Documento Gladio: Memoriale di un Gladiatore. Missioni Segrete Estere

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Missioni Estere Gladio 1974-1991

1) – Nel Maggio 1970 …

2) – Primavera dei Garofani.

3) – Operazione Tet.

4) – Primavera dei Garofani di Luanda.

5) – I Giornali Italiani.

6) – Operazione Beirut.

7) – Operazione Aden.

8) – Operazione Stefano.

9) – Operazione Alexandria.

10) – Operazione Leningrado.

11) – Operazione Costanza.

12) – Operazione Speranza.

13) – Modulo Kennedy.

14) – Operazione Tripoli.

15) – Operazione Akbar Maghreb.

16) – Operazione A.M.: Guerra del Pane.

17) – Cancellazione.

18) – Morte del Generale Manuel Ochoa “Silverado”.

19) – Diffamazione e Calunnia.

20) – L’Ultima Missione.

21) – Antenati

Premessa al memoriale

Nel 1997 un certo Antonio Arconte registra un sito internet su cui pubblica pochi giorni dopo la sua travagliata storia sotto forma di memoriale. Non è una storia come tante, si tratta del vero e particolareggiato racconto della vita di un gladiatore, sin dagli inzi del reclutamento (appena sedicenne), fino alle più rischiose operazioni militari segrete, e la cancellazione finale da parte dello stato che cerca di insabbiare più in fretta che può questa scomoda organizzazione. Arconte racconta dell’addestramento durissimo nella base di Poglina, le prime missioni atlantiche, cita sotto riconoscibili pseudonimi i più alti vertici dello stato militare dell’epoca: Santovito, Miceli, Maletti, Hanke, Borghese. Per la prima volta viene alla luce che Gladio ha svolto operazioni militari all’estero: in Vietnam durante la guerra coi vietcong (a cui afferma partecipò addirittura il “terrorista di stato” Nardi), in Portogallo, in Libia per rovesciare Gheddafi, in quasi tutto il corno d’Africa, persino a Leningrado. Ma ci sono cose che Arconti non dice, se non dopo un tentativo di omicidio che subisce e lo spinge a rivelare al periodico GQ elementi nuovi e eclatanti: il rapimento Moro, Ustica, il caso Raul Gardini, i falsi “suicidi-omicidi” dei suoi commilitoni, il tentativo di zittirlo con le buone (una “persecuzione giudiziaria” riconosciuta persino secondo il Tribunale dei diritti dell’uomo di  Bruxelles) e con le cattive (minaccie di morte e un tentato omicidio), le lettere di Craxi e parla dei suoi superiori senza più usare pseudonimi.

Arconte dice di essere stato un fedele servitore della Nato e della democrazia, e probabilmente è in buonafede, ma aggiunge (con buon fegato) di aver operato per l’affermazione di una società dal modello Ateniese, ed è convinto che le missioni a cui ha partecipato siano state attuate solo in chiave anti-comunista. Non si accorge o forse finge di non sapere, di aver operato per un’organizzazione militare clandestina in mano ai servizi segreti deviati e alla massoneria golpista (come è stato appurato in sede giudiziaria, parlamentare e storiografica).

Allora perché Arconte viene perseguitato? Perché Arconte è uno che sà. Non le rivela ma evidentemente è in possesso di informazioni ancora più segretissime soprattutto di operazioni militari “interne” (quelle più legate alla strategia della tensione e alla loggia p2) che potrebbero renderlo pericoloso agli occhi di quegli altissimi “mandanti” militari e politici che in quegli stessi anni tessevano le loro trame eversive golpiste e che ora cercano frettolosamente e brutalmente di nascondere quegli inequivocabili scheletri dall’armadio del loro passato nient’affatto remoto. Invece con chi se la prende Arconte? Se la prende coi soliti comunisti.  Arconte è un militare, di quelli vecchio stile da Guerra Fredda, ha combattuto per quindici anni (rischiando la vita ogni volta) contro il Comunsimo e oggi non riesce a capire che il Muro è crollato, che il KGB ha inesorabilmente chiuso i battenti e che se c’è qualcuno che ha avuto e ha tuttora interesse ad ucciderlo è proprio quella elitè politico-militare che per anni lo ha addestrato, pagato e infine congedato senza prevedere che un giorno lui disobbedisse al primo comandamento Gladio (mai rivelare la propria identità e far menzione ad alcuno delle missioni militari).

Come militare però non scherza, partecipa a tutte le missione estere segrete e ne esce sempre vivo. Si tratta di missioni suicida, dove il rischio di morire in battaglia è elevatissimo, forse è proprio questo che rende il memoriale dell’Arconte ancora più prezioso e valido. Infine viene da chiedersi, perché Arconte parla? perché non tace come fanno gli altri veterani di Gladio? Forse perché l’Arconte più di altri ha pagato a caro prezzo il peso della doppia identità, ha visto quasi tutti i suoi compagni di Decuria morire sui campi di battaglia di mezzo mondo, e proprio non ci stà a vedere i soliti comunisti  (che all’epoca erano entrati al governo) screditare i gladiatori dalle pagine dei giornali. O più semplicemente ha bisogno di contanti. Infatti dopo la chiusura di Gladio, lo stato ha secretatato le schede delle migliaia di gladiatori del secondo, terzo e quarto livello, e automaticamente ha annullato i buoni del tesoro con cui venivano in gran parte pagati, poiché costituivano la prova del legame tra stato e “stato occulto” e provava che  nonostante Gladio fosse un’apparato militare costosissimo al di fuori delle regole delle democrazie occidentali, in realtà veniva finanziato democraticamente da tutti gli italiani. 

N.B.: Segnaliamo al lettore di non prendere come verità assolute ogni rivelazione dell’Arconte, soprattutto quelle rivelazioni a cui Arconte è venuto a conoscenza in maniera indiretta. Informazioni che gli giungevano a volte palesemente false, a volte parzialmente vere, dai suoi superiori (il piano di Disinformazione era sistematicamente applicato a tutti i gladiatori per renderli più “malleabili” agli ordini e rientrava nei piani di addestramento psicologico).  Quel tipo di informazioni escludeva infatti qualsiasi tipo di coinvolgimento degli Usa, dei servizi segreti italiani, della P2, di Gladio, negli affari sporchi internazionali, scaricando ogni volta tutte le  responsabilità sul dittatore comunista di turno: Castro, Gheddafi, Bourghiba, Kruschev…

Simone Falanca

Memoriale di un Gladiatore

Scrivo questa storia ad Ajaccio, in Corsica, in questo 10 Febbraio 1997, anniversario del Tet dell’anno della Tigre di legno, (1975), per evitare che, con la mia morte, la cancellazione mia e dei miei commilitoni giunga a compimento e di noi non restino altro che le diffamazioni e le calunnie che ci sono state riservate in questi anni di infamie. Se morirò prima di essere riuscito a portare a termine la mia ultima missione, affido a Voi, popolo di Internet, la nostra storia, quella vera !. La storia delle tre Centurie dei Gladiatori di Stay-behind Italia. I Gladiatori del S.I.D : ciò che furono e ciò che ne è stato ! !

Dio perdoni chi ci ha cancellato … io non posso ! La storia che vi racconto è incompleta, non posso raccontarvi ciò che non so. Posso narrare, per filo e per segno, le operazioni della II° Centuria di Gladio detta “Lupi” e più dettagliatamente della IX° Decuria di cui facevo parte e … la vita di G.71 VO 155 M (G.stava per Gladiatore ed M per Marina Militare Italiana) . Ciò perché io ero Lui … prima di essere cancellato, con tutti noi!. Perdonate qualche errore di grammatica, noi eravamo addestrati a combattere dietro le Linee nemiche e ad imparare presto ad usare qualsiasi tipo di arma, anche e soprattutto quelle del nemico. Ma, del nostro addestramento, non faceva parte lo scrivere !, non veniva considerata un arma e, ancor meno, un arma del nemico !. Con la Nostra storia Vi dimostrerò, invece, che mai arma fu più subdola e mortale. Si sbagliavano quanti ci addestrarono … avrebbero dovuto insegnarci a scrivere o, perlomeno, garantirci scrittori amici. Cosa che non si preoccuparono mai di fare. Io, ultimo (e forse unico) sopravvissuto di Gladio, ho dovuto imparare a farlo e, credetemi, mai un compito mi fu più arduo, mai un impresa fu più disperata, mai le forze più impari !. Ho dovuto anche imparare i Codici della Legge e dei Diritti per i quali ci siamo battuti con Onore sui campi di battaglia di mezzo mondo … e scoprire che coloro per i quali ci siamo battuti non li conoscono, li umiliano violandoli sistematicamente e vendendo la Patria al miglior offerente ! Ho imparato tutto questo. Ho dimostrato a me stesso, facendo Onore a chi non c’è più, che per Noi nessuna impresa era ed è impossibile … e del ritorno chi se ne frega ! Solo … se morirò anch’io … cosa resterà di Noi ! ? Solo quello che “Loro” hanno scritto ! ? Per questo ho imparato ad usare il Computer. Per questo ho imparato ad usare Internet. Per questo, come potrete leggere, ho denunciato l’Italia, ai sensi degli Artt.13 e 25 della Convenzione Europea per i Diritti e le Libertà fondamentali dell’Uomo di Strasburgo, per la violazione dei miei Diritti e per tutti gli abusi commessi dai Pubblici Ufficiali di questa Italia che non riconosco certo come mia Patria, ma come “Loro” Patria. Leggerete che questa mia ultima missione dura ormai da anni, … da quando fui cancellato. Cancellazione certo più comoda e conveniente, … piuttosto che pagare gli arretrati e le liquidazioni spettanti !. Tuttavia, non ebbi motivi provati per denunciare il saccheggio delle Nostre spettanze. Ma, dice il proverbio : “il Lupo perde il pelo, ma non il vizio !”.

“Quei Lupi” … non hanno perso il vizio del saccheggio ed hanno continuato con i miei beni di famiglia. Ormai vittoriosi, non si sono preoccupati nemmeno di non lasciare tracce dei Loro delitti. “Questo Lupo” … non ha perso il vizio di battersi a morte contro i Tiranni ed i loro servi … e così sia ! Ma se morirò prima di aver vinto ottenendo Giustizia, i traditori codardi ed assassini della Patria, li avrai conosciuti anche Tu ! ! !. La somma che ti viene richiesta è un contributo alle spese. Nessuno mi aiuta in questa guerra, gli Avvocati mi sono costati un occhio e ancora ne avrò bisogno ed anche Internet ha i suoi costi ed io …Non ho nessuna intenzione di arrendermi ! ! !

Inoltre, vorrei costruire un monumento funebre alla Nostra memoria e di tutti i caduti per la Libertà e la Democrazia! Se ce la farò … ad Alghero!

Del S.I.D, durante i corsi, ci fu detto che suo compito Istituzionale era :”Assolvere ai compiti informativi (III° Centuria “Colombe”) e di sicurezza per la difesa, sul piano Militare (I° Aquile e II° Lupi), dell’Indipendenza e dell’integrità dello Stato da ogni pericolo, minaccia o aggressione. Le attività principali sono l’offensiva e la difensiva …” (e non è ciò che abbiamo fatto ! ?). Nelle pagine che seguono, leggerai che è proprio ciò che Noi abbiamo fatto : il nostro dovere verso la Nostra Patria e … ci è costato caro !.

Della N.A.T.O “North Atlantic Treaty Organization”, durante i corsi, ci fu detto che era stata costituita allo scopo di assicurare, in conformità e a integrazione delle finalità e dei principi della Carta delle Nazioni Unite, la sicurezza internazionale e il benessere dei rispettivi Paesi. In sostanza, si mirava a fronteggiare, con l’aiuto Americano e attraverso una preordinata collaborazione soprattutto militare, l’eventuale espansione della potenza Sovietica verso l’Europa Occidentale. Ci fu anche detto che, la “Guerra fredda”, per Noi, sarebbe stata calda, anzi caldissima! e negli anni che seguirono ci fu dimostrato quanto erano veritiere queste parole. Nelle pagine che seguono, leggerai che, anche in questo, sui campi di battaglia di mezzo mondo, Noi facemmo il nostro dovere verso la Nostra Patria e … ci è costato altrettanto caro!.

Nel Maggio 1970, compiuti 16 anni, come tutti i primogeniti maschi della mia famiglia, mi arruolai volontario nell’Esercito Italiano. Nell’Estate dello stesso anno, nella scuola Militare S.A.S di Viterbo, nell’Aula Magna della Scuola, ci fu un concorso, ed io fui selezionato da Ufficiali del S.I.D. (Servizio Informazioni Difesa) per i “Reparti Speciali”. Non mi fu detto quali, ma accettai. Mi si fece concludere il corso di addestramento in quella scuola. Trasferito, dopo il corso, alla Cittadella Militare della Cechignola a Roma, caserma Trasmissioni, dove imparai ad usare i mezzi di radio comunicazione dell’epoca, mi fu ordinato da un alto Ufficiale del S.I.D. di fare domanda di proscioglimento dalla ferma volontaria, la quale, anche se non prevista dai regolamenti, sarebbe stata accolta. Avrei dovuto presentare domanda di arruolamento volontario in Marina Militare, dove si sarebbe completato il mio addestramento con l’apprendimento della qualifica di Macchinista Navale. Non mi fu spiegato perchè, ma obbedii. Furono accettate, contemporaneamente, le mie domande di proscioglimento dalla ferma volontaria nell’Esercito e quella con la quale chiedevo l’arruolamento volontario a Maripers.

Nell’Estate 1971, dopo una visita all’Ammiragliato di La Spezia “dall’Ammiraglio Henke”, fui inviato alle scuole C.E.M.M. della Maddalena, in Sardegna, dove iniziai il corso da Motorista e Macchinista Navale. Fui iscritto anche alle matricole della Gente di mare della Marina mercantile al n.16200 CA. Durante quel Corso, periodicamente, venivo condotto in un campo Militare sui monti intorno alla base di Poglina, vicino ad Alghero. Iniziava così un corso di addestramento parallelo ed una doppia identità anche all’interno delle forze Armate Italiane. Insieme ad altri miei coetanei frequentavo corsi di perfezionamento alle tecniche di guerriglia e sabotaggio in azioni da commandos, ipoteticamente, condotte dietro le linee nemiche. La parte più dura, ma anche quella che veniva definita “fondamentale” al superamento delle varie fasi del corso, consisteva nell’essere lasciati nel territorio montuoso tutt’intorno al campo con l’unico possesso di un “Gladio”, così veniva chiamata la baionetta, più lunga e robusta di quelle in dotazione alle forze Armate Italiane. Ci venivano date 24 ore di vantaggio, dopo di che venivamo cercati dai gruppi cinofili ed elicotteristi che, “contemporaneamente”, ignari, svolgevano addestramenti ed operazioni Anti-sequestri. Non dovevamo essere ritrovati e/o segnalati, nè chiedere aiuto … acqua e viveri ad alcuno, nè rientrare al campo prima che fossero trascorsi dieci giorni. Dovevamo temprare il corpo alla resistenza e ci immergevamo d’inverno nelle acque del mare sotto le scogliere. L’unico sistema concesso per non gelare era la lotta tra noi … e lottavamo per ore, anche dimostrando la nostra abilità nel riuscire ad impedire che le onde, sempre molto forti in quelle scogliere, ci sfracellassero sugli scogli. Non superare queste prove significava essere considerati “non idonei” e rientrare nei rispettivi reparti. Ci era fatto divieto di identificarci tra noi in maniera diversa dal numero di matricola e di fornire gli uni agli altri, notizie utili all’identificazione. Io ero G.71 VO 155 M (G. stava per Gladiatore, 71 era l’anno del corso, M. per Marina Militare, VO stava per Volontario e 155 era il mio numero personale, ma, essendo il “cucciolo“, cioè il più giovane dell’ultimo corso, per tutti fui G.71). Superai quei corsi ed anche quello da Macchinista Navale. Fui inviato a La Spezia per il tirocinio sulle navi della Squadra (dovevo imparare a fare il macchinista navale e lavorare in sala macchine). Lo feci … e feci anche molti giorni di C.P.R. (cella di rigore) perchè la Spezia era piena di belle ragazze ed io dimenticavo spesso (ogni volta che capitava l’occasione!) di rientrare a bordo!

(Tre Donne: Tre Colombe?)

Nel mese di Novembre 1973, dovevo essere impiegato in una Missione all’Estero, la prima. Dovevo presentarmi alla base di Aviano dove avrei avuto Ordini sulla destinazione e gli obiettivi della Missione. Da indiscrezioni su … radio G. (Gladio), seppi che dovevamo raggiungere una base nel Sud della Sicilia in aereo. Da lì la II° Centuria avrebbe dovuto raggiungere, con mezzi navali, il Golfo della Sirte fino al limite delle acque Internazionali, poi, con i gommoni, la spiaggia di Bengasi ed una pista d’atterraggio con aeroporto militare e stazione radar, alle spalle della città (un altro obiettivo era una pista d’atterraggio circa 5 Km. alle spalle di Sirte, ma era un obiettivo delle Aquile e non ne sapevo di più). Saremmo stati aiutati dai ribelli Libici che stavano tentando di rovesciare il regime del dittatore Libico ed instaurare una Democrazia. Una volta preso l’aeroporto, saremmo stati raggiunti dalla I° Centuria ed avremmo dovuto convergere su Tripoli, più precisamente, verso un campo nomadi dove, i ribelli, ci avrebbero guidato verso la tenda di Muhammar Gheddafi. Il tutto nel massimo silenzio !. Pare che il numero 1 (il Generale, nostro Comandante) volesse fare un improvvisata al Colonnello Gheddafi che, in quel periodo, si diceva che avesse bisogno di una “pettinata !” (queste però erano spacconate … o no !?). Era vero, però, che in quegli anni, Gheddafi lanciava continue minacce di atti terroristici contro l’Italia ed era opportuno che capisse, secondo il nostro Comando, che nessuno aveva intenzione di tollerare le sue aggressioni. Ricevemmo un contrordine : l’aereo sul quale ci saremmo dovuti imbarcare era stato “abbattuto“. Così ci fu detto dal Generale Comandante, il numero 1, quello che dava gli ordini, (di persona o al telefono, dopo avermi identificato recitando il mio numero di Matricola) a me come a tutti i miei commilitoniCi disse che eravamo stati traditi, che dovevamo essere tutti morti su quell’aereo e che solo un contrattempo dell’ultim’ora ci aveva salvati !. Infatti, il primo ordine ci voleva imbarcati su quell’aereo a Napoli, e poi diretti ad Aviano, per imbarcare l’equipaggiamento ed altro personale. Altri ancora, le Aquile, le avremmo imbarcate a Pisa sulla rotta verso la base in Sicilia (forse Augusta). Sentii dire in quei giorni che la nostra Missione era necessaria per impedire che il Regime filo Sovietico della Libia di Gheddafi, portasse a termine l’Unione con la Tunisia di Alì Ben Bourghiba. Pare che questa Unione (disastrosa per il quadrante Sud della Difesa del Mediterraneo) fosse preparata per i primi mesi del 1974 e che, la stessa, fosse organizzata e seguita passo dopo passo dai migliori agenti del K.G.B. Sovietico che avevano anche già scelto l’ubicazione di alcune nuove basi aeronavali sulle rive del Mediterraneo Libico-Tunisino.

In seguito a questa infausta vicenda mi fu detto che sarei stato “congedato” (previa la mia solita richiesta) con il contingente di leva del I° ‘52, che si congedava a Dicembre del 1973. Obiettai che: “se fossi stato di leva, essendo nato il 10 febbraio 1954, sarei stato del I° ‘54 che ancora non era stato nemmeno “chiamato”. Mi fu ordinato di attenermi alle disposizioni impartitemi e così feci. Fui congedato con il I° contingente del 1952 il 14 Dicembre 1973 a La Spezia. Dovetti recarmi a Roma, al Ministero della Difesa Ufficio X° al Primo piano. Lì, il Generale, “numero 1”, mi presentò gli altri componenti della II° Centuria di Gladio detta “Lupi”: 70 … 69 … 68 … etc. Conoscevo di vista solo quelli della IX° e X° Decuria perché ci eravamo addestrati insieme. Ero inserito nella IX° decuria. Le Centurie erano : la  detta delle Aquile, perché era composta da Aviatori, Elicotteristi, Paracadutisti e roba simile ; la II° detta dei Lupi, perché composta da uomini provenienti dalla Marina e dall’Esercito; la III°, detta delle Colombe, perché composta anche da donne e non veniva impiegata in operazioni di combattimento in prima linea o oltre le linee, ma per informazioni ed assistenza logistica. Ci fu consegnata in quella occasione una piastrina d’acciaio (con i primi soldi me la feci rifare di platino, ci tenevamo molto!) sulla quale era incisa la Matricola ed il gruppo sanguigno di ognuno e ci furono impartite le istruzioni: il numero di telefono era di una segreteria telefonica e mediamente ogni settimana, se non impegnati in missioni, bisognava chiamare per ricevere istruzioni. Solitamente un indirizzo dove presentarci “ovunque fosse!”. Prima di partire per le Missioni si salutava:

AVE ITALIA MORITURI TE SALUTANT” (per questo venivamo chiamati Gladiatori). Questo ci veniva insegnato fin dalle prime lezioni dei corsi sui monti di Poglina, per ribadire che, dalle Missioni, il ritorno era un imprevisto e, Noi, lo avevamo accettato!. Ci fu insegnato che gli ordini sbagliati non si eseguono e che sono sbagliati tutti gli ordini che violano le leggi di guerra e di pace, i Diritti Umani ed il codice d’Onore di Gladio. Il Codice d’Onore di un Gladiatore vieta la resa, il saccheggio, lo stupro ed ogni azione infamante di questo genere. Impone di combattere a morte la Tirannia e chiunque la serva, ovunque e comunque. I Gladiatori hanno giurato fedeltà all’Occidente Democratico ed all’Italia membro della NATO. Nessuno può violare o modificare questo Giuramento. In nessun caso è permesso di farsi identificare per chiedere aiuto, nemmeno ai Consolati ed Ambasciate Italiane all’Estero. Chi cade prigioniero durante una Missione, in nessun caso deve rivelare la sua identità. Ogni Gladiatore è Ufficiale Comandante di se stesso. Durante le operazioni si obbedisce a chi è stato designato per il comando. Caduto questo, assume il Comando il più anziano. A Missione compiuta, se è necessario prendere decisioni dalle quali dipendono la vita e il destino di ognuno, si indirà un Assemblea dei Gladiatori durante la quale, assunte tutte le informazioni necessarie e disponibili, e sentito il parere di ognuno, si metterà ai voti per alzata di mano. La Decisione, così assunta, avrà valenza di ordini sul campo come da Leggi di guerra. Detto questo, il numero Uno ci diede appuntamento per il giorno dopo in Piazza Venezia, sulle scalinate dell’Altare della Patria alle ore 09.00. Fummo tutti puntuali, c’era la IX e la X Decuria al completo : venti Gladiatori … tutti in borghese. Presumo tutti “congedati” come me, ma nessuno lo disse ed io nemmeno. Ricordo che mi venne da ridere pensando al divieto di farsi identificare anche per ciò che riguarda la provenienza : c’erano tre Italo- Eritrei, quattro Italo- Somali e, per quanto riguarda gli Italiani “Italiani”, bastava che aprissimo bocca per farci riconoscere. Dissi a G.70 : Infilaci almeno un “ostregheta ciò” tra tutti quei “minchia e bedda matri !”. Ridemmo tutti a crepapelle … l’accento e le espressioni dialettali erano un problema di tutti. Il numero Uno arrivò qualche minuto dopo di noi, in abiti civili, salì le scale senza guardarci e lo seguimmo fino in cima. Tra le colonne si fermò. Attese in silenzio che ci raggiungesse un altro, in Borghese anche lui, dimostrava circa 60 anni, non aveva niente che lo identificasse, ma sembrava esattamente quello che era : un cappellano militare. Lo dimostrò, infatti, iniziando a recitare il “Requiem aeternam” in Latino. Era la preghiera per le anime dei morti, la conoscevo perché mio Padre, da bambini, era l’unica preghiera che ci faceva recitare, ogni sera, prima di addormentarci. Per le anime dei morti – diceva il mio vecchio, ma non la ricordavo più ! . Il numero Uno la stava recitando ed anche noi iniziammo a farlo. Per chi morirà senza conforto – disse – ha avuto qui il suo funerale … requiem stat in pax. Amen – dicemmo tutti in coro. (Come mi insegnò il mio povero Babbo, …però, non trascurai di toccare ferro agguantandomi le palle). “E’ una sana abitudine !io sono scampato così alla guerra d’Etiopia ed alla prigionia in Kenia, sul Lago Vittoria” – diceva sempre il mio vecchio. Colpimmo il petto col pugno destro e tendendo il braccio salutammo :Ave Italia Morituri te salutant. (…Sarà per questo che ci definivano fascisti ?. Una bella sciocchezza, era il saluto Romano dei Gladiatori a Cesare, prima di iniziare i combattimenti e la Repubblica Romana, a cui ci ispiravamo, era Democratica, non fascista!. Rituali, forse sciocchi, ma sulle tradizioni si reggono tutti gli eserciti, anche i reparti piccoli come il nostro e … noi ci credevamo grandi, grandissimi !). Alla fine il cappellano ci benedisse e ci salutammo tutti stringendoci la mano. Mi fu detto in quell’occasione che, in assenza di ordini, dovevo svolgere la mia attività di Macchinista Navale presso la Marina Mercantile e che, di volta in volta, all’occorrenza, mi si sarebbe indicata qualche compagnia di Navigazione “Amica” e la nave diretta verso il “teatro delle operazioni”. Nella Primavera del 1974, la mia Centuria ricevette la prima Missione. Nome in codice : Primavera dei Garofani.

“Primavera dei Garofani”. La metà delle decurie raggiunsero Lisbona per garantire il successo della “Primavera dei Garofani di Lisbona” che doveva rovesciare la Dittatura degli Oligarchi di Caetano Marçelo, ostili alla Politica dell’Europa Occidentale e della Nato, oltre che avversari delle politiche di Democratizzazione delle Colonie Africane(nel 1974, ci fu una grave crisi interna all’Alleanza culminata con l’uscita della Grecia dopo l’attacco Turco a Cipro ed anche il Regime di Caetano, viste le insistenze della Nato per l’attuazione di Riforme sulle politiche verso le colonie Africane, minacciava di uscire dall’Alleanza). In caso di insuccesso dovevano proteggere la vita del Generale de Spinola. La VI° VII° VIII° IX° e X° decuria furono inviate in Angola per la “Primavera dei garofani di Luanda“, Missione: Organizzare la resistenza ed addestrare alla Guerriglia volontari Angolani in previsione della caduta dell’Impero coloniale Portoghese e delle mire espansionistiche Sovietiche in Africa Occidentale. Truppe Cubane ed Istruttori Sovietici avevano tentato più volte di prendere il potere in Africa Sud Occidentale.

(Volontaria Portuguesa:Rita )

Il numero Uno era certo che non si sarebbero fatti sfuggire l’occasione della smobilitazione dell’esercito coloniale Portoghese per tentare di nuovo. Durante tutto quell’anno la Missione fu eseguita con successo. Circa 2.000 Volontari Angolani (tra ragazzi e ragazze) formarono una Colonna unitaria con l’appoggio sul territorio di forze politiche Democratiche e Liberal-Socialiste Anti Sovietiche. Fummo inviati lì come Istruttori militari. Quel periodo è una storia troppo lunga ed io non sono certo di saperla descrivere in maniera comprensibile e non noiosa. Infatti, si trattò per lo più di insegnare ad operai, contadini, studenti ed intellettuali, ( in una parola : alla popolazione civile), a non spararsi nei piedi ; a non farsi cadere addosso le bombe a mano ; a non abbattere (per sbaglio) a fucilate il vicino, a non aver paura degli scoppi ! ? … ed un minimo di Arti Marziali. Non fu davvero un compito facile, ma il loro entusiasmo era contagioso. Avevano molta fede nella possibilità di riuscire, finalmente, a mantenere Libera e Democratica la loro Patria, l’Angola. Ricordo sempre la prima volta che vidi l’altopiano del Bihe in tutto il suo splendore. La volta lussurreggiante della Jungla, fitta e verdissima, si estendeva sotto un cielo che iniziava a ribollire di colori, mentre il sole annunciava un nuovo giorno. Uno strato pesante di nebbia grigia, come una corona di cemento sospesa, cingeva le cime delle montagne che, di quando in quando, interrompevano l’altipiano del Bihè. Presto il sole avrebbe cominciato a diffondere il suo calore in tutto l’altopiano. L’umidità sarebbe diventata soffocante come una coperta calda e bagnata, avvolta intorno alla testa. Eppure, in quei giorni felici, durante l’addestramento , tutto sembrava calmo, tranquillo e straordinariamente bello. Niente lasciava presagire che, presto, molto presto, tutte quelle armi sarebbero servite per la guerra più lunga e feroce che quella parte d’Africa ricordi. Terminato l’addestramento misero ai voti il nome da assegnare alla loro formazione e la chiamarono : “Colonna Libertad“. (In Onore di non so chi, … forse un Portoghese-Brasiliano.)

(Volontaria Portuguesa)

Lasciammo l’Angola nel Dicembre di quell’anno a bordo di un Mercantile che ci portò a Cape Town in Sud Africa, prima di fare rotta per Genova (ero rientrato in Italia solo una volta, in aereo, per una breve licenza di 20 giorni, nel mese di ottobre, perchè mia madre stava male). Ci presentammo a Roma a fare rapporto (ed a ritirare gli stipendi arretrati, per la parte che non accantonavano in Titoli di Stato … “per gli eredi eventuali”. Facemmo baldoria sapendo che anche la parte “Portoghese” della missione era pienamente riuscita. L’Oligarca Caetano Marçelo era riparato in Brasile e le truppe dei giovani Ufficiali dell’esercito Portoghese, con un garofano rosso infilato nelle canne dei fucili (una trovata per non spaventare la popolazione civile e fargli capire che era un colpo di stato per instaurare la Democrazia in Portogallo e non contro il popolo) erano entrate a Lisbona, esattamente il 25 Aprile del 1974. Era la nostra prima Missione ed avevamo tutti paura di sbagliare.

L'”Isola sul Me-Kong Hau-Giang

Passai il Natale ed il capodanno 1974-75 con mia Madre e mio Padre. Fui libero fino a fine Gennaio 1975. Fui chiamato all’Ufficio X° a Roma . Là fummo informati che in Vietnam era in corso una grande offensiva contro l’Armata Americana che stava già smobilitando e ritirandosi da Saigon in seguito agli Accordi di pace. Secondo le informazioni raccolte dalla III° Centuria delle “Colombe”, alcune Divisioni Corazzate Viet-Kong, attraverso la Cambogia, al riparo dagli attacchi aerei Americani, spostandosi di notte, si dirigevano verso una serie di ponti di barche, preparati da tempo e nascosti tra le rive di diversi bracci del Mekong ; ed alcune Divisioni di fanteria, attraverso la catena dell’Annam, sfruttando Ponti di corde sospesi tra le gole di quei monti, stavano marciando a tappe forzate verso Saigon e la retroguardia Americana. Le Colombe avevano procurato mappe molto precise degli obiettivi, ma non era possibile identificarli e colpirli dal cielo. Da ricognizioni aeree Americane effettuate, infatti, non risultava niente, ed il comando Americano, sotto un pesante attacco, giudicò inattendibili le informazioni delle Colombe. Loro, invece, erano sicure che i Viet-kong, arrivando in Viet-nam dalla Cambogia e potendo utilizzare quei ponti di barche già pronti, sarebbero piombati su Saigon con centinaia di Carri T-54 e centinaia di migliaia di uomini con i quali fare strage della retroguardia U.S.A. Questo piano lo avevano chiamato :”offensiva del Tet” e l’attacco in forze, su Saigon, contemporaneamente, da W-SW, Nord ed E-NE, sarebbe stato sferrato il dieci febbraio 1975. Era l’ultimo giorno dell’anno della “Tigre di legno”, poi, sarebbe iniziato l’anno del Gatto di legno e, Vò Nguyèn Giap, eranato nell’anno del “Topo d’Acqua” il più astuto, avventuroso e agile, di movimento e di pensiero, dei segni dell’Oroscopo Cinese, di cui Giap era fanatico conoscitore!

(Annam: Aquile?)

non avrebbe mai iniziato un offensiva nell’anno del Gatto! …Ma gli Americani non conoscevano l’Oroscopo Cinese!!!

Era stata scelta quella data personalmente dal Generale Vò Nguyèn Giap, membro del Vietminh e Capo dell’Armata Viet-kong, anche perché portò fortuna ai Viet-Kong in tutte le precedenti offensive iniziate in corrispondenza del capodanno Viet, a partire da Dien Bien Phu, contro i Francesi, nel ’54, e … nessuno è superstizioso quanto Loro ! Io la ricordo con precisione perché era il mio compleanno, 10 Febbraio 1954, anno del Cavallo di Legno YangL’America si stava già ritirando da Saigon, stava evacuando gli ultimi reparti ed i civili. L’attacco Viet-kong aveva solo scopo dimostrativo. Volevano dare una lezione agli U.S.A e dimostrare tutta la Potenza del blocco Comunista in Asia. Se fosse riuscito, per tutto l’Occidente Democratico sarebbe stato un colpo mortale, forse la storia avrebbe avuto un altro finale. Questo almeno era ciò che pensava il numero 1.

Aveva informato il capo della C.I.A a Roma di quanto ci aveva detto, ma non era stato creduto e la C.I.A si atteneva ai rapporti delle ricognizioni aeree che davano esito negativo. Il disinteresse mostrato, verso le nostre informazioni, era tale che il numero uno pensava che “qualcuno” desiderasse una strage di Marines, in trappola a Saigon, che avrebbe avuto nell’opinione pubblica Americana, da sempre poco propensa all’intervento militare in Vietnam, gli stessi effetti che ebbe l’attacco giapponese a Pearl Harbour. Nessuno aveva autorizzato la missione che ci proponeva e ce lo disse. Ma avendo, Lui, la certezza assoluta, data dal materiale fotografico in nostro possesso, di quanto preparavano i Viet-Kong e preoccupato per l’effetto che, una simile disfatta, avrebbe avuto in tutto l’Occidente Democratico, chiese volontari disposti a partire. Assicurò un viaggio comodo stavolta, addirittura in aereo … e nessuno potè dire di no! Questa missione fu chiamata in Onore al Generale Giap : operazione Tet Arrivammo in Viet-nam dopo due scali, era la prima volta che facevo un viaggio così lungo in aereo. Durante il volo ci furono mostrate Mappe e fotografie degli obiettivi. Era incredibile quello che avevano escogitato e realizzato i genieri Viet-Kong : soprattutto era impressionante il “dove” avevano costruito quei ponti sull’Annam che, fotografati dal basso, parevano costruiti tra le nuvole. Senza considerare che erano “mobili”, nel senso che, per non farli identificare dalle ricognizioni aeree, erano costruiti in maniera da poterli far scendere lungo i crepacci e renderli completamente invisibili, mimetizzandoli con muschi e cespugli vari, quando non dovevano essere utilizzati. Che dire poi delle “Tane ?” Erano gallerie scavate sotto la Jungla, con ingressi invisibili a chi non ci cade dentro ! ; di quelle avevamo le coordinate geografiche, altrimenti non le avremmo potute trovare mai. Ci fu spiegato che quello che ci veniva mostrato era tutto ciò che chiamavano : la Pista Ho-Chi-Minh. Ci fu detto che i Servizi Americani cercavano la Pista Ho-Chi-Minh da anni senza successo, a parte qualche spezzone di galleria (Tana) che credevano secondaria e che, invece, secondo le “Colombe”, era parte di quella pista che permetteva alle truppe Nord Vietnamite di spostarsi indisturbate in territorio Sud Vietnam entrando ed uscendo dal territorio occupato dalle forze Americane ed attaccandoli dietro le loro linee per poi sparire nel nulla (“giustiziando”, spesso, chi accusavano di collaborazionismo !).

Il fattore che aveva impedito, agli Americani, di scoprire la “pista Ho-Chi-Minh” era, secondo i nostri servizi, che loro ne cercavano una mentre, in realtà, … erano quattro !. Due scendevano a Sud attraverso la catena montuosa dell’Annam ed erano un obiettivo della I° Centuria Aquile. Due scendevano in Cocincina sul filo del confine Cambogiano, lungo la riva settentrionale del Me-Kong, nel territorio occupato dai Khmer rossi. Attraversavano il fiume sui ponti galleggianti che erano il nostro obiettivo e poi si dividevano su ulteriori quattro direttrici di marcia, (uscendo in superficie solo al coperto della jungla o della macchia), che si coprivano e fiancheggiavano a vicenda per disorientare i Marines, che non capivano mai da dove arrivava l’attacco. Non era solo ingegnoso … era diabolico ! Chi si veniva a trovare lì in mezzo, non sapendo di che si trattava, non aveva scampo … era come un tiro al piccione ! e se lo avesse saputo, ma ci fosse finito dentro lo stesso, non avrebbe avuto scampo comunque !

Sulle mappe era tutto chiaro. In certi punti le tane correvano in maniera parallela a distanza di circa trecento metri l’una dall’altra e, sulle mappe, appariva il disegno con cui si coprono con listelli di legno i ponti delle navi oppure, per capirci, quella posa di parquet’s (pavimento in legno) chiamato a “tolda di nave”. Non osservai con troppa attenzione la cartografia sulle tane, non erano un nostro obiettivo, ma notai che, per permettere alla fanteria di spostarsi allo scoperto della Jungla, alcune gallerie erano indicate sotto le dighe che separavano le acque delle risaie. Anzi, per l’esattezza, le “tane” più lunghe erano vere e proprie gallerie costruite in bambù, rivestite di stuoie e ricoperte di terra in maniera da apparire dighe tra le risaie. Come detto, con questo incredibile sistema, il Generale Giap, era in grado di manovrare la sua fanteria, dalla Cambogia fin quasi a Saigon, senza mai uscire, completamente, allo scoperto.

Un altra cosa che notai era che, sulla carta, sia le “Tane” che venivano dal Me-Kong che quelle che venivano dall’Annam, dirigevano su Saigon e vi appariva il disegno di una tenaglia che stringeva la città da Ovest e NW e Nord-NE. Pensai che questo Generale Giap era un grande stratega ,… lo ammirammo tutti !. Il viaggio trascorse così. Negli intervalli ci passavano fotografie di trappole, di cui la jungla era piena, escogitate da quei “buontemponi” Viet-Kong e che … erano assolutamente da evitare. Ricordo che, seduto in fondo, riuscii a farmi un caffè con la mia moka ed il fornelletto da campo. Lo bevemmo insieme ad uno delle Aquile, non ricordo il suo numero … ricordo la sua faccia.( Non lo vidi più fino al 1996, (quindi aveva ottenuto anche lui “l’imprevisto” ritorno dal Viet-nam), ma solo per sapere che era morto in un incidente d’auto in spagna, nel ’77, come un fesso … o forse no ?. Lo vidi in televisione in una foto di venti anni fa, per questo lo riconobbi. Ma è una storia incomprensibile, dove una certa Signora Donatella di Rosa diceva di averlo conosciuto vivo, mentre tutti dicevano che era morto, che trafficava armi e cose di questo genere. Ormai, in Italia, è meglio non stare a seguire tutte queste chiacchere perché è tutto immerso nella follia più totale .

Mi addormentai nonostante gli scricchiolii ed il rumore insopportabile che faceva quell’aereo. Pensai che avrebbero potuto prenderne uno un pò più recente. Era un cargo e stavamo sistemati tra casse e pacchi di non so che, ma non era roba nostra. Alla fine arrivammo, era l’alba e non atterrammo a Saigon, pare che tutte le piste fossero occupate per l’evacuazione di militari e civili e che l’avanguardia (o gruppi di guerriglieri) Viet-kong stesse già combattendo in alcuni quartieri della Città (sembrava che i guerriglieri Viet saltassero fuori dalle fogne e nessuno capiva come facessero e da dove venissero !) . Atterrammo a Nord Ovest di Saigon in una specie di ex-pista d’atterraggio. Ci dissero che eravamo tra Son-Nhut e Long-Xuyen a circa 65 Mls. (100 Km.) da Saigon ed a 40 Mls. dal confine Cambogiano, (ed a 55 Mls. da Kien-Thanh, la costa più vicina, … già, non mi dispiaceva studiare una possibilità di “imprevisto ritorno”). Eravamo anche più vicini agli obiettivi e ci andava meglio così. Sulle carte avevo visto che gli obiettivi delle Aquile erano alcune croci segnate in rosso tra il confine Cambogiano e due città sui monti dell’Annam: Da Lat e Di Linh. Mi sembrò di vedere anche una ferrovia, ma non ne sono certo. Scendemmo dall’Aereo protestando per la mancanza di ragazze tra il comitato di ricevimento. Qualcuno si era convinto che, prima di partire per il Me-Kong, avrebbe avuto il tempo di fare due salti in Discoteca, … un pò di luci rosse, come si vede nei film ! . Scaricando il nostro “nécessaire de voyage“, (come lo chiamava uno dei nostri, un Italo-Eritreo che, prima di arruolarsi in Italia, era stato nella Légion étrangèr, a Djibouti, nella Somalia Francese) scherzavamo con le Aquile che proseguivano in aereo : “… i soliti raccomandati – dicevamo – … i signorini vanno sui monti in aereo a … sssciare e noi, invece, sempre nel fango o nella polvere, con la merda fino al collo !”, … ma era per ridere un pò. Secondo gli ordini non dovevamo ingaggiare combattimento, solo distruggere quei ponti di barche (avevo chiesto, durante il volo, cosa avremmo dovuto fare se i Viet-Kong avessero avuto da ridire e, anziché rispondermi, risero tutti, … ma la mia era una domanda seria !). Possibilmente gli obiettivi dovevano saltare tutti, più o meno, nello stesso momento, per evitare di segnalare la nostra presenza troppo presto a chi, sicuramente, quei ponti li proteggeva. Il nostro “nécessaire de voyage” erano una ventina di Kg. di esplosivo e 100 metri di miccia detonante a testa (più l’innesco a lenta combustione), cinque bombe a mano, fucile F.A.L – 7,62 lungo N.A.T.O., gladio, beretta cal.9, munizioni quanto basta, toscanelli e fiammiferi (per l’innesco delle micce), gallette e, per contorno, come al solito, … secondo capacità e fantasia ! Ci separammo. La marcia per giungere sui nostri obiettivi durò circa due giorni. Ci spostavamo stando al coperto e a parte Truppe Americane che, sulla strada o su piste tra macchie e risaie, dirigevano su Saigon e qualche agglomerato di capanne di risicoltori, non incontrammo “nessuno !”. Le mappe erano davvero precise e le Colombe avevano fatto proprio un buon lavoro. C’erano sentinelle, ma non furono un problema (se si escludono i problemi di portafoglio perchè, fattili prigionieri, i Kong, per ingannare il tempo, ci sfidarono ad ogni gioco d’azzardo possibile ed immaginabile e ci stavano ripulendo come gonzi!). Anche i genieri Viet-Kong avevano fatto un buon lavoro, le barche usate erano solide, potevano reggere i Giganteschi Carri sovietici che, ormai non avevamo dubbi, sarebbero dovuti passare da lì. Il ponte era pronto sulla riva opposta alla nostra, era ancorato sotto gli alberi, ricoperto di vegetazione e steso lungo la riva, impossibile vederlo se non da terra. Restammo letteralmente ammirati a guardare quell’opera di ingegno, a raccontarlo non ci si crede. Non sapevamo nemmeno se era giusto chiamarlo “ponte di barche”. In realtà si sarebbe dovuto chiamare : “Isola galleggiante“. Infatti, era una vera e propria isola costruita su Sampan (barche Viet) con bambù e ricoperta di vegetazione del tutto identica a quella sulla riva. Era invisibile fino a che non ci si arrivava di fronte. All’occorrenza, sarebbe bastato sganciare le cime d’ormeggio a monte e si sarebbe aperto da solo unendo le due rive e portando l’intera Armata Viet-kong ,in arrivo, a 98 Km da Saigon.

Però, a dire il vero, guardando quella struttura, pensai che poteva essere usata proprio come “isola galleggiante”, cioè …cosa impediva, in effetti, a chiunque si fosse imbarcato là sopra, di scivolare con la corrente verso Sud, verso il mare: navigando di notte ed ormeggiandosi lungo la riva di giorno. Alle ricognizioni aeree Americane, sarebbe sembrato un agglomerato di vegetazione fluviale, come ce ne erano tante, anche vicine alle risaie della Cocincina! Sarebbero potuti sbarcare fin oltre My Tho, 20 Mls circa a Sud di Saigon. Ce n’erano altre come questa …e se fosse stato proprio questo il piano di “Caesar” Giap? Spingerli tutti a Saigon attaccando Hue e poi prendere la città da tutte le direzioni, tagliando Loro anche la via al mare! Non era lo stesso piano che aveva realizzato con successo a Dien Bien Phu? Gli Americani ci stavano cadendo in pieno, proprio come i Francesi nell’offensiva del Tet dell’Anno del Cavallo di legno. … Ma che genere di servizi informazioni avevano gli Americani?… Che importava? tanto sarebbero saltate tutte in aria! Via radio le altre Decurie avevano già segnalato di essere sugli obiettivi: eravamo quasi pronti ad innescare le mine!.

Era “quasi” un peccato distruggerlo !. Minammo il ponte in più punti, in maniera che non restasse niente da poter riparare e ci mettemmo in contatto con gli altri per attendere che fossimo tutti pronti. Avevamo esplosivo in eccesso, ma non era previsto che arrivassimo tutti sugli obiettivi. (Invece avemmo fortuna e non incontrammo proprio nessuno a parte vedere, di quando in quando, in lontananza, sulle strade tra le risaie, colonne di mezzi militari Americani e Sud Vietnamiti che ripiegavano verso Saigon e, in celo, gli aerei Americani che non potevano vedere alcunchè.)

L’esplosivo che avevamo in dotazione (candelotti di dinamite) era antiquato anche per quel tempo : una mistura preparata dai nostri artificieri a base di nitrato d’ammonio, nitroglicerina, dinitrololuolo e molta farina vegetale come assorbente d’urto. Le Aquile ne avevano di più maneggevoli ancora (…non perche erano raccomandati!, dovevano buttarsi sui monti con quella roba sulle spalle), erano stati preparati miscelando la nitroglicerina rispettivamente con materiali assorbenti solidi come la farina fossile o gelatinizzandola con nitrocellulosa e altri ingredienti e con opportuni agenti stabilizzanti. Però il peso maggiore era della cassetta protettiva, metallica ed imbottita !. I nostri specialisti si erano preoccupati di fornirci di materiale esplodente sufficientemente potente ma, nello stesso tempo, di permetterci i movimenti e di ingaggiare combattimento, se necessario, senza esplodere come bombe umane al primo urto. Inoltre, aveva il pregio di non avere meccanismi a rischio di mal funzionamenti. Bastava il Toscanello acceso e sistemate le micce a dovere, o il cavetto della dinamo per la scossa, non ci potevano essere brutte sorprese. Il ponte era in mano nostra, dovevamo solo aspettare di essere tutti pronti. Ingannavamo il tempo pescando un pesce insipido (come tutti i pesci di fiume). La stessa cosa che facevano le sentinelle Viet al nostro arrivo!. Due volte capitò che, il Comando Viet-Kong, chiamò il posto di guardia, chiunque si trovasse davanti alla radio in quel momento, aveva la consegna di miagolare qualcosa tappandosi il naso e raschiare con un chiodo il barattolo metallico sistemato vicino alla radio e, poi, spegnere. Sarebbe sembrato un guasto o una banale interferenza. Insomma, niente di preoccupante da meritare un ispezione! Ora, le sentinelle Viet-Kong, stavano litigando furiosamente con i “vecchi” nella stiva del Sampang di testa, ne avevano fatto una specie di bisca clandestina e ne approfittai per studiarmi la mappa. Eravamo in una zona che non è possibile descrivere brevemente : il Mekong, entrando in Vietnam, si divideva in due bracci, uno era segnato con il nome di “Tien-Giang” e l’altro “Hau-Giang, ma, gli stessi, si dividono ancora in un insieme di nove rami e tutti con il loro nome “diligentemente” segnato sulla mappa dalle Colombe che ci informavano anche che, l’insieme delle bocche era chiamato Cuu-Long (in Italiano : I nove Dragoni). Il risultato di tanta precisione però, è stato che non so dove accidenti ci trovavamo noi !. Secondo i miei calcoli eravamo più a Nord, in territorio Cambogiano, sul braccio più settentrionale l’Hau-Giang e … già in Cambogia, ma il cartografo non ero io e poi, che differenza faceva ?. Speriamo che il Dragone mi porti fortuna – pensai, ricordandomi che mio Padre (secondo l’oroscopo Cinese) era del segno del Drago … cercando di convincermi che fosse  “Buon segno !”.

Passarono così alcuni dei giorni più lunghi della mia vita. Alla fine però fummo pronti e il ponte saltò prendendo pure fuoco, doveva esserci anche un deposito di carburante sotterrato lì vicino (ben nascosto dal momento che non l’avevamo visto!) o, più probabilmente, era sotto il paiolato di Bambù, nella stiva dei Sampan. Forse c’erano bidoni di carburante per rifornire i mezzi che sarebbero arrivati lì, attraverso il Laos e sicuramente a secco. Davvero ingegnosi, era quasi un peccato aver rovinato una simile festa !. La quantità di esplosivo usata era tale che saltammo tutti per aria per il rinculo dell’esplosione nonostante le precauzioni di rito :”1) Stare sdraiati e tenersi sollevati da terra, soprattutto il ventre, facendo leva sui gomiti. 2) Portare le mani sul viso, indice e medio a coprire gli occhi, i pollici a tappare le orecchie (per salvare i timpani), anulare a chiudere il naso e tenere la bocca aperta per lo stesso motivo. 3) Chi ci tiene alle palle, dicevano gli istruttori, farà bene a tenersi sollevato anche sulle punte dei piedi !”. Avevamo fatto sempre tesoro di questi consigli, si può morire per un esplosione ravvicinata e solo perché la depressione, provocata dall’esplosione, distrugge gli organi interni … esplodono !. Dopo l’esplosione, nonostante le precauzioni, restammo tutti senza fiato, boccheggianti, ed io sperai che nessuno dei resti “dell’Isola” che stavano ripiovendo giù scegliesse proprio il mio pezzettino di foresta per atterrare … perché ero rovesciato a pancia per aria, in cerca d’ossigeno, e non ero proprio certo di essermela cavata !… Forse avremmo dovuto allontanarci ancora un pò ! ! !. Anche i prigionieri Viet-Kong boccheggiavano, li avevamo legati, ma non per impedirgli di scappare … La verità era che avevano letteralmente ripulito i vecchi e … Loro non sapevano perdere, i Viet nemmeno, quindi, per far cessare l'”ammuina” ed avere finalmente un pò di silenzio, li legammo, sequestrammo: dadi, carte “Americain”, dame cinesi, carte da Black jack, chemin de fer, Napoletane e Genovesi, bastoncini Shangai ed un mucchio di altri strumenti da biscazzieri! più, naturalmente, il maltolto … l'”argeant”. Restituimmo Dollari e Lire ai nostri “poveri vecchi!” (… che figura però!) e Yuan, Rubli e quant’altro d’Orientale ai “prigionieri”. Ed è proprio questo che li rese furiosi, sembravano gatti arrabbiati!. Ma che altro potevamo fare? se è vero che il rientro era un imprevisto, senza soldi era puro azzardo! Li bendammo prima di andarcene … i loro compagni li avrebbero raggiunti presto e, visti i risultati del loro turno di guardia al ponte, avrebbero passato un brutto quarto d’ora davanti a Giap o a chi per Lui del Vietminh e Noi, non volevamo che sapessero la direzione che avevamo deciso di prendere.

Sentimmo le esplosioni delle Tane più vicine a noi, dovevano essere anche imbottite di munizioni o non le avremmo potute sentire esplodere da quella distanza e sottoterra. Sulle mappe avevo visto che le tane avevano in molti punti delle “camere”, degli allargamenti, pensavo che fossero per gli alloggiamenti, evidentemente erano, anche loro, depositi di munizioni. Noi della II° Lupi, eravamo tutti lì :”sulla coda del Dragone”, sparsi in un raggio di circa 30 miglia tutt’intorno, su ponti e tane che saltavano una dietro l’altra. Ora veniva la parte più difficile:”l’imprevisto ritorno”. Il sole era appena tramontato, in quel punto della Jungla, Cambogiana, al confine col Vietnam, e la notte scendeva rapidamente. Lassù, sulla volta lussurreggiante della Jungla, faceva pensare ad un mondo senza conflitti. Nè rabbia, nè sofferenza. Nel labirinto fitto e aggrovigliato della boscaglia, nessuno che lottasse per la sopravivenza. Solo 20 uomini, stanchi e tesi, che si apprestavano a trascorrere la notte. Era come se la terra si fosse spopolata e la natura potesse decidere del proprio destino. Improvvisamente, quel silenzio ovattato, irreale, venne rotto dal frastuono di dieci, cento Kalashnikov, o erano mille? Vidi G-30, “Adamo”, cadere accanto a me, dopo l’esplosione del suo petto, colpito in pieno da una scarica. L’attimo successivo ero sdraiato a terra e scaricavo il mio FAL in direzione dei lampi che intravvedevo proprio di fronte a noi. Furono attimi d’inferno. Rotolavo e sparavo. Mi ritrovai dietro un grosso tronco, ne intravvedevo la sagoma scura. Era quello dove, un attimo prima ma sembrava che fosse passato un secolo, avevo poggiato il mio zaino e preso la mia moka per preparare un buon caffè. Avevo tre bombe a mano e 2 razzi anticarro nello zaino, di quelli che potevo lanciare innestandoli sul tromboncino lanciabombe. Avevo anche, sempre pronte alla bisogna, nel taschino laterale, cartucce a salve per l’innesto dei razzi. Il tronco mi offriva riparo sufficente per le manovre necessarie e procedetti febbrilmente. In un attimo fui pronto a lanciare. Dovevo decidere dove e per questo dovevo osservare da dove arrivasse il maggior volume di fuoco. Presumevo che lì ci fosse un riparo maggiore sul quale far esplodere i razzi. Avrebbe avuto un effetto devastante: i razzi anticarro del FAL potevano forare 40 cm di corazza d’acciaio, ma dovevano impattare su un ostacolo rigido. Uno dei grossi tronchi di quella Jungla andava benissimo, ma era buio, il cielo si intravvedeva, tra il fogliame, ancora del colore violetto che precede la notte, ma quaggiù non vedevo il mio naso. Non erano soldati del NVA (l’armata regolare del Nord). Quelli non ci avrebbero attaccati al buiocol rischio di spararsi addosso tra loro e senza poter vedere l’oboettivo. Ci avrebbero circondato in silenzio e avrebbero aspettato pazientemente l’alba …facendoci fuori tutti! Erano sicuramente ragazzini, …Vietkong! I miei commilitoni si erano sdraiati a ventaglio e rotolando rispondevano al fuoco. Strinsi il FAL sul fianco destro e, con un passo in affondo a sinistra, lasciai il riparo facendo immediatamente fuoco. La scia del razzo illuminò la scena e un boato ci mostrò il gruppo principale Vietkong saltare in aria, poche decine di metri davanti a noi. Fu sufficente per darci il tempo di sganciarci. Fui superato da G-47 “Alvaro”: “…Via, Via, Via!” – urlava. Ma non scappava, si fermò poco oltre per coprirci la ritirata e poi raggiungerci. …Così si fa! Corremmo nel buio finchè avemmo fiato, inciampando e rialzandoci e ricadendo ancora. Alla fine ci sentimmo al sicuro e ci predisponemmo per la notte. L’indomani avremmo dovuto riprendere la marcia. Mi assopii senza ricordare nemmeno di aver appoggiato la testa sullo zaino. L’indomani mattina, alle prime luci dell’alba, fummo tutti in piedi e pronti a muovere. Nemmeno il tempo di un caffè, ma eravamo tutti consapevoli di essere cercati. Eravamo noi, questa volta, la selvaggina della caccia. Gli anziani ci incitavano a correre, a far presto, ma per andare dove ! ?. Senza più il peso degli esplosivi eravamo più agili, ci stavamo allontanando verso Est-SE. Attraversavamo tratti di jungla molto fitta e procedere era faticoso, ma anche più sicuro. A volte procedevamo tra canne di Bambù altissime e cercavamo di non uscire mai allo scoperto.

(Me-Kong Hau-Giang ’75)

Correvo con gli altri, procedendo in fila, a qualche metro l’uno dall’altro e tenendo sempre sotto tiro alla mia sinistra. Correvo e pensavo che stavamo sbagliando, ripiegavamo su Saigon, non ci saremmo mai arrivati. Ormai tra noi e gli Americani c’erano i Viet-Kong, tutti quelli che aspettavano “l’Armata rossa” sulla pista Ho-Chi-Minh (che non c’era più) e che sapevano che non era stata distrutta dai Phantom USA. Ero sicuro che non avevamo fatto la scelta giusta, che dovevamo ripiegare andando a Nord passando il confine Cambogiano (se già non c’eravamo) e da lì raggiungere Phnom Penh, ancora tenuta dalle truppe governative e filo Occidentali di Lon Nol. Eravamo ad appena 100 Km da quella Città, ed era un percorso da fare al riparo della jungla, dicevo io. “Saigon è a quasi 200 Km da qui, ed è un percorso coperto solo per un tratto, dopo di che ci ritroveremo ad attraversare le risaie, a perdita d’occhio, che abbiamo visto venendo qui”, insistevo a dire. Ma, secondo le nostre Mappe, ci saremmo trovati in un “Santuario” Viet-Kong, che stava proprio davanti a noi (erano basi militari Nord Vietnamite in territorio Cambogiano, lungo la linea di confine col Sud Vietnam). Probabilmente era proprio lì che il Generale Giap stava concentrando le sue truppe da traghettare sulla “nostra isola … che non c’è più !” per l’invasione del Tet !. Ce n’erano molti di questi “Santuari” e tutti lungo il confine … in territorio neutrale, al sicuro ! … evidentemente il Generale Giap era un uomo molto, molto religioso ! … “Senza contare che la Cambogia è quasi del tutto in mano ai Khmer rossi di Pol Pot”, ribattevano altri. “A Nord non si passa, per passare ci dovremmo battere … in 20 contro l’Armata Viet-Kong e, i vincitori ( ! ?), se la dovranno vedere con l’armata Khmer di Pol Pot” . Chiusero la mia proposta ridendo ed io, che restavo contrario ad andare a Saigon, li feci ridere ancora scattando sull’attenti alle parole di G.58 salutando :AVE …! come se avessi accettato il combattimento proposto, poi, ridendo anch’io, mi sedetti intorno alla carta dicendo :”due sole armate contro venti di noi ! ? … troppo facile ! Avete ragione. Allora perché non andare ad Ovest ?, è tutta foresta, passeremo i due bracci del Me-Kong e dirigeremo a Khien-Thanh, Golfo del Siam. Sono 100 Km di passeggiata da qui e se non è ancora caduta è fatta : ci faremo rimpatriare dagli Americani. Altrimenti ci procureremo un imbarcazione e lasceremo il Vietnam via mare, siamo la Marina … o no ? !“.Dissi questo perché ero davvero sicuro che era l’unica via d’uscita per noi. Insistei : “Non capite che non si aspetteranno mai che abbiamo preso quella direzione ?. Ci cercheranno tutti e ci cercheranno da qui a Saigon”. Ma non ci fu verso di fargli cambiare opinione … votammo e, 19 a 1, andammo verso la rovina … verso Saigon ! !.

Ce li trovammo addosso all’improvviso! Non so come ci intercettarono, eravamo stati molto prudenti, forse è stato solo che erano dappertutto … lo sapevo che avremmo dovuto andare verso Ovest-SW verso il golfo del Siam e Kien-Thanh. Fu davvero dura, anche se le tane erano saltate, ci attaccavano da tutte le parti e non finivano mai. Quelli tra noi che restavano feriti, come avevamo deciso in Assemblea, si fermavano a proteggere la nostra ritirata. Non c’era alcuna possibilità di trasportare i feriti e poi … per portarli dove ? !. Meglio una morte onorevole, da Gladiatore, in combattimento. Chi avrebbe potuto desiderare di meglio ?. Per noi era davvero il massimo e lo si capiva con quell’ultimo saluto che “i Morituri” ci rivolgevano, consegnandoci le piastrine, prima di essere abbandonati sulla pista : Ave Italia Morituri te salutant ! e furono molti i saluti che ricevetti su quella pista in quei giorni : Ave 60 … Ave 59 … Ave 58 … AVE ! ! ! (Si, forse, eravamo un po’ esaltati, ma quando ci salutavamo così ci sentivamo a Roma, tutti uniti su quell’altare di una Patria che era solo nei nostri sogni di ragazzi, a casa, e poi … che altro ci restava ! ?) Della IX° e X° decuria riportai in Italia 19 Piastrine.

L’Armata Americana era lontana, forse aveva già ultimato l’evacuazione di Saigon e noi, “tanto per cambiare”, eravamo di nuovo “Stay-behind” (dietro le linee). Rimasto solo e, vista la situazione, feci una nuova Assemblea. Questa volta avevo la maggioranza e cambiai direzione … che diavolo ci sarei andato a fare a Saigon , a marciare con i Viet-Kong in parata ? !. Non sapevo che stava accadendo tutt’intorno a me, ma non tanto da non capire che i Kong (i rossi) avevano vinto. Anche il Vietnam era caduto … o era stato Liberato ! ?, mah ! … “Ai posteri l’ardua sentenza” disse un saggio. Io, adesso, avevo il solo dovere di tentare di essere tra quei posteri e, per riuscirci, tornai indietro, verso il fiume. L’odore di marcio della jungla e la paura di essere catturato da un nemico invisibile mi convinsero a valutare meglio quella realtà. Non dovevo avere fretta. Ce l’avrei fatta, lo sentivo, ma non dovevo avere fretta. Avevo perso il conto dei giorni, forse erano gli ultimi e preferivo ascoltare gli uccelli cantare al mattino ed alla sera. Mi ricordavano che un nuovo giorno era nato, un altro era passato … ed io ero ancora vivo !. Il silenzio era rassicurante e, quando la stai per perdere, ogni attimo di vita lo assapori con gioia. Anche immerso in un lurido fiume, tormentato da insetti e a rischio sanguisughe. Una strada che conduceva a Saigon era un fiume in piena di Civili che fuggivano verso la direzione opposta. Dovevo prendere anch’io quella direzione, ma da solo, non potevo certo passare per “civile Viet”. Dopo essere stato immerso nel Me-Kong quasi due giorni per sfuggire ai Viet-kong che ci cercavano, la mia carta era quasi inservibile, ma ricordavo perfettamente quella che avevo visto sull’aereo e la città sul mare : Kien-Thanh, dovevo dirigermi là. Scendere lungo il Me-Kong, pattugliato com’era dai barchini Viet-Kong, era troppo pericoloso e poi, nessun civile fuggiasco lo faceva, significa che non era consigliabile. Inoltre, se i civili in fuga non vanno a Saigon, ma se ne allontanano, questa era un ulteriore conferma che “l’imprevisto ritorno”, passava per Kien-Thanh !. Mi fu prezioso l’addestramento fatto sui monti intorno a Poglina, lì era molto più difficile nascondersi. Non feci l’errore di aver fretta di lasciarmi il Vietnam alle spalleForse è proprio questo che portò i miei commilitoni a volersi dirigere a Saigon … la fretta di rientrare, la speranza di arrivare in tempo per montare su un comodo aereo e ritrovarsi a casa in poche ore. Io no, non avevo fretta e non ne avrei avuta !.

Stavo immerso nel fiume, sotto una piccola zattera di rami e foglie dove stavano le mie armi, e lentamente, molto lentamente, la pilotavo verso il centro del fiume, ma come se fosse la corrente a farlo. Non c’era anima viva, ma la regola numero uno dell’addestramento era : muoviti come se tutto il mondo tenesse i riflettori su di teEro talmente immobile che persino piccoli animaletti e dei pesci, attirati dal calore del mio corpo, trovavano rifugio sotto la mia tuta mimetica. Regola numero due : tutto quello che si muove sono “proteine” e quello che sta fermo sono “vitamine”Non importa quanto ci avrei messo, ma sarei tornato dal Vietnam e : “si accettano scommesse” ! – gridai col pensiero a me stesso, ma non scommise nessuno contro di me. Mi ci vollero solo una decina di giorni per raggiungere il mare. Dalla carta potei calcolare che facevo una media di sei o sette Km al giorno, ma non avevo fretta. A volte mi avvicinavo al limitare della selva per spiare una strada dove colonne di civili, come un fiume in piena che non scemava mai da giorni, si allontanavano da Saigon ! ! ! Anche loro, come me, non avevano fretta, ciò che contava era riuscire … non in quanto tempo !.

Interi villaggi di pescatori “emigravano” dal Vietnam ormai cadutoRaggiunta la costa, imparai a spostarmi dentro le foreste di mangrovie. Non fu affatto facile, non c’è intrigo di rami e radici più fitto, ma mi sentivo al sicuro là in mezzo e poi, l’acqua era salata, ero di nuovo in mare … un buon segno per me !.

(Kien-Thanh: Mangrovie) 

Spostandomi così mi stavo allontanando da Kien-Thanh, ma, al mio arrivo nella periferia della Città, avevo visto colonne di soldati Viet-Kong muoversi indisturbate sotto la bandiera rossa ed avevo considerato che non era il caso di presentarmi al porto a cercare un imbarco. Stavano già procedendo con i “rastrellamenti di collaborazionisti”, li avevo visti caricare sui camion diverse decine di persone, sicuramente colpevoli di non essere comunisti !. Raggiunsi il limitare di quella formazione di mangrovie a Sud di Kien-Thanh in circa tre giorni (me l’ero presa comoda, … non sapevo dove andare !). Quel tratto di foresta si interrompeva su una spiaggetta nascosta tra gli alberi. Lì c’erano alcune imbarcazioni da pesca che, chiaramente, si preparavano a salpare. La presenza a bordo di donne, bambini ed animali mi diceva che erano profughi … quindi non comunisti e stavano scappando, … proprio come me !. Uscii allo scoperto e, camminando nell’acqua, li raggiunsi. Le donne ed i bambini che giocavano sulla spiaggia fuggivano, li spaventai, … già dovevo essere impresentabile ! Erano gente pacifica ed io ero armato fino ai denti, mi preparavo a vendere cara la pelle. Usai un linguaggio universale, andai verso quello che sembrava il gruppo degli “anziani del villaggio” tenendo il Fucile alto sopra la testa. Mi fermai e dissi solo : I’m friend, … were are you going ?Vous n’est pas un Américain ! – rispose il più anziano, in uno stentato Francese. Ouì, Monsier, je ne suis pas un Américain, je suis un Italien – dissi io – … en transit pour l’Italie ! Aggiunsi, alla loro sorpresa, facendoli ridere. Ma questo non cambiava la mia situazione. C’erano due Giunche Cinesi e tre Sampan ed, a colpo d’occhio, avrebbero affrontato il mare navigando al limite della linea di galleggiamento. (Giunche Cinesi e Sampan)Indovinando i miei pensieri, qualcuno aveva impugnato vecchi fucili da caccia, ma non avevo alcuna intenzione di fare la guerra a donne e bambini per … “fuggire“. Lo feci capire offrendo la mia borraccia vuota al capo villaggio. La prese e me la riconsegnò, di li a poco, piena d’acqua ; una donna, nel frattempo, mi aveva dato da bere acqua di cocco (era bello essere di nuovo in mare, ma l’acqua del fiume la potevo bere, quella del mare no). Andai a sedermi all’ombra. Non so cosa avrei fatto, ma, di sicuro, non li avrei obbligati a portarmi con loro, avrei continuato verso Sud … chissà ! e se no … Ave !.Assistei a tutti i preparativi, avevano imbarcato anche i cani, (ma perché li mangiavano). Tentavano ormai da tempo di far partire i motori senza riuscirci, quando mi alzai per raggiungerli. Stando nell’acqua spiegai loro come fare, ma era inutile. Il capo mi fece cenno di provarci io. Salii e riuscii a far partire il motore … era un vecchio motore Francese dell’epoca coloniale (forse un Berliet ! ?) con avviamento a cartuccia esplosiva e manovella. Se non si dà un colpo deciso e preciso, al momento giusto, non esplode … che Dio lo benedica !. Se li erano procurati chissà dove per lasciare il Vietnam. Per la pesca usavano le vele, ma per traversare il Golfo del Siam fino alla penisola di Malacca gli anziani avevano “saggiamente” deciso di superare le bonacce (niente vento), attrezzando di motore le due Giunche che avrebbero trainato i tre Sampan. Un bel convoglio di incoscienti non c’era che dire. Mi trovai proprio a mio agio tra loro ! Sulla Giunca, ammassati come topi, fu fatto posto anche a me (avevo trovato imbarco da macchinista !).

(Sampan)

Potei capire che erano tutti diretti nella penisola di Malacca dai loro Parenti. Seppi in seguito che persino navi Italiane si trovavano in quelle acque per raccogliere i profughi, ma non fui così fortunato. Impiegammo sette giorni a traversare il golfo della Thailandia e raggiungere la Penisola di Malacca. Da lì, uno dei loro parenti mi aiutò a raggiungere la ferrovia del Sud Est Asiatico (era stata fatta dagli Inglesi e congiungeva Bangkok con Singapore). Feci un lungo viaggio di circa 500 Kilometri (il treno impiegò quasi due giorni!) attraverso la foresta Malese fino a Singapore dove potei darmi una ripulita in un buon Hotel. Vendetti le armi e l’equipaggiamento e, con quello che avevo in tasca, trovai imbarco per l’Egitto e poi in Italia. A Roma feci rapporto al Generale, consegnai le piastrine “superstiti” dei miei commilitoni caduti (non erano 19, ne avevo perse alcune negli spostamenti e credo di ricordare che ne riportai in Italia 12) e seppi che anche altri erano rientrati.

In Italia, Giornali e Telegiornali davano la notizia che Saigon non era ancora caduta o, più precisamente, dicevano che stava cadendo in quei giorni. Potei vedere le immagini alla TV, quindi era vero … o no!?. Si vedevano sparatorie tra Marines e i Guerriglieri di Giap, strada per strada, a Saigon. Gruppi di Guerriglieri stavano attaccando l’Ambasciata Americana ed i Marines resistevano per dare tempo alla Marina di evacuare completamente la Città … Il piano di Giap e del Vietminh! Ma, potendo disporre delle sole avanguardie, quelle da sempre presenti intorno a Saigon e, con il grosso dell’Armata impossibilitato ad attraversare il Me-Kong, nè a scendere dall’Annam, il grande assalto a Saigon del 10 Febbraio 1975 e l’offensiva del Tet ’75, il terribile piano che prevedeva il massacro di tutte le forze Americane e Sud Vietnamite confluite su Saigon, non potè essere messo in atto. Non avrei davvero voluto essere nei panni di quelle sentinelle (o dovrei dire: biscazzieri!?). Tuttavia, dalle notizie che venivano diffuse, potei capire che “Caio Giap Cesare” (così lo chiamammo dopo aver visto di cosa era capace, anche nelle progettazioni delle opere dei suoi genieri … proprio come il “nostro” Cesare) non si perse d’animo: le forze che dal Nord dovevano attaccare Huè, come diversivo all’accerchiamento di Saigon, furono, sicuramente, rinforzate dalle riserve dirette a Sud; quelle presenti nei “Santuari”, frattanto, dovevano essere state impiegate in una marcia forzata per risalire a Nord- Est e passare il confine nel tratto che costeggia l’Annam ed attendere, fiduciosamente, la rotta dell’esercito Sud Vietnamita che, secondo Cesare Giap, non sarebbe mancata oppure, erano unaforza pronta ad essere impiegata per attaccare, “anche” alle spalle, l’Armata degli Nguyèn del Sud!. Non aveva più scampo nessuno laggiù! Come i Galli del “de Bello Gallico” e Pompeo, dopo che l’altro Cesare lanciò quei dadi!. “Alea Iacta Est, Caesar Giap!” … se avesse rallentato l’offensiva su Huè, per attendere di ripristinare la “via Ho-Chi-Minh“, sarebbe stato sconfitto: l’Armata Americana avrebbe lasciato, ai Sudisti, armi e mezzi a sufficienza per contrattaccare ed il suo momento sarebbe passato, ma non fece errori … per questo vinse! Noi, comunque, portammo a termine la nostra missione e non ci fu alcun massacro …a parte il nostro! La guerra del Vietnam stava finendo nell’unico modo possibile!

Fui lasciato libero solo pochi giorni, fino a fine Aprile ‘75. In Angola la “Colonna Libertad”, che avevamo addestrato l’anno prima, era impegnata in combattimenti con altre formazioni guerrigliere che si contendevano l’Angola dopo l’abbandono del Portogallo. La Missione ricevuta voleva che tentassimo di formare un fronte comune con tutte le forze Anti Comuniste presenti in Angola, il nome in codice rimase: “Primavera dei Garofani di Luanda”.

N.d.R.: Alcuni visitatori mi hanno scritto gradite lettere dicendomi che è incredibile quanto hanno letto su The Real History of Gladio, in quanto nessun giornale Italiano ha mai riportato una sola notizia di quanto hanno letto in questo sito. Devo dare atto che è così, ma, del resto, nella pagina “I giornali Italiani” Noi stessi ci meravigliavamo delle menzogne che leggevamo sui giornali!. Viene considerato incredibile soprattutto che i capi militari e politici del Nord Vietnam comunista e “proletario” fossero, in realtà, Nobili feudatari della stirpe Imperiale degli Nguyèn, discendenti dell’Imperatore “Già Long” (il Dragone di Giada, Imperatore di Hue ed unificatore del Vietnam). Noi, invece, ci meravigliavamo che tali situazioni che erano in evidenza, sotto il naso di tutti, passassero inosservate, come se fossero scontate. Era scontato che le “Rivoluzioni popolari”, in Cina come in Vietnam, e dovunque in Asia, in realtà, erano gestite da Mandarini, Principi e Duchi feudali che gestivano il potere “Rivoluzionario” con durezza e ferocia degna dei “Loro” Avi …però, i Democratici, erano “Loro”!. Questa Nostra storia vera, giocoforza e per ovvii motivi, è un breve riassunto. Vorrei però aggiungere, per chi dovesse ancora avere dubbi, che risulta noto che tutto il mondo era a conoscenza del fatto che a negoziare gli accordi di pace a Parigi, (nel gennaio 1973, poi perfezionati nel giugno ’73, con il quale si volevano eliminare le continue violazioni ai trattati precedenti), con Henry Kissinger, Segretario di Stato U.S.A., veniva inviato a rappresentare Hanoi un signore di circa sessanta anni, membro del Politburo dal 1954 e poi segretario del Partito dei Lavoratori del Vietnam (ex partito Comunista Indocinese), il quale rispondeva al nome di “Le Duc Tho”. Sapete che significa? Significa “il Duca di Tho”! (quale Tho? …My-Tho, Can-Tho …?), ma nessun giornalista ha mai fatto alcun commento su questo …come su tutto il resto! Io credo che tutto ciò si commenti da solo, non vi sembra?.

I giornali Italiani non dicevano mai nulla delle nostre azioni,ma dell’Angola parlarono molto.

(La verità e la Stampa)

Scoprimmo così che l’O.N.U. visti i massacri di popolazioni civili inermi (vero !), aveva autorizzato Cuba ad intervenire … con una forza di pace ! ?. Che truppe Cubane con l’appoggio di “Istruttori militari Sovietici” sarebbero presto sbarcate a Luanda chiamate dall’M.P.L.A e che, questo, era “attualmente” all’attenzione del Consiglio (… ! ?). Noi non avevamo dubbi che i piloti degli elicotteri da combattimento Mi-24 che mitragliavano i nostri fossero Russi e non Cubani con le “mèche”. Ma, a leggere il giornale sembrava che tutto dovesse ancora accadere ! In quel bar in via Cavour, dove eravamo seduti a far colazione, era il mese di agosto ’75 ! ! ! !. Ma non sono sbarcati a Maggio ?– dissi sorpreso. Era un allucinazione !, tu sei un allucinazione, … noi siamo un allucinazione, … loro sono un allucinazione ! – risposero gli altri ridendo. E questo feci anch’io … mettendo via il giornale. Sentii spesso di giovani che, ingannati dalla stampa, partecipavano a cortei inneggiando ai Cubani e gridando lo slogan : M.P.L.A … in Angola vincerà !, oppure Viet-Minh … Ho Chi Minh, … Kmer Rossi … Pol-Pot !. Capelloni in jeans …come me, non somigliavano certo ai militari Sovietici, né le loro idee a quelle dei Marxisti del M.P.L.A o di quelli che, per me, risultavano essere dei criminali contro i Diritti Umani. Certo che se avessero saputo che la vittoria dell’M.P.L.A c’era già stata e che, questo, aveva significato la sconfitta della Libertà in cui credevano, avrebbero sicuramente gridato qualcos’altro !. Che potere immenso ha la stampa ! – pensavo. Con i miei commilitoni parlavamo dell’offensiva del Tet e di quella prima parte del 1975, davvero un anno caldo per noi !. Mezzo mondo stava cadendo per la Democrazia e diventava terra di conquista per i Tiranni. La popolazione civile vi veniva perseguitata e tiranneggiata, perdeva ogni diritto, veniva sfruttata in maniera bestiale : … in nome della “rivoluzione proletaria“, naturalmente ! 

Da uomini che, però, appartenevano sempre a famiglie aristocratiche, le quali dominavano quei popoli con pugno di ferro, da feudatari :con diritto di vita e di morte sui loro sudditi, prima di perdere questi poteri a causa della colonizzazione che, certo, ha avuto i suoi torti, ma non era peggiore dei poteri che rimuoveva.

Non era un mandarino Mao tze Tung ? ; non continuò a vivere da Mandarino ?… e, dopo la “rivoluzione proletaria”, con un potere che nessun Mandarino Cinese ha mai avuto!.

(L’uomo dei Cobra: L’incantatore di Serpenti)

Anzi, nella magnifica e millenaria storia Cinese nessun Imperatore dinastico ha mai avuto tanto potere nelle sue mani né, credo, tanti morti sulla coscienza tra gli avversari perseguitati. Non era forse un Patrizio Nguyèn ( Potente casato feudale che possedeva il Sud ed il Nord Vietnam prima della Colonizzazione Francese) Nguyèn Ai Quoc, noto con il nome di battaglia di Ho Chi Minh, con cui tanti ragazzi della mia età scandivano slogan sulle strade d’Italia e d’Europa ?. Non era forse vero che il Famoso Generale Giap, nome di battaglia del comandante dell’Armata Viet-Kong, era lui stesso uno Nguyèn  ed il suo vero nome era Vò Nguyèn?. Non era forse lui in persona ad ordinare la esecuzione dei “collaborazionisti ?“, ossia di chi non si sottometteva ai loro diktat ?. Non è forse vero che lo stesso Van Thieu, Presidente filo Americano del Vietnam del Sud dal 1965, era anche lui uno Nguyèn ? Avete mai sentito o avete mai letto sui giornali, della Lotta intestina tra “Nguyèn del Sud Vietnam“, esattamente tra Nguyèn Cao-Ky (Vice Presidente del Sud) e Nguyèn Van-Thieu (Presidente) che, insieme, si “sbarazzarono” con un golpe, nel Novembre 1963, del Governo di Ngò-Dinh-Diem … (contemporaneamente a Dallas, in Texas, il povero J.F. Kennedy veniva assassinato! …davvero non vi dice niente questo?) e si auto nominarono uno Capo delle forze aeree, l’altro delle forze armate e poi Presidente del Consiglio. Avete mai saputo della “notte dei lunghi coltelli” del ’67, che portò all’uccisione di tutti gli Ufficiali Sud Vietnamiti fedeli a Nguyèn Cao-Ky ad opera di quelli fedeli a Nguyèn Van Thieu ?. Naturalmente a Nguyèn Cao-Ky non fu torto un capello (tra Aristocratici si deve saper perdere sportivamente), dopo il bagno di sangue si accontentò della Vice Presidenza ! e di tutti quei morti che importa : per gli Nguyèn si trattava solo di servi !. (Pensate che, alle successive elezioni Presidenziali del 1971, il Nguyèn Cao Ky, ritirò la sua candidatura a causa delle “scorrettezze elettorali” del suo avversario il Nguyèn Van Thieu ! !). Chissà se era stato detto, ai giovani Marines morti laggiù, che morivano per la supremazia di un gruppo di feudatari Nguyèn sull’altroSono certo di no, come nessuno lo disse a noi. Noi ci battevamo per la Democrazia, per la LibertàDi alleanze con banditi, criminali contro i Diritti Umani, a noi nessuno disse mai niente. A me, aprì gli occhi un vecchio capo villaggio del Sud Vietnam, in navigazione nel golfo del Siam : Mi disse anche che le “vieux renard” (vecchie volpi, un animale molto malefico in Indocina, si dice che la volpe riesca a trasformarsi in uomo rubandogli i pensieri ma, priva di anima, riesce a fare solo il male… si dice di persone molto malvagie), ingannavano gli Americani facendogli credere che gli aiuti finissero alla popolazione o per la difesa dagli Nguyèn del Nord. Invece, le vieux renard si arricchivano sempre di più, e più durava la guerra, più aumentava il loro potere e la loro ricchezza. In realtà, il potentissimo Esercito che descrivevano agli Americani per giustificare quei costi, era degno di loro. Corrotto e crudele era capace solo di fare la guerra ai contadini saccheggiando i villaggi e stuprando le donne !. E maintenant ils ont en train de arriver le Nguyèn du Nord. …. non, mon amì “en transit pour l’Italie”, ce n’est pas plus possible la vie au Vietnam. Maintenant, ça suffit !. Que deviendrons-nous ?, bien, quoi qu’il arrive, c’est finì … voilà ! (Trad : ed ora stanno arrivando i Nguyen del Nord, no amico mio “in transito per l’Italia”, non è più possibile la vita nel Vietnam. E’ ora di finirla ! …Che ne sarà di noi ?, bien, sia quel che sia , è finita … voilà !). Ricordo queste parole, perché le pronunciò con tristezza, stando seduto vicino a me di lato al motore. Non si mostrava mai preoccupato davanti ai suoi … un vero capo !.

Pensavo a ciò che mi aveva detto sulla guerra Civile del Vietnam che proseguiva da secoli. Oggi coinvolgeva anche le super potenze, rischiavamo una guerra mondiale e tutto per una faida tra volponi !? Era la sua visione delle cose, quella di un capo villaggio di pescatori della Cocincina. Ma, forse, alla fine, si trattava davvero di una faida tra Aristocratici Latifondisti che si contendevano il potere dal XVII secolo. Gli Nguyèn del Sud che, sconfitti i Trinh (altra Dinastia Patrizia Viet) del Nord, ora combattevano “tra loro” l’ultima battaglia. Già, l’ultima battaglia di una storia secolare fatta di soprusi e prevaricazioni. Nessuno ha detto ai giovani ribelli d’Occidente di quante volte il popolo del Vietnam si è ribellato ai Tiranni della Dinastia Nguyèn.

Una tra le più sanguinose fu quella che vide Nguyèn Ahn scampare al massacro dei suoi, ad opera del popolo della Cocincina in rivolta : l’insurrezione dei Tay-Son, già nel XVIII sec., stava per riuscire a liberare il popolo del Vietnam dai Tiranni Nguyèn. Grazie all’intercessione del vescovo di Adran, l’ultimo sopravvissuto Nguyèn, (bis-nonno di tutti gli altri) riuscì ad avere l’aiuto dei Francesi di Re Luigi XVI e riconquistò la Cocincina. Riunificò il Tonchino (Nord) con la Cocincina (Sud) e, proclamatosi Imperatore con il nome di Gia-Long, elesse la sua capitale a Hue, nell’Annam (centro, una bellissima Città sul golfo del Tonchino). Huè fu la prima Città che l’Esercito degli Nguyèn del Nord “Liberò”, nell’Aprile ’75, dopo aver sconfitto gli Americani e l’Esercito degli Nguyèn del Sud, che difendevano fino allo stremo la capitale del “Nonno Nguyèn Anh, alias Gia-Long“. Lo stesso Impero Cinese lo riconobbe quale legittimo Sovrano e, da allora, quei territori da lui riunificati furono chiamati Vietnam. La restaurazione feudale era fatta. La Storia del Vietnam non può scostarsi dalla storia della famiglia Nguyèn, un pò come i Savoia con l’Italia. Quello che dovrebbe far pensare è che i protagonisti di entrambe le parti : quella Nordista filo Sovietica e quella Sudista filo Americana, si chiamassero tutti Nguyèn ! ! !.

E perché mai, in Occidente, nessuno ha mai raccontato ai giovani ribelli la vita e la storia di Huynth-Phu-So, detto il “folle Bonzo”?. Mi raccontò il capo villaggio che fu ucciso a calci e pugni (come Matteotti in Italia) dai “prodi Vietminh” del “rivoluzionario Nguyèn Ai Quoc (noto Ho Chi Minh … il poeta guerrigliero ! ?). Vi dico io chi erHuynth-Phu-So, il folle Bonzo di Hoa-Hao ! : era figlio di poveri contadini Vietnamiti sfruttati dall’Impero feudale dei Trinh prima e dei Nguyèn poi, privi di ogni diritto e costretti a lavorare come bestie, per un pugno di riso, nelle terre dei feudatari dell’Impero Dinastico Vietnamita dei Nguyèn. Si ammalò gravemente in giovane età e fu curato e guarito da un Bonzo Buddista, una specie di eremita guaritore che divenne il suo Maestro spirituale (non ne ricordo il nome, ma si rifaceva alla dottrina del Profeta Phat-Thay-Tay-An che, ai primi dell’800, predicava ai contadini oppressi la caduta dell’Impero ad opera di forze del bene che sarebbero venute da Occidente a liberarli dai feudatari corrotti e avidi dell’Imperatore). Come da Profezia, i Francesi arrivarono qualche tempo dopo, ed i feudatari Trinh e Nguyèn persero tutto, potere e latifondi. Anche se, poi, i Francesi, come sempre accade, non si comportarono molto meglio con il povero popolo Viet. Huynth-Phu-So iniziò a predicare la Liberazione dalla Tirannia e la caduta del crudele Impero Viet, andando tra i contadini sfruttati nelle campagne curandoli e confortandoli nella loro disperazione parlando di speranza nell’avvento di un regno di pace e di Giustizia. Insegnava un Buddismo riformato, delle origini, senza i fasti dei rituali religiosi dei cortigiani e dei mercanti del Tempio (! ?) e, attraverso le tecniche apprese dal suo Maestro, guariva gli ammalati dei poveri villaggi che visitava … (non vi ricorda niente tutto questo?). Fu ucciso dai Vietminh nel 1947, all’età di 28 anni : un “figlio dei fiori” in meno ! Aveva avuto il pessimo gusto di nascere nel tempo sbagliato e nel luogo sbagliato. Non so se fu ucciso per ordine di Vò Nguyèn alias Giap o di Nguyèn alias Ho Chi Minh, ma, “Loro“, non fanno mai niente che non gli venga ordinato dall’alto e, comunque, fu uno Nguyèn a dare l’ordine !. Ma perché nessun figlio dei fiori o giovane ribelle occidentale ha mai saputo niente della storia di “Gesù Huynth-Phu-So” e del movimento Hoa-Hao che predicava la liberazione e l’avvento del regno di pace e di Giustizia per quelle povere genti oppresse dalla Tirannia?. Perché nessuno sa dei martiri del partito Social Democratico Vietnamita “DAN-XA”, fondato dai seguaci di So dopo la sua morte, perseguitati, catturati ed uccisi dagli eroici Vietminh dei “liberatori” Nguyèn ?. A me la raccontò, durante la navigazione verso Malacca, il vecchio capo del Villaggio … aveva un nome lunghissimo e impronunziabile per me, che lo chiamavo semplicemente Long (Dragone). Raccontava queste storie la sera, al tramonto, passando di barca in barca, a rincuorare i suoi. Ebbe la pazienza di raccontarla anche a me un pò in Francese ed un pò a gesti ed espressioni mute, con una mimica che era degna dei migliori teatri, credetemi. Capii che lui era uno dei seguaci di quel Bonzo folle e, a giudicare da dove eravamo e cosa stavamo facendo, devo dire che era più folle del Bonzo. Glielo dissi una sera che eravamo fermi in una bonaccia per un guasto in “sala macchine”. Quella sera erano tutti intorno a me che, dopo aver quasi smontato il circuito di alimentazione del motore, riparai il guasto tirando fuori dal serbatoio un grosso topo morto che aveva ostruito l’uscita della cannula di alimentazione. Long rise molto, annuendo e traducendo ai suoi. Tra le risate generali mi indicò dicendo in Francese : ouì je suis un fou, plus de le Bonze fou ... ” Monsier Italien en transit pour l’Italie !“. Seppi che mi chiamavano così da quando ci incontrammo : Italien en transit pour l’Italie, e risi anch’io … di me !. 

La loro antica saggezza popolare gli diceva che non erano liberatori quelli che arrivavano, ma gli oppressori di prima, gli oppressori di sempre, che cambiano le insegne, le parole, gli abiti, ma sono sempre loro, i restauratori, … quelli che vivono alle spalle del popolo che lavora!. Non è forse vero che erano tutti ricchi rampolli di nobili famiglie, viziati ed abituati a vivere alle spalle del prossimo, tutti i principali capi comunisti di cui si abbia notizia ?. Non era un ricco Hidalgo Cubano Fidel Castro Ruz?. Non è forse vero che, catturato durante l’unica azione di guerriglia a cui partecipò personalmente, il 26 Luglio 1953, l’assalto alla caserma Moncada di Santiago de Cuba, fu condannato a 15 anni di carcere e subito graziato, dal Dittatore Batista, per intercessione della sua famiglia?; e che, la “Revolucion Cubana“, in realtà, fu combattuta sulla Sierra da “Cienfuegos Camillo” (precipitato con il suo aereo da turismo subito dopo la Vittoria del 1959) e da Ernesto Guevara, detto el Che, il quale, dopo aver rinunciato ai suoi incarichi di Governo, “anche” … per dei dissensi avuti con Fidel Castro, partecipò alla guerriglia in Congo e in Bolivia. Catturato dall’esercito di La Paz, (venduto in Bolivia, nel 1967, con una “soffiata” a … chi ? … da chi ? … boh ! nemmeno il corpo si è mai ritrovato) venne ucciso ; e da Manuel Ochoa, eroe di Cuba Libre, combattente con El Che nel Congo di Lumumba e Kabila, “Libertador” dell’Angola, Colonnello di Castro. Ochoa sopravvisse agli incidenti che colpirono gli altri due Colonnelli della “Revolucion” grazie al prestigio che si conquistò in Angola (del tutto meritato secondo me). Ma, nel 1989, anche quest’ultimo eroico Colonnello della “Revolucion Cubana” ebbe un “incidente” : fu accusato di spacciare droga, prontamente processato e condannato ed altrettanto prontamente impiccato, per ordine di Castro Fidel !. Ma già, il Leader Maximo ha rinunciato a tutto per la “Revolucion”… ma a tutto che ! ?. Ha rinunciato a dirigere Haciende e pollai di famiglia per prendersi tutta Cuba , popolo compreso!. Chissà quanta sofferenza per cotanto sacrificio ! ! ! .

Avete mai letto sui giornali questa versione della Revolucion Cubana?Subito dopo la fuga del Dittatore Fulgencio Batista (Gennaio ’59) e la caduta del suo Regime ad opera delle forze Democratiche progressiste Cubane, fu eletto Presidente il Giudice Democratico Urrutia Lleò. Pochissimi mesi dopo (credo quattro) Castro Fidel Ruz lo destituì ed insediò, in sua vece, il Comunista filo-Sovietico Osvaldo Porticòs TorradoCienfuegos Camillo non fu d’accordo, ma ebbe l’incidente aereo suddetto e… non potè farci nulla!. Fidel Castro Ruz, diventò così Primo Ministro, mantenendo anche il titolo di “Leader Maximo della Revolucion“. Suo fratello, Raùl Castro, entrò al Governo e… non ne uscì più!. Anche Ernesto Guevara entrò al Governo, come Ministro dell’Economia e, poi, come Ambasciatore, ma solo per un breve periodo …si dimise, come detto, per “contrasti col Leader Maximo“, o meglio … per contrasti con i nuovi padroni della “Revolucion Cubana“, quelli a cui i Fratelli Castro l’avevano venduta per restare al potere, per essere i “Leader Maximi” in eterno! e… sparì in Bolivia nel ’67! Ma, secondo il copione del “Modulo Kennedy“, fu la CIA a farlo fuori. Anche l’incidente aereo a Cienfuegos, il processo ad Ochoa, le migliaia di morti ammazzati (quelli ufficialmente ammessi e quelli “incidentati”) … tutta opera della CIA e delle potenze Imperialiste!!!

Persino l’ultima lettera scritta da Guevara a Castro (quando capì che era stato condannato a morte e che non aveva scampo), nella quale si preoccupava che fossero risparmiati i figli e gli raccomandava di dar loro un futuro, in nome di ciò che aveva fatto per la “Revolucion”: “Recuerdo quando te conoçio in casa de Antonia” … Ed in cambio di quella lettera, che li scagionava tutti!, non fu capita da nessun altro che Noi! Eppure ci sembrava tutto chiaro: el Che non accettava, come Cienfuegos prima di lui, che la “Revolucion Cubana” fosse morta; non accettava i Diktat dei nuovi padroni, quelli a cui i fratelli Castro avevano venduto tutto e tutti in cambio di protezione; voleva proseguire, e addirittura esportare la Revolucion! Nessuno di “Loro” glielo poteva impedire ufficialmente …“erano tutti Rivoluzionari!!!” Per questo doveva morire e… morire da Eroe della Revolucion, ucciso dal nemico della Revolucion. Questa è la sola cosa vera di tutta quella vicenda: Guevara fu ucciso, effettivamente, dai nemici della Revolucion, tradito come la Revolucion e come tutti i suoi leali sostenitori. Naturalmente, come sempre accade, il Tradimento della “Revolucion Cubana”, non fu un Atto indolore e trovò molti oppositori tra i veri Rivoluzionari. Infatti, ne seguì un bagno di sangue che Castro e la sua banda scatenarono per soffocare,con “Processi e fucilazioni di massa!”, ogni residua aspirazione di Libertà e Democrazia a Cuba. Non mancò nemmeno il solito esodo di profughi via mare a testimoniare che la Democrazia, nella REVOLUCION CUBANA, … era MORTA!!!

Il Regime di Castro andò in crisi molte volte, ma c’era sempre pronto il solito”bagno di sangue” per rimettere a posto le cose. L’ultima grave crisi ci fu nell”89, alla caduta del muro di Berlino. Qualcuno a Cuba si illuse che anche il muro di Castro sarebbe potuto cadere e chiese le riforme, ma, dopo il “Processo ai Generali coinvolti nel traffico di Droga del 1989 (!?)” (alla fine del quale ci fu, come detto, l’impiccagione, tra gli altri, di Ochoa), il fratellino del Dittatore, che non conosceva crisi dall’incidente occorso a Cienfuegos e dal “precedente” bagno di sangue del 1959, collocava i suoi uomini “Fidelissimi” nei posti lasciati vacanti dagli impiccati e… tutti ripresero a vivere felici e contenti …anche il riconfermato Leader Maximo! Nemmeno Adolf Hitler fu così bieco da far processare e condannare, per reati comuni ed infamanti, i Generali che attentarono alla sua vita, per salvare la Germania dalla sua follia!

Vi chiedo: ma cosa ci può mai essere di eroico e romantico in una storia simile!? …persecuzioni, tradimenti, delazioni, assassinii, stragi, complotti, Crimini contro l’Umanità. Purtroppo, credo di potervelo dire io: …le menzogne della Stampa!!! già, ma perchè ha mentito la stampa e… perchè continua a mentire?. Io l’ho capito, ma non voglio togliere, a coloro che sono pronti a capire, il piacere di scoprirlo da soli!

Si riempivano la bocca di paroloni e coniavano slogan su slogan:”... EL PUEBLO UNIDO JAMAIS SERA’ VENCIDO! … “; edificavano Repubbliche Democratiche Popolari dappertutto, ma in quelle Repubbliche la Democrazia non sapevano nemmeno dove stesse di casa. Erano stati di polizia dove si praticava sistematicamente la violazione dei Diritti Umani e dove un popolo di reietti doveva essere sfruttato in maniera bestiale e finiva affamato, per mantenere una marea di inutili bighelloni in pompa e … naturalmente, carichi di medaglie ! ! !. All’epoca noi sapevamo soltanto che Pol Pot era il nemico … la storia più recente ha detto a tutti chi era il “Liberatore della Cambogia” e che razza di pazzo criminale fosse !. Ma credete che può esserci qualche Tiranno che sia migliore ?. Se per voi la gravità dei Crimini contro i Diritti Umani si misurano a numeri di morti ammazzati, allora … non siete diversi da loro. Per noi, il solo fatto che erano Tiranni, era un crimine contro l’umanità, il resto erano dettagli buoni per un Processo equo ed imparziale al quale anche loro avevano, ed hanno, Diritto !. Ma, il Generale Ochoa, lo ebbe ?. Noi finivamo spesso a fare (tra noi) di questi discorsi e a chiederci come mai, dei ragazzi che, come noi, vogliono la Libertà e la Democrazia poi, invece, inneggiano a dei Tiranni !. Perché, indipendentemente da ogni considerazione sugli uomini e sulla loro storia personale che, spesso, aveva delle motivazioni e giustificazioni profonde, restava il fatto che tutti costoro, di sicuro, non erano dei Democratici e non concepivano che qualcuno potesse avere il diritto di pensarla liberamente e diversamente da loro. (N.B. : E’ notizia di questi giorni, 16 Luglio 1997, che la rivista Americana “Forbes” (o simile) ha dichiarato che Fidel Ruz Castro è uno dei 100 Uomini più ricchi del mondo (!?). Niente da ridire ovviamente per gli altri, una ricchezza per un imprenditore è un chiaro segno dei suoi meriti e capacità!. Ma, quali meriti e capacità ha dimostrato un Dittatore sanguinario come Castro?… lascio a Voi ogni ulteriore commento. Ma, è accertato che il popolo Cubano è in miseria, come, del resto, tutti i popoli che si lasciano governare da simili predoni!. Da parte mia mi spiego fin troppo bene, purtroppo, perchè certe canaglie vengano accolte da “certe autorità” come dei galantuomini e non li si processi per i loro crimini. Forse … perchè pagano bene?! Davvero non importa a nessuno quanto sangue eroico ed innocente è costata quella ricchezza? … non proviene certo da una libera competizione sui mercati!? …no?).

I Patrizi Nguyèn, che guidarono la lotta di liberazione dal colonialismo del Vietnam, erano idealisti che avevano sofferto le persecuzioni della Tirannia, espropriati di ogni bene, il carcere e l’esilio, … ma, poi, essi stessi si trasformarono in Tiranni, negando ad altri quegli stessi Diritti che furono negati a loro : il Diritto di poter esprimere liberamente la propria opinione, per esempio, e molti altri.

Avete mai letto sui “Giornali Italiani” la vera storia delle stragi del 1980 e l’Affare Maltese? …no vero? …lo immaginavo! fate click qui: “L’Affare Maltese”

E avete mai letto su di Noi, a parte le “minchiate”, la vera storia della nostra “vecchia guardia di Gladio”?. Alcuni dei reduci superstiti dell’ARMIR, abbandonati dalla solita Patria ingrata, sulle steppe ghiacciate del Don, decimati dalla cavalleria Cosacca, traditi dai Tedeschi che ripiegavano a Stalingrado senza concordare una ritirata comune e lasciandoli soli di fronte alle Divisioni di Stalin!, sbandati dopo l’otto Settembre ’43, furono arruolati dall’O.S.S. (l’OSS era il Servizio Segreto Anglo-Americano durante la II° Guerra mondiale, precedente la CIA) per combattere dietro le linee Tedesche (…Stay-Behind), oltre la linea Gotica, con il nome di “Divisione Osoppo”. Furono loro a studiare la struttura delle Centurie e delle Decurie così come le conobbi io: sconosciuti gli uni agli altri e suddivisi sul territorio nemico, solo il numero uno (stando al riparo, nella Roma liberata) era in grado di contattare tutti via radio. Attraverso tale criterio organizzativo nessuno dei Gladiatori, fatto prigioniero, poteva tradire …nemmeno sotto tortura, dal momento che non conosceva nessuno se non per il numero!. Fu G.37, (uno della vecchia guardia “Osoppo”) nel 1974, a Roma, a presentarmi una sera Charles Bernard Moses. Era stato membro del Governo Militare provvisorio di Roma durante l’occupazione Alleata e Ufficiale di collegamento dell’OSS con i Gladiatori, oltre la cortina dell’epoca …quella “Gotica”. Dopo la guerra aprì una Galleria d’Arte, credo in Via Margutta, e continuò ad essere il Nostro Ufficiale di collegamento. Con G.37 ricordavano, seduti davanti al caminetto e con una bottiglia di Scotch whisky, quelle operazioni e quelle post-belliche, compiute negli anni cinquanta, durante la Guerra Fredda, oltre la Cortina di ferro, in Polonia ed Ungheria e nel ’68 a Praga in Cecoslovacchia. Dopo un paio di Scotch finivano per sembrare due vecchie comari! Diventammo molto amici con Charly: la sua casa in Via San Teodoro n.28 era accogliente e sempre aperta per me. Charly era un bravo cuoco ed io ricambiavo spesso invitandolo al Ristorante. Sceglieva Lui dove e sceglieva sempre una trattoria in Via Margutta. Quando rientravo dalle operazioni passavo sempre da Lui a fare un bagno caldo e due chiacchere con un amico … fino a che non lo trovai più! forse morto anche Lui, di vecchiaia però, …ma questa è un altra storia!

Io, che ormai credo di essere sopravvissuto per volontà di Dio, solo per vedere e capire, anche per chi non c’è più ; che ho provato il carcere e la persecuzione (e ancora la sto provando) ; che ho provato sulla mia pelle cosa significa subire gli abusi del potere, tipici delle Tirannidi … riuscirò a non perdere la mia fede Democratica! La Tirannia non vincerà con me, non riuscirà a trasformarmi in uno di loro. Tutti costoro, forse, erano stati sinceri quando si ribellarono ai Tiranni che li opprimevano, ma troppo deboli per farcela. Lungo il cammino si sono persi !. Considerazioni, queste, che oggi come allora, finiscono sempre con le stesse conclusioni : hanno uffici di propaganda incredibili, capaci di convincere l’agnello ad inneggiare al lupo gridandogli : scannami … scannami !. Che potere immenso ha la stampa … ma non sapevamo ancora quanto ! ! !.

Andai a casa, ma non feci quasi a tempo a poggiare le valige. Dovevo raggiungere Genova per imbarcare sulla T/n Atria della società Garibaldi che avrei incontrato ad Aden nello Yemen del Sud, tra il mar rosso ed il golfo Persico. Da lì, poi, sarebbe rientrata in Italia. Una missione facile, facile … giusto ordini, denaro e passaporti, da consegnare a nostri agenti nello Yemen del Sud. E così la chiamarono : Operazione Aden. Visto che, “per combinazione”, l’aereo che mi avrebbe portato ad Aden, faceva scalo a Beirut nel Libano, approfittavano per darmi ordini, denaro e documenti, anche per i nostri agenti a Beirut e quella consegna rientrava nell’operazione chiamata : Operazione Beirut ’75

Operazione Beirut ‘75. Ebbi l’indirizzo di una profumeria di Beirut e di un bazar di Aden dove avrei trovato un Italo-Somalo che avrebbe preso in consegna quanto mi diedero : due buste da lettera, gialle e chiuse. Il Somalo avrebbe dovuto dire nel nostro primo incontro, la terza cifra del mio codice. A Beirut, invece, avrei incontrato una ragazza Libanese sui vent’anni : avrebbe conosciuto la sesta cifra. Bene ! sono entrambi il numero 1, nessun pericolo di confondermi – dissi. Pensavo che a Roma fossero davvero fuori di testa con questi numeri in codice. Dopo tutti i casini che ci mandavano a sciropparci, pretendevano che ci ricordassimo … “la quinta lettera … la nona cifra … e l’animaccia loro ! A me facevano un pò ridere quando giocavano agli agenti segreti, ma fingevo di dargli retta seriamente, … per non offendere. Mi presentai a Genova, alla compagnia Garibaldi, puntuale. C’erano parecchi altri marittimi, praticamente, tutto l’equipaggio della T/n Atria doveva essere sostituito ad Aden. Ci diedero i biglietti ed i documenti di imbarco e raggiungemmo l’aeroporto.

Arrivammo in un paio d’ore a Beirut, non ricordo se era il 14 o il 15 Agosto del 1975, ma era il giorno in cui le autoblindo Musulmane occuparono l’aeroporto di Beirut, mentre i Cristiani Maroniti occupavano il Porto. Lo so per certo perché la coincidenza del nostro volo per Aden ci lasciava lì per una decina di ore. Il tempo sufficiente per recarmi alla profumeria dell’indirizzo e ritrovarmi davanti alla più bella ragazza Araba che avessi mai visto … una vera meraviglia ! non so quanto tempo rimasi a guardarla.

(Beirut: Colombe?)

Mi chiedeva qualcosa in francese ma non so cosa. Risposi come un idiota : parlèz vous Francais ?. Si mise a ridere e disse annuendo : un ? … un ? … un !. Non capivo che stava dicendo 1 : la terza o “l’animaccia loro !” del mio codice. Da noi, nel Sud, detto in quel modo, sembra più una interrogazione … una specie di : “che vuoi ?”. Mi ero già dimenticato anche dei documenti e del volo per Aden. Volevo uscire con lei e glielo dissi. Non aveva niente in contrario, ma chiudeva il negozio alle 13 e non poteva allontanarsi prima. Annuendo mi fece capire che aspettava la persona alla quale consegnare i documenti e che era meglio che io andassi via. Mi impegnai a fare un giro lì intorno fino alle 13, c’era un mercatino ed andai a visitarlo. Scoppiò un finimondo e giuro che non ne sapevo niente. All’improvviso, alcuni gruppi di Arabi che stavano tra le bancarelle come me, tirarono fuori dei Kalashnikov e presero a spararsi furiosamente. Non gli importava nulla della folla terrorizzata che correva e mi spingeva in una via in discesa come un fiume in piena. Non potevo fare altro che seguire la corrente, oltretutto la cosa degenerava, si sentivano anche delle esplosioni e delle sirene. Mi ritrovai vicino ad un taxì e lo presi al volo :… all’aeroporto – dissi. Non era più il caso di tornare alla profumeria. Ero senza documenti personali, li aveva il capogruppo dell’equipaggio, e quelli che avevo, destinati ad Aden, sicuramente era meglio non mostrarli !. Raggiunsi l’aeroporto, ci volle un bel pò . Il taxista trovava tutte le vie bloccate da autoblindo, era pieno di soldati. Conosceva bene la città e lo dimostrò riuscendo ad aggirare, passando nei vicoli di Beirut, tutti i posti di blocco. Mi lasciò davanti all’ingresso, era tardi e pieno di soldati, ed avevo sinceramente paura di non fare in tempo a raggiungere i marittimi. Ero pratico di crisi ormai e, quella, non era una cosa che sarebbe durata poco. Passai dalle sale merci, correndo a fianco ad un carrello portabagagli … andava nella direzione giusta, la sala di transito. Erano tutti lì, in attesa che chiamassero il nostro volo, ma lo avrebbero chiamato ?. Avevo raggiunto la scala che mi avrebbe portato dal piano bagagli al piano passeggeri. Imboccai la scala, mi trovai davanti ad un soldato Libanese armato, era solo, disse : Passport !. Se mi fermavo a spiegare perchè non ce l’avevo avrebbe chiamato i suoi superiori, per lo meno mi avrebbero perquisito e sarei stato finito !. Decisi in un attimo, dopo aver visto con la coda dell’occhio che eravamo soli, di atterrarlo con un calcio di “Savate” allo stomaco ed una gomitata alla nuca. Mi cadde addosso e lo guidai verso un mucchio di sacchi postali, vicini al sottoscala. Ce lo misi sdraiato e, per maggior sicurezza, lo colpii ancora alla nuca con il calciolo del suo fucile. Non troppo forte … non eravamo in guerra col Libano, ma volevo essere sicuro che non si svegliasse mentre ero ancora lì. Salii le scale d’un fiato. Raggiunsi il salone passeggeri, l’equipaggio dell’Atria era in fondo, vicino alle vetrate. Fui fermato da due soldati, anche loro volevano il Passport. Dissi in Italiano : ma tutti da me lo volete il passaporto, ma che vi sembro !?. Lo dissi ridendo, ma loro non ridevano. Mi puntarono le armi addosso, mi fecero alzare le mani e stavano cominciando a perquisirmi quando arrivò l’Ufficiale che aveva i documenti di viaggio di tutti. Mostrò il mio Libretto di navigazione e disse : “Crew member of Atria, Italian ship. We are in transit for Aden”.Smisero di perquisirmi e guardarono il Libretto. Non so se avevano capito l’Inglese dell’Ufficiale Italiano, ma avevamo assunto tutti un aspetto così innocuo che si rilassarono e si allontanarono. “Ma dov’eri finito ?” – disse l’Ufficiale – “Hanno già chiamato il volo, stanno sgomberando l’aeroporto dai voli in transito, forse lo chiudono … sta scoppiando una guerra civile. Abbiamo telefonato in compagnia ce l’hanno detto loro,… non ti allontanare che è pericoloso !”. Sissignore. – risposi. Raggiunsi il gruppo e parlai con Angelo, era stato in Marina Militare con me, sulla stessa nave. Lui era un congedato “vero” del contingente I° ’52. All’epoca mi fece portare anche i tricolori da congedante. Come è strana la vita, chi si sarebbe mai immaginato di ritrovarmelo tra l’equipaggio dell’Atria ?. L’altoparlante dell’aeroporto chiamò il volo per Jiddah (Saudi Arabia) e Aden indicandoci il Gate. Ci dirigemmo verso l’uscita indicata. Dalle vetrate vedevamo la pista e le autoblindo che ultimavano l’occupazione, ma il nostro volo era sicuro. Appena usciti dalla sala e prima di salire sul bus che ci avrebbe portato all’aereo, fui fermato di nuovo dai soldati, mi perquisirono in cerca di armi. La busta con i documenti però era in valigia, già sull’aereo. Considerata la simpatia che riscuotevo tra i soldati Libanesi, alla fine, era più al sicuro lì. Angelo rise di tutte queste “attenzioni”. Hanno visto troppi film di guerra – disse ridendo, in fila dietro di me. Finalmente a bordo – pensai, sedendomi in una comoda poltrona (anche se ci sto sempre troppo stretto). Era un aereo della M.E.A. “Midle East Airlines, linee aeree Libanesi”. Mi dedicai ad ammirare la bella hostess che mi svolazzava davanti ed il pensiero tornò alla profumeria ed a quella bella ragazza. Mi colpì, improvvisamente, il fatto che non gli chiesi nemmeno come si chiamava … ma già, mi avrebbe dato un nome falso … ed io pure !. A dispetto di tutte le dichiarazioni di certa stampa, in Libano, non si stava combattendo una guerra civile a “solo” sfondo religioso. La Religione era un alibi usato da “Loro” per nascondere il tentativo di colonizzare un altro pezzo di mediterraneo. Infatti, i Cristiani Maroniti, erano filo occidentali, per un sistema democratico e del libero mercato “capitalista !” ; i Musulmani Libanesi, compresi i rifugiati Palestinesi nel Libano meridionale, erano filo Sovietici, alleati dei Siriani di Assad. Il tutto, per noi, rientrava nel piano di accerchiamento dell’Europa Occidentale in atto : nel ’75 erano infatti filo Sovietici (anche se, alcuni, erano solo filo-Tiranno di turno!, erano comunque ostili alle Democrazie occidentali.) i paesi mediterranei dell’Algeria, Tunisia, Jammairhiya-Libia, l’Egitto, la Siria ed i Balcani. Secondo noi, era in pieno atto un attacco del Cremlino che, partito dall’offensiva del Tet Vietnamita, proseguiva su tutti i teatri della guerra cosiddetta “fredda” che, però, per noi, fu davvero rovente !. Per non dire dell’Angola e dello Zaire, perduti alla Democrazia con Mozambico, Somalia, Etiopia, Sudan ed altri piccoli stati Africani come il Dahomey che, con un colpo di stato, erano entrati nell’orbita Sovietica. Dormii fino ad Aden, non mi accorsi nemmeno di essere arrivato a Jiddah. Arrivammo ad Aden alle prime luci dell’alba.

(Crocefixio naturae)

Operazione Stefano. Ricevetti l’ordine di presentarmi all’Ammiragliato a La Spezia. In un Ufficio fui ricevuto dal numero 1. Mi disse che non c’era il tempo di convocarmi a Roma, il giorno dopo dovevo imbarcare a Genova sulla M/N Fernanda Emme, un mercantile diretto a Città del Capo in Sud Africa. Mi spiegò che si trattava di portare in Italia un Leader della lotta all’apartheid dell’African National Congress di Nelson Mandela. Non sapevo cos’era l’apartheid, non avevo mai sentito nominare Nelson Mandela e sapevo poco e niente dell’African National Congress, ma ero abituato a non fare domande ed ascoltai attentamente le istruzioni.

Si tratta di un movimento di liberazione della popolazione “nera” del Sud Africa -prese a dirmi il numero 1- purtroppo è troppo legata all’URSS, l’Occidente non può aiutarla come vorrebbe. Eppure il blocco e le sanzioni al Sud Africa lo vorrebbero gli Americani, non l’URSS. Ma, fatto sta, che è così. Nostri agenti laggiù, approfittando di alcuni dissidi interni ai movimenti di liberazione Africani, hanno contattato tempo addietro un giovane leader dell’A.N.C. Tra loro c’è chi è insofferente al legame con l’URSS, vorrebbe creare un Movimento Democratico per l’autocoscienza nera, indipendente da tutti. Questo è molto interessante per noi, ma anche per “Loro” (diede un colpetto con la testa alle sue spalle, come faceva sempre quando voleva indicare il K.G.B. il servizio segreto dell’URSS). Hanno identificato il ragazzo e lo hanno venduto alla polizia Africaans … lo vogliono tutti morto !. proseguì il Generale – Non è una missione facile, vogliamo salvarlo, ma non sappiamo dov’è e, se lo cerchiamo attraverso i nostri agenti in Sud Africa, lo troverà anche chi li pedina. Perciò devi andare tu. Perché sono il più bravo – dissi aprendo le braccia. … Perché sei un figlio di puttana e li fregherai tutti – disse lui ridendo e dandomi una pacca sulla spalla, alzandosi dal divanetto e andando verso la scrivania. Mi fece cenno di raggiungerlo per mostrarmi delle foto. Erano di un uomo di circa trent’anni che gridava alla folla, in un comizio, circondato da altri. Altre lo ritraevano in un bar che leggeva il giornale, mentre saliva in un taxi, mentre passeggiava, mentre si grattava … di spalle, di dietro, di profilo, in camicia, in giacca e cravatta, in jeans. Aveva una faccia simpatica, specie quando rideva. In certe foto aveva un pizzetto non troppo folto, come cresce agli Africani, in altre foto no. Si chiama Steven, Stefano in Italiano – disse il numero uno – Non deve morire !. Sissignore … non morirà Signore – risposi altrettanto seriamente. Avrai una cabina personale a bordo del Fernanda, con due cuccette, una è per lui. Come portarlo a bordo sarà un problema tuo, dovrai consultarti con i nostri laggiù …Nessun problema signore – affermai io – nei porti, ed a bordo, non ci sarà alcun problema e, visto quel che mi ha detto … (feci lo stesso cenno col capo che faceva lui per indicare il K.G.B), sarà meglio limitare ogni contatto. Bravo ragazzo, è proprio quel che penso anch’io, infatti, – disse ridacchiando il Generale – incontrerai solo una persona, …”nera” e donna. Ha circa vent’anni, indosserà una giacca a disegni bianchi e blù e ti aspetterà, alle ore 13.00, del primo giorno, dopo quello di arrivo del Fernanda a Città del Capo, in Piazza …(non ne ricordo il nome), esattamente sotto la scritta :”Santam Gebou” che vedrai sulla parete di un palazzo. Scegli un nome di donna. Sandra – dissi (era scritto su uno dei ritagli di giornale che vedevo sul tavolo). Bene, – disse lui – la avvicinerai chiamandola Sandra e lei si identificherà con la nona lettera del tuo codice. Questi sono i documenti di imbarco. Presentati a Genova, all’agenzia indicata lì, domattina e non tardare, la nave è in partenza. Prendi con te le foto, studiatele bene durante il viaggio … avrai tempo ! disse ridendo. – Ma non devono arrivare in Sud Africa – aggiunse seriamente. Sissignore, non ci arriveranno signore. Mi diede la mano e dopo, facendo un passo indietro salutai : “Ave Italia morituri te salutant“.

Mi accompagnò all’uscita dell’Ammiragliato, dandomi le ultime disposizioni : Appena sarai rientrato in Europa, o da qualsiasi porto fuori dal Sud Africa, chiama l’Ufficio X° citando : operazione Stefano. Verremo a prenderlo. Per chi non c’è abituato, passare due settimane chiuso nella cabina di un vecchio mercantile non deve essere piacevole – disse salutandomi ancora. No, non lo è Signore, … nemmeno per chi ci è abituato, specie quando si finisce a girovagare per i sette mari Signore ! – dissi io, acido, alludendo all’Atria. Lo guardai ridere mentre salivo sul taxi che, evidentemente, aveva chiamato (… ma quando !?). Non lo avrei visto mai più. Ma, all’epoca, non lo sapevo.

Imbarcai a Genova il 1 Giugno 1977. Fu un viaggio più lungo del previsto, il Fernanda Emme era tenuta bene, ma era una vecchia carretta che solo un duro lavoro, da parte dell’equipaggio, riusciva a far navigare ancora. Infatti, erano state talmente tante le soste in alto mare per avaria in macchina (pistoni che fondevano, camice che bruciavano, testate che picchiavano), da farci credere di aver preso un “autobus” per Cape Town, anziché una nave !. Eravamo sempre tutti lì intorno, noi macchinisti, a dare di mazza sui bulloni ed a issare sui paranchi pistoni più grandi di noi. Col mare lungo dell’Atlantico al traverso che ci costringeva a fare anche gli equilibristi. Senza contare la difficoltà di impedire, contemporaneamente, il dondolio dei pezzi di ricambio, del peso di parecchie tonnellate, che ci potevano schiacciare come pulci … “Dulcis in fundo” : il caldo equatoriale !. Lo sapevo, quando mi danno missioni “facili, facili”, è il momento di disertare – pensavo in quelle occasioni temendo di finire di nuovo smarrito chissà dove. Invece, anche se con molto ritardo : … “ci avranno dati per dispersi”– scherzava l’equipaggio, arrivammo a Città del Capo in una bella giornata limpida di fine Giugno 1977. Vidi, per la prima volta, proprio davanti a noi, la montagna piatta che sta alle spalle della Città. Il porto era pulito e pieno di aragostine, tutti si dedicarono a pescarle ed a cena : spaghetti all’aragosta. Il giorno dopo mi recai all’appuntamento. Presi un taxi che mi lasciò proprio sotto la scritta indicatami : “Santam Gebou” (non ho mai saputo che cos’era e che significava). Sotto c’era una bella ragazza Africana, vestita con una gonna blù scuro e la giacca come da istruzioni. Mi avvicinai e la chiamai :”Sandra ?“. Annui dicendo : ?. Si incamminò facendomi cenno di seguirla. Entrò dentro dei giardini pubblici e si accomodò su una panchina. Sedetti anch’io. Credevo che tutte queste precauzioni, alla fine, facessero apparire sospetto anche quello che sospetto non è. Invece, capii dopo che, in Sud Africa, essere presi assieme, un bianco ed una “nera”, era punito con sei mesi di reclusione. Una vera barbarie. Non avrei creduto possibile una cosa simile se non l’avessi vista con i miei occhi. Nei gabinetti pubblici c’era scritto :”for White only“. Nei locali per “neri” i bianchi non potevano entrare. Naturalmente me ne fregavo di tutti questi divieti, erano violazioni dei Diritti Umani per me e, per sua fortuna, nessun poliziotto razzista ebbe mai a importunarmi durante la mia sosta lì.

(Sandra)

Nei locali per “neri”, dove andavo ogni volta che potevo, c’erano molti ragazzi bianchi. Si sentiva dell’ottima musica e si stava in compagnie multietniche, come piaceva a me. All’ingresso, con Sandra, agli sguardi sorpresi dicevo sempre : I’m not white, i’m discoloured in washing machine ! . Finiva a ridere e mi facevano entrare a sentire un pò di James Brown, di Funky e di Disco-music come si deve !. In quelli del “for White only” c’erano solo bianchi ed anche la musica “nera” non poteva entrare, immaginatevi che pizza !. Scoprii anche che Nelson Mandela era un eroe per tutti gli abrogazionisti delle leggi razziali e che era chiuso in carcere, condannato all’ergastolo, da una decina d’anni, perché non voleva cedere ai razzisti. Un vero Gladiatore – pensavo. Comunque, ero in missione e non me l’ ero scordato, Sandra mi accompagnava ovunque e, oltre ad aver saputo che Stefano si trovava a Port Elisabeth, riuscii anche ad organizzare un incontro. La nave era diretta a Durban, una città sulla costa orientale, nell’oceano Indiano. Da lì già sapevamo che il prossimo scalo sarebbe stato East London e poi Port Elisabeth. Io dovevo seguire la nave, Sandra avrebbe contattato Stefano, per lei sarebbe stato più semplice e, per lui, meno rischioso. Si sarebbe fatta viva al mio arrivo a port Elisabeth.

Arrivammo a Durban (… senza avarie) e ci restammo alcuni giorni. Una bellissima città, visitai l’acquario, una meraviglia unica per quei tempi. Un lungomare stile “America da cartolina”. Ma, una sera, divertendoci un pò in un parco giochi sul lungo mare, vidi dei bambini “neri” fuori, aggrappati alla rete, che guardavano tristi, tristi l’autoscontro. Era “for White only!” Me ne andai e non ci misi più piede.

(Bambini al Luna Park di Durban, 1977)

Il Sud Africa era un paese che violava i Diritti Umani e, cosa ancora più grave, aveva ufficializzato le violazioni con le leggi razziali. Proprio come fecero Hitler e Mussolini. Ma perché nessuno gli dichiarava guerra ?.

A East London ci fermammo un giorno. Arrivammo a Port Elisabeth ai primi di Luglio. Sandra era salita a bordo insieme a delle ragazze che si prostituivano, un buon modo di non destare sospetti, ma dovetti fare quasi a pugni con un marinaio che le aveva messo gli occhi addosso (… l’aveva vista prima lui !). In cabina mi riferì di aver incontrato Stefano Biko (così si chiamava) e di avergli detto tutto. Ma lui non credeva affatto di essere in pericolo di vita. Lo avevano arrestato altre volte e lo avevano dovuto rilasciare. Non gli dava motivi per trattenerlo, inoltre, in questo momento, non poteva lasciare il Sud Africa, stavano organizzando delle manifestazioni e la sua presenza era indispensabile. Ci restai di sasso. -” Lo vogliono uccidere … glielo hai detto questo ?“- dissi. Yes, certain. – disse Sandra – Comunque vuole parlare con te, mi ha dato un appuntamento. E’ per stanotte, puoi sempre tentare di convincerlo tu. Si, ci proverò, la cuccetta è pronta, è tutto pronto, manca solo lui – risposi.

Restammo in cabina fino all’ora dell’appuntamento. Uscimmo dal porto passando davanti alla guardiola separatamente, ma il guardiano dormicchiava. Al ritorno, eventualmente Stefano si fosse deciso, avrebbe russato come un orso. Attraversammo un ponte sotto una specie di cavalcavia ed entrammo in un vicolo tra due palazzi. Uno era in costruzione. Incontrammo quello che credevo un bambino di circa 10 anni, invece ne aveva trenta, era di una etnia che restava piccolina (mi disse quale, ma non mi ricordo), era simpatico : ho 33 anni e due figli – mi disse ridendo. Era lì per noi, al nostro arrivo, doveva andare ad avvertire Stefano. Sparì e, nell’attesa, guardai nella strada illuminata. Era una via commerciale, piena di negozi e di vetrine illuminate. Vedevo alcuni manichini in smoking e qualche gioielleria, oltre al fatto che era deserta. Il “bambino” ritornò accompagnando due persone. Una la riconobbi subito, era l’uomo delle fotografie. Stemmo nell’ombra del vicolo, avevano paura della polizia, ma così potei vedere solo gli occhi ed i denti bianchissimi di chi mi parlava. Sandra mi aiutò a farmi capire al meglio, il mio Inglese non era perfetto. Ma alla fine sono certo che capì che non scherzavo affatto. “So che i Russi, nonostante le apparenze ufficiali di facciata, trafficano con il Sud Africa dell’apartheid, anche attraverso il Mozambico, per questo vorrei allontanare il nostro movimento da loro. Ma non credo che arriveranno ad uccidermi, non gli conviene” – disse. Risposi che le nostre informazioni erano sicure e che, vivo e libero, in Europa o altrove, avrebbe potuto fare di più per la sua causa che non morto qui. Sorrise dicendo : “I don’t know my friend“. Mi diede la mano e mi disse di ringraziare chi mi aveva mandato e per l’interesse mostrato alla loro causa, ma che non poteva lasciare il Sud Africa. “Vi chiedo di parlare di noi e di far conoscere le nostre condizioni di vita e la violazione sistematica dei Diritti Umani qui in Sud Africa. – disse, aggiungendo – Come Nazione, potreste sollevare un incidente all’O.N.U per l’ingiusta detenzione a cui viene costretto il nostro Leader Nelson Mandela“. Avevo capito che non serviva insistere, aveva scelto e già deciso. “Lo farò !. Per ciò che ho visto, la vostra causa è anche la mia, questi sono dei veri Tiranni!”– dissi salutando a mia volta anche il suo amico. Se ne andò passando dal vicolo buio, ma non abbastanza da nascondere che aveva un fisico forte come il carattere ed il coraggio che mostrava. Passammo il resto della notte con Sandra in una discoteca “segreta” dove ci aveva guidato il “bambino”. L’indomani dovevo ripartire, mi aspettava una nuova traversata di “tutto riposo”, verso l’Europa. Nel viaggio di ritorno andò tutto “quasi” bene (ma, il “quasi”, è una storia troppo lunga !). Telefonai al numero 1 da “El Aayoun” nel Sahara occidentale a fine Settembre. Riferii tutto in breve, la linea cadeva continuamente. Mi disse poche parole : “Stefano è stato arrestato a Port Elisabeth (lui mi disse il 23 Luglio), da poco ho ricevuto notizia che è stato ucciso mentre tentava la fuga, … questa è la versione ufficiale !“. “Non è stata colpa mia – dissi – non ha voluto salvarsi, non potevo obbligarlo!”. “Lo so!” – rispose. Ed è tutto quello che so dell’operazione Stefano. Riuscii a rientrare in Italia, al fine, il 15 Dicembre 1977, … una bella fortuna !. Fui libero fino al 6 Marzo 1978, dovetti imbarcare sul “Jumbo EMME” diretto in Libano, a Beirut, ma la missione si chiamò: Operazione Alexandria.

Operazione Alexandria. Portai di nuovo documenti riservati ai nostri agenti laggiù, ma poi dovevo entrare a far parte dell’equipaggio di una nave traghetto di linea con Alexandria d’Egitto, per questo quel nome. Cercai la profumeria del ’75, ma non c’era più … nel senso che non c’era più il palazzo.

(Il terzo occhio della Medusa)

Anzi, non c’era più l’intero quartiere e stava per non esserci più nemmeno la Città, ridotta ad un cumulo di rovine. Avevo sentito che si continuava a combattere dal ferragosto del ’75, ma non credevo che fossero arrivati a questo punto. Io, in ogni caso, nonostante la tregua dichiarata, sentivo raffiche di mitra di quando in quando. Il mio compito consisteva nel fare abbandonare la Città a persone che venivano accompagnate a bordo e che era pericoloso portare all’aeroporto. Le sbarcavo nel primo porto toccato dal traghetto, esterno al Libano : Tartus in Siria, Tarsus o Mersina in Anatolia (Turchia), Damietta sul Nilo ed Alexandria in Egitto. Di tutta quella operazione, di noiosa “routine” per me, ricordo solo il nostro contatto ad Alexandria che, una sera che lo aspettavo davanti all’ingresso del porto, disse nel suo stentatissimo linguaggio : Andreotti Kaput , Andreotti Kaput !- meravigliandosi molto che io non riuscissi a capire quel che voleva dire. Alla fine capii quel che voleva dire: “il Governo Andreotti era caduto poche ore prima !”. Al che risposi col classico gesto universale che sta per :”chi se ne frega ? !”. Doveva accompagnarmi da Mariouth, il negoziante che riceveva i documenti riservati provenienti da Beirut e, nei vicoli della Città vecchia, nel retro bottega di una fumeria dove il nostro contatto si ostinava a darmi appuntamento. Una volta mi convinse anche a fumare il narghilè : un inserviente ci fece sedere tra i cuscini, arrivò un altro con la pipa ad acqua, mise qualcosa che aveva puzza di vino, sembrava mosto (! ?) sulla pipa. Sopra questo appoggiò un pezzo di hashish, (dopo averlo reso piatto masticandolo tra gli incisivi). Poi prese della carbonella accesa e ce la mise sopra, passandomi la canna della pipa che dovevo aspirare. Lo feci e sentii l’acqua gorgogliare … sempre più forte, fino a che non mi sembro una musica. Mi sentii proprio bene, ma, dopo un pò, cominciai ad avere “paranoia”, guardavo tutti con sospetto … mi sembrava di essere in pericolo !, non ripetei quell’esperienza. In Africa provai la marijuana, era un medicinale naturale: calmava i dolori delle ferite, calmava i morsi della fame, faceva sentire di meno il caldo e faceva ridere !. Inoltre, masticata, sembrava di avere pranzato … forse conteneva vitamine buone, chissà ?.

(Mariouth)

Comunque a me, di Andreotti o di qualsiasi altro governo, non me ne importava niente e, se non me ne parlava lui, non ne avrei sospettato mai nemmeno l’esistenza!. Ma lui insistette a cercare di farmi capire che la missione era saltata, pare a causa della caduta del governo Andreotti … boh ! ?.

Continuai quei viaggi in attesa di ordini che non arrivarono. Mi ero deciso a sbarcare quando, un ordine dell’Armatore, ci spedì tutti in Nigeria, Golfo di Guinea. E ti pareva che filasse tutto liscio ! … in Nigeria … sul fiume Niger, in mezzo ai coccodrilli, a sbarcare furgoncini della Peugeot. Di nuovo un caldo infernale, su navi senza aria condizionata (almeno in cabina, per riuscire a dormire). Ero furioso, ma non potei farci niente. Riuscii a rimpatriare e sbarcare a La Spezia il 3 Ottobre 1978. E questo è tutto quello che so dell’operazione Alexandria.

Fui inviato in diverse occasioni in U.R.S.S. Con la mia qualifica di Marittimo potevo entrare in qualsiasi paese, anche non riconosciuto dall’Italia, senza destare sospetti e controlli particolari. Sarebbe solo noioso raccontare del finto sbarco a Vladivostok in Siberia, poco prima del disgelo ’79 (primavera), e della traversata dell’U.R.S.S. con la Transiberiana, di questo marittimo che aveva perso la nave e doveva raggiungerla a Leningrado, sul Baltico. E così fu chiamata in codice quella missione : Operazione Leningrado

Operazione Leningrado : (Il Disgelo)

Con la mia qualifica di Marittimo potevo entrare in qualsiasi paese, anche non riconosciuto dall’Italia, senza destare sospetti e controlli particolari. Sarebbe solo noioso raccontare del finto sbarco a Vladivostok in Siberia, poco prima del disgelo ’79 (primavera), e della traversata dell’U.R.S.S. con la Transiberiana, di questo marittimo che aveva perso la nave e doveva raggiungerla a Leningrado, sul Baltico. E così fu chiamata in codice quella missione : operazione Leningrado. Una storia incredibile vero ?, ma proprio per questo fu creduta … e poi, perché non crederla ?. Non scendevo mai dal treno, ad ogni stazione saliva a bordo la polizia, mi perquisiva accuratamente, mi controllava i documenti e gli mostravo la giustificazione del viaggio verso Leningrado scritta in Russo (apparentemente) dalla stazione di polizia portuale di Vladivostok che dichiarava in cirillico: “il qui presente marittimo, imbarcato sulla baleniera Norvegese T/n Tromsk diretta a Leningrado, ubriacatosi in compagnia, ha perso la nave e deve raggiungerla in treno. Si rilascia la presente dichiarazione perché il marittimo non parla Russo”. Chiudevano tutti il foglio commentando e ridendo in Russo.

Feci 9.000 Km di treno, quindici giorni, fino a Mosca, senza scendere a terra. Nelle stazioni di Ussurijsk, Habarovka, Cita, Ulan-Ude (ad Ulan ricevetti carte provenienti da Ulan-Bator “Mongolia”), Irkutsk, Novosibirsk, Omsk ed Ekaterinenburg venivano a bordo i nostri contatti, ed appena soli trovavano il modo di pronunciare “in Italiano” chi la terza, chi la sesta, chi “l’animaccia loro !”, del mio codice.

(Lupi Siberiani ’79)

Mi consegnavano mappe ed altri scritti in cirillico, sicuramente codici. Io le incollavo (rivoltate) con vinavil, sulle pareti interne della cassetta di legno (a mò di vecchia tappezzeria) contenente l’attrezzatura da marittimo di baleniera :”vecchia incerata, cappello para-acqua, stivali, ganci, arpioni personali, ami, mutande e calze sporche, fornello a gas e … la mia moka con caffè Italiano e zucchero”. Non so cosa riguardassero quelle mappe ma, sicuramente, postazioni militari. Vi chiedete come mai non usammo i microfilm ?… roba che va bene per i film di 007 !. Quelli si che facevano la bella vita ! …Grand-Hotels, caviale del Volga, Champagne. Ma chi gli dava ai Kulaki, ed ai cacciatori di pellicce che venivano a bordo del treno e sembravano orsi polari, le micro camere ! ? e poi, non siete mai stati perquisiti fin dentro i tacchi delle scarpe se pensate così. I Russi non scherzavano mai. La cassetta la svuotavano, smontavano perfino la mia moka, il fornello, frugavano nel caffè, ma la “tappezzeria” mezza stracciata e sporca della cassetta … non li ha mai insospettiti !. So per certo che le mappe che mi consegnarono a Mosca, prima di riprendere il treno per Leningrado, riguardavano un grande rifugio Atomico in costruzione sotto la Città. Qualcosa di enorme, gallerie per chilometri, una vera città sotterranea .. ! ?. I nostri contatti a Mosca mi dissero di informare il nostro comando che i Sovietici si stavano preparando ad un olocausto Nucleare. Ma, vista la mancanza di tempo a nostra disposizione per spiegarmi bene tutto, mi confermarono che, comunque, era tutto scritto nei fogli che mi consegnarono e che finirono incollati sul fondo e sui fianchi della cassetta. I Moscoviti mi consegnarono anche dei negativi (erano meglio organizzati dei Siberiani) e li misi con il resto, sotto le mappe. Finì tutto incollato dentro la cassetta, al sicuro. A Mosca sparì tutta la documentazione Siberiana e partii in treno (…ancora ! ?) per Leningrado dove imbarcai sul traghetto Finlandese che mi aspettava in banchina (non aspettava me, i nostri mezzi erano scarsi !, aspettava i passeggeri per Turku in Finlandia). Prima, però, mi feci accompagnare in Piazza Dzerdzinsky a Mosca, dove c’era la sede del K.G.B. “il nemico”, per una soddisfazione personale! Mi sorprese, restandomi impresso nella memoria, vedere che tutte le finestre di quell’enorme Palazzo Imperiale Russo erano “vezzosamente” adornate … con tendine ricamate!? – …Cos’è uno scherzo?– pensai e dissi ai Russi, non sapendo se dovevo ridere. – Niet “scherzo” Italiano, tutto là dentro è adornato di pizzi bianchi ricamati, poltrone dove si poggia la testa ed i braccioli, anche le scrivanie davanti alle quali si interrogano i “sospetti” … tutto è bianco e ricamato … come per “funerale!”- mi dissero i Moscoviti. Mi venne un brivido di freddo … eppure a Mosca era già Primavera. – Andiamo, è molto pericoloso sostare quì. – conclusero i Russi ed io, senza indugiare oltre, li seguii. A Leningrado, il Traghetto, Salpava la sera ed io, approfittai di un taxista che parlava un pò di Italiano, per farmi un “giro turistico” della città … davvero splendida, una Venezia del Nord! Per pochi rubli mi portò tra ponti Imperiali sulla Neva, il fiume di Leningrado, e le piazze più belle e maestose. Viali incredibili che lì chiamavano “prospettive“. Non ricordo i nomi di tutto ciò che vidi … con troppa fretta purtroppo! Ma, non potrei mai dimenticare quelle meraviglie … vidi le cupole d’oro di Palazzo Puskin, la Prospettiva “non so cosa”, la più bella di Leningrado secondo il Taxista, l’Ermitage (solo l’esterno), il Palazzo dell’Ammiragliato, il Palazzo d’inverno, della Cattedrale e della fortezza dei S.S Pietro e Paolo … una vera meraviglia! Una Città che, come Venezia, era sorta su centinaia di canali ed Isole, in una Laguna del Baltico. Andate a visitarla Voi che potete, ora si chiama di nuovo San Pietroburgo e ne vale la pena!. Anche a me piacerebbe, ma sono stato Loro nemico, forse, per me, non sarebbe prudente andarci. Anche se, ormai, chi lo sa più chi è l’amico e chi il nemico?… ed io, ho ancora amici?! e… dove?. I miei documenti (consegnatimi a Mosca) erano in regola : Ero un marittimo Italiano che doveva imbarcare su una nave in arrivo a Leningrado e che aveva cambiato destinazione mentre ero già in viaggio per raggiungerla (… il marittimo di Vladivostok ? che ne so !, io non ci sono mai stato a Vladivostok … Dov’è ? !). Da Turku raggiunsi Stoccolma e, via aereo, Roma.

Raggiunsi il Ministero in via XX Settembre, 8 una traversa di via Nazionale, poche centinaia di metri a sinistra della stazione Termini. Consegnai la cassetta all’Ufficio X° e fui libero. Dall’arrivo a Vladivostok, al rientro a Roma, era passato circa un mese, quasi tutto passato “oltre la Cortina di ferro” come la chiamavamo allora. Forse fui l’unico Italiano a potersi vantare, (…solo tra noi, ed ora … solo con me stesso!) e negli anni della guerra fredda, di aver navigato nel mare di Ohotska, traversato lo stretto dei Tartari sul delta dell’Amur, le grandi foreste Siberiane, costeggiato il lago di Bajkal, ammirato la luna di ghiaccio sulla steppa Siberiana e quei gelidi giorni senza notte, passato gli Urali, Mosca, Leningrado e … tutto questo, da Gladiatore del S.I.D, militare di Stay-Behind – N.A.T.O-Italia, in missione operativa !. Almeno … così sapevo io, che ancora ignoravo di essere solo un “allucinazione !”.  A proposito, vi hanno mai detto i giornali che leggete che Stay-behind significa : stare dietro le linee ?. Più “Stay Behind” di così ! ? … vi pare ?E questo è tutto quello che so dell’operazione Leningrado.

(Okhotska)

Ragazzi … che pena i Russi, in quel gelo, anche i soldati mi facevano pena. A volte, lungo la ferrovia, si vedevano stazioni militari e stavano lì, in piedi … come fantasmi semi sepolti dalla neve. Dovunque vedevo ritratti del Dittatore di turno Leonid Ilic Breznev  … ovviamente coperto di medaglie. Che guerre avesse mai combattuto mi è rimasto un mistero, visto che era entrato da chierichetto nel partito Comunista Sovietico e che, quindi, come politico, difficilmente può aver imbracciato qualcosa di diverso da penna e forchetta (se si esclude la sua partecipazione da politico alla repressione della Cecoslovacchia nel ’68). Ma, le medaglie, sono un vezzo di tutti gli “eroici” Dittatori, non solo di quelli Comunisti !. E che squallore le Città, quei viali deserti, a volte magnifici ma, proprio per questo, più desolanti! che miseria … una miseria incredibile, senza fine. Eppure era una super potenza, aveva petrolio, metalli preziosi, andavano nello spazio, come spiegarsi questo degrado ?. La gente, invece, era simpatica. Ogni tanto, nelle stazioni, saliva qualcuno che non era la polizia o soldati, … scherzavano con me, specie le ragazze … a volte bellissime! Ridevamo assieme di noi, solo guardandoci a vicenda.

(Colomba Siberiana)

Erano gente alla buona, cacciatori di pellicce o boscaioli, a volte con famiglia al seguito. Mi offrivano sempre qualcosa da mangiare, cose semplici e buone. Capii perché si chiama insalata Russa quel cibo freddo che c’è anche da noi . Tutto, dalle carni alle verdure, era conservato in gelatina e salse buonissime. Ricordo una specie di “stufatino da viaggio” di miglio e semolino : lo chiamavano Kasa, e polpettine di ricotta e panna acida. Lungo la ferrovia potevo comprare, nei mercatini che si formavano sotto il treno in sosta, il “saslyk” : spiedini di montone cotti alla brace ; il besbarmuk : pezzi di carne di montone con pasta scotta ed immersi in una salsa piccante a base di cipolle (io ci aggiungevo dello yogurt acido… c’era da leccarsi i baffi !) e poi yogurt e panne acidule di tutti i tipi … la mia passione !. Ricordo anche una bevanda rinfrescante a base di cereali fermentati, la chiamavano “kvas“… con una punta di yogurt mi portava a leccarmi anche le orecchie ! Poi, naturalmente, Vodka a fiumi, ma non mi ubriacai mai : il freddo era troppo e l’alcool fungeva da riscaldamento interno. Là, anche la luna sembrava dire : … ho freddo ! Ricambiavo offrendo il caffè Italiano a tutti, che era gradito, ma preferivano il loro tè. Lo facevano alla maniera Uzbeka : mettevano le foglie fresche in una teiera fino quasi a colmarla e poi ci mettevano l’acqua bollente dentro, ripassandola più volte. Era buono perché era caldo, ma era troppo forte per me, mi legava la bocca … come il tè che facevano i Libici … in un altro mondo ! Anche i miei contatti, quando mi salutavano, dicevano qualcosa di incomprensibile e mi lasciavano pane e yogurt per il viaggio. Scendevano lontani dalle stazioni. In alcuni tratti, spesso a causa della neve, a volte solo perché i Macchinisti avevano bevuto troppa Vodka (…dicevano !), il convoglio procedeva così lentamente che salire e scendere era agevole e tutti lo facevano quando non c’era neve troppo alta. Correvamo appesi di fianco al treno come esquimesi dietro ai cani da slitta, ci sgranchivamo così le gambe e riattivavamo la circolazione. Per due volte ci siamo “sgranchiti” spalando cumuli di neve ammassata dalla tormenta sui binari e troppo alti per permettere al treno di passare, … fortuna che eravamo già nella stagione del disgelo, un pò ritardata quell’anno! Capii che anche sulla Transiberiana c’erano treni moderni con sedili comodi e riscaldamento efficente, ma il convoglio sul quale viaggiavo era vecchio, un residuato della “Rivoluzione e della penetrazione Siberiana”, con panche in legno ed un riscaldamento che sembrava non ci fosse… la mia solita fortuna ! ?. Il pane che mi davano i contatti era integrale e senza sale, ma lo mangiavo volentieri, era buono lo stesso. Le prime vittime del regime comunista (inteso come dittatura) secondo me, erano loro … poi i soldati !. L’estate del 1979 la passai a casa, in vacanza al mare, sotto il nostro soleNe avevo proprio bisogno !. Il 20 Settembre 1979 fui convocato a Roma e da lì inviato ad Istanbul, sullo stretto dei Dardanelli, là imbarcai sulla M/n Mare Tranquillo diretta in Romania, a Costanza, sul mar Nero. Di nuovo oltrecortina.

Settembre 1979 : Operazione Costanza. Fui inviato a Batumi in Georgia ed a Costanza in Romania, risalii il Danubio fino a Galati. Filo spinato e torrette a perdita d’occhio, per giorni e giorni, … in tutta la mia vita non vidi mai tanto filo spinato come in quei pochi giorni. Si trattava di portare fuori dall’U.R.S.S. perseguitati politici, almeno così mi fu detto. Andavamo a prenderli, con i nostri contatti, lungo il Danubio, sulla riva orientale … il confine dell’URSS. Era là che correva tutto quel filo spinato, sembrava davvero che l’intero popolo Russo fosse rinchiuso in un enorme campo di concentramento. Era molto pericoloso, il Conducator manteneva il coprifuoco, come in tempo di guerra. Dopo le nove di sera io, come straniero, non potevo più circolare per strada, dovevo rientrare a bordo, per i Romeni credo che fosse spostato più in là … le undici o mezzanotte. Dovevamo uscire dalla città nel pomeriggio e raggiungere il confine nel punto conosciuto ai nostri contatti in Romania. Fortuna che era tutto coperto di alberi che ci permettevano di stare al riparo fino a che non faceva buio. A quel punto dovevamo attendere il segnale : tre lampeggi di una torcia elettrica a cui dovevamo rispondere con lo stesso numero di lampi. Significava che la via era libera ed andavamo verso il filo spinato. Le armi le trovavamo al nostro arrivo, nascoste tra gli alberi, e le lasciavamo là al rientro. Erano AK 47 di fabbricazione Sovietica. Dovevamo attraversare il confine Russo passando sotto il filo spinato ed era molto pericoloso, se ci intercettavano le pattuglie Russe al di là, o quelle Romene al di qua, intendevamo vender cara la pelle, non certo farci prendere vivi !. Passati al di là della Cortina di ferro “spinato” (scommetto che neanche questo avete mai letto sui giornali : il perché la chiamavamo “cortina di ferro” … non è così ?), ci guidavano i nostri contatti Ucraini (anche l’Ucraina aveva i suoi “Gladiatori”, ribelli che desideravano la Democrazia e la Libertà !). La nave era ferma a Galati, sul Danubio, caricava il carbone (50.000 tonnellate di carbone, avevamo tempo), prima dell’alba, però, dovevamo essere a bordo.Dovevamo prendere i ricercatidalla polizia politica, a volte scienziati … credo, lo capivo dall’aspetto, non dovevo chiedere niente, non sapevo chi erano e loro non sapevano chi ero io, se qualcosa andava male … nessuno di noi era mai esistito !. Li trovavamo, “pronti a muovere”, nei cascinali delle campagne tra il confine e Kiliya, in Ucraina, li nascondevano i contadini in attesa di un passaggio a Occidente. La mia Missione era quella di nasconderli a bordo e proteggerli fino allo sbarco, il più delle volte ad Istanbul e Atene (pochi giorni di viaggio), dove qualcuno veniva a prenderli, recitava la Password e tutto è sempre filato via liscio. Una volta, l’intera nave fu sottoposta ad ispezione di polizia. Ce la vedemmo davvero brutta, in cabina avevo la coppia di profughi imbarcati a Costanza. Non ebbi il tempo di nasconderli altrove che nell’armadietto. Nella mia cabina entrò un poliziotto ed iniziò la perquisizione dalla scrivania. Vide i miei attrezzi da ginnastica : sbarra a molla, manubri, pinze, pesi e … si interessò a quelli, era uno sportivo ed iniziò a scherzare in Romeno. Capivo che diceva di essere un lottatore e mi sfidava. Gli feci capire che sarebbe stato troppo facile per me, lo guardavo e ridevo. In Romania sono molto tifosi per la lotta, si levò la giacca, voleva proprio lottare. Tirai fuori due bottiglie di Whisky e tre stecche di Marlboro da sotto la cuccetta (proibitissime in Romania). “Contrabbando !“- disse. Gli feci capire che ero disposto a lottare con lui, visto che insisteva, ma, se perdeva, mi lasciava il Whisky e le sigarette e se ne andava, se vinceva se le prendeva senza fare rapporto ai suoi. Accettò ed iniziammo a lottare. Era bravo, conosceva la lotta Greco-Romana, ma non era allenato. Potevo batterlo facilmente, solo che avevo deciso di farlo faticare un pò … per poi farlo vincere e farlo andare via contento (dentro l’armadio si respirava male !). Ma il Romeno non si accontentava di vincere, voleva farmi male, mi stava torcendo il braccio ed è stato più forte di me rovesciarmi, afferrarlo al collo e buttarlo a terra torcendoglielo. Batteva il palmo della mano a terra per dichiararsi sconfitto … Sicuramente era un appassionato, conosceva questi segnali. Si alzò borbottando in Romeno, ma mi diede la mano … uno sportivo. Gli diedi una bottiglia e una stecca di sigarette, ma dovetti insistere molto per fargliela prendere. Eppure da loro, al mercato nero, valevano quanto il suo stipendio di un mese. Era un simpaticone e se ne andò ridendo e bofonchiando nella sua strana lingua … con il contrabbando sotto la giacca. I clandestini erano terrorizzati, ma li tranquillizzai e non ci furono più problemi fino all’arrivo, sbarcarono sullo stretto dei Dardanelli. Vennero a prenderli sotto bordo con una lancia non so chi, da non so dove !. La mia Missione era quella di nasconderli a bordo e proteggerli fino allo sbarco, il più delle volte ad Istanbul e Atene (pochi giorni di viaggio), dove qualcuno veniva a prenderli, recitava la Password e tutto è sempre filato via liscio. Fui anche fermato e perquisito, sia dai Russi che dai Romeni del Conducator Ceausescu, ma recitavo bene la parte del Marinaio ubriaco e tutto finiva a ridere. Quando andava male, tutt’al più, mi ritrovavo costretto a bere quel loro brucia-budella che chiamano Vodka. L’equipaggio non si accorse mai di nulla, a parte un Allievo Macchinista che scendeva a terra con me. Non me ne potei liberare nemmeno quella volta che, a Costanza, in Romania, dovevo raggiungere il nostro contatto in una piazza centrale nei pressi dei giardini pubblici. Era una bella biondina Romena e così non si insospettì del fatto che, pur essendo appena arrivati, io fossi atteso!, poteva pensare che c’ero già stato.

(Una Colomba …!?)

Venne con noi all’Hotel Internazionale, dove bevemmo vino Romeno e chiaccherammo tutta la sera in attesa che, “qualcuno” ci informasse che la persona da imbarcare e far espatriare fosse pronta. Lo fece un cameriere in smoking, versandoci dell’altro vino rosso … veramente buono il vino Romeno !. Andammo, quindi, in taxi a prenderli. Erano in una casetta in periferia, un agglomerato di case popolari che più popolari non si può. Si trattava di marito e moglie, non so perché il comando era interessato a farli fuggire dall’Est Europeo, non parlavano altro che Romeno e Russo ed in ogni caso … non era affar mio !. La biondina (non me ne ricordo il nome perché tanto era falso) parlava benissimo Italiano, tanto che pensai che fosse una “Colomba”. Cercai di interrogarla in merito … tra una risata e l’altra, ma si tradì come Romena, improvvisamente, con un accento non Italiano in una frase che non fece in tempo a correggere. Riusciva a imitare un accento del Nord Italia, non saprei quale … io sono del Sud. Se l’Allievo Macchinista capì qualcosa, però, non mi fece mai domande, si limitò a chiedermi di insegnargli qualche colpo di savate durante i turni di guardia in sala macchine, dopo che mi scoprì allenarmi, in navigazione, dietro il locale depuratori … e lo feci. In navigazione la vita è noiosa ed il tempo non manca. Non so se, poi, abbia fatto pratica per imparare bene, sbarcai a Venezia e non lo rividi più. Fui impiegato così fino a tutto il 1979. Andai anche in centro America, in Guatemala, in Venezuela, a Panama, in Florida … etc. ma solo perchè il mercantile dove ero imbarcato riceveva l’ordine di andarci per carico merci. In Guatemala, a Puerto Bàrrios, incontrai un gruppo di Legionari Francesi (ex) che avevo conosciuto in Africa ai tempi della Primavera dei Garofani. Erano diretti a Ciudad de Guatemala ; erano stati arruolati come specialisti della guerriglia, andavano in Nicaragua. Pagati molto bene, mi proposero di arruolarmi con loro. C’era da simulare attacchi, da parte di guerriglieri filo Sovietici, per “Traire le lait a la Vache Americain” (Trad.: mungere la vacca Americana). Spiegandosi meglio mi fecero capire che, in realtà, i Guerriglieri filo-Sovietici sarebbero stati Loro … avrebbero dovuto divertirsi un pò ad attaccare qualche caserma dell’esercito e qualcos’altro di ecclatante, tanto per smuovere un pò le acque. “La Guérilla, aux Antilles e là-bas (indicando l’interno), ronflé a la grande, il est notre devoir de faire les choses comme il faut … et tirer tous de son apathie!” (Trad.: La guerriglia nelle Antille e laggiù, russa alla grande, è nostro dovere di fare le cose come si deve e risvegliare tutti dalla Loro apatia!). Jean era picchiatello e disse tutto questo ridendo,… ma non era una “boutade” per ridere! Non potei dirgli perché, ma gli dissi che non mi interessava fare il mercenario. Ora ero un “Marinero mercante!”. Risero facendomi l’occhietto, non sapevano perché, ma erano sicuri che mentivo, che non ero quel che dicevo di essere ! (già, noi eravamo condannati a non essere mai quel che dicevamo di essere). Passammo insieme un paio di giorni a fare “fiesta” mettendo a soqquadro Puerto Bàrrios. La periferia di Puerto Barrios era identica a tutte le periferie delle città in quella parte di mondo, un unico sterminato Slum. In posti come quelli, la gente cerca di sopravvivere come può. baracche per case, bambini mezzi nudi che corrono di quà e di là, cani che frugano tra i rifiuti, odore di fogna a cielo aperto e dappertutto spazzatura che marcisce fino al muro verde e improvviso di vegetazione: La Jungla che appena subito oltre la periferia dell’ultima barracca si riappropria della sua terra. Il posto ideale per incontrare dei pazzi come loro. Erano completamente svitati, ma anche dei veri amici! poi partimmo : Loro per il loro destino ed io per il mio e non li vidi mai più.

Operazione Speranza. Nel 1980, andai in Nigeria ed Angola.L’Angola era ridotto male, era alla fame … della serie: “il Socialismo non è una mercanzia che si compra al mercato!” per citare una delle frasi ad effetto care ad Agostinho Neto.

(Forse …è solo un sogno!)

Ma già … era anche Lui un poeta come Andreade e Senghor, grandi Uomini, ma l’economia e lo sviluppo economico non si intendono di poesia !. Chiedevano gli aiuti alimentari ed io ero imbarcato su quel mercantile, M/n Amanda della Medafrica Line, che doveva portare migliaia di tonnellate di grano a Luanda. Davano la colpa all’Imperialismo Americano ed al Capitalismo Occidentale, come sempre fanno i regimi Comunisti, per giustificare i disastri economici dovuti alla loro incapacità ed alle loro idee strampalate. A Maggio 1980, si sarebbero dovuti imbarcare sull’Amanda, come passeggeri, alcuni politici tra cui Emma Bonino del partito Radicale Italiano. Avevano insistito per viaggiare con gli aiuti, per controllare meglio che arrivassero a destinazione correttamente. Il nostro comando voleva essere certo che non accadessero incidenti, perciò, il 23 Gennaio 1980, fui inviato su quel mercantile e feci due viaggi nel Golfo di Guinea prima di quello che a Maggio avrebbe portato gli aiuti alimentari. In occasione di quel viaggio, la nave si sarebbe chiamata :”la nave della speranza”. E questo fu il nome in codice di quella missione : operazione speranza. Io però, nei pochi giorni che potevo stare a Luanda, non riuscii a rintracciare nessuno. Sicuramente chi non era morto era in prigione, oppure alla macchia, o espatriato chissà dove. Dove prendono il potere questi banditi è sempre così, un copione visto fin troppe volte. Rientrai in Italia e feci rapporto sulla situazione in Angola. Andai a casa per qualche giorno di riposo, era il 20 Maggio 1980 circa. Avrei raggiunto la “nave della speranza”, (dove già erano stati imbarcati gli aiuti alimentari ed i passeggeri) in aereo, dopo una settimana di meritata licenza. Dopo pochi giorni, rientrando a casa a piedi, fui fermato dalla Polizia. Un certo Brigadiere L’aiola mi portò in Questura insieme a due ragazzi che mi avevano chiesto un informazione per uscire dalla Città poichè si erano persi. Avevano pochi grammi di Marijuana con loro, ma pare che, durante la notte, (che passai in una cella di sicurezza), in una chiesa abbandonata del loro paese, Tardara, (che mai avevo sentito nominare!), furono rinvenuti diversi chili di droghe leggere tra Marijuana ed hashish. Costoro, dopo un terzo grado dei Poliziotti …”confessarono!?” di averli acquistati da me!. I poliziotti, specialmente questo Brigadiere L’aiola, mi chiedevano di confessare a mia volta: tanto ormai non potevo fare altro che tentare di avere le attenuanti confessando, dicevano. Naturalmente mi guardai bene dal fare una cosa simile. All’alba, però, in cella di sicurezza, fecero entrare mio Padre che mi disse che avevano perquisito casa nostra ed avevano trovato, dentro un armadietto chiuso a chiave ( ! ?), tre chili di piante di marijuana con fiori, foglie, rami e semi. Dissero che la droga o era la mia o era la sua, oppure di mia madre. Era lì per confessare che era suaNaturalmente, a quel punto, confessai che era mia. Inventai una storia credibile ed andai in carcere. Uscito dall’isolamento di sei mesi, (nel quale ero stato tenuto per convincermi a confessare … chi erano i miei complici ! ?), alcuni compagni di prigionia mi diedero i vecchi articoli che parlavano del mio arresto. Seppi così che “i giornali” diedero la notizia del ritrovamento di circa un chilo di hashish in una chiesa diroccata di un paese e che un altro quantitativo analogo di piante di marijuana era stato rinvenuto a casa dei miei genitori (!?) ; che era esplosa una bomba nella stazione di Bologna e che fece molte vittime. Dai giornali seppi anche che la perizia balistica diceva che era stato usato il Semtex, un esplosivo di produzione Cecoslovacca (un altro modulo Kennedy ! ?); che poco prima era caduto un aereo civile ad Ustica con altre vittime e che, contemporaneamente, un MIG-21 Libico era atterrato nella Sila, in Calabria, ed il pilota sarebbe stato ritrovato morto a bordo (ma queste sono cose lette sulla nostra stampa e “viste le mie esperienze con la stampa”, chissà qual’era la verità !). Sentivo spesso in televisione che era la “strategia della tensione” e che, in qualche modo, c’entrava Gladio (!?). Nessuno teneva in considerazione le minacce del Dittatore Libico all’Italia che, in quel periodo, offriva protezione Militare a Malta, la quale era nelle mire espansionistiche di Gheddafi (eravamo pronti ad intervenire in seguito alle notizie di un imminente sbarco Libico a Malta … alcuni di noi erano già a La Valletta) e, soprattutto, era un ambita e magnifica base Navale nel Mediterraneo per la flotta Sovietica del mar Nero! ; Nè si teneva in nessun conto l’ipotesi che l’aereo abbattuto ad Ustica, il 27 Giugno 1980, poteva essere un macabro avvertimento all’Italia in risposta ai dichiarati intenti di siglare quegli accordi di cooperazione con Malta ; Né fu rilevato che la Strage di Bologna avvenne nello stesso giorno in cui veniva siglato quell’accordo tra Italia e Malta, “nonostante gli avvertimenti ricevuti !” Se poi sia stato effettivamente siglato, vista la mia situazione, non lo potevo sapere. Mi chiedevo il perché di tutto ciò che mi accadeva e che accadeva fuori di lì ma, allora, non seppi darmi una risposta. Rinchiuso in quelle celle mi capitava spesso di pensare: Forse … è solo un sogno! Un anno dopo l’arresto, fui trasferito in una colonia penale. L’avevo chiesto io … per non morire d’inedia in una cella : avrei lavorato i campi ed il tempo sarebbe passato prima. Avrei avuto anche un televisore in cella, insomma … un lusso!. Sapevo guidare i Carri armati, perciò, fui messo alla guida di un cingolato Catterpillar, un aratro da montagna che si pilotava con un sistema di pedali-freno e leve-frizione … esattamente come un Tank. Feci il trattorista, aravo i campi e, finita l’aratura, zappavo, tagliavo la legna e facevo tutti i lavori agricoli di quella colonia penale … il tempo passava prima. Mia madre e mio padre venivano a trovarmi ogni quindici giorni ed erano contenti, non ci eravamo più visti così spesso da quando mi arruolai. Anche lì, però, a volte, mi svegliavo di soprassalto e mi chiedevo: Forse … è solo un sogno! Ma, abituati gli occhi al buio, vedevo la cella e i compagni di prigionia immersi in quello squallore con me: No, non è un sogno! – pensavo – è tutto vero, sono in prigione e … dovrò restarci ancora a lungo! mi prendeva sempre la rabbia in queste occasioni, mi agitavo, imprecavo in silenzio, maledivo chi mi aveva fatto tutto questo … ma a che serviva?. Se è davvero tutto un sogno mi sveglierò prima o poi! … e questo era l’unico pensiero in grado di calmarmi.

Modulo Kennedy.

Fu una sera, guardando il telegiornale, che assistetti all’attentato a Papa Woitila e poi, a tutto quello che ne seguì. Quando gli inquirenti presero Alì Agcà e seguirono la pista Bulgara, credevo che fossero in gamba: Dritti sull’obiettivo … così si fa! – commentai in cella. Era un classico per “Loro“, astuti e potenti, ma assolutamente privi di estro, di fantasia. Ripetevano, come scimmiette ammaestrate, sempre le stesse azioni. Il numero uno diceva che i grandi vecchi della Lubianka, (il palazzo sede del K.G.B, andai a vederlo durante l’operazione Leningrado, … una soddisfazione personale!) se ne andavano, uno ad uno, lasciando dietro di Loro solo mezze tacche e ruffiani di partito, capaci solo di ripetere a “carta carbone” sempre le stesse operazioni, gli stessi complotti riusciti, ma studiati da altri ed in ben altri tempi: “Buon per noi!” – chiudeva sempre. Infatti, a me sembrava di vedere in video quel “classico” che, durante i corsi, gli anziani ci insegnavano a riconoscere chiamandolo “modulo Kennedy” e che era riuscito perfettamente in occasione dell’assassinio del povero Presidente Americano, colpevole tra l’altro e soprattutto, per la Lubianka, di riscuotere troppe simpatie nel mondo, … estremamente dannose per la “Propaganda del Politburo” e prima del “Presidium”.

Kennedy non riconobbe il Vietnam Comunista e la Cina di Mao e appoggiò, invece, Formosa, che oggi si chiama Taiwan.

Kennedy sfidò il Comunismo nella sua politica terzo mondista: aiuti economici ai paesi poveri dell’America Latina ; alleanza per il progresso e il G.A.T.T. che, risollevando l’economia di quei paesi, dovevano creare i presupposti di nuovi rapporti di amicizia con quei popoli e: “prosciugare l’acqua di miseria e degrado in cui nuotano i pesci rossi” – diceva il numero uno. Si impose duramente per sollevare il problema razziale e la condizione degli Afro-Americani ed il pieno rispetto delle leggi, contro la discriminazione razziale, degli Stati Uniti. Voleva sostenere la crescita di sistemi Democratici e non i Dittatori delle Repubbliche delle banane di tutto il terzo mondo.Inoltre, comprese che, sul piano militare, il Terrorismo comunista poteva essere combattuto efficacemente solo con l’impiego di reparti speciali e creò i “Berretti Verdi” (imitando i Gladiatori Italiani). Essi erano Istruttori militari super addestrati in grado di preparare al meglio truppe anti terrorismo e decise di utilizzarli per la difesa del Vietnam del Sud dall’aggressione Comunista (non voleva cadere in trappola inviando la US Army insomma!).

Durante il suo primo mandato ci fu lo sbarco Americano nella Baia dei porci, mirato a rovesciare il regime Castrista e fallito nell’Aprile 1961. Certo, è una questione di opinioni, ma, se fosse riuscito, il popolo Cubano non sarebbe passato dalla Dittatura di Fulgenzio Battista a quella di Fidel Castro, con la miseria che ne seguì. Kennedy avrebbe instaurato un sistema Democratico che avrebbe portato Libertà vera, progresso e benessere al popolo Cubano. Il suo progetto di riforme, quelle che voleva attuare con il suo secondo mandato, fu per la politica interna, parzialmente realizzato da Lindon Jhonson, poi, per la politica estera, da Reagan e portò alla caduta dell’URSS, …solo rimandata con quell’omicidio. Del resto, il buon programma politico dell’abile Presidente Clinton, che tanto successo sta portando all’America in campo economico, è palesemente la prosecuzione dello stesso progetto Kennedyano, di cui Clinton si è sempre dichiarato ammiratore.

Kennedy pilotò con polso fermo e in maniera magistrale la crisi del 1962 tra USA e URSS per i missili Atomici Sovietici fatti installare da Kruscev a Cuba che, grazie a Castro, (ed al suo tradimento della Revolucion Cubana del ’59) era totalmente in mano al Cremlino. Sapete che il blocco navale Americano è dovuto al fatto che il Dittatore Cubano stava trasformando l’isola caraibica in una portaerei atomica, puntata dritta al cuore dell’Occidente Democratico?. Ci pensate se fosse riuscito? ora sareste tutti ridotti come i poveri popoli dell’ex URSS … altro che settimane bianche, Discoteche e problemi di dieta ! ! !. Sapete che, in quegli anni, i Castristi, stavano procedendo ad epurazioni e fucilazioni di massa dei dissidenti che non volevano vendere la rivoluzione Cubana all’Imperialismo degli “amici” di Castro e che, la prima vittima di ciò (ma non l’ultima) fu Cienfuegos Camillo ed un altra Ernesto Guevara detto el Che?. Un altra delle ragioni è nella Nazionalizzazione dei beni di cittadini Americani, residenti a Cuba, che non sono stati risarciti per l’esproprio subito. Ora, io non c’ero, come non c’eravate Voi, ma la Convenzione Internazionale per i Diritti dell’Uomo non permette queste cose. Lo stesso articolo 1 che ho invocato io contro l’Italia, impone agli Stati (tutti gli Stati del mondo) il rispetto e la tutela dei beni dei cittadini.

Anche gli Italiani subirono cose di questo genere da Gheddafi in Libia, e prima ancora dai Titini Yugoslavi in Istria e Dalmazia. Mi chiedo : “E’ stato giusto che l’Italia se ne sia fregata?”; è giusto che ci sia in Italia chi fa affari e tiene rapporti con un Regime che viola i diritti umani che, “di quando in quando”, fa strage di oppositori e che, “continuamente”, minacciava di farci conoscere “il significato della parola terrore!?” (sono parole sue, di Muhammar Gheddafi)”. Non ve lo ricordate più?. Io ci sono stato nella Libia di Gheddafi e vi posso dire che non è il Diavolo!. Il Popolo Arabo della Libia, sta molto meglio e vive con un tenore di vita molto migliore, di qualsiasi altro popolo Arabo della Regione ed io non sono un Tribunale equo ed imparziale che possa fare un processo al Leader Libico. Per me non è Democratico e questo è tutto. Per Lui, come per altri Dittatori, vale la regola che, se ancora non avesse commesso crimini contro l’Umanità … li commetterà. Lo impone il ruolo di Dittatore, è inevitabile! Per altro, invece, mi è dispiaciuto sapere del bombardamento a Tripoli e di tutti quei morti innocenti, ma anche su certi aerei, in una discoteca a Berlino, in una Stazione e chissà dove altro … c’erano morti innocenti. Certi atteggiamenti, se non altro, portano a questo genere di cose e, comunque, quel bombardamento, produsse l’effetto di ridimensionare lo strapotere di Gheddafi in Libia ed in tutto il mondo Arabo. Il Governo effettivo passò nelle mani di un moderato, un altro Colonnello (sic!), Abdessalam Jalloud, “cognato” di Gheddafi (di più non si poteva fare!). Il Governo Libico potrebbe preoccuparsi di investire meglio gli introiti del petrolio per lo sviluppo del paese, la fertilizzazione del Sahara, le scuole … il rispetto dei Diritti Umani. Non sono i soli a violarli, sono in numerosa compagnia, io stesso accuso l’Italia di aver violato i miei, ma se la Libia facesse un passo verso il Diritto, sarebbe un bene per tutti, anche e soprattutto per Loro.

Era troppo amato Kennedy, dai giovani e dai Liberal ! Considerato anche amico del “Papa Buono” Giovanni XXIII°. Inoltre, era restio a cadere nella trappola Vietnam che doveva rendere così tanto agli Nguyèn del Sud come del Nord … les vieux renard!

(Lee H. Oswald)

Un avversario davvero pericoloso per l’URSS di Kruscev e, soprattutto, per il suo ufficio propaganda e per le mire Latino-Americane di Cuba. Non poteva sopravvivere per un altro mandato. Fu assassinato il 22 Novembre 1963 a Dallas in Texas. Il pesce-esca preparato da Loro era pronto. un Loro agente, (Americano, ma indottrinato in URSS), con un passato ricostruito in maniera da risultare sufficientemente ambiguo, ed abbastanza ingenuo da non capire il gioco al quale stava giocando. Soprattutto non doveva capire che, comunque andasse, lui non sarebbe sopravvissuto al Presidente. …Era perfetto!

Kennedy aveva carisma, qualcosa che non si inventa, nè si può falsificare. Era l’unico ostacolo vero al successo della propaganda Sovietica, la quale stava portando le masse giovanili Occidentali a chiedere la Libertà …inneggiando ai Tiranni! ! ! A Dallas, il 22 Novembre 1963, l’ostacolo era stato eliminato …non solo, ma i sospetti di un complotto cadevano sugli stessi Americani ! ! ! Contemporaneamente, in Vietnam, gli Nguyèn, su questo perfettamente d’accordo, deponevano e assassinavano vilmente, con un Golpe, il Presidente Ngò Dinh Diem che, con l’appoggio di Kennedy, stava trovando una soluzione pacifica alla vertenza Vietnamita. Sia Dhiem che Kennedy erano Cattolici Liberali e, proprio per questo, considerati temibili avversari dei soliti folli piani di conquista del mondo dei Tiranni di turno! …davvero questo non vi dice niente?. Ed il fatto che cinque anni dopo (poco prima dell’inizio della campagna propagandistica detta ’68!?) fu eliminato il pericolo, per “Loro”, che un altro Cattolico Liberale Kennedyano venisse eletto e continuasse la politica di Kennedy è stato assassinato (questa volta da un Arabo fanatico Shiran-Shiran …un Palestinese Giordano, se ricordo bene!), …anche questo non vi dice niente?. Non trovate significativo il fatto che l’unica sopravvissuta della famiglia Presidenziale legittimamente al potere nel Vietnam del Sud, Cattolica Liberale anche Lei, la vedova signora Ngò, rifiutando sdegnata l’Asilo Americano, dai quali si sentì tradita! trovò rifugio a Roma, presso la Santa Sede?E’ paradossalmente tipico, in chi complotta, riuscire a far ricadere su altri le proprie nefandezze : I Re dei complotti, che di complotto in complotto si stavano eliminando anche tra di loro ad uno ad uno, …non ne sapevano nulla!!!. Avete mai sentito parlare delle “purghe di Stalin?”, … non sono certo morte con Lui !. Senza contare le deportazioni di massa e le stragi di oppositori che, di quando in quando, venivano a nostra conoscenza : non sempre in U.R.S.S., a volte riuscivano ad eliminare oppositori anche altrove …se facevano “ombra” ai loro amici. Riguardo al centro America poi, chiunque facesse ombra o potesse rappresentare un pericolo per Castro,”Fidelissimo” di Mosca, (ma “non allineato”!?), ebbe “strani incidenti”. Non era lo stesso con l’attentato al papa del 1981?. “Loro” vissero l’elezione di un papa dell’Est, d’oltre cortina, nell’Ottobre 1978, come un atto di guerra, ma non potevano farci nulla. I fatti di Danzica poi, di quegli operai che scioperavano contro il Regime Comunista e pregavano davanti ai cantieri navali con Solidarnosc e tutto ciò che accadde, li convinse di essere in serio pericolo. Gli avvenimenti successivi dimostrarono che non si sbagliavano. Cominciò con l’elezione di quel papa Polacco il declino del loro Impero : l’Impero del male!.

Sapere che era stato arrestato l’attentatore e che i sospetti, per stessa ammissione di Agcà, cadevano sui servizi segreti Bulgari, cioè di Zivkov, Dittatore Comunista della Bulgaria dal 1954 (non si muoveva foglia nell’Est Europeo senza che Lui non voglia …!) e, da sempre, di stretta osservanza alla linea Sovietica, (soprattutto a quella dettata da Stalin), mi fece pensare che, gli inquirenti, erano stati bravi, avevano colto nel segno. Ma, poi, tutto è finito nel guazzabuglio che sapete e il Processo “stabilì” che organizzò tutto Alì Agcà, un pazzo squinternato, … da solo (!?). E Voi ci credete?!

Non ho capito se fa il pazzo perché ha capito che era un pesce-esca perfetto, miracolosamente sfuggito alla padella e che, questo, significava che non doveva sopravvivere alla sua vittima (come da modulo Kennedy). Il cadavere di un Lupo grigio, (organizzazione terroristica di estrema destra Turca), sul piazzale di San Pietro, sarebbe stata una sorta di firma utile, unitamente alle campagne di certa stampa, a far ricadere i sospetti sui “gruppi eversivi di estrema destra” … i soliti della Stampa Italiana : P2, Gladio, Servizi Deviati, Massoneria, CIA etc…. Che interesse avrebbero potuto mai avere le “destre” a spararsi nelle palle non lo si sarebbe capito, ma tutto si sarebbe risolto con un altro degli insoluti “Misteri d’Italia !”… e vissero tutti felici e contenti ;

O fa il pazzo perché qualcosa andò storto ! Agca sbagliò il colpo, (forse non se la sentì o …chissà) ; forse chi era lì per uccidere lui ci ripensò o, più probabilmente, la folla impedì che Agca fosse ucciso ;

Oppure, una volta capito che era stato usato come pesce-esca, e confessando, perciò, quel che sapeva per punire chi lo voleva morto, non fu creduto e cerca, ancora adesso, facendosi credere pazzo, di salvarsi la vita perché teme di essere ucciso … se parla !.

Oppure, ancora ,convincendo tutti di essere pazzo, si accredita come innocuo : è pazzo adesso, era pazzo anche prima e ciò che ha detto, o ha da dire un pazzo, non può nuocere a nessuno ! ;

Probabilmente è salvo, ma solo perché il potere che lo ha usato non c’è più… almeno apparentemente ! Comunque, oggi, se ne fregano delle rivelazioni di Agca : non porterebbero ad altro che a sospettare cariatidi inutili ed anche Zivkov è già stato arrestato (per chi sa quale dei suoi delitti da Tiranno), dagli stessi Bulgari che ha Tiranneggiato per quasi mezzo secolo. A chi volete che gliene freghi più, ormai ?. La partita con il papa, per salvare il Loro Impero, l’hanno persa !

Tanto per capire quanto ci tenesse a quell’Impero, soprattutto Todor Zivkov di Bulgaria, vi basti sapere che fu l’unico “non Russo”, dei vecchi membri del vecchio Presidium, (dopo i fatti noti con il nome di “Primavera di Praga” e che diedero vita in tutto l’Occidente Democratico alla rivoluzione Democratica e “Liberal” chiamata 68), ad invocare ed approvare calorosamente l’intervento dell’Armata Rossa a Praga, in Cecoslovacchia, nell’Agosto 1968, ed i crimini che ne seguirono contro la popolazione ribelle. Ricordate Ian Palach ?. La vecchia guardia di Gladio era lì a Praga in quei giorni e ci raccontava di quel popolo ribellatosi in massa ai Tiranni ed abbandonato al suo destino dal resto d’Europa e del mondo, ma… fu inevitabile, dicevano, per evitare un conflitto Nucleare con l’URSS. Ammiravano molto i Cecoslovacchi, qualcuno si era anche fatto la fidanzata … tra una bottiglia Molotov e l’altra e… dopo l’invasione dell’Armata Rossa e l’ordine di rientrare, non ne seppe più nulla. In quegli anni nessuno, neanche per “Amore”, poteva lasciare l’U.R.S.S., figuratevi se avessero saputo che si trattava di relazioni con “Gladiatori Italiani!?”. Zivkov ebbe persino parole di Dura condanna contro Tito di Yugoslavia e Ceausescu, Conducator della Romania, i quali erano, notoriamente, “troppo Liberal” per Zivkov , pensate un pò che elemento da sbarco poteva essere !

Eppure, grazie al formidabile apparatcic della propaganda Sovietica, i giovani ribelli d’Occidente continuavano a sfilare nei cortei, inneggiando ai Tiranni che distrussero la Primavera di Praga e molte altre “Primavere di Libertà” che seguirono quella, nel mondo. Che razza di uffici di propaganda aveva l’U.R.S.S ! : diabolici ed invincibili ;

In ogni caso, Agca, capì quale era il suo ruolo nel “modulo Kennedy” (comunque lo chiamassero i Lupi grigi) e, visto anche il risultato avuto dalla sua confessione, il “picchiatello Lupo grigio”, pur essendo da solo, ed in mano “Loro”, è riuscito a salvarsi giocandoli tutti !. Era questo il “modulo Kennedy” ! Per Noi, lo stesso modulo, con le dovute modifiche, fu usato per Guevara in Bolivia e Ochoa a Cuba e chissà quanti altri. La saggezza popolare Italiana abbrevia dicendo : Butta la pietra e nasconde la mano … ! “Loro” lo hanno perfezionato, reso più sofisticato e funzionale, ma, in sostanza, è questo. Il fatto che nessuno accusò i Servizi Deviati Italiani … P2, Gladio e/o la solita CIA, mi diede la misura della decadenza dei complottardi. In altri tempi, sarebbero riusciti ad organizzare una “purga” anche quì da noi! … tutti sospettati di aver attentato alla vita del Pontefice … !?.

Io, comunque, assistei a tutte queste azioni terroristiche da dietro le sbarre, condannato per spaccio di marijuana (… !?), o al più, sui campi della Colonia a zappare patate, sotto stretta sorveglianza degli agenti di custodia: un alibi davvero di ferro! – pensavo all’epoca, ridendo tra me e me. Durante quei due anni di prigionia, avevo anche sentito che, il numero 1, era sospettato di trame eversive e di essere un fascista ed un Piduista ! A me, il Giudice, fece sapere, attraverso il mio Avvocato (a suo dire !), che al processo (che si tenne un anno dopo il mio arresto) avrebbe chiesto otto anni per traffico Internazionale di stupefacenti ! ! ! Rimasi in prigione, per quasi due anni, da innocente e non capii perchè mi fu fatto tutto questo. In prigione, quei ragazzi, mi dissero che avevano confessato quelle assurdità in mio danno perchè i poliziotti li avevano “minacciati di picchiarli” se non lo avessero fatto. Si trattava solo di deboli, … non potevo certo prendermela con loro!. Appena libero, era il Natale 1981 (fu un condono generale, emanato con Decreto del Presidente Pertini a liberarmi, altrimenti ero stato condannato a tre anni !), mi presentai a rapporto all’Ufficio X°. Il numero 1 non c’era, lo sostituiva “momentaneamente” uno sconosciuto al quale, comunque, riferii l’accaduto e dove ero stato tutto quel tempo. Mi disse che ero stato fortunato, c’era chi era finito in carcere accusato di stragi e di terrorismo e rischiava di avere l’ergastolo!. Comunque, fui lasciato libero di godermi la ritrovata LIBERTA’ per qualche mese. Andai in America, a New Orleans ed a Baton Rouge, sul Mississipi , con un mercantile, la M/n Maria Speranza della compagnia Fermar, fino al 26 Luglio 1982. Al rientro, fui incaricato di imbarcare sul M/n Vento di ponente a La Spezia per  l’operazione Tripoli.

Mu’ammar Qaddafi)

Imbarcai sul Vento il 16 Ottobre 1982 e salpammo immediatamente, alla volta di Tripoli, in Libia. La missione, del tipo … “facile, facile,” consisteva nel portare (e ricevere) ordini e documenti – da e per – la Libia, a volte a Tunisi, dove facevamo scalo a La Goulette. I nostri contatti venivano a bordo a riceverli, o darli, negli scali Italiani di La Spezia e/o Cagliari, oppure nel porto di La Valletta a Malta. Per non creare sospetti, con il loro andirivieni nel porto di Tripoli, i nostri contatti avevano organizzato, insieme a me, un piccolo contrabbando di alcolici (severamente proibiti in Libia). In questo modo, con qualche bottiglia di Scotch Whisky, ottenevamo il duplice scopo di corrompere le guardie e, nello stesso tempo, di non essere sospettati di spionaggio, ma solo di contrabbando. Io, inoltre, ottenevo lo scopo di arrotondare qualcosa per sopperire agli scarsi mezzi messi a disposizione dal comando : Taxi in Libia, spese locali, mance alle guardie portuali … etc. Proprio di quelle “facili, facili,” peccato che, in Libia, c’erano poliziotti e soldati dappertutto e che, se andava male, saremmo stati tutti fucilati !. Infatti, dei “contatti” a Tripoli, alcuni non li vidi più e, chiedendo di loro, mi fu risposto in maniera eloquente passando la mano a mò di lama, sotto la gola, dall’orecchio sinistro a quello destro !”. Ciò che sapevo non era molto … nell’eventualità che qualcosa andasse storto! Comunque dovevo prendere contatto con giovani Ufficiali dell’esercito Libico che, stanchi delle follie del Colonnello Gheddafi: “Il pazzo di Tripoli” lo chiamava R.Reagan, avevano deciso di tentare di liberarsi di Lui e della sua banda!. Anche l’Occidente Democratico aveva deciso di liberarsi di Lui e degli atti di terrorismo che continuamente minacciava e, pare, finanziava.

Tutto molto, ma molto bene! – pensavo nella mia cabina, in navigazione continua tra Tripoli e Bengasi e La Valletta (Malta), La Goulette (Tunisi) e La Spezia e Cagliari in Italia. Ma allora perchè non ci fecero portare a termine la missione del Novembre 1973 … Chi e perchè ci fermò!?. – mi chiedevo. Ma non seppi mai darmi una risposta.

I Giovani Ufficiali dell’esercito Libico volevano sapere se L’Occidente Democratico, l’Europa Occidentale e, soprattutto, la vicina Italia, erano bendisposti verso la loro iniziativa. Come avrebbero accolto la notizia che un colpo di Stato militare aveva destituito il Governo Libico di Muhammar Gheddafi? I nostri contatti a Tripoli, mi fecero incontrare con alcuni di questi Ufficiali in una sala da Te in centro a Tripoli. Erano 17, seduti in gruppi da quattro, in tavolini vicini, in maniera da poter sentire tutti quel che dicevamo, ma senza insospettire il cameriere e la onnipresente polizia Libica e… non solo Libica (!?). Lasciando da parte i convenevoli, (era molto pericoloso essere lì ed insieme ad uno straniero, anche se “Marinerò mercante!), suggerì subito una soluzione per il primo dei loro problemi: “come avrebbe reagito l’Occidente Democratico ad un Golpe Militare in Libia?”. Parlando al più alto in grado: un Colonnello dall’apparente età di 40 anni (dal nome impronunziabile… “baffo grigio“, lo chiamai in codice), ma, ben inteso anche dagli altri, dissi: “Vista la simpatia e la stima profonda che il “pazzo di Tripoli” riscuote in tutto l’Occidente, sarete di certo ben accolti. Semmai i dubbi sorgono sul fatto che non ci sono garanzie che non si tratti semplicemente di una faida tra gruppi di potere… che Voi siate veramente Democratici. Suggerisco di fare come i giovani Ufficiali dell’esercito Portoghese nel ’74, una bella Primavera dei Garofani di Tripoli”. Mi guardarono straniti … non sapevano cos’era!?.-“… Entrate in città con un garofano infilato nella canna dei fucili a dimostrazione che si tratta di una rivoluzione Democratica e non di un golpe militare.” – dissi, stupito del fatto che, davvero, non avevano mai sentito parlare della Primavera dei Garofani di Lisbona e di Luanda. Vollero sapere tutto e mi ritrovai a fare il “Maestro” di storia. Ascoltavano a bocca aperta le storie che raccontavo: “… il generale Spinola, la fuga dell’Oligarca Caetano Marçelo, l’entrata a Lisbona delle Truppe Ribelli con un Garofano rosso infilato sulle canne dei fucili, la smobilitazione dell’esercito coloniale Portoghese in Africa, della Colonna Libertad in Angola, dell’invasione Sovietico-Castrista, del Generale Cubano Manuel Ochoa …” Seppi che la censura Libica, non permetteva di sentire notizie non gradite al Regime e, nel ’74, la RAI TV Italiana non riusciva a riceverla nessuno. Seppi anche che, all’epoca, la maggior parte dei presenti, aveva poco più di dieci anni. Alla fine della “lezione di storia”, il Colonnello Baffo grigio, voleva certezze su un eventuale appoggio Occidentale, perchè disse: il regime del Pazzo, si regge sulla protezione Internazionale, ma anche interna, dell’URSS. Quì è pieno di spie Sovietiche, entrano come “Istruttori militari” e meccanici per riparare i nostri mezzi aerei (Mig21) e terrestri (carri T54), tutti di produzione Sovietica, ma, in realtà, fanno ben altro e, so per certo, concluse Baffo grigio, che si tratta degli uomini migliori di cui dispone il KGB. Concludemmo quella riunione che si era protratta troppo a lungo …per un Te! e risposi che avrei riferito al Comando e, per il prossimo incontro ci sarebbe stata una risposta più precisa. Uscimmo alla chetichella, al porto ebbi problemi, era quasi mezzanotte ed il coprifuoco non permetteva ad uno straniero di far tardi fino a quell’ora: ma ero solo uno scemo che si era perso nei vicoli di Tripoli e non capiva una parola, … mi lasciarono passare senza avvertire la “polizia speciale”.

In Italia ricevetti alla Spezia la visita dell’Ufficiale di collegamento (uno nuovo, che conosceva il mio codice, … erano quasi sempre “nuovi” ormai!) consegnai le carte di ritorno che mi avevano dato i nostri contatti a Tripoli ed a La Valletta e riferii il messaggio di Baffo grigio. Avrei avuto risposte certe nel prossimo scalo di Cagliari o di Palermo. Uscimmo dall’Ammiragliato dove ero stato invitato per l’incontro e la consegna dei documenti: l’Ufficiale di collegamento non mi era piaciuto … non sembrava uno dei nostri, era tutto acchitato, profumava come una puttana, aveva lo sguardo sfuggente … non mi guardava mai negli occhi e, quando lo salutai “stringendogli la mano”, mi sembrava di aver preso la “zampetta di un gatto”. L’Ultima volta che ero stato lì, all’Ammiragliato, c’era il Numero 1 … che fine aveva fatto? … non potevo chiederlo a quello lì, e nemmeno avrei voluto!.

Rividi la mano morta (zampetta di gatto) dieci giorni dopo, a Palermo, eravamo diretti a Tunisi e da lì a Bengasi e Tripoli. Mi diede due passaporti ed un carteggio, chiusi in un plico sigillato, da consegnare al nostro contatto a Tripoli e mi disse che nessuna decisione era stata presa per “Baffo grigio“. “Comunichi di attendere risposta”- furono le sue ultime parole scendendo dal Traghetto (mi raggiunse nella mia cabina per consegnarmi personalmente le carte).

A Tripoli, dieci giorni dopo, riferii il messaggio al nostro contatto … lo stesso dell’altra volta, buon segno! e gli consegnai il plico sigillato. Due ore dopo ritornò seduto al fianco del conducente del camion che era salito sullo scivolo del Traghetto per caricare i container che trasportavamo sul ponte. Si fermarono con la cabina di guida davanti all’oblò che dava nel locale macchine, gli passai prontamente le casse di J.B & Jhonny Walker che fecero sparire sotto la cuccetta e proseguirono verso il ponteggio di carico containers. Allo sbarco passarono davanti alla polizia portuale ed alla “speciale” che non sospettò di nulla ed uscirono indisturbati dal porto con i documenti “riservati” e dieci casse di Scotch-Whisky dirette a Tripoli-città.

Sbarcai “senza incidenti” a La Spezia, il 9 Marzo 1983. Nessuna decisione mi era stata comunicata riguardante il Colonnello “Baffo grigio“, ma non posso escludere che altri abbiano svolto quell’incarico.

Durante la Telefonata dei primi d’Aprile 1983, mi fu ordinato di presentarmi in un Hotel in Rue du Maroc a Tunisi. Lì, al più presto, sarei stato contattato da attivisti di “Akbar Maghreb” e questo fu il nome in codice di quella missione : Operazione Akbar Maghreb.

La missione consisteva nel prendere contatti con un movimento patriottico Nord Africano che si definiva Akbar Maghreb e che si prefiggeva di unificare il Nord Africa in una grande Unione Democratica e federale del Maghreb, “Grande Maghreb” appunto. Ebbi l’indirizzo dell’Hotel in Rue du Maroc a Tunisi e di un magazzino in Rue Sidi Mandri n. 8 a Tetouan ai piedi del Rif, in Marocco. Là sarei stato avvicinato da esponenti del Movimento.

(Chez Younes)

Volevano tentare di rovesciare il Regime del Dittatore Alì Ben Bourghiba di Tunisia (filo sovietico, anche se moderato, cioè “non allineato”, … come la Cuba di Castro, la Jugoslavia di Tito e la Libia di Gheddafi, per esempio) e quello di Benjedid Chadli d’Algeria (anche Lui non allineato, come gli altri!) e provocare la rivolta dei Berberi del Rif, in Marocco, per costringere il Re, Hassan II del Marocco, alle aperture Democratiche di una Monarchia Costituzionale assumendo, così, anche la guida del Movimento Akbar Maghreb. In sintesi un obiettivo ambizioso, ma gli aderenti erano molti e tanti di più avrebbero aderito in una seconda fase. A noi interessava la parte che riguardava il rovesciamento dei Regimi filo Sovietici dei Dittatori d’Algeria e di Tunisia, continuando così a spezzare l’accerchiamento Sovietico dell’U.E.O. Inoltre, Akbar Maghreb, avrebbe indebolito la posizione, nel mondo Arabo, del Colonnello Gheddafi e degli altri Tiranni filo Sovietici o Integralisti Islamici che finanziavano il terrorismo e la Tirannia nel mondo. Il Comando era anche preoccupato dei Piani del Cremlino che, in appoggio a Muhammar Gheddafi e per farlo uscire dall’isolamento Internazionale in cui era tenuto, stavano organizzando unioni Anti-Occidentali tra paesi del Maghreb e la Libia. La prossima “Unione” in preparazione era di nuovo con la Tunisia di Ben Bourghiba, prevista esattamente dieci anni dopo il primo tentativo … nei primi mesi del 1984 (ancora una volta rovinammo la festa ai Sovietici, questa volta con la Guerra del pane Maghrebina). Ero autorizzato a riferire, ad Akbar Maghreb, che avrebbero potuto avere, in una seconda fase, appoggio Diplomatico Internazionale se avessero dimostrato di poter portare il Nord Africa verso le riforme Democratiche.

Gli incontri avvennero più volte in quel 1983, fino allo scoppio della “Guerra del pane”, nel capodanno ‘83-84. Fu chiamata così perchè il pretesto per la rivolta popolare fu il raddoppio del prezzo della farina. Per troppi avrebbe significato la fame … in tutto il Maghreb!. Organizzandomi per il viaggio, approfittai, per avere un aspetto il più innocuo possibile, di quanto, in quei giorni, mi chiedeva un amico d’infanzia. “Sto per diventare cieco. Una malattia alla retina mi sta portando alla cecità. Ma, prima di perdere la vista del tutto, mi piacerebbe vedere qualcosa di diverso, un pò di mondo ! “- mi disse. Pensai che Franco aveva un aspetto da ragazzo tranquillo … proprio quello che faceva al caso mio. “Parto per il Nord Africa – gli dissi – una “vacanza” di qualche settimana. Prenderò il Traghetto per Tunisi, poi in treno fino in Algeria e proseguirò con la visita del Marocco. Perché non vieni con me ?.” Si dimostrò entusiasta all’idea, ma aveva un problema : poco denaro !.

Anche considerando solo i biglietti A/R ciò che aveva non bastava., … e poi c’erano gli hotel, il vitto … etc. Avrebbe proprio voluto farsi il viaggio e così dissi : Hai un guardaroba ben fornito se ricordo bene !, non c’è qualcosa di vecchio, nel senso di fuori moda, ma in buono stato, di cui ti potresti disfare ? Si -rispose Franco. Bene !, fammi vedere. A volte, trovandomi in difficoltà all’estero, me la sono cavata vendendomi la roba. Qualcosa si può ricavare e, se mancherà ancora qualcosa ci penserò io. Passammo qualche ora a riempire una valigia di abiti smessi e, fatto questo, facemmo i biglietti per Tunisi … la prima tappa dell’operazione Akbar Maghreb.

A Tunisi, venduta rapidamente la “mercanzia di Franco” (grazie all’interessamento dei miei contatti che scherzarono sul fatto che, di sicuro, non eravamo Americani … con le spese !), prendemmo il treno per Algeri, dopo aver fatto visitare a Franco anche le rovine di Cartagine. La piccantissima cucina Tunisina non era stata di suo gradimento : “ormai, sento il peperoncino anche nel cappuccino!” fu il suo ultimo commento, lasciando Tunisi. In Algeria non ci fu permesso il transito. La polizia ci perquisì a fondo e ispezionò anche il treno su cui eravamo. Trovarono persino una moneta da 100 lire e la riconsegnarono a Franco : gli era caduta dietro i sedili … ! ?. Non so come, ma sapevano qualcosa ed era il caso di fare marcia indietro senza discutere troppo.

Rifacemmo il viaggio verso Tunisi. Feci presente la cosa al comando che mi disse di proseguire in aereo verso Casablanca. Avrei avuto un altro appuntamento con gli emissari Algerini di Akbar Maghreb, forse, ad Al Hoceima. Oppure, avrebbero mandato qualcun altro per l’Algeria. Franco fu ben felice di poter riprendere il viaggio verso Casablanca. La città gli piacque molto, anche il nostro agente a Casablanca gli riuscì simpatico, non facevano che ridere di tutto durante i trasferimenti. Ci spostavamo in autobus, davamo meno nell’occhio. Raggiungemmo Rabat, Meknès, Fès e ci fermammo qualche giorno ospiti di tribù Berbere sul Rif, nell’Atlante. Presi i contatti richiesti e, a missione conclusa, rientrammo a Casablanca per qualche giorno di relax. Visitammo la città, la Casbah, la Nouvelle Medina, i ristoranti migliori e … le luci rosse dei “cafè Americain” di cui la Città era piena e dove si faceva la danza del ventre. Rientrammo verso l’Italia dopo circa venti giorni. I soldi erano finiti e viaggiammo in treno : Casablanca-Tangeri, traghetto per Algesiras (in Spagna) e treno per Madrid-Barcellona-Montpellier-Genova. Era il mese di Maggio 1983. E questo è tutto ciò che so dell’operazione Akbar Maghreb.

Tunisi era in fiamme nel capodanno ‘83-84, i ribelli di Akbar Maghreb si lanciavano sulle autoblindo con bottiglie molotov, incendiavano i carri armati e non ripiegavano anche se falciati con le mitragliatrici dagli elicotteri. Costò migliaia di morti quella rivolta, ma anche il potere a Ben Bourghiba. Ero nell’Avenue Alì Ben Bourghiba, quando i ribelli di Akbar Maghreb saltavano sulle autoblindo con le bottiglie molotov in pugno, ed ero ancora là quando, dopo la resa del Governo, i ribelli saltavano sulle stesse autoblindo, con le bandiere rosse di Akbar Maghreb in pugno al posto delle bottiglie incendiarie (Rosso era il colore scelto da A.M per l’Unione Federale degli Stati del Maghreb, niente a che vedere con i Sovietici, era il rosso della bandiera Tunisina e Marocchina e della mezza luna Algerina). Il Governo cercò di salvarsi incolpando dei massacri il Ministro degli interni, ma di lì a poco fu costretto a dimettersi. In Algeria invece il F.I.S (Fronte Islamico di Salvezza) dimostrò di essere più forte di A.M. ma questo fece fallire la Guerra del pane e non diede la vittoria al F.I.S. La stessa cosa avvenne in Marocco, dove i Berberi del Rif si ribellarono ad un aumento delle tasse doganali che, di fatto, li affamava e dopo alcuni scontri vittoriosi a Tetouan e Chefchaouen, ottenuta dal Re Hassan II° l’abrogazione delle Nuove tasse, riposero le armi.

(Campo di addestramento Berberi e Tuareg di Akbar Maghreb ai piedi dell’Atlante: Tabelballah)

Nel frattempo, nel 1984, fallito, ancora una volta, il tentativo d’Unione con la Tunisia, la Lubianka, riuscì a portare a termine l’Unione tra la Libia di Gheddafi ed il Regno del Marocco di Re Hassan II°, …ma non era ancora esecutiva!.

Fu per questo che mi venne ordinato di continuare a tenere i contatti con gli attivisti di Akbar Maghreb anche dopo le battaglie di Tunisi ed Algeri e di organizzare la resistenza Democratica anche addestrando, in tutto il Maghreb, gruppi di guerriglieri da impiegare “stay-behind” (dietro le linee), nel caso che il Maghreb, effettivamente, fosse divenuto una colonia Sovietica ostile all’Europa Occidentale. Tutta la storia di questo periodo si può riassumere in un pellegrinaggio tra campi Beduin e Tuareg (nomadi del Sahara) e Tribu Berbere dell’Atlante, durante il quale, accompagnato dai capi di A.M. insegnai le tecniche di guerriglia ed addestrai, così come potevo …dati i scarsi mezzi, i Volontari Democratici della Federazione Maghrebina a non arrendersi alle Dittature prossime venture!.

Io fui fatto prigioniero sul Rif, a Novembre ’85 (il 19-11-’95 …credo)  (Forse … è solo un sogno!) e venni imprigionato nel Carcere di Tetouan con altri 700 Ribelli di Akbar Maghreb, ma anche del F.I.S. Non rivelai la mia identità e fui accusato, come tutti gli altri, di aver violato le leggi doganali del Regno. Fui visitato in Carcere dal Console d’Italia a Tangeri al quale, certo, non rivelai la mia identità. Gli protestai le condizioni inumane in cui venivamo tenuti tutti e le violazioni delle Convenzioni Internazionali sui Diritti dell’Uomo. In particolare la pratica di punizioni corporali e torture praticate sui prigionieri: un cittadino Tedesco, di religione ebraica, “sospettato” di essere una spia Israeliana, era stato portato quasi alla follia attraverso la sua chiusura, in isolamento, in una cella speciale chiamata “cascio” (una cella dove era impossibile stare sdraiati e, periodicamente, si veniva bagnati a secchiate d’acqua), ricordo che fu liberato grazie all’interessamento del Consolato di Germania, si chiamava Rainer P… ; un cittadino Spagnolo, di Barcellona, che insieme ad altri pescatori di Malaga avevano sconfinato in acque Marocchine, fu prelevato dalla cella che condividevamo insieme ad altri 12 prigionieri (… in una cella di cinque metri per quattro, dove dormivamo per terra, con una vecchia coperta pidocchiosa per unico giaciglio), legato e frustato sotto la pianta dei piedi, non potè camminare per settimane; un giovane ribelle Maghrebino venne tenuto nel cascio così a lungo che perse l’uso delle gambe divenendo paralitico e … non fu rilasciato!; numerosi altri episodi di violazioni dei diritti umani feci presente al Console d’Italia che venne a visitarmi in Carcere, ma non mi pare che fece nulla. Tra le altre, denunciai le violazioni subite da me stesso, che venni tenuto per otto giorni in un “cascio”, in riva al mare, senza mangiare e con l’unico riparo al freddo di un vecchio tappeto nel quale mi avvolgevo la notte …senza però potermi sdraiare a causa della mancanza di spazio. Fu durante quel periodo che mi si incarnirono le unghie dei piedi, ma non potei farci nulla : passerà – pensavo, come mi diceva il mio vecchio: Tutto passa nella vita, passerà anche questa! La stessa cosa che dissi quando mi ritrovai aggredito dalle cimici e tormentato dalla scabbia, era un problema comune a tutti lì dentro: “Ti danno gli anticorpi Italiano!” – dicevano gli altri prigionieri – “senza i morsi delle cimici e delle pulci, chissà che altra malattia da sporcizia potremmo buscarci quì dentro”. Eravamo tenuti nei sotterranei di una vecchia fortezza Spagnola dell’epoca coloniale. Due (a volte tre) giorni alla settimana, venivamo condotti all’aperto per mezz’ora d’aria, eravamo talmente abituati al buio che tenere gli occhi aperti era impossibile, lacrimavano abbagliati dalla luce e, certo, non potevo chiedere un paio di “Ray-ban” ad una di quelle guardie. Erano letteralmente demoniache! Devo dire, però, che a me mi rispettarono sempre. Anche quella volta che, non potendo davvero più camminare, chiesi ad uno di loro di strapparmi le unghie incarnite. Lo fece rapidamente e bene, un colpo secco con le pinze e volarono via entrambe le unghie dei pollici. Fecero male per un pò, ma dopo qualche giorno andò meglio e pensammo alle altre … un vero amico!. In quel carcere potei sopravvivere grazie all’aiuto dei prigionieri di Akbar Maghreb e delle loro famiglie. Gente povera, ma generosa, riuscivano a portare in carcere pane ed altre vivande e le dividevano con me e con quanti non avevano nessuno che potesse provvedere. Il vitto che passava il carcere era da campo di concentramento delle SS. La mattina, per colazione, un bicchiere di acqua calda … per chi aveva il bicchiere! ed io non ero tra questi: serviva a riscaldare lo stomaco e, dopo l’intirizzimento della notte, sembrava un caffè espresso (… con un pò di fantasia!). A volte per pranzo ci portavano un pentolone d’acqua calda dove poteva capitare di trovarci qualche legume e/o qualche pezzo d’ortaggio, altre volte la “besara”, una polenta fatta con la farina di fave, (quella era veramente buona …quanto rara) e a volte niente!. Ogni Lunedì e Giovedì venivamo incatenati gli uni agli altri e trascinati nei sotterranei del Tribunale, portati davanti alla Corte che parlava in Arabo e poi riportati nei sotterranei della Fortezza di Tetouan. Così è stata la routin di quei giorni per circa due mesi. Già, tutto diventa routin, anche le cose peggiori! Erano diventate una “routin di vicinato” anche le visite reciproche che una guardia ci permetteva con un cittadino della Federazione Elvetica, Philip B…, un camionista arrestato, per non so più quale infrazione doganale, durante il transito in Marocco, e che era precipitato di colpo in quell’inferno, facemmo amicizia, ma non potevamo stare nella stessa cella … io ero nella cella “especial”, con i prigionieri politici, gente pericolosa! Philip ne ebbe per poco, uscì il 6 Gennaio 1986, per tornare nella sua amata Svizzera. Ricordo con esatteza la data della sua Liberazione perchè mi promise che avrebbe telefonato a mia moglie in Italia (ci era vietato, a noi sospettati di appartenere ad Akbar Maghreb, di comunicare con chicchessia) e lo fece. Una volta Libero, Philip, tornò alla fortezza e disse ad una guardia di riferirmi che non aveva parlato con mia moglie, ma che qualcuno, in Italia, al numero che gli diedi, gli aveva detto che era all’Ospedale e che, il giorno prima, era nato mio figlio. La guardia mi disse, attraverso le sbarre: “Italiano tienes un Hijo macho, se lama Marco  como Marco Polo”. E, da quel momento, tutto la fortezza-carcere di Tetouan, i prigionieri (non solo quelli di Akbar Maghreb) ed anche le guardie, mi fecero gli auguri chiamando mio figlio Marco Polo per giorni e giorni. Ero molto popolare, tutti sapevano chi ero, solo i Giudici non lo sapevano … o si !?

Il Tribunale del Marocco, riconoscendo la valenza politica delle azioni di Akbar Maghreb, anche se non seppe mai con certezza se ne facevo parte e cosa ci facesse un “Marinero mercante en Transito para l’Italia sulle montagne del Rif“, ordinò la mia Liberazione dopo due mesi di Carcere, ma per poter lasciare il Marocco dovevo pagare una multa di Dieci milioni di lire italiane. Non avevo alcuna intenzione di pagarla. Ma, mia moglie, informata dal Console di quello che mi era capitato e di dove ero, senza chiedere il mio permesso, pagò quella somma con un bonifico della nostra banca. (Mia moglie non sapeva altro di me se non che ero un marittimo, ed in quella occasione sapeva che ero stato arrestato perchè, sbarcato nel porto di Ceuta, – all’epoca porto franco Spagnolo sul lato Marocchino dello stretto di Gibilterra – fui trovato in possesso di cinque orologi non dichiarati alla dogana Marocchina, mentre ero diretto all’aeroporto di Tangeri per rientrare in Italia). Mia moglie era incinta e le notizie che il consolato le dava la preoccuparono molto, per questo pagò ! Lasciai la fortezza di Tetouan e gli amici che trovai anche lì: il piccolo Harmido, deforme perchè colpito dalla poliomelite da piccolo, che si arrampicava meglio delle scimmie sulle sbarre del carcere fino a raggiungere la luce del sole, in alto, dove stendeva, per tutti noi, il “bucato” che, nonostante tutto, riuscivamo a fare; il giovane tedesco Fritz F… di Norinberga, arrestato perchè, dopo una vacanza in Marocco, pensò bene di guadagnarci vendendosi l’auto, una Mercedes fiammante, ad un prezzo doppio rispetto a quello pagato in Germania … non facendo i conti con la durissima legge doganale Marocchina che gli sequestrò l’auto, il denaro ricevuto e gli impose una multa che non poteva pagare: duecento milioni di Dirham, mas o meno!Abdel Crim, Abdel Hafid, Boulima, Hakim, Ahmed e il vecchio Berbero del Rif, di cui non ricordo il nome che, fermato dalle guardie del Re mentre cavalcava tranquillo sulle sue montagne, (aveva 82 anni!) fu trovato in possesso di una borsa di “Kefe”, il tabacco per la sua pipa! Gli fu detto che era droga, che si chiamava maryjuana e che era proibita… fu arrestato perchè oppose resistenza al sequestro del tabacco “per la sua pipa!”. E tutti gli altri … non li rividi mai più, nemmeno loro.

Rientrai in Italia il 4 febbraio 86, col volo Tangeri-Madrid-Roma, e mi presentai subito a fare rapporto al Ministero della Difesa Ufficio X°. Però non lo trovai più. Credendo di avere sbagliato (mi era capitato altre volte) uscii e rientrai più volte … ma non avevo sbagliato ! “Via XX Settembre ,8 … traversa di via Nazionale, … è quì!” Chiesi ad un usciere, che mi sembrava di avere già visto lì in passato, notizie sull’Ufficio X° e sul Generale (che non vedevo da nove anni!). Mi svillaneggiò deridendomi in Romanesco e mi disse di provare a cercarlo in Sud Africa. Gli chiesi soddisfazione, ma si rinchiuse in un Ufficio e chiamò i Carabinieri che mi “intimarono” di lasciare il Palazzo. Non potendo fare altro andai via. Rientrai a casa, a conoscere mio figlio nato il 5 Gennaio 1986, mentre ero in Carcere a Tetouan, sul Rif … per ’Italia! Per fortuna mia moglie … era mia moglie e si ricordava di me ! . Conobbi mio figlio, era bellissimo !

Dopo qualche settimana, guarito dalla scabbia, dai pidocchi, dalle cimici e, superati i postumi dell’operazione alle unghie dei piedi (dopo che me le estirparono nel carcere di Tetouan, mi ricrebbero incarnite, dovetti essere operato in Italia), il tutto dovuto alle dure condizioni del carcere di Tetouan, volli capire cosa era accaduto. Tornai a Roma, al Ministero della Marina, Maripers, Divisione 1 ed altri Uffici. Riuscii a farmi aiutare dicendo che si trattava di ricostruzione di carriera a fini pensionistici, diedi i miei dati ed il numero di matricola. Alla fine di una accurata ricerca risultavo congedato di Leva il 14/12/ 1973 con il grado Comune di I° classe !?Ero un Ufficiale di Gladio … l’ultimo grado da me ricoperto è stato quello di Centurione che, per me, appartenente alla Marina, equivaleva a Comandante di Vascello … non risultava più niente!!!

CANCELLATO ! Cancellato tutto, cancellati tutti, come bestie da macello, carne da cannone!

(Crocefixio Gladiatorium)

Non mi ero mai sentito così. Non sapevo più che fare. Ci pensò il Guardia Marina che mi aveva aiutato a “ricostruire la mia carriera”. Viste tutte le “menzogne” che gli avevo raccontato, aveva chiamato i Carabinieri. Andai via prima che arrivassero … che avrei potuto raccontare?. Tornai a casa, tentai anche di rintracciare qualcuno ma chi? … come?. Quelli che avevo conosciuto personalmente li avevo anche visti morire e della mia Centuria, la II° Lupi, ero rimasto solo. Della I° Centuria Aquile non avevo saputo più nulla dai tempi dell’offensiva del Tet in Vietnam. Era una Centuria composta di Aviatori, elicotteristi, paracadutisti e simili. Sapevo, per averlo sentito dire su quell’aereo, che avrebbero proseguito il volo verso la catena dell’Annam, si sarebbero dovuti paracadutare a circa 100 Km a Nord Est di Saigon e sabotare strade e ponti, esattamente come noi. Ma non ne seppi più nulla da allora. Anche la base di Poglina, ad Alghero, era stata chiusa, ma io, poi, non ci sono nemmeno mai entrato. Pensai che, se ci fossi andato, avrebbero chiamato i Carabinieri anche lì. Da allora sentii spesso parlare di Gladio come di una associazione a delinquere con finalità di Terrorismo, composta di neo-fascisti. Io, invece, di fascisti tra i miei commilitoni non ne ho mai conosciuti e mi chiedevo di chi parlassero tutti!. Ripresi a fare il mio lavoro di “copertura”, fortuna che avevo quello!. Del Denaro che mi veniva investito in Titoli di Stato a Lungo Termine”, fin dal 1973/74, naturalmente, non ne seppi più nulla !

Quell’anno seppi anche di un bombardamento Americano su Tripoli, dovuto alle intimidazioni di terrorismo che il Colonnello Libico continuava a fare (adesso ha smesso!) e che, un migliaio di giovani Ufficiali Libici erano stati fucilati, per ordine di Gheddafi, perchè stavano organizzando un colpo di stato contro il suo Regime. Sono cose che leggevo sulla stampa e già vi ho detto che attendibilità gli do ormai! Tuttavia pensai lo stesso a “Baffo grigio” ed a tutti quei ragazzi a Tripoli … mi augurai che non fossero notizie vere, …anche perchè a nessuno sembrava importare un gran che!

Mi occupai anche di una cooperativa edilizia. Volevamo farci una casa con mia moglie, ma in Italia, se non ci si mette in cooperativa non si trova nemmeno un palmo di terra dove fare una baracca. Le vigliaccate che ho subito dalle Autorità Italiane anche in merito a quella vicenda, sono oggetto di ulteriore ricorso alla Commissione Europea per i Diritti dell’Uomo, Registrate al Ricorso n.31230/96 Procedura III°, le potrete conoscere “prossimamente quì !” non appena la Commissione toglierà il riserbo su quegli Atti. Ma vi posso anticipare che, sulla base di falsificazioni di proveottenute attraverso fotomontaggi ed un numero incredibile, quanto evidente, di false Testimonianze, fui condannato da simili “Loro” Autorità Giudiziarie Italiane a sei mesi di reclusione e spogliato di ogni avere ! ! !. (Ciò anche in violazione di tutti i miei Diritti Processuali di cui all’Art.523/5 del C.p.p. “violazioni a pena di nullità!”). Potete già da subito, però, farvene un idea leggendo la memoria difensiva corredata dei documenti, che provavano l’uso di falsificazioni di fotocopie e di false testimonianze da parte di chi mi accusò e derubò nel 1991, approfittando di quel “provvidenziale arresto!” cliccando su: Memoria 5-11-94 per leggere i documenti citati dovrete aspettare che io mi sia attrezzato di scanner, vedrete che razza di porcheria sono “certi Processi” in Italia!. Ma circa la veridicità di quanto affermo, state tranquilli, io non mento … non sono mica un giornalista!!!

Quest’altro Processo vergognoso, mi ha visto condannato sulla base di falsità documentali e testimoniali, come ho ampiamente dimostrato in Appello, dove il 10 Febbraio ’97 sono stato assolto perché il fatto non sussiste … DOPO SEI ANNI ! ! !. Non appena potrò disporre di uno scanner, come detto, potrete leggere tutti quegli Atti in questo web, vi renderete così conto in che mani siete tutti ! in che mani è l’Italia ! ! !. Dopo sei anni la corte d’Appello mi ha assolto : perché il fatto non sussiste !. Ma il nostro denaro, sottrattoci dalla cooperativa edilizia con l’inganno … non ci è stato ancora restituito !. C’è stato un Ricorso in Cassazione, da parte della Cooperativa e della Procura Generale, che aveva il solo scopo di permettere ai delinquenti di avere il tempo di correre da un Notaio e spartirsi i miei beni prima che io chiedessi il sequestro … esattamente ciò che hanno fatto grazie a simili complicità!. Una vergogna dietro l’altra, si comportano come una vera banda di predoni. E, per quanto mi riguarda, … lo sono!

Nel 1989 lessi, sul Giornale, che il Generale Manuel Ochoa era stato arrestato a Cuba per ordine di Fidel Castro ed accusato di trafficare Droga insieme al Generale Noriega, ex Presidente della Repubblica di Panama, detto “Cara de Pina” (faccia d’ananas in Italiano) perché aveva la faccia rimasta butterata dal vaiolo, che aveva avuto da ragazzo. Non credetti ad una sola parola di quello che leggevo. Pensai che un idealista come lui faceva ombra al Leader Maximo e, in una Dittatura, questo è inaccettabile. Inoltre, ricordai quello che diceva il numero uno, circa l’attenzione riservata dalla Lubianka alle “ombre” di Castro ed al “vizietto da capitalista” di Ochoa di portare i Ray-ban . Senza contare che i suoi “Barbudos” lo adoravano, e l’unico modo per eliminarlo era questo : la Diffamazione e la Calunnia. In questo “Loro” sono maestri, potrebbero dare lezioni a Belzebù e, Noi, … non escludevamo che lo avessero fatto, aprendo dei corsi apposta per questo! Tentai di essere ammesso al Processo per testimoniare, mi rivolsi alla loro Ambasciata. Senza nulla osta non potevo andare all’Havana, rischiavo di restarci come un pollo!. Non mi risposero nemmeno. Capii che era stato condannato a morte prima ancora che iniziasse il processo.

Seppi in seguito che chiese di morire da soldato, fucilato. Ma non gli fu concesso e fu impiccato come un bandito. Forse Voi non capirete la gravità di questo, non siete militari, ma è stato un grave affronto !. Il classico Modulo Kennedy non poteva essere messo in atto con lui: non c’erano guerre, o progetti di guerriglia, dove inviare Ochoa “insieme ad una soffiata!” (come da Modulo Kennedy, modificato per Guevara). Ripescarono il prontuario “purghe di Stalin” e ne fecero un’altra: un classico da manuale anche questo. Aveva proprio ragione il numero uno : non hanno più fantasia … sono davvero in decadenza !

Ma Voi, ditemi,  avete mai sentito di uno spacciatore di droga che, anziché rimettersi alla clemenza della Corte, o tentare di avere la grazia, o qualsivoglia beneficio … pensa, invece, al suo Onore di soldato e chiede di essere fucilato, anziché impiccato ?.

Questo era Manuel Ochoa “Silverado”, Colonnello di “Cuba Libre” con Cienfuegos e Guevara Ernesto detto el Che. Generale Comandante della “Divisione corazzata Guevara” che, in Africa Occidentale, nella valle del Katanga, ci rese l’Onore delle armi, risparmiandoci la vita e rispettandoci certo di più di quanto non abbia mai fatto la nostra stessa Patria! Un Pusher da impiccare secondo Castro ed i suoi “amici”. In realtà, Lui ed altri, caduto il muro di Berlino, si illusero che anche il Regime Castrista potesse cadere … un’illusione che pagarono cara!

Credo che in quei momenti abbia riflettuto sul suo passato di combattente per un Regime per il quale era anche disposto a morire, ma in battaglia, non impiccato come un bandito.

(La Giustizia e la Legge)

Io, comunque, saputo dell’avvenuta esecuzione, mi recai nella spiaggia di Poglina una sera, non visto,come un ladro che si deve nascondere e, anche a nome di tutti coloro che c’erano e sono stati cancellati, gli resi l’Onore delle Armi. Nemmeno Lui si era mai arreso, nemmeno Lui lo aveva richiesto, ma anche Lui, a “Nostro” avviso, se lo era guadagnato sul campo!!!

Sentivo di doverglielo a quel Generale Cubano a cui piacevano i Ray-ban … mi ricordai che, laggiù nel Katanga, pensai proprio che non avrebbe avuto vita facile, …nè lunga, oltre cortina, con quei “vizi da capitalista!“.

Pochi mesi dopo seguii la stessa sorte di Ochoa, fui vigliaccamente accusato “di nuovo“, da un sedicente “collaboratore” (… collaboratore con chi? e perchè!?) di spaccio di pochi grammi di hashish ed arrestato, processato e condannato, da una banda di farabutti travestiti da Pubblici Ufficiali della Repubblica Italiana, tra i quali lo stesso sottuff. L’aiola che mi arrestò nel 1980. Ancora una volta falsificando prove e testimonianze e impedendomi di provare che di questo si trattava!

Io però, mi sono battuto per la Democrazia ed il Diritto, non mi si è potuto assassinare, ho potuto rivolgermi alla protezione insita nel nostro codice leviatanico e tentare di ottenere Giustizia, anche se troppo lentamente e dopo tutte le indicibili umiliazioni sofferte.

Diffamazione e Calunnia.

<< Io però, mi sono battuto per la Democrazia ed il Diritto, non mi si è potuto assassinare, ho potuto rivolgermi alla protezione insita nel nostro codice leviatanico e tentare di ottenere Giustizia, anche se troppo lentamente e dopo tutte le indicibili umiliazioni sofferte. >>

Il resto è storia recente e fa parte dei miei Ricorsi alla Commissione Europea per i Diritti Umani e delle Denunce alle Istituzioni Nazionali, ai sensi degli art.13 e 25 della Convenzione Europea, per gli abusi e le umiliazioni che sono stato costretto a subire da Gaglioffi ed impostori. Ma, scrivere qui anche di questo, sarebbe troppo lungo, noioso e costoso.

Forse, anzi sicuramente, in seguito, se questa iniziativa vedrà il vostro favore, vi metterò in condizione di poter entrare, attraverso Internet, fin dentro il ventre della bestia, pubblicando tutti gli atti dei numerosi procedimenti giudiziari di condanna in primo grado e di assoluzione in Appello, che costituiscono la persecuzione giudiziaria che ho denunciato alla Commissione Europea per i Diritti Umani di Strasburgo.

Potrete assistere in maniera virtuale, in prima persona, alle simulazioni di reato ed alle calunnie, organizzate contro un cittadino inerme, da una cosca di farabutti ed i loro complici “traditori” insinuatisi nelle Istituzioni Repubblicane. Il tutto sarà provato dagli stessi atti pubblici da “Loro” costruiti e falsificati. Ma, per fare questo, dovrò attrezzarmi di uno scanner e, soprattutto, imparare ad usarlo!

Ve ne anticipo una per tutte : In data 2 Marzo 1991, alle ore 12:00, fui tratto in arresto in un bar sotto casa mia, mentre prendevo un caffè, da solo. Un “sedicente collaboratore” (in realtà un noto spacciatore locale e confidente), colto in flagrante possesso di hashish, disse alla polizia di averla acquistata da me, poco prima del suo arresto, in una pineta vicina. Negai il tutto (non c’era pericolo, questa volta, che incriminassero mia madre, appena defunta, e/o mio Padre che, alla notizia della morte di mamma, fu colto da un ictus ed era in ospedale paralizzato, tra la vita e la morte) e, nonostante i sopralluoghi effettuati evidenziassero l’inattendibilità delle accuse e l’impossibilità di commettere quelle azioni, così come il “sedicente collaboratore” aveva raccontato, fui portato in carcere. Il Commissario Malloni, il Brigadiere L’aiola ed altri tre agenti di polizia, avevano firmato la relazione di Servizio, 2 Marzo 1991, con la quale “Davano Atto di avermi visto, con la mia auto e con Carta Vincenzo (il collaboratore) a bordo, recarmi nella pineta (indicata dal pentito) passando da una strada che non era, in alcun modo, transitabile … come risultò agli stessi agenti, con i sopralluoghi !. Questo rese attendibili, per il Tribunale, le accuse del Delinquente calunniatore .

Pochi giorni dopo, esattamente il 6 Marzo 1991, nella cella dove ero stato rinchiuso, potei leggere, sui giornali locali, Nuova Sardegna e Unione Sarda che ero stato arrestato in una pineta ; in flagranza di reato ; con la droga ancora in tasca : …mentre la spacciavo al “confidente”, il quale, a quanto leggevo sui giornali, … non appariva più essere stato colto in possesso di alcunchè ! ! ! La droga (5 grammi di hashish) sarebbe stata addosso a me e sulla mia auto ! ? (ancora una volta la stessa trappola … sono davvero in decadenza!!!). Protestai vivamente e denunciai per diffamazione a mezzo stampa i giornali e le TV locali, ma, a tutt’oggi, dopo sei anni, nulla è stato fatto, (alla faccia dell’obbligatorietà dell’azione penale !). Eppure, che quelle notizie erano false, lo sapevano bene anche i Magistrati che mi arrestarono e condannarono ! – … Davvero un potere immenso quello della stampa ! ! ! – ripensavo in carcere.

Nel Maggio 1994,esattamente il 16, presentai un Esposto sul comportamento di quei Giornali all’Ordine Nazionale dei Giornalisti, ma non mi risposero nemmeno. Lo presentai in copia per conoscenza anche al Capo dello Stato, al Ministero di Grazia e Giustizia ed alla Commissione Europea. Le “Autorità Nazionali” rinviarono a Giudizio me per Calunnia a Roma!?.

La Commissione Europea, dopo aver ottenuto l’Archiviazione di uno dei due Procedimenti per Calunnia sul medesimo Esposto del 23 Luglio ’93perchè era una chiara violazione dei miei Diritti fondamentali di cui agli Art. 25 e degli accordi di Londra del Maggio 1969, sta esaminando attualmente la violazione dei miei Diritti fondamentali di cui all’Art.13 della Convenzione. Tutta questa parte della vergogna (non certo la mia!) che vi racconto, la potete leggere sul Collegamento ipertestuale che chiamo: Roma VI°

Non vedendoci chiaro nel Rinvio a Giudizio per Calunnia, chiesto dal P. M. della Procura di Roma, Dr. Buchicchio, ed ottenuto il 17-11-94, dal G.I.P. di Roma Dr. Pazienti (in mia assenza, peraltro, come leggerete, giustificata), ho inviato un documentato Esposto (l’ennesimo!) alla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Perugia (competente ad indagare sull’operato della Magistratura Romana), chiedendogli di voler aprire un indagine finalizzata a verificare quali fossero le reali ragioni del rinvio a giudizio per calunnia del sottoscritto … quando, con le stesse produzioni documentali e testimoniali allegate all’Esposto inviato alle massime autorità nazionali ed Europee, dimostravo che il calunniato ero io!. Calunniato da tutti coloro che, invece, la Procura di Roma, in persona del Dr. Buchicchio, identificava come parti offese … da me!?. Inoltre, chiedevo di sapere che fine avessero fatto tutte le documentazioni probatorie allegate all’Esposto e delle quali non si faceva menzione nel rinvio a giudizio suddetto, ipotizzandosi perciò il reato omissione di Atti d’Ufficio e favoreggiamento nella simulazione dei reati e delle calunnie che avevo subito e denunciato. Potrete capire meglio quest’altra vicenda leggendo il capitolo relativo nel collegamento ipertestuale riguardante Perugia

Tutte le notizie riguardanti le mal’azioni dei Processi riguardanti il sedicente “Collaboratore” Carta Vincenzo le potete apprendere meglio nell’allegato “Revisione” e, quando sarà possibile, in tutti gli altri Ricorsi alle Autorità Europee. Non temo smentite in quanto si tratta di Atti Giudiziari dal tenore indubbio. Anche se, nell’ombra, certe “Loro” autorità, mi hanno dimostrato di essere capaci di tutto.

Fu Gesù Cristo a dire: “Chi fa il male teme la Luce e la sfugge … perchè nella Luce si scoprono le sue opere!” Povero Cristo, Lui doveva saperne qualcosa di certe canaglie che agiscono nell’ombra!

In questi ultimi tempi poi, in televisione, vedo persone mai viste che “convegnano” su Gladio e chiedono al Presidente Scalfaro la riabilitazione per i Gladiatori (!?). Chi mai l’avrebbe chiesta una cosa simile? ! Ancora insulti, ancora umiliazioni. Di che cosa dovremmo essere riabilitati Noi, di esserci fatti usare come bestie da macello? ! .

Io mi batto da solo, contro tutti costoro, per riavere il mio Onore. Offeso dagli abusi del Potere di certi mafiosi per i quali ci siamo battuti sui campi di battaglia di mezzo mondo, con l’unica attenuante che non sapevamo chi fossero!.

Noi eravamo in buona fede! (… e siamo tutti morti! Nex Naturae)

Preciso che io non lascerò l’Italia senza prima aver portato a termine questa mia ultima missione. Ne va del mio Onore, ed io ci tengo.

Ma per il mio futuro, spero più immediato, non vedo altra soluzione se non la richiesta di asilo politico ad un paese ancora Democratico. Una volta dimostrata la persecuzione giudiziaria attraverso le giuste Sentenze della Commissione Europea che ormai non dovrebbero tardare, potrò usufruire di quanto è garantito dall’art. 14 della Convenzione di New York del 10 Dicembre 1948 e cercare Asilo dalla persecuzione in un altro paese. Qui sono rimasto solo e non è più la mia Patria.

Senza nulla togliere ai meriti di quei Magistrati che coraggiosamente mi hanno assolto, a dispetto del linciaggio a cui ero sottoposto dagli organi d’informazione e dai corrotti e dai calunniatori che falsificarono prove e testimonianze per eliminarmi e derubarmi, affermo che ciò che ho vissuto e subito non si può dimenticare. Inoltre … tutta la banda di farabutti io l’ho denunciata, già nel 1991, documentando le mie accuse. Sapete il seguito che hanno avuto in Italia ? …Il mio rinvio a giudizio per calunnia e per ben due volte sullo stesso Esposto, inviato alla Commissione Europea ed al Presidente Italiano ai sensi dell’art.13 e 25 della Convenzione Europea ! Uno, come detto, è stato Archiviato per Disposizioni della Commissione Europea il 18 Aprile 1996, perché ledeva i miei Diritti fondamentali di denunciare abusi e corruttele ; per l’altro si terrà l’ultima udienza a Roma, sesta sezione Penale, il 18 Giugno 1997(N.d.R. è stato rinviato su richiesta del P.M al 17 Novembre ’97 e, il 17 Novembre, ancora una volta senza darmi la possibilità di contestare in udienza e personalmente le accuse, come fatto obbligo a pena di nullità dall’art. 523 -5 C.p.p.  sono stato condannato, come potrete leggere al capitolo “Romavies.htm”, in maniera non meno vergognosa delle altre!). Ciò nonostante le prove autentiche e le testimonianze a riprova che ho denunciato il vero, altro che calunnie ! … Potrei mai considerare, questa, ancora la mia Patria ? ! … e Voi?!

Non cerco rifugio, nè protezione, solo una nuova Patria degna di questo nome. Per me è essenziale vivere secondo gli ideali in cui credo e tra persone che li condividano. Ho infranto il Giuramento di non rivelare mai la mia identità, ma sono rimasto solo e ho presunto che quel Giuramento, ora, non ha più senso.

Inoltre, forse, quanto ho denunciato nei Ricorsi alla Commissione Europea per i Diritti e le Libertà fondamentali dell’Uomo di Strasburgo, potrebbe essere utile ad ottenere a mia moglie e mio figlio una nuova Patria in cui credere.

Oltre servire lo scopo che vi ho dichiarato, di non permettere che di noi resti solo quello che i corrotti servi dei Tiranni hanno scritto e detto.

Buona fortuna a tutti. In fede Vostro : G.71 VO 155 M.

 N.B : Questa è una storia vera, ma i nomi dei protagonisti e di alcuni luoghi sono stati modificati in osservanza degli obblighi alla riservatezza di cui all’art.33 della Convenzione Europea. L’inosservanza di tali obblighi renderebbe irricevibili tutti i Ricorsi suddetti ! Quindi, ogni riferimento a fatti e persone esistenti è da considerarsi omonimia puramente casuale. Le identità dei protagonisti saranno rese note prossimamente qui, pubblicando interamente tutti gli Atti dei Processi subiti, di condanna e di assoluzione, che provano la persecuzione denunciata nei Ricorsi alla Commissione Europea per i Diritti Umani citati, di cui al presente elenco :

Ricorso n.31230/96 Procedura III°. 1) Ricorso riguardante la soc. cooperativa edilizia Turrimanna e l’opera di saccheggio subita sui beni personali e familiari con perdita dell’alloggio già assegnato grazie alle provate falsificazioni di Atti pubblici, nonché l’appropriazione delle mie quote per £57.000.000 dal 1991: Violazione dell’art.6 Convenzione Europea e art.1 del protocollo addizionale 1. L’Italia dovrà giustificare il suo operato entro il 13 Giugno ’97 … vi farò sapere! .Oggi, 25 luglio ’97, Lo ha fatto … dicendo che:” le violazioni ci sono state, ma le facciamo a tutti, non solo a Lui!”… non ci credete? le leggerete, appena possibile, qui! … anche io non volevo credere a quello che leggevo, ma è tutto vero purtroppo!. Il 10 Febbraio 1997, come già detto, difeso dall’Avv. Concas Pier Luigi del Foro di Cagliari, sono stato assolto anche di queste simulazioni perché il fatto non sussiste! Il 2 Ottobre, il Giudice Istruttore della causa Civile Arconte-cooperativa Turrimanna, attraverso la quale tento, dal 1991, di rientrare in possesso dei miei beni sottrattimi dai lestofanti attraverso le calunnie e le simulazioni denunciate, mi ha concesso il sequestro di beni alla cooperativa a garanzia delle restituzioni dovutemi spese e danni …meglio tardi che mai!, ma nel frattempo, i lestofanti, aiutati dai rinvii del Tribunale, si sono assegnati le case in proprietà …anche la mia! ed hanno prelevato ogni denaro dalla Banca!. — Il 22 Ottobre ’97 La Commissione Europea dei Diritti Umani ha accolto i tre Ricorsi contrassegnati dal numero 31230/96 Procedura I° II° e III° dandomi tempo fino al 12 Dicembre ’97 per quantificare i danni materiali, morali e le spese sostenute per far correggere l’errore e la violazione sia davanti alle Autorità giudiziarie Italiane che sul piano Europeo, che ritengo equo richiedere in risarcimento. Sto procedendo in tal senso. Il 20 Maggio 1998, la Commissione Europea mi comunica di aver preso la definitiva decisione di fare rapporto al Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa sulla violazione dei miei Diritti fondamentali sulle tre procedure suddette.

Ricorso n.31230/96 Procedura II° 2) Ricorso riguardante la condanna di primo grado del Processo 8 Marzo 1993, per le accuse di spaccio di hashish a C.V e di calunnia, fatti avvenuti nell’Agosto 1991, ed assoluzione in corte d’Appello in data 14 Novembre 1995, per non aver commesso il fatto dal capo a ; e il fatto non sussiste dal capo b Violazione dell’art.6 della Convenzione Europea. L’Italia è stata invitata a giustificare il suo operato entro il 13 Giugno 97… vi farò sapere! (La stessa Risposta come sopra!). Sono stato difeso in Appello dall’Avv. Concas Pier Luigi. In data 11 Agosto 1997, ho presentato Istanza di risarcimento danni alla Corte d’Appello di Cagliari, come previsto dalle nostre leggi all’Art. 542 e 427 C.p.p., chiedendogli che i Carabinieri ed il loro collaboratore (collaboratore a fare che?!) Carta Vincenzo, fossero condannati al risarcimento dei danni causatimi dalle loro simulazioni e calunnie …non ho ancora avuto alcuna risposta. Tale Istanza l’ho allegata anche agli Atti del Ricorso alle Autorità Europee, …Vi farò sapere! (Idem come sopra!) – In data 28 Ottobre 1997, La Corte d’Appello di Cagliari, 2° Collegio penale, riunita in camera di consiglio e composta dai magistrati: Presidente Dr. Pietro Corda; Consigliere Dr. Mario Biddau; Consigliere Dr. Salvatore Fundoni ha Deliberato che la legge Italiana non prevede risarcimenti a chi è stato Assolto in Appello dopo condanne di primo grado!? Ciò è falso, la Legge Italiana attualmente in vigore dice esattamente ciò che potete leggere sul Codice penale e di Procedura penale agli articoli succitati. Così Deliberando, la Corte d’Appello di Cagliari, mi nega un Diritto al risarcimento dei danni subiti ad opera di chi mi ha perseguitato noncurante di quanto disposto dalle Nostre Leggi e dalle Convenzioni Internazionali!

 Ricorso n.31230/96 Procedura I°. 3) Ricorso riguardante la Sentenza di assoluzione del 10 Maggio 1994 per non aver commesso il fatto : spaccio di hashish, a V.V. reati che secondo l’accusa avrei commesso nel 1984 e fino al 1986 ! ?. Violazione dell’art.6 CEDU. Anche per questa procedura l’Italia deve giustificare il suo operato entro il 13 Giugno ’97… vi farò sapere! (La stessa risposta come sopra, … però, che vergogna!). Anche per questa ulteriore simulazione di reato sono stato difeso dall’Avv. Concas Pier Luigi. (Idem come sopra!). Per questa Procedura di Assoluzione “per non aver commesso il fatto” già in primo grado, la Legge Italiana, effettivamente, non prevede alcuna forma di risarcimento se non c’è stata carcerazione preventiva e, anche in quel caso risarcisce i danni in misura variante tra le “cinquanta e le settantacinquemila lire” per ogni giorno di detenzione!?. Tanto vale la vita e l’onore di un cittadino Italiano per “Loro”; naturalmente questo non vale per “Loro” che si risarciscono danni, stipendi ed indennità, milionari …quando non miliardari! …Povera Italia!!!

Ricorso 22873/93 per l’arresto e la condanna per le accuse di C.V del 2 marzo 1991. Della vicenda è in corso anche il processo di Revisione su mia Istanza, cosa che posso allegare perché si legga di che altra vigliaccata si tratta. E’ all’attenzione della Cassazione Italiana. Violazione dell’art.6 CEDU . Puoi leggere tutta la vicenda al capitolo Diffamazione e Calunnia” Le ultime notizie su questa Procedura di Ricorso (del 21 Giugno 97) dicono che la Commissione Europea ha ritenuto fare rapporto al Consiglio dei Ministri del Consiglio d’Europa, attendo di riceverlo, ma non potrò Pubblicarlo fino a che la Corte Europea non lo avrà esaminato “a pena di inamissibilità!” … ed io ci tengo molto ad andare davanti alla Corte Europea come controparte dell’Italia … beninteso di questa Italia!. La Commissione Europea mi ha già fatto sapere che, in base al nuovo Protocollo n.9, mi verrà riconosciuta pari dignità dell’Italia ed in quella sede … parlerò, finalmente, anche a nome dei miei commilitoni caduti e cancellati, sarò anche la Loro rabbia, la rabbia di chi c’era ed è stato cancellato! In data 118 Febbraio 1998, il Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa, in virtù dell’art. 32 della Convenzione Europea, ha definitivamente dichiarato che, nel Ricorso 22873/93 Arconte contro Italia, l’Italia ha violato l’art. 6 della Convenzione Europea e proseguirà l’esame del presente affare, conformemente all’art. 32 in vista dell’adozione della risoluzione finale. Autorizzandone la pubblicazion, effettuata, l’8 maggio 1998, dall’Unione Sarda http://www.unionesarda.it in cronaca di Oristano.

Ricorso PX 0262 , con il quale protesto per il mancato rispetto di parte dei miei beni, da parte delle autorità giudiziarie Italiane, che hanno permesso con la loro inattività (recita la delibera della Commissione Europea del 12 Aprile 1996) che i “voleurs” (ladri) sottraessero i miei beni. Violazione dell’art.6 CEDU e dell’art.1 del protocollo addizionale.

Ricorso PX 0263, con il quale protesto il mancato rispetto di un altra parte dei miei beni dalle stesse autorità. Violazione dell’art.6 e dell’art.1. Ricorso PK 1551, con il quale protesto sempre per il mancato rispetto dei miei beni da parte delle stesse autorità. Il tutto, con il Ricorso PH 9888 dimostra il saccheggio dei miei beni di famiglia.

Ricorso n.34235/96. Ricorso chiuso da un accordo, vista l’inattività delle autorità giudiziarie Italiane, per evitare che, in attesa di un intervento giudiziario, la mia famiglia finisse a vivere di stenti. Tali Atti possono essere pubblicati da subito in quanto il riserbo di cui all’art.33 non c’è più. Ma ho chiesto che la Corte di Giustizia Europea proceda contro l’Italia per la persecuzione giudiziaria che Le ho denunciato, esaminando insieme tutte queste vessazioni elencate.

Affaire Arconte c. Italie (86/1997/870/1082) – In data 19 Settembre 1997, la Corte Europea (http://www.dhcour.coe.fr) mi informa di aver Registrato il mio Ricorso per la persecuzione giudiziaria ingiusta a Lei lamentata conseguente a tutti i Ricorsi davanti alla Commissione Europea succitati che, a loro volta, sono conseguenti a tutte le azioni giudiziarie subite dalle Autorità Italiane che (recita la Decisione della Commissione Europea in data 12 Aprile 1996):” a causa della Loro inattività hanno permesso ai voleur (ladri) di continuare a sottrarmi, indisturbati, i miei beni!!!”In data 10 marzo 1998, la Commissione Europea mi da atto ufficialmente, con una sua raccomandata a ricevuta di ritorno,che nei numerosi ricorsi che mi riguardano esiste una “persecuzione” di cui è perfettamente informata, ma, essa, è compresa nelle precedenti pronunce a mio favore già adottate dalla Commissione: “…Tuttavia, se richiedo una pronuncia specifica sul punto “persecuzione”, dalla Commissione, La invito a farcelo sapere …” scrive il Segretariato il 10 marzo ’98; naturalmente ho richiesto un pronunciamento ufficiale sul punto persecuzione e la violazione dei Diritti garantiti dall’articolo 14 della Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo e della Convenzione Europea ed è stato accolto il Ricorso n. 40878/98 Arconte contro Italia, comprendente tutti quelli già accolti e per cui l’Italia è stata già condannata.

Da tutti gli atti qui citati vi potrete rendere personalmente conto che fine ha fatto il Diritto e che cosa si intende con : Impero del male ! … così lo chiamava Ronald Reagan, Presidente U.S.A e che , l’Impero del male, ha esteso i suoi confini ben oltre la vecchia “cortina di ferro“.

La Civiltà Democratica Occidentale si regge sul Diritto. Caduto questo … tutto è perduto !

Ma, non fu colpa delle nostre armi, bensì della codardia e della corruzione di un intero popolo che tollera tutto questo senza ribellarsi … o forse è solo per ignoranza, il che è pure peggio !.

Atene: nasce la Democrazia.

Millenni orsono, i nostri antenati, Padri fondatori dell’Occidente Democratico, si ribellarono ai Tiranni che vivevano nel lusso tassando ed affamando il popolo e li cacciarono dalla loro città : Atene. Si diedero un governo scelto dal popolo e studiarono un codice di leggi che tutti dovevano rispettare. Roma proseguì su questa via e perfezionò quei codici e quelle leggi, che chiamarono Diritti. Il Diritto era, al fine, un sistema studiato per sconfiggere la miseria e portare l’Umanità fuori dalla barbarie, a non vivere da bruti, ad evolvere ed a progredire. Iniziò così la storia dell’Occidente Democratico che si fondava sul Diritto e sul Merito.

(Sogno di farfalle)

Ma era un sistema tanto forte agli attacchi esterni, quanto fragile al suo interno. Infatti, bastava che, con la corruzione, il potere nella società Democratica finisse in mani “ingiuste” perché tutto crollasse e finisse di nuovo in miseria ! nell’abbrutimento dei primordi … nella barbarie !

Dicevano gli antichi : Chi lascia che l’ingiusto sieda nel posto che è del Giusto, merita di sprofondare nell’abisso …della Barbarie. Questo mi fece capire perché dove la società del Diritto cadeva, arrivava la miseria, il degrado morale e sociale … la barbarie, e paesi potenzialmente ricchissimi in materie prime … come l’Angola, finissero a distruggersi in odi razziali e guerre etniche e, nel giro di pochi anni, a dipendere dagli aiuti alimentari … sempre Occidentali !  per non morire di fame.

Ditemi, Voi che leggete, andò verso un futuro di”luminoso progresso”, il popolo Cambogiano, con il “Rivoluzionario Maoista” Pol Pot?: noi lo combattemmo e, fin da subito, lo definimmo un Tiranno e un criminale contro i Diritti Umani!

(Le Meduse e l’Abisso)

Ditemi quanto “luminoso progresso” portò al popolo Vietnamita la rivoluzione dei Viet-Kong … e forse falso che, ridotto alla fame … dopo venti anni di malgoverno, oggi chiede aiuto all’Occidente Democratico ed agli stessi Stati Uniti d’America?!

Io spero che li avrà, lo merita. Ho conosciuto un popolo capace di grandi sacrifici per ottenere il Diritto di essere rispettato, in quanto popolo, e veder riconosciuto il suo Diritto all’Indipendenza ed all’autodeterminazione. Noi, però, combattemmo i nemici dei popoli, di tutti i popoli, anche di quello Viet: i Tiranni, quei Tiranni capaci di ogni bassezza e di ogni travestimento, pur di ottenere lo scopo di sfruttare i popoli e di vivere alle loro spalle. Noi abbiamo denunciato il tragico inganno, ai danni del popolo Vietnamita, da parte dei suoi Tiranni di sempre e la vera storia della guerra del Vietnam e della faida “Nguyèn“, fin dal 1975. Anche per conto di Capo Long, da sempre in fuga davanti ad uno Nguyèn in arrivo, ma senza mai perdere la fede e la speranza in un futuro di Libertà e di Giustizia che solo la Democrazia può garantire. Auguro ai suoi discendenti che quel futuro sia giunto … se lo sono guadagnato! Ed al popolo Cubano, quanto “luminoso progresso” ha portato la “Revolucion di Castro?”. E’ storia recente vedere come sono ridotti. Ma non poterono vederlo quanti si sono battuti per quest’altro grande inganno: CienfuegosGuevaraOchoa e chissà quanti altri ignoti che capirono … sono stati tutti uccisi, assassinati!!! Anche questo Noi lo avevamo detto … forse è per questo che siamo stati cancellati?!

Ed i popoli del Medioriente, quelli ingannati dai Marxisti e quelli ingannati dagli Integralismi Religiosi, quale “luminoso progresso” hanno conosciuto dopo le Rivoluzioni che hanno combattuto?. Paesi ricchissimi in materie prime che mostrano un popolo denutrito che si trascina la vita tra gli stenti. Quale luminoso progresso ha conosciuto l’Iran dello Scià di Persia con l’avvento degli Ayatollah?. Noi dicemmo fin da subito dopo l’operazione Aden che il Regime Tirannico a cui lo Scià costringeva il popolo Iraniano dal colpo di Stato del 1953 (organizzato dalla CIA), avrebbe portato a conseguenze imprevedibili, ma quel rapporto era datato ’75.

Quale progresso luminoso ha portato allaCorea del Nord la “Rivoluzione Proletaria”? Oggi sono alla fame, mentre la Corea del Sud, stesso popolo e stessa cultura all’origine, è una potenza economica.

E la Cina del “Mandarino proletario” Mao Tsè Tung che, di pensierino in pensierino, ha macellato tutti coloro che non la pensavano come lui … o forse, semplicemente, non capivano i suoi pensierini, quanto luminoso progresso ha avuto?. Prima delle riforme volute da Deng Xiao Ping (sopravvissuto al macellaio, anche se più volte portato nel macello) erano ridotti a vivere di chicchi di riso. Ma la Cina di Formosa, con il nome di Taiwan, è una potenza economica come, del resto, Hong Kong … stesso popolo e stessa cultura! La Storia più recente ci ha fatto sapere che, ancora una volta, sono stati minacciati di invasione dalla Repubblica popolare Cinese. Da sempre costretti a vivere l’incubo di un invasione da parte dei “Democratici” proletari della Repubblica Popolare, sono riusciti comunque a costruire, dalle rovine della guerra civile e dell’esodo a cui li costrinse il “Grande Timoniere”, una potenza economica ed industriale tecnologicamente avanzata. Da grande ammiratore della millenaria civiltà Cinese, non dovrei capire come sia potuto accadere che la Cina sia caduta dalla sua stessa civiltà. Ma, in realtà, lo capisco benissimo! I motivi sono sempre gli stessi … la corruzione, nessuno crede più nei valori creativi, tutti sono in vendita, anche i voti! … e giunge la fine.

Come dicevano gli Antenatichi lascia che l’ingiusto sieda nel posto che è del giusto … merita tutto quello che gli accadrà!. Io non smetto di sperare di poter vedere di nuovo, in questa vita, la grande Cina in piedi e non solo come potenza militare. Chiederò al “Ching” se pensa che questo potrà accadere … Lui lo sa!

Ching ha risposto 37 “La Casata”, un solo sei al secondo posto: “Ella non deve seguire il suo capriccio. Deve provvedere all’interno per il Cibo. Perseveranza reca salute!”

…Auguri Grande Cina.

E che dire dei popoli dell’Europa dell’Est?. La nostra stessa cultura, Europei come noi, perchè sono ridotti alla fame?; hanno un territorio molto più ricco in materie prime di noi; hanno giacimenti enormi di Petrolio, Oro, Diamanti, distese sconfinate di terre coltivabili … perchè sono in miseria, perchè questo degrado?.

Nel rapporto successivo alla operazione Leningrado denunciavamo la repressione brutale da vera Tirannia a cui erano sottomessi i popoli, nostri fratelli, dell’Eurasia. Nello stesso rapporto, i nostri contatti d’oltre cortina, denunciavano che, i Tiranni, si preparavano all’Olocausto Nucleare costruendo un rifugio Atomico sotto Mosca nel quale trovare riparo per se e per i loro familiari ed accoliti, infischiandosene del popolo. Così come se ne infischiavano del fatto che il popolo viveva di stenti, tra i ghiacci Siberiani, nelle fabbriche o nelle miniere, per mantenere “l’apparatcic” di uno Stato sempre più enorme e sempre più inutile. … Non vi ricorda niente questo?  Non credete che, alla fine, la verità sia semplicemente che non ci sono più di due sistemi di governo possibili: quello Democratico di un popolo maturo che pretende il rispetto dei suoi Diritti e, primo fra tutti, di non essere sfruttato oltre ogni limite per mantenere inutili bighelloni impadronitisi con l’inganno dei pubblici poteri; e quello delle Dittature, non importa travestite da cosa, che questi Diritti negano ad un popolo che non è maturo per pretenderli, capire e ribellarsi alla Tirannia. Cioè la scelta di sempre: Occidente Democratico o Oriente Totalitario , Atene o Sparta … Democrazia o Dittatura!

Ma è una libera scelta, che si fa ogni giorno, ogni volta che si denuncia un abuso e non si tollerano soprusi e privilegi … ed anche ogni volta che, invece, si fa finta di non vedere … di non sentire.

Così si poterono approvare Leggi criminali contro i Diritti dell’uomo, nell’indifferenza dei più; così si poterono trasportare, su vagoni piombati, interi popoli diretti nei campi di sterminio;

Così si potè andare, casa per casa, a raccogliere i dissidenti da deportare in Siberia per le “rieducazioni“, o deportare interi popoli, da un territorio ad un altro, sulla base delle follie e dei capricci del Tiranno di turno … come dite?… storia vecchia!?… Pol Pot l’ho conosciuto anch’io e l’annientamento del popolo Cambogiano è storia di non più di vent’ anni orsono. Ma, è storia vecchia la Cecenia?, … la Bosnia? Sono storie vecchie le notizie di eccidi efferati da parte di qualche Tiranno?.

Io ne sento molti anche in questi giorni. Ma, elencarli quì, non mi sembra occorra e sarebbe retorica, visto che nulla posso, ormai, per impedirli. Posso, invece, combattere efficacemente la Tirannia per non sentirmene complice e lo faccio, con tutte le armi che la Democrazia in cui credo mi consente: non tellerando abusi e soprusi, facendo quanto mi è possibile per screditare i Tiranni o aspiranti tali. Tentando così, di impedire che crescano e si rafforzino fino al punto di poter ricommettere le efferatezze di sempre.

Anche questo che stai leggendo è un modo di contrastarli!

Il primo dei Diritti fondamentali che ha caratterizzato la differenza tra l’Oriente Totalitario e l’Occidente Democratico è il rispetto della proprietà privata, di quell’art.1 del protocollo Addizionale della Convenzione Internazionale dei Diritti Umani che l’Italia ha più volte violato contro di me, … ma solo contro di me ? !.

Solo il pieno ripristino dei Diritti Democratici e delle Libertà fondamentali dell’Uomo può fermare il degrado Economico, Sociale, Morale e Politico a cui state assistendo indifferenti e restituirci il bene perduto!

 (La cornucopia)

Dalle vicende che ho vissuto, e che solo in parte ho potuto riassumervi, posso dire che ho assistito alla caduta del Diritto anche qui, in Italia e quel che è peggio, tra l’indifferenza generale.

Per quelle che sono state le mie esperienze nel mondo posso dire : “La storia si ripete, Roma è caduta di nuovo, sarà di nuovo invasa dai barbari e, ancora una volta, a causa della sua corruzione !”. Ma, attenti Voi che pensate che non possa riaccadere, perchè sta già riaccadendo e, nonostante la speranza che ancora, malgrado tutto, continuo a nutrire, forse, in realtà … è già troppo tardi!

Nessuno prende lezioni dalla storia, … queste cose hanno perduto la mia Patria.

O mia Patria si bella e perduta … !”

Io, però, non mi arrendo ne mi arrenderò mai !. Se tutto è davvero finito così, se non ci sarà ritorno per Voi tutti da … “oltre cortina”, ancora una volta non sarà stata Nostra la colpa. Io ho fatto tutto il mio dovere per la mia Patria, … la Patria del Diritto !. Anche quello di non tollerare abusi e di denunciarli, con fede e coraggio … anche da solo contro tutti, come è sempre stato del resto ! … Io tornerò anche da quest’ ultima Missione, l’ultima, … la più difficile ! AVE… ! ! !  

http://www.almanaccodeimisteri.info/arconte.htm 


STORIE DI GLADIATORI

Incontro ravvicinato con un ex soldato italiano di Gladio

G71, questo era il nome in condice di Antonino Arconte, un ex militare che da anni lotta per il riconoscimento del servizio prestato nella “Seconda Centuria Lupi” ai tempi della Guerra Fredda. “L’Italia ci ha cancellati, come se non fossimo mai esistiti, per coprire I suoi misteri”

“PRONTO VACCARA? Sono Nino Arconte, ho già parlato con il suo direttore che mi ha detto che si sarebbe occupato lei della mia storia. Le ha già detto chi sono e per che cosa chiamo, vero?”. In una giornata afosa di giugno, di quelle in cui New York ti dà un assaggio della bollente estate in arrivo tra i grattacieli, arriva una telefonata dove la cornetta scotta anche quando l’aria condizionata è al massimo. “Sì, Mantineo mi ha accennato e mi ha detto che avrebbe chiamato. La ascolto”. “Sì, ma non al telefono”, dice la voce dal pronunciato accento sardo, “mi dia il suo indirizzo e sarò subito da lei. Ho un aereo che parte tra sei ore, è bene fare in fretta, ho tanto da raccontarle e non posso al telefono perché ho delle carte da consegnarle”.

Poco prima il direttore mi aveva annunciato che un certo Antonino Arconte aveva chiamato in redazione qualificandosi come un “ex gladiatore”, cioè un agente dei servizi segreti militari italiani facente parte del corpo speciale conosciuto col nome di Gladio, operante durante la Guerra Fredda nell’ambito della struttura Nato chiamata “Stay Behind”: “Dice che è qui a New York per consegnare una documentazione alle Nazioni Unite, sta facendo ritorno in Italia ma prima di partire vuole raccontare la sua storia al giornale. Stefano, vedi di che si tratta, potrebbe venirne fuori qualcosa di interessante”.

La storia che leggerete è il risultato di due ore di conversazione registrate con Antonino Arconte, di pagine e pagine di documentazione consegnatemi da lui a New York prima della sua partenza, il tutto integrato da una corrispondenza via internet in cui l’ex gladiatore ha accettato di chiarire ancora al cronista alcuni punti del suo racconto. Ho letto le carte e i documenti da lui consegnati. Le vicende sono ricostruite così come riportate da Arconte. Alla fine la decisione di pubblicare la sua storia non deriva dalla certezza che quello dichiarato da un ex gladiatore corrisponda alla verità accertata di un pezzo di storia italiana, ma dalla constatazione che, una volta ragionevolmente convinti che Antonino Arconte abbia fatto parte dell’apparato dei servizi segreti della difesa italiana (il famoso SID), la sua storia personale e la sua ricostruzione di certi avvenimenti possano mettere in rilevanza certi aspetti delle vicende, o meglio dei “misteri” italiani, rimasti in ombra o non considerati del tutto. Stragi di Ustica e Bologna, rapimento Moro, attentato al Papa, suicidio Gardini, ecco come la storia di un ex gladiatore si intreccia con alcune delle pagine più nere della Repubblica.

Arconte arriva nel mio ufficio con la valigia già pronta. “Sto partendo, ho compiuto la mia ultima missione. Ho fatto tutto quello che era nelle mie possibilità, ora finalmente sono in pace con me stesso.” Nino, così si presenta quest’uomo di 44 anni che ha l’aspetto di un ventenne e oltre a portare lo stesso nome assomiglia proprio al pugile Nino Benvenuti, con in più il corpo di Arnold Swartznegger. “Nell’articolo mi chiami G71, è il mio nome in codice. Noi gladiatori ci riconoscevamo soltanto per il codice. A chi ha lavorato con me leggendo questa storia il nome Arconte non dice nulla, ma G71 lo riconoscerà.”

Accendo il registratore e G71 inizia a parlare e mentre lo fa, senza interruzione per 120 minuti, rovistando tra le sue carte e mostrandomele freneticamente, nel suo saltare da un argomento ad un altro non si percepisce soltanto la fretta di chi deve partire, ma anche la preoccupazione di chi teme di non essere compreso o non creduto affatto. “Forse non sono stato chiaro” ripeterà più volte G71, “ma troverà tutto in queste pagine intitolate ‘La vera storia di Gladio’. Sono molte ma le legga, capirà tutto”.

“La vera storia di Gladio”, così ha intitolato il suo memoriale G71. “Ho messo tutto sull’internet, ho creato un sito apposta (htpp://www.geocities.com/pentagon/4031). Così facendo credo di essermi salvato la vita”. Così parte la prima pagina del sito internet di G71: “Scrivo questa storia ad Ajaccio, in Corsica, in questo 10 Febbraio 1997, anniversario del Tet dell’anno della Tigre di Legno (1975), per evitare che, con la mia morte, la cancellazione mia e dei miei commilitoni giunga a compimento e di noi non restino altro che le diffamazioni e le calunnie che ci sono state riservate in questi anni di infamie. Se morirò prima di essere riuscito a portare a termine la mia ultima missione, affido a Voi, popolo di Internet, la nostra storia, quella vera! La storia delle tre Centurie dei Gladiatori di Stay-behind Italia. I Gladiatori del S.I.D : ciò che furono e ciò che ne è stato”.

LE TRE CENTURIE

G71 spiega come erano devise le tre centurie: “La Prima Centuria era chiamata Aquile, erano cioè aviatori, alcuni paracadutisti della Folgore. La Seconda Centuria era chiamata Lupi, io appartenevo a quella, composta da quelli provenienti dalla Marina e dall’esercito. Poi c’era la Terza Centuria detta Colombe. Non era composta da militari ma da civili, anche donne, che dovevano fare da supporto per le informazioni. Alcuni di loro sono stati poi accusati di aver partecipato a stragi, ma non era vero e alla fine sono stati assolti. Noi eravamo una struttura segreta della Nato. Ora delle Aquile e i Lupi non è rimasto niente. O siamo morti o siamo stati cancellati, spariti, mai esisititi per lo Stato italiano”.

“Quando ho scritto a Cossiga, Craxi e Andreotti, perché allora loro avevano incarichi costituzionali, mi ha risposto solo Cossiga con due righe generiche. Così mentre tutti ci attaccavano e venivamo inquisiti dai magistrati i politici facevano a scarica barile. Nessuno voleva saper niente di noi, sembravamo tutti banditi, nessuno ci ha arruolato, nessuno ci ha ordinato niente, nessuno ci ha pagato. Solo adesso escono le interviste dove Cossiga e Andreotti dicono che noi eravamo costituiti in ambito Nato, che non eravamo una organizzazione illegale ma soldati ben addestrati che compivano il loro dovere.

Così io potevo essere sbattuto in galera con false accuse costruite e dalle quali poi sono stato assolto con formula piena, e nessuno del governo interveniva per dire chi ero, chi era in realtà la persona che avevano arrestato ingiustamente.”

Ma perché G71 è venuto a New York, in cosa consiste questa “ultima missione”?

“Noi siamo stati cancellati, capisce, cancellati oppure siamo stati ‘suicidati’. Quando siamo diventati gladiatori, dopo aver ricevuto un finto congedo da militari e avuto lavori di copertura per le nostre missioni, ci sono state date le istruzioni di cosa avremmo dovuto fare se fossimo stati annientati, se il nostro Paese fosse caduto in mano al nemico. Dovevamo denunciare il tutto alle Corti internazionali dei diritti umani di Strasburgo e all’Onu. E così ho fatto. Ho portato le prove della persecuzione in atto nei miei confronti e di quelle che hanno colpito i miei commilitoni, ancora più sfortunati perché hanno perso la vita in missione o sono stati poi ‘suicidati’. Io ho subìto un ‘tentato suicidio’, il 28 febbraio del ‘93.

IL FALSO SUICIDIO

Durante uno degli allenamenti che per passione ancora pratico, risalendo dalla scogliera tra Capo Marrargiu e Poglina, in Sardegna, fui afferrato da due uomini che tentarono di farmi precipitare sugli scogli sottostanti: riuscirono solo a cadere con me, ma io risalii anche questa volta. Raggiunsi Alghero per procurarmi disinfettante per le escoriazioni, alcune abbastanza profonde, e per giorni attesi di leggere qualche notizia sul giornale sull’’incidente’, ma nessuna notizia fu pubblicata, nemmeno sul rinvenimento della loro auto che pure era rimasta ben visibile dalla strada. Dopo una decina di giorni andai a vedere personalmente e ogni traccia dell’accaduto era stata rimossa e l’auto non c’era più!”.

Non ha fatto denuncia alla polizia?

“E a chi, a quelli che mi accusavano di essere uno spacciatore e costruivano prove false nei miei confronti? Ai magistrati che mi condannavano? Io capivo che mi perseguitavano per il mio passato e pensavo soltanto a come difendermi”.

Arconte è stato arrestato nel 1991 con l’accusa di spaccio di droga. Dopo diversi appelli e sentenze, è riuscito a dimostrare come fossero false le testimonianze firmate dai poliziotti che lo avrebbero visto consegnare 5 grammi di hashis. “Lo hanno poi dovuto ammettere che avevano firmato un documento senza sapere cosa ci fosse scritto. In un altro Paese, anche se poliziotti, sarebbero stati puniti, insomma qualcuno avrebbe pagato per queste false accuse, no? Invece niente, a loro non è successo niente”. Sempre nello stesso periodo, mentre era presidente di una cooperativa per costruire villette familiari, viene accusato di appropriazione indebita e condannato. Anche lì Arconte ricorre in appello per dimostrare che le accuse erano costruite. “Hanno utilizzato anche fotomontaggi. Ma io tutto questo lo sono andato a denunciare anche alla Corte di Strasburgo, con tutto il resto delle persecuzioni riguardo alla cancellazione del mio passato di gladiatore. Sa come chiamano il mio caso? Arconte contro l’Italia. Ma io non sono contro l’Italia, sono contro coloro che se ne sono impossessati, coloro che ne hanno corrotto le istituzioni. A Strasburgo mi hanno dato ragione, nel sito internet c’è tutto, potete vedere le sentenze con i rispettivi numeri di protocollo. Proprio in questi giorni mi è stato comunicato dalla Commissione europea che l’Italia deve versarmi un primo ‘equo risarcimento entro tre mesi’, certo è una cifra simbolica rispetto ai danni che ho subìto, ma è sempre meglio di niente. Della magistratura italiana non si ci può più fidare, continuare a sperare che sono in buona fede mi viene proprio difficile. Parlo di alcuni suoi elementi, non di tutti per fortuna, perché altrimenti a quest’ora starei ancora in galera. Ma ci sono molti magistrati che sono venduti a chi ha interesse che l’Italia finisca in certe mani. Non sto parlando di politica, sto parlando di gente che politica non ne fa. Qui non si parla di persone che possono essere elette. Sono poteri occulti, sotterranei”.

GLADIATORI ECCELLENTI

“Così uno come Raul Gardini (il presidente della Ferruzzi sparatosi nel luglio di cinque anni fa durante le inchieste di Tangentopoli) può essere ‘suicidato’, grazie a una magistratura che archivia come suicidio un caso dove non si trova polvere da sparo sul braccio, la pistola, senza le sue impronte, viene trovata su un tavolino opposto al letto dove viene trovato il corpo. E lo stesso era avvenuto pochi giorni con Cagliari, il presidente dell’Eni, anche lui ‘suicidato’ in carcere con un sacchetto in testa. Io Gardini l’ho conosciuto, non era il tipo che si potesse suicidare, assolutamente non era il tipo”.

Come l’ha conosciuto?

“Per una missione. Anche lui era un gladiatore. Faceva parte della terza centuria, ‘Le Colombe’, quella composta da civili”.

Gardini un gladiatore?

“Che era uno di noi l’ho saputo dal nostro comando nel momento in cui dovevamo svolgere una operazione assieme”.

Gardini un gladiatore?

“Che era uno di noi l’ho saputo dal nostro comando nel momento in cui dovevamo svolgere una operazione assieme”.

E quale sarebbero state le funzioni di Gardini all’interno di Gladio?

“Non posso dire per certo quello che non sapevo allora e posso intuire adesso. Preferisco dire quello di cui sono sicuro al 100%. Gardini aveva contatti in certi ambienti e, come tutti quelli della Terza, raccoglieva informazioni utili e le forniva al nostro comando. Le nostre operazioni si basavano sulle informazioni raccolte, elaborate e verificate dalla terza centuria. In quel tempo, come imprenditore, Gardini aveva ricevuto richieste di denaro alle quali dichiarò di non poter far fronte. Probabilmente si trattava di richiesta di tangenti da una parte politica o di potere che era ostile per noi, o meglio, così la considerava il nostro comando… però, questo, lo intuisco solo oggi. Da costoro, chiunque essi fossero, Gardini ricevette minacce e intimidazioni di attentati ai propri personali interessi e di azienda. Presumo che c’entrassero dei silos negli Stati Uniti dove mi recai nell’aprile del 1982 con altri tre gladiatori a bordo di una nave della Ferruzzi, la Maria Esperanza, più precisamente sul Mississippi, tra Baton Rouge e New Orleans, esattamente a Mirdle Grove. Non fu niente di particolare: si trattò di convincere alcuni sabotatori che era meglio che… sparissero dai dintorni di Raoul Gardini e di quanto faceva in qualche modo capo a lui. Un’operazione abbastanza noiosa, per questo, come altre di quel genere, per brevità non la descrissi nei particolari, su ‘The Real History of Gladio’. Due mesi dopo fummo di ritorno… missione compiuta, ancora una volta. Incontrai altre volte Gardini, in compagnia di Charlie Bernard Moses, il nostro ufficiale di collegamento a Roma con gli Stati Uniti, in casa sua, in via S. Teodoro a Roma, o nei pressi della galleria d’arte di Charly in via Margutta. Ad ogni buon conto, la nostra rovina fu anche la sua rovina!”.

Ma perché Gardini sarebbe stato “suicidato”?

“Gardini è stato assassinato perché ha creduto che quelle mani fossero davvero pulite e voleva dire tutta la verità circa i finanziamenti illeciti elargiti come imprenditore, non come gladiatore! Bisognava fermarlo ed impedirlo a tutti i costi! Così come bisognava fermare ed impedire che la verità venisse rivelata agli italiani.

Di Cagliari non ho la certezza che fosse un gladiatore, l’ho pensato solo dopo perché anche lui voleva dire tutto ai procuratori sui i soldi versati a tutti i partiti… E poi anche lui è stato suicidato negli stessi giorni del ’93, due giorni prima di tanti altri miei commilitoni ‘suicidati’ e a quattro mesi di distanza del tentativo del mio suicidio andato a male. Come si può archiviare per suicidio il ritrovamento di una persona robusta come me, appeso alla maniglia della porta del suo bagno, come nel caso di un mio commilitone? Chi erano gli assassini? I poteri occulti che in Italia sono stati creati dal Patto di Varsavia”.

Che non esiste più da quasi dieci anni…

“Sì, ma le persone che in Italia hanno operato con la Stasi, con i servizi bulgari, con il Kgb vero e proprio, che erano al servizio dei libici, dove sono adesso? Sono state scoperte, per caso? Nel 1980, durante le stragi di Ustica e Bologna, i dissidenti libici che noi avevamo portato in Italia e che ci fornivano informazioni venivano ammazzati per strada come cani. Sono stati forse individuati i responsabili di questi omicidi?”

Potrebbe essere più preciso con le accuse? Chi sono i responsabili?

“No, non sono stati i comunisti italiani, loro facevano politica. Ma questi poteri occulti hanno spianato loro la strada perché faceva loro comodo, perché all’interno di quel gruppo politico si nascondevano i loro uomini.

L’OMBRA DEL KGB

“Chi dava gli ordini al comandante di Gladio era Aldo Moro, ed è stato ammazzato, ma pochi mesi prima di farlo hanno destituito il nostro generale Miceli. Solo una coincidenza? E a noi, una volta entrati in possesso dei nostri codici, proprio in quel periodo ci mandavano in giro in missioni senza senso, solo per farci ammazzare, per eliminarci. Hanno detto che le Brigate Rosse sono state manovrate dalla Cia che non voleva il compromesso storico, tutte cazzate. Aldo Moro si era già messo d’accordo con Enrico Berlinguer, brava persona, che ho votato più volte perché era più liberale degli altri. Ora, è risaputo che il giorno del rapimento, Moro avrebbe annunciato in Parlamento il nuovo governo con l’appoggio dei comunisti, ma a sua volta Berlinguer avrebbe dovuto annunciare lo strappo dall’Unione Sovietica e dal comunismo internazionale. Questi erano gli accordi che noi sapevamo e che conoscevano anche gli americani. Altro che infiltrate dalla Cia. Le Brigate Rosse erano composte sì da studenti esaltati che sinceramente credevano nella rivoluzione attraverso la lotta armata, ma nella loro struttura composta di cellule a immagine del modello sovietico, ecco, in ognuna di queste cellule c’era un referente direttamente in contatto con il Kgb, all’insaputa degli altri. Noi questo lo sapevamo.

Da Mosca hanno voluto interrompere l’accordo Moro-Berlinguer, ma quest’ultimo, che da buon sardo aveva la testa dura, quando ha capito come stavano cercando di fermarlo è andato avanti lo stesso e con più convinzione”.

“MODULO KENNEDY”

“Nel maggio scorso ‘suicidano’ la guardia svizzera del Papa, Alois Estermann. Chi era Estermann? Una spia della Stasi, i servizi segreti della Germania Est. La notizia è stata riportata dai giornali, ma quello che non vedono è quello che noi riconosciamo subito, il cosiddetto ‘Modulo Kennedy’, come lo chiamavano nelle scuole militari. Era una tecnica usata da sempre dal Kgb sovietico e che prese il nome proprio dal modo in cui uccisero il povero presidente americano. E’ un sistema perfezionato da Beria, il capo del Kgb ai tempi di Stalin. Funziona in questo modo: la prima regola è che i morti non parlano; ora, se devo ammazzare qualcuno prima devo cercare un colpevole, me lo costruisco, lo preparo e poi lo ammazzo insieme a chi volevo morto”.

Secondo lei quindi il caporale Tornay sta a Estermann come Oswald sta a Kennedy?

“Esattamente, entrambi ammazzati per non risalire ai veri mandanti.”

Ma perché adesso, nel 1998, si deve voler morto un ufficiale delle guardie del Papa, anche se questo era stato al servizio della Stasi?

“Come perché? Adesso è stata riaperta l’inchiesta sull’attentato al Papa. Alì Agca era la stessa cosa, ‘Modulo Kennedy’ per coprire i mandanti sovietici. Doveva morire Agca, già in Piazza S. Pietro. Invece si è salvato e poi è stato bravo, ha fatto il matto. Ora Estermann era lì quel giorno, si vede proprio nella foto durante l’attentato. Si vede che sapeva troppo sui mandanti, dato che lavorava per loro”.

Ma anche se fosse provato che l’ordine arrivò da Mosca, adesso l’Unione Sovietica non esiste più, insomma chi compierebbe oggi questi omicidi?

“E’ ovvio che la Russia di adesso non c’entri niente. Viva Yeltsin, ma è chiaro che quando crolla un regime durato settanta anni, quanto è durato quello sovietico, all’interno dell’apparato statale rimangono quelli che lo hanno servito. Chi è implicato con l’attentato al Papa non è necessariamente scomparso, magari qualcuno di loro oggi fa il liberale. Attentare al Papa non era un’azione di guerra, ma un crimine. Chi lo ha compiuto ha interesse a coprirlo per sempre”.

Torniamo alla sua storia, dal suo racconto voi gladiatori venivate impiegati fuori dall’Italia. Insomma una storia diversa da quella che invece si sospettava al momento della scoperta dell’esistenza di Gladio…

“Mai avuto a che fare con cose interne, sempre missioni all’estero. Sono stato in tutto il Nord Africa, in Sud Africa, in Russia e altri Paesi oltre cortina, in Viet Nam. Per tutte queste missioni, che per i particolari rinvio al sito internet, usavo la copertura di ufficiale di Marina mercantile. Venivo imbarcato su navi dirette ai porti dove poi svolgevo le missioni. Si trattava per lo più di addestrare milizie di conbattenti, ribelli che si opponevano ai regimi filo sovietici, di dare e recuperare informazioni, di aiutare alla fuga i dissidenti.

“Così ho fatto in Angola durante e dopo la rivoluzione dei garofani, quando alla caduta delle ultime colonie portoghesi quel Paese diventò facile preda dei cubani mandati da Mosca. Oppure in Sud Africa, quando fui mandato per portare via Steven Biko, del quale voleva sbarazzarsi non solo il regime dell’apartheid, ma anche i sovietici perché lui voleva far tagliare all’Anc i rapporti con Mosca, dal momento che questa flirtava con il governo razzista sudafricano. Purtroppo Biko non volle fuggire. Morì pochi giorni dopo che avevo tentato inutilmente di portarlo con me”.

Ma chi decideva queste operazioni?

“Il comando”.

Cioè Vito Miceli?

“Fino a quando Miceli è stato il numero uno, poi c’è stato Gian Adelio Maletti che poi è stato condannato a 14 anni e ora vive in Sud Africa. Loro rispondevano al governo italiano. Miceli a Moro, Maletti a chi venne dopo di lui. Il nostro era un servizio svolto all’interno della Nato durante la Guerra Fredda. Dei risvolti interni, della strategia della tensioni, di tutte queste cose io non sapevo nulla.

“Quando leggevo certe cose nei giornali pensavo che scherzassero, poi quando sono arrivati gli arresti allora ho capito che facevano sul serio. Ma io non ho mai operato in Italia. Noi eravamo militari e anche fanatici, nel senso che per noi l’Italia rappresentava un feticcio, non avremmo mai potuto fare stragi contro la nostra gente, contro nessuna popolazione civile perché noi eravamo militari, non terroristi e ubbidivamo ad un codice d’onore. Sono stati altri a fare certe cose. Come ad Ustica e alla stazione di Bologna”.

L’OPERAZIONE MALTESE

Del lungo racconto di G71, la parte che ci è sembrata più coerente con la realtà internazionale del momento, riguarda i rapporti, alla fine degli anni Settanta, tra l’Italia, Malta e la Libia. Tra tutti gli argomenti toccati da Arconte, ci sembra che questo sia quello che meriti più spazio. Facciamo un passo indietro.

Nel mese di novembre del 1973 per Arconte, o meglio identificato come G71 VO 155 M (G. stava per gladiatore, 71 era l’anno del corso di addestramento, M. Per Marina militare, VO stava per Volontario, e 155 il suo numero personale, ma essendo stato “il cucciolo”, cioè il più giovane del suo corso, per tutti era G71) arrivò la prima missione all’estero. L’obiettivo: il regime libico del colonnello Gheddafi, da tre anni al potere.

“Dovevo presentarmi alla base di Aviano dove avrei avuto ordini sulla destinazione e gli obiettivi della missione. Dovevamo raggiungere una base nel Sud della Sicilia in aereo. Da lì la II Centuria avrebbe dovuto raggiungere, con mezzi navali il Golfo della Sirte fino al limite delle acque internazionali, poi, con i gommoni, la spiaggia di Bengasi e quindi un aereoporto militare alle spalle della città.

“Avremmo dovuto aiutare alcuni ribelli libici che stavano tentando di rovesciare il colonnello Gheddafi e instaurare una democrazia. Una volta preso l’aeroporto, saremmo stati raggiunti dalla prima Centuria e quindi avremmo dovuto convergere su Tripoli e lì i ribelli ci avrebbero guidato in un campo nomadi verso la tenda di Gheddafi. Ma poco prima della partenza ricevemmo un contrordine dal nostro numero uno, il generale Miceli: l’aereo sul quale ci saremmo dovuti imbarcare era stato abbattuto da un missile. Aggiunse che eravamo stati traditi e che dovevamo essere tutti morti su quell’aereo ma un cambio di ordini all’ultimo momento ci aveva salvato. Infatti il primo ordine ci voleva già imbarcati sull’aereo diretto ad Aviano, per imbarcare l’equipaggiamento e altro personale.”

Quell’aereo abbattuto era Argo16, di cui poi si occupò la magistratura veneziana. Ma ritorniamo ai rapporti negli anni Settanta tra Italia, Malta e Libia. L’isola, da secoli una testa di ponte importantissima nel Mediterraneo, negli anni Settanta completa l’indipendenza dalla Gran Bretagna. Londra aveva cercato una trattativa per mantenere la disponibilità del porto per la sua flotta ma il governo laborista maltese di Dom Mintoff aveva dettato condizioni inaccettabili. Riprendiamo quello che ha scritto Sergio Romano nella sua “Guida alla politica estera italiana”: “Mintoff si dedicò principalmente, con grande irritazione inglese, a una diplomazia mercantile che consisteva nel vendere a caro prezzo la posizione geopolitica del suo Paese.

“Mentre negoziava con Londra la sorte delle basi inglesi nell’isola, accettò una proposta di Gheddafi che offriva assistenza economica a condizione che da quelle basi non partissero rifornimenti per Israele. Quando fu chiaro che gli inglesi erano poco inclini ad accettare i ricatti di Mintoff, l’Italia si inserì nel negoziato per evitare che Malta scivolasse nel campo avversario e finì per ereditare di fatto le responsabilità che la Gran Bretagna, in quelle condizioni, non era più disposta ad assumersi… Mintoff accolse i servigi dell’Italia, ne prese gli aiuti e accettò nel 1980 che il governo italiano garantisse la neutralità dell’isola, ma si considerò libero di continuare a trattare dietro le sue spalle con altri paesi fra cui principalmente la Libia e l’Unione Sovietica…. Ma l’Italia” conclude Romano, “non era più in grado di esercitare tutele ‘imperiali’ né di resistere fermamente alla politica mercantile del primo ministro maltese. Con Mintoff come con Gheddafi, la diplomazia italiana adottò uno stile che escludeva pregiudizialmente l’uso della fermezza e poteva ottenere soltanto risultati mediocri”.

L’ex Gladiatore G71, nella sua ricostruzione intitolata “L’Affare Maltese”, mette pure in risalto come in Italia, dov si stava attraversando una dura crisi economica e che oltre al petrolio dal regime di Gheddafi riceveva generose commesse per le sue aziende e anche finanziamenti (la Banca di Stato libica acquistò una quota azionaria importante della Fiat, che faceva di Gheddafi il secondo azionista della più grande industria privata italiana) “esistesse allora, e probabilmente esiste ancora oggi, una robusta lobby filo-libica legata a questi interessi… La Libia era il maggior fornitore di petrolio dell’Italia e l’Italia il primo partner commerciale della Libia”.

A questo punto gli interessi economici dell’Italia per tenere buoni i rapporti con la Libia vanno a scontrarsi con gli interessi strategici suoi e della Nato per evitare che Malta diventi un satellite di Gheddafi e quindi di Mosca.

“I sovietici erano alla ricerca di una base per la loro flotta nel Mediterraneo” ricorda G71. “Dopo la guerra dello Yom Kippur tra Egitto e Israele, Sadat nel 1974 cambiò alleanze, schierando l’Egitto con l’Occidente. La flotta sovietica del Mediterraneo (SOVMEDRON) era ancora alla ricerca di una base. Chiunque avesse occupato militarmente Malta avrebbe potuto installare batterie di missili antiaerei a lungo raggio che minavano la credibilità dell’aiuto Usa a Israele, e più in generale la capacità dell’intervento Usa in Medio Oriente in difesa dei campi petroliferi vitali per l’economia occidentale. Se la Libia fosse riuscita a portare le sue armi a Malta, il prestigio di Gheddafi nel mondo arabo sarebbe cresciuto enormemente”.

Ma il governo italiano andò avanti fino a siglare il trattato di assistenza politico militare che prevedeva la difesa dell’integrità territoriale maltese ad opera delle forze armate italiane, un cospicuo aiuto finanziario e la disponibilità a fornire mezzi per la ricerca petrolifera (ricerca che vedeva Gheddafi contendere a Malta le acque territoriali) in cambio di una politica di neutralità. L’Italia riuscì così a tenere nel campo occidentale Malta. Ma, ecco la tesi di Arconte, pagò un carissimo prezzo per il suo intervento.

UN’ESTATE BOLLENTE

Questi i tasselli di quella bollente estate del 1980 messi insieme da G71:

“L’11 giugno inizia la mattanza degli esuli libici presenti in Italia. Il 27 giugno viene abbattuto sul cielo di Ustica il DC9 Itavia, partito da Bologna per Palermo con due ore di ritardo, mentre è seguito ad una distanza pari a meno di dieci minuti di volo da un Boeing 707 della Air Malta (volo KM153). Il 10 luglio vengono sequestrati dalla Libia due pescherecci italiani con 19 marinai a bordo (verranno rilasciati due anni dopo). Il 18 luglio viene ritrovato un Mig 23 libico sui monti della Sila, era stato abbattuto il 27 giugno da due gladiatori delle Frecce Tricolori, Mario Naldini e Ivo Nutarelli (I Centuria Aquile), poi morti nel 1988 durante una esibizione in Germania, a Ramstein, in un incidente che causò la morte di oltre 80 persone.

Il 2 agosto prende posizione, sui banchi di Medina, la nave da ricerche petrolifere dell’Eni Saipem, a dimostrazione, soprattutto ad uso interno maltese, della giustezza della politica filo-italiana di Mintoff contro l’area politica filo libica molto forte nell’isola. Sempre il 2 agosto l’on. Zamberletti per conto del governo italiano firma il protocollo d’intesa relativo al trattato che esclude la Libia dal controllo dell’isola. Lo stesso giorno salta la stazione di Bologna. Il 6 agosto una parte dell’esercito libico si ribella e tenta un colpo di stato contro Gheddafi. I congiurati saranno sconfitti dall’intervento di unità militari della Germania Orientale (guidate dagli uomini del Kgb), che salvano il colonnello Gheddafi. Di questo colpo di stato Gheddafi accuserà l’Italia, arrestando tre imprenditori italiani ritenuti fiancheggiatori degli insorti (III Centuria ‘Colombe’, verranno rilasciati dopo sei anni). Il 24 agosto una nave da guerra libica intima, con la minaccia di prenderla a cannonate, alla nave italiana Saipem-2 di interrompere le ricerche petrolifere sui banchi di Medina ed andarsene. Si sfiora la battaglia fra le navi italiane intervenute a difesa della Saipem e le navi libiche. Gli aerei F104 di Trapani Birgi pattugliano il cielo di Malta. Il 2 settembre l’Italia si impegna a garantire l’integrità territoriale di Malta e il giorno dopo il premier maltese vola a Roma per approfondire l’intesa. Il 9 settembre si ratifica l’accordo fra Italia e Malta, che prevede fra l’altro l’esclusione delle navi americane e sovietiche dai porti dell’isola”.

Dopo aver elencato questi episodi, Arconte ci mostra una E-mail da lui ricevuta in tedesco e poi tradotta in inglese, del 23 marzo 1998, che recita: “Mi chiamo Alexj Pavlov, ex colonello del Kgb. Ero di base alla stazione radar di Tripoli negli anni Ottanta. Ho letto ‘The Real History of Gladio’… so che è tutto vero, soprattutto l’Affare Maltese. Dovrei dire chi mi ha ordinato di accusare gli Stati Uniti di quell’abbattimento, ma adesso non posso, mi sento in pericolo. Potrò parlare solo se riuscirò ad ottenere asilo politico negli Usa. Spero che anche tu riesca a salvarti la vita. Buona fortuna, mio ex nemico. Alexj Pavlov”.

La pista libica per la strage di Ustica è stata sicuramente battuta, il mig libico trovato nella Sila non può essere ignorato. Ma è possibile che anche dietro la strage di Bologna ci sia stato Gheddafi? E se voi di Gladio lo sospettavate, perché il governo italiano non ha reagito?

“Nessuno voleva la guerra con la Libia. E poi, come ho detto, in Italia c’era e c’è una forte lobby pro Libia che lavorò e lavora a favore della normalizzazione dei rapporti. Quelli che sono finiti in carcere per la strage Bologna, i neofascisti Fioravanti e Mambro, non c’entravano nulla, sono stati soltanto un comodo capro espiatorio”.

Non sappiamo quanto forte sia la supposta “lobby libica” in Italia di cui parla Arconte, vale però la pena di ricordare che proprio due settimane fa il governo Prodi ha ulteriormente avvicinato l’Italia alla normalizzazione dei rapporti con la Libia, firmando un documento d’intesa che rompe in Occidente la cortina di isolamento costruita intorna al regime di Gheddafi.

I fatti dell’estate del 1980 portano G71 a formulare un teorema: dietro la strage di Bologna potrebbe esserci la mano del dittatore di Tripoli. Il governo italiano, così come la magistratura inquirente, hanno mai considerato lo stesso teorema? Hanno mai esplorato la pista indicata nell’”Affare Maltese”? E se non lo hanno fatto, perché? Esisterebbero ancora, a distanza di quasi vent’anni, gli elementi per aprire una indagine verso questa direzione?

Alla fine della sua storia a G71, alias Antonino Arconte nato a Oristano, chiediamo: ammettendo che l’Italia sia veramente in mano al ‘nemico’ come dice lei, tornando in Sardegna non ha paura per l’incolumità sua e della sua famiglia?

“Ho rivelato tutto quello che sapevo. Adesso uccidermi non avrebbe senso, significherebbe dimostrare che quel che ho denunciato è vero. Dal 1993 ho smesso di subire attentati. Io ho compiuto la mia ultima missione. Ho vinto la mia battaglia”.

Articolo da GQ Novembre 2000 N.14

ESCLUSIVO

NINO ARCONTE, SPIA OPERATIVA DEL SUPERSID, SVELA I SEGRETI NASCOSTI

DIETRO A GLADIO. E RACCONTA A GQ DEL GOLPE IN TUNISIA, DI GHEDDAFI, CRAXI E MORO, DEL GLADIATORE RAUL GARDINI: “PER SALVARMI LA VITA DEVO VUOTARE IL SACCO”. I MISTERI DELL’AGENTE G-71-VO di Marco Gregoretti

Gladio

La storia che raccontiamo spiega che per oltre 15 anni ha operato, in Italia e all’estero, su mandato dei nostri governi, un gruppo di 280 superagentisegreti. Tutti appartenenti al cosiddetto Supersid. Una Gladio segreta sempre smentita, ancora più clandestina di quella Gladio “stay behind”, dietro le linee, di cui, creando un caso nazionale, scrisse nel 1990, su Panorama, l’inviata Marcella Andreoli. Sullo sfondo il potere dei servizi segreti italiani, dei quali Gladio era una diretta derivazione, civile e militare. Fino al 1970, il servizio segreto si chiamava Sifar (Servizio informazioni forze armate). Poi nacque il Sid (Servizio informazioni difesa), a cui faceva capo la prima Gladio, che fu sciolto nel 1977. Furono istituiti il Sisde (servizio informazioni per la sicurezza democratica) civile, e il Sismi (servizio informazioni per la sicurezza militare), militare. li coordina il Cesis (Comitato esecutivo servizi d’informazione e sicurezza), oggi diretto da Fernando Masone, ex capo della Polizia di Stato.

Il caratteristico suono metallico e l’icona che raffigura un postino volante colorato annunciano: you have a new message. Il computer, in redazione, ha appena ricevuto una comunicazione elettronica. Mittente: Nino, agente membro della Gladio segreta, operativo dal 1971 nel cosiddetto Supersid, comandato dal generale Vito Miceli e attivo in operazioni autorizzate dal governo italiano. Cognome: Arconte. Sigla: G-71-VO-155-M (G sta per Gladio, ”71 è l’anno di inizio corso, VO significa Volontario, M è Marina militare). Nino ha fatto scappare dissidenti, ha fatto viaggiare carte segrete, ha addestrato guerriglieri, ha fatto saltare ponti. Ha vissuto per 15 anni da infiltrato in Unione Sovietica, Libia, Tunisia, Marocco, Vietnam, Cina, Portogallo, Angola (dove scriveva il proprio nome sul muro con il mitragliatore MG 42). Ora ha deciso di mettersi in contatto con GQ. Ha accettato di raccontare un elenco di verità scomode, eclatanti e paurose, che vanno dalla appartenenza di Raul Gardini alla struttura supersegreta “civile” di Gladio al coinvolgimento di Gheddafi nella strage alla stazione di Bologna e nel dramma di Ustica; da operazioni in Nordafrica per rovesciare i regimi filosovietici a strani ordini ricevuti a Beirut, che hanno a che fare con il rapimento di Aldo Moro. Fino a quello che è successo a lui: nel 1986, tornato da una missione, durante la quale era stato arrestato restando due mesi in un carcere del  Marocco, scopre che lo Stato lo ha cancellato. Gladio è stata sciolta e nessuno glielo ha detto. L’ufficio di via XX Settembre n.8, a Roma, dove Nino andava a rapporto, è sparito. Torna a casa sua, in Sardegna. Ma non si rassegna. Scrive lettere chiedendo spiegazioni. Nessuno gli risponde. Tranne Bettino Craxi. Cinque anni più tardi, Giulio Andreotti, alla Camera, legge il famoso elenco di Gladio: 622 persone. “Era falso, ridicolo, e lo sapevano tutti. La vera Gladio eravamo noi: 280 persone del cosiddetto Supersid e 20 istruttori del vecchio Sifar”. Un giorno, mentre Nino si sta allenando arrampicandosi  su una scarpata a picco sul mare, tra Oristano e Alghero, quattro braccia cercano di spingerlo giù. E’ troppo forte: non ce la fanno e finiscono in mare. Dopo qualche tempo vengono ripescati due cadaveri: skipper non identificati, scrivono i giornali. Nessuno reclama quei morti, G71VO155M va fermato. Intimidito. Mentre il Paese discute sul falso elenco di Gladio, non può esserci qualcuno che racconti la vera storia. Costruiscono una falsa accusa di spaccio. Nino ha subìto 27 processi per cinque presunti grammi di hashish e 21 di olio di Hashish. Perfino la Corte europea dei diritti dell’uomo, il 19 marzo 1998, dopo aver letto e studiato tutti i documenti processuali, scrive che nei suoi confronti è stata messa in atto una vera persecuzione. E che però, per risolvere, dovrebbe rivolgersi alla magistratura italiana. “Pazzesco”, dice Arconte. “Per ottenere giustizia contro la persecuzione dovrei rivolgermi ai miei persecutori”. Era ed è incazzato nero. Uno dei dei suoi più cari amici. Tano Giacomina, gladiatore della marina, muore in uno strano incidente mentre si trova a Capoverde. “E dopo aver subito intimidazioni giudiziarie simili alla mia. Eravamo soldati, è vero. E la guerra era finita: il muro di Berlino non c’era più. Non bastava congedarci?”. Molte sue verità, come risulta a GQ, le conoscono il coordinatore dei servizi, Franco Frattini, e il presidente della Commissione stragi, Giovanni Pellegrino. Inoltre, sono rintracciabili in un sito Internet: http://www.geocities.com/Pentagon/4031 ; oppure digitare The Real History of Gladio, su virgilio.it). Queste sono pillole della sua vita avventurosa. “Ho preso le mie informazioni. Marco, sei pulito.

Quando vuoi venire da me in Sardegna? Ti aspetto”.

La sua prima e-mail.

Da brivido lungo la schiena

Grazie dell’invito. E speriamo in bene, visto il suo primo messaggio elettronico:”Marco, non vorrei intasare l’e-mail, ma ritengo che essere informato su ciò di cui lei si vuole occupare sia la cosa migliore. Io ho reso pubblica la mia storia (con il sito, ndr) per salvarmi la vita, non ho più segreti per nessuno, ma l’accanimento con il quale “Loro” vogliono tenere nascosta la verità di cui sono testimone per avvertirla che sta entrando a piedi uniti nel gran verminaio della Repubblica. Le invio anche le lettere di Craxi, era semplicemente il presidente del Consiglio che ordinò le operazioni di Akbar Maghreb (cioè, favorire un colpo di Stato che portasse alla deposizione del dittatore tunisino Bourghiba: fatto che si verificò, ndr) tra l”82-’83 e il 1986″. Non c’è niente da fare: occorre andare in Sardegna. A conoscere Nino, di persona.

Scrivi giornalista,

scrivi prima che puoi

Nino Arconte ha due spalle enormi, braccia tozze e gambe toste. E’ silenzioso come un puma. Infatti, alle 10,30 di un sabato mattina di settembre, entra nel Bar del pescatore di Cabras e nessuno se ne accorge. E’ vestito come un turista americano: bermuda, camicia a fiori svolazzante, Nike. Te lo immagini con la macchinetta fotografica infilata al polso. Uno dei tanti travestimenti per non dare nell’occhio. “Se qualcuno mi osservava insistentemente, facevo finta di fotografare il paesaggio”. La sua casa è a pochi metri dalla piazza. In pieno centro storico. “L’ho costruita con le mie mani”. Nel senso letterale: prendeva mattoni e li metteva uno sull’altro… La villetta è su tre piani. In quello sotterraneo ci sono panche per gli addominali, pesi, bilancieri. E una mensola di legno che corre lungo il muro. Praticamente, una lunga scrivania. Dove poggia il computer di Nino: la cassaforte dei suoi segreti. Lui continua a ripeterlo:” Magari, chissà, fra cinque minuti una sventagliata di mitra alla schiena, e io non ci sono più. Forse neanche tu. Accetta un consiglio: scrivi prima possibile questa storia. Più passa il tempo,

più sei in pericolo. Continua a morire gente in strani incidenti e incredibili suicidi”. E chi sarebbe il mandante?! “Lo sai che il Kgb ha ancora delle foto che mi fecero in Romania, sul Danubio, durante l’operazione Costanza? Mi hanno immortalato a Galaty, vicino ai fili spinati, al confine con l’Ucraina, dove facevamo passare persone e documenti. Me lo ha confermato una amica serba dell’Otpor (movimento vicino a Kostunica, il nuovo presidente serbo, ndr)

Quel giorno Vito Miceli,

Antonio La Bruna e gli altri…

Nino entra nell’esercito come volontario, a 15 anni: allievo sottufficiale. Corre l’anno 1970. Il Sifar, l’allora servizio segreto, è appena stato sciolto. Il generale Vito Miceli sta cercando civili e militari da arruolare nel Sid, il nuovo servizio segreto. Durante il corso a Viterbo, Nino eccelle in ogni specialità fisica e con le armi: da 100 metri colpisce un carro armato sotto la torretta. Nelle sue note caratteristiche, già allora, c’è scritto:”Naturale e grande attitudine al comando. Punteggio da uno a 10: 10″. Un giorno d’estate di quell’anno, mentre si sta esercitando in un faticoso percorso di guerra, Nino nota alcuni uomini in borghese che lo osservano. Li incontra di nuovo più tardi, al poligono di tiro. Infine gli chiedono di seguirlo nell’aula magna della caserma: deve compilare un questionario. Solo a quel punto Nino chiede:” Cosa state facendo?” “La selezione per il Sid”. Uno di quegli uomini, ricorda oggi Nino era l’allora tenente La Bruna (poi coinvolto in tante vicende italiane:piazza Fontana, P2, ndr). Circa un mese dopo viene chiamata alla palazzina di comando. “C’erano mio padre Augusto, decorato in Africa come carabiniere a cavallo, e il generale Renzo Zambonini della Polizia (allora la Polizia era militare e non civile, ndr), amico di mio padre dai tempi di Africa. Di nuovo La Bruna. E un altro signore che diventò poi il mio capo: Vito Miceli, un grande uomo dei servizi segreti”. E’ il padre, Augusto, a dirgli:”Sei stato selezionato per il Sid. Sei d’accordo a essere arruolato?” Certo che lo è. Ogni anno di servizio vale il doppio. Lo stipendio è ottimo. “E potevo passare da sottufficiale alla carriera di ufficiale. Oggi, infatti, sono capitano di vascello”. La vita di Nino, a quel punto, cambia. Per coprire l’esistenza della vera Gladio, ufficialmente viene congedato dall’esercito nel dicembre 1973. In realtà entra in Marina: diventa un Lupo, gladiatore di mare. La sua attività di copertura è quella di macchinista navale. “Con le navi civili entravamo in qualsiasi porto senza destare sospetti. E nella mia cabina, che aveva due letti, potevo tranquillamente nascondere chi volevo. Dissidenti dell’est, rifugiati politici…”. Dal 1976 fa anche parte del nucleo speciale di Gladio, Comsubmin. “Ero uno dei 280 gladiatori “stay behind” del Supersid. Missione: proteggere l’Italia, almeno così credevo, dentro e fuori i confini. Da chi? Soprattutto dal Kgb, il miglior servizio segreto del mondo. Il più fantasioso, estroso, deciso e abile. Altro che Cia:ricca e stupida”

Alla ricerca della prigione di Moro.

Prima che lo rapiscano

Da un cassetto, Nino tira fuori un quadretto con la copertina verde rigida.   Dentro ci sono tante pagine piene di date, luoghi di partenza, destinazioni, firme, timbri. Sono le missioni a cui, di volta in volta, il macchinista o fuochista Arconte era comandato. Sfoglia alcune pagine, poi si ferma. “Ecco qui ! cercavo proprio questo. Leggi, leggi, Marco” C’è scritto che il 6 marzo 1978 è pronto a La Spezia un imbarco per lui: destinazione Libano. Beirut. “Il contatto a Beirut era un italiano vestito da arabo. Mi consegno una busta contenente, credo, alcuni passaporti, che avrei dovuto consegnare ad Alessandria d’Egitto”. Ma c’era una seconda parte della missione, che Nino racconta per la prima volta a GQ. “Avrei dovuto prendere contatti con i miei informatori. Seguendo la solita procedura: vicino all’aeroporto c’era una profumeria. La commessa, in realtà, era il tramite per le mie fonti. Una volta stabilito il contatto, secondo le disposizioni, avrei dovuto attivare la mia rete affinché fornisse la possibilità di una mediazione per liberare Aldo Moro. La busta con quegli ordini di prendere contatti con guerriglieri islamici o terroristi palestinesi per liberare Moro, o almeno per cercare la sua prigione, ordini nascosti tra alcuni passaporti senza fotografia che avevo portato dall’Italia, li consegnai a un uomo che avevo già incontrato una volta. Seppi dopo che era un colonnello della Folgore, un gladiatore che si chiamava Mario Ferraro. E’ stato suicidato nel 1995, impiccato alla porta del suo bagno. Un marcantonio di un metro e novanta! (vedi più avanti a pagina 188)”. A Beirut, almeno tre giorni prima che Moro fosse rapito. “Eh, si, perché ero partito da La Spezia il 6. E il 16. marzo, quando seppi da un fonogramma che Moro era stato rapito dalle Brigate Rosse, mi trovavo già ad Alessandria, a consegnare, in una profumeria nella casbah, i documenti ricevuti a Beirut. Per essere ancora più chiari: io vivevo tra un campo militare e un altro. Addestravo profughi. Di Moro non mi ero mai occupato”. Quando riceve l’ordine di cercare la prigione di Moro (ribadiamo: ordine ricevuto prima che l’allora presidente della Democrazia cristiana fosse rapito), Arconte è all’oscuro di un altro fatto: il 30 Aprile 1977 il Sid di Vito Miceli è stato sciolto. “Avevo parlato con Miceli, l’ultima volta, da Lgayoune, nel Sahara spagnolo, mentre rientrava da un’operazione in Sudafrica. Ora so, perché lo ha detto in tv Giuliano Ferrara, che Miceli era molto legato proprio al Aldo Moro”.

In guerra, con Mu’ammar Gheddafi

Il 16 ottobre 1982 Nino si imbarco sulla nave  Veneto, Operazione Tripoli. Destinzione: Tripoli, appunto. “Missione facile facile, si diceva: portare e ricevere documenti da e per la Libia. Peccato che tutta la Libia pullulasse di poliziotti e di soldati. Per non dare nell’occhio fingevamo di fare un piccolo traffico di alcolici (severamente proibiti in Libia). In questo modo corrompevamo le guardie e non eravamo sospettati di spionaggio. In più arrotondavo, per pagare informatori, taxi, eccetera, gli scarsi mezzi che ci venivano messi a disposizione. L’ordine che ricevetti quella volta?

Contattare i giovani ufficiali dell’esercito libico che volevano disfarsi del colonnello. Chiuso nella mia cabina, mi chiedevo: perché non ci hanno fatto portare a termine l’operazione nel 1973? Chi ci ha fermato, e perché. Ma non ho saputo dami una risposta”. Dopo aver incontrato vari ufficiali e un tale colonnello Baffo Grigio, che avrebbe dovuto guidare la rivolta, Nino rientra a La Spezia il 9 marzo 1983. “Non ricevetti nessun ordine. Ma non escludo che altri abbiano portato avanti la missione”. Secondo Nino, Gheddafi è la chiave di lettura per almeno due drammi italiani: Ustica e la stazione di Bologna. Così la pensa, in sintesi:”Con il dittatore libico

eravamo in guerra. nel vero senso della parola, anche se l’opinione pubblica non lo sapeva. L’aereo passeggeri Italia, precipitato a Ustica, l’ha tirato giù un Mg libico. Abbattuto poi da un aereo italiano  guidato da due piloti (della Gladio militare anche loro), che non hanno mai potuto testimoniare perché sono morti pochi giorni prima di andare dal giudice Rosario Priore. La strage alla stazione di Bologna del 2 ottobre 1980 fu una ritorsione contro l’Italia perché la Saipem, su incarico del premier di Malta, Dom Mintoff, stava trivellando sulla secca di Medina. Anche se si trovavano a 100 chilometri dalla costa secondo il colonnello quelle erano acque libiche”.

Io, Bettino e Bourghiba.

Altro che golpe morbido!

Quel riferimento a Craxi nell’e-mail non era una boutade. Nino le ha conservate davvero le lettere ricevute dall’ex presidente del Consiglio, morto ad Hammamet il 19 gennaio 2000. Ne ha consegnata copia, “sottoponendomi anche alla macchina della verità”, al numero 26 di Federal Plaza, a New York: FBI Office, U.S. Department of Justice. Gli “amerikani” dunque, hanno in mano tre missive scritte a mano da Craxi, su carta intestata della Camera dei Deputati. La prima è del giugno 1990, la seconda del settembre 1994. A leggerle vengono i brividi nella schiena. Sono risposte agli sfoghi e alle richieste di chiarimenti che Arconte aveva rivolto alle massime cariche istituzionali. Così Craxi risponde la prima volta, nel 1990: “Caro Arconte, ho tentato di intervenire sulle dolorose esperienze tue  e di Giacomina (Tano Giacomina, il gladiatore amico di Nino, ndr) con scarsi risultati. Interesserò gli organi competenti affinché sia fatta piena luce e vi sia resa giustizia. Tuttavia, insisto a esortarvi a tacere, nell’interesse nazionale, fino a che non si sia pronti a rendere pubbliche le difficili verità che potrebbero provocare reazioni illiberali. A entrambi,grazie. Bettino Craxi”. Craxi era presidente del Consiglio quando Nino partecipò all’operazione Akbar Maghreb – guerra del pane. Lo scopo generale era quello di favorire la crescita di un movimento di lotta nordafricano che si opponesse alle dittature (“a noi interessavano solo quelle filosovietiche”), ma prefiggendosi la creazione di una grande unione democratica e federale nord africana. Questo movimento si chiamava, appunto,  Akbar Maghreb, Grande Maghreb. Il pretesto per la rivolta anti Ben Bourghiba, dittatore tunisino, fu la guerra del pane: il raddoppio del suo prezzo significava la fame per la popolazione. Ecco i ricordi di Nino:” Non fu, come ha detto l’ammiraglio Fulvio Martini (ex capo del Sismi, servizio segreto militare, ndr), ammettendo il coinvolgimento di Gladio nel golpe anti Bourghiba, un colpo di Stato morbido. Anzi. Tunisi era in fiamme, nel Capodanno ’84. I ribelli di Akbar Maghreb si lanciavano sulle autoblindo con bottiglie molotov, incendiavano i carri armati e non ripiegavano anche se falciati con le mitragliatrici dagli elicotteri. Quella rivolta costò migliaia di morti. Maanche il potere a Ben Bourghiba. Ero lì quando successe. Contemporaneamente, anche in Algeria ci fu una guerra del pane. Ma fallì: gli islamici del Fis, il Fronte islamico di salvezza, erano più forti di Akbar Maghreb. In marocco si opposero a un aumento delle tasse doganali: deposero le armi quando re Hassan II abrogò quelle tasse”: Il Kgb, ricorda Nino, riuscì a portare a termine l’unione tra la Libia e il Marocco. Ma siccome quest’unione non era ancora esecutiva, “mi fu ordinato di continuare a mantenere i contatti con i guerrieri di Akbar Maghreb, che addestravo per impiegare, eventualmente, stay behind (dietro le linee). In sostanza ero in continuo pellegrinaggio tra campi Beduin e Tuareg del Sahara e tribù berbere dell’Atlante: insegnavo loro tecniche di guerriglia e li addestravo, così come veniva, visti gli scarsi mezzi a disposizione, a non arrendersi alle future dittature”. Nino non sa che oramai la sua missione per conto del Dio Stato sta per finire. In un modo o nell’altro, ma sta per finire. Il 19 novembre 1985, sul Rif, a Tetouan, lo arrestano insieme ad altri 700 ribelli di Akbar Maghreb, ma anche del Fis. Ironia della sorte, un mese prima, il 17 ottobre, il governo italiano, rappresentato da Giulio Andreotti, e quello tunisino, rappresentato dall’ancora in carica Bourghiba (che se ne andrà il 7 novembre 1987, ufficialmente per infermità mentale), firmano un accordo bilaterale che sostanzialmente impedisce la nazionalizzazione dei beni degli italiani. “Si evitò 1970, anche grazie all’intervento di Gladio”, dice Nino. Ricordandosi che allora restò in una prigione

per due mesi. Giorni terribili: torture, isolamento. Ma senza mai rivelare la sua identità, neanche al console italiano che lo visitò in carcere. Alla fine il tribunale del Marocco dovette liberarlo, anche se precisò di non capire cosa ci facesse un “marinero mercante en transito para l’Italia sulle montagne del Rif”. Il 4 febbraio 1986, dopo aver volato da Tangeri a Madrid e da Madrid a Roma, è finalmente in Italia. Vuole mettersi a rapporto nel solito ufficio. Ma non c’è più. Anche Nino è stato cancellato.

Morti sospette.

Di gladiatori segretissimi

L’ultima scheggia, è anche qui ci vorrebbe un libro, Nino la racconta in macchina, in giro per la Sardegna. “Quello è il precipizio dove hanno cercato di uccidermi. Questa è la vera base di Capo Marrargiu, e non quella a 40 chilometri da qui dove andavano i magistrati durante le inchieste su

Gladio. Vedi? C’è il cartello con i buchi dei nostri proiettili”. Attacca:” Raul Gardini era uno di noi”. “Di voi chi?” “Di noi gladiatori”. Silenzio. “Non mi credi? Guarda, era un gladiatore civile. Dava informazioni dal mondo della finanza. Aveva una conoscenza gigantesca dei rapporti tra finanza e Pci, e degli investimenti italiani in Unione Sovietica. Gardini lo avevo conosciuto nel 1982: fui mandato a controllare i suoi silos sul Mildre Grove, nel Mississippi. Dovevo evitare attentati e ritorsioni. Una volta beccai gente che cercava di dare fuoco ai suoi depositi di soia. Li fermammo: fu una semplice scazzottata. A bordo delle sue navi, comunque, fino al 1982 c’era sempre qualcuno di noi. Non ci credo neanche lontanamente che quella mattina di mercoledì 23 luglio 1993 si sia suicidato”.(su questo, per chi volesse maggiori dettagli: http://www.affaritaliani.it ; cliccare Dossier – Casi irrisolti). E poi c’è il caso Ferraro. Lo aveva conosciuto bene, ma soltanto con nomi in codice. Quando vede la sua foto sul giornale, sa anche il nome: colonnello Mario Ferraro, impiccatosi nel bagno di casa sua, domenica 16 luglio 1995. In questo caso si parla subito di presunto suicidio: era del Sismi. “Di più” dice Nino, “Era di Gladio”. Pochi giorni dopo la sua morte, sbuca fuori una lettera nella quale Ferraro parla di una strana missione che aveva dovuto compiere a Beirut. Una missione che, secondo la lettera, conteneva una bugia. la rivelazione viene fatta dal Tg3. Ma poi non se ne sa più nulla. Ora Nino racconta:” Lo avevo conosciuto in Libano, il 14 dicembre 1975, quando i musulmani assaltarono l’aeroporto. L’ho rivisto a Beirut nel 1978 (appunto! ndr): mi diede dei documenti, gli consegnai dei documenti. E tornai ad Alessandria d’Egitto”. Nino non è convinto di un’altra morte: quella del neofascista Gianni Nardi. “Ma quale neofascista! Era solo uno che aveva la fissa dell’Italia. Era un gladiatore paracadutista, un’Aquila. Lo avevo conosciuto nel 1971 con uno della Gladio civile, l’attore do fotoromanzi Franco Gasparri. nel 1975 io e Nardi ci siamo incontrati in aereo: stavamo andando in Vietnam. io sono sceso a Lonj Nui, vicino a Saigon, lui ha proseguito verso Lanjnam per obiettivi diversi”. Speriamo di aver seguito alla lettera il consiglio di G-71-VO-155-M: “Giornalista, scrivi prima che puoi”.

Marco Gregoretti

USTICA Story

E-mail di Nino, “Un lungo elenco di morti che avrebbero potuto dire qualche verità sul DC9 precipitato a Ustica il 27 giugno 1980, causando 81 vittime. Giorgio Teoldi, comandante dell’aeroporto, 8-8-’80, incidente stradale. Maurizio Gari, capocontrollore a Poggio Ballone (GR), 9-5-’81, infarto. Giorgio Furetti, sindaco di Grosseto, 4-4-’84, investito da una moto. Licio Giorgeri, generale al registro aeronautico italiano, 20-3-’87, attentato Unità comuniste combattenti. Mario Alberto Dettori, di servizio al radar quel giorno, 2-3-’87, impiccato, “suicidio”. V. Zammaroni, 14-8-’88, idem. Mario Naldini e Ivo Nutarelli, due dei sei piloti italiani levatisi in volo il 27-6-’80 per intercettare il Mig 23 libico, 28-8-’88, incidente Frecce tricolori a Ramstein. A. Muzio, 1-2-’91, ucciso. Antonio Pagliara, maresciallo dell’Areonautica, 13-11-’92, incidente stradale. Roberto Boemio, generale comandante della regione aerea meridionale, 13-1-’93, accoltellato a Bruxelles durante una rapina. Gian Paolo Totaro, 4-11-’94. e Franco Parisi, sergenti dell’Aeronautica in servizio al radar di Otranto, 21-12-’95. Impiccati, “suicidio”. [Nota di MS: mancano altri, ad esempio l’investigatore aeronautico Jeremy Crocker, sparito a Los Angeles il 9 dicembre 1996, cinque giorni dopo aver parlato ad una radio locale di “pezzi di aereo francese” tirati su assieme ai resti del DC-9  ITAVIA:

http://www.lapdonline.org/get_involved/missing_persons/mp_crocker_jeremy.htm.

GLADIO: IL SUO CONTESTO STORICO-POLITICO

Nell’analisi della Commissione Stragi (relazione Pellegrino)

Qual è il contesto in cui nasce Gladio? Quali sono le esigenze a cui deve rispondere una struttura armata e segreta, composta da civili e militari? La struttura Gladio ha avuto dei progenitori o è sorta dal nulla?  Quali erano le logiche politico-militari alle quali doveva rispondere una simile struttura?

A queste e ad altre domande cerca di rispondere questo lungo brano della relazione scrittta dal presidente della commissione stragi Giovanni Pellegrino.

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AVVERTENZA: La relazione Pellegrino non va letta come una sorta di maxi-sentenza definitiva, ma soltanto come <<la formulazione di un giudizio storico-politico globale>>.

Come ogni analisi storico-politico essa è, comunque, soggetta a integrazioni e mutamenti.

Le direttive internazionali nei documenti del National Security Council

Il quadro internazionale più volte richiamato, che si determinò già nella fase finale del secondo conflitto mondiale e venne a consolidarsi nei decenni successivi, è così noto da non meritare forse troppa ampia esplicitazione.

Sicché è solo compiutezza espositiva che induce a rammentare, sia pure in termini di dovuta sommarietà, come il 12 marzo 1947 il Presidente degli Stati Uniti, Harry Truman, di fronte al forte espansionismo sovietico nell’Europa orientale, pronunciò dinanzi al Congresso il celebre discorso che sarebbe stato ricordato come l’enunciazione della dottrina che porterà il suo nome. In base ad essa gli Stati Uniti si facevano carico di proteggere militarmente qualsiasi zona del mondo fosse stata minacciata da eserciti di paesi comunisti e da forme di guerriglia comunque appoggiate da paesi di area comunista.

Una enunciazione programmatica, che informò di sé tutta la politica statunitense del successivo quarantennio.

Sui riflessi che tale politica ebbe nella situazione interna italiana la Commissione ha già ampiamente riferito al Parlamento nella prerelazione relativa all’organizzazione Gladio.

Sono dati su cui appare ora opportuno ritornare nella prospettiva di un’indagine volta a ricostruire una realtà storica complessiva, di cui l’attivazione della struttura Gladio costituisce soltanto un momento.

In tale direzione indagativa la Commissione ha già sottolineato l’importanza che rivestono i documenti del National Security Council, a partire dal documento n. 1/2 del 10 febbraio 1948.

In previsione di una possibile invasione dell’Italia da parte di forze militari provenienti dall’Europa Orientale, o nell’ipotesi che una parte dell’Italia cadesse sotto dominazione comunista a causa di una insurrezione armata o di altre iniziative illegali, il governo degli Stati Uniti predispose un piano articolato in sette punti, il cui ultimo paragrafo prevedeva di:

Dispiegare forze in Sicilia o in Sardegna, o in entrambe, con il consenso del governo italiano legale e dopo consultazione con gli Inglesi, in forze sufficienti ad occupare queste isole contro l’opposizione comunista indigena non appena la posizione dei comunisti in Italia indichi che un governo illegale dominato dai comunisti controlla tutta la penisola italiana[1].

Ancor più interessante è il documento successivo: NSC 1/3 dell’8 marzo 1948, dal titolo: “Posizione degli Stati Uniti nei confronti dell’Italia alla luce della possibilità di una partecipazione comunista al governo attraverso sistemi legali[2].

Fin dalle prime righe del documento, il problema politico viene posto con grande chiarezza. Si legge infatti:

Gli interessi degli Stati Uniti nell’area del Mediterraneo, relativi ai problemi di sicurezza, risultano seriamente minacciati dalla possibilità che il Fronte Popolare, dominato dai comunisti, ottenga una partecipazione al Governo attraverso le elezioni nazionali che si terranno in aprile e che, come conseguenza di ciò, i comunisti, seguendo uno schema ormai consueto nell’Europa dell’Est, potrebbero riuscire ad ottenere il completo controllo del Governo e a trasformare l’Italia in uno stato totalitario subordinato a Mosca. Un’eventualità del genere produrrebbe un effetto

demoralizzante in tutta l’Europa occidentale, nel Mediterraneo e nel Medio Oriente[3].

Nella parte conclusiva del documento sono elencati i provvedimenti che gli Stati Uniti dovrebbero prendere

nel caso in cui i comunisti italiani dovessero riuscire ad ottenere la guida del governo attraverso sistemi legali[4].

Tra essi figurano, al punto a):

Prendere delle misure immediate, compreso ciascun tipo di misura coercitiva, per realizzare una mobilitazione limitata“,

e al punto d):

Fornire  assistenza militare e finanziaria alla base anti-comunista italiana[5].

I documenti della serie NSC1 vennero sostituiti, a partire dall’aprile 1950, con quelli della serie NSC67; l’ultima versione, l’NSC67/3, redatta dal National Security Council il 5 gennaio 1951, venne infine approvata dal Presidente degli Stati Uniti l’11 dello stesso mese.

Si trattava di una sintesi delle ipotesi previste dall’NSC1/2 e NSC1/3 con una leggera limitazione in quanto l’attacco esterno all’Italia ricadeva ora nella responsabilità della Nato.

Il documento trattava quindi delle misure preventive e, eventualmente, punitive da adottarsi in caso di insurrezione interna appoggiata dall’esterno o di partecipazione del partito comunista al governo con mezzi legali.

Fra le misure preventive è da notare il suggerimento, messo in pratica alcuni mesi più tardi (Dichiarazioni anglo-franco-americana del 26 settembre 1951), di avviare le procedure per una revisione informale del Trattato di pace, specialmente di quelle parti che imponevano dei limiti sulla qualità e la quantità delle Forze armate nazionali.

Le misure punitive in caso di insurrezione interna erano volutamente lasciate nel vago; gli stessi JCS (Joint Chiefs of Staff) avevano insistito su questo punto; si auspicava infatti di

utilizzare le forze militari statunitensi in modo da essere in grado di impedire, quando necessario, che l’Italia cada sotto il dominio comunista[6].

Una ulteriore clausola specifica che ciò sarebbe stato attuato in ogni caso con il consenso del governo italiano e secondo le direttive elaborate nell’occasione dai JCS.

Ancora più vaghe apparivano le misure legali:

Gli Stati Uniti dovrebbero dare corso alle iniziative (censura) mirate ad impedire la presa del potere da parte dei comunisti e a rafforzare la determinazione italiana di opporsi al comunismo[7].

Queste direttive rimasero immutate durante il primo anno della nuova amministrazione Eisenhower. Nell’aprile 1954, l’NSC67/3 venne sostituita dall’NSC5411/2: il documento si differenziava da quelli dell’amministrazione precedente per l’insistenza sull’importanza strategica della penisola nell’ambito della Nato, definita a “una posizione geografica cardine[8].

Il documento analizzava i successi del sostegno americano alla rinascita economica italiana e il parallelo fallimento della politica anticomunista. Il miglioramento della situazione economica non aveva funzionato come antidoto all’affermazione dei socialcomunisti (come dimostravano i risultati elettorali del 1953); l’anticomunismo dei governi succedutisi dopo le elezioni politiche del 1953 avevano dato prova di grande instabilità. L’NSC

auspicava per l’Italia un governo costituzionale democratico, sorretto da una florida situazione economica.

L’ipotesi di un governo autoritario di destra, anche se definita preferibile a quella di un governo comunista, non veniva prospettata come uno scenario desiderabile (ed è questo un profilo importante perché individua nella stabilizzazione del quadro politico italiano, il principale obiettivo strategico comunque perseguito).

Venendo alle tradizionali ipotesi previste in merito ad una presa di potere comunista (attacco esterno, insurrezione interna sorretta da un appoggio sovietico, mezzi legali), la versione disponibile del documento è pesantemente censurata; in essa non appare dunque alcun riferimento alle ultime due ipotesi e, nel caso della prima, il riferimento va, come già nell’NSC67/3, alla garanzia fornita dal Trattato Nord Atlantico.  Non è dato sapere quindi cosa sarebbe successo nelle altre due ipotesi.

Si arriva così all’NSC6014 del 16 agosto 1960 in cui la parte analitica era approfondita ulteriormente secondo le linee già tracciate dall’NSC5411/2. Il documento rilevava ancora una volta come, a partire dalle elezioni del 1953, l’instabilità politica di governo fosse stata accentuata dalle spaccature interne al partito di maggioranza, dall’incapacità di formare coalizioni di governo durature e dalla differenza di opinioni esistenti nelle varie forze democratiche sulla credibilità di una partecipazione socialista al governo.

Per questo si auspicava l’appoggio all’evoluzione del PSI verso posizioni autonome rispetto al PCI e filo-occidentali. Finché tale cambiamento non fosse stato palese, l’influenza del PSI sulla politica estera e sulla politica di difesa nazionale doveva essere contrastata.

Il maggiore pericolo, stando così la situazione, era

che le forze politiche ed economiche conservatrici e quelle clericali costituissero con le forze neofasciste un Fronte nazionale contrapposto a un Fronte popolare, guidato dai comunisti, comprendente le classi lavoratrici e gli elementi democratici della sinistra moderata[9].

In sostanza, pur riconoscendo, come era stato dichiarato nel NSC 5411/2, che un regime autoritario sarebbe stato meno pericoloso nel breve periodo per gli interessi della politica estera americana, si affermava che nel lungo periodo avrebbe avuto un effetto deleterio, aggravando le frizioni interne e rafforzando in ultima analisi lo stesso partito comunista.

Per quanto riguarda la parte punitiva, la censura impedisce anche in questo caso di valutare appieno il significato del documento. Non è chiaro infatti se le misure prese in considerazione per contrastare l’avvento con mezzi legali o illegali del PCI al governo fossero solo di tipo non militare (come appare dal testo) o non comprendessero invece altri tipi di interventi (eventualmente censurati).

Va comunque sottolineato che una versione aggiornata dello stesso documento (NSC6014/1 del 19 gennaio 1961) escludeva l’ipotesi di azioni militari in questa circostanza almeno che non fossero attuate di concerto con altri alleati europei.

La lettura dei documenti attinenti l’Italia negli anni ’50 sembra dunque screditare l’ipotesi di un intervento militare diretto americano automatico in caso di avvento del PCI al governo con mezzi legali o illegali.

Rimanevano in piedi le tattiche elaborate fin dal 1948 dello stesso NSC per fronteggiare il pericolo comunista a livello mondiale.

Si trattava di quelle che vennero definite covert operations nella direttiva NSC 10/2 del 18 giugno 1948: erano misure che avrebbero affiancato le attività all’estero di carattere ufficiale e per le quali, a differenza di queste, non doveva essere possibile risalire alla responsabilità del governo americano.

Si trattava, cioè, di operazioni legali e illegali di cui il Governo avrebbe avuto la paternità, ma non avrebbe assunto la responsabilità.

La tipologia di queste operazioni era assai vasta. Si trattava di

propaganda, guerra economica; azione preventiva diretta, comprendente il sabotaggio, l’antisabotaggio, misure di demolizione ed evacuazione; sovversione contro Stati ostili, comprendente assistenza a movimenti clandestini di resistenza, a gruppi di guerriglia e di liberazione di rifugiati, nonché appoggio ad elementi indigeni anticomunisti nei paesi del mondo libero minacciati

Tali opinioni (…) non dovranno includere conflitti armati condotti da forze militari riconosciute, spionaggio, controspionaggio, copertura e occultamento di azioni militari[10].

Responsabile di questo tipo di operazioni era la nuova branca della CIA, l’Office of Special Projects; solo in caso di guerra, o quando il Presidente degli Stati Uniti lo avesse richiesto, i piani per le covert operations (operazioni coperte) sarebbero stati coordinati con i Joint Chiefs of Staff.

Ciò significa che la CIA godeva, in questo campo e in tempo di pace, della massima discrezionalità.

Questa direttiva, modificata secondo termini che rimangono sconosciuti (NSC10/5, non rinvenuta), rimase in vigore fino al marzo 1954, quando venne approvato un nuovo documento riguardante le covert operations che, nel frattempo, erano diventate un cavallo di battaglia della nuova amministrazione Eisenhower. Le attività delle aree dominate o minacciate dal comunismo internazionale venivano in questo documento specificate con chiarezza (e senza censure).

Si trattava di

sviluppare una resistenza clandestina, favorire operazioni coperte e di guerriglia ed assicurare la disponibilità di tali forze nel caso di conflitto bellico, compreso sia l’approntamento, ovunque praticabile, di una base a partire dalla quale l’esercito posa espandere, in tempo di guerra, il suddetto tipo di forze nell’ambito di teatri attivi delle operazioni, sia l’approntamento di strutture stay behind e strumenti per l’evasione e la fuga[11].

La novità del documento non consisteva solo nel prevedere la creazione di “Stay-behind assets” (“strutture stay behind”, cio’ “stare indietro”) poggiati su basi costituite nei vari paesi fin dal tempo di pace per attivarle in tempo di guerra, ma anche nel preconizzare la collaborazione fra CIA e militari non solo in caso di conflitto (come risultava dal documento precedente).

Questo aspetto venne ulteriormente chiarito in una revisione del NSC 5412, ovvero l’NSC 5412/2 del 28 dicembre 1955, in cui si prospetta la necessità per la CIA di avvisare il Dipartimento di Stato, il Dipartimento della Difesa, nonché un rappresentante dello stesso Presidente riguardo alle attività intraprese sotto il titolo di covert operations.

La discrezionalità della CIA era cioè fortemente ridotta e la corresponsabilità degli organi consultanti parallelamente accresciuta. Il punto chiave della collaborazione tra CIA e militari era la disponibilità delle basi di appoggio per le attività clandestine da attuarsi in territori comunisti o minacciati dal comunismo.

L’Italia ricadeva in quest’ultima categoria.

La situazione politica italiana nell’immediato dopoguerra

Un quadro d’insieme emerge quindi con sufficiente chiarezza, malgrado il persistere di marginali zone grigie, la cui ricostruzione storica non è allo stato ancora possibile. William Colby, che fu capo della CIA dal 1973 al 1976, riferendosi al 1948 scrive:

La possibilità di una presa del potere comunista in Italia come risultato elettorale aveva preoccupato molto gli ambienti politici di Washington prima delle elezioni italiane del 1948. Anzi, era stata soprattutto questa paura a portare alla creazione dell’Office of Policy Coordination, che dava alla CIA la possibilità di intraprendere operazioni politiche, propagandistiche e paramilitari segrete[12].

Che tanto sia poi avvenuto non può dirsi con certezza, anche se alcune organizzazioni, sorte in quegli anni, sembrano riconducibili ad un intervento diretto o indiretto degli Stati Uniti o comunque di organizzazioni para governative occidentali.

Documentazione ufficiale è disponibile, come meglio si vedrà in seguito, soltanto su “Pace e Libertà”. Per altre associazioni è legittimo il sospetto che possa esservi stato un finanziamento occulto da parte degli Stati Uniti.

Peraltro, nel delineare lo scacchiere internazionale in cui l’Italia veniva ad inserirsi – per coglierne i riflessi e le influenze non solo sulla storia ufficiale del paese (e cioè nel succedersi degli eventi che furono democraticamente conoscibili all’atto del loro verificarsi), ma anche su eventi che restarono occulti perché parte di una storia sotteranea, che oggi appare possibile ricostruire sia pure per grandi linee, ma comunque su base almeno documentale – non appare neppure revocabile il dubbio che politica analoga a quella statunitense (di cui è stato più e più volte sottolineato il carattere imperiale) sia stata perseguita dall’Unione Sovietica, non solo – e in maniera esplicita, dato il carattere non democratico, ma dispotico, dei relativi ordinamenti – nei paesi aderenti al Patto di Varsavia, ma anche – e in maniera occulta – all’interno del blocco occidentale e in particolare in luoghi (come l’Italia) di frontiera, sotto forma di aiuti anche finanziari ai partiti comunisti nazionali o a gruppi a questi interni.

Nella X legislatura, all’interno del dibattito in Commissione che condusse all’approvazione della prerelazione sull’inchiesta in ordine alle vicende connesse all’operazione Gladio, fu acutamente sottolineata la difficoltà di comprendere le vicende più recenti relative alla strategia della tensione e delle stragi nel nostro paese, senza fare fino in fondo i conti con il quadro uscito dalla seconda guerra mondiale, e cioè non soltanto con la divisione del mondo in due sfere di influenza, ma anche con il processo ulteriore che

condusse in brevissimo tempo:

-alla sistematica soppressione della sovranità dei paesi collocati nella sfera di influenza sovietica, con la formazione di regimi autoritari prima, totalitari poi;

-alla progressiva e rapida instaurazione nei paesi del blocco occidentale  di una situazione sostanziale di sovranità limitata.

E’ pur vero che in questi ultimi ci fu uno Stato di diritto, una democrazia pluralista e uno scontro sociale e politico. Ma se ciò appartenne alla storia palese dei singoli paesi, vi era però negli stessi un limite invalicabile e ufficialmente non scritto (ancorché risultante anche indirettamente da documenti destinati a lungo a restare segreti, e ancora oggi in parte non noti): l’impossibilità di mutare gli assetti politici realizzati nei paesi della sfera di influenza.

Su tali basi e con specifico riferimento alla situazione italiana (fortemente segnata dalla presenza da un lato dello Stato Vaticano, dall’altro del maggior partito comunista occidentale) non appare enfatizzato affermare, con riferimento all’immediato dopoguerra, l’instaurarsi di una situazione che fu per alcuni anni al limite di una guerra civile, sia pur latente e potenziale; e ciò almeno come situazione vissuta dalle forze politiche che ne sono state protagoniste con l’inizio della guerra fredda e con l’uscita delle forze di sinistra dal governo De Gasperi.

Vuol cioè riferirsi ad una situazione di simmetrica diffidenza degli opposti schieramenti politici rispetto alla volontà reciprocamente dichiarata di mantenimento della democrazia, fase che si prolunga sicuramente fino alla metà degli anni cinquanta anche se le datazioni sono probabilmente diverse per le varie forze politiche.

Ciò perché soprattutto nella vigilia delle elezioni politiche del 1948 nessuna delle due parti era sicura che la forza vittoriosa avrebbe rispettato e garantito sino in fondo il sistema democratico: da una parte mettendo fuori legge il partito comunista, come invece non è stato; dall’altra, temendo che, se avesse prevalso il Fronte popolare, sarebbe accaduto qualcosa di analogo a quanto si era verificato a Praga.

E’ una realtà documentata e documentabile anche attraverso testimonianze dirette, non smentite, nel riconoscere che, in seno a tutte o quasi le forze politiche, dopo la fine della seconda guerra mondiale, gruppi o nuclei di aderenti continuarono per alcuni anni a comporre strutture clandestine parallele armate.

Tale realtà[13] è stata peraltro rimossa nei decenni successivi, perché ritenuta inconfessabile a fronte degli ideali democratici che medio tempore avevano avuto – con il decisivo concorso delle forze e di maggioranza e di opposizione – realizzazione quasi piena in istituzioni che andavano mano a mano consolidandosi; rimozione che ha indubbiamente pesato – e in parte ancora pesa – nel ritardo con cui si è proceduto alla lettura di tragici eventi successivi, che pure da quella realtà rimossa furono indubbiamente influenzati.

Le strutture paramilitari nell’immediato dopoguerra

E’ quindi coerente con la situazione internazionale ed interna sin ora delineata la costituzione in territorio italiano e prevalentemente nelle zone adiacenti al confine orientale, di formazioni paramilitari segrete.

Per vero l’unica organizzazione sulla quale sia stato possibile reperire ampia documentazione è la “Osoppo”, sulla quale la Commissione ha già riferito al Parlamento nelle relazioni sul caso Gladio e sulla quale, anche per compiutezza espositiva si tornerà più diffusamente nelle pagine successive (Vedi caso Gladio).

Vi sono, comunque, tracce dell’esistenza di altre strutture segrete, sulle quali la Commissione non è riuscita a raccogliere se non scarne informazioni.

Un’organizzazione era denominata “Fratelli d’Italia” e sembra sorta a seguito dello scorporo di cinque battaglioni dell’ex “Osoppo Friuli”, come si evince da un documento a firma dell’allora Comandante generale dell’Arma dei Carabinieri, indirizzato alle massime autorità dello Stato[14].

Non sono stati trovati altri riscontri, tranne che in un passo di un volume storiografico nel quale sono rievocate le vicende del confine orientale nell’immediato dopoguerra. In esso è riportato un rapporto del questore di Udine al capo della polizia, Luigi Ferrari, nel quale si afferma:

Le autorità a cui si fa carico di distribuire armi agli Osovani si identificano negli esponenti delle disciolte formazioni partigiane della Divisione Osoppo-Friuli, i quali, con l’acquiescenza dei comandi alleati avevano provveduto […] alla organizzazione dell’associazione ‘Fratelli d’Italia’ […] nonché alla creazione, in seno ad essa, di squadre armate con il compito precipuo di impedire o perlomeno di ostacolare le continue infiltrazioni in questa provincia di emissari e di armati slavi[15].

Un’altra organizzazione segreta dovrebbe essersi denominata “Duca”, di cui è traccia, nella documentazione a suo tempo sequestrata dalla Procura di Roma presso gli archivi della VII Divisione del Sismi.

E’ logicamente ipotizzabile che il riferimento ad “accordi preesistenti” contenuto nel noto protocollo di intesa del 28 novembre 1956 tra il servizio italiano e quello statunitense possa riferirsi anche a queste strutture, come confermerebbe anche il documento inviato dal Presidente del Consiglio Andreotti a questa Commissione il 17 ottobre 1990, laddove si afferma che, con l’intesa del 1956,

furono confermati tutti i precedenti impegni intervenuti tra l’Italia e gli Stati Uniti“.

Su ben più ampia base documentale può invece essere ricostruita – nella sua indubbia significatività – la storia della principale organizzazione paramilitare del periodo e cioè la “Osoppo” che sorge nel gennaio 1946, per iniziativa dei dirigenti della preesistente formazione partigiana “Osoppo-Friuli”, nell’atmosfera di tensione che continuò a regnare al confine jugoslavo anche dopo la conclusione della guerra.

Secondo una relazione stilata dal capo dell’organizzazione stessa, col. Luigi Olivieri, nel gennaio 1946, i capi della disciolta formazione partigiana[16], dinanzi alla situazione di tensione che si era creata nella zona di confine, si riunirono sotto la guida dello stesso Olivieri

dandogli l’incarico di riarmare in segreto i più fedeli osovani e simpatizzanti, di ordinarli in reparti per la difesa delle popolazioni di frontiera e nello stesso tempo ne informarono l’allora Capo di Stato meggiore dell’Esercito signor Generale di Corpo d’Armata Raffaele Cadorna, già comandante del Corpo volontari della Libertà[17].

Il col. Olivieri provvide a riarmare gli uomini

con armi provenienti dai recuperi e con quelle che non furono versate nel 1945[18].

Dopo due mesi la struttura era già di 2.150 uomini[19].

D’altro canto, la struttura nasceva con intenti non solo difensivi, se tra i compiti fissati nell’aprile 1946 risulta anche quello di

far affluire un certo quantitativo di armi e munizioni a Pola, Trieste e Gorizia[20].

Nello stesso documento si dice anche che tra i compiti della formazione è quello di

mantenere efficiente il servizio informazioni, riferendo le notizie più importanti[21].

Dal maggio 1946 la Osoppo e varie unità minori furono raggruppate in un unico reparto, che aveva assunto il nome di III Corpo volontari della libertà.

Al momento dell’entrata in vigore del Trattato di pace, nel settembre 1947, l’organizzazione aveva raggiunto una consistenza di 4.484 unità[22].

Un’occasione di grosso impegno fu rappresentata dalle elezioni politiche del 18 aprile 1948: in quella occasione, e più esattamente dal 16 aprile al 2 maggio

1.000 uomini delle formazioni Corpo volontari della libertà assunsero uno schieramento occulto, ma vigile, sul confine orientale, tenendo le armi nascoste, però a portata di mano, pronte a dare l’allarme e quindi ostacolare e rintuzzare ogni velleità jugoslava[23].

La tensione di quei giorni sfociò in uno scontro a fuoco con soldati jugoslavi in località Brienza di Topolo. A seguito di questo episodio, l’esistenza del III Corpo volontari della libertà divenne pubblica.

Si decise allora di

far figurare sciolto il III Corpo volontari della libertà e di dargli una nuova denominazione, quella di Volontari Difesa Confini Italiani VIII (VDCI VIII)[24].

Un’altra variazione, questa volta non solo di denominazione, avvenne nel 1949, quando la struttura passò direttamente alle dipendenze della Presidenza del Consiglio dei Ministri, rimanendovi fino all’aprile del 1950[25].  In altro documento si afferma che il periodo di dipendenza della Presidenza del Consiglio si protrasse dal 1948 al 1950[26].

Il 6 aprile 1950, sulla base di direttive dello Stato Maggiore dell’Esercito, il

Corpo Volontari Difesa Confini Italiani VIII fu trasformato in una organizzazione militare segreta alla quale fu data la denominazione di “Organizzazione O”[27].

Tra i compiti dell’organizzazione vi erano:

– protezione alle comunicazioni e agli impianti di particolare importanza militare; – guerriglia e contro guerriglia; – guida, osservazione e informazione[28].

Una precisazione importante, alla luce della quale si può affermare che “l’organizzazione ‘O’” aveva i caratteri di struttura occulta predisposta anche per la guerra non ortodossa.

Ma l’organizzazione era predisposta anche per compiti militari tradizionali. Il 18 ottobre 1953, in occasione della crisi di Trieste, la organizzazione fu posta alle dirette dipendenze del V Corpo d’Armata per un eventuale impiego. Un certo numero di ufficiali furono richiamati; la mobilitazione si protrasse fino a metà dicembre.

Secondo le norme di rigida segretezza vigenti nell’organizzazione, tutti gli ufficiali che avevano partecipato alla mobilitazione dovevano essere allontanati, proprio per essere venuti a conoscenza di norme segrete[29].

Questo conferma il carattere di assoluta segretezza dell’organizzazione, che fu sciolta con le modalità che verranno chiarite nel 1956.

Indagini giudiziarie su tale organizzazione risultano avere avuto luogo solo in connessione con la struttura Gladio, quando cioè per il lungo tempo trascorso eventuali profili di rilevanza penale sarebbero stati già coperti da prescrizione.

Tali indagini tuttavia hanno consentito di cogliere notevoli elementi di continuità tra l’organizzazione “O” e la organizzazione “Gladio”, in palese contrasto con le affermazioni ufficiali, secondo le quali soltanto poche decine di uomini sarebbero transitati dalla “O” alla “Gladio”.

A conferma, in un appunto di provenienza SIFAR del 1958, poi confluito in un documento del SID del 1972, a proposito dello scioglimento della Osoppo può leggersi:

Il servizio italiano ha sempre considerato che sarebbe stato un errore il lasciar cadere nel nulla tali idealità (della Osoppo, NdR) e propositi (che sarebbero altrimenti andati delusi e perduti) e, perciò, quando a fine 1956 lo Stato Maggiore dell’Esercito disponeva lo sciolgimento della “Osoppo”, il servizio italiano prendeva a suo carico l’organizzazione e ne decideva la conservazione e la ricostituzione. (sottolineato nel testo, NdR)”.

Le nuove vere basi per la ricostituzione dell’organizzazione datano dal 1º ottobre 1957 quando esse venivano così precisate:

-denominazione “Stella Alpina”

-compiti: in tempo di pace: controllo e neutralizzazione dell’attività slavo-comunista; in caso di conflitto o insurrezione interna: antiguerriglia e antisabotaggio; in caso di invasione del territorio nazionale: guerriglia o altri eventuali compiti accessori[30].

Il documento appare di rilevante interesse perché elenca una tripartizione di funzioni: in tempo di pace, in caso di conflitto o insurrezione interna, e in caso di invasione del territorio, mentre le fonti ufficiali e del servizio hanno sempre affermato che la struttura stay-behind era predisposta solo per la terza eventualità.

In altra parte del documento si afferma:

la riattivata organizzazione ‘Osoppo’, ora denominata ‘Stella Alpina’ si propone l’inquadramento preventivo e locale delle forze della guerriglia eredi delle tradizioni di onore e di italianità delle formazioni partigiane anticomuniste[31].

Ulteriori emergenze documentali.

La ricostruzione del periodo sino ad ora delineata consente di attribuire rilievo anche ad ulteriori emergenze documentali, che pur ampiamente incomplete acquistano nel quadro di insieme suscettibilità di lettura.

Il riferimento è a realtà documentali che consentono di ritenere estremamente probabile la creazione anche all’interno dell’organizzazione di pubblica sicurezza (così come indubbiamente avvenuto nell’organizzazione della difesa) di strutture, cui sono stati affidati segretamente compiti non istituzionali e che hanno agito in sinergia più o meno completa con organizzazioni e strutture private.

E’ noto infatti il testo di un telegramma segreto spedito dall’Ambasciata di Roma al Dipartimento di Stato il 10 febbraio 1949, nel quale è dato leggere, tra l’altro:

Anche l’Italia sta ora istituendo simili organizzazioni di polizia segreta anticomunista sotto il Ministro dell’interno e con esponenti dell’ex polizia segreta fascista come parte determinante a livello strutturale e organizzativo[32].

Dopo la pubblicazione del documento, il senatore Scelba replicò affermando:

I servizi di polizia che si occupavano della prevenzione dei reati contro la sicurezza interna non costituivano né una polizia speciale né tanto meno segreta, né furono creati nel 1949, anche se dopo tale data e data la situazione del paese furono notevolmente potenziati (…). Il funzionario che dirigeva il particolare settore era […] un funzionario civile[33] che, per aver appartenuto all’OVRA era stato sottoposto a giudizio di epurazione […] e mandato pienamente assolto da ogni e qualsiasi responsabilità. Collocato a riposo per limiti di età, fu sostituito da me dal suo vice, anch’egli funzionario civile, anch’egli giudicato come appartenente all’OVRA e mandato esente da ogni responsabilità e reintegrato con tutti i diritti nell’amministrazione. Ma dell’esistenza del particolare servizio e dei suoi dirigenti fu data ampia informazione al Parlamento in sede di discussione del bilancio dell’Interno[34].

Ma lo stesso Scelba, in una conversazione con lo storico e giornalista Antonio Gambino, ha parlato della creazione, in quegli anni, di una struttura riservatissima pronta a scattare in caso di insurrezione:

Già nei primi mesi del 1948 era stata messa a punto una infrastruttura capace di far fronte a un tentativo insurrezionale comunista. L’intero paese era stato diviso in una serie di grosse circoscrizioni, ognuna delle quali comprendeva varie province, e alla loro testa era stato designato in maniera riservata, per un eventuale momento di emergenza, una specie di prefetto regionale, che non sempre era il prefetto più anziano o quella della città più importante, perché in alcuni casi era invece il questore o un altro uomo di sicura energia e di assoluta fiducia. L’entrata in vigore di queste prefetture allargate sarebbe stata automatica, nel momento in cui le comunicazioni con Roma fossero state, a causa di una sollevazione, interrotte: allora i superprefetti da me designati avrebbero assunto gli interi poteri dello Stato sapendo esattamente, in base a un piano preordinato, che cosa fare. D’altra parte ci eravamo preoccupati anche di impedire che si potesse arrivare a una interruzione delle comunicazioni. Pensando che la prima mossa dei promotori di un eventuale colpo di Stato sarebbe stata di impadronirsi delle centrali telefoniche e delle stazioni radio, o quanto meno di renderle inutilizzabili, avevamo organizzato un sistema di comunicazioni alternative, servendoci, come punti di appoggio, di un certo numero di navi italiane e alleate presenti nel Mediterraneo[35].

Non vi è dubbio che il piano, così come viene presentato, ha connotazioni assolutamente “difensive” e tuttavia della pianificazione che, alla stregua di quanto dichiarato, l’allora ministro Scelba deve ritenersi approntata, non è stato possibile alla Commissione trovare traccia in documenti ufficiali.

Ciò fonda il dubbio che alla struttura medesima possono essere stati affidati anche compiti non istituzionali nonché il dubbio, sia pure in termini di minore spessore, che l’infrastruttura in tale direzione sia stata attivata.

Nella medesima direzione ricostruttiva va rammentato che il 14 ottobre i ministri dell’interno, Scelba, della difesa, Pacciardi, del tesoro, Pella e dei lavori pubblici, Aldisio, presentarono un disegno di legge dal titolo “Disposizioni per la protezione della popolazione civile in caso di guerra o

di calamità (difesa civile)[36].

Il disegno di legge incontrò la durissima opposizione delle sinistre, che temevano che la costituzione di “milizie volontarie”, previste nel disegno di legge avrebbe potuto preludere ad una loro utilizzazione in caso di scioperi.

Peraltro, dallo stesso intervento del ministro dell’interno alla Camera trasparivano intenti legati in qualche modo ad una emergenza di tipo militare.

Disse infatti Scelba:

Il disegno di legge sulla difesa civile si propone due scopi fondamentali il

primo è quello di una riorganizzazione dei servizi assistenziali a favore della popolazione civile, in caso di calamità naturali; il secondo è quello di provvedere alla difesa passiva del territorio in caso di eventi bellici o connessi con la guerra. (…) Nel mondo è intervenuto qualcosa di nuovo e cioè l’affare coreano, che ha obbligato tutti i paesi pensosi della sicurezza all’interno e della difesa delle proprie frontiere ad organizzare anche la difesa civile, così come hanno organizzato la difesa esterna (…) considerato il modo in cui le guerre vengono oggi combattute, sono intimamente legate. Questo provvedimento, per una parte almeno, è intimamente connesso con la difesa del paese[37].

Da queste esposizioni, sembra emergere un ruolo della difesa civile molto simile a quello successivamente assunto in ambito militare dalla struttura Gladio.

E’ da rilevare, peraltro, che il 23 settembre 1951 il Consiglio dei Ministri aveva già istituito presso il Ministero dell’interno una Direzione generale dei Servizi di difesa civile, con la facoltà di avvalersi anche di elementi volontari[38].

Il disegno di legge appare, a questo punto, una sanatoria legale di una organizzazione già istituita.

In quello stesso periodo vi fu a Roma il Congresso dei partigiani cattolici, presieduto dall’ing. Enrico Mattei, nel corso del quale quest’ultimo enunciò un decalogo di comportamento attivamente anticomunista[39].

In quel Congresso, secondo l’onorevole Pietro Amendola, l’onorevole Mattei e i convenuti, oltre i loro manifesti intendimenti di costruire un bastione antibolscevico, proclamarono anche la loro calda volontà di essere i primi volontari di questa milizia civile[40].

Il disegno di legge fu approvato dalla Camera dei deputati l’11 luglio 1951, ma successivamente decadde perché il Senato non riuscì ad esaminarlo prima della conclusione della legislatura.

Il 20 dicembre 1956 fu presentato un nuovo disegno di legge intitolato: “Norme sulla protezione civile in caso di eventi bellici e calamità naturali[41], che sostanzialmente riproponeva lo stesso schema del disegno di legge precedente.

Anch’esso non giunse a favorevole conclusione.

Appare quindi legittimo ipotizzare che un settore difesa civile al Ministero dell’interno possa essere stato costituito tra il 1950 e il 1953, nonostante le mancate approvazioni del Parlamento, e che abbia espletato mansioni riservate e di cui il Parlamento non è stato mai posto al corrente. Analogamente fondato è ipotizzare il collegamento con organizzazioni collaterali sorte in dichiarata funzione anticomunista.  Anche su ciò esiste una base documentale, sia pure ben lungi dall’essere completa.

In una lettera indirizzata all’allora ministro degli esteri Aldo Moro da Edgardo Sogno è dato leggere tra l’altro:

Fin dal 1949 l’onorevole Scelba, allora che avrebbe comportato il distacco presso il Ministero dell’interno (Organizzazione del progettato servizio di difesa civile)[42].

E’ da rilevare che nel fascicolo concernente “Pace e libertà” presso la Divisione Affari riservati del Ministero dell’interno vi è una  “riservatissima” priva di firma nella quale si afferma tra l’altro:

elemento fiduciaro riferisce che nel corso di un lungo colloquio col Conte Sogno (…) il predetto gli ha esposto le sue idee politiche. Convinto che il popolo italiano ama la forza e persuaso inoltre che il primo squadrismo fascista del 19 e del ’20 sia degno di encomio, in quanto fu capace di rintuzzare la tracotanza rossa, Sogno tenta di rimettere in piedi uno squadrismo “democratico”, capace di difendere gli ideali cristiani e democratici contro l’assolutismo comunista (…). Egli ha detto che nel 1948, l’onorevole Scelba gli offrì la direzione della “Difesa civile”, egli rifiutò perché la “Difesa civile” doveva entrare in azione soltanto nel caso che i comunisti tentassero un’azione di forza e (secondo le sue opinioni) non si possono galvanizzare gli uomini soltanto per un’occasione sola, che anche non potrà verificarsi. Occorre uno squadrismo risoluto e attaccabrighe, capace di prendere l’iniziativa e non di servire da semplice reazione[43].

Di questa offerta vi è traccia anche in una lettera di Sogno al ministro Carlo Sforza del 1949, nella quale egli dice:

Come Ella sa il ministro Scelba mi ha recentemente manifestato il desiderio di chiedere il mio distacco presso l’amministrazione dell’interno allo scopo di affidarmi un incarico alle sue dipendenze. L’onorevole Scelba mi ha parlato in proposito della carica di prefetto di Firenze o di quella di capo del costituendo Servizio per la Difesa civile[44].

La figura di Edgardo Sogno e il movimento (rectius la sezione italiana del movimento) “Pace e Libertà” rimandano ad ulteriori emergenze documentali, in parte rese accessibili dal governo alla Commissione soltanto in questa legislatura, dalle quali chiaramente risulta che compiti di guerra psicologica furono almeno nella metà degli anni cinquanta affidati a settori istituzionali e soprattutto a organismi di natura privata collegati a settori istituzionali.

Si legge in un appunto non firmato della Direzione Generale degli Affari politici del Ministero degli esteri:

La questione della contro propaganda o guerra psicologica fu sollevata per la prima volta nel settembre 1951 ad Ottawa, quando il presidente De Gasperi richiamò su di essa l’attenzione dei Ministri degli esteri del Consiglio Atlantico. Fu ripresa nelle sessioni di Roma e di Lisbona, dove l’Italia fu inviata a sottomettere al Consiglio – come poi fece – una particolareggiata memoria. (…) I ripetuti nostri interventi non hanno tuttavia dato che ben scarsi risultati. (…) L’azione dei paesi più esposti risulta frustrata dalla mancanza di un minimo di coordinamento con altri paesi. (…) Iniziative isolate, connesse con la contropropaganda, si sono tuttavia avute sul piano bilaterale (…). Nel giugno scorso, per incarico del governo francese, è venuto a Roma l’onorevole David, presidente del Movimento “Paix et Liberté”, per raccogliere informazioni sulla situazione interna italiana e sulla azione che viene svolta nel nostro paese contro la propaganda comunista. Egli si incontrò con il presidente De Gasperi; con il Capo di Stato Maggiore e con il Capo della Polizia (…)[45].

L’appunto era contemporaneo a due lettere riservate, una del Segretario generale del Ministero degli affari esteri e una dello stesso Ministro, ambedue indirizzate al Ministro dell’interno, nella quali si dava notizia dell’avvenuta costituzione della sezione italiana di Pace e Libertà, diretta da Edgardo Sogno, legando strettamente la costituzione dell’organizzazione anticomunista con il problema, sollevato in Consiglio Atlantico, della guerra psicologica. Scriveva infatti il Segretario generale del Ministero degli esteri:

Cara Eccellenza, a seguito della lettera dell’onorevole Presidente del Consiglio n. 8/8210 del 9 corrente, concernente la sezione italiana di “Pace e Libertà” costituitasi a Milano, mi sembra opportuno segnalarLe la seguente comunicazione nella quale mi si conferma che, in sede di Consiglio atlantico, Bidault solleverà il problema della guerra psicologica. La comunicazione mi sembra particolarmente interessante anche perché offre un quadro generale del modo in cui si articoleranno le varie sezioni nazionali di “Pace e Libertà” rispetto all’attività internazionale in questo settore. Desidero riferire quanto mi ha comunicato David in colloqui che ho avuto con lui ieri a Parigi. Egli mi ha confermato che Bidault solleverà la questione della guerra psicologica nella prossima riunione del Consiglio atlantico e mi ha precisato che il suo intervento sarà impostato su un programma massimo ed un programma minimo. Il programma massimo, che è quello cui tende David, consiste nella riorganizzazione del Servizio informazioni della Nato che sarebbe trasformato in un centro motore e coordinatore dell’azione anti Cominform sul piano internazionale. A tale centro farebbero capo dei nuclei nazionali in ogni paese Nato. Detti nuclei o “cellules nationales” avrebbero la funzione di presiedere e coordinare tutta l’azione anti cominform, svolta da parte dei vari Ministeri ed organi governativi. L’attività sostanziale sarebbe invece affidata agli organismi di natura privata, come “Pace e Libertà”, i quali continuerebbero ad operare alle dipendenze del centro internazionale ed in collegamento con i nuclei nazionali. (…) In sostanza l’onorevole Pella dovrebbe: a- appoggiare le proposte Bidault b- sostenere più caldamente di quanto non potranno fare i francesi la costituzione dei nuclei nazionali (a livello Nato) c- mettere in luce l’opportunità di affidare l’azione anti cominform ad organismi privati perché più efficaci e più efficienti (…)[46].

A sua volta, il ministro degli esteri Pella scrive:

Caro Fanfani, sin dalla riunione di Lisbona (febbraio 1952) del Consiglio atlantico fu da parte italiana presa l’iniziativa di far presente la necessità di far coordinare fra i vari paesi Nato l’attività di informazione e propaganda onde contestare adeguatamente e secondo linee congiuntamente studiate le analoghe attività cominformiste. La differenza nelle situazioni interne fra i vari paesi non consentì un coordinamento completo nei particolari dell’azione. Tuttavia Francia e Italia si accordarono per una più intima cooperazione fra di esse in questa materia. Fu perciò che il ministro Bidault inviò in Italia, nell’aprile scorso, il deputato Paul David che ha creato e dirige in Francia il Movimento Paix et Liberté” con sede in Parigi. Il signor Paul David prese contatto, a Roma, con l’appoggio del Ministero degli affari esteri, col Tuo Ministero ed anche col Capo della Polizia dottor Pavone. Nel settembre u.s. si è costituita poi a Milano – via Palestro n. 22 – una sezione italiana di tale movimento. […] La sezione italiana di Pace e Libertà è diretta dalla medaglia d’oro Edgardo Sogno Rata, funzionario del ministero degli affari esteri in aspettativa […]. Ti sarò perciò assai grato se vorrai esaminare la possibilità di rivolgere la Tua attenzione a Pace e Libertà in Italia, alla quale il Ministero degli affari esteri già fornisce assistenza nei limiti delle proprie possibilità e competenze (informazioni dai paesi d’oltre cortina, giornali, etc.) ma che, per la sua particolare e utile attività all’interno conviene possa far capo anche al Tuo Dicastero[47].

Come si evidenzia in particolare dalla lettera del Segretario generale del Ministero degli esteri, l’attività dell’onorevole David è una diretta emanazione del programma delineato in sede di Consiglio atlantico dal Ministro degli esteri francese, Bidault.

Dal testo delle due lettere emergono anche chiaramente i collegamenti sia di Paix et Liberté che di Pace e Libertà con ambienti istituzionali dei due paesi e con le strutture della Nato.

E’ da rilevare che, secondo una relazione dell’Ufficio Affari riservati del Ministero dell’interno, nel gennaio 1956 si svolse a Milano un congresso internazionale dei Comitati “Paix et liberté” al quale presero parte rappresentanti di Italia, Francia, Belgio, Svizzera, Olanda, Germania.

Si legge inoltre nella relazione:

I rappresentanti di altri comitati, non potuti intervenire, hanno fatto

pervenire messaggi di solidarietà e di augurio[48].

A quella data, dunque, appare costituita una rete internazionale vasta e articolata.

Nella relazione si afferma tra l’altro:

I congressisti, pur tenendo conto delle particolari modalità di azione dipendenti dalla situazione politica dei vari paesi, hanno convenuto che, in vista dei continui progressi del bolscevismo in tutto il mondo, e poiché il comunismo rappresenta un grave pericolo per le istituzioni fondamentali degli Stati democratici, occorre promuovere un anticomunismo di Stato[49].

Emerge quindi chiaramente nel complesso delle richiamate emergenze documentali una evidente “tensione” fra due opposte esigenze: l’una tendente ad istituzionalizzare l’attività di propaganda anticomunista, l’altra tendente invece a tener celato il legame, indubbiamente sussistente tra gli organismi di natura privata impegnata in tale attività di propaganda e gli apparati istituzionali dei rispettivi governi.

Ciò in disparte, va peraltro segnalato che sussistono indicazioni documentali idonee a fondare l’ipotesi, tuttavia non pienamente verificabile, che l’attività di tali organismi privati sia andata anche al di là dell’attività di propaganda conoscibile e conosciuta.

Nella citata lettera di Sogno all’onorevole Moro vi è infatti un passaggio che appare assai significativo

Nel luglio del 1953, per iniziativa della Presidenza del Consiglio (governo Scelba) mi veniva nuovamente proposto un incarico di carattere eccezionale e riservato (organizzazione della difesa psicologica delle istituzioni democratiche) in ripresa di una operazione avviata nel 1948 per iniziativa del ministro Sforza nel quadro dell’attività svolta in base al piano Marshall. Accettai tale incarico (…) l’azione volta per il tramite del comitato da me organizzato ebbe tre fasi principali: in un primo periodo (fino all’ottobre 1954) essa si concretò nella realizzazione del progetto che gli onorevoli De Gasperi e Pella avevano ripetutamente sostenuto in Consiglio atlantico e consistente nel contrapporre l’azione degli organi promotori e coordinatori della propaganda occidentale alla costante iniziativa sovietica nel campo della informazione. Nel secondo periodo (ottobre 1954 – giugno 195) il Comitato assolse funzioni specifiche nel quadro dei provvedimenti adottati dal governo Scelba per la difesa delle istituzioni, assumendo compiti di punta che non potevano essere affidati ad organi governativi. Nel terzo periodo (dopo il giugno 1955) il Comitato ridusse progressivamente l’azione esterna per concentrarsi su compiti di carattere riservato sempre nel campo della difesa psicologica. Durante questo servizio prestato alle dirette dipendenze della Presidenza del Consiglio ed in collaborazione con i Ministeri dell’interno e della difesa, rimasi nei ruoli del Ministero esteri (…)[50].

E’ da rilevare che nel corso dell’interrogatorio del gen. Allavena dinanzi alla Commissione d’inchiesta Lombardi (sulle deviazioni del SIFAR ed il piano Solo. Ndr) egli afferma che l’istituzione, al Servizio, di una rubrica “E” (estremisti), avvenuta nel 1953

derivava dalla circostanza che si era costituito presso il Ministero dell’interno un Comitato anticomunista[51].

L’affermazione di Allavena sembra offrire una conferma delle parole di Sogno.

L’attività di Pace e Libertà può inserirsi in questo contesto ma non certo esaurire le iniziative di questo Comitato. Sogno, peraltro, nella lettera a Moro, opera una precisa periodizzazione, mostrando che il suo incarico assume, nel volgere degli anni, un carattere sempre più riservato.

Una conferma di tale affermazione potrebbe rilevarsi nella

relazione sull’attività svolta dal Comitato Nazionale ‘Pace e Libertà’ dal 1º gennaio al 31 dicembre 1956

redatta, presumibilmente, dalla Direzione del Movimento e contenuta tra gli atti del fascicolo esistente alla Divisione Affari riservati del Ministero dell’interno:

Agli inizi del 1956 gli sviluppi internazionali e nazionali della politica della coesistenza e della distensione consigliavano una parziale rinunzia alla propaganda di tipo diretto e aggressivo e rendevano necessaria una più o meno rigorosa mimetizzazione dell’azione anticomunista. In conformità a tale esigenza, il Comitato Difesa Nazionale sottrasse una parte considerevole dei mezzi disponibili al Comitato Nazionale ‘Pace e Libertà’ per destinarli ad altri organismi[52].

E’ ipotizzabile, dunque, l’esistenza di altre strutture non note a questa Commissione. Contatti con i servizi di sicurezza della Nato non adombrati in una relazione contenuta nel fascicolo dedicato a Pace e Libertà presso la Divisione Affari riservati del Ministero dell’interno[53].

In un altro appunto, sempre nel predetto fascicolo, c’è la conferma del rapporto tra Sogno e Pièche:

Dal dottor Sogno stesso si è appreso che il generale di Corpo d’Armata Giuseppe Pièche fa parte attiva della sua organizzazione. E’ da ritenere, quindi, che tale alta personalità possa agire con funzioni di guida e di controllo[54].

Nel più volte citato fascicolo della Divisione Affari riservati del Ministero dell’interno vi è infine una relazione anonima, che l’Ufficio invia in copia al Capo della polizia, di una non precisata “fonte fiduciaria militante nel PSI“, nella quale si afferma:

approfittando del soggiorno a Milano ho ritenuto opportuno, prendere contatti concreti e conclusivi con il dottor Sogno Edgardo (…) già addetto al Defence College della Nato (…). L’opera di propaganda e di forza del Movimento ‘Pace e Libertà’ esorbita dalle limitazioni osservate da analoghe organizzazioni (…) ponendosi su un piano di lotta aperta ed a oltranza, con organizzazione paramilitare. (…) Il ‘centro sicurezza’ raccoglie gruppi di ex partigiani autonomi, nonché di giovani volontari di ‘Pace e Libertà’, organicamente costituiti in reparti da impiegarsi in azione controrivoluzionaria, qualora il potere dovesse passare in mano alle sinistre, anche se ciò dovesse malauguratamente, avvenire attraverso consultazioni elettorali. (…) L’accesso ai locali è inibito a chicchessia. Essendo accompagnato dal Sogno, ho potuto personalmente rendermi conto della elevata efficienza della organizzazione. Presso la Direzione ho preso visione di (…) carteggio riservato. Da esso si è rilevato:  a) che il Sogno ha preso diretto contatto, recentemente, con il Presidente del Consiglio, onorevole Scelba. Dell’esito di tale contatto egli ha trasmesso una succinta, ma delicata, relazione alle autorità dalle quali dipende (non esattamente definite)  b) che il Sogno opera con la piena autorizzazione del Ministero degli esteri italiano dal quale direttamente dipende (…)  c) che la organizzazione ‘Pace e Libertà’ è validamente sostenuta da potenti erogazioni finanziarie provenienti da gruppi industriali del Nord  d) che il Sogno gode di un certo appoggio di elementi dell’Ambasciata americana (segreteria Signora Luce) (…)[55].

Il dato più rilevante di questa informativa riguarda certamente l’affermata esistenza di reparti da impiegarsi in non meglio specificate “azioni contro rivoluzionarie” qualora il potere fosse passato alle sinistre, anche in seguito a libere consultazioni elettorali.

Dal complesso di informazioni a disposizione di questa Commissione appare evidente il carattere di “Pace e Libertà” come organizzazione con doppio livello di attività, una palese e legale, l’altra occulta e illegale.

Questo doppio livello si appalesa anche nella forma societaria, privata nella forma e ufficiale nella sostanza.

Resta oscuro il senso delle affermazioni contenute nella lettera di Sogno a Moro, nella quale egli accenna ad una attività più riservata che egli stesso avrebbe svolto – non è chiaro se all’interno di Pace e Libertà o a prescindere da essa – dopo il giugno 1955.

Di rilevante interesse sono anche gli accenni fatti da Sogno alla “difesa civile“, che – come già accennato nelle pagine precedenti – lascia intuire la possibile esistenza di una

struttura segreta di intervento anticomunista fin dal dopoguerra in seno al Ministero dell’interno, probabilmente nell’ambito della

direzione generale dei Servizi antincendi.

Prime conclusioni

Nell’iniziare a delineare, con riferimento al dopoguerra, il contesto in cui, un quarto di secolo più tardi, conflagreranno le fiammate del terrorismo e dello stragismo, appare più possibile alla Commissione trarre, sulla base di quanto si è esposto, alcune preliminari conclusioni.

– E’ certo che nell’immediato dopoguerra furono costituite strutture paramilitari segrete operative soprattutto nella parte Nord orientale del paese.

– E’ certo che a tali organizzazioni furono assegnati compiti non solo difensivi, ma anche informativi e di controinsorgenza.

– E’ certo che nel medesimo arco temporale sorsero nel paese organizzazioni di natura privata in funzione anticomunista.

– E’ probabile che il sorgere di tali organizzazioni sia stato favorito anche con aiuti finanziari da parte degli Stati Uniti.

– E’ altamente probabile che all’interno dell’organizzazione del Ministero dell’interno siano state costituite strutture che, al di là di compiti istituzionali apparentemente loro affidati, perseguissero analoghe finalità.

– E’ probabile un accentuato parallelismo operativo tra le anzidette strutture pubbliche e private.

– E’ indubbio che tali certezze e tali elevate probabilità obbedissero ad un unico, quanto inequivoco, disegno strategico.

– Con la ovvia conseguenza della intrinseca debolezza di un quadro democratico, che mentre apparentemente andava consolidandosi, continuava a posare su fragili basi perché a livello occulto costantemente posto in discussione, si dà apparire sostanzialmente a rischio di tenuta.


[1] Direttiva del National Security Council 1/2, 10 febbraio 1948. Foreign Relations, 1948 volume III, pag. 769.

[2] Direttiva del National Security Council 1/3, 8 marzo 1948. Foreign Relations, 1948 volume III, pag. 775.

[3] Ibidem, pagg. 775-776.

[4] Ibidem, pag. 779.

[5] Ibidem.

[6] Direttiva del National Security Council 67/3, 5 gennaio 1951, Foreign Relations, 1951, volume IV, pag. 544.

[7] Ibidem, pag. 545.

[8] Direttiva del National Security Council n. 5411/2, 15 aprile 1954, Foreign Relations, 1952-54, volume VI, pag. 1678.

[9] Direttiva del National Security Council n. 6014, 16 agosto 1960, pag. 5.

[10] Documento del National Security Council n. 10/2, 18 giugno 1948, pagg. 2-3. A Report to the National Security Council by the Executive Secretary of the Office of Special Projects.

[11] Direttiva del N.S.C. n. 5412 del 15 marzo 1954.

[12] William Colby – La mia vita nella Cia, – Milano, Mursia, 1981, pag. 82.

[13] Con tale quadro politico deve ritenersi sostanzialmente coerente la permanenza all’interno del sistema amministrativo statale – e in particolare degli apparati di sicurezza – anche in posizione di elevata responsabilità, di personale formatosi nel periodo fascista. In particolare nei ranghi della Polizia e nei ruoli del Ministero dell’interno furono accolti o riaccolti ex appartenenti alle forze della R.S.I. ed anche membri della Milizia, prima epurati e poi immediatamente riabilitati.

[14] Comando Generale dell’Arma dei Carabinieri Reali. Lettera del Comandante generale dell’Arma al Presidente del Consiglio, a vari Ministri e ai vertici militari del 28 aprile 1946.

[15] Rapporto del questore di Udine al capo della Polizia, Luigi Ferrari, del 19 agosto 1946, archivio di Stato di Udine, B.55, F.191; in: AA.VV. – Nazionalismo e Neofascismo nella lotta politica al confine orientale – Istituto regionale del Movimento di Liberazione, Trieste, pag. 524.

[16] La Formazione partigiana “Osoppo-Friuli” aveva partecipato alla lotta di Liberazione nella zona del Friuli-Venezia Giulia, raggiungendo una consistenza di 8.700 uomini. Il 24 giugno 1945, conclusasi la lotta di liberazione, tutte le formazioni partigiane operanti in Friuli furono smobilitate.

[17] V Comando militare territoriale, Ufficio Monografie, col. Luigi Olivieri, relazione riguardante la “Organizzazione O”, pag. 5.

[18] Ibidem.

[19] Ibidem.

[20] Ibidem, pag. 6.

[21] Ibidem.

[22] Ibidem, pag. 7.

[23] Ibidem, pag. 9.

[24] Ibidem.

[25] V Comando militare territoriale, Ufficio Monografie, colonnello Luigi Olivieri, promemoria di servizio per il maggiore Carlo Vendramini del 14.12.1954.

[26] Stato di servizio militare, peraltro dattiloscritto e in carta non intestata, del col. Luigi Oliveri.

[27] V Comando militare territoriale, Ufficio Monografie, rel. cit. pag. 15.

[28] V Comando militare territoriale, Ufficio Monografie, rel. cit. pag. 32.

[29] V Comando militare territoriale, Ufficio Monografie, col. Luigi Oliveri, promemoria di servizio per il magg. Carlo Vendramini del 14.12.1954, pag. 4.

[30] Appunto n.H/57/0 del 26 marzo 1958, poi divenuto allegato 2 dell’appunto Sid/05/3204 del 6 marzo 1972.

[31] Ibidem.

[32] Departement of State, incoming telegram secret N.MAR.608, 10 febbraio 1949, doc. 865.105/2-1049. Pubblicato integralmente in: Faenza-Fini, Il Malaffare – Milano, Mondadori, 1978 pagg. 319-320, sulla base di un’anticipazione apparsa su Stampa Sera il 1° settembre 1975..

[33] Il riferimento è a Giuseppe Pièche, figura indubbiamente complessa: proviene dal SIM il servizio segreto militare del periodo fascista dove, dal 1932 al 1936 è capo della sezione (III) controspionaggio. Successivamente prende parte alla guerra di Spagna con l’incarico di dirigente il servizio di istituto affidata all’Arma dei carabinieri; poi svolge vari delicati incarichi su

ordine personale di Mussolini e dal luglio 1942 al luglio 1943 coordina e dirige le azioni di polizia in Balcania. In sede saggistica è stato attribuito a Pièche anche il ruolo di organizzatore della polizia politica di Ante Pavelic (il leader dei sanguinari Ustascia croati. NdR) durante la guerra. Dopo il 25 luglio regge brevemente la prefettura di Foggia, successivamente viene nominato Comandante generale dell’Arma dei carabinieri e poi, per incarico degli alleati, prefetto reggente della provincia di Ancona. Mentre ricopre tale incarico l’Alto Commissariato delle sanzioni contro il fascismo decide di deferirlo alla Commissione di epurazione, che dichiarò non esservi luogo al provvedimento solo perché il Pièche fu medio tempore collocato nella riserva. Ai sensi dell’articolo 2 del Decreto legislativo luogotenenziale 11 ottobre 1944, 257, le persone nella sua posizione non potevano “in nessun caso essere assunti o riassunti in servizio alle dipendenze di amministrazioni dello Stato o di enti pubblici o di enti comunque controllati o sovvenzionati dallo Stato”.

[34] “Replica di Scelba a Stampa Sera“, in: Il Popolo del 2 dicembre 1975. Ciononostante, nel febbraio 1948 il Consiglio dei Ministri deliberava di nominare il generale Pièche prefetto di seconda classe a decorrere dal 1° marzo successivo, collocandolo a disposizione del Ministero con le funzioni di Ispettore generale. In realtà, successivamente, Pièche fu nominato Direttore generale dei Servizi antincendio ma non sono molto chiare le funzioni realmente svolte dal prefetto dopo la sua nomina, anche se in un rapporto segreto della Cia datato 5 luglio 1963, poi pubblicato in un settimanale, si legge: “Quando Scelba fu al governo come ministro dell’interno concepì l’idea di mettere insieme una serie di fascicoli su personalità di primo piano nei campi politico, sindacale, degli affari e intellettuale. Il prefetto Pièche, che aveva importanti funzioni ufficiali nella

polizia segreta e nei servizi di sicurezza, fu incaricato della cosa”.

[35] Antonio Gambino – Storia del dopoguerra, dalla liberazione al potere DC –  Bari, Laterza 1955-1988, pag. 516 (edizione 1988).

[36] Camera dei deputati, disegno di legge n. 1593.

[37] Camera dei deputati, seduta pomeridiana di martedì 8 maggio 1951.

[38] Marcella e Maurizio Ferrara – Cronaca di vita italiana 1944-1958 – Roma, Editori Riuniti, 1960, pag. 304.

[39] “1) Sorvegliare nelle fabbriche e negli uffici ogni nucleo promotore della disobbedienza, che è un larvato sabotaggio, degli attentati alla libertà di associazione e di lavoro, delle minacce contro l’efficienza e la produttività delle imprese. 2) Opporsi all’attuazione dei temi politici di disobbedienza civile sia aperta sia mascherata dai fini sindacali. 3) Scoprire e sventare tentativi di creare organizzazioni clandestine, abbiano o no carattere militare. 4) Sorvegliare e segnalare tutte le fonti di finanziamento dell’avversario e prendere misure adeguate in merito. 5) Prevenire e concorrere a reprimere i rilievi e le segnalazioni clandestine di centri nevralgici della nazione, sia civili che militari. 6) Concorrere con le forze dell’ordine alla scoperta di nascondigli di armi e munizioni, a svelare le fonti, i metodi e i mezzi sovversivi di rifornimento e di ogni altra attività connessa. 7) Opporsi all’avvelenamento sistematico delle coscienze e impedire che i più deboli soggiacciano alla propaganda avversaria, specialmente se accompagnata da forme di coercizione. 8) Ostacolare la scalata comunista ai posti e alle posizioni di comando e di responsabilità, da dove al momento propizio essi possono trasformarsi in altrettanti Pontecorvo. (…)”, c.f.r. Marcella e Maurizio Ferrara, cit. pag. 306-307.

[40] Camera dei deputati. Seduta pomeridiana di venerdì 18 maggio 1951, intervento onorevole Pietro Amendola.

[41] Atto Camera dei deputati n. 2636-A, II legislatura.

[42] Lettera di Edgardo Sogno al ministro degli esteri Aldo Moro del 12 agosto 1969. Archivio storico Camera dei deputati.

[43] Ministero dell’interno. Divisione Affari riservati, fascicolo “Pace e Libertà”. Comitato centrale Milano. Sottofascicolo 1.

[44] Lettera di Edgardo Sogno al ministro degli esteri Carlo Sforza del 22 ottobre 1949. Archivio storico Camera dei deputati.

[45] Ministero degli affari esteri. Direzione generale degli Affari politici. Appunto dell’11.12.1953. Archivio storico Ministero affari esteri. Fondo “cassaforte”, busta n. 8.

[46] Lettera del Segretario Generale del Ministero degli affari esteri del 10 dicembre 1953 al ministro dell’interno onorevole Fanfani. Ministero dell’interno, Divisione Affari riservati, fascicolo “Pace e Libertà”, cit.

[47] Lettera del ministro degli affari esteri Pella al ministro dell’interno Fanfani. La lettera è senza data: il protocollo è 224-4193 del 18.2.54.

[48] Ministero dell’interno, Direzione generale della Pubblica Sicurezza, Divisione Affari riservati, relazione al Gabinetto del Ministro del 23 gennaio 1956. In: Ministero dell’interno, Divisione AA.RR, fasc. cit.

[49] Ministero dell’interno, Direzione generale della Pubblica Sicurezza, Divisione Affari riservati, relazione 23 gennaio 1956,cit.

[50] Lettera di Edgardo Sogno al ministro degli esteri Aldo Moro del 12 agosto 1969. Archivio storico Camera dei deputati.

[51] Commissione parlamentare d’inchiesta sul terrorismo, cit. doc. XXIII, n. 25, vol. V, pagg. 192-193. Interrogatorio del 20 marzo 1968.

[52] Relazione citata, in: Ministero dell’interno, Direzione generale della Pubblica Sicurezza. Divisione Affari riservati, sottofascicolo n. 1.

[53] “Movimento Pace e Libertà” documento anonimo del 20 settembre 1954, in: Ministero dell’interno, Divisione AA.RR, fasc. cit.

[54] “Aggiornamento notizie sull’organizzazione Sogno: “Pace e Libertà”. Doc. datato 12 maggio 54 in: Ministero dell’interno, Divisione AA.RR. fasc. cit.

[55] Organizzazione politica anticomunista “Pace e Libertà”, relazione anonima del 16 aprile 1954, in: Ministero dell’interno. Divisione AA.RR, fasc. cit.

L’ORGANIZZAZIONE GLADIO

Nell’analisi della Commissione Stragi (relazione Pellegrino)

Che cos’è l’organizzazione Gladio? La relazione del presidente della commissione parlamentare sulle stragi Giovanni Pellegrino tenta una riflessione molto articolata su una struttura i cui contorni e le cui finalità sono ancora oggi avvolte nel mistero.

E’ uno sforzo notevole ed organico che introduce alcuni fondamentali elementi di chiarezza.  

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AVVERTENZA: La relazione Pellegrino non va letta come una sorta di maxi-sentenza definitiva, ma soltanto come <<la formulazione di un giudizio storico-politico globale>>.

Come ogni analisi storico-politico essa è, comunque soggetta, a integrazioni e mutamenti.

Le prime indicazioni circa l’esistenza di una struttura occulta, parallela al Servizio Segreto Militare, all’epoca unico Servizio Segreto italiano, emersero in sede giudiziaria intorno alla metà degli anni settanta[1]. Devono però trascorrere altri dieci anni perché da parte di estremisti di destra (in particolare Vincenzo Vinciguerra) giungano alla Magistratura inquirente più precise indicazioni circa l’esistenza di una struttura segreta, costituita in ambito NATO, da civili e da militari a scopo di condizionamento del quadro politico[2].

Finalmente, il 2 agosto 1990, accogliendo un ordine del giorno presentato dall’on. Quercini e da altri deputati, il presidente del Consiglio Andreotti si impegnava davanti alla Camera dei deputati ed informare la Commissione Stragi in ordine all’esistenza, alle caratteristiche ed alle finalità di una struttura occulta operante all’interno del servizio segreto militare, poi definita Gladio.

A meno di un anno di distanza dalla caduta del muro di Berlino il Governo prendeva atto della irreversibilità dei mutamenti nello scenario internazionale e sceglieva così di disvelare il segreto – custodito dal dopoguerra alla fine della contrapposizione Est-Ovest – intorno ad una organizzazione i cui compiti si ritenevano ormai esauriti e della cui esistenza numerose autorità giudiziarie e alcune Commissioni parlamentari di inchiesta avevano raccolto indicazioni e prove[3].

Immediatamente audito dalla Commissione Stragi, il 3 agosto il presidente Andreotti riferì in ordine alla organizzazione Stay behind e, a partire dal successivo mese di ottobre, ebbe inizio l’acquisizione – non sempre agevole, in verità – della documentazione in materia.

Alla organizzazione Gladio, operativa per quasi un quarantennio, la Commissione ha

dedicato nel corso della X legislatura un’ampia ed approfondita inchiesta, sulla base delle cui risultanze ha già riferito al Parlamento dapprima con una pre-relazione comunicata alle Presidenze il 9 luglio 1991 (con annessi gli atti del dibattito svoltosi sul documento stesso), quindi – e sia pure in maniera dichiaratamente non conclusiva – con la relazione approvata al termine della legislatura e comunicata alle Presidenze il 22 aprile 1992[4].

Nel frattempo, sempre nell’ottobre del 1990, aveva luogo il casuale ritrovamento, in via Monte Nevoso a Milano, di materiale documentale relativo al caso Moro; in alcuni documenti inediti Moro, interrogato dai suoi carcerieri, risponde in ordine a reparti addestrati alla

guerriglia da condurre contro eventuali forze occupanti o contro-guerriglia da condurre contro forze nemiche impegnate come tali sul nostro territorio[5].

Il memoriale di Via Monte Nevoso conteneva altresì l’opinione dello statista scomparso in merito ai fatti del 1964, il cosiddetto caso SIFAR.

Ed ecco che sul volgere del 1990 il Governo assume l’autonoma decisione di rimuovere il segreto di Stato a suo tempo apposto su gran parte degli atti delle inchieste amministrative Lombardi e Beolchini.

Si trattava di materiale di indubbio rilievo che illumina a dovere le preoccupazioni e le “doppie fedeltà”, di cui si dirà appresso, di parte delle gerarchie militari e della classe di governo dell’epoca.

La ricostruzione operata delle modalità con cui la struttura Gladio venne a costituirsi e quindi a modificarsi nel tempo, nonché le valutazioni e i giudizi espressi dalla Commissione (opportunamente modulati su di una periodizzazione delle varie fasi evolutive della rete clandestina) appaiono tuttora validi nella quasi totalità.

E’ conclusione questa, cui la Commissione ritiene di poter giungere dopo aver nella presente legislatura proceduto ad un aggiornamento dell’inchiesta, dove peraltro non sono emersi, anche con riferimento alle indagini giudiziarie tuttora in fase di svolgimento, elementi di novità tali da determinare modificazioni, se non marginali, in un giudizio complessivo che appare pertanto meritevole di conferma.

Talché sufficiente appare in questa sede un rinvio ai contenuti dei due citati documenti già consegnati al Parlamento, accompagnato dalle considerazioni che seguono tese ad inserire la vicenda Gladio nell’ambito di una ricostruzione generale delle vicende nazionali ed internazionali oggetto della presente relazione.

L’organizzazione Gladio è infatti un tassello importante nella storia occulta del Paese che la Commissione si è accinta a ricostruire; la sua importanza non va però enfatizzata o comunque sopravvalutata, pena un possibile effetto distorsivo nella ricostruzione di accadimenti e responsabilità.

Questo pericolo fu già avvertito, all’interno della Commissione, nel corso dell’approfondito dibattito che portò all’approvazione della pre-relazione 9 luglio 1991.

In tale sede fu, infatti, sottolineata la necessità di evitare l’errore di individuare in Gladio la chiave interpretativa di tutte le vicende della strategia della tensione e delle stragi in Italia, per non incorrere in un involontario, quanto grave autodepistaggio.

Preoccupazioni analoghe – come la Commissione ha potuto constatare in questa legislatura – sono opportunamente ora nutrite anche in sede giudiziaria, dove avvertito è il pericolo di “andare fuori pista” ove si insistesse nel pensare di apprendere da Gladio la storia stragista dell’Italia e quindi sentita la necessità di vincere la tentazione “di appendere a Gladio lo stragismo e gli stragisti[6].

In realtà lo stragismo fu un momento di una storia più complessa; svelarne le cause ed i fini – che coincide con l’investigare sulle ragioni che hanno ostacolato l’individuazione delle relative responsabilità – può essere possibile soltanto se si riesce in maniera completa o quasi completa a ricostruire un mosaico, di cui Gladio costituisce un tassello importante, ma pur sempre un tassello.

Esiste, peraltro, un analogo e opposto rischio che va ugualmente evitato; e cioè quello di una considerazione del tassello avulsa dal contesto in cui lo stesso è destinato ad inserirsi; di una considerazione, cioè, di Gladio come una monade isolata, con effetti di volontaria o anche involontaria minimizzazione.

L’effetto distorsivo non sarebbe meno grave di quello cui condurrebbe una visione enfatizzata; perché molti degli aspetti di Gladio non sono spiegabili se non in funzione della contemporanea esistenza di altre tessere del mosaico; così come, per converso, molte vicende e numerosi accadimenti, che pur non appartengono alla storia di Gladio, non sono comprensibili se non in funzione di Gladio, nel senso che hanno avuto un determinato svolgimento o hanno assunto una determinata conformazione perché in qualche modo “Gladio c’era“.

Va quindi confermata, rafforzandola, una scelta metodologica già compiuta dalla Commissione nell’ampia inchiesta di cui ha fatto oggetto l’organizzazione Gladio nella X legislatura.

Ed infatti già nella pre-relazione 9 luglio 1991 si avvertì l’esigenza, per comprendere gli avvenimenti oggetto di inchiesta, di “considerarli inseriti nel contesto della politica di sicurezza italiana nel Dopoguerra”, caratterizzata da “due referenti esterni privilegiati: la NATO e gli USA in forte interazione tra loro“, ma comunque tra loro distinguibili e distinti.

Ed infatti è solo tale riferimento esterno a rendere pienamente leggibile la scelta iniziale che caratterizzò negli anni 1951-1956 la nascita di Gladio e cioè da un lato l’iniziale rifiuto di associarsi al Comitato di pianificazione (Clandestine Planning Comittee) clandestina costituito da USA, Inghilterra e Francia, dall’altro l’affidare la costituenda organizzazione ad un sistematico rapporto bilaterale tra il nostro servizio e quello americano; (scelta quest’ultima – d’indubbio rilievo storico-politico – che appare davvero semplicistico attribuire invece soltanto all’ampia disponibilità di mezzi finanziari della CIA e quindi alla sua capacità di venire incontro alle esigenze del Ministero della Difesa, che avrebbe avuto scarsa possibilità di sostenere l’iniziatuva).

Come è stato esattamente osservato, è indubbio – ma è anche storicamente e politicamente significativo – che Gladio nasce da un accordo tra due servizi segreti, uno indubbiamente molto importante, quello statunitense, l’altro, quello italiano, molto meno, legati quindi tra loro da un rapporto (se non formalmente, sostanzialmente) non equiordinato.

Ma anche di tale rilievo – di tipo esterno, ma che nella sua oggettività appare difficilmente contestabile – non può cogliersi pienamente il senso se non avendo riguardo al complessivo scenario che caratterizzava la situazione interna del Paese intorno alla metà del secolo. Alcuni degli aspetti più significativi di tale situazione sono già stati evidenziati.

E’ infatti nella specificità di un clima politico internazionale ed interno che non solo la scelta di costituire Gladio, ma le modalità della sua costituzione e lo stesso modulo organizzatorio adottato, assumono significato e divengono pienamente comprensibili.

Vuol sottolinearsi cioè come il problema dell’intesa SIFAR-CIA del 1956 non può essere (tanto meno nell’ambito di una inchiesta parlamentare) affrontato e risolto in termini esclusivamente giuridico-formali, e cioè investigando soltanto da un lato sulla discutibile capacità del nostro servizio militare di porsi come soggetto di diritto internazionale abilitato alla conclusione e sottoscrizione di accordi, dall’altro sulla altrettanto discutibile possibilità di individuare in tale accordo del ’56 un momento di attuazione ed esecuzione del trattato NATO del 1949 già approvato con legge, al fine di giustificare la mancata sottoposizione dell’accordo del 1956 all’approvazione del Parlamento in applicazione dell’art. 80 Cost.

In contrario appare evidente come, in sede di ricostruzione storico-politica l’accordo SIFAR-CIA del 1956 non può essere valutato come avulso dal contesto degli obiettivi strategici perseguiti dalla politica estera degli USA (negli anni che immediatamente seguivano alla conclusione del secondo conflitto mondiale) e del ruolo che nel perseguimento di tali obiettivi alla CIA veniva assegnato nel medesimo periodo: gli uni e l’altro (obiettivi e ruolo) ormai quasi pienamente ricostruibili sul piano delle certezze documentali, cui si è già fatto ampio riferimento nel capitolo precedente.

La correttezza di un simile approccio metodologico non appare revocabile in dubbio, sol che si rifletta come lo stesso derivi da elementari canoni ermeneutici che rendono dovuta l’interpretazione di ogni accordo nel contesto delle vicende che portano alla sua conclusione e lo accompagnano nella sua esecuzione concreta.

Perché è tra l’altro solo su basi di correttezza metodologica che può, senza alcuna enfasi, ma per dovuta obiettività, attribuire rilievo alla circostanza che l’accordo del 1956 appare anche formalmente strutturato come una revisione di accordi precedenti, che pur non conosciuti nella loro oggettività documentale possono nel loro contenuto essere, sia pure per grandi linee, evinti dal generale contesto.

Né vi è dubbio che ciò vale anche per vicende interne che hanno preceduto la costituzione di Gladio, ma dalle quali non può prescindersi, se il senso complessivo dell’operazione costitutiva vuol cogliersi, a tanta distanza d’anni, con chiarezza e con

serena obiettività.

Si è già ampiamente riferito, ad esempio, in ordine alla vicenda della Osoppo e cioè di una divisione partigiana che, dopo il ’45, viene ricostituita per essere utilizzata clandestinamente e segretamente dallo Stato Maggiore dell’Esercito nelle regioni nordorientali; una vicenda che può a buon titolo considerarsi emblematica nella sua irriducibilità ad un parametro di legittimità formale: un reparto partigiano clandestinamente organizzato dall’Esercito, nei cui ranghi pure non è ufficialmente inserito; e che poi viene trasformato – in un momento in cui il quadro democratico uscito dal dopoguerra andava consolidandosi – addirittura in una organizzazione clandestina posta direttamente sotto il controllo del Servizio segreto militare.

Una situazione che dura fino al 1956 quando l’organizzazione viene sciolta perché Gladio è stata costituita, tanto è vero che la prima confluisce nella seconda sia pure all’interno di una vicenda che per molti profili è destinata a restare in qualche modo confusa e indeterminata, ma che nella sua essenza non può essere negata.

E si è già visto che la Osoppo non fu fenomeno isolato, perché altre organizzazioni del medesimo tipo devono essere esistite se di alcune è stato possibile alla Commissione rinvenire inequivoche ancorché labili tracce documentali.

Appare quindi evidente come il contrasto tra le valutazioni cui la Commissione è giunta nel 1992 sulla complessiva illegittimità della struttura e le opposte valutazioni formulate in altre sedi istituzionali (in particolare nel parere 7 gennaio ’91 reso al Presidente del Consiglio dei Ministri dall’Avvocato Generale dello Stato e nella relazione 4/3/92 del Comitato Parlamentare per i Servizi di informazione e Sicurezza e per il Segreto di Stato[7] derivi naturalmente dalla diversità dei metodi di approccio al problema che sono stati adottati.

Sicché è la convinzione sulla correttezza del metodo seguito che spinge ora la Commissione e ribadire l’esattezza delle conclusioni cui è giunta, nel meditato convincimento, tra l’altro, che un metodo diverso apparirebbe del tutto incongruo al perseguimento del fine istituzionale specifico di cui la Commissione è investita: far chiarezza, nei limiti in cui ciò oggi è divenuto possibile, sulla complessiva storia occulta del Paese in cui si determinò nel periodo 69-84 la conflagrazione dello stragismo e del terrorismo.

Non vi è dubbio infatti che soprattutto il parere reso dall’Avvocato Generale dello Stato si limiti esclusivamente ad un’indagine di natura giuridico-formale sulla documentazione che gli era stata fornita (sulla cui incompletezza e quindi parziale inattendibilità in seguito si dirà) sulla costituzione e sullo sviluppo di Gladio; senza alcun riferimento al contesto internazionale ed interno in cui Gladio nacque e fu operativa per oltre un quarantennio.

Sostanzialmente non diversa è la scelta metodologica che ispira la relazione del Comitato per i Servizi, dove peraltro, come va opportunamente sottolineato, alla generale valutazione di legittimità della struttura un profilo resta comunque sostanzialmente estraneo: e cioè la circostanza che almeno a valle dell’approvazione della legge numero 801 del ’77 l’assoluta segretezza di cui ha continuato ad essere circondata la struttura appare in nessun modo riconducibile ad un parametro di legittimità formale.

Anche in tale sede è stato infatti adeguatamente sottolineato (così riducendosi l’ampiezza e l’intensità del contrasto con le opposte conclusioni cui è giunta la Commissione):

-da un lato che il Comitato stesso appariva sede indubbiamente idonea a ricevere informazioni governative (che invece sono state del tutto omesse) non solo sull’esistenza degli accordi riservati che avevano portato alla costituzione e alle successive modificazioni della struttura, ma anche sulle linee essenziali dei loro contenuti;

-dall’altro l’esigenza di una più puntuale riconduzione della complessiva attività dei    Servizi al potere di indirizzo e di vigilanza della autorità politica direttamente sopraordinata.

Analogamente non appare metodicamente corretto nella ricostruzione dei compiti che furono affidati alla struttura (indubbiamente importante ai fini della formulazione di un ragionato giudizio sulla sua legittimita-illegittimità) “svalorizzare” indicazioni pur oggettivamente presenti nella documentazione acquisita (peraltro incompleta, come si è già accennato, e come meglio in seguito si chiarirà), sottolineandone l’eterogeneità rispetto al complesso delle altre indicazioni documentali.

E ciò ancora una volta nell’ambito di una considerazione “isolata” di Gladio e cioè avulsa dal contesto di contemporanee vicende internazionali ed interne, che appaiono oggi suscettibili di una ricostruzione abbastanza completa ed ancorata a solide basi documentali.

Specifico è il riferimento alla possibilità di una utilizzazione di Gladio anche in ipotesi di “sovvertimenti interni” contro i quali l’operazione sarebbe anche diretta, indicazione che inequivocamente emerge dal noto documento 1/6/59 indirizzato dal vertice del SIFAR alla Superiore Autorità Militare Italiana[8].

E’ un dato oggettivo che non appare corretto svalorizzare sulla base di argomentazioni esclusivamente giuridico-formali centrate sulla inidoneità formale del

documento ad incidere sugli oggetti e scopi dell’operazione quelli definiti nei documenti del 1951 e nell’accordo del ’56 tra SIFAR e CIA. In realtà il riferimento a una operatività di Gladio anche nell’ipotesi di sovvertimento interno viene con sufficiente precisione ad incastrarsi nel disegno strategico occidentale, cui nel precedente capitolo si è fatto ampio e documentato riferimento. Ad incastrarsi, cioè, come “tessera propria” in un mosaico di cui è oggi possibile un’agevole lettura e nel quale la vicenda Gladio va inserita per ricostruirne finalità e obiettivi, per esprimere in ordine alla stessa un sereno giudizio.

Ed infatti non può sfuggire, in una prospettiva più ampia, la necessità, soprattutto in un’inchiesta parlamentare, di obbedire ad un criterio di “effettività istituzionale”, dove ciò che conta è non solo il modello formale di Gladio ma anche il suo concreto atteggiarsi nella fase operativa.

Perché ciò che assume evidentemente importanza è non soltanto ciò che Gladio avrebbe dovuto essere, ma anche ciò che Gladio in concreto è stata.

E se è vero che non esistono documentali certezze (salvo per ciò che attiene ai compiti informativi di cui in seguito si dirà), di una utilizzazione di Gladio ai fini interni (e cioè a prescindere dall’evenienza di un’occupazione militare del territorio nazionale, che in concreto non si è verificata), è anche vero che la larga incompletezza della documentazione rinvenuta e la certezza che consistente parte della documentazione è stata distrutta nel momento in cui la rete clandestina stava per divenire, per decisione della autorità politica, conoscibile e conosciuta, esclude la fondatezza sul punto di conclusioni se non assolutorie, almeno fortemente tranquillizzanti[9].

Vuol dirsi cioè che la certezza che Gladio non sia stata utilizzata a fini interni, malgrado le indicazioni documentali di tale sua possibile utilizzazione e la coerenza di tali indicazioni con il quadro più ampio in cui Gladio veniva ad inserirsi, potrebbe raggiungersi soltanto se della concreta attività di Gladio fosse stata offerta documentazione probante e completa.

Così invece non è, e ciò lascia adito a dubbi di una qualche consistenza, valorizzati dal fatto che molti dei responsabili delle strutture hanno ritenuto di poter affermare la correttezza della propria attività direttiva, ma non hanno affatto escluso, ed in qualche caso hanno addirittura pesantemente adombrato, possibilità di un diverso impiego operativo di Gladio in periodi anteriori e/o successivi (in alcuni casi con forti accenti di reciproca polemica[10]. Vuol dirsi cioè che dubbi su tali, pur decisivi profili, vengono dall’interno stesso della struttura e non possono non essere dalla Commissione che registrati, almeno come tali. E ciò senza indulgere, come pure è stato già avvertito, alla tentazione di voler utilizzare il persistente difetto di piena conoscenza sull’attività della struttura per ricondurre forzatamente alla storia di Gladio vicende che, allo stato delle acquisizioni, devono considerarsi alla stessa estranee, anche se alla rete clandestina comunque in qualche modo contigue e dall’esistenza di questa in qualche modo influenzate.

Valga a mero titolo di esempio il collegamento, pur ipotizzato, tra Gladio e le vicende del 1964 che sinteticamente possiamo definire come Piano Solo. E’ evidente, come meglio in seguito sarà chiarito, che il Piano Solo non è riconducibile a Gladio, anche se l’esistenza della struttura clandestina era dal piano indubbiamente presupposta nel senso che il primo della seconda prevedeva una precisa utilizzazione.

Ritiene inoltre la Commissione che l’opzione metodologica operata può valere almeno in parte a superare alcune delle perplessità cui ha dato luogo una considerazione “isolata” della organizzazione Gladio, per effetto di incongruenze che in tale logica possono apparire insuperabili.

E ciò con particolare riferimento ai due profili (peraltro indubbiamente connessi) della determinazione dei limiti dimensionali della struttura e della individuazione dei compiti precisi che alla struttura stessa possono ritenersi in concreto affidati.

Sul primo profilo è notissimo che tanto al Parlamento quanto all’Autorità Giudiziaria sia stata fornita dal Governo l’indicazione di 622 nominativi “esterni”, che nel tempo sarebbero stati chiamati a far parte della rete clandestina.

Tale numero è apparso assolutamente incongruo, sia rispetto ad una struttura che risultava comprendere ben 280 addestratori militari, sia avuto riguardo alla quantità degli armamenti di cui la struttura aveva disponibilità, dapprima nelle forme

occultate dei NASCO, poi in forme diverse.

La perplessità appare indubbiamente fondata sol che si pensi che il numero degli arruolati riguarderebbe l’intero periodo di attività della struttura; il che darebbe nei singoli periodi considerati un numero di arruolati davvero minimale e quasi risibile.

Al contempo perplessità ha suscitato la conservazione di documentazione relativa ad un numero molto superiore di soggetti (circa 1.300) che sarebbero stati contattati, ma poi non arruolati, prevalentemente per una valutazione negativa.

A ciò si aggiunga quanto successivamente emerso in sede giudiziaria: e cioè che l’indicazione delle 622 persone non ha costituito l’esternazione di un elenco preesistente, bensì il risultato cui si è giunti, in una situazione di apparente confusione, per approssimazioni successive mediante la compilazione di più liste, comprendenti dapprima il numero di 720, poi quello di 640, liste peraltro non corrispondenti tra loro, in quanto persone inserite in una lista non erano presenti nelle altre e in alcune delle liste erano presenti nominativi che alla stregua della documentazione acquisita sono risultati invece oggetto di valutazione negativa[11].

Una situazione quindi estremamente confusa che appare scarsamente compatibile con quanto affermato da uno dei responsabili della struttura e cioè con l’affermazione che degli arruolati sarebbe esistito un

elenco completo… gelosamente custodito in un’apposita cassaforte a combinazione[12].

In realtà un ipotetico elenco originale non è stato fornito dal Servizio né all’autorità politica né all’autorità giudiziaria, né da quest’ultima è stato rinvenuto nelle acquisizioni documentali operate. Con la dovuta conseguenza di dover ritenere tale elenco mai esistito o addirittura volutamente distrutto. E ciò a riprova di una situazione assai meno lineare di quella descritta e che situa all’interno di una complessiva inattendibilità del materiale fornito, anche perché vi è certezza che tra la fine di luglio e gli inizi di agosto del 1990 una quantità consistente di documentazione, pur custodita sin dagli anni ’50, è stata soppressa.

Può cioè ritenersi assodato che la volontà politica di non opporre il segreto di Stato sulla esistenza e sulla natura della struttura clandestina è stata vanificata da decisioni di componenti del servizio (allo stato non ancora precisamente identificati) attraverso

la distruzione o manipolazione del materiale che avrebbe dovuto essere fornito.

Ciò è stato confermato alla Commissione, con valutazione unanime, da parte di tutti i magistrati inquirenti che, in epoche diverse e appartenenti a diversi uffici giudiziari si sono occupati della vicenda.

In sede giudiziaria è stata altresì espletata una consulenza certamente esaustiva che dà conto della complessiva inattendibilità del materiale documentale acquisito[13].

E’ questo un dato che indubbiamente merita di essere sottolineato nella sua indubbia valenza, non già per riempire il vuoto di conoscenza determinato dalla incompletezza e inattendibilità della documentazione con ipotesi azzardate, ma per escludere la fondatezza di valutazioni minimizzanti fondate esclusivamente sulle risultanze documentali in sé considerate, senza farsi carico neppure della circostanza che tale incompletezza è il frutto di una deliberata volontà di soppressione.

Su tali basi in ordine al problema relativo alla consistenza della struttura sembrano alla Commissione formulabili in alternativa due diverse ipotesi ricostruttive. Esse hanno peraltro una base comune: la pluralità degli obiettivi che la struttura era in grado di perseguire e in funzione della quale fu sostanzialmente costituita e strutturata, con notevoli modificazioni nel tempo che indubbiamente sarebbe errato ritenere ininfluenti sulla sua consistenza e qualità.

Vi era innanzitutto il fine principale di un’organizzazione destinata ad entrare in azione soltanto in caso di conflitto e di occupazione nemica di parte del territorio nazionale per compiere attività di sabotaggio, propaganda, resistenza e guerriglia.

Ma la struttura, per quanto si è già detto e per quanto meglio in seguito si dirà, fu pensata anche in funzione di altri compiti, alcuni – quelli informativi – sicuramente svolti (sia pure con intensità non esattamente accertabile) altri sul cui effettivo svolgimento non esistono riscontri documentali.

Sul punto peraltro non può trascurarsi che la vicenda di Gladio appare alla Commissione soprattutto la storia di una potenzialità operativa che nel complesso si è, nel quarantennio di esistenza della struttura, assai poco attualizzata; il che può valere a ridimensionare, ma non a minimizzare l’importanza del fenomeno, per l’indubbia influenza che tale potenzialità operativa ha potuto avere su molte contigue vicende che in qualche modo l’hanno presupposta.

La pluralità di compiti potenziali attribuiti alla struttura ne giustificherebbe – anche a livello di arruolati – un modulo organizzatorio per “cerchi concentrici” o addirittura per “ambiti distinti”, ciascuno attivabile in ragione dell’obiettivo specifico che di volta in volta si sarebbe potuto voler perseguire. In tale prospettiva l’elenco dei 622 sembra prevalentemente composto (con le precisazioni di cui in seguito si dirà sui differenti criteri di selezione che appaiono oggettivamente seguiti nel tempo) da persone che furono arruolate in vista dello scopo principale (o comunque più ostensibile) per il quale la struttura fu creata e cioè l’obiettivo dello “stare indietro” nell’ipotesi di conflitto e di occupazione nemica di parte del territorio nazionale. Il che pienamente giustifica, sul piano soggettivo, la valutazione positiva della scelta operata dai “gladiatori”, perché si trattava di un fine – è opportuno sottolinearlo – non solo legittimo, ma ispirato ad importanti valori.

E’ certo però (ancora una volta documentalmente) che ben altra era la personalità di molti dei soggetti che furono contattati e che pur non furono inclusi nella struttura operativa composta dai 622. Ritenerli del tutto estranei a Gladio è conclusione che solo in parte la Commissione ritiene di poter condividere, perché non giustificherebbe, tra l’altro, la circostanza che la documentazione relativa agli stessi sia stata conservata così a lungo e in stretta commistione con la documentazione relativa agli arruolati, il che appare al di fuori di ogni regola archivistica e sembra dare l’impressione che l’insieme dei nominativi costituisca in realtà, per taluni aspetti, un unicum.

La Commissione sembrerebbe quindi individuare una più ampia o addirittura diversa struttura operativa che sarebbe potuta tornare utile, ove la organizzazione fosse stata attivata in ipotesi diversa da quella dell’occupazione bellica del territorio nazionale (ipotesi quest’ultima che con il passare del tempo non può non riconoscersi a differenza di altre essere divenuta sempre più intensamente improbabile).

Un’altra ipotesi ricostruttiva in ordine alla consistenza della struttura è peraltro possibile, quale esito naturale della scelta metodologica operata. La stessa muove dalla considerazione che Gladio nel quarantennio della sua esistenza non sia stata l’unica struttura clandestina operante nel Paese.

E’ anche questa una verità storica che appare innegabile alla stregua di documentali certezze.

Per ciò che riguarda almeno gli anni cinquanta le certezze documentali sono quelle già evidenziate nel precedente capitolo con riferimento ad una pluralità di organizzazioni private che sorsero in Italia in funzione anticomunista e che operarono in maniera intensamente interattiva con apparati istituzionali.

Alle stesse si aggiungano, sempre sulla base di certezza documentali, le strutture paramilitari che precedettero Gladio e di cui Gladio certamente ereditò uomini, finalità ed in parte armamenti.

A tutto ciò si aggiunga infine l’emersione recente in sede di indagini giudiziarie di ulteriori strutture più ampie, quali i Nuclei per la difesa dello Stato, di cui in seguito più ampiamente si dirà.

Su tali basi diviene assolutamente logico ipotizzare che l’organizzazione Gladio abbia, durante il quarantennio della sua esistenza, costantemente presupposto una capacità di mobilitazione più ampia, attingente al parallelismo di altre strutture appena disciolte e o addirittura coesistenti.

Senza peraltro trascurare una ben possibile compresenza, nella effettività del modulo organizzatorio della struttura, delle due ipotesi innanzi considerate. E cioè sia quella della organizzazione di Gladio per cerchi concentrici o per ambiti distinti, sia quella della capacità di Gladio di attivare una mobilitazione più ampia attingendo al parallelismo di altre strutture.

Le considerazioni che precedono valgono altresì a sciogliere almeno in parte alcuni dei nodi che ancora sussistono in ordine ai compiti che furono affidati alla struttura e che furono da questa concretamente svolti.

I due profili (compiti attribuiti/compiti svolti) non possono ritenersi pienamente coincidenti alla stregua della già operata ricostruzione della vicenda Gladio come la storia di una sostanziale potenzialità operativa.

Ciò é innegabile innanzitutto con riferimento al compito principale e più ostensibile per cui la struttura fu costituita: e cioè l’attività prevista per l’ipotesi mai verificata di occupazione nemica di parte del territorio nazionale.

Quanto ai compiti di contrasto di possibili sovvertimenti interni o più specificamente di contrasto a forze politiche legalmente riconosciute, si sono già esposte le ragioni che inducono la Commissione a ritenere che tali compiti rientrassero tra quelli verosimilmente attribuiti alla struttura.

Anche in sede giudiziaria, e a valle delle valutazioni operate dalla Commissione nella X legislatura, si é riconosciuto, come meglio in seguito si dirà, che di una originaria finalizzazione della struttura al contrasto di forze politiche legalmente riconosciute … vi sono ampie tracce nella documentazione relativa alla costituzione della struttura e in genere agli accordi dei servizi italiani con le autorità statunitensi negli anni ’40 e ’50[14]. Sul punto quindi le conclusioni assunte dalla Commissione già nel ’91-’92 e che vengono ritenute meritevoli di conferma hanno quindi ricevuto un autorevole avello in diverso ambito istituzionale. Tuttavia va riconosciuto che non esistono solide basi documentali (se non labilissime) che inducano a ritenere che per tali compiti la struttura sia stata effettivamente attivata. Peraltro l’incompletezza della documentazione e la volontarietà con cui tale incompletezza é stata determinata escludono altresì la possibilità di pervenire sul punto ad un finale accertamento negativo.

Per ciò che concerne invece le funzioni informative la Commissione ha già manifestato nella X legislatura il suo convincimento che trattasi di compiti assegnati alla struttura e da questa effettivamente espletati. La fondatezza di tale conclusione é stata fortemente contrastata con argomentazioni tese a contestare la significatività delle basi documentali che tale conclusione sorreggevano.

Si è osservato in merito che l’attività di informazione avrebbe fatto parte di compiti propri della struttura ove fosse stata attivata nel verificarsi dell’eventualità di una occupazione nemica di parte del territorio nazionale. Sicché i documenti su cui la Commissione ha fondato l’accertamento del concreto svolgimento di compiti informativi, atterrebbero invece a mere esercitazioni con finalità addestrative di un personale che sarebbe divenuto operativo solo al verificarsi delle previste condizioni di impiego. La distinzione appare capziosa nell’evidente impossibilità di escludere che i risultati dell’addestramento (riferibili sin troppo ovviamente a situazioni geopolitiche concrete dei momenti e dei luoghi in cui l’attività addestrativa ebbe svolgimento) apparivano comunque utilizzabili da parte del Servizio che aveva la direzione della struttura[15].

A ciò si aggiunga che è comunque certa la mobilitazione della struttura a fini informativi almeno in tre occasioni: e cioè nel corso delle indagini relative al sequestro Moro e al sequestro Dozier per ammissione di uno dei responsabili della struttura[16], nonché nel 1990 per una decisione assunta (e documentalmente provata) con riferimento ad attività informative da utilizzarsi nel contrasto alla criminalità organizzata e al narcotraffico in esecuzione di una direttiva autonomamente emanata dal direttore del servizio[17].

Oltre a ciò vi è la vicenda del centro “Scorpione”, istituito a Trapani nella seconda metà degli anni ’80, che desta notevoli perplessità sia per l’ubicazione di questa struttura periferica, sia per la mancanza di chiarezza per quanto attiene ai compiti dalla stessa effettivamente svolti. Peraltro vi sono indici ulteriori che consentono di porre su base più ampia una conferma delle conclusioni su cui sul punto la Commissione è giunta e che attengono alle “qualità personali” del personale arruolato nell’ultimo periodo di operatività della struttura. Alla analisi della Commissione infatti è apparso chiaro come alla già operata periodizzazione della vicenda evolutiva di Gladio corrisponda una diversità dei criteri seguiti nell’arruolamento del personale civile.

In una prima fase, il cui termine può temporalmente collocarsi nei primi degli anni settanta, l’arruolamento ha riguardato in prevalenza cittadini residenti nel Nord d’Italia, di profilo sociale medio basso e con attitudini individuali ad una utilizzazione armata (notevole la presenza di personale che aveva già prestato il servizio militare e anche di sottufficiali ed ufficiali). Tutto ciò appare pienamente coerente con le finalità dello stay behind e cioè con la finalità di costituire una struttura destinata ad avere un consistente ruolo armato in Friuli (nell’evidente presupposto di una invasione iniziata dalla caduta della “soglia di Gorizia”) ed un ruolo di collegamento ed esfiltrazione verso la Svizzera in Lombardia (e questa ipotesi è rafforzata anche dal tipo di specializzazione degli arruolati lombardi che effettivamente risultano spesso impiegati in corsi di addestramento all’esfiltrazione)[18]. Ma dopo quella che è stata definita la svolta del ’72, il criterio di reclutamento si modifica in parte allargando il reclutamento anche nella regioni meridionali e insulari… A ciò si aggiunga che negli arruolati appaiono nettamente predominanti i ceti medi con una apprezzabile presenza di imprenditori, dirigenti di azienda o della pubblica amministrazione, liberi professionisti. Inoltre si innalza il numero percentuale di soggetti riformati o esentati dal servizio di leva con un più ridotto numero di ufficiali.

Sicché non appare per nulla azzardato trovare in ciò la conferma di un dato, la cui logicità appare peraltro indiscutibile: a mano che l’eventualità di un’invasione del territorio nazionale da parte di eserciti nemici diveniva sempre più remota, i compiti informativi, che è ragionevole ritenere fossero stati affidati alla rete clandestina, divennero prevalenti.

E’ quindi su tali basi complessive che la Commissione ritiene di poter confermare il negativo giudizio politico già formulato sulla legittimità della struttura, nell’avvertita esigenza peraltro che lo stesso necessiti, a seguito di una riflessione più meditata, di

alcune integrative esplicitazioni; anche se non di correzioni, perché, lo si ribadisce, nella sua sostanza il giudizio di illegittimità si ritiene meritevole di piena conferma.

Piena conferma merita parimenti la scrupolosa ricostruzione storico-cronologica contenuta nella relazione precedente, così come pure le osservazioni sulla evoluzione del quadro politico nazionale che hanno accompagnato l’intera vicenda.

Non potrebbe infatti attenuarsi il precedente giudizio di fronte a dati di fatto incontrovertibili e di eloquente significato.

Con la riforma dei servizi segreti, avvenuta con la legge n. 801 del 1977, erano stati costituiti il SISMI ed il SISDE, che furono posti dalla stessa legge sotto la diretta responsabilità del Presidente del Consiglio il quale la esercita avvalendosi di un Comitato ristretto consultivo e interministeriale (CIIS) nonché di un organo di coordinamento e di collegamento con l’estero (CESIS) al quale è preposto un segretario generale nominato dal Presidente del Consiglio.

Il quadro della riforma e del “riposizionamento” degli organi di sicurezza veniva poi completato con la creazione di un apposito Comitato Parlamentare di controllo sui servizi, al quale erano dovute tutte le informazioni essenziali circa la struttura e le attività dei servizi stessi.

Nel nuovo quadro operativo, delle competenze e dei controlli, così come scaturito dalla legge di riforma, non trovò collocazione Gladio, che restò estranea sia alla suddivisione dei compiti istituzionali riconosciuti ai due Servizi, sia al sistema dei controlli e delle garanzie. Il CESIS ed il neo Comitato parlamentare di controllo furono tenuti allo oscuro, “cortocircuitati” come fu efficacemente detto nella precedente relazione. Gladio continuò a vivere, o a vegetare, in un ambito suo proprio, nella clandestinità, invisibile, al di fuori delle regole, senza una chiara collocazione istituzionale, senza una precisa attribuzione ed un aggiornamento dei suoi compiti, nella indifferenza rispetto ad una realtà politica internazionale profondamente mutata rispetto agli anni ’50.

Ai vertici del SISMI e del SISDE si avvicendarono diverse personalità, alcune delle quali oggetto di gravi sospetti circa la loro lealtà alle istituzioni democratiche a causa delle loro affiliazioni alla P2.

Si verificò anche un aumento marcato delle attività organizzative della Gladio: ciò durante la gestione Martini ed anche a seguito della nomina del generale Inzerilli alla carica di Capo di Stato Maggiore del SISMI.

Al Comitato Parlamentare di controllo fu taciuta la stessa esistenza di Gladio.

Alle autorità di governo responsabili (Presidente del Consiglio e Ministro della Difesa) fu, a partire dal 1984, sottoposta una semplice, sintetica e poco esplicativa informazione contenuta – ai fini di una mera presa di conoscenza – in un documento nel quale si faceva menzione soltanto di alcune attività senza riferimenti alle effettive caratteristiche ed al nome della struttura.

Nel documento si parlava di una organizzazione agente nell’ambito SISMI ed avente il compito di

predisporre quanto necessario per la condotta di operazioni di guerra non ortodossa sul territorio nazionale eventualmente occupato da forze nemiche, a diretto supporto delle operazioni militari condotte dalle forze Nato

nonché di

esercitazioni addestrative nazionali e Nato con l’apporto delle unità speciali delle tre Forze Armate“.

L’accento veniva quindi posto sui compiti collegati ad impegni ed intese internazionali e connessi soltanto alle ipotesi di un’occupazione nemica del territorio nazionale; a giudizio di molti, Gladio era divenuta qualcosa di più e di diverso.

La nota comunque, pur nella sua formulazione molto stringata e poco esplicita, non fu sempre sottoposta alla firma di tutti i destinatari, e quando lo fu ciò avvenne spesso con mesi di ritardo rispetto alla loro presa di possesso delle rispettive cariche.

L’espressione sintetica usata dalla Commissione nella relazione del 1992 è quella di

illegittimità costituzionale progressiva“.

Dovuta è quindi subito l’avvertenza del carattere atecnico in cui l’espressione è stata utilizzata dalla Commissione, nell’affidare alla stessa un giudizio che è stato ed è principalmente politico, assai più che giuridico-formale; in coerenza con il proprium dei compiti di una Commissione parlamentare d’inchiesta, che voglia tenere nettamente distinto, come è dovuto, l’ambito specifico del proprio intervento da territori diversi riservati a differenti poteri dello Stato (e tra questi in primis la magistratura ordinaria e amministrativa).

La illegittimità costituzionale è, infatti, una forma di invalidità giuridica, che in un sistema a costituzione rigida può afferire soltanto alle leggi ordinarie o ad atti aventi forza di legge ordinaria; e solo in via derivata riguardare atti di rango inferiore emanati in esecuzione della fonte primaria invalida.

Gladio è invece una struttura amministrativa che risulta essere stata costituita ed essere divenuta operativa per effetto di atti non agevolmente situabili nel generale ordine gerarchico delle fonti, ma sicuramente non legislativi e che non presupponevano un atto legislativo; con l’ulteriore dovuta avvertenza che oggetto della valutazione della Commissione (che ha natura politica, giova ribadirlo, e non giurisdizionale) è costituito non tanto dagli atti in esecuzione dei quali la struttura fu costituita e poi modificata, quanto la vicenda storica del costituirsi della struttura, delle sue successive evoluzioni, della sua concreta operatività.

La formula “illegittimità costituzionale” esprime quindi un giudizio politico di contenuto negativo, essendo apparso alla Commissione pienamente affermabile che in un ordinamento democratico, quale quello delineato dalla nostra Costituzione, sussistono pur sempre limiti precisi che dovrebbero escludere la possibilità di creare strutture segrete sottratte a qualunque tipo di controllo non solo politico ma anche amministrativo interno, strutture armate, dotate di mezzi ed esplosivi ed inserite in organismi di grande potenzialità offensiva, quali sono appunto gli organi di sicurezza.

Né sembra dubbio che tali limiti ben possano dirsi superati nella vicenda in esame, appunto in considerazione della estrema esilità del controllo politico[19] che ha riguardato una rete clandestina sorta per iniziativa dei Servizi addirittura in ambito internazionale e della cui esistenza il potere politico è stato sempre poco e male informato anche dopo l’entrata in vigore della legge n. 801 del 1977, di una legge formale che aveva sancito un obbligo di informazione ben più intenso, non solo verso

l’autorità di Governo, ma anche nei confronti di uno specifico organismo parlamentare.

All’interno di tali coordinate esplicative è possibile quindi cogliere meglio il segno della progressività che secondo il giudizio già espresso dalla Commissione avrebbe segnato la illegittimità costituzionale di Gladio.

In realtà se la prospettiva adottata fosse stata (come invece non è stata) prevalentemente di natura giuridico-formale dovrebbe riconoscersi che la illegittimità evidenziata dalla Commissione (con una dovizia di argomentazioni esposte nella relazione del 1992, che qui possono darsi per note) come caratterizzante la fase iniziale e costitutiva della struttura (sino al 1959) si sarebbe attenuata fin quasi a scomparire nel periodo successivo (dal 1959 al 1972), quando l’operatività della struttura venne in qualche modo ricondotta in ambito Nato.

Per poi tornare semmai ad accentuarsi quando il raccordo Nato, nel dicembre 1972, viene a sfilacciarsi, quando cioè la struttura viene ad essere, per così dire, interamente digerita e introitata dal servizio militare sino a diventare il segreto del servizio dentro di sé, fino ad acquisire una marcata ed eclatante evidenza, in termini di indiscutibile illegalità, dopo la riforma del 1977 con i cui precetti imperativi quel segreto ha incontestabilmente colliso.

Ma la valutazione operata dalla Commissione non è di tipo giuridico formale e questo

consente di cogliere in maniera diversa l’affermato carattere progressivo della illegittimità costituzionale della struttura. Vuol dirsi cioè che le ragioni storiche che in qualche modo hanno potuto giustificare non solo la scelta di costituire Gladio, ma anche le concrete modalità in cui a quella scelta si ritenne di dare attuazione, sono andate indubbiamente nel tempo progressivamente attenuandosi, a mano che da un lato le istituzioni democratiche venivano a consolidarsi nel paese, dall’altro la situazione internazionale cambiava sempre più rendendo improbabile il verificarsi della ipotesi operativa che giustificava la scelta.

Da qui l’accentuarsi della negatività di un giudizio politico che la Commissione ha ritenuto di formulare (e oggi di confermare) con riferimento all’intera vicenda. E ciò non già perché si sono disconosciute le ragioni storiche che determinarono l’insorgere e l’originario strutturarsi della rete clandestina, ma perché si è voluto stigmatizzare la persistenza e l’evoluzione successiva di una struttura che restava segreta in ambiti temporali nei quali quelle ragioni storiche erano venute lentamente a perdere consistenza sino a divenire del tutto insussistenti.

Vuol dirsi cioè che non riesce a cogliersi nessuna ragione sul piano della opportunità e della legittimità politica che riesca a giustificare perché la rete clandestina ha continuato a sussistere, con il suo carattere di assoluta segretezza nell’ultimo decennio e forse nell’ultimo quindicennio della sua vita; quando cioè erano già maturate condizioni interne ed internazionali che ben avrebbero dovuto imporre moduli organizzatori diversi e sinanco di anticipare la determinazione politica di scioglimento.

Se tutto ciò si ha presente, diviene quindi chiaro come recenti provvedimenti dell’autorità giudiziaria[20] – che hanno ritenuto inidonea la struttura Gladio ad integrare la fattispecie astratta di un delitto contro la personalità dello Stato – non possono essere utilizzati per porre in discussione la validità del giudizio negativo espresso dalla Commissione.

Si è già detto della diversità di ambiti che caratterizzano da un lato l’inchiesta parlamentare di cui la Commissione è investita, dall’altro l’inchiesta giudiziaria. Ed è appena il caso di ricordare che compito dell’autorità giudiziaria non è la ricostruzione della verità di un intero periodo storico o di vicende comunque complesse, se non nei limiti in cui tale ricostruzione consente di sottoporre a processo persone individuali per fatti specifici previsti dalla legge come reato.

Orbene le conclusioni cui la magistratura ordinaria è giunta (peraltro soltanto per alcuni profili in via definitiva, perché per altri le relative indagini sono ancora in corso) hanno pure affermato che se

la struttura di per se stessa così delimitata non integra ipotesi di reato“,

in ordine alla stessa sarebbero pure evidenziabili

responsabilità di carattere politico e disciplinare, se non furono adempiuti pienamente gli obblighi di informazione verso le autorità politiche e se non furono seguite le necessarie procedure per sottoporre al controllo politico le scelte operate dal Servizio[21].

Si è peraltro avvertito nella medesima sede che da un lato tali

aspetti non sono di competenza del giudice penale“;

dall’altro, e come già accennato, che

diversamente dovrebbe, argomentarsi se si raggiungesse la prova della originaria finalizzazione della struttura al contrasto di forze politiche legalmente riconosciute“.

In ordine a tale ultimo profilo, si è peraltro riconosciuta l’esistenza di

ampie tracce nella documentazione relativa alla costituzione della struttura e in genere agli accordi dei servizi italiani negli anni quaranta e cinquanta“;

peraltro con l’avvertenza che

di una valutazione in sede penale di questo particolare aspetto è preclusa sotto due differenti profili: da un lato le condotte punibili sarebbero certamente prescritte; dall’altro alla completa cognizione del fatto è stata opposta la inviolabilità

di una parte della documentazione Nato[22].

Come è agevole constatare si tratta di una valutazione finale espressa da altro potere dello Stato e nell’adempimento di una diversa funzione.

Essa peraltro, lungi dal delegittimare il giudizio già espresso dalla Commissione, nell’esercizio di una competenza propria, vale invece a legittimarlo ed addirittura ad osservare il carattere equilibrato e persino prudenziale.

Va quindi ribadito che la rete clandestina, in sé considerata, non può

 considerarsi in via di principio penalmente illecita. La Commissione non ha mai contestato che fosse pienamente legittimo – ed anzi doveroso – da un lato creare una rete di resistenza destinata a divenire operativa nell’eventualità di una occupazione nemica di parte del territorio nazionale, dall’altro circondare la rete stessa da un forte vincolo di segretezza.

Sul piano di un giudizio marcatamente di natura politico-istituzionale, la Commissione ha soltanto ed invece affermato che l’individuazione dei mezzi cui affidare il perseguimento di tali legittimi obiettivi avrebbe dovuto comportare:

-scelte parzialmente diverse nella fase costitutiva;

-scelte marcatamente diverse a mano che venivano attenuandosi le ragioni internazionali ed interne poste a base degli obiettivi individuati;

-scelte addirittura opposte a quelle concretamente seguite dopo il 1972, e segnatamente dopo l’entrata in vigore della riforma del 1977.

Se tutto ciò si ha chiaro, divengono evidenti le ragioni per cui la Commissione condivide e ritiene addirittura naturale il già richiamato esito assolutorio cui ha condotto l’autodenuncia presentata da uno dei responsabili politici, nel tempo, della struttura, e cioè il senatore Cossiga, che ha affermato di essere stato nelle sue diverse e successive qualità (Sottosegretario di Stato, Ministro,

Presidente del Consiglio)

l’unico referente politico, nonché di essere stato perfettamente informato delle predette qualità della struttura“.

E cioè peraltro non implica che la Commissione ritenga meritevole di revisione il proprio anteriore giudizio, anche per ciò che concerne il profilo relativo alle individuate responsabilità politiche.

Ed invero la stessa autorità giudiziaria che è pervenuta al condivisibile giudizio assolutorio non ha potuto non rimarcare come il contenuto delle informazioni alle quali l’autodenunciante aveva avuto accesso (secondo quanto dallo stesso dichiarato e secondo quanto risultante da inequivoca documentazione in atti) concerneva soltanto l’esistenza di una struttura segreta finalizzata a contrastare una minaccia esterna nell’ipotesi di un’invasione del nostro paese da parte di forze nemiche ed il fatto che si trattasse di una struttura costituita nell’ambito di accordi tra i servizi segreti.

L’esistenza in tali limiti di un’informazione all’autorità governativa è stata ben tenuta presente dalla Commissione. Ciò che ha determinato il negativo giudizio della Commissione è lo scarso contenuto di tale informazione, nonché la circostanza che la stessa avveniva per iniziativa autonoma dei Servizi in forme che il lessico adottato dagli stessi (“indottrinamento“) è già idoneo a definire e a qualificare.

Vuol dirsi cioè che fu sempre lasciato all’autonoma iniziativa dei Servizi decidere quando e in quali limiti l’autorità governativa doveva essere informata, là dove un corretto rapporto istituzionale avrebbe dovuto imporre da un lato una conoscenza più piena, dall’altro che l’informazione a chi assumeva responsabilità governative provenisse dai precedenti titolari delle medesime responsabilità.

Ciò che sorprende – e fonda il ribadito giudizio negativo – è l’atteggiamento sostanzialmente passivo dei titolari del potere di governo, che sembrano tutti aver recepito le informazioni per come venivano loro fornite, senza mai manifestare, nell’esercizio della responsabilità di cui erano onerati, la volontà di una più approfondita conoscenza, strumentale all’assunzione di un più elevato livello di responsabilità. E’ un atteggiamento generale che ha riguardato tutti i soggetti che nel tempo hanno rivestito gli anzidetti ruoli governativi. E la cui registrazione, fondata ancora una volta su risultanze documentali inequivoche, induce la Commissione a ritenere pienamente condivisibile quanto, in ordine al generale rapporto tra vertice governativo e servizi, è stato di recente affermato dal Comitato parlamentare per i servizi di sicurezza.

Vuol cioè farsi riferimento alla dimostrazione indubbiamente rigorosa di una sostanziale delega, pressoché costante, al vertice dei Servizi (e per ciò che riguarda la vicenda Gladio al vertice del servizio militare) delle responsabilità per la sicurezza da parte dei Presidenti del consiglio dei Ministri succedutisi nel tempo.

L’effetto di tale comportamento sostanzialmente abdicativo ha indubbiamente contribuito negli anni, secondo la valutazione del Comitato che la Commissione condivide,

da un lato a rendere più incerto il controllo politico sul sistema dell’informazione e della sicurezza, dall’altro a mantenere in una zona d’ombra, priva di regole certe e sottratta alla conoscenza del Parlamento, le specifiche decisioni dell’Autorità nazionale per la sicurezza[23].

Il nodo politico di Gladio è tutto qui; ed esso non può essere sciolto dalla Commissione, nell’ambito del suo specifico potere di inchiesta, se non investigando su una serie di vicende coeve alle diverse fasi evolutive della struttura.

Trattasi di vicende che, come già avvertito, non appartengono o solo parzialmente appartengono alla storia di Gladio, ma valgono tuttavia a illustrare i motivi delle concrete scelte operative dei vertici del servizio, nonché a dare senso e significato al comportamento abdicativo dell’autorità governativa, che è stato innanzi evidenziato.

D’altro canto se in sede giudiziaria un’illiceità penale della rete clandestina in sé considerata è stata motivatamente e fondatamente negata, non sono state affatto escluse possibili distorsioni dalle finalità istituzionali dichiarate della struttura, che ben possono essere andate al di là della sua già evidenziata utilizzazione a fini informativi e che afferiscono, per come ipotizzate, a vicende specifiche anch’esse pienamente rientranti nella competenza della Commissione, che quindi a buon titolo, e pur senza enfatizzarne l’importanza, ritiene che il nodo Gladio possa essere sciolto pienamente solo all’interno di una considerazione complessiva del periodo, in cui la struttura fu costituita e, nei limiti innanzi evidenziati, deve considerarsi essere stata attiva.


[1] Si veda L. Gennaro, “Evidenziazione ed analisi, negli atti di talune inchieste penali, di una struttura segreta parallela ai servizi, paragonabile alla Gladio”, in Archivio Commissione Stragi, X legislatura, doc. GLADIO 48.

[2] Si vedano i numerosi interrogatori resi dal Vinciguerra al G.I. di Venezia Casson nell’ambito del procedimento per la strage di Peteano, in Archivio della Commissione Stragi, X legislatura, come pure i documenti redatti dallo stesso Vinciguerra e presenti nell’Archivio della Commissione, X legislatura, docc. PETEANO 12 e 43.

[3] Il riferimento è all’istruttoria del G.I. di Padova dottor Tamburino, al processo tenutosi a Roma nel 1977/78 relativo al “golpe Borghese“; e in particolare anche alla Commissione parlamentare di inchiesta sui fatti del giugno-luglio 1964, presieduta dal senatore Alessi, che fu insediata nel 1969 e rassegnò le sue conclusioni nell’anno successivo, nonché alla Commissione parlamentare di inchiesta sulla loggia massonica P2, che concluse i suoi lavori nel 1984.

[4] Rispettivamente in: Atti Parlamentari, Commissione Stragi, X legislatura, Docc. XXIII, nn. 36 e 51.

[5] In Atti parlamentari, Commissione Stragi, X legislatura, Doc. XXIII, n. 26, vol. I, pagg. 77 e 85.

[6] Così il dottor P. P. Saviotti, collaboratore della Commissione Stragi, nel corso dell’incontro di lavoro del 22 marzo 1995.

[7] Il parere dell’Avvocato Generale dello Stato è pubblicato come allegato alla Relazione Andreotti alle presidenze del Senato e della Camera, in Atti Parlamentari, X legislatura, doc. XXVII, n. 6. La relazione del Comitato parlamentare è pubblicata in Atti Parlamentari, X legislatura, doc. XLVIII, n. 1.

[8] Relazione 1/06/59 del Servizio al Capo di Stato Maggiore della Difesa sul programma di intervento della rete Stay behind, in Archivio Commissione Stragi, X legislatura, docc. GLADIO, 4/23a e 4/23b. 

[9] In tal senso le recenti acquisizioni istruttorie del G.I. Mastelloni nell’ambito del procedimento c.d. Argo 16, in Archivio Commissione Stragi, XII legislatura, docc. GLADIO 4/8 e 4/9; così anche le osservazioni congiunte dei magistrati militari di Padova, dottori Dini e Roberti, nonché del sostituto procuratore della Repubblica presso il tribunale di Venezia, dottor Casson, in Archivio Commissione Stragi, XII legislatura, doc. GLADIO 4/11.

[10] Si veda tra gli altri P. Inzerilli – La verità negata – Edizioni Analisi, Bologna, 1995, ma soprattutto l’audizione dell’ammiraglio Martini presso la Commissione Stragi, XII legislatura, 11 luglio 1995.

[11] L’elenco ufficiale dei civili effettivamente arruolati nella struttura era stato trasmesso dal Sismi alla Commissione soltanto nel febbraio 1991, a distanza di mesi dalla pubblicazione di Gladio ad opera del Presidente del Consiglio.

[12] Si veda Inzerilli, op. cit., pag. 51

[13] In tal senso l’incarico peritale affidato dal G.I. di Bologna Grassi nell’ambito del procedimento c.d. Italicus-bis, in Archivio Commissione Stragi, XII legislatura, doc. ITALICUS 3/6.

[14] Si veda la richiesta, poi accolta, del procuratore aggiunto di Roma Coiro, di non promuovere azione penale nei confronti del senatore Cossiga, in Archivio Commissione Stragi, XII legislatura, doc. GLADIO 5/1.

[15] Significativo al riguardo il documento relativo all’Esercitazione Delfino, Trieste 14/24 aprile 1966, in Archivio Commissione Stragi, X legislatura, doc. GLADIO 5/17.

[16] Così Inzerilli, op. cit., pag. 125.

[17] Così anche l’ammiraglio Martini nel corso dell’audizione presso la Commissione Stragi, XII legislatura, 11 luglio 1995.

[18] Si vedano: l’appunto del gen. Fortunato, in data 4 dicembre 1972 in preparazione nella riunione SID-CIA del 15 dicembre 1972 nonché il verbale della riunione, in Archivio Commissione Stragi, X legislatura, doc. GLADIO 4/23b.

[19] Nella documentazione acquisita su Gladio non vi sono documenti che non siano di provenienza militare, salvo pochi appunti provenienti dai “gladiatori”. In particolare non è stato rinvenuto alcun documento che contenga atti di indirizzo politico o ne rechi traccia apprezzabile; neppure in ordine a decisioni rilevanti come quelle relative allo smantellamento dei Nasco.

[20] Si veda nota 13.

[21] Ibidem.

[22] Ibidem.

[23] Relazione pubblicata in Atti Parlamentari, XII legislatura, doc. XXXIV, n. 2.


DOPO QUARANT’ANNI SVELATO IL SEGRETO DI GLADIO

La lettera con cui Andreotti tolse il velo all’armata del mistero

Il 26 febbraio 1991 Giulio Andreotti, all’epoca presidente del Consiglio, prendendo tutti in contropiede – specie l’allora presidente della Repubblica Francesco Cossiga, nonché i vertici del SISMI – invia alla commissione Stragi una relazione su GLADIO.

Un documento con molte lacune, ma il segreto della Repubblica, ormai, è stato violato.

Ecco il testo della lettera:

—————————————-

PREMESSA

L’esistenza dell’Organizzazione denominata “Gladio” è venuta pubblicamente alla luce nel corso delle indagini condotte dalla magistratura relative a fattispecie delittuose verificatesi negli anni ’70.

Il Governo, anche per aderire a specifiche istanze formulate dal Parlamento, e tenuto conto dei mutati equilibri tra le Nazioni europee, ha ritenuto di soddisfare le esigenze conoscitive dell’Autorità Giudiziaria, consentendo agli inquirenti l’accesso agli archivi dei Servizi di sicurezza. Una documentazione sulla “Gladio” venne inviata al Comitato parlamentare per i servizi di informazione e sicurezza ed alla Commissione parlamentare d’inchiesta sulle stragi ed il terrorismo. Una comunicazione sulla materia venne fatta dal Presidente del Consiglio dei Ministri l’8 novembre 1990 al Senato e l’11 gennaio 1991 alla Camera dei Deputati. Si è ritenuto specifico dovere fornire una piena ed incondizionata collaborazione, tant’è che il Governo ha revocato il segreto di Stato che, a suo tempo, era stato opposto e confermato su documentazione attinente alle indagini.

Se e’ vero, infatti, che l’attività dei Servizi deve essere circondata dal massimo riserbo, è anche vero che, se vengono meno i presupposti che giustificano tale riserbo ed in presenza di specifiche esigenze, è possibile far conoscere determinate informazioni di interesse.

D’altra parte, l’attività dei Servizi di sicurezza, che si svolge, sulla base di particolari criteri di metodi e discrezionalità, deve sempre rientrare nello stretto alveo delle finalità istituzionali da perseguire. Ogni volta che non si e’ osservato questo principio si sono verificate isolate deviazioni che hanno danneggiato l’immagine degli Organismi informativi con negativi riflessi sull’amministrazione civile e militare dello Stato e l’armonia tra le forze politiche, turbata da sospetti ed indebite ingerenze nella sfera privata, per fatti del tutto personali che non hanno alcun rilievo in relazione alla fedeltà ai principi costituzionali.

Il Governo, sulla base di esame obiettivo degli atti, può escludere che l’organizzazione “Gladio” – creata per contrastare un’eventuale occupazione nemica del territorio nazionale – sia stata impiegata al di fuori dei compiti istituzionali, che prevedevano, per il tempo di pace, l’effettuazione di attività addestrative. Il solo caso di prospettato, diverso impiego della struttura, si e’ verificato nell’agosto 1990. Il Direttore del SISMI (L’Amm. Fulvio Martini. NDR), senza informare l’autorità politica e senza alcuna autorizzazione – che, ove richiesta, non sarebbe stata concessa – ha impartito disposizioni acchè il personale appartenente alla “Gladio” venisse gradualmente

addestrato a recepire “indicatori di attività illegali”. Tale iniziativa, della quale il Governo e’ venuto a conoscenza il 13 dicembre 1990 è stata censurata dal Ministro della Difesa perché non pertinente con le finalità istitutive dell’organizzazione clandestina “Stay-Behind”.

Il Governo ha fatto e farà tutto il possibile per fornire la massima collaborazione al Parlamento ed alla magistratura, nella convinzione

della piena legittimità della struttura, costituita in determinate

circostanze storiche e confluita progressivamente in un contesto

operativo strettamente collegato alla pianificazione militare

dell’Alleanza Atlantica.

La presente relazione, oltre a costituire un ulteriore strumento conoscitivo, offre al Parlamento una organica ricostruzione  dei presupposti, del funzionamento e degli aspetti giuridici dell’intera vicenda. Cioè nell’intento di contribuire a far chiarezza sui fatti.

1. L’ACCORDO “STAY-BEHIND”.

Il Servizio Informazioni delle Forze Armate (SIFAR) mise allo studio, fin dal 1951, la realizzazione e la gestione di una organizzazione “clandestina” di resistenza, mutuata dalle precedenti esperienze della guerra partigiana, per uniformare e collegare in un unico, omogeneo contesto operativo e difensivo le strutture militari italiane con quelle dei Paesi alleati. Reti di resistenza erano state organizzate in quell’epoca dalla Gran Bretagna in Olanda, Belgio e, presumibilmente, in Danimarca e Norvegia. La Francia aveva provveduto per i territori tedeschi ed austriaci sottoposti al suo controllo e, per il territorio nazionale, fino ai Pirenei.

Anche la Jugoslavia, dopo la rottura con Mosca, aveva orientato la sua preparazione militare essenzialmente su questo tipo di operazioni speciali.

   Il 21 novembre 1951 veniva conclusa dal SIFAR e dal Servizio americano un’intesa di reciproca collaborazione relativa alla organizzazione ed alla attività del complesso clandestino post-occupazione comunemente denominato “Stay-Behind” (stare indietro), il quale prevedeva la costituzione di reti di resistenza addestrate ad operare, in caso di occupazione nemica del territorio, nei seguenti campi:

   – raccolta delle informazioni,

   – sabotaggio,

   – guerriglia,

   – propaganda ed esfiltrazione.

Tale ultima attività rivestiva nel complesso operativo di particolare importanza e delicatezza, attesa la necessita’ di mantenere i collegamenti fra le zone occupate ed il territorio libero.

Con la conclusione di tale intesa vennero definitivamente poste le basi per la realizzazione dell’operazione indicata in codice con il nome di “Gladio”. Elemento essenziale dell’intera operazione era l’installazione in Sardegna di un Centro destinato a:

   – fungere da base di ripiegamento;

   – dirigere le operazioni delle reti clandestine post-occupazione;

   – addestrare il personale.

Tale Centro, denominato Centro addestramento guastatori (CAG), la cui costituzione venne finanziata con fondi USA, e’ stato utilizzato in seguito non solo per l’attività addestrativa degli appartenenti alla “Gladio”, ma anche per quella di personale operativo dei Servizi di informazione e sicurezza italiani ed appartenenti a Paesi alleati e di unita’ delle “forze speciali” nazionali e NATO.

L’opzione Sardegna, quale territorio destinato ad ospitare la “base operativa” della “Gladio”, non fu casuale, ma era coordinata con i piani all’epoca predisposti dallo Stato Maggiore Difesa italiano, che prevedevano l’attuazione di tutti gli sforzi per “mantenere” l’isola nell’ipotesi di invasione straniera del territorio nazionale.

2. PARTECIPAZIONE ITALIANA AGLI ORGANI COLLEGIALI DI COORDINAMENTO

   DEL SETTORE.

Una volta costituito l’organismo clandestino di resistenza, l’Italia fu chiamata a partecipare quale membro effettivo ai lavori di alcuni organismi operanti in ambito NATO.

A partire dal 1959, entrammo a far parte del Comitato clandestino di pianificazione (CPC), operante nell’ambito dello SHAPE (Supreme headquarters allied powers Europe). Detto Comitato aveva il compito di studiare la condizione dell’attività informativo-offensiva in caso di guerra, con particolare riferimento ai territori di possibile occupazione da parte del nemico: in esso erano già rappresentati gli USA, la Gran Bretagna, la Francia, la Germania ed altri paesi della NATO.

Nel 1964, il nostro Servizio informazioni entro’ nel Comitato Clandestino Alleato (CCA), organismo destinato a studiare e risolvere tutti i problemi di collaborazione fra i diversi Paesi per il funzionamento delle reti di evasione e fuga. Di questo Comitato facevano parte: Gran Bretagna, Francia, USA, Belgio, Olanda, Lussemburgo e Germania Occidentale. Inoltre, il necessario raccordo strategico nell’ambito dell’Alleanza Atlantica tra le attività di guerra non ortodossa, affidate alle reti clandestine di resistenza, e le operazioni non tradizionali effettuate, in territorio nemico o invaso dal nemico, dalle forze

militari regolari, veniva attuato attraverso apposite direttive emanate dal Comando Supremo Alleato in Europa.

   3. L’OPERAZIONE “GLADIO”.

L’organizzazione riservata realizzata dal SIFAR nel territorio nazionale consisteva in una struttura:

   – controllata da quella informativa ufficiale;

   – formata da agenti operanti nel territorio che, per età, sesso

     ed occupazione avessero buone possibilità di sfuggire ad eventuali

     deportazioni ed internamenti;

   – di agevole gestione anche da parte di una struttura di comando

     esterna al territorio occupato;

   – coperta da massima segretezza e per tal ragione suddivisa in un

     “ordinamento cellulare”, cosi’ da ridurre al minimo ogni danno

     derivante da defezioni, incidenti o “sforamenti” della rete.

La rete riservata di resistenza si articolava nei seguenti settori di attività:

   – informazione;

   – sabotaggio;

   – propaganda e resistenza generale;

   – radiocomunicazioni;

   – cifra;

   – ricevimento e sgombro di persone e materiali.

Ognuno dei settori di attività suindicati doveva operare in modo indipendente dall’altro, del quale in teoria doveva sconoscere l’esistenza con il raccordo e la coordinazione in caso di necessita’ della già menzionata base esterna di ripiegamento individuata in Sardegna.

La costituzione e l’organizzazione della struttura di resistenza comportavano:

   – la formazione del personale direttivo attraverso apposito corso

     di istruzione presso la TRAINING DIVISION Dell'”Intelligence

     Service” britannico;

   – il reclutamento dei capi rete e degli agenti da individuare con il

     concorso del Servizio informazioni;

   – la pianificazione geografico-operativa delle varie attività

     nell’Italia settentrionale, da concordare con gli uffici operazioni

     delle tre Forze Armate e con il Servizio informazioni USA;

   – la scelta del materiale d’accordo con l’Intelligence americana;

   – un apposito stanziamento di bilancio;

Il 1  ottobre 1956 era stata costituita, nell’ambito dell’ufficio “R” del SIFAR, una Sezione addestramento, denominata SAD (Studi Speciali e Addestramento del personale). La sezione ai cui responsabili verrà demandato il ruolo di coordinatore generale dell’operazione “Gladio”, si articolava in quattro gruppi:

   – supporto generale;

   – segreteria permanente ed attivazione delle branche operative;

   – trasmissioni;

   – supporto aereo, logistico ed operativo.

Alle dipendenze della Sezione venne posto il Centro addestramento guastatori (CAG).

Le linee direttrici che informavano l’attività della nuova Sezione erano:

   – la costituzione dell’apparato direttivo centrale e la pianificazione generale;

   – la costituzione ed il perfezionamento della base addestrativa,

     degli istruttori e delle attrezzature didattiche;

   – la costituzione del Centro trasmissioni di Olmedo (per collegamento

     a grande distanza; attività di radio propaganda; trasmissioni di

     disturbo);

   – la pianificazione degli elementi fondamentali dell’organizzazione

     (sicurezza, personale, addestramento, organizzazione e documentazione);

   – l’effettuazione di corsi addestrativi all’estero (presso la scuola

     del Servizio americano) per il personale della Sezione;

   – l’attivazione delle branche operative costituite da 40 nuclei dei

     quali:

   . 6 informativi;

   . 10 sabotaggio;

   . 6 propaganda;

   . 6 evasione e fuga;

   . 12 guerriglia

   – la costituzione di 5 unita’ di guerriglia di pronto impiego in

     regioni di particolare interesse, rispettivamente denominate:

   . Stella Alpina, nel Friuli;

   . Stella Marina, nella zona di Trieste;

   . Rododendro, nel Trentino;

   . Azalea, nel Veneto;

   . Ginestra, nella zona dei laghi lombardi;

   – l’approntamento e la dislocazione periferica dei materiali

     necessari ai settori operativi;

   – l’addestramento e la qualificazione degli elementi dei nuclei e

     delle unita’ di pronto impiego;

   – le ricognizioni terrestri ed aeree delle zone di particolare

     interesse;

   – la raccolta della documentazione di interesse (cartografica,

     monografica e fotografica);

   – le attività sperimentali presso il CAG (aeree, paracadutistiche,

     acquee, subacquee e terreni difficili):

Negli anni dal 1974 al 1976 l’intera pianificazione operativa di “Gladio” venne rivista. Il nuovo assetto prevedeva:

   – unita’ di guerriglia (UDG), dislocate su diverse zone del territorio

     nazionale (e non più nella sola fascia alpina nord-orientale);

   – reti di azione clandestina (RAC);

   – nuclei (NU), da crearsi in zone particolarmente sensibili per

     l’attività di esfiltrazione.

A partire dagli anni ’80, il venire meno delle esigenze che informavano le precedenti disposizioni post-belliche e le radicali modifiche all’assetto ordinamentale dei Servizi di informazione e sicurezza italiani, comportarono una revisione delle modalità di realizzazione della “guerra non ortodossa” nel quadro delle strategie generali concordate con i Paesi alleati. In tale contesto vennero attuate le iniziative, da tempo allo studio, per costituire, in ambito nazionale, un organismo con il compito di pianificare e di coordinare l’impiego delle risorse del Servizio con quelle delle singole Forze Armate destinate all’attività di guerra non convenzionale, altrimenti detta non ortodossa. Ciò al fine di razionalizzare il settore ed evitare inutili sovrapposizioni di competenze, con evidente dispendio delle risorse medesime. Nel 1985 fu, pertanto, costituito un “Comitato di coordinamento operazioni di guerra non ortodossa” (GNO) cosi’ da predisporre, fin da tempo di pace, quanto necessario per lo stretto coordinamento dell’attività di GNO sul territorio nazionale eventualmente occupato.

Parallelamente, si procedette in ambito SISMI alla formazione di quadri in grado di istruire personale esterno alla condizione, in caso di invasione, di operazioni militari clandestine.

In tale contesto le operazioni di informazione, propaganda, evasione ed esfiltrazione vennero affidate al personale “volontario civile”, mentre l’addestramento e la partecipazione ad azioni di sabotaggio, controsabotaggio e guerriglia venne riservato ad appartenenti al Servizio particolarmente selezionati.

L’attività principale nel tempo di pace riguardava essenzialmente:

   – la ricerca e l’eventuale reclutamento di persone idonee ad

     assolvere funzioni di comando e di elementi in possesso di nozioni

     specialistiche;

   – l’addestramento di personale reclutato;

   – le esercitazioni svolte in comune con i servizi alleati;

   – le predisposizioni per l’acquisizione e la conservazione a lunga

     durata dei materiali  e per il loro trasporto;

   – l’aggiornamento della pianificazione operativa;

   – il controllo del personale già reclutato a fini di sicurezza;

   – lo scambio di esperienze con i servizi collegati.

Il reclutamento del personale “civile” avveniva attraverso quattro distinte fasi: l’individuazione, la selezione, la sottoscrizione dell’impegno ed il controllo.

L’individuazione veniva fatta sia dai quadri già facenti parte dell’organizzazione “Stay-Behind” sia da elementi del Servizio responsabili dell’organizzazione.

Non esistevano preclusioni di sesso, età ed idoneità al servizio militare (anche se, fino al 1975 circa, si e’ preferito reclutare personale che avesse assolto agli obblighi di leva, in quanto richiamabile). Dall’entrata in vigore della legge 24 ottobre 1977, n.801 (istituzione del Sismi, Sisde e Cesis, in pratica l’ultima legge sui servizi di sicurezza. NDR), i criteri di reclutamento furono ancorati ai principi stabiliti dalla legge stessa che prevedevano l’esclusione dei membri del Parlamento, di consiglieri regionali, provinciali e comunali, dei magistrati, dei ministri di culto e dei giornalisti.

La selezione veniva fatta dai responsabili della struttura sulla base delle informazioni ricavate attraverso i normali canali del Servizio.

Le informazioni servivano a stabilire che l’individuo da reclutare non avesse precedenti di alcun tipo nel casellario giudiziario, non facesse politica attiva, ne’ partecipasse a movimenti estremisti di qualsiasi tipo.

La sottoscrizione dell’impegno si attuava solo dopo aver avuto il benestare dai responsabili dell’organizzazione sulla base delle informazioni ricevute. Veniva effettuato dai quadri o dal personale del Servizio che á suo tempo avevano segnalato i nominativi.

Ciò avveniva normalmente in tempi successivi cosi’ da consentire la non compromissione dell’operazione e del reclutatore anche in casi di

rifiuto o di incertezza. Il controllo era continuo e veniva effettuato dai responsabili dell’organizzazione.

Alla data del congelamento della struttura risultavano essere stati reclutati nel tempo per le esigenze della Gladio 622 elementi, dei quali:

   – 223, nella posizione di effettivi;

   – 354, nella posizione di riserva;

   – 45 deceduti;

Di questi:

   – l’83% e nato prima del 1945, 

   – il 16% fra il 1945 ed il 1960,

   – l’1% successivamente al 1960

Nessuno degli aderenti all’organizzazione risulta essere stato iscritto alla loggia massonica P2.

   4. I DEPOSITI DI ARMI (NASCO).

A seguito degli accordi più sopra richiamati, nel corso del 1959, l'”Intelligence” americana provvide ad inviare presso il CAG i materiali di carattere operativo destinati a costituire le scorte di prima dotazione dei nuclei e delle unita’ di pronto impiego, da occultare, fin dal tempo di pace, in appositi nascondigli interrati nelle varie zone di eventuale operazione.

I materiali in questione pervennero dagli Stati Uniti confezionati in speciali involucri al fine di assicurarne il perfetto stato di conservazione e, a partire dal 1963, ebbe inizio il loro interramento in appositi contenitori.

I Nasco (Nascoindigli. NDR) erano cosi distribuiti sul territorio nazionale:

   – 100 nel Friuli-Venezia Giulia,

   – 7 nel Veneto,

   – 5 in Trentino Alto-Adige,

   – 11 in Lombardia,

   – 7 in Piemonte,

   – 4 in Liguria,

   – 2 in Emilia-Romagna,

   – 1 in Campania,

   – 2 in Puglia.

I depositi venivano normalmente interrati a “contatto” con elementi  caratteristici del terreno (cimiteri, ruderi, cappelle, chiesette, fontanili ecc..) che fossero:

   – facilmente riconoscibili

   – inamovibili

   – facilmente identificabili dall’interpretazione di brevi messaggi

     preformulati trasmessi, all’emergenza, dalla base del campo;

   – idonei a fornire la garanzia che, anche in caso di distruzione, i

     ruderi sarebbero stati sufficienti per permettere la localizzazione

     del nascondiglio.

Il materiale conservato nei Nasco era composto da armi portatili, munizioni, esplosivi, bombe a mano, pugnali, coltelli, fucili di precisione, radio trasmittenti, binocoli ed utensili vari.

I depositi erano gestiti direttamente dalla Sezione SAD, che custodiva i “rapporti di posa”, contenenti le indicazioni  sull’ubicazione di Nasco. In caso di violazione delle frontiere nazionali da parte di truppe straniere, le istruzioni recanti tutti i punti di riferimento per localizzare i materiali, sarebbero state trasmesse alle reti “Gladio”, attivate per l’emergenza, a mezzo di messaggi radio precompilati, conservati nella sedi di Servizio.

A causa del rinvenimento fortuito nel 1972 di uno dei contenitori nella zona di Aurisina, venne deciso, per realizzare migliori condizioni di sicurezza, il recupero di tutti i depositi. Le operazioni di recupero ebbero inizio a partire dall’aprile di quell’anno.

I materiali esplosivi ed incendiari recuperati, attesa l’impossibilità della loro conservazione in caserme o altre strutture adibite ad uffici od abitazioni, furono riuniti presso il Centro addestramento guastatori e presso il deposito munizioni di Campo Mela (Sassari) e ne fu previsto, all’emergenza, il rifornimento attraverso avio-lancio.

I materiali di armamento e di munizionamento vennero immagazzinati, in consegna fiduciaria, presso caserme dei Carabinieri.

Detti materiali vennero contrassegnati con l’etichetta di copertura “Ufficio monografie del V CMT – scorte speciali di copertura”.

Le operazioni di recupero, che ebbero termine nel corso del 1973, permisero di ritornare in possesso di materiali contenuti in 127 Nasco su 139 a suo tempo interrati. Rimanevano 12 contenitori per i quali si indicano qui di seguito le località, la data di interramento, il contenuto oltre che i motivi del mancato recupero che è da attribuire alla difficoltà di portarli alla luce in maniera

discreta.

   a. Cimitero di Brusuglio (Cormano di Milano).

   – data di posa: 10 luglio 1963;

   – contenuto:  armi individuali, munizioni, macchine fotografiche;

   – motivo del mancato recupero: il cimitero subì negli anni  1965-1972

     vari e consistenti ampliamenti;

   – numero dei contenitori:  3 metallici;

   b. Cimitero di Arbizzano di Negra (Verona).

   – data di posa: 1  agosto 1963;

   – contenuto: esplosivi, pistole, bombe a mano;

   – motivo del mancato recupero: a seguito dei lavori di ampliamento

     del cimitero (1969-72), sul Nasco vennero costruiti nuovi loculi;

   – numero dei contenitori: 3 metallici ed 1 di plastica;

   c. Cimitero vecchio di Abbadia Alpina, frazione di Pinerolo (Torino):

   – data di posa: 17 maggio 1964;

   – contenuto: duplicatore, materiale fotografico;

   – motivo del mancato recupero: nei pressi del luogo di interramento

     del Nasco fu realizzato un canale ricoperto con cemento;

   – numero dei contenitori: 2 metallici;

   d. Crescentino (Vercelli), argine sinistro del canale Cavour nei

      pressi del Ponte di Praiassi;

   –   data di posa: 6 agosto 1961;

   –   contenuto: armi leggere, pistole, pugnali, bombe a mano;

   –   motivo del mancato recupero: il punto indicato nel rapporto

       di posa e’ stato interessato da una coltura di pioppi, il cui

       ciclo decennale e’ intervallato da un’aratura profonda del

       terreno. Tale operazione ha provocato una traslazione sia in

       verticale che in orizzontale del Nasco, rendendone impossibile

       all’epoca la localizzazione;

   –   numero dei contenitori: 3 metallici e 3 di plastica;

   e.  S.Pietro al Natisone (Udine), casetta disabitata (ai tempi

       della posa) nei pressi della Cappella di quota 236:

   –   data di posa: 16 luglio 1963;

   –   contenuto: armi leggere e munizioni;

   –   motivo del mancato recupero: la casa venne riattata nel 1967,

       ampliata ed abitata. Il Nasco venne cosi’ a trovarsi sotto il

       nuovo corpo-fabbrica;

   –   numero dei contenitori: 2 metallici ed 1 di plastica;

   f.  Chiesetta di S. Giacomo di Reana del Roiale (Udine), tra Ribbis

       e Adegliaccio:

   –   data di posa: 16 giugno 1964;

   –   contenuto: armi leggere e munizioni;

   –   motivo del mancato recupero: l’area circostante la chiesetta

       sotto la quale fu collocato il Nasco e’ stata successivamente

       rivestita (1970) di uno strato compatto, costituito da cemento

       e ciottoli. Il deposito non era dunque più raggiungibile se

       non con demolizioni;

   –   numero dei contenitori: 2 metallici ed 1 di plastica;

   g.  Chiesetta di S. Giacomo di Reana del Roiale (Udine), tra Ribbis

       e Adegliaccio:

   –   data di posa: 16 giugno 1964;

   –   contenuto: armi leggere e munizioni;

   –   motivo del mancato recupero: l’area circostante la chiesetta

       sotto la quale fu collocato il Nasco e’ stata successivamente

       rivestita (1970) di uno strato compatto, costituito da

       cemento e ciottoli. Il deposito non era dunque più raggiungibile

       se non con demolizioni;

   –   numero dei contenitori: 2 metallici ed 1 di plastica;

   h.   Cappella mortuaria del cimitero di Mariano del Friuli (Gorizia):

   –   data di posta: 25 giugno 1964;

   –   contenuto: armi individuali, pistole, duplicatore;

   –   motivo del mancato recupero: la cappella mortuaria sotto la

       quale venne sotterrato il Nasco fu ampliata (1971). Di

       conseguenza non era più possibile raggiungere il Nasco, se

       non con demolizioni;

   –   numero dei contenitori: 2 metallici e 3 di plastica;

   i.  Chiesetta di Santa Petronilla di San Vito al Tagliamento

       (Udine):

   –   data di posa: 28 settembre 1964;

   –   contenuto: armi leggere e munizioni;

   –   motivo del mancato recupero: il pronao della chiesetta,

       sotto il quale era stato collocato il Nasco, è stato

       pavimentato (1972). Il Nasco non era dunque più raggiungibile

       se non con demolizioni;

   –   numero dei contenitori: 2 metallici e 2 di plastica;

   l.  Chiesetta di Santa Petronilla di San Vito al Tagliamento

       (Udine):

   –   data di posa: 28 settembre 1964;

   –   contenuto: pistole, fucili, duplicatore;

   –   motivo del mancato recupero: il pronao della chiesetta,

       sotto il quale era stato collocato il Nasco, e’ stato

       pavimentato (1972). Il Nasco non era dunque più raggiungibile

       se non con demolizioni;

   –   numero dei contenitori: 2 metallici e 2 di plastica;

   m.  Chiesetta Madonna del Sasso nel comune di Villa Santina

       (Udine):

    –   data di posa: 31 ottobre 1964;

    –   contenuto: armi leggere, munizioni;

    –   motivo del mancato recupero: asportazione da parte di

        ignoti;

    –   numero dei contenitori: 2 metallici ed 1 di plastica;

   n.  Chiesetta Madonna del Sasso nel comune di Villa Santina (Udine):

   –   data di posa: 31 ottobre 1964;

   –   contenuto: armi leggere, munizioni;

   –   motivo del mancato recupero: asportazione da parte di

       ignoti;

   –   numero dei contenitori: 2 metallici ed 1 di plastica:

Con le ordinanze del 30 ottobre, 2 e 6 novembre 1990, il giudice istruttore di Venezia, dott. Mastelloni, nell’ambito dell’inchiesta penale sulla caduta dell’aereo “Argo 16”, ha incaricato i Comandi dei Carabinieri competenti per territorio di ricercare e dissotterrare i cennati 12 depositi ancora non recuperati. Le relative operazioni di scavo hanno portato al rinvenimento della totalità dei materiali, fatta eccezione per quelli contenuti:

   –  nei due Nasco situati nei comuni di Villa Santina (UD), che già erano risultati scomparsi nel 1972;

   –  nel Nasco interrato nel cimitero di Brusuglio (Cormano di Milano);

   –  nel Nasco di Crescentino (VC), ove le ricerche hanno portato ad

      un recupero solo parziale (due pistole, di calibro 9 e 22).

Lo stesso magistrato veneziano ha anche fatto richiesta di acquisire le matricole delle armi portatili conservate nei due “Nasco” a suo tempo occultati in Villa Santina – Chiesa Madonna del Sasso.

Come già detto in precedenza, tali armi pervennero al Servizio italiano alla fine degli anni ’50, già sigillate in contenitori plastici per la lunga conservazione: non fu possibile rilevarne le matricole poiché i pacchi non vennero aperti, al fine di non comprometterne la confezione.

Allo scopo di corrispondere alla richiesta e’ stato appositamente interpellato il Servizio informazioni americano (CIA), il quale ha riposto di non aver reperito nei propri archivi alcuna documentazione relativa alle matricole delle armi fornite al Servizio italiano.

   5. ONERI FINANZIARI PER L’OPERAZIONE “GLADIO”.

Come già detto in precedenza, le spese per l’avvio dell’operazione “Gladio” furono sostenute con il concorso del servizio USA. Esse riguardavano principalmente:

   – terreni e costruzioni                          L.   385 ml.

   – contributi annuali (dal ’57 al ’75)            L. 1.004 ml.

   – contributi materiali operativi                 L. 1.292 ml.

Il contributo USA ha soddisfatto solo in parte le esigenze finanziarie connesse alla gestione della struttura tant’è che il Servizio italiano ha direttamente provveduto all’erogazione dei fondi necessari. La documentazione relativa agli anni precedenti al 1981 non e’ più consultabile, in quanto distrutta ai sensi

della vigente normativa che regola la tenuta e la conservazione degli atti d’archivio degli Organismi informativi. Esiste solo traccia di un “bilancio di previsione”, redatto nel 1959, per un importo di L. 225 ml. annui, suddivisi in 125 a bilancio riservato e 100 a bilancio ordinario. Da tali somme andavano, comunque, escluse le spese per il personale militare, che, presumibilmente, gravavano su altri capitoli del Ministero della Difesa.

Per gli anni dal 1981 al 1990 le spese complessive per la gestione di “Gladio” sono ammontate a L. 3.409.208.000, corrispondenti ad una media annuale di poco più di 340 milioni.

   6.   SCIOGLIMENTO DELL’ORGANIZZAZIONE.

Alla luce dei significativi avvenimenti che hanno interessato l’Est europeo e dei conseguenti mutamenti degli equilibri politici che per anni hanno obbligato molte nazioni a vivere suddivise in rigidi blocchi contrapposti, il Governo si e’ impegnato a rivedere tutte le disposizioni in materia di “guerra non ortodossa” ed a promuovere, ove del caso, nelle competenti sedi collegiali alleate ogni utile iniziativa volta a verificare, sia sul piano politico che su quello della tecnica militare, l’attuale utilità e validità dei sistemi “clandestini” di protezione del territorio dello Stato.

Dall’esame della  situazione attuale, il Governo ha tratto il convincimento che sono venuti meno i presupposti politico-militari sulla base dei quali fu costituita la rete “Stay-Behind”. In relazione a ciò, il Ministro della Difesa, on. Rognoni ha, dapprima congelato l’attività della struttura “Gladio”, e

successivamente ne ha disposto, in data 27 novembre 1990, la soppressione congiuntamente allo scioglimento di tutta l’organizzazione ad essa connessa. Si è provveduto pertanto, in data 14 dicembre 1990, a trasmettere al Comitato Clandestino di Pianificazione (CPC) ed al Comitato Clandestino Alleato (ACC) le

comunicazioni di disimpegno dell’Italia in campo NATO relativamente alla rete “Stay-Behind”. Parimenti, si e’ provveduto ad inviare ai membri dell’organizzazione la comunicazione delle decisioni governative ed il conseguente venir meno di ogni obbligo a suo tempo assunto verso la “Gladio”.

Per quanto attiene, poi, al materiale già in dotazione all’organizzazione – comprensivo di vestiario, equipaggiamento, armamento ed altro – accantonato presso il Centro addestramento guastatori di Alghero, lo Stato Maggiore Esercito ne ha disposto il versamento – già attuato – a diversi Enti della Regione Militare della Sardegna.

   7. GLI SVILUPPI PIU’ RCENTI DELLA QUESTIONE “GLADIO”.

L’organizzazione “Gladio” non fu mai attivata. Anche le disposizioni, impartite dal Direttore del SISMI in data 1 agosto 1990 per utilizzare la struttura “Gladio” onde reperire informazioni sulla criminalità organizzata, specificatamente in funzione antidroga, non hanno  avuto pratico effetto per l’intervenuto scioglimento.

Ciò premesso, è opportuno ribadire che ogni sospetto, in merito a possibili azioni di “Gladio” intese ad interferire con la vita democratica del Paese, è ingiusto, ingiustificato e fuorviante.

La segretezza dell’organizzazione era indispensabile in relazione agli scopi che si proponeva, ma non serviva a nascondere azioni illegali o delittuose. La qualità del personale potrebbe essere controllata in qualsiasi momento; nessun elemento del personale esecutivo di “Gladio” ha mai avuto autonoma disponibilità di armi e di altro materiale bellico predisposto per le esigenze della guerra non ortodossa.

L’organizzazione “Gladio” nacque – come si è detto all’inizio- in una situazione politica internazionale in cui, sull’esperienza della lotta partigiana in Italia e all’estero, esisteva l’esigenza di non farsi cogliere impreparati in caso di invasione del territorio nazionale; tale esigenza rientrava nella pianificazione operativa dell’Alleanza Atlantica.

Non esiste alcun elemento che possa far dubitare che il comportamento  di “Gladio” abbia deviato dai suoi compiti di istituto; la situazione politica internazionale e’ ora rapidamente e radicalmente cambiata e, di conseguenza, “Gladio” e’ stata sciolta.

Eventuali deviazioni operate da singoli componenti della struttura potranno costituire oggetti di accertamento da parte della magistratura.

   8.   LA SITUAZIONE NEGLI ALTRI PAESI.

Si segnalano le situazioni dei Paesi che hanno adottato decisioni analoghe a quelle del Governo italiano:

   – BELGIO: il 23 novembre 1990 e’ stata sciolta una organizzazione

     creata, agli inizi degli anni ’50, nell’ambito dei Comitati alleati;

   – FRANCIA: all’inizio del mese di novembre 1990 il Presidente

     MITTERAND ha formalmente sciolto un’organizzazione istituita negli

     anni ’50;

   – LUSSEMBURGO: ha di recente ufficialmente comunicato lo scioglimento

     dell’organizzazione “Stay-Behind”.

Altri Governi alleati non hanno ancora deciso di sciogliere questo tipo di struttura o hanno dichiarato di ritenerla tuttora valida.

Per quanto riguarda poi altri Paesi europei, tradizionalmente neutrali, ancorché gravitanti nell’orbita occidentale, si hanno le seguenti notizie:

   – AUSTRIA: notizie stampa riportano l’avvenuta scoperta, nel

     periodo 1958/62, di depositi clandestini di armi ed equipaggiamenti

     militari. Tale materiale avrebbe dovuto essere impiegato, in caso

     di invasione, per attività di resistenza da condursi da parte di

     talune organizzazioni che sarebbero state sciolte nel 1970;

   – SVIZZERA: un’organizzazione di resistenza, costituita negli

     anni ’50 e potenziata negli anni ’70, e’ stata soppressa in data

     14 novembre 1990, perché non più aderente alla situazione

     internazionale attuale.

   9. LE INCHIESTE GIUDIZIARIE.

Il 19 gennaio 1990 il giudice istruttore del Tribunale di Venezia, dott. Casson, nell’ambito del procedimento sulla strage di Peteano inoltrava al Presidente del Consiglio una richiesta intesa ad acquisire documentazione utile per accertare “se nel periodo 1972-73-74 siano stati effettuati nel Friuli-Venezia Giulia trasferimenti dei depositi (segreti) di armi, munizioni ed esplosivi a disposizione dei Servizi di sicurezza”.

Di fronte a tale richiesta il Governo ha ritenuto, anche in considerazione dei mutati rapporti tra le Nazioni europee, di aprire alle esigenze della magistratura gli archivi dei Servizi segreti e di far conoscere al Parlamento la portata esatta di alcuni passaggi storici che avevano condotto, anche in passato, a strumentalizzazioni ed a conclusioni fuorvianti. Di conseguenza – nel luglio 1990 – il giudice poteva prendere conoscenza di tutto il carteggio concernente l’operazione “Gladio” ed ottenere copia di un’ampia documentazione.

Le richieste del dott. Casson presentavano manifeste analogie con quella già avanzata, verso la fine del 1988, da altro magistrato di Venezia, dott. Mastelloni, in relazione all’inchiesta giudiziaria sulla caduta dell’aereo “Argo 16″, avvenuta a Marghera nel novembre 1973. La richiesta del dott. Mastelloni riguardava le autorizzazioni del Capo del SID, dell’Autorità Nazionale per la Sicurezza e delle Autorità di Governo attinenti ai movimenti dell'”Argo 16” e di altri mezzi di trasporto “per il successivo, continuativo interramento in plurimi depositi siti nel Veneto e nella zona nord-orientale del Paese, di armamento destinato ai civili o ex militari addestratisi negli anni ’60”. A tale richiesta era stato opposto e confermato il segreto di Stato, sulla base della motivazione – indicata dal Ministro della Difesa pro-tempore – che si sarebbero resi noti apprestamenti difensivi diretti a tutelare l’integrità territoriale

dello Stato, anche in relazione ad accordi internazionali.

Le analogie tra le due inchieste riguardavano:

   – la materia, facendo entrambe le indagini riferimento a depositi

     militari di armi;

   – il presunto coinvolgimento dei Servizi di sicurezza;

   – il periodo (più vasto per l’indagine del dott. Mastelloni, che

     partiva dagli anni ’60 fino al novembre 1973, più ristretto per

     quella svolta dal dott. Casson riferita agli anni 1972-73-74);

   – la zona ove sarebbero stati effettuati gli interramenti di

     materiale bellico (territorio nord-orientale del Paese).

Il Governo decideva di venire incontro alle esigenze conoscitive prospettate dal dott. Casson. Nell’occasione assumeva rilievo decisivo la constatazione – già puntualizzata – del profondo mutamento dello scenario politico internazionale intervenuto nell’ultimo periodo, che aveva visto progressivamente allentarsi la tensione tra i due blocchi ed allontanarsi i timori di eventuali conflitti.




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