Giorgio Parisi *:Precari ricercatori, il governo dà i numeri

http://www.ilmanifesto.it/Quotidiano-archivio/30-Novembre-2006/art15.html


Licenziare i precari per ridurre il precariato non sembra essere una proposta di sinistra, sfortunatamente è contenuta in una disposizione della finanziaria, confermata nel maxiemendamento. Infatti una disposizione impone che negli enti pubblici, e in particolare negli enti di ricerca, la spesa per contratti a tempo determinato e co.co.co. non superi per il 2007 il 40% di quella in essere nel 2003. Gli effetti di ogni norma devono essere giudicati dal contesto in cui si applica. Anche se sono convinto che sia insensata in generale, mi limiterò a discuterla per gli enti di ricerca, dove la situazione mi è molto chiara per diretta esperienza personale. Qui l’effetto principale sarà di ridurre a zero il numero di contratti rinnovati e di nuovi contratti a tempo determinato, in quanto la sola spesa per il personale precario non in scadenza supera di gran lunga il 40% del 2003 e non ci sono più margini di manovra.
Infatti una norma del genere potrebbe anche essere utile per combattere il precariato se gli enti di ricerca fossero liberi di procedere a assunzioni a tempo indeterminato; tuttavia questo non è: un altro articolo della finanziaria pone dei limiti molto stretti sulle nuove assunzioni che, a parte interventi straordinari, sono proporzionali ai pensionamenti e possibili solo a partire dal 2008.
Limitare contemporaneamente sia i contratti a tempo indeterminato sia quelli a tempo determinato e co.co.co., implica necessariamente dover licenziare gli sfortunati precari il cui contratto scade nel 2007 (in alcuni enti di ricerca – per esempio nel Cnr – molti precari il cui contratto scadeva nel 2006 sono stati più fortunati in quanto hanno avuto il loro contratto prorogato, il 30 dicembre del 2005, per altri cinque anni, senza nessuna valutazione di merito, per evitare gli effetti di un’analoga norma contenuta nella finanziaria 2006, che riduceva la percentuale al 60% del 2003).
Non rinnovare i contratti in scadenza è particolarmente grave negli enti di ricerca, dove esistono molti contratti fatti per due anni rinnovabili per altri due e il rinnovo è sempre stato, a meno di inconvenienti gravi, un fatto del tutto formale. Non parliamo poi dei ricercatori più giovani, cui questa norma sbatte la porta in faccia per diversi anni in quanto le poche assunzioni a tempo indeterminato sarebbero monopolizzate dai colleghi più anziani.
Si tratta dunque di una norma folle, che non comporta nessun risparmio in quanto non incide sul bilancio totale a disposizione degli enti ma ne vincola in maniera irragionevole l’utilizzo; questa disposizione deve essere semplicemente eliminata: è una delle tante eredità funeste del governo Berlusconi che l’attuale governo esita a cancellare e che a volte peggiora.
In un qualunque paese ragionevole, prima di proporre una norma del genere sarebbe stato eseguito uno studio dettagliato degli effetti, dei vantaggi e degli svantaggi di un tale provvedimento per decidere se la percentuale più opportuna sia il 40% o per esempio il 75%. Questo studio non è stato fatto, la percentuale è stata scelta in maniera del tutto arbitraria dall’ignoto estensore della norma, ignorando i problemi reali.
È triste dover osservare che molti provvedimenti di questo governo si basano su percentuali scelte in maniera cervellotica, indipendenti dal dominio concreto di applicazione, come per esempio il taglio del 20% dei consumi intermedi, il taglio del 12,7 % delle spese ministeriali, disposizioni da applicare in maniera uniforme a tutti i settori della spesa pubblica senza distinzioni di comparto e senza entrare nel merito. Il governo si limita a dare i numeri. Un vecchio slogan del ’68 diceva «l’immaginazione al potere». Sembra che ora questo sogno si stia realizzando, ma sotto forma di incubo.
 

* Docente di fisica teorica
Università di Roma La Sapienza



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