ad un elettrone di massa m = 9,1.10-31 Kg che si muove con una velocità v ~ 2.000.000 m/s (= 2.106 m/s). Supponiamo che l’indeterminazione nella velocità sia anche qui il 10% di v, cioè Δv = 0,2.106 m/s. Per l’indeterminazione nella posizione (Δx) si trova:

In questo caso, come si può ben vedere, l’indeterminazione nella posizione è dell’ordine di grandezza delle dimensioni atomiche e non può quindi in nessun modo venire trascurata trattando questioni atomiche. E’ cioè impossibile dire dove si trova un elettrone all’interno di un atomo. Non si può quindi descrivere l’orbita di un elettrone all’interno di un atomo poiché la fascia di indeterminazione si rivela, in questo caso, larga quanto la distanza dell’orbita dal nucleo. Troviamo così che la meccanica quantistica non ci fornisce alcuna informazione sulla traiettoria seguita da un elettrone intorno al nucleo. Non potremo più parlare di orbite percorse dagli elettroni, che presuppongono sia valori finiti e ben determinati della distanza dal nucleo sia la conoscenza della posizione e della velocità dell’elettrone. In luogo di queste orbite dovremo considerare un certo volume (il cosiddetto orbitale atomico) entro cui e possibile o probabile che l’elettrone si trovi.
Vari tipi di orbitali atomici
Precisando meglio quanto abbiamo detto, studiamo un poco più dettagliatamente il significato delle scoperte di Schrödinger ed Heisenberg andando a vedere più da vicino la novità e le successive applicazioni del nuovo modo di trattare i fenomeni atomici.
In base all’equazione di Schrödinger un elettrone in movimento può essere rappresentato da un’onda che possiamo da ora chiamare funzione d’onda ed indicare con la lettera greca ψ (si legga psi).
Essendo ψ la funzione d’onda ad essa sarà associato un elettrone. .
Noi non siamo però in grado di dire in quale punto dell’onda si trova quest’elettrone a causa del principio d’indeterminazione di Heisenberg. Siamo però in grado di dare la probabilità di trovare l’elettrone in un certo punto dell’onda ψ (la quale onda, è meglio dirlo subito, non ha alcuna esistenza materiale, ma rappresenta solo un mezzo analitico per calcolare, appunto, la probabilità P di trovare l’elettrone in un certo punto dell’onda stessa).
Siccome noi siamo certi che, ad esempio, un atomo d’idrogeno ha un’ elettrone intorno al suo nucleo, la probabilità P di cui parlavamo ha un significato fisico ben preciso, corrisponde ad un qualcosa di reale, è un qualcosa di osservabile. D’altra parte una probabilità è una grandezza positiva compresa fra zero ed uno: il valore zero significa l’impossibilità, il valore uno la certezza di un determinato evento.
La probabilità che un elettrone si trovi in un punto qualunque nello spazio che circonda un determinato nucleo deve essere uguale ad uno (cioè, come abbiamo detto sempre positiva o al massimo nulla). Poiché lo stato di .un sistema fisico deve essere caratterizzato dalla sua funzione d’onda ψ , anche la probabilità P dovrà potersi costruire mediante la ψ .
Poiché P deve essere positiva o al massimo nulla, l’unico modo di renderla tale ed insieme per farla dipendere dalla ψ è definire (Max Born, come del resto abbiamo già detto):

(leggi: psi modulo quadro) infatti se ψ è una funzione reale tale è ψ modulo quadro, risultando > oppure = 0; se ψ è una funzione complessa si ha:

(intendendo con ψ* il complesso coniugato di ψ e ricordando che il prodotto tra un numero complesso ed il suo coniugato è un numero reale) e si ottiene che ψ modulo quadro è ancora una funzione reale sempre > oppure = 0.
Vediamo qualche esempio di funzione ψ (in nero) con la corrispondente ψ modulo quadro (in rosso):

Vediamo ora come questa funzione d’onda ψ e la probabilità ψ modulo quadro di trovare un elettrone in un certo spazio sono legate con gli orbitali atomici. Ma prima di far questo ritengo necessaria una piccola digressione. E’ doveroso avvertire che l’introduzione della ψ e del suo modulo quadro (probabilità) dette adito ad una serie di discussioni a volte drammatiche. Il culmine dello scontro si ebbe al Congresso Solvay del 1927. Due fazioni si scontrarono: da una parte quelli che poi risultarono vincitori, Born, Heisenberg, Dirac, Pauli capitanati da Bohr (costoro vennero i» seguito indicati come appartenenti al la Scuola di Copenaghen); dall’altra, quelli che poi risultarono sconfitti, Planck, Einstein, Schrödinger, de Broglie. La tesi portata avanti dai seguaci di Bohr era essenzialmente la seguente: la teoria quantistica è una teoria completa e definitiva, le sue ipotesi fondamentali non sono discutibili; le leggi probabilistiche della fisica dei quanti sono un dato definitivo della realtà; non c’è possibilità di affidarsi ad alcun determinismo, la natura assume l’indeterminazione come un dato fondamentale e di principio; occorre rinunciare al concetto di causalità dei fenomeni atomici del tempo e dello spazio; si estrapola il principio di indeterminazione affermando che non solo non è possibile misurare contemporaneamente posizione e velocità di una particella, ma addirittura che una particella non ha né posizione né velocità, con la conseguenza che, ancora una volta, la materia di nuovo sparisce e con questa posizione, legittima ed apparentemente innocua, si dà fiato a tutta la vecchia posizione antimaterialista che, appena qualche anno dopo, vedrà Heisenberg, lo scienziato nazista, affermare che l’atomo non è altro che un sistema di equazioni differenziali e che, naturalmente, la materia non esiste. Ma, a prescindere dalla posizione radicale di Heisenberg rimane il fatto che la posizione filosofica dei vincitori, che si può semplicemente definire neopositivista, è ancora quella che oggi governa i nostri istituti di ricerca. Porsi dei problemi, cercare di capire, fa perdere tempo e non ci aiuta sulla strada del consumismo scientifico e dell’efficientismo. Contro tutto questo si battevano gli sconfitti, e non solo a parole ma anche con tutta usa serie di teoremi, dimostrazioni e paradossi. Secondo questi ultimi la fisica dei quanti è certamente una conquista importante ma deve essere intesa come provvisoria: diamo tempo alla ricerca e molte cose potranno essere intese in un modo differente. E poi, entrando in un minimo di dettaglio, non è affatto vero che la fisica dei quanti offre una descrizione completa. Molte variabili le sfuggono, sono le variabili che sono state definite nascoste. Vi è una enorme bibliografia in proposito, per parte mia tengo solo a dire che io descrivo gli sviluppi della fisica dei quanti così come si sono susseguiti; in nessun modo sento di condividere l’impostazione filosofica dei vincitori del Congresso Solvay.
Ritornando ora a quanto lasciato, cominciamo con il dire che la funzione d’onda ψ è anche definita orbitale atomico di un elettrone in un atomo. C’è un altro modo però di intendere la ψ . E’ certamente un modo che soddisfa di più la nostra abitudine a crearci modelli meccanici della realtà fisica che non il rigore dell’esatta interpretazione. Dobbiamo supporre di avere, anziché il vecchio punto materiale che ci descrive l’elettrone in moto con tutta la sua carica concentrata, una nuvola di carica, cioè l’elettrone diffuso in un certo volume di spazio. Questa nuvola di carica non avrà densità uniforme ma, in ogni punto, la sua densità sarà proporzionale a ψ modulo quadro . Dove la ψ modulo quadro assume un grande valore, lì si avrà una densità maggiore per la nuvola, e lì si troverà concentrata la gran parte della carica negativa propria dell’elettrone. La differenza essenziale tra questo modo di vedere le cose e quello precedente è che, invece di parlare di densità di probabilità, si parla di densità materiale di particella.
Ritornando alla rappresentazione dell’elettrone mediante la funzione d’onda va detto che la ψ di un elettrone in un atomo non ha confini definiti ma si estende a distanze molto grandi (relativamente alle dimensioni atomiche) dal nucleo. Questo fatto vuol dire che è possibile anche trovare l’elettrone molto distante dal nucleo. Ma se tale distanza supera i 2 ÷ 3 Å, la probabilità di trovare l’elettrone è molto piccola e poco significativa.
Si può quindi dire che per ogni funzione d’onda ψ vi è un certo contorno, detto superficie limite, entro il quale si ha una probabilità ben definita (dal 90 al 99 %) di trovare l’elettrone.
Le cose che abbiamo dette sono ancora abbastanza vaghe.
Per renderle più concrete, per visualizzarle insomma, cerchiamo di vedere come si può disegnare una funzione d’onda di un elettrone in un atomo, come si può disegnare cioè un orbitale atomico.
La rappresentazione grafica della funzione d’onda (cioè di un orbitale atomico) di un elettrone in un atomo si può realizzare in uno dei seguenti modi:
1) Si può disegnare la nuvola di carica (vedi fig. c)
2) Si può tracciare la superficie limite dell’elettrone nello stato stazionario permesso rappresentato dalla funzione d’onda ψ (vedi fig. d)
3) Si possono calcolare le curve in cui ψ modulo quadro è costante e tracciarle (vedi fig. b).
4) Si possono tracciare i grafici di ψ o di ψ modulo quadro in funzione della distanza r dal nucleo (vedi fig. a).

Vediamo una esemplificazione di quanto detto limitandoci ai casi (a) e (c) di figura, poiché sono quelli che useremo spesso in seguito.
Consideriamo un elettrone, intorno ad un nucleo (ad esempio di idrogeno), nel più basso livello energetico. In base alla rappresentazione mediante la nuvola di carica (e come vedremo meglio nelle pagine seguenti) l’elettrone può essere disegnato con la sua nuvola di probabilità circondante il nucleo :

La ψ e la ψ modulo quadro sono legate a questa rappresentazione in un modo molto semplice che è reso ben evidente dalla figura seguente:

Osserviamo innanzitutto che la figura è simmetrica rispetto all’asse delle ordinate che passa per il nucleo atomico; in pratica essa è simile ai grafici di ψ e di ψ modulo quadro con in più le sue speculari rispetto all’asse delle ordinate. La figura rappresenta la probabilità ψ modulo quadro ( di trovare l’elettrone ad una data distanza R dal nucleo. Poiché l’elettrone nell’atomo si trova, non su di un piano, ma nello spazio circostante il nucleo, quest’ultimo è stato preso come origine delle coordinate; e proprio per la simmetria dell’intero sistema non ha senso considerare distanze R negative a partire dal nucleo e quindi, in figura, non vi è un verso negativo per l’asse delle ascisse ma solo versi positivi a partire dal nucleo. Quest’ultima considerazione fa subito capire che il modo più corretto di intendere la figura (b) non e’ su di un piano ma nello spazio; si deve cioè pensare che il diagramma di figura risulti solo una sezione verticale di quello strano cono che si otterrebbe facendo ruotare di 180° sull’asse delle ordinate il diagramma stesso di figura; quest’ultimo strano cono e’ quello che ci rappresenta meglio la probabilità ψ modulo quadro di trovare l’elettrone nello spazio circostante il nucleo ad una distanza R da esso.
Il confronto quantitativo delle distanze tra le due figure in esame permette una ulteriore considerazione: alla distanza di circa 0,5 Å dal nucleo la probabilità di trovare l’elettrone è molto piccola; ad una distanza maggiore, di circa 1,5 Å dal nucleo la probabilità di trovare l’elettrone è nulla; ad una distanza minore di 0,5 Å la probabilità aumenta sempre di più e diventa grandissima, fino a raggiungere il suo valore massimo nei pressi del nucleo stesso. Inoltre, i circa 0,5 Å come distanza dal nucleo oltre la quale è difficile trovare l’elettrone conferma quanto abbiamo fino ad ora detto e trovato con i conti di Bohr: il raggio atomico è di circa 0,5 Å, cioè il diametro di un atomo è dell’ordine di grandezza di 1 Å.
Ricordato che la ψ non ha significato fisico, per comprendere quanto ci siamo proposti, passiamo a mettere in relazione la figura (a) con la figura (b), cominciando con il dare una spiegazione più completa di una rappresentazione come quella data per l’elettrone in figura (a). Abbiamo già parlato del suggestivo modo di intendere la cosa in termini di nuvola di carica. Vediamo ora di precisare meglio. Supponiamo di poter osservare l’elettrone per un certo tempo nel suo movimento atomico, noi vedremmo che l’elettrone passa la maggior parte del suo tempo nelle posizioni più probabili e queste posizioni sono quelle che in figura (a) sono rappresentate da una più grande densità di puntini. Un altro modo di pensare la cosa è il seguente: supponiamo di poter fotografare un atomo con un solo elettrone tante volte in istanti successivi; sovrapponendo le fotografie otterremmo la situazione di figura (a).
La figura (b) è, invece, una diretta esplicazione matematica di quanto ci siamo affannati a dire per la figura (a).
A questo punto, prima di proseguire, occorre introdurre il significato di alcune costanti fondamentali che servono per una migliore spiegazione della struttura atomica: i numeri quantici (avevamo annunciato ciò svariate pagine fa).
I numeri quantici
I numeri quantici sono delle costanti che caratterizzano gli elettroni negli atomi. Sono un poco i numeri di targa di questi elettroni, infatti, dati i numeri quantici di un elettrone siamo in grado di dire di quale elettrone di un certo atomo si sta parlando.
Il primo di questi numeri si indica con n ed è chiamato numero quantico principale.
Il numero quantico principale n è un numero intero e positivo che indica l’ordine dei livelli energetici atomici. Dire per esempio che un certo elettrone è caratterizzato da n=1 significa dire che questo elettrone si trova sul primo livello energetico atomico (quello più vicino al nucleo); dire che n=2 significa dire che l’elettrone si trova sul secondo livello energetico atomico (quello immediatamente successivo ad n=l).
In definitiva il valore di n è 1 nel primo livello energetico atomico ed. aumenta progressivamente di una unità nei successivi. .
Poiché in teoria un elettrone, se acquista una adeguata quantità di energia, può occupare un livello energetico molto di stante dal nucleo, i livelli energetici di un elettrone in un atomo possono essere praticamente infiniti ed il valore di n va da 1 all’infinito: n = 1,2,3,…… ∞. Si è trovato che negli atomi esistenti in natura, in normali condizioni di temperatura e di pressione, si possono avere fino a 7 livelli (o strati) energetici, per cui, quando un atomo non è eccitato, quando cioè non ha acquistato in alcun modo energia, il numero quantico principale va da 1 a 7. Questi livelli (o strati) sono stati anche distinti, a partire dal nucleo, con le lettere K, L, M, N, O, P, Q. Ben presto pero si scoprì che elettroni appartenenti allo stesso livello (o strato) energetico potevano possedere delle quantità di energia leggermente diverse. Si dovette cioè riconoscere che ciascun livello (o strato) energetico poteva essere composto da più sottolivelli (o sottostrati) con diversi valori di energia. Si introdusse allora il numero quantico secondario che venne indicato, con la lettera l (elle). Si trovò poi che il valore di l, numero intero e positivo, si manteneva sempre-inferiore ad n; fissato cioè un certo elettrone, in un certo atomo, con, ad esempio, un n = 3 (un elettrone che si trova cioè al terzo livello energetico di quell’atomo), si è visto che l per quell’elettrone può valere al massimo 2. In definitiva, per l, si hanno i valori seguenti: l = 0, 1, 2, …, n-1.
Per un atomo allo stato fondamentale (non eccitato), possono aversi i casi di tabella 1 seguente:
Livello o strato | Valore di n | Valori di l | Sottolivelli o sottostrati |
K | 1 | 0 | Un solo sottolivello |
L | 2 | 0, 1 | Due sottolivelli |
M | 3 | 0, 1, 2 | Tre sottolivelli |
N | 4 | 0, 1, 2, 3 | Quattro sottolivelli |
O | 5 | 0, 1, 2, 3 | Quattro sottolivelli |
P | 6 | 0, 1, 2, 3 | Quattro sottolivelli |
Q | 7 | 0, 1, 2, 3 | Quattro sottolivelli |
I sottolivelli vengono di solito indicati con le lettere s, p, d, f, come nella tavola 2 seguente:
Numero quantico secondario | 0 | 1 | 2 | 3 |
Simbolo del sottolivello | s | p | d | f |
Ulteriori ricerche, condotte per lo più sul piano teorico, con l’ausilio della matematica, hanno dimostrato che solo in alcuni casi si può parlare di orbite sferiche. Precisamente gli elettroni il cui numero quantico secondario è l=0, ossia gli elettroni S, si trovano su un livello (o strato, o orbitale) sferico; quelli il cui numero quantico secondario è l=1, ossia gli elettroni del sottolivello p, occupando orbite a forma di un 8 che ruota sul suo asse maggiore:


(La forma degli orbitali p è più precisamente di due ellissoidi di rotazione che si toccano in un vertice). Gli elettroni d si muovono su orbitali di forma più complicata così come quella su cui si muovono gli elettroni f (vedremo più oltre la loro forma).
Quando l’orbitale non è sferico esso può essere orientato diversamente nello spazio.
Nel caso degli elettroni p, ad esempio, si possono avere le seguenti tre orientazioni:

(i subindici indicano lungo quale asse è orientato l’orbitale).
Occorrerà pertanto considerare un terzo numero quantico, il quale, contrariamente ai precedenti non ha influenza sull’energia posseduta dall’elettrone (che resta definita da n ed l), e rende conto invece della differenza di orientamento che abbiamo or ora vista.
Questo terzo numero quantico viene chiamato numero quantico magnetico e si indica con la lettera m: esso può assumere tutti i valori interi che vanno da -l ad l e cioè, m = 0, ±1, ±2, … , ± l. Nella tabella 3 seguente sono riportati tutti i possibili valori di m in corrispondenza di determinati valori di l (si osservi che per ogni l vi sono 2.l + 1 valori possibili di m):
Sottolivello | Valore di l | Valore di m |
s | 0 | 0 |
p | 1 | -1, 0, +1 |
d | 2 | -2, -1, 0, +1, +2 |
f | 3 | -3, -2, -1, 0, +1, +2, +3 |
L’ultimo numero quantico che caratterizza un elettrone è il numero quantico di spin che si indica con ms (da alcuni risultati sperimentali non in accordo con la teoria fino ad allora formulata, i fisici olandesi Uhlenbeck e Goudsmit pensarono di introdurre questa proprietà dell’elettrone considerandolo, in definitiva, come un piccolo ago magnetico) . Considerando l’elettrone come una sfera elettricamente carica, esso, oltre a ruotare intorno al nucleo, ruota anche su se stesso (intorno ad un suo asse). Questo movimento a trottola (in inglese “spin”) dell’elettrone può avvenire in due versi opposti: quello orario e quello antiorario

Questo fatto fornisce due possibilità per lo spin ms dell’elettrone: o esso è diretto in un senso o in un senso opposto; se nel caso di rotazione antioraria dell’elettrone su un suo asse lo spin è diretto verso l’alto, allora nel caso di rotazione ora ria su quello stesso asse lo spin è diretto verso il basso:

Si è trovato poi che lo spin può assumere solo due valori, tra di loro opposti,
+ 1/2 e – 1/2; a + 1/2 corrisponde lo spin diretto verso l’alto, a – 1/2 lo spin diretto verso il basso. [Si faccia attenzione che nello scrivere “spin 1/2” si sottintende che si ha a che fare con 1/2 di unità di spin, essendo l’unità di spin uguale ad h/2π , essendo h la costante di Plank che abbiamo già incontrato . A rigor di logica si dovrebbe scrivere quindi:
ms = – 1/2.(h/2π); ms = + 1/2.(h/2π)].
In definitiva, questo numero quantico può assumere solo due valori che, in breve, sono i seguenti:
ms = – 1/2; ms = + 1/2
ed anch’essi non esprimono alcuna variazione di livello energetico.
Categorie:Senza categoria
Rispondi