LA RAGNATELA:DALLE TRAME NERE AL GOVERNO BERLUSCONI

Traccia storica e considerazioni di Renata Franceschini, Soccorso Popolare – Padova

(PARTE PRIMA)


da: 
http://www.arcipelago.org/storie%20italiane/ragnatela1.htm

“- E’ indubbio che tali certezze e tali elevate probabilità obbedissero ad un unico, quanto inequivoco , disegno strategico.
– Con la ovvia conseguenza della intrinseca debolezza di un quadro democratico, che mentre apparentemente andava consolidandosi, continuava a posare su fragili basi, perché a livello occulto costantemente posto in discussione, sì da apparire sostanzialmente a rischio di tenuta.”
(dalle Conclusioni della Commissione Pellegrino – Il quadro storico-politico del dopoguerra – nodo siciliano.)

SOMMARIO

parte prima

Prefazione

1. I servizi segreti

parte seconda

2. Francesco Cossiga e i suoi legami con la ragnatela

3. Gladio

parte terza

4. La Loggia P2 e Licio Gelli

parte quarta

5. Nascita dell’impero economico del Cavalier Silvio Berlusconi

6. L’on.Bettino Craxi e il Cavalier Silvio Berlusconi: intreccio di affari e favori.

parte quinta

7. Berlusconi scende in campo!!

8. La transizione da Berlusconi a D’Alema

parte sesta

9. Il governo “D’Alema”

10. Berlusconi vince le elezioni del 2001

11. Sintesi del Piano di “Rinascita Democratica”, elaborato dalla Loggia massonica segreta P2, del Gran Maestro Licio Gelli.

NOTE BIBLIOGRAFICHE


Prefazione
I Servizi Segreti Usa, già nel 1942 durante il fascismo, allacciano rapporti con la mafia siciliana e determinati settori politici, e quindi instaurano durature alleanze con questi soggetti. Lo scopo è quello di controllare la vita politica italiana, in modo da piegarla con qualsiasi mezzo, anche terroristico e sanguinario, agli interessi degli Stati Uniti e dei gruppi politico-economici di loro riferimento.
Cosa abbia comportato questo disegno di stampo imperialista, lo cominciamo a comprendere solo da qualche anno, grazie alle indagini di magistrati coraggiosi, che tra mille insidie ed ostacoli sono riusciti a farci intravedere, se non tutta la verità, almeno una parte di essa, facendo emergere i gangli dell’ordito di sangue.
Fin dalla caduta del Fascismo si costituiscono in Italia strutture più o meno occulte, più o meno legali, con l’unico scopo di impedire l’attuazione della Costituzione Repubblicana, pienamente democratica, impedendo l’assurgere al potere legislativo ed esecutivo di partiti ad ideologia socialista, duramente contrastata dagli USA, che ribadivano la loro volontà di egemonia su parti del mondo loro assegnate dopo Yalta.
Una di queste strutture è la “Gladio”, e membri importanti di “Gladio” sono l’onorevole Francesco Cossiga e Licio Gelli.
Licio Gelli, massone, costituisce una struttura massonica segreta, la Loggia P2 che, a metà degli anni ’70, tende al sovvertimento della prima Repubblica e all’instaurazione di una seconda Repubblica Presidenziale, a carattere liberistico e antidemocratico.
La complessa organizzazione massonica P2, il suo sistema di rapporti col potere e la mafia in Italia, i servizi segreti italiani e americani, la Gladio, un complesso di organismi e di gruppi con legami nei servizi segreti, nei Carabinieri, negli alti corpi di polizia, nella magistratura e in altri settori della pubblica amministrazione, costituiscono una struttura politico- militare, che agisce come un vero e proprio “Stato parallelo”, finalizzato ad impedire che i nostri equilibri politici si evolvano in direzione di una maggiore e più completa democrazia.
Colpi di Stato tentati o minacciati, stragi, attentati a treni, azioni di terrorismo nero (e alcune di terrorismo… “rosso”), furono,
a complemento di manovre politiche contro la democrazia, gli strumenti di questo vero e proprio “Stato parallelo”, atti al conseguimento degli scopi di eversione.
I servizi segreti, che per lungo tempo alcune forze politiche ci hanno fatto credere “deviati”, hanno coperto, non episodicamente, gravi reati, depistato giudici, posti in salvo i presunti attentatori, al fine di lasciare impunite le stragi più efferate.
Questo complesso di organismi ha attivato, all’interno di un disegno a lungo termine, il progetto politico che sussisteva dietro le stragi, e ne ha tutelato e continua a tutelare gli esecutori e i mandanti.
Così oggi possiamo assistere, dopo il periodo di instabilità politica degli anni ’90, all’affermazione elettorale della “Casa delle Libertà” (sic!), che ha raccolto nel suo seno tutti i tipi di destra presenti nel nostro paese: da quella xenofoba e furbesca, rappresentante dei nuovi rampanti padani, a quella rivestita di un nuovo perbenismo, ma con non ben nascoste aspirazioni autoritarie di tipo fascista, come ci hanno fatto capire, se ce ne fosse stato bisogno, attraverso la repressione di Genova durante il G8; da quella che rappresenta i “buoni sentimenti” catto-qualunquistici , a quella residuale del periodo craxiano, con le stesse idee e l’identico modo di fare politica.
Quindi la matassa aggrovigliata dei poteri occulti e palesi ha dipanato il suo perverso filo conduttore di un progetto politico autoritario e antipopolare che arriva fino all’oggi e sembra avere ormai raggiunto il suo scopo: quello di un governo dei privilegi, a-democratico, falsamente populista, fascisteggiante e reazionario, cioè il governo alla cui testa si trova il Cavalier Silvio Berlusconi, un individuo allevato dalla Mafia, coccolato dalla P2, e tanto “amico” di Craxi e di certi politici democristiani, che come bravi sarti gli hanno confezionato leggi su misura, permettendogli la scalata al potere economico e quindi politico.
Questa destra è così compatta da costituire un vero e proprio club, che procede celermente verso mutamenti istituzionali e sociali sul modello del progetto di “Rinascita Democratica” di Gelli.
A tappe successive quello “Stato parallelo” è riuscito ad impadronirsi del potere politico-economico del paese e a realizzare il suo piano.

1. I SERVIZI SEGRETI

Il SIFAR (Servizio Informazioni Forze Armate), istituito il 1 settembre del 1949, era totalmente subordinato alla CIA e molto simile al vecchio SIM fascista.  Fu istituito, con procedura anomala, senza nessun dibattito parlamentare. Il repubblicano ministro della Difesa, Randolfo Pacciardi, firmò una semplice circolare interna. Il primo direttore del SIFAR, il generale di brigata Giovanni Carlo Del Re, operava sotto l’esplicita supervisione dell’emissario della CIA in Italia, Carmell Offie.


Nel 1951 il gen. Umberto Broccoli, almeno sulla carta, darà l’avvio a “Gladio”.

La NATO fu creata nell’aprile del 1949, non solo per contrastare la potenza comunista, ma anche per mantenere stabile la situazione politica nei paesi che facevano parte dell’Alleanza..
La stabilità, secondo questa strategia, si manteneva escludendo rigorosamente le forze di sinistra dalla gestione del potere politico e i partiti, che le rappresentavano, lontani da qualsiasi forma di governo.
Le attività “antisovversive”, cioè le azioni per arginare la crescita elettorale dei partiti di sinistra, cominciarono prima ancora che in Italia venissero ricostituiti i servizi segreti.
In un rapporto del NSC, National Security Council, dell’8 marzo 1948 sulla “posizione degli Stati Uniti nei confronti dell’Italia, alla luce di una partecipazione dei comunisti al governo con mezzi legali”, si diceva espressamente che una vittoria del Fronte Popolare avrebbe minacciato gli interessi degli Usa nel Mediterraneo. Gli Stati Uniti quindi avrebbero fornito “assistenza militare e economica al movimento clandestino anticomunista”.
Ad esempio, durante le elezioni del 18 aprile del 1948, l’organizzazione “Osoppo”, l’antenata di Gladio, composta da 4.484 uomini, venne schierata segretamente lungo il confine orientale per contrastare una ipotetica invasione dell’esercito sovietico.

All’Italia, con la sua adesione al Patto Atlantico, furono imposti numerosi obblighi, tra cui quello di passare notizie riservate e ricevere istruzioni da una speciale centrale della CIA, chiamata in codice “Brenno”.
Col lavoro paziente di alcuni tra i loro migliori agenti della CIA, gli americani avevano intessuto una fitta ragnatela che piegherà le decisioni del governo alla volontà degli Alleati d’oltreoceano
Il SIFAR, servizio informazioni difesa, del generale De Lorenzo reggerà le fila del controllo occulto della politica italiana degli anni caldi precedenti al rivoluzionario decennio aperto dalla contestazione del 1968.
Si infittirono i rapporti con i servizi statunitensi, che fin dal dopoguerra avevano installato un’importante centro operativo in Italia.
La stazione CIA di Roma funzionerà egregiamente: attraverso il lavoro paziente di alcuni tra i loro migliori agenti, gli americani erano in grado di tessere una fitta ragnatela che piegherà le decisioni del governo alla volontà degli alleati d’oltreoceano.

  La rete Stay Behind, cioè in Italia la Gladio, risultava attiva anche in molti altri paesi europei, coordinata da accordi che intercorrevano tra i vari servizi segreti. Nel caso italiano la CIA e il SIFAR, come ha rilevato lo stesso giudice Casson nella sua indagine, che operavano a condizionare e a scavalcare qualsiasi decisione del nostro Parlamento, unico organismo in grado di ratificare trattati internazionali di questa natura, qualora essi fossero ritenuti legittimi.
Nonostante il profondo mutamento della situazione internazionale, non essendo noti a tutt’oggi i “protocolli segreti” firmati dal governo italiano al momento di adesione alla NATO, non conosciamo bene quali altri obblighi abbia l’Italia nei confronti degli USA.

Alla faccia della nostra Costituzione!

  Vecchia abitudine, questa, di organizzare reti clandestine totalmente svincolate da qualsiasi controllo, per piegare una democrazia, già vacillante in realtà sotto i colpi delle feroci repressioni operaie del Ministro dell’Interno, on. Mario Scelba, protagonista della repressione di operai e braccianti negli anni immediatamente a ridosso della proclamazione della Repubblica democratica fondata sul lavoro.
Mario Scelba va ricordato come il fondatore del reparto Celere della Polizia di Stato (negli anni divenuto tristemente famoso per i metodi antiguerriglia nella repressione delle agitazioni operaie e popolari di piazza).
Come lo stesso Scelba conferma in un’intervista comparsa nel 1988 sulla rivista “Prospettive nel mondo “: “[…] Allontanai, con buonuscite o trasferimenti nelle isole, per tutto il 1947, gli ottomila comunisti infiltratisi nella Polizia e assunsi diciottomila agenti fidatissimi…Posso aggiungere che non mi limitai a reclutare forze di Polizia affidabili, ma creai una serie di poteri per l’emergenza, una rete parallela a quella ufficiale che avrebbe assunto automaticamente ogni potere in caso di insurrezione.”



Durante gli anni del generale dei Carabinieri Giovanni De Lorenzo, che assunse la dirigenza del SIFAR nel 1955, fu creato il progetto del “Piano Solo” per un colpo di stato e gli agenti del SIFAR cominciarono a schedare in massa gli italiani: oltre 155.000 esponenti della sinistra istituzionale e non, semplici simpatizzanti, sindacalisti, operai.
Si volle far credere che la schedatura generalizzata del SIFAR fosse una operazione “deviata” messa in atto per iniziativa singola del generale De Lorenzo, mentre gli erano complici autorevoli esponenti democristiani del governo italiano, con l’appoggio della CIA.

In un accordo, stipulato con i servizi segreti americani nel giugno 1962,
De Lorenzo impegnava il SIFAR a programmare azioni di emergenza con la CIA, senza avvertire il governo.
Nel marzo 1963 William Harvey, il responsabile dell’assassinio di Patrice Lumumba, l’eroe della lotta per l’indipendenza del Congo, diventava “capostazione” della CIA a Roma.
Col colonnello Rocca concordava la formazione di “bande d’azione” che dovevano attaccare sedi della DC, per fare ricadere la responsabilità sulle sinistre.
Il colonnello Rocca organizzò le squadre di Milano, Torino, Genova e Modena, aiutato da Luigi Cavallo, un ex militante del PCI, espulso dal Partito come spia, che in FIAT aveva causato la sconfitta pesante della CGIL con le sue provocazioni e con atti violenti mascherati di “rosso”.
Nominato sul finire del 1962 comandante generale dell’Arma dei Carabinieri e quindi costretto a lasciare la guida del servizio segreto, De Lorenzo comunque mantenne il controllo del SIFAR, facendo nominare al suo posto un suo fedelissimo, Egidio Viggiani e facendo occupare i posti chiave da suoi fedelissimi: Giovanni Allavena – responsabile, contemporaneamente, dell’ufficio D (informazioni) e del CCS (controspionaggio) ed in seguito egli stesso ai vertici del SIFAR- e Luigi Tagliamonte che assumerà il doppio (e incompatibile) incarico di responsabile dell’amministrazione del SIFAR e capo dell’ufficio programmazione e bilancio dell’Arma.

Tra il 1960 e il 1964 i socialisti riuscirono ad entrare nell’area di governo. Era il primo mutamento importante negli equilibri politici italiani dopo il trionfo dei democristiani nel 1948.

Nel giugno del 1960, quando il governo Tambroni, che aveva ottenuto la fiducia con i voti determinanti del MSI e della Confindustria, autorizzò il MSI a tenere il suo congresso nazionale a Genova, ci fu una rivolta popolare durata tre giorni, perché si ritenne questa autorizzazione una sfida alle tradizioni operaie e antifasciste della città. Altre manifestazioni antigovernative, dilagate in molte città, furono represse dalla polizia, in qualche caso anche con le armi, che provocò una decina di morti. Cinque nella solo Reggio Emilia.
La DC dovette, quindi, sconfessare Tambroni, il cui governo cadde.
Nel marzo 1962 si formò un nuovo governo Fanfani, concordato con i socialisti che si impegnavano a dare il loro appoggio ai singoli progetti legislativi. Nelle elezioni politiche dell’aprile del 1963 ci fu una fortissima avanzata del PCI.
Fu in questa fase che la politica di centrosinistra conseguì i risultati più avanzati. Fu avviata la nazionalizzazione della industria elettrica, istituita la scuola media unica. Per contro, le Regioni, istituti previsti dalla Costituzione, non videro ancora la luce del loro ordinamento, per il timore della DC del rafforzamento delle sinistre a livello locale.
Di fronte a questi avvenimenti, che sembravano avvicinare sempre più la sinistra al governo, bisognava portare la guerra totale. Bisognava bloccare in qualche modo l’avanzata popolare nelle fabbriche e nella società, che pretendeva una diversa qualità dell’esistenza.
Ecco allora la ragnatela mobilitarsi.

Nel luglio del 1964, si fece udire il famoso “rumor di sciabole”, di cui parlò l’allora segretario socialista Pietro Nenni: la formazione del secondo governo di centro-sinistra, guidato da Aldo Moro, fu minacciata dalla possibile messa in atto del già progettato colpo di stato, il “Piano Solo”, che sarebbe scattato se il governo di sinistra avesse adottato un programma veramente progressista.
Carabinieri, gruppi di civili, ex parà e repubblichini di Salò, addestrati nella base segreta di Gladio di Capomarrargiu e reclutati dal colonnello Rocca, capo dell’ufficio Rei (Reparto enucleandi interni) del SIFAR, avrebbero partecipato al golpe. La Confindustria e alcuni circoli militari, legati all’ex ministro della Difesa Pacciardi, avrebbero finanziato alcune formazioni paramilitari.
In un elenco, rinvenuto negli archivi della CIA di Roma, c’erano i nomi di circa duemila anticomunisti che si dichiaravano pronti a compiere anche atti terroristici. Il “Piano Solo” prevedeva la cattura degli “enucleandi”, cioè di dirigenti comunisti, socialisti, e di sindacalisti; e l’occupazione armata delle sedi dei partiti di sinistra, le redazioni dell’Unità, le sedi della Rai e le prefetture.
Lo scandalo delle schedature e del “Piano Solo” vennero rivelati, solo tre anni dopo, con una campagna di stampa condotta dai giornalisti Lino Jannuzzi ed Eugenio Scalfari.

Nel 1965 il SIFAR fu sciolto. Ed era l’ennesimo scioglimento di facciata di un servizio segreto “deviato”!
Con un decreto del Presidente della Repubblica, il 18 novembre 1965, nacque il SID (Servizio Informazioni Difesa), che del vecchio servizio continuerà a mantenere uomini e strutture.
Il comando del SID venne affidato all’amm. Eugenio Henke, molto vicino al ministro dell’Interno dell’epoca Paolo Emilio Taviani, democristiano. Sotto la gestione Henke – che resterà in carica fino al 1970 – prenderà avvio la “Strategia della tensione” che avrà come primo, tragico, risultato la strage di piazza Fontana (12 dicembre 1969).
Il 18 ottobre 1970 Henke venne sostituito dal gen. Vito Miceli, che già dal 1969 guidava il SIOS (il servizio informazioni) dell’Esercito.
Nella notte tra il 7 e l’8 dicembre 1970 un gruppo di neofascisti, capeggiati dal “principe nero” Junio Valerio Borghese, ex comandante della X MAS, mise in atto un tentativo di colpo di stato, nome in codice “Tora, Tora”, passato alle cronache come il “Golpe Borghese”.
Il tentativo di colpo di stato fallì e ancora oggi per molti aspetti appare velato di “misteri”.
Il neo capo del SID, il gen. Vito Miceli, molto legato ad Aldo Moro e nemico giurato del potente democristiano on. Giulio Andreotti, tacque di quel tentativo di golpe, prima di tutto con la magistratura.
Quando nel 1975 l’inchiesta giudiziaria sul golpe Borghese arriverà alla sua stretta finale, Miceli aveva già lasciato il servizio, a causa delle incriminazioni che lo porteranno ad essere arrestato per altri fatti, ancora oggi non del tutto chiariti, come la creazione della Rosa dei Venti, un’altra struttura militare para-golpista e dello scontro durissimo col capo dell’ufficio D, un fedelissimo di Andreotti, il gen. Gianadelio Maletti.
Gli anni della gestione Miceli furono gli anni dello stragismo in Italia: da Peteano, alla strage alla Questura di Milano, dalla strage di Piazza della Loggia a Brescia, all’Italicus. Come era già accaduto a De Lorenzo, anche Miceli finirà la sua carriera in Parlamento: eletto, anche lui, nelle file del MSI-DN di Giorgio Almirante, così come anni dopo capiterà ad un altro capo dei servizi segreti, il gen. Antonio Ramponi, nelle file dell’Alleanza Nazionale di Gianfranco Fini.

La prima riforma organica dei servizi segreti risale al 1977.
Sempre più vicino all’area di governo, impegnato in una politica improntata al consociativismo, il PCI partecipa direttamente, nella persona del sen. Ugo Pecchioli, alla riforma.
Per la prima volta venne introdotta una figura responsabile dell’attività dei servizi segreti di fronte al Parlamento: è il Presidente del Consiglio che si avvale della collaborazione di un consiglio interministeriale, il CESIS, che ha anche un compito di coordinamento. Inoltre i servizi devono rispondere delle loro attività ad un Comitato parlamentare.
Una importante novità, introdotta dalla riforma dei servizi segreti, riguarda lo sdoppiamento dei servizi stessi: al SISMI (Servizio d’Informazioni per la Sicurezza Militare) il compito di occuparsi della sicurezza nei confronti dell’esterno, al SISDE (Servizio d’Informazioni per la Sicurezza Democratica) quello di vigilare all’interno. Con in più un’altra differenza: se il SISMI restava completamente affidato a personale militare, il SISDE diventava una struttura civile, affidata alla polizia, nel frattempo trasformata in corpo smilitarizzato.
Quindi, a prima vista, una riforma buona nelle intenzioni, ma gli uomini che andranno a far parte del SISMI e del SISDE saranno gli stessi del SIFAR e del SID e, per quanto riguarda il servizio civile, del disciolto – e famigerato – Ufficio Affari Riservati del ministero dell’Interno.
Dal 1978 il SISMI sarà retto dal gen. Giuseppe Santovito, già stretto collaboratore del gen. De Lorenzo.
Il SISDE, pur essendo una struttura non militare, finirà proprio per essere assegnata alla direzione di un militare, il generale dei carabinieri Giulio Grassini.

Regista di questa inutile riforma fu il ministro dell’Interno on. Francesco Cossiga, che in quel momento diede l’impressione di subire potenti pressioni da chi aveva interesse di far fallire l’operazione di “pulizia”.
Il primo scandalo in cui incapparono i servizi riformati è quello della Loggia P2. Come abbiamo già detto, i nomi di tutti i comandanti al vertice dei servizi segreti (SISMI, SISDE ed anche del CESIS, l’organo di coordinamento) sono compresi nella famosa lista della Loggia P2 del Maestro Venerabile Licio Gelli, scoperta nella villa del Gelli a Castiglion Fibocchi il 17 marzo 1981 dai magistrati milanesi che indagano su Michele Sindona.
Di certo oggi sappiamo che entrambi i servizi segreti furono coinvolti fino al collo nel caso Moro, in quei 55 giorni che trascorsero fra il sequestro del presidente della DC da parte di un commando delle Brigate rosse e l’uccisione dell’uomo politico (16 marzo-9 maggio 1978).
Nei 55 giorni del sequestro di Aldo Moro accaddero una incredibile serie di stranezze, misteri, coincidenze, buchi nelle indagini, che ebbero l’effetto di agevolare il compito dei brigatisti, al punto da far pensare che il sequestro Moro fosse stato ispirato, e in qualche modo teleguidato, da qualcuno che nulla aveva a che fare con i brigatisti “puri”.Era ministro dell’Interno sempre l’on. Cossiga, che la mattina del rapimento di Moro stava andando in Parlamento dove doveva nascere un governo con l’appoggio esterno del Partito comunista, il primo importante passo verso l’ingresso del PCI di Berlinguer nella maggioranza.
Qualche settimana prima, Aldo Moro era uscito sconvolto da un colloquio avuto negli USA con Henry Kissinger, allora segretario di Stato. “Mi ha intimato di non fare il governo con l’appoggio dei comunisti”, dirà ai suoi collaboratori Moro.
Anche in Italia, molti la pensavano come Kissinger: la massoneria, la destra DC, larghi settori del mondo industriale.
Durante il rapimento Moro venne costituito un comitato di crisi presso il ministero dell’Interno, comitato che risulterà composto tutto da aderenti alla P2. ( N.B.:Gelli operava con un proprio ufficio presso la Marina Militare. Gladio era mobilitata.).
Tra gli esperti, chiamati da Cossiga per il comitato di crisi nei giorni del sequestro, c’era Steve Pieczenick, del dipartimento di Stato americano. Cossiga lodò il consulente americano. Non disse nulla, però, della attività svolta da Pieczenick, che in un documento, di cui esiste copia presso l’ambasciata americana di Roma, così si esprimeva: “E’ essenziale dimostrare che nessun uomo è indispensabile alla vita della Nazione”. Sembra, insomma, che Piecznick fosse interessato più alla svalutazione di Moro nella politica italiana che alla sua liberazione.
Un altro consulente di Cossiga, Franco Ferracuti, criminologo, piduista e collaboratore della CIA, con la sua perizia convinse gli Italiani che il Moro che scriveva dal carcere brigatista era “fuori di sé” e che ,quindi, non andavano presi in considerazione i suoi scritti, contenenti, invece, preziose indicazioni sulla sua prigionia e sui suoi carcerieri.
Pare che, in seguito, il riferimento dello scrittore Gianni Flamini a Pieczenick e a Ferracuti, nel suo libro “Il partito del Golpe”, abbia infastidito particolarmente l’on. Cossiga. Forse gli ha ricordato le parole che Aldo Moro scrisse dal carcere delle Br sul futuro Capo dello Stato:” La posizione gli era evocata per suggestione e in certo modo, inconsapevolmente imposta…Insomma, non era persuaso ma subiva. Forse se gli avessi potuto parlare l’avrei bloccato, invece è rimasto con la sua decisione sbagliata che gli peserà a lungo”.
Comunque, come mai non si fece di tutto per individuare la prigione di Moro, ma si fece di tutto per depistare le ricerche?
Diversi elementi, emersi 12 anni dopo, faranno sospettare di un coinvolgimento assolutamente non limpido dei servizi segreti, e della P2 in particolare.

Omissioni, inefficienza, tacite connivenze, depistaggi, forse anche qualcosa di più, come per la strage della stazione di Bologna del 2 agosto 1980, in cui una bomba , collocata nella sala d’aspetto, provoca una strage tra i presenti: 85 morti, 200 feriti.

Sull’attività frenetica dei servizi e sul loro possibile coinvolgimento organizzativo nella strage i magistrati scrivono :

“L’opera di inquinamento delle indagini appare così imponente e sistematica da non consentire alcun dubbio sulle sue finalità: impedire con ogni mezzo che si arrivasse alla fine del processo. Se ciò è vero, e non sembra minimamente discuterne, diviene legittima sul piano rigorosamente logico una seconda preposizione. Soltanto l’esistenza di un legame di qualche natura tra gli autori della strage e gli autori dei depistaggi può spiegare un simile comportamento: o perché la strage fu eseguita dai primi su mandato degli altri, oppure perché la strage, benché autonomamente organizzata ed eseguita, rientrava in un comune progetto politico, la cui gestione richiedeva necessariamente che non fossero scoperti gli autori”.

Scrive il consulente della Commissione Stragi Giuseppe De Lutiìs:

“I servizi segreti, nel loro complesso, e tranne lodevoli eccezioni, hanno condotto in particolare tra il ’64 e l’81, una serie di attività a tutela dell’illegalità. Questi interventi si sono sostanziati nel sabotaggio di istruttorie volte alla scoperta dei responsabili delle stragi, mediante la procurata fuga all’estero di presunti responsabili delle stragi, la distruzione di reperti utili alle indagini sulle stesse, il reperimento di falsi testimoni o supertestimoni con lo scopo di condurre i magistrati che indagano sulle stragi verso obiettivi depistanti nei confronti di una ricerca della verità. Dall’esame di questa attività si possono trarre due considerazioni. Una, è che in nessun caso le illegalità furono perpetrate da soli subalterni. La seconda, che in tutti gli episodi venuti alla luce il direttore del servizio era, a vario titolo, coinvolto”.

Libero Mancuso, magistrato, Pm al processo di primo grado per le bombe del 2 agosto 1980 alla stazione di Bologna, esprime la sua opinione al giornalista Gianni Barbacetto, nel libro “Il grande vecchio”:

“Con le nostre inchieste abbiamo capito che quella in cui abbiamo vissuto é una democrazia limitata, con forti condizionamenti all’esterno. Si sono utilizzati mezzi di ogni tipo per impedire qualunque mutamento degli equilibri di potere nel nostro paese. Sono fatti, proseguiti negli anni. Tutti i tentativi eversivi in Italia hanno avuto alle spalle le forze armate, i nostri servizi di sicurezza, la massoneria e i finanziamenti americani. Questo é stato il filo nero di questi nostri anni, coperto da segreti di stato, menzogne, attacchi, processi insabbiati, conoscenze disperse. Chi ha lavorato sui misteri d’Italia sa bene cosa deve aspettarsi. Mi hanno definito un capocordata. E’ stato deprimente vedere attacchi provocatori e meschini partire dai vertici dello Stato, di cui le vittime sono servitori. Volevano farmi passare come un uomo di uno schieramento, che aveva fatto inchieste, non sulla base di indagini, ma per tesi e complotti.”

In questo caso sono stati condannati per depistaggio, con sentenza passato in giudicato, assieme a Licio Gelli, alcuni uomini del SISMI, come il gen. Pietro Musumeci, il col. Giuseppe Belmonte e il faccendiere Francesco Pazienza.
In seguito, costoro furono imputati anche per aver creato, all’interno del servizio segreto militare, una super-struttura occulta, (il cosiddetto SUPERSISMI), addirittura sospettata di aver operato in collegamento con elementi della criminalità organizzata.
Sull’attività frenetica dei servizi e sul possibile coinvolgimento organizzativo della strage i magistrati scrivono : “Uomini del SISMI sono rimasti implicati anche nell’inchiesta sulla strage di Ustica.”

Dal 12 dicembre 1969 al 23 dicembre 1984, sono state otto le stragi etichettate come “nere”. Il totale delle vittime fu di 149 morti, 688 feriti.La fine degli anni ’60 fu caratterizzata da uno scontro sociale che ebbe come protagonisti prima gli studenti e poi la classe operaia.
La mobilitazione degli studenti portò alla occupazione di numerose facoltà universitarie, a grandi manifestazioni di piazza e a frequenti scontri con le forze dell’ordine.
La contestazione giovanile in Italia fu caratterizzata da una forte connotazione ideologica in senso marxista e rivoluzionario e assunse una posizione sempre più ostile nei confronti del sistema capitalistico e della cultura borghese.
Il movimento studentesco, a partire dall’autunno del ’68, si intrecciò alle lotte dei lavoratori dell’industria, iniziate nei primi mesi del ’69 per i rinnovi contrattuali e culminata, alla fine dello stesso anno, nel cosiddetto “autunno caldo”, che mise in discussione l’organizzazione del lavoro in fabbrica.
CGL,CISL,UIL riuscirono a pilotare le lotte verso la conclusione di una serie di contratti nazionali che assicurarono ai lavoratori dell’industria notevoli vantaggi salariali.
Furono varate in questo periodo alcune leggi importanti che incisero profondamente nelle istituzioni e nella società.
Nella primavera del ’70 fu approvato dal Parlamento lo Statuto dei lavoratori: una serie di leggi che garantivano le libertà sindacali e i diritti dei lavoratori nelle aziende.
Nel dicembre del ’70, con l’appoggio delle sinistre e dei partiti laici, ma con l’opposizione della DC, fu approvata la legge Fortuna-Baslini, che introduceva in Italia il divorzio.

Quando il 12 dicembre 1969 a Milano, in piazza Fontana, nella sede della Banca nazionale dell’agricoltura esplose una bomba, si era in pieno “autunno caldo”. I contratti collettivi delle grandi categorie di operai, in primo luogo i metalmeccanici, erano ancora aperti.
Vedere sfilare per le strade del capoluogo lombardo, in ottobre, tra saracinesche abbassate e tapparelle chiuse, duecentomila tute blu, che richiedevano un nuovo contratto, aumenti salariali, diversa qualità della vita in fabbrica e fuori di essa, rappresentò per la borghesia imprenditoriale un fatto talmente rivoluzionario da averne paura.
La sinistra stava veramente entrando nel “santuario” del potere! Quindi era necessario agire in fretta, bloccare in qualche modo l’avanzata popolare, che minacciava i rapporti di potere in fabbrica e nella società. La violenza politica, le bombe, l’uso sapiente degli “opposti estremismi” potevano essere metodi utili per bloccare sul nascere le “velleità” dei lavoratori e delle masse popolari. La protesta sociale offriva condizioni favorevoli a chi voleva intorbidare le acque. Ecco, pronta la strage!
Tutto era pronto per etichettarla come una strage messa in atto dai “rossi”.

Per le forze di polizia, la strage di Piazza Fontana del 12 dicembre 1969, era la naturale conseguenza dell’atmosfera sociale di ribellione contro la società borghese. Gli anarchici vennero accusati di avere approfittato del disordine del ’68 per fomentare la violenza sovversiva e l’anarchico Valpreda venne indicato come colpevole.
L’anarchico Pinelli venne “suicidato” dai piani alti della Questura di Milano, dove era stato condotto dal commissario Calabresi.
Un anno dopo ci fu l’incriminazione ufficiale di Franco Freda e Giovanni Ventura, l’uomo nazista dei servizi segreti.

L’ipotesi accusatoria fu che i neofascisti avessero commesso la strage, predisponendo in precedenza tutta una serie di indizi accusatori contro Valpreda, di cui conoscevano tutte le mosse, per avere infiltrato nel circolo anarchico
“23 Marzo” Mario Michele Merlino.
Il giudice di Treviso Stiz, che fu il primo a individuare la matrice neofascista della strage, tracciò questa motivazione dell’attentato: “…E’ dagli inizi del 1969, viceversa, che il loro programma sovversivo si estrinseca o si potenzia, sia con l’apporto di persone e strutture operanti in varie parti del territorio nazionale, sia con l’attuazione di veri e propri atti di terrorismo.
L’incontro del 18 aprile 1969 tra il Rauti, il Freda e il Ventura, in Padova, costituisce appunto l’inizio di tale attività…Da tale quadro probatorio emerge il disegno eversivo della organizzazione rappresentata da Freda e da Ventura: “sinteticamente il rovesciamento dell’ordinamento statuale, preceduto da una gradualità terroristica tale da provocare il disorientamento delle masse e il diffondersi di una mentalità favorevole alla restaurazione dell’ordine e dell’avvento di strutture centralizzate e gerarchiche”.
Il coinvolgimento, in seguito, nell’inchiesta di Piazza Fontana anche di Pino Rauti e di Guido Giannettini, fa sorgere più di un sospetto.
Infatti sono proprio coloro che avevano partecipato al convegno dell’hotel Parco dei Principi, organizzato dall’istituto “Pollio” e finanziato dai nostri servizi segreti. Il nome di Pino Rauti sarà sostituito da Ventura con quello di Stefano Delle Chiaie, già all’epoca latitante. La sostanza dei fatti non cambia comunque.

Nell’agosto del 1971, il pretore Guariniello aveva aperto un’inchiesta sulle “schedature” della Fiat. Vennero sequestrate 150.655 schede personali, con note relative all’orientamento politico degli operai. In Fiat operava una struttura segreta, retta da un ex ufficiale dei servizi segreti. Nel 1991 si scoprirà il coinvolgimento di Gladio nel caso. Venne alla luce, in settembre nella stessa inchiesta, anche un elenco di 200 poliziotti pagati dalla Fiat per passare informazioni. Era un periodo politicamente delicato per le grandi tensioni che serpeggiavano nel paese. Si cominciava a parlare di una Loggia massonica “P2”, si parlava apertamente di colpi di Stato e di Servizi “deviati”.

Nella strage di Peteano del 31 maggio 1972 morirono tre Carabinieri, due rimasero gravemente feriti.
Due soltanto sono i colpevoli condannati per la strage di Peteano: Vincenzo Vinciguerra e Carlo Ciccutini.

Vinciguerra, reo confesso, dichiarava al giudice: “Automaticamente scattò a mio favore una copertura da parte di tutti i Servizi informativi…Poiché l’attentato veniva presentato come attuato da elementi di sinistra…si voleva evitare che la matrice di destra fosse resa nota.” Vinciguerra affermava, inoltre, di avere avuto “chiara consapevolezza dell’esistenza di una vera e propria struttura occulta, capace di porsi come direzione strategica di attentati”, e non solo di una serie di rapporti umani tra persone della stessa affinità politica che operano all’interno degli apparati statali. Precisa Vinciguerra: “una struttura che per raggiungere i suoi scopi politici prevedeva anche l’utilizzo di attentati, o facendoli eseguire da autori inconsapevoli, o eseguendoli direttamente o, comunque, istigando e dando di fatto copertura a coloro che li eseguivano, quando ciò fosse stato funzionale al perseguimento dei fini strategici da essa individuati.”

Una struttura, insomma, molto simile a quella individuata dal giudice “ragazzino” di Venezia, Felice Casson, quando mise le mani sugli archivi dei Servizi segreti, e che era denominata “Gladio”.

Scrive Gianni Flamini nel suo ” Il partito del Golpe”: “In sostanza mentre la destra radicale rifinisce il suo progetto eversivo basato sul determinante intervento dei militari, i presidenzialisti “puri”…lavorano a un progetto alternativo: meno rozzo e stimato più sopportabile dall’assetto istituzionale italiano, addirittura mascherato come antifascista, fondato su operazioni di “ingegneria politica” più che militare, finanziato dalla grande industria multinazionale”.

LA RAGNATELA: DALLE TRAME NERE AL GOVERNO BERLUSCONI.

(PARTE SECONDA)

2. Francesco Cossiga e i suoi legami con la ragnatela

Francesco Cossiga appartiene al gruppo dei “presidenzialisti puri”.
Già nei primi anni sessanta si legava ad un gruppo eterogeneo, composto da politici, militari, costituzionalisti, avventurieri che voleva instaurare una Repubblica presidenziale. Lo stesso tema che Cossiga, da Presidente della Repubblica, riproporrà con scalpore, seguito da Bettino Craxi, che diverrà suo alleato in questa battaglia.
Il gen. De Lorenzo, nei giorni del luglio 1964 in cui pianificava il golpe, si recava spesso al Quirinale, oppure comunicava con il Presidente Segni per mezzo di Cossiga.
“Un gruppo di potere che agisce all’ombra di uno stuolo di protettori politici” annotava nel suo diario 
il generale Manes, inviso a De Lorenzo, incaricato di fare luce sulle deviazioni dei servizi segreti.
Tra questi “protettori”, secondo Manes, c’era Francesco Cossiga, che alla commissione d’inchiesta sul “piano Solo” garantì sulla “affidabilità democratica” di quel gruppo di ufficiali infedeli; e che negli anni successivi sponsorizzerà ampiamente le loro carriere.
Nel 1966 Cossiga diventò sottosegretario alla Difesa nel governo guidato da Moro. Iniziò così a destreggiarsi fra i sottoscala del potere in cui si fa la storia dell’Italia, parallela e segreta.
Svolgeva volentieri una serie di lavoretti “di coraggio”, come quello di apporre gli omissis ai risultati della commissione d’inchiesta sul “piano Solo”, in modo da coprire le responsabilità di De Lorenzo, e partecipava alla formazione di atti amministrativi concernenti Gladio, come lui stesso ha in seguito ammesso.



Dunque Cossiga era legato anche agli uomini del “partito del Golpe”:

  • Giuseppe Santovito, che Cossiga nominerà a capo del Sismi nel 1978
  • Edgardo Sogno, capo dei “resistenti democratici”, che diventerà nel 1991 uno dei “consiglieri” più accreditati al Quirinale
  • Licio Gelli, clamorosamente riabilitato assieme a tutti i membri della loggia P2, sempre dallo stesso Cossiga;
  • il colonnello Giuseppe D’Ambrosio che diventerà consigliere militare del presidente Cossiga, che tenterà di farlo nominare capo del Sismi, nel 1991.

Il colonnello D’Ambrosio, secondo i documenti in mano alla commissione P2, era stato coinvolto in un progetto di colpo di Stato.
Tutti costoro, nel 1992, si entusiasmeranno alle “picconate” di Cossiga e lo inviteranno a mettersi alla testa di un fantomatico “fronte degli Italiani onesti”. Questi erano i compagni di Cossiga in quegli anni.

Capo dei servizi segreti in quegli anni è il generale Vito Miceli, anch’egli facente parte della strategia della tensione e grande amico di Cossiga. Quando Miceli, il 30 novembre 1990, morirà, Cossiga renderà omaggio alla sua salma ufficialmente, ignorando la manifestazione dei parenti delle vittime delle stragi che contemporaneamente si svolgeva davanti a Montecitorio.
Anni in cui, come scrive lo storico Giuseppe De Lutiis nel suo “Storia dei servizi segreti”, cambiava anche la strategia dei poteri occulti: “Fino ad allora, la ricetta che i servizi segreti avevano seguito per curare i mali d’Italia, aveva previsto un potenziamento dell’estrema destra, con il concomitante sviluppo di atti terroristici e di rivolte, come quella di Reggio Calabria, gestite dalle strutture parallele.”

Dal 1984 fino al febbraio del 1991, fu 
al vertice del SISMI l’amm. Fulvio Martini, il “rinnovatore”. Finirà travolto dalla vicenda di Gladio assieme al suo capo di stato maggiore il gen. Paolo Inzerilli.
Parallelamente, al SISDE si succederanno i prefetti 
Vincenzo Parisi (1984-1987), che diventerà subito dopo capo della polizia, e Riccardo Malpica (1987-1991), che verrà poi condannato per lo scandalo dei fondi neri del SISDE.
Dalla primavera del 1992, almeno una parte dei dirigenti degli uffici giudicava che la spinta proveniente dal ’68 studentesco e dall’autunno caldo fosse stata riassorbita. Si riteneva quindi possibile “bruciare” una parte dei terroristi neri, cercando di utilizzare le loro gesta come contraltare del vero o presunto terrorismo rosso, in modo da dare credibilità alla tesi dei cosiddetti 
opposti estremismi.

Poche settimane dopo le elezioni del 5 e 6 aprile 1992, e mentre a Milano l’inchiesta “Mani pulite” cominciava a toccare i vertici del potere, si aprì una nuova stagione delle stragi.

  • Il 23 maggio furono squarciati il giudice Giovanni Falcone, la moglie e tre agenti di scorta con mille chili di esplosivo sull’autostrada presso Palermo, all’altezza di Capaci. La strage fu definita subito politico-mafiosa.
  • Il 24 luglio è la volta di Paolo Borsellino, ucciso insieme a cinque agenti della scorta dall’esplosione di un’auto-bomba.
  • Il 14 maggio1993 un’auto-bomba esplose ai Parioli a Roma, senza causare morti.
  • Il 27 maggio un’autobomba scoppiò a Firenze, in via dei Georgofili, davanti alla galleria degli Uffizi. Cinque morti.
  • Nella notte tra il 27 e il 28 luglio ci furono gli attentati a Milano (cinque morti) e a Roma, a San Giovanni e a San Giorgio al Velabro.

Mentre l’Italia, con Tangentopoli, era attraversata dallo scontro tra le forze del cosiddetto “rinnovamento”, con un decisivo punto di riferimento nelle inchieste dei magistrati, e il potere politico affaristico e criminale del vecchio regime, riprese in pieno la strategia della tensione, con modalità per molti aspetti simili a quelle degli anni Settanta.
Il nucleo duro dello “Stato parallelo”, baluardo di un potere durato per cinquant’anni, giocava la sua battaglia decisiva per il controllo dell’Italia.

3. “Gladio”
Le inchieste della magistratura di Venezia e di Padova e quella della commissione Stragi hanno consentito di far capire che l’organizzazione Gladio, ideata per contrastare un’ipotetica invasione sovietica, si era progressivamente trasformata in una struttura di servizio e di copertura per altre strutture parallele che agivano per combattere le sinistre.
Già nel documento “le forze speciali del SIFAR e l’operazione Gladio”,
del 1 giugno 1959, era contemplata la possibilità di sovvertimenti interni nella pianificazione delle attività della Stay Behind.
Il generale Fodda rivelò al giudice Mastelloni: “La struttura avrebbe dovuto funzionare anche rispetto ai moti di piazza rilevanti, e la struttura aveva inoltre una funzione anti-PCI”.
Un ex generale del SIFAR aveva rivelato all'”Unità” :” I gruppi di civili organizzati dal colonnello Rocca agli inizi degli anni sessanta coincidevano con i “gladiatori”, anche perché erano addestrati nella base di Capomarrangiu”.
I gruppi di Rocca addestrati in Sardegna furono impiegati il 9 ottobre 1963 per provocare incidenti nel corso di una manifestazione che si stava svolgendo in piazza Santi Apostoli a Roma. Una parte si era infiltrata tra gli operai; altri erano in tuta mimetica, in mezzo alle forze di polizia.

La teorizzazione della strategia della tensione avvenne nel corso del convegno organizzato all’hotel Parco dei Principi di Roma, il 3 maggio del 1965, dall’istituto di ricerche militari “Alberto Pollio”.
Il tema era “La guerra rivoluzionaria”.
L’istituto “Pollio” era stato fondato alcuni mesi prima da Enrico de Boccard, ex repubblichino di Salò. I soldi per l’organizzazione erano stati forniti dal SIFAR.
A capo del SIFAR, allora, era il generale Viggiani, che attivò il generale Rocca per il reperimento dei fondi per il convegno.
Presenti al convegno dell’hotel Parco dei Principi, oltre a Ivan Matteo Lombardo, ex ministro socialdemocratico nel governo nato dalle elezioni del 1948, a Gino Accame, redattore del settimanale neofascista “Il borghese” e responsabile del movimento pacciardiano ( i fautori della Repubblica presidenziale), agli ex repubblichini di Salò Enrico de Boccard e Pino Rauti , erano coloro, che saranno tra i principali imputati del processo per la strage di Piazza Fontana, Guido Gianettini, Stefano Delle Chiaie e Mario Michele Merlino.

Da un anno era nato il primo centrosinistra e “bisognava far presto” perché questo avvenimento veniva considerato da molti come l’avvicinamento del comunismo al potere.
Alla fine del convegno venne letto “un piano di difesa e contrattacco”, che delineava un progetto molto simile al piano Solo, strutturato, un anno prima del convegno, dal colonnello Mingarelli, colui che effettuerà i depistaggi nelle indagini sulla strage di Peteano.
Con questo piano, a detta di Pino Rauti, si era in grado di realizzare “l’elaborazione completa della tattica controrivoluzionaria e della difesa”.

Questo piano prevedeva uno schieramento a quattro livelli di reclutamento di uomini con mansioni specifiche:



  • il primo livello costituito da un gruppo per lo più passivo che fungeva da bacino di reclutamento;
  • un secondo livello di persone che dovevano compiere “azione di pressione” nell’ambito della legalità, anzi in difesa dello Stato e della legge conculcati dagli avversari;
  • un terzo livello, molto più qualificato e specializzato, composto da nuclei scelti di pochissime unità, addestrati a compiti di contro terrore e di “rotture” eventuali dei punti di precario equilibrio, in modo da determinare una diversa costellazione di forze al potere;
  • al vertice del quarto livello si colloca il gruppo di uomini con funzioni di coordinamento delle attività volte a sferrare “una guerra totale contro l’apparato sovversivo comunista e dei suoi alleati, che rappresenta l’incubo che sovrasta il mondo moderno e ne impedisce il naturale sviluppo”.
    Queste persone dovevano essere pronte ad affiancare come difesa civile le forze dell’ordine, nel caso fossero state costrette ad intervenire per stroncare una rivolta di piazza.

 
La struttura di quel piano assomigliava molto a quella di “Gladio”, scoperta da Casson.
Nel 1966 venne ideata la “esercitazione Delfino” che, più che di un’invasione da est, si occupava della repressione interna.
Quel settore di Gladio, che nell’esercitazione ipotizzava lo scenario della “sovversione”, descriveva questa come una emanazione delle forze sindacali, dei partiti e dei giornali di sinistra allora esistenti in Italia, con l’inizio di agitazioni e azioni sindacali in difesa del posto di lavoro. Persino le affissioni di manifesti denuncianti l’operato del governo venivano considerate “insorgenza”.
E’ nella seconda metà degli anni settanta e negli anni ottanta che la Gladio italiana diventò sempre più illegale.

Nel 1976-1977 alle strutture periferiche venne inviato uno schema per la redazione di rapporti informativi. Quindi, proprio mentre veniva varata la riforma dei servizi segreti, Gladio cominciava a svolgere attività informativa, lontanissima anche dagli scopi per cui era stata costituita.

Dal 1977 la competenza della sicurezza interna e il compito di svolgere attività informativa furono demandati al SISDE.
E’ interessante sapere che negli archivi di Forte Braschi, tra i documenti di Gladio, sono state sequestrate “schedature” sugli uomini politici di Sassari e relazioni sulla situazione del “Corriere della Sera” relative al periodo dell’assalto piduista.

LA RAGNATELA: DALLE TRAME NERE AL GOVERNO BERLUSCONI.

(PARTE TERZA)




La Loggia P2 e Licio GelliÈ molto probabile che la Loggia P2, che si è delineata come un vero e proprio servizio segreto atlantico, fosse stata trasformata anche in una sede di raccordo e di incontro tra tutte le strutture parallele che gestivano il potere reale in Italia.

Nelle liste della P2, rinvenute il 17 marzo 1981 nella villa di Gelli di Castiglion Fibocchi, risultavano iscritti numerosi nomi di dirigenti dei servizi segreti:Miceli, Maletti, La Bruna, D’Amato, Fanelli, Viezzer.
Vi risultavano anche Giuseppe Santovito, Grassini e Walter Pelosi, capo del CESIS dal maggio 1978.
C’erano i nomi di numerosi altri dirigenti, tra cui Musumeci, capo della segreteria di Santovito, Sergio Di Donato e Salacone, dell’ufficio amministrativo…

Nelle liste della P2 c’era anche una nutrita schiera di funzionari del SISDE.
Per molti iscritti la data di iniziazione era immediatamente precedente o successiva al passaggio nei servizi segreti.
Nel 1962-64 il generale De Lorenzo e il SIFAR predisposero principalmente un’attività di schedatura dei cittadini e di preparazione di un possibile colpo di Stato.
Negli anni settanta i dirigenti del SID (mutamento del nome del servizio segreto da SIFAR a SID, dopo lo scandalo del “piano Solo”) esplicarono soprattutto azioni per proteggere eversori di destra e sospetti autori di stragi.
Gli ufficiali del SISMI, che ne costituirono le strutture occulte, nel 1978-81 spaziarono dalla trattativa trilaterale con Br e camorra per la liberazione di Cirillo, al depistaggio dei giudici impegnati nelle indagini sulla strage del 2 agosto alla stazione di Bologna, dalla operazione “Billygate” al peculato, dalle macchinazioni nei confronti dei collaboratori del capo dello Stato alla diffusione di notizie calunniose attraverso la stampa, da loro stessi finanziata.
A somiglianza della P2, della quale per altro la struttura era una articolazione, il SUPERSISMI svolgeva un amplissimo ventaglio di attività, tutte direttamente o indirettamente finalizzate a intervenire nella sfera politica, il che era, con tutta evidenza, incompatibile con le finalità d’istituto.
Quando Gelli nel marzo del 1965 s’iscrisse alla massoneria nella loggia del Grande Oriente “Romagnosi” di Roma, aveva già delle buone credenziali come fascista della repubblica di Salò.
Contava sull’amicizia con Giulio Andreotti e referenze con gli ambienti del Vaticano, una lista di cinquanta nuovi iscritti molto qualificati.
Aveva legami con molti ufficiali dei servizi segreti, in particolare col generale Giovanni De Lorenzo e con il colonnello dell’Arma dei Carabinieri Giovanni Allavena, reduci dalle trame del “piano Solo”, (che sarebbe scattato se il governo di centrosinistra avesse adottato un programma autenticamente progressista), e dallo scandalo delle schedature del SIFAR, il nostro servizio segreto che in pochi anni aveva raccolto 157 mila dossier, per usarli come arma di ricatto su politici, militari, giornalisti, preti, privati cittadini, uomini di cultura.
Questi dossier passarono molto probabilmente nelle mani di Gelli, che ne fece uno degli strumenti del suo stesso potere.
Allo stesso De Lorenzo, capo del Sifar, venne dato il compito di organizzare l’esercito clandestino di Gladio.
Nel 1962, quando Antonio Segni salì al Quirinale, De Lorenzo era impegnato con gli uomini della CIA di Roma a creare “squadre d’azione per compiere attentati contro le sedi della Democrazia cristiana e di alcuni quotidiani del Nord, da attribuirsi alle sinistre; sono necessari altresì gruppi di pressione che chiedano, a fronte degli attentati, misure di emergenza al governo e al capo dello Stato.”

(Il brano è tratto da un memorandum dei servizi segreti americani ratificato da De Lorenzo).

La carriera di Gelli in Massoneria fu velocissima.


Nel dicembre del 1966, poco più di un anno dopo la sua iscrizione alla massoneria, venne nominato capo della loggia HOD, nota come P2, la più importante e misteriosa di tutto il Grande Oriente.

La Commissione parlamentare d’inchiesta ha sottolineato che il ruolo di Gelli crebbe di pari passo col defilarsi di Frank Gigliotti ormai anziano.
Gigliotti, uomo della CIA, era un feroce anticomunista, amico di molti mafiosi siciliani, ex agente della OSS, la rete di spionaggio degli Stati Uniti in Italia durante la guerra.
Dalle logge massoniche americane gli era stato affidato il compito di rimettere insieme quello che rimaneva della massoneria conservatrice di piazza del Gesù, con il Grande Oriente di palazzo Giustiniani.
Gigliotti rimise in circolo logge come la “Alam” del principe Giovanni Alliata di Montereale, protagonista di almeno un paio di mancati golpe e amico di boss mafiosi e finanzieri alla Michele Sindona.Gelli stesso rivendicherà sempre con orgoglio i legami con la destra americana più reazionaria.

I legami tra la CIA e la P2 sono stati confermati in un’intervista al TG1 nel 1990, dalle rivelazioni di Richard Brenneke e Razin, ex agenti della CIA, sui finanziamenti dei servizi segreti americani alla P2.
Presero, quindi, l’avvio le inchieste che portarono a scoprire il ruolo della CCI, la “Kriminal Bank”, usata dalla CIA e dai trafficanti internazionali di valuta e di armi.
I due agenti parlarono anche di qualcosa molto simile a Gladio.
Razin era stato addirittura supervisore della Gladio europea.
Questa intervista scatenerà una delle prime esternazioni del presidente Cossiga e porterà alla rimozione del direttore del telegiornale, Nuccio Fava, e alla esautorazione del giornalista Ennio Remondino, autore dell’inchiesta.
Per Cossiga, allora capo dello Stato , era inammissibile che i servizi di sicurezza di un paese amico venissero attaccati in quel modo.
Bisognava prendere provvedimenti contro dirigenti e funzionari Rai.
Con altrettanta foga reagì qualche mese dopo, dando del “giudice ragazzino” a Casson che voleva interrogarlo su Gladio.




Nella sua testimonianza resa ai giudici di Bologna, che indagavano sul coinvolgimento del capo della P2 nella strage alla stazione di Bologna del 2 agosto 1980, Tommaso Masci, primo portiere nella seconda metà degli anni 70 dell’albergo romano Excelsior, di cui Gelli era in quel periodo cliente fisso, tracciava una descrizione efficace del formicolio dei potenti intorno a Licio Gelli.
Tra i visitatori di Gelli c’erano politici, militari, giornalisti, alti funzionari dello Stato, banchieri. Tra coloro che lo frequentavano, c’erano Andreotti, Cossiga, Craxi, Fanfani, solo per fare i nomi più noti.
Tra i visitatori c’era anche il bombarolo Paolo Aleandri, il terrorista di destra a cui Gelli aveva affidato il compito di mantenere i contatti con Filippo de Jorio, consigliere politico dell’onorevole Andreotti, che era latitante per il golpe Borghese del 1970.
Lo stesso Aleandri incontrò nella stanza di Gelli il generale Vito Miceli, capo del SID, cioè l’uomo che avrebbe dovuto arrestarlo.
Verso la fine del 1979 Alfredo De Felice, della cerchia dei neofascisti, assistette ad un incontro tra Gelli e il ministro del Commercio Estero Gaetano Stammati, che doveva sottoporre a Gelli le bozze di un decreto economico del Governo.
Il deputato democristiano si iscrisse alla loggia P2 nel 1977 e, poco dopo, diventò ministro del Commercio estero del governo Andreotti.
Dopo le elezioni del giugno 1979, l’incarico di formare il nuovo governo fu dato a Cossiga, che affidò il ministero del Commercio Estero a Stammati, quando, precedentemente, lo aveva promesso al liberale Altissimo.
Alle inferocite rimostranze dei liberali, Cossiga rispose: “Non ne ho potuto fare a meno; ho ricevuto tante pressioni…”.
Nello stesso tempo Gelli, nella sua stanza all’Excelsior, si vantava con gli amici di avere imposto Stammati.

L’attività della P2 negli anni ’70 era frenetica.
C’era la pratica costante della raccomandazione e c’erano gli affari, e gli affari intrecciati col potere che lo alimentavano.
Degli affari citiamo i più noti: l’ Eni-Petronim, il banco Ambrosiano, il crak della Banca Privata di Sindona, la scalata al “Corriere della Sera”, tutti collegati a scandali e cadaveri come quello di Calvi, penzolante sotto un ponte di Londra o quello di Ambrosoli, liquidatore della banca Privata di Michele Sindona.

A volte gli uomini della P2 si servirono delle organizzazioni criminali: mafia, camorra, ‘ndrangheta.
Collegamenti accertati dalle inchieste giudiziarie sul finto rapimento di Sindona, sul caso Cirillo, sulla strage del rapido 904, sull’omicidio di Roberto Calvi.
I nomi degli iscritti alla P2 ritornano con ossessiva puntualità in tutte le indagini sui misteri d’Italia: la strage sul treno Italicus, il caso Moro, la strage della stazione di Bologna del 2 agosto 1980, il delitto Mattarella, il traffico di armi e droga, solo per citarne alcuni.

Il treno “Italicus”, linea ferroviaria Firenze-Bologna, il 4 agosto 1974 verso sera tardi, venne squassato dalla forte esplosione di una bomba ad altissimo potenziale:12 persone morte e 105 feriti.
Apparve certo, fin da subito, che la strage era opera del neonazismo. Le indagini si diressero sul gruppo di neofascisti di Arezzo e precisamente su Franci, Malentacci e Tuti, che avevano legami anche con la P2. I tre sono rinviati a giudizio e poi assolti. Il giudice istruttore di Bologna Angelo Vella, affiliato alla massoneria locale, non coinvolge nessun piduista.

Il neofascismo terrorista era coinvolto nella grande operazione presidenzialista, che rappresentava e rappresenterà lo scopo principale a cui tende, trasversalmente a tutti i partiti, la politica italiana.

Luciano Violante, partendo dal golpe presidenzialista, era arrivato ai gruppi terroristici di estrema destra. “Sussistono prove – scrive – di una corrispondenza tra Edgardo Sogno e l’avvocato Antonio Fante di Padova…Che dagli elementi in atti appare che tale corrispondenza abbia ad oggetto la costituzione di una organizzazione intesa a raggruppare tutti i gruppi di estrema destra, tra i quali anche Ordine Nuovo, in epoca successiva al decreto di scioglimento di questo gruppo.”
Spiega, inoltre, nella sua requisitoria contro Sogno e Cavallo, Violante: “..Va considerato che l’allertamento disposto venne a conoscenza di quei settori militari che molteplici fonti di prova indicano come interessati all’iniziativa eversiva, disincentivando per il momento la realizzazione del piano…”

I giudici milanesi Turone e Colombo arrivarono alla scoperta degli archivi di Gelli indagando sul finto rapimento e il soggiorno in Sicilia del bancarottiere Michele Sindona.
I giudici milanesi, come quelli di Palmi, che indagavano sulle nuove logge coperte, scoprirono che attraverso la P2 passavano molti dei misteri e degli scandali italiani di quegli anni, e furono costretti a suddividere in capitoli il materiale raccolto:
· la P2 e lo scandalo Eni;
· la P2 e il Banco Ambrosiano;
· la P2 e lo scandalo dei petroli;
· la P2 e la magistratura;
· la P2 e la Rizzoli;
· la P2 e i segreti di Stato;
· la P2 e i finanziamenti all’eversione nera;
· la P2 e le stragi;
· la P2 e il sequestro Moro;
· la P2 e il caso Pecorelli.

Un altro gigantesco capitolo fu aperto dall’inchiesta del giudice Carlo Palermo sul traffico di armi, che coinvolgeva molti piduisti e da cui trasparivano forti legami con la criminalità organizzata e col traffico di droga………….
Un intreccio solido quello che traspare dalle inchieste giudiziarie su mafia e massoneria.

Prima che i giudici di Palmi riaprissero il capitolo oscuro dei rapporti tra massoneria, traffici di armi, affari sporchi e criminalità, altre logge coperte erano finite in inchieste della magistratura.
A Palermo il giudice Falcone, prima di essere costretto a trasferirsi a Roma, si era a lungo occupato di massoneria. Aveva scoperto la loggia di via Roma 391, dove politici locali e funzionari pubblici venivano iniziati, insieme a mafiosi del calibro di Michele Greco e Giovanni Cascio, del quale molti anni dopo verrà intercettata una telefonata in cui si parlava in termini amichevoli di Gelli.
Gran maestro della loggia di via Roma era Pietro Calacione, direttore sanitario dell’ospedale Civico di Palermo e il Civico, forse non per una semplice coincidenza, era uno dei feudi elettorali dell’onorevole Salvo Lima.
Falcone si era occupato di un’altra inchiesta sull’intreccio tra mafia e massoneria e le indagini dei carabinieri si erano svolte in tre direttrici: logge massoniche, rilevamento di società sull’orlo del fallimento, contatti con i politici.
Le indagini erano arrivate fino a Roma e a Milano.
Pino Mandalari, capo di alcune logge, poi condannato a due anni di carcere per riciclaggio di denaro sporco, in una telefonata intercettata, si vantava di potere arrivare fino alla segreteria di Bettino Craxi; in altre telefonate si parlava del generale Cappuzzo, siciliano già iscritto alla P2, di Salvo Lima, di alcuni sottosegretari di governo.

Inesplorata resta la questione delle coperture assicurate a Gelli dai politici, a cominciare da Andreotti, suo grande amico, poi da Cossiga, da Fanfani, da Craxi, da Forlani e da molti altri.
Fu scoperto che dietro la sigla del circolo Scontrino di Trapani si celavano ben sei logge massoniche e una superloggia coperta( loggia C), con iscritti deputati regionali, alti funzionari e mafiosi.
La loggia C saltò fuori anche nelle indagini del giudice Augusto Lama di Massa Carrara, sui traffici di armi di Aldo Anghessa, un collaboratore dei servizi segreti italiani. Questa storia intricata vede coinvolti anche dei neofascisti che, secondo una sentenza della magistratura, avrebbero ricevuto tra l’altro finanziamenti da Licio Gelli.
E’ un intreccio solido quello che traspare dalle inchieste giudiziarie su mafia e massoneria delle logge coperte.

Uno studio attento della struttura massonica più conosciuta, la P2, fa rilevare che la regione più rappresentativa tra gli iscritti alla loggia di Gelli è proprio la Sicilia, che non è, storicamente, una terra di grandi tradizioni massoniche.
La P2,quindi, risultò coinvolta in molte inchieste giudiziarie sulle stragi e su alcuni omicidi politici
Non è un caso che a Castiglion Fibocchi, alla villa di Gelli, perquisita dai carabinieri per ordine dei magistrati milanesi Gherardo Colombo e Giuliano Turone, il 17 marzo 1981, i giudici milanesi siano arrivati, indagando sul misterioso soggiorno in Sicilia di Michele Sindona, il bancarottiere di Patti, iscritto alla P2 e legato a filo doppio ad Andreotti.
Nel corso del suo finto sequestro, Sindona si era avvalso dell’appoggio, tanto della massoneria quanto della mafia.
Proprio durante il suo soggiorno in Sicilia, nell’estate del 1980, si aprì, con gli omicidi del commissario Boris Giuliano e del giudice Cesare Terranova, la stagione dei cosiddetti delitti “eccellenti”.
E’ solo un caso che nella stessa estate ci sia la strage alla stazione di Bologna?

Il 20 maggio 1981, il governo messo alle strette dallo scandalo, comunicò al Parlamento la lista dei presunti aderenti alla loggia segreta P2 di Licio Gelli, alla quale risultavano affiliati, tre ministri, un segretario di partito, i vertici dei servizi segreti, militari, imprenditori, parlamentari, banchieri, giornalisti. .

Ogni nome era preceduto da un numero di fascicolo e da un numero di gruppo; seguiva un “codice”, al quale talvolta seguiva il numero della tessera e un appunto relativo alle quote sociali.
Nella lista c’erano: 52 alti ufficiali dei Carabinieri, 50 dell’esercito,
37 della Guardia della Finanza, 29 della Marina, 11 Questori, 5 Prefetti, 70 imprenditori, (uno era un famoso costruttore di Milano, figlio di un dipendente della Banca Rasini, pluriinquisito e pluriindagato), 10 presidenti di banca, 3 ministri in carica, 2 ex ministri, il segretario di un partito di governo, 38 deputati,14 magistrati, sindaci, primari ospedalieri, notai e avvocati.
Gli elenchi della loggia segreta P2 del Venerabile Maestro Gelli, come si può notare, erano impressionanti: politici, imprenditori, giornalisti, alti gradi delle forze armate, tutori dell’ordine pubblico, funzionari dello stato, dirigenti dei servizi segreti, magistrati. E ancora,119 piduisti già insediati ai vertici delle maggiori banche, nel ministero del tesoro, e in quello delle finanze.
Gente che spesso aveva giurato fedeltà e obbedienza tanto alla Costituzione Italiana quanto alla massoneria.
Secondo la commissione parlamentare d’inchiesta, l’elenco completo degli iscritti alla P2 era all’incirca di 2500 nomi; ne mancano 1650. Solo la magistratura ha avuto il coraggio di punire gli appartenenti alla P2.
L’assoluzione più sconcertante è stata quella dei militari, voluta dal ministro della Difesa Lagorio, socialista e iscritto alla massoneria.

Tra i 962 iscritti c’è anche il “nostro” presidente del consiglio del 2001, l’on. Cav. Silvio Berlusconi.
Silvio Berlusconi risulta iscritto alla loggia P2, con la tessera numero 1816, codice e.19.78, gruppo 17, fascicolo 0625, il 26 Gennaio del 1978.
Lo stesso giorno in cui si era iscritto Maurizio Costanzo, numero di tessera 1819.
Dagli atti della Commissione parlamentare, ed in particolare dagli elenchi degli affiliati, sequestrati in Castiglion Fibocchi, figura il nominativo del Berlusconi (numero di riferimento 625) e l’annotazione del versamento di lire 100.000, eseguito in contanti in data 5 maggio 1978, versamento la cui esistenza risultava comprovata anche da un dattiloscritto proveniente dalla macchina da scrivere di proprietà di Gelli.

Alla Magistratura di Venezia Berlusconi, sotto giuramento, nega di aver versato personalmente soldi per la sua iscrizione, contro tutte le prove portate a suo carico, e per questo viene condannato come “spergiurio”, in via definitiva, dal Tribunale veneziano.
Berlusconi sarà comunque amnistiato, e così potrà diventare Presidente del Consiglio nel 1994 e nel 2001.

LA RAGNATELA: DALLE TRAME NERE AL GOVERNO BERLUSCONI.
(PARTE QUARTA)

5. Nascita dell’impero economico del Cavalier Silvio Berlusconi

L’attività imprenditoriale di Silvio Berlusconi ha inizio intorno ai primi anni ‘60, grazie ad una fideiussione della Banca Rasini di Milano, implicata nel riciclaggio di denaro sporco proveniente dai traffici illeciti di Cosa nostra siciliana: questo, secondo un rapporto della Criminalpol di quegli anni, successivamente confermato dalla testimonianza del faccendiere mafioso Michele Sindona!! Vittorio Mangano, assunto in seguito da Berlusconi in qualità di custode e stalliere della sua villa di Arcore, avrebbe fatto da tramite tra l’Istituto di credito e il capo della cupola di allora, Stefano Bontade.

L’impero berlusconiano, comunque, ha preso avvio a Roma, in Salita San Nicola da Tolentino l/B, il 16 settembre 1974, con la costituzione della società immobiliare “San Martino s.p.a”, con amministratore unico Marcello Dell’Utri.

La romana Immobiliare San Martino, trasformatasi in seguito nella milanese “Milano 2 s.p.a.”, ebbe un ruolo essenziale nella costruzione della omonima “città satellite”.

Le compravendite di terreni e immobili si articolano in atti notarili tra soggetti diversi, ma gli interessi sottostanti hanno una medesima matrice e regia: infatti, la società “Milano 2 s.p.a” è controllata dalla “Fininvest”, e la Fininvest è una società costituita dalle società fiduciarie “Servizio Italia” e “Saf”(Società azionaria fiduciaria).

“Servizio Italia” e “Saf” sono società fiduciarie, e dunque agiscono su mandato di terzi coperti dall’anonimato (la formula utilizzata nelle operazioni è ” Per conto di società enti o persone da dichiarare”).
La neocostituita società Immobiliare San Martino rimase inattiva fino alla metà del 1977, quando elevò il proprio capitale sociale, dall’originario un milione, a mezzo miliardo, e trasferì la propria sede a Milano. Poco dopo, nel settembre 1977, mutò la propria denominazione in “Milano 2 spa”.

Il singolare schema operativo – costituzione, sensibile aumento di capitale, trasferimento della sede a Milano, e mutamento della ragione sociale – si ripeterà come una costante per tutte le società del gruppo Fininvest, promosse dal parabancario Bnl. Nel costituire la Immobiliare San Martino, dunque, le due fiduciarie si muovevano in nome e per conto di altri, così come Dell’Utri (attraverso Rapisarda in contatto col boss Ciancimino) si muoveva in nome e per conto di altri.

La sua stessa uscita di scena (Dell’Utri il 13 settembre 1977 si dimette dall’incarico di amministratore unico) risultava analogamente ambigua, quasi che “il siciliano” avesse condotto in porto un’operazione e quindi avesse così concluso il proprio compito.

Quando nel settembre 1977 Marcello Dell’Utri cessò dalla carica di amministratore unico, gli subentrò Giovanni Dal Santo, commercialista, nato a Caltanissetta, ma attivo a Milano, dove curava interessi vicini alla Banca Nazionale del Lavoro, (Bnl)Holding.
Secondo l’avvocato Giovanni Maria De Mola, in un memoriale del costruttore Filippo Alberto Rapisarda (consegnato al giudice Della Lucia, del Tribunale di Milano), lo stesso Rapisarda sostiene di avere associato Dell’Utri nelle proprie attività edilizie, in seguito alla pressante “raccomandazione” in tal senso rivoltagli dal boss mafioso Stefano Bontade.
L’atto costitutivo della società immobiliare San Martino venne sottoscritto dal banchiere piduista Gianfranco Graziadei, per conto della fiduciaria Servizio Italia spa, e da Federico Pollak (87 anni, dirigente della Bnl fin dalla fondazione) per la Saf, Società azionaria fiduciariaspa. Entrambe le fiduciarie sono società della Bnl Holding (il parabancario del grande Istituto di Credito), il cui centro di potere direzionale era assolutamente condizionato da Licio Gelli e dalla sua Loggia P2.

Era presente alla costituzione della Immobiliare San Martino anche Marcello Dell’Utri, il quale venne nominato, come abbiamo visto in precedenza, amministratore unico della neocostituita società. Costui diventerà uno dei più stretti collaboratori di Berlusconi e amministratore delegato di Pubblitalia 80, la potente concessionaria di pubblicità delle reti televisive Fininvest. Questo Marcello Dell’Utri è un personaggio in odore di mafia, come rivela un rapporto della Criminalpol, datato 13 aprile 1981: “L’aver accertato attraverso la citata intercettazione telefonica il contatto tra Mangano Vittorio, di cui è bene ricordare sempre la sua particolare pericolosità criminale, e Dell’Utri Marcello ne consegue necessariamente che anche la Inim spa e la Raca spa, (società per le quali il Dell‘Utri svolge la propria attività), operanti in Milano, sono società commerciali gestite anch’esse dalla mafia e di cui la mafia si serve per riciclare il denaro sporco, provento di illeciti.” Il palermitano Marcello Dell’Utri, transitato per primo, nel 1974, in Salita San Nicola da Tolentino l/B, all’epoca gravitava nel giro degli amici di Vito Ciancimino, e il suo trasferimento dalla Sicilia a Milano non era certo il viaggio dell’emigrante in cerca di fortuna. Quando venne nominato, a Roma, amministratore unico della Immobiliare San Martino, Dell’Utri era già residente a Milano, in via Arcimboldi 2. Dunque, la sua altrimenti inspiegabile presenza a Roma per la costituzione della società, testimonia come egli si trovasse in Salita San Nicola da Tolentino I B in rappresentanza di precisi interessi.
La costruzione del gruppo Fininvest richiese vari anni. La Fininvest sri era nata il 21 marzo 1975 al solito indirizzo di Salita San Nicola da Tolentino 1/B, per opera dei soliti, avvocato Gianfranco Graziadei e commendatore Federico Pollak.
 Secondo il solito schema, due mesi dopo la costituzione aumentò il capitale sociale dagli originari 200 milioni a 2 miliardi, dopodiché, nel novembre 1975 si trasformò da “srl” in “spa”, e quindi trasferì la propria sede a Milano. Fu solo allora che Berlusconi apparve per la prima volta nel campo d’azione della piduista Bnl Holding, assumendo la presidenza del consiglio di amministrazione della Fininvest.
E’ significativo che, quando assunse la presidenza della Fininvest, Berlusconi fosse affiancato da “controllori” della Bnl Holding, Umberto Previti, Cesare Previti, Giovanni Angela, componenti del collegio sindacale; solo l’anno dopo essi cedettero il posto a noti professionisti milanesi.
 La Fininvest assunse il controllo di “Milano 2 spa” (100 per cento) e di Italcantieri, nonché di altre società che vedremo in seguito. L’Italcantieri era la società “svizzera” che aveva in appalto la costruzione della “città satellite” a Segrate, cioè “Milano 2”. Nacque così il “gruppo Fininvest” nella sua prima struttura. Fino a questo momento, capitale sociale e aumenti di capitale erano sempre stati sottoscritti da Servizio Italia e Saf. Anche in seguito, ogni ulteriore aumento di capitale della Fininvest sarà riservato esclusivamente ai vecchi soci, come era esplicitamente precisato nelle delibere assembleari. Del resto, negli anni cruciali, durante i quali il gruppo si è formato, il “signor uno per cento”, Silvio Berlusconi, non possedeva certo di suo gli ingenti capitali che vi vennero investiti.
Invero, le società di ‘matrice romana’, che gravitavano nell’orbita del parabancario Bnl e che confluirono nel gruppo Fininvest, furono molte altre, rispetto a quelle citate; con il loro trasferimento a Milano, tutto l’ambito delle attività si spostò definitivamente al nord.
Fu proprio nell’agosto di quello stesso 1975 che Licio Gelli, il Venerabile maestro della Loggia P2, aveva elaborato il suo “Schema R” e in quello stesso autunno 1975 la Loggia segreta stava mettendo a punto il suo “Piano dì rinascita”.
 La definitiva consacrazione di Berlusconi avvenne solo nel luglio 1979, quando fu nominato presidente del consiglio di amministrazione della nuova grande Fininvest, (fusione della Fininvest milanese con quella romana), forte di 52miliardi di capitale sociale.

L’interesse della Fininvest per il settore editoriale e tipografico si manifestò assai presto. Già nel 1977 la Fininvest acquisì una partecipazione del 50 per cento nell’impresa tipografica Sies di Umberto Seregni ed entrò nella proprietà del “Giornale nuovo”, col 12 per cento. Due anni dopo aumenterà la sua partecipazione al 37 per cento.

Un’attenzione ancora più precoce venne riservata alla televisione.

Telemilano, dopo una lunga gestazione, nel 1978 si trasformò repentinamente da via cavo a via etere e, l’anno successivo, cominciò l’attività di emittente commerciale.
Alla fine del 1979 la Fininvest srl annoverava due partecipate e ventidue società controllate, alcune delle quali a loro volta detenevano partecipazioni, o il pacchetto di controllo di altre.

Il gruppo si articolava in nove settori:

  • progettazione e servizi,
  • costruzioni,
  • immobiliare,
  • trasporti,
  • editoriale e di comunicazioni (Tv),
  • finanziario,
  • spettacolo,
  • sport e tempo libero,
  • ristorazione.

Era un assetto provvisorio, soggetto a mutamenti e trasformazioni, che si sono susseguite con grande rapidità.

Vero è che la struttura del gruppo Fininvest andò evolvendosi fin dall’inizio verso un duplice obiettivo:

  • mantenere “coperta” la reale articolazione proprietaria, garantendo l’anonimato dei possessori del nascente impero,
  • eludere l’imposizione fiscale.

Esemplare, in questo senso, fu la costituzione delle 22 Holding, Italiana Prima, Seconda, Terza, eccetera: “Un meccanismo”, come ammetterà Giancarlo Foscale, amministratore delegato della capogruppo Fininvest, “che ci consente un risparmio sulle imposte valutabile intorno al 30-40 per cento”.

Infatti le 22 Holding sono “scatole vuote”, con la sola funzione di incassare i dividendi quali azioniste della Fininvest.

In sostanza, i padroni dell’impero, Berlusconi e i suoi occulti soci, detengono le obbligazioni delle holding e, attraverso queste, incassano gli utili di tutto il gruppo con due vantaggi: rimangono anonimi e pagano, invece della imposta progressiva sul reddito, il solo 10 per cento delle somme riscosse.

Lo spericolato marchingegno offre anche altri vantaggi fiscali: alternando nel tempo guadagni e perdite, consente di sfruttare il cosiddetto “credito d’imposta” della legge Pandolfi.

L’intricata struttura dell’impero berlusconiano si delinea come una ragnatela di società, fiduciarie, scatole vuote, prestanome, holding, con “incestuosi incroci azionari”.

Se risultava evidente l’intento di eludere la tassazione, sottraendo al fisco somme ingenti, l’arzigogolato assetto dell’impero Fininvest venne concepito e strutturato con l’iniziale e costante ricorso ai prestanome, proprio allo scopo di coprire con l’anonimato l’identità dei suoi reali possessori. Quanto alle fiduciarie, si tratta per l’appunto del più classico dei paraventi legali: “Un sottile schermo per coprire gli effettivi proprietari”, confermava l’ex presidente della Bnl Nerio Nesi. “Quando si usano fiduciarie per l’intestazione di azioni, l’ipotesi più plausibile è che ci siano soci che non gradiscono apparire.”

Si è visto come le due fiduciarie Servizio Italia e Saf, fonte originaria del futuro gruppo Fininvest, facciano capo alla Banca Nazionale del Lavoro. Negli anni Sessanta la Bnl era il maggiore istituto di credito italiano di diritto pubblico, nono nella graduatoria mondiale. L’avvento del centrosinistra aprì il suo consiglio di amministrazione anche al PSI: vi entreranno Aldo Aniasi (1963), Antigono Donati (1966), Nerio Nesi (1978), Ruggero Ravenna (l980). Donati e Nesi ne assumeranno anche la presidenza.

Nella seconda metà degli anni Settanta, il colosso creditizio registrò evidenti segnali di crisi, specie nell’importante settore del parabancario, in forte espansione. Infatti, le società operanti nel parabancario Bnl aumentarono al ritmo di una decina l’anno. Nel l979 erano una dozzina e, nel giro di un decennio, diverranno 82, di cui 24 controllate, tutte facenti capo alla Bnl Holding.
L’amministratore delegato della Bnl Holding, Carlo Alhadeff, da tempo in contrasto con i vertici della Banca, il 31 marzo rassegnava le dimissioni e diffondeva un comunicato-stampa: “Questa mia decisione”, spiega, “nasce dall’esigenza di tutelare la mia credibilità nei confronti dell’esterno e della stessa Bnl, alla quale attualmente non mi è più possibile garantire la bontà della gestione e la correttezza dei risultati della Bnl Holding e delle sue controllate” – si trattava di una chiara presa di distanze rispetto a quanto avveniva nelle varie società del parabancario Bnl.
La capogruppo del parabancario Bnl risulta essere la Banca Nazionale del Lavoro Holding Italia spa.

Il termine “Italia”, come si vede, è ricorrente (Servizio Italia, Italcantieri, e tutta una sfilza di Holding Italiana), e gli stessi, ricorrenti numeri (Milano 2, Milano 3, Italia 1, Canale 5, Rete 4, ecc.) ricordano una qualche fantasiosità da ragionieri di banca.

Con il termine parabancario si intendono tante cose: leasing, factoring, intermediazione finanziaria, fondi comuni, gestioni patrimoniali, partecipazioni, recupero crediti, amministrazione fiduciaria.

Nel parabancario Bnl, le fiduciarie sono soltanto la Saf,(Società azionaria fiduciaria), e Servizio Italia; esse fanno capo al ristretto comitato esecutivo della Bnl Holding, presieduto dallo stesso presidente della banca e formato da alti dirigenti interni e dai vertici delle principali controllate.
Servizio Italia era presente in tutte le vicende del bancarottiere mafioso e piduista Michele Sindona.

Della Capitalfin di Nassau, l’esotico “paradiso fiscale”, una delle “casseforti” sindoniane, presidente era Alberto Ferrari, ai tempi anche presidente della Bnl, segretario era Gianfranco Graziadei, che era anche direttore generale di Servizio Italia.

Ferrari e Graziadei risulteranno entrambi affiliati alla Loggia segreta P2 .

Gli editori piduisti Angelo Rizzoli e Bruno Tassan Din operavano attraverso Servizio Italia.

I maneggi piduisti con la casa editrice Rizzoli e il “Corriere della Sera” si avvalevano di Servizio Italia.

La miliardaria operazione speculativa con la Savoia Assicurazioni da parte della Loggia P2 era curata da Servizio Italia, così come i traffici di Gelli, con 217 mila azioni Italimmobiliare.

Il Venerabile maestro della Loggia P2 scriveva all’affiliato Tassan Din, indirizzando non già al suo domicilio privato o presso la Rizzoli, bensì presso la sede di Servizio Italia.

Nel luglio 1982, pochi giorni prima del suo arresto in relazione alla morte del banchiere piduista Roberto Calvi, il faccendiere Flavio Carboni disporrà l’intestazione fiduciaria delle sue società a Servizio Italia…

E’ dunque assodato che Servizio Italia, formalmente Bnl, è pienamente controllata dalla Loggia P2 e che, dietro il suo schermo, si celano anche società e interessi di ogni sorta.
Quanto alla Saf, Società azionaria fiduciaria, negli anni in cui essa concorreva, con Servizio Italia, a creare le fondamenta del gruppo Fininvest, l’età media dei suoi dirigenti era prossima agli 80 anni.

Il vicepresidente era Federico Pollak, nato nel 1887; il presidente del consiglio di amministrazione, Federico D’Amico, era del 1908; tra i consiglieri, Silvestro Amedeo Porciani era del 1892, il colonnello in pensione Anatolio Pellizzetti del 1907.

Risultava dunque del tutto non plausibile l’attribuzione a un gruppo di funzionari ottuagenari degli ambiziosi e avveniristici progetti, che sottendono la nascita del gruppo Fininvest: progettazione, costruzione, commercializzazione di “città satellite” e annessi servizi, ma anche trasporti aerei privati, attività parabancarie, televisione commerciale…

E’ evidente che “la mente”, il “centro propulsore” del grandioso programma “a tutto campo” era altrove, e precisamente nella Loggia massonica segreta Propaganda 2 e nel suo “Piano” per il controllo politico ed economico del Paese.
Non a caso, la prima banca “infiltrata” dai piduisti, e quella penetrata più massicciamente e al più alto livello, era il più importante Istituto di Credito nazionale, e cioè la Banca nazionale del Lavoro, con ben nove affiliati alla Loggia segreta tra i massimi dirigenti – come avrà modo di confermare lo stesso Licio Gelli, tramite il proprio legale: “Numerose banche italiane hanno annoverato negli anni, che vanno dal 1975 al 1981, tra i loro massimi dirigenti, appartenenti alla Loggia P2; e meglio, la Banca Nazionale del Lavoro 4 membri del consiglio di amministrazione, il direttore generale, tre direttori centrali e un segretario del consiglio…” .

Tra i piduisti insediati ai vertici della Bnl, e agli ordini del Venerabile maestro, sei controllavano tutta l’attività operativa della banca:

  • Mario Diana (responsabile del Servizio titoli e Borsa, tessera P2 1644 col grado di “maestro”),
  • Bruno Lipari (direttore centrale delle filiali, tessera P2 1919 col grado di “maestro”),
  • Gustavo De Bac (direttore centrale per gli affari generali, tessera P2 1889 col grado di “apprendista”),
  • Gianfranco Graziadei (amministratore delegato, e direttore generale di Servizio Italia tessera P2 1912 col grado di “maestro”),
  • Alberto Ferrari (già direttore generale della Bnl, e infine responsabile del settore estero. tessera P2 1625 col grado di “maestro”),
  • Raffaele Guido (responsabile relazioni esterne).

Il sindoniano balletto di società che nascevano, si associavano, si fondevano e si trasformavano, aveva trovato nuovi e ancora più audaci imitatori.

Qual’è l’identità di coloro che hanno sottoscritto i mandati fiduciari conferiti a Servizio Italia e Saf (società azionaria fiduciaria), le due società della Bnl Holding che pongono le basi del futuro gruppo Fininvest?

Mistero!!

Interrogativi e perplessità circa la reale proprietà della Fininvest emergono periodicamente sulla stampa e vengono puntualmente e laconicamente smentite da fonti berlusconiane. Così, quando Marco Borsa, ex direttore di “Italia Oggi” scrive: “La Fininvest è teoricamente di proprietà della famiglia Berlusconi, ma nessuno lo sa con precisione”, gli replica Fedele Confalonieri, nella sua veste di amministratore delegato della Fininvest Comunicazioni: “La Fininvest appartiene alla famiglia Berlusconi in modo effettivo e totale” – un’affermazione tanto perentoria quanto accuratamente priva di riscontri.

Risulta del resto evidente come non sia stato Berlusconi a creare la Fininvest, ma come sia stata la Fininvest delle fiduciarie e delle banche piduiste a imporre il piduista Berlusconi alla ribalta dell’imprenditoria nazionale.

Già verso la metà degli anni 70 “L’Espresso” e “Panorama” si erano occupati della rapida ascesa di Berlusconi nel mondo degli affari e ne denunciavano traffici e chiacchierati compari.

A causa della sua iscrizione alla Loggia P2, segreta e quindi illegale, Silvio Berlusconi venne anche processato per falsa testimonianza davanti al pretore di Verona prima, e condannato poi davanti alla corte di appello di Venezia, con la seguente motivazione:

“…Ritiene il collegio che le dichiarazioni dell’imputato non corrispondano a verità”. Una condanna per spergiuro!!!

In sostanza, infatti, secondo Berlusconi, la sua non ben definita adesione alla P2 avvenne poco prima del 1981 e non si trattò di vera e propria iscrizione, perché non accompagnata da pagamenti di quote, appunto di iscrizione, peraltro mai richiestegli.

Tali asserzioni sono state smentite anche dalle risultanze della Commissione parlamentare d’inchiesta sulla loggia P2, presieduta dalla democristiana Tina Anselmi, non certo una comunista, nella cui relazione si legge: “…alcuni operatori (Genghini, Fabbri, Berlusconi) trovano appoggi e finanziamenti al di la’ di ogni merito creditizio…”, e dalle stesse dichiarazioni rese dal prevenuto Berlusconi davanti al G.I. di Milano, e mai contestate, secondo cui la sua iscrizione alla P2 avvenne nei primi mesi del 1978.

La vicenda Berlusconi-P2 si conclude il primo ottobre 1990 con l’estinzione del reato per amnistia.

Berlusconi ha accettato l’amnistia allora, come di recente nel processo relativo al lodo Mondadori, ha accettato la prescrizione, in presenza di gravi indizi di colpevolezza elencati dalla Corte di Cassazione.

Nel 1998 gli investigatori della DIA di Palermo sequestrarono i documenti contabili delle ventidue holding del gruppo Fininvest, nell’ambito dell’inchiesta su Marcello Dell’Utri, deputato di Forza Italia, sotto processo a Palermo con l’accusa di concorso esterno in associazione mafiosa.

I magistrati di Palermo sospettavano che capitali di provenienza illecita fossero finiti, tramite Dell’Utri, nelle holding di Berlusconi.

Furono il finanziere Rapisarda, socio di Dell’Utri, e diversi collaboratori di giustizia a parlare dei rapporti tra il gruppo Fininvest e la mafia.

Denaro mafioso sarebbe stato utilizzato dalla Fininvest per acquistare pacchetti – film, e per finanziare l’avvio delle reti televisive di Berlusconi.

Il gup di Palermo ha, però, archiviato l’indagine riguardante l’accusa di concorso esterno in associazione mafiosa nei confronti del Cavaliere.

Attualmente, diversi parlamentari di Forza Italia risultano coinvolti in Sicilia in vicende giudiziarie.

Il pieno controllo della maggiore banca pubblica italiana consentì alla Loggia P2 di procedere celermente nell’attuazione del suo “Piano di rinascita”, del quale il gruppo Fininvest parrebbe costituire uno dei principali bracci operativi.

Costituito attraverso la piduista Bnl, il gruppo venne poi consolidato con ingenti finanziamenti erogati da altre banche, infiltrate dai piduisti:

18 miliardi per il primo aumento di capitale della Fininvest e 19 miliardi, che il gruppo aveva in deposito fiduciario presso la società Compagnia fiduciaria nazionale spa. Per un totale complessivo di 37 miliardi, e incidentalmente erano “30/40 miliardi” i capitali preventivati dal “Piano” piduista per assumere l’occulto controllo dei gangli vitali del Paese…

Nell’ancora segreto programma piduista, messo a punto tra il 75 ed il 76, noto come “Piano di rinascita democratica,” era anche prevista l’immediata costituzione di una TV via cavo, “che avrebbe poi dovuto essere impiantata a catena, in modo da controllare la pubblica opinione media, nel vivo del Paese”.
Berlusconi in un’intervista a “la Repubblica”, datata 15 luglio 1977, dichiarava che avrebbe messo la sua televisione a disposizione di uomini politici della destra democristiana e anticomunista, riecheggiando la linea politica dell’ancora segretissimo “Piano” messo a punto dalla loggia massonica P2.
Il 10 aprile 1978 Berlusconi iniziò una collaborazione come editorialista sul maggior quotidiano italiano, il “Corriere della Sera”, proprio quando la loggia P2 acquisiva, come dice la commissione parlamentare d’inchiesta, “il controllo finanziario e gestionale del gruppo Rizzoli”.

Interpellato su Licio Gelli, Berlusconi rispose: “…Anch’io, come 50 milioni di italiani, sono sempre in curiosa attesa di conoscere quali fatti o misfatti siano effettivamente addebitati a Licio Gelli”.
Gli saranno imputati reati quali concorso in bancarotta fraudolenta, associazione a delinquere, stragi…

Il programma della Loggia P2, che il 29 ottobre il presidente Pertini definì “un’associazione a delinquere”, era contenuto nel “Piano di Rinascita Democratica,” rinvenuto nel 1982 nella borsa della figlia di Gelli all’aeroporto di Fiumicino. Questo piano venne illustrato da Gelli in un’intervista a Maurizio Costanzo, apparsa sul “Corriere della sera” il 5 ottobre 1980.

Attraverso l’indebolimento dei sindacati, il controllo dei giornali e di politici dei partiti di governo e del MSI, e la distruzione del monopolio della RAI, si puntava a un mutamento della Repubblica in senso presidenziale, anche al fine di indebolire l’opposizione di sinistra e impedirne l’ingresso nel governo.

6. L’on.Bettino Craxi e il Cavalier Silvio Berlusconi: intreccio di affari e favori.

Nel frattempo stava emergendo, sempre “per caso”, “un uomo della provvidenza”, un altro politico che “si era fatto tutto da solo”, che, guarda caso, era stato compagno di scuola di Berlusconi, un certo Bettino Craxi, che voleva “modernizzare” il PSI.

Fu Vanni Nisticò, addetto stampa del PSI e iscritto alla P2, a presentare Craxi a Gelli nel novembre del 1976, in occasione dello scandalo Eni- Petronim, che coinvolgeva alcuni esponenti del PSI della corrente di Claudio Signorile.

Secondo ciò che Craxi raccontò in commissione P2, Gelli gli disse che “aveva la forza di cambiare il Presidente della Repubblica”.

Nella requisitoria del pubblico ministero Libero Mancuso è scritto su Gelli: ” Si manifesta concretamente con veri e propri finanziamenti: da quelli modesti versati a candidati socialisti toscani, in occasione della campagna elettorale del 1980…a quelli assai più consistenti che, secondo un documento acquisito agli atti della commissione P2, sarebbero stati versati il 28 ottobre presso l’Ubs di Lugano

sul c/c 63369, denominato “protezione” corrispondente all’onorevole Martelli, per conto di Bettino Craxi.

Nella storia del “conto protezione” è coinvolto anche il banchiere Roberto Calvi, che, quando verrà arrestato per il crack del banco Ambrosiano nel giugno 1981, sarà difeso dal quotidiano socialista “Avanti”.

Gelli, che amava il “decisionismo” craxiano, aveva le stesse idee politiche del leader socialista , di Francesco Cossiga, di Silvio Berlusconi e di tanti altri che avevano “a cuore le sorti del nostro paese”, che necessitava della guida di un uomo forte, per “andare”, ed essere inoltre difesa dal comunismo.

Per questo doveva, quindi, instaurarsi una Repubblica Presidenziale; il Pubblico Ministero doveva essere sottoposto al controllo del potere esecutivo; i mass media rigorosamente controllati.

Fu Gelli a scrivere negli anni il progetto sulla responsabilità civile dei giudici, che i socialisti riusciranno a fare passare con un referendum nel 1988“. (così scrive Michele Gambino).

Già il 15 luglio 1977 Berlusconi, da poco diventato editore del “Giornale” di Indro Montanelli, dettava a Mario Pirani di Repubblica il proprio “manifesto” politico: “La vera alternativa è nella Dc, una Dc che si trasformi in modo da permettere al PSI di tornare al governo milanese” …. Pirani gli chiese come pensava di aiutare le forze politiche a lui vicine, e Berlusconi rispose: “Non certo pagando tangenti, ma mettendo a loro disposizione i mass media. In primo luogo Telemilano, che sto riorganizzando e che diventerà un tramite fra gli uomini politici, che dimostreranno di non aver divorziato dall’economia e dalla cultura, e l’opinione pubblica.”


Nel 1983, sull’onda del successo e a causa della débacle elettorale della DC, Bettino Craxi diventava Presidente del Consiglio.

Anche Bettino Craxi, diventato segretario del PSI nel 1976, agitava il tema della Grande Riforma, della revisione costituzionale. Aveva cancellato dal simbolo del Partito Socialista la falce e il martello, sostituendoli col logo stilizzato del garofano rosso al centro del cerchio, puntando sul socialismo liberale, contrapposto al leninismo.

Negli anni ‘70, approfittando della nomina alla commissione Esteri della Camera, Craxi viaggiò molto per allacciare rapporti importanti per la sua carriera, soprattutto con gli Stati Uniti.( Tutti i bravi politici italiani, dai democristiani ai socialisti di allora, ai D’Alema, agli ex comunisti pentiti di oggi, vanno in Usa a farsi accreditare. Il democristiano Piccoli ci andò col faccendiere piduista Pazienza).

Gli Americani erano molto preoccupati per l’andamento oscillante del PSI e cercavano un punto di riferimento.

Questo, dei rapporti con gli Americani, è un passaggio importante nella storia del craxismo.

Quando Craxi si recò negli Usa, erano passati pochi anni dalle manovre golpiste di De Lorenzo, appoggiate dagli uomini dell’Ambasciata Americana. Dette manovre avevano lo scopo principale di ridurre le pretese del PSI e “ammortizzare” i costi del varo dei primi governi di centrosinistra.

Da allora, gli Americani non hanno mai smesso di controllare da vicino la politica italiana, sempre con l’obiettivo di condurre l’Italia a scelte di centro-destra.

Nel ‘69, in pieno autunno caldo, questo obiettivo è stato perseguito, come abbiamo già visto, per la prima volta, con l’uso delle bombe a Milano, in piazza Fontana.

Fu l’inizio della strategia della tensione.

Bettino Craxi si era recato in Cile, subito dopo l’assassinio di Salvator Allende da parte dei generali golpisti cileni, aiutati dagli Usa.

Gli Usa mal tolleravano che il governo del Cile fosse in mano a un uomo di sinistra, e per giunta eletto democraticamente: gli interessi delle multinazionali statunitensi sarebbero stati troppo compromessi dalla politica in favore del popolo cileno, che Allende stava attuando.

Craxi, che aveva conoscenze “ben informate sui fatti”, sapeva che anche in Italia il massimo potere si può raggiungere solo col consenso degli americani e avviò una “normalizzazione” della politica italiana, “sganciandosi” dal PCI per avvicinarsi alla DC.

Argomentava Craxi in comitato centrale: “La DC, disancorata da un rapporto con noi, scivola inesorabilmente a destra”.

Da segretario del PSI seguirà sempre questa linea moderata e anticomunista, negando di perseguirla.

Con Craxi l’Italia fu la prima nazione europea ad installare disciplinatamente i missili americani e non mancò di appoggiare gli Usa nella loro politica di “confronto duro” con l’URSS.

Le visite a New York erano caratterizzate dal trasferimento di un numero enorme di accompagnatori tra politici, amici e una folla di fotografi di regime, addetti stampa, ammiratori.

Scriveva il giornale socialista l'”Avanti”: “L’immagine italiana è cambiata: il made in Italy è di moda e non solo per la moda”.

Sembra la stessa cantilena di Berlusconi, Presidente del consiglio, che vuole attualmente elevare il rango dei diplomatici ad agenti di commercio.

E ancora l’inquietante prete di nome Baget Bozzo: “Craxi è stato il primo dei condottieri, dando così forma a un italiano conquistatore di mercati, e cambiando l’immagine dell’Italia nel mondo. Craxi delegittima il mondo delle istituzioni: le delegittima in nome dell’Italia come comunità di destino“.

Circondato da abili creatori d’immagine, il periodo della presidenza Craxi fu in sostanza contrassegnato da una rivincita delle forze della finanza e dell’imprenditoria nei confronti del mondo del lavoro, in un periodo di favorevole congiuntura economica europea e mondiale, che favorì il rilancio della Borsa e la caduta dell’inflazione, ma non frenò l’abnorme espansione del debito pubblico.

Atto emblematico della linea politica di Craxi, in favore della classe padronale, fu il decreto del 14 febbraio 1984, con cui il presidente della Repubblica decise la pre-determinazione e quindi il taglio degli scatti di scala mobile.

Nel sindacato si sviluppò una fortissima opposizione spontanea.

Il 24 marzo si svolse a Roma quella che il “Corriere della Sera” definì “la più importante manifestazione del dopoguerra”.

La conversione in legge del decreto incontrò l’ostruzionismo parlamentare.

Fu in quel momento che lo scontro tra Bettino Craxi e Enrico Berlinguer, segretario del PCI, raggiunse l’apice.

Craxi e il suo entourage avevano irriso alla “questione morale”, indicata dal segretario del PCI come “il fulcro della politica italiana”.

Al congresso del PSI Craxi spregiò il Parlamento, di cui ironicamente elencò nella relazione l’inutile attività, volta a discutere “in materia di pollame, molluschi, prosciutto e scuole di chitarra.”

All’attività parlamentare si contrapponeva il ” decisionismo” craxiano (oltre duecento decreti legge), irriso solo “dagli inconcludenti dalla fervida fantasia”.

Insieme alla “rivoluzione culturale” di stampo berlusconiano, l’era craxiana, dal Midas al caso Chiesa, segnò una vera e propria mutazione genetica del PSI, dei suoi uomini , sempre più arroganti.

A questa mutazione si accompagnarono i tratti caratteristici dell’era craxiana:

  • l’emergere di una lunga serie di scandali che coinvolsero il PSI, e lo affiancarono alla Democrazia cristiana nella pratica quotidiana della tangente e dei rapporti con la criminalità organizzata;
  • la campagna, dai toni sempre più striduli, contro i magistrati colpevoli di fare il loro dovere e di non chiudere gli occhi davanti alle ruberie dei politici; una campagna che sfocerà nel referendum sulla responsabilità dei giudici e nella istituzione delle Superprocure e che aveva come suo obiettivo finale, guarda caso, proprio la sottomissione del pubblico ministero al controllo dell’esecutivo, secondo i dettami del “Piano di rinascita democratica” di Gelli ; la stessa idea tante volte espressa dallo stesso Cossiga, e ancora oggi da Berlusconi e dai suoi sodali;
  • il decisionismo del capo, che non ha bisogno di consultare nessuno;
  • il culto della personalità di Craxi;
  • l’assoluta spregiudicatezza dei rapporti politici;
  • la creazione di un vero e proprio “braccio finanziario” del PSI, gestito in una prima fase dagli stessi politici e, successivamente, da uomini di fiducia, che sfruttava fino in fondo le possibilità offerte dalla gestione della cosa pubblica: un metodo adottato da quasi tutti i partiti dell’arco costituzionale, come si vedrà con lo scandalo milanese, ma che il PSI perseguirà con particolare forza.

Craxi, dunque, aveva costruito il Partito Socialista su un sistema esteso di clientelismo politico e di corruzione, mirato a finanziare il Partito e a portargli notevoli vantaggi personali.

La sua scalata ai vertici del Partito socialista, come abbiamo già detto, aveva coinciso con la crescente importanza di Berlusconi.

Fu Craxi ad aiutare in tutti i modi Berlusconi nella sua ascesa a magnate edilizio, e più tardi dei media, consapevole che chi possiede i mezzi di informazione, e soprattutto la televisione, costruisce il proprio consenso, influenzando l’opinione pubblica e creando un “senso comune” favorevole alla propria ideologia e ai propri interessi.

Fedele al suo progetto, alla fine degli anni settanta, Berlusconi passò dall’edilizia al mercato emergente delle televisioni private, con l’inaugurazione di Telemilano 58 nel 1977.

Il suo primo direttore, Stefano Lodi, fu un giornalista residente a Milano 2, ed era membro della commissione ministeriale che all’epoca studiava le ipotesi di regolamentazione dell’emittenza privata.

Una sentenza della Corte Costituzionale del 1976 aveva allargato all’etere la libertà di trasmissione via cavo. Fino al quel momento la televisione era stata monopolio di Stato, ma una sentenza del 1974 aveva permesso le trasmissioni di reti private locali.

Berlusconi trovò tuttavia un modo per aggirare la legge, e creare una televisione nazionale. Comperò molte piccole reti locali e, facendo sì che trasmettessero lo stesso programma a pochi secondi di distanza, riuscì ad ottenere un’audience a livello nazionale ed elevate quote di pubblicità, pur obbedendo in teoria alla lettera della legge.

Numerose autorità giudiziarie si resero conto dell’inganno e cercarono di smantellare questo sistema.

Quando la battaglia stava per giungere alla conclusione e la Fininvest rischiava l’oscuramento per ordine della magistratura, Craxi, allora Presidente del Consiglio, emanò un decreto speciale per escludere le televisioni di Berlusconi da un tale provvedimento.

Berlusconi espresse la sua gratitudine in diversi modi.

I pubblici ministeri di Milano hanno rintracciato almeno 6 milioni di dollari, che sarebbero passati dai conti bancari esteri della Fininvest a conti bancari in Tunisia, che la magistratura ritiene essere stati controllati da Craxi.

Durante gli anni ottanta furono fatti diversi tentativi al fine di introdurre una legislazione antitrust contro la holding di Berlusconi, ma tali iniziative vennero sempre bloccate dai socialisti di Craxi.

Il 20 ottobre 1984 Craxi ricevette a Palazzo Chigi Berlusconi, poche ore prima di firmare il decreto legge con cui riaccendeva le tv del “Biscione”, chiuse dai pretori di Roma, Torino e Pescara.

Lo chiamarono decreto-Berlusconi: non si sa perché!

Nel marzo 1990 il Senato dibatteva la legge di regolamentazione del settore televisivo.

Nello stesso tempo, con controverse vicende giudiziarie, Berlusconi era impegnato in una strenua lotta per il controllo della Mondadori.

Lo stesso assalto berlusconiano al colosso Mondadori, prefigurando una imponente concentrazione di mass media, suscitava grave allarme, oltre che nell’opposizione comunista, anche nella sinistra democristiana (presente nel governo Andreotti con cinque ministri).

Il disegno di legge in esame al Senato, firmato dal ministro repubblicano Oscar Mammì, era frutto di annose contese e di scontri, segrete pressioni, mediazioni e ripensamenti.

Nella sostanza, esso era concepito in modo tale da garantire a Berlusconi il possesso di tutti e tre i suoi networks e l’egemonia nella raccolta pubblicitaria, anche se di fatto avrebbe sancito il divieto, per la Fininvest, di mantenere il controllo del “Giornale” di Montanelli e di acquisire quello del quotidiano “la Repubblica”.

La Corte Costituzionale minacciò di emettere la sentenza che avrebbe cancellato la legge-Berlusconi, con il conseguente black-out dei networks. Le vicende della Mondadori, i perduranti contrasti sulla legge Mammì, che dividevano anche il pentapartito, le pressioni della lobby berlusconiana sui parlamentari, le polemiche per l’anomalo ruolo assunto in materia dalla Corte Costituzionale, rendevano incandescente il clima politico e mantenevano il governo a un passo dalla crisi. Era davvero in gioco il futuro della democrazia repubblicana.

A questo si è arrivati“, scriveva Scalfari su “la Repubblica” del 12 gennaio 1990 “per assenza di leggi, latitanza dell’autorità, intimidazione della giustizia, padrinaggi politici e arroganza del potere e del denaro. Gli obiettivi, chiarissimi ormai, sono due: impadronirsi di una grande impresa editoriale e mettere il bavaglio alla libera stampa. Questo non è capitalismo e libero mercato, ma guerra di bande per ridurre al silenzio chi non si piega ai loro voleri“.

E il venerabile maestro, Licio Gelli, ritornato in Italia a piede libero, seguiva il tutto con soddisfazione.

Nel 1990 il Parlamento approvò la prima vera legge sulle televisioni:

la versione finale sembrava fatta a pennello per gli interessi di Berlusconi. Stabiliva che nessuno poteva possedere più di tre televisioni nazionali, esattamente il numero che Berlusconi possedeva.

Conteneva inoltre due misure che presentavano l’assunto di un sacrificio da parte sua: una lo obbligava a cedere la maggior parte della sua partecipazione in una pay-TV via satellite, mentre l’altra stabiliva che il proprietario di una rete televisiva nazionale non potesse possedere anche un quotidiano nazionale.

Berlusconi aggirò la seconda disposizione “vendendo” al fratello Paolo il suo quotidiano, Il Giornale. Egli inoltre vendette la maggior parte della sua partecipazione alla TV via satellite a un gruppo di investitori, prestando il denaro ad alcuni di loro in modo da permettergli… l’acquisto.

All’ascesa televisiva di Sua Emittenza contribuì anche il PCI.

Il secondo “decreto Berlusconi”, quello che serviva a sanare definitivamente il pericolo di oscuramento delle antenne del magnate di Arcore, venne convertito in legge alla Camera il 31 gennaio con i voti decisivi di 37 deputati missini. Il decreto arrivò al Senato il primo di febbraio, che era di venerdì e non venne approvato. Il lunedì si giocava tutto sul filo dei minuti: il testo passò in Commissione e arrivò in aula. Il presidente del Senato, Francesco Cossiga, contingentò il tempo degli interventi per evitare che l’ostruzionismo potesse affossare il decreto fortemente voluto da Bettino Craxi. La Sinistra indipendente, capeggiata da Giuseppe Fiori, inventò uno stratagemma procedurale e riuscì ad arrivare alle undici e mezza di sera. “Se quattro comunisti fossero intervenuti a parlare”, ricorda Fiori, “sarebbe passata la mezzanotte e il decreto sarebbe decaduto”.

Il capogruppo del PCI Gerardo Chiaromonte gli spiegò, però, che l’ordine era di votare contro, ma di far passare il decreto.
L’indicazione arrivava dal giovane responsabile del PCI per le comunicazioni, Walter Veltroni.

Il fatto era che Bettino Craxi era riuscito a legare il passaggio del decreto in favore di Berlusconi a un riassetto della Rai che prevedeva, fra l’altro, il “passaggio” di Raitre sotto la sfera di influenza del PCI.

La legge Mammì, dunque, era stata concepita principalmente per ratificare la posizione dominante nell’ambito dell’emittenza privata della Fininvest: “Ho visto con i miei occhi i lobbysti della Fininvest ” – confermerà il giornalista Sandro Curzi – ” lavorarsi i deputati, nell’estate ‘90, sempre all’opera su e giù per il Transatlantico di Montecitorio, quando la legge Mammì, dopo un tormentatissimo iter e dopo le dimissioni di cinque ministri, ottenne l’approvazione del Parlamento… Anzi, credo che se i magistrati guardassero un po’ meglio, troverebbero tante cose interessanti in quel dibattito parlamentare, quando, a colpi di “voti di fiducia”, venivano approvati vari articoli della legge Mammì, una legge fatta apposta per Berlusconi “. E Giulio Cesare Rattazzi, segretario del “terzo polo” di emittenti locali, testimonia: “L’ingegner Mezzetti, un uomo della Fininvest, era in permanenza nelle stanze del ministero delle Poste”.

La compagnia di Berlusconi pagò i principali autori della legge Mammì.

Questo è il vero scandalo, ma questo sembra, anche, essere un metodo costante di Berlusconi, il metodo della tangente, per piegare a proprio vantaggio economico le scelte politiche. Nel 1993 un funzionario del Governo ammise di aver ricevuto una tangente di dieci miliardi di lire (a quel tempo circa otto milioni di dollari) per conto del Ministro Mammì e del suo partito. Il consulente legale di Mammì, David Giacalone, ricevette a titolo personale circa 300.000 dollari. La Fininvest insiste che fu un “onorario di consulenza”, i magistrati la considerano una tangente.  De Benedetti, nel processo per il lodo Mondadori, accusa Berlusconi di avere comprato la decisione del tribunale di Roma per entrare in possesso della Mondadori. Le indagini sul lodo Mondadori sono state avviate dalla procura di Milano nel 1997. Al centro dell’inchiesta lo scontro avvenuto a cavallo tra gli anni Ottanta e Novanta tra Carlo De Benedetti e Carlo Formenton, per il controllo della Mondadori.

Dopo una dura battaglia economica, il tribunale di Milano assegnò con lodo arbitrale il controllo del capitale della società a De Benedetti, e Berlusconi perse la presidenza della Mondadori. La sentenza fu rovesciata dalla corte d’Appello di Roma, secondo la quale una parte dei patti stipulati nel 1988 tra i Formenton e la Cir di De Benedetti erano in contrasto con la disciplina delle società per azioni; di conseguenza l’intero accordo, compreso il lodo arbitrale, era da considerarsi nullo. Al termine dell’indagine avviata dal pubblico ministero milanese Ilda Boccassini, Berlusconi e i suoi collaboratori furono accusati di corruzione in atti giudiziari.

Secondo la Procura milanese, 400 milioni provenienti dai fondi esteri occulti della Fininvest, erano finiti nel 1992 al giudice Metta, relatore della sentenza con la quale la corte d’Appello di Roma aveva dato ragione alla famiglia Formenton. Previti, Pacifico e Acampora erano stati accusati di aver svolto il ruolo di mediatori tra Berlusconi e il giudice Metta.

A giugno i giudici della corte d’Appello di Milano avevano stabilito che nei confronti di Berlusconi era ipotizzabile il reato di corruzione semplice e non di corruzione in atti giudiziari e grazie alla concessione delle attenuanti generiche il reato era caduto in prescrizione: i fatti risalivano al 1991 e la prescrizione scatta dopo sette anni e mezzo. Rimanevano invece in piedi le accuse nei confronti degli altri imputati, che come Berlusconi un anno prima erano stati prosciolti dal gup Rosario Lupo.

Ora, le tre reti nazionali di Berlusconi, Canale 5, Rete 4 e Italia 1, controllano più del 70% del fatturato nazionale della pubblicità e il 45% della audience.

Dunque, mentre Forza Italia può farsi pubblicità praticamente gratis sulle reti di Berlusconi, i suoi rivali politici sono nella situazione perdente di doverlo pagare o di far a meno di qualsiasi pubblicità televisiva. Questo è l’unico paese al mondo in cui i partiti politici devono pagare il loro avversario politico….

Le televisioni sono solo una parte dell’impero di Berlusconi.



La sua casa editrice, la Mondadori, è di gran lunga la più importante del paese, con più del 30% del mercato dei libri, più del doppio dei suoi più prossimi concorrenti. Il suo gruppo di giornali e riviste include “Panorama”, il settimanale più diffuso, e un insieme di riviste femminili e di altro tipo con una posizione più o meno equivalente a quella di S.I. Newhouse’s Condé Nast.

Possiede inoltre due quotidiani, Il Giornale, il preferito dal pubblico conservatore, nonché il quarto per importanza nel paese, e Il Foglio, un quotidiano di circolazione minore che ha le funzioni di un Rottweiler ideologico per attaccare i nemici di Berlusconi.

La sua compagnia di assicurazioni, Mediolanum, è l’equivalente italiano delle società di investimento Fidelity o Vanguard.

La sua squadra campione di calcio, il Milan, gli ha regalato, in un paese dove il calcio è seguito con una devozione quasi religiosa, più visibilità e popolarità di ogni altra sua proprietà, ad eccezione delle televisioni.

LA RAGNATELA: DALLE TRAME NERE AL GOVERNO BERLUSCONI.

(PARTE QUINTA)

7. Berlusconi scende in campo!!

Berlusconi non era certo estraneo alla scena politica, quando nel 1994 decise di formare il partito-azienda Forza Italia, e scendere personalmente nell’agone, presentandosi ai suoi teleutenti con un sorriso soddisfatto, di uomo “fattosi da sé”.

Doveva entrarci personalmente, nella politica, per difendere i suoi interessi e il suo successo imprenditoriale, sempre dipeso dalla protezione dei partiti.

I partiti politici del centro e della destra erano crollati, o si erano dissolti, dopo che i loro leaders principali erano stati accusati di corruzione dai pubblici ministeri di Milano. La Fininvest stessa, sotto indagine per aver pagato delle tangenti a politici, era anche indebitata.

I protettori politici di Berlusconi erano in galera, o sotto accusa, o avevano lasciato il paese, come Craxi.

“Se non entro in politica mi faranno a pezzi” disse a Indro Montanelli, il direttore del suo quotidiano Il Giornale.

I partiti della sinistra, che sembravano già pronti al trionfo, stavano parlando apertamente di approvare delle misure antitrust che lo avrebbero costretto a rinunciare a una delle sue tre reti televisive.

Berlusconi, quindi, così minacciato sia sul fronte finanziario che su quello giudiziario, lanciò una campagna politica serrata, mostrando quanto può essere potente la sinergia tra media, politica e potere economico.

Tutto questo era stato già previsto nel Piano di rinascita democratica di Lucio Gelli, intorno agli anni settanta, nei confronti della stampa (o, meglio, dei giornalisti):

  • Ai giornalisti acquisiti, (con l’impiego di strumenti finanziari), dovrà essere affidato il compito di “simpatizzare” per gli esponenti politici, come sopra prescelti in entrambe le ipotesi alternative 1c e 1d.
  • In un secondo tempo occorrerà:
  1. acquisire alcuni settimanali di battaglia;
  2. coordinare tutta la stampa provinciale e locale attraverso una agenzia centralizzata;
  3. coordinare molte TV via cavo con l’agenzia per la stampa locale;
  4. dissolvere la RAI-TV in nome della libertà di antenna, ex art.21 Cost.

Per la campagna elettorale, ovviamente, Marcello Dell’Utri, che era a capo della divisione pubblicitaria della Fininvest, utilizzò lo staff vendite della sua impresa come macchina elettorale e reclutò un vasto numero di candidati tra dipendenti, consulenti e partners di Berlusconi. Tra i nuovi membri del Parlamento italiano una ventina erano dipendenti di Berlusconi.

I componenti di Forza Italia, infatti, dovendo a Berlusconi i loro ben pagati incarichi, si sarebbero dimostrati, in seguito, sicuramente obbedienti ai suoi ordini.

Quando Berlusconi divenne Presidente del Consiglio nella primavera del 1994, emerse il conflitto d’interesse.

Come dice Mauro Paissan, un parlamentare dei Verdi, “il conflitto di interessi significa che il governo è continuamente ricattato”. “Il fatto di essere in politica costituisce una specie di assicurazione a vita per lui: ogni iniziativa volta a regolare o investigare le sue imprese è vista come un attacco politico“.

Anche allora Berlusconi si adoperò in modo solerte per sistemare in modo adeguato e rapido ciò che atteneva alla sfera dei suoi interessi personali: assoluta precedenza alle questioni inerenti alla televisione e alla giustizia.

Al Ministero della Difesa nominò Cesare Previti, suo avvocato personale.

E’ costume di Berlusconi, quindi, utilizzare il suo successo politico per garantire l’impunità a quelli tra i suoi collaboratori che sono più a rischio di arresto e che possono di conseguenza coinvolgerlo. Si assiste a scomposte prese di posizione ogni volta che si toccano le questioni delle televisioni o della giustizia.

Però Forza Italia costituisce un partito-azienda molto compatto, mentre l’opposizione, pur non minoritaria, risulta, nella contrapposizione politica, non molto compatta.

Durante le numerose indagini di “Mani Pulite” contro la corruzione nell’economia e nella politica, i magistrati di Milano arrestarono nel giugno del 1994 Paolo Berlusconi, il fratello reo confesso di aver pagato numerose tangenti.

Allora il Silvio improvvisamente emanò un decreto legge, che rendeva praticamente impossibile arrestare chiunque per crimini da “colletti bianchi”, e in meno di ventiquattro ore uscirono di prigione molti dei politici arrestati da Mani Pulite. Questo decreto, conosciuto come il “Decreto Salva-Ladri”, provocò una tale rivolta popolare da costringere Berlusconi a ritirarlo.

Nel frattempo alcune celle si erano svuotate!

La sua instabile coalizione di governo, rimasta in carica dal maggio al dicembre 1994, fu indebolita anche dallo sciopero generale (12 novembre) indetto dai sindacati, come risposta ad un progetto di riforma sulle pensioni.

Infine crollò, non solo a causa di un diretto coinvolgimento di Berlusconi nelle indagini di Tangentopoli, ma anche per l’uscita dalla maggioranza dell’allora non troppo suo fedele alleato, la Lega Nord di Umberto Bossi, in relazione al dibattito sulla riforma del sistema radiotelevisivo, (14 dicembre).

Già nei mesi precedenti, la Lega aveva peraltro continuamente denunciato il conflitto di interessi del presidente del consiglio, criticato AN come erede del fascismo e del vecchio statalismo meridionalistico, e reclamato passi più incisivi sulla strada del federalismo.

8. La transizione da Berlusconi a D’Alema

Il nuovo governo “tecnico” Dini, (ex ministro del Tesoro del governo Berlusconi), rimasto in carica dal gennaio 1995 fino alle elezioni dell’aprile 1996, riuscì a fare approvare una legge di riforma previdenziale, un decreto sulla par condicio televisiva, e la legge finanziaria, con il sostegno dei progressisti del centrosinistra, della Lega e del PPI.

Le elezioni del 21 aprile del 1996 sancirono la vittoria dell’Ulivo (42,1% dei voti alla Camera, contro il 40,3% del Polo), la coalizione formata dal PDS, dai Popolari e dai Verdi, con l’appoggio esterno di Rifondazione, coalizione guidata da Romano Prodi, che poté avvantaggiarsi dei timori, da parte dell’opinione pubblica moderata, di un’eccessiva prevalenza nello schieramento avversario della destra di AN; ulteriore vantaggio, la decisione della Lega di presentarsi da sola al voto.

Fu Romano Prodi a formare il nuovo governo, affiancato, come vicepresidente del Consiglio, dal numero due del PDS, Walter Veltroni: per la prima volta dal 1947, il maggiore partito della sinistra, direttamente discendente dal vecchio Partito Comunista, era al governo in Italia.

La maggioranza, ampia al Senato, era invece risicata alla Camera, dove per governare erano indispensabili i voti di Rifondazione comunista.

Il governo Prodi, ovviamente, era assai gradito alla Confindustria, perché Prodi aveva “buone credenziali”, avendo attuato, come presidente dell’IRI, licenziamenti di massa, e creato, anche attraverso un forte indebitamento, le premesse per invocarne la privatizzazione dell’Ente.

In politica economica questo governo si caratterizzò per la rigida applicazione dei parametri di Maastricht, inasprendo la linea delle leggi finanziarie di Amato, Ciampi e Dini per ottenere il risanamento finanziario e l’ingresso dell’Italia nella moneta unica europea.

Operò tagli al welfare state e alle pensioni, aumentò i tickets sulle prestazioni sanitarie e l’imposta sul valore aggiunto (IVA), riducendo al contempo le aliquote delle imposte sui redditi più elevati.

Una prima “manovra correttiva” dei conti pubblici (19 giugno 1996) pesò per 16.000 miliardi.

Con la successiva finanziaria (27 settembre 1996) si aggiunse un onere di 62.500 miliardi.

Col “decretone” (30 dicembre 1996) venne introdotta una “eurotassa” di 4.300 miliardi.

Con la nuova “manovra correttiva” (27 marzo 1997) gli italiani furono chiamati a pagare ancora 15.500 miliardi.

Con una successiva finanziaria (28 settembre 1997) altri 25.000 miliardi.

Dinanzi all’annuncio del voto contrario del PRC, Prodi si dimise (9 ottobre 1997) ma, riottenuta la fiducia (16 ottobre 1997), dovette promettere a Rifondazione comunista un provvedimento per le 35 ore lavorative, che venne approvato (24 marzo 1998) senza avere pratica applicazione.

Seguì invece la proposta di una nuova finanziaria (22 settembre 1998) per 14.700 miliardi, che determinò la definitiva sfiducia del PRC.

L’ATTACCO AL LAVORO E ALLO STATO SOCIALE

A vantaggio dell’industria automobilistica venne introdotta la “rottamazione”, un premio sulla permuta delle auto usate, che produsse (gennaio-agosto 1997) un incremento del 43,7% delle immatricolazioni di autoveicoli e un aumento di tutta la produzione industriale, specialmente in Piemonte.

Prodi dette una spinta molto forte al programma di privatizzazione dell’economia pubblica, attraverso la vendita, quasi per intero, delle azioni del gigante delle telecomunicazioni Telecom Italia, un’azienda avanzata a livello mondiale, col rilancio della privatizzazione delle aziende controllate dall’IRI, e col collocamento sul mercato della maggioranza delle quote azionarie dell’ENI, che in tal modo venne sottratto al controllo dello stato.

Dopo un anno di governo Prodi, il tasso di sviluppo segnò uno dei livelli più bassi. Dopo due anni la disoccupazione salì al 12,5%, la povertà al 10%, s’incrementò il divario fra Nord e Sud, mentre salirono i profitti.

(Antonio Marzano, “Affari & finanza, la Repubblica”, 29 giugno 1998).

Pochi mesi dopo, il 9 ottobre 1998, l’opposizione di Rifondazione comunista alla Legge finanziaria fece cadere il governo: per un solo voto (312 voti favorevoli e 313 contrari) il governo Prodi mancò la fiducia, e dovette dunque dimettersi.

Nel frattempo il tentativo del leader del PDS, Massimo D’Alema, come Presidente della Commissione bicamerale per le riforme, di giungere ad una grande riforma della Costituzione e del sistema elettorale, con un accordo fra maggioranza e opposizione, falliva in un clima di polemica sempre più forte fra i due schieramenti.

La grande “riforma” prospettata dai lavori della Bicamerale andava, per molti versi, nella direzione del “Piano di rinascita democratica” della Loggia P2, e per questo si può assegnare alla Bicamerale un ruolo di colpo di stato strisciante.

Uno dei ferventi sostenitori di queste riforme era proprio Silvio Berlusconi! Paradossalmente, ad essergli alleato era proprio un ex esponente di rilievo del Partito Comunista Italiano, Massimo D’Alema, con l’appoggio esterno e sistematico di…Francesco Cossiga.

LA RAGNATELA: DALLE TRAME NERE AL GOVERNO BERLUSCONI.

(PARTE SESTA)

9. Il governo “D’Alema”

Al governo Prodi subentrò il governo D’Alema, formato il 21 ottobre 1998 grazie ai voti dell’UDEUR di Francesco Cossiga e del Partito dei comunisti italiani di Armando Cossutta , separatosi da Rifondazione comunista proprio perché in dissenso sul voto contrario con cui il partito aveva fatto cadere il governo di Romano Prodi.

Sulla caduta del Governo Prodi si è detto molto: spesso la colpa è stata addebitata a Rifondazione, ma c’è stato anche chi ha individuato una manovra più complessa collegata alla decisione, presa da lungo tempo, di normalizzare comunque i Balcani. La macchina bellica della NATO doveva essere messa in moto, ma per farlo era indispensabile l’adesione incondizionata dell’Italia. Che fare? Per l’alleato americano c’era l’esigenza di provocare in Italia un mutamento di governo e ottenere una maggioranza più adatta alle urgenti esigenze belliche della NATO, mentre il ricorso alle elezioni presentava troppe incognite, ed era quindi rischioso.

“A questo punto è stato attivato il più autorevole dei terminali CIA nel sistema politico italiano, l’ex Presidente della Repubblica Francesco Cossiga, l’uomo di Gladio” ( Domenico Gallo ).

In quattro e quattr’otto Cossiga ha staccato un gruppetto di parlamentari dal Polo e creato l’UDEUR, con cui ha potuto sostituire Rifondazione. D’Alema si è candidato a premier del nuovo governo atlantico dichiarando, in relazione all’Activaction order, che la disponibilità delle basi italiane era un “atto dovuto”.

Abbiamo avuto così D’Alema presidente del Consiglio e Scognamiglio ministro della Difesa.

“…in Italia avevamo dovuto cambiare governo proprio per fronteggiare gli impegni politico-militari che si delineavano in Kossovo…la presenza di Rifondazione…non avrebbe consentito di impegnarsi in azioni militari. Per questo il senatore Cossiga ed io ritenemmo che occorreva un accordo chiaro con l’on.D’Alema”. ( Scognamiglio sul Foglio del 4 ottobre 2000).

L’ex Presidente della Repubblica Francesco Cossiga, non nuovo ad esternazioni che aprono barlumi di luce sui veri retroscena della vita politica del nostro paese, si lascia andare, sul settimanale “Sette” del “Corriere della Sera”, in edicola la settimana intorno al 25.1.01, alla seguente confidenza:

“- Ho dato vita all’operazione più’ ardita contribuendo a portare a Palazzo Chigi il primo postcomunista.

– Si e’ pentito?

– Assolutamente no. Indegnamente ho fatto quello che aveva in mente Aldo Moro. E poi c’erano esigenze pratiche. Non saremmo stati in grado di affrontare la crisi del Kosovo, se avessimo avuto un governo Prodi. D’Alema, come tutti quelli educati alla scuola comunista, non e’ un pacifista.

– D’Alema guerrafondaio?

– Il pacifismo comunista non esiste. Mentre esiste il pacifismo cattolico e certamente ne era parzialmente intriso Prodi.”

La storia raccontata da Cossiga e’ un’ulteriore conferma di quanto certe decisioni siano imposte ancora oggi all’Italia da “centri di potere” e interessi che nulla hanno a che fare con quelli esplicitamente riconosciuti dall’apparente democrazia formale che vige nel nostro paese. In sostanza chi, per la sua posizione, conosce in anticipo come si svolgeranno certi avvenimenti, è in grado sempre di intervenire per piegare gli avvenimenti secondo gli interessi della propria lobby, con qualsiasi mezzo più o meno lecito, e con pratiche di chi si reputa al di sopra della legge. Il governo D’Alema, infatti, diede l’appoggio italiano alla missione della Nato in Kosovo, nella primavera del 1999, sempre con l’avallo dell’opposizione guidata …costruttivamente dall’on. Berlusconi.

Questa è stata una lurida e tristissima pagina di storia scritta in Italia da una sedicente “sinistra”, che ha consumato uno storico tradimento della nostra Costituzione, alleandosi ai generali della NATO, al servizio delle cosiddette democrazie liberali e… socialdemocratiche.

Massimo D’Alema il 19 aprile 2000, dopo aver superato una prima crisi il 18 dicembre del 1999 per la defezione dei socialisti, e avere formato, il 22 dicembre dello stesso anno, un nuovo governo, si dimise per la secca sconfitta del centrosinistra alle elezioni regionali della primavera 2000.

La tela del ragno, tessuta da, e per, i poteri forti, si era tanto consolidata ed estesa da inglobare anche tutta l’area politica del centro e della cosiddetta sinistra…”moderata”.

Infatti, con D’Alema a capo dell’esecutivo, si sono rafforzati i poteri del premier, che, ad esempio, potrà nominare uno staff di persone di sua fiducia da affiancare al personale di ruolo della presidenza, che a sua volta sarà profondamente riorganizzato.
E’ evidente che tali misure anticipano il premierato e si inquadrano perfettamente nell’ordinamento presidenzialista e federalista dello Stato, che è già stato tracciato in linea di principio dalla Bicamerale “golpista”, e che è al centro della ripresa della discussione tra i gruppi parlamentari sulla controriforma neofascista della Costituzione.

Oltre al presidenzialismo e al federalismo, è il liberismo l’altro principio ispiratore della controriforma di D’Alema e Bassanini: la riduzione e la riorganizzazione dei ministeri, con la creazione delle agenzie, va incontro al principio del ritiro dello Stato da tutta una serie di competenze e doveri sociali, in favore del mercato capitalistico, che diventa il soggetto principale al posto dell’interesse pubblico. Emblematica in questo senso è la cancellazione dei dicasteri dell’Agricoltura e della Sanità, che presuppone il ritiro dello Stato, cioè del controllo pubblico, da questi due settori strategici per il paese e per la vita delle masse, e quindi la loro totale subordinazione agli interessi privati e alla speculazione.

In politica economica, D’Alema ha proseguito la linea di Prodi di attacco al welfare state, di riduzione dei diritti dei lavoratori, anche mediante norme limitative dello sciopero (2000), e di privatizzazione dell’economia.

Sottoscrisse perfino il documento di Tony Blair per il vertice di Lisbona, nel quale veniva sostenuta la necessità dei licenziamenti, ma poi ritirò la sua firma (2000).

Del resto, fin dall’inizio, nella sua ansia di legittimazione, il governo D’Alema ha svelato il suo carattere di continuità con le precedenti politiche di attacco alle condizioni di vita e di lavoro dei lavoratori, con l’introduzione di ulteriori forme di precarizzazione e di flessibilità, che vanno da varie forme di contratti atipici fino ai patti d’area e l’apertura di agenzie di nuovo caporalato diffuso.

Ma il capolavoro del governo D’Alema sulla strada dello smantellamento delle conquiste sociali dei lavoratori in tanti anni di lotte e di sacrifici non finisce qui. Lungo è l’elenco:

  • finanziamento pubblico dell’impresa privata e della scuola confessionale e confindustriale,
  • la legge sulla sussidiarietà del servizio pubblico con istituti privatistici,
  • la privatizzazioni a tutto vantaggio delle imprese,
  • la costruzione dell’esercito professionale, e la riforma dell’esercito italiano con la determinazione dell’autonomia del corpo dei Carabinieri in prospettiva della repressione dei movimenti,
  • taglio delle spese sanitarie e finanziamento di spese di carattere militare, (progetto di costruzione di un nuovo aereo da guerra),
  • tagli di finanziamento a enti locali, alla scuola pubblica, al sistema dei trasporti pubblici, al personale nel pubblico impiego,
  • la legge aberrante che riguarda l’allargamento dei termini di carcerazione preventiva da 18 mesi a 2 anni.

E che cosa possiamo dire del caso Ocalan?

Quando Abdullah Ocalan si rifugiò in Italia, il governo D’Alema, assecondando le pressioni che venivano dal segretario di stato Usa Madeleine K. Albright, si affrettò ad attribuire al leader kurdo la qualifica di “terrorista” (novembre 1998) per non riconoscergli lo status di rifugiato – “è apparso con chiarezza che non vi erano le condizioni […] per concedere l’asilo politico” (“Corriere della sera”, 20 febbraio 1999). Una decisione giudiziaria, arrivata dopo che l’esule era stato costretto a lasciare l’Italia, riconobbe, invece, che quelle condizioni esistevano. Una pagina vergognosa di tradimento, non solo di un combattente contro l’oppressione, ma di un popolo intero, in cambio della legittimazione del governo da parte degli Usa. Un atto spregevole e un atto servile.

E che dire del sostegno attivo alla guerra in Yugoslavia?

Il coinvolgimento nel conflitto si caratterizzò, sin dall’inizio, come ampio e senza riserve: “Quando la Nato deciderà di intervenire, noi saremo coi nostri alleati“, e quanto alle basi, D’Alema affermò che “non c’è bisogno di concederle, dal momento che facciamo parte dell’alleanza“( dai quotidiani italiani del 19 gennaio 1999). L’approvazione da parte del Presidente del consiglio persino del bombardamento della televisione di Belgrado fece scrivere a Luigi Pintor che “il governo D’Alema, le sue politiche e il suo messaggio, hanno avuto un effetto demolitore“, avendo preso “la guerra, anzi il suo elogio, come occasione di prestigio internazionale” (“il Manifesto”, 24 agosto 1999).

Delle devastazioni, delle morti, della “pulizia etnica” praticata dall’UCK nel Kosovo “liberato”, delle terrificanti contaminazioni chimiche e radioattive, del’Uranio impoverito, di cui si scopre la nocività anche su chi vi è stato a contatto per poco tempo, provocate dalla “ingerenza umanitaria” in Yugoslavia, D’Alema porta una responsabilità primaria.

Dunque, la sinistra storica ex comunista, che era condannata dai benpensanti a farsi perdonare ogni giorno di essere “cattiva”, è cambiata, finalmente!.

Inseguendo il mito della governabilità, che fu già di Craxi, questa “sinistra” è stata con D’Alema abilitata al governo, e allora ha dimostrato inequivocabilmente di essere morfologicamente mutata e di avere introiettato in modo irreversibile la cultura del neoliberismo, di essere più affidabile per tutti quei poteri economici, più o meno leciti, più o meno occulti, di essere facilmente condizionabile dalla ricerca dell’assenso politico da parte degli Stati Uniti, degli Alleati Atlantici, e di soggetti politici interni, campioni di conservatorismo come Francesco Cossiga.

La grande ragnatela ha avvolto la sinistra di governo!

In compenso la destra è rimasta sempre uguale a se stessa, forse un po’ più arrogante e tracotante di fronte al cambiamento antropologico di un buon numero di Italiani; questo cambiamento ha origine negli anni ‘80, ha provocato la nascita di un “pensiero debole”, consolidato dalla grancassa mass-mediatica piduista, e non.

La politica italiana, inoltre, con i suoi intrighi, sotterfugi, continue alleanze variabili opportunisticamente, rimpasti, scandali, mantiene una tale continuità di modalità nel tempo, da sembrare immutabile.

In tanto deserto di valori, di passioni civili e politiche, molti si sentono disorientati.

Molti non possono accettare la deriva di una ex sinistra…normalizzata, che si piega all’Impero americano, che ne sostiene le guerre colonialiste, che ha accettato il primato del mercato, per cui la cittadinanza si esaurisce nel circuito del consumo mercificato, per cui il diritto è salvaguardato solo per la proprietà, la rendita e la speculazione. Molti percepiscono l’insufficienza strutturale della sinistra italiana nel rappresentare le loro istanze ideali e culturali. Si è determinato così un vuoto, uno scollamento che non ha sbocco, se non nel ritorno al privato e alla passività. E’ una perdita enorme per la vita politica, sociale e civile. Con la perdita dei valori etici e sociali si è aperta una crepa, in cui, senza trovare resistenza, si sono insinuati i nuovi miti del consumismo. Il pensiero, impigrito, si adegua facilmente alle mode.

L’intolleranza e il razzismo mostrano sempre più chiaramente la loro faccia inquietante e feroce.

Quelli di destra, antropologicamente di destra, hanno trovato in Berlusconi l’uomo forte, e si mobilitano, lo votano convinti. La destra vince, nonostante le enormi bugie di Berlusconi, i suoi conflitti di interesse, le mille ombre imbarazzanti, anche perché tanta parte di Italiani si occupa solo dei propri interessi e ammira “chi è più furbo”, chi si è arricchito, anche con lo sfruttamento, anche senza pagare le tasse…

La parola d’ordine è: “arricchitevi in qualsiasi modo, e le possibilità di farlo sono sotto ai vostri occhi: Silvio Berlusconi si è fatto da solo, a partire dal nulla!” ed è così che anche il diseredato, lo sfruttato trova il suo pezzetto di sogno.

Nel frattempo Berlusconi ha trascinato il dibattito sulle riforme elettorali per tre anni, prendendo tempo e ottenendo preziose concessioni a livello di televisioni e giustizia. Grazie a prestiti bancari, e vendendo quote della sua compagnia a investitori esterni, ha ricostituito l’assetto finanziario della sua impresa, ridenominandola Mediaset. Per di più, Berlusconi è riuscito ad evitare l’arresto di suoi collaboratori fidati, come Dell’Utri, e a persuadere in seguito Massimo D’Alema ad attuare una serie di variazioni nel sistema della giustizia penale, modifiche queste che sono andate largamente a vantaggio di Mediaset.

C’è stata una grossolana sottovalutazione del problema “Berlusconi” da parte del centrosinistra, e al Cavaliere sono stati approntati ponti d’oro con la riforma elettorale maggioritaria, voluta fortemente dai DS, una legge “truffa” che ha consentito alla compagine di Berlusconi di ottenere una maggioranza dei seggi in Parlamento ben più ampia dei consensi ricevuti dalla sua “Casa delle libertà”, e di formare il governo attuale di centro destra. Così, dopo il governo Amato, durato un anno, in cui venne approvata la legge di riforma costituzionale per il trasferimento di poteri dallo Stato alle Regioni.

10. Berlusconi vince le elezioni del 2001

Il 13 maggio del 2001, la nuova coalizione dell’Ulivo, guidata da Francesco Rutelli, verrà sconfitta dal centrodestra, guidato da Silvio Berlusconi.

Gli Italiani, nonostante con le indagini della magistratura fossero emersi i traffici illeciti di Berlusconi almeno fin dal 1994, con le elezioni del 13 maggio 2001, hanno accresciuto a dismisura il potere suo e dei suoi collaboratori. Eppure i problemi con la giustizia di Berlusconi e dei suoi sodali avevano paralizzato il paese per sette mesi.

E’ sorprendente che una buona parte degli Italiani sembri soddisfatta e sicura che un imprenditore “fatto da sé” risolverà i problemi dell’Azienda Italia e soprattutto i suoi problemi di cittadino.

Avviene così che molti Italiani sappiano tutto sul calcio e ne discutano animatamente, mentre non sanno che le prime riforme del governo in nome del cambiamento, in realtà, sono state attivate per assicurare immunità, depenalizzazioni, arricchimenti, sgravi fiscali, abolizione della tassa sulle eredità miliardarie, fondi pubblici a vantaggio dei privati, di ceti privilegiati, di confessioni religiose, di monopoli e oligopoli. Anche questa volta Berlusconi si è affrettato a ripristinare il Ministero delle comunicazioni per la difesa del monopolio privato della comunicazione, e tenterà di ridurre la libertà e il pluralismo della Rai, ente importante per l’informazione e la formazione culturale degli Italiani.

Si vuole in questo modo mettere il bavaglio a quel poco di pensiero critico ancora rimasto in Italia per una più rapida omologazione al pensiero unico. Su questa strada si procede celermente con l’apertura della scuola alle gerarchie ecclesiastiche e alla Compagnia delle Opere.

Il ministro Urbani, al riparo dai rumori della “ribalta”, interviene sul mondo della cultura per sottomettere le ultime ridotte alla ideologia del vincitore, per portare a compimento l’egemonia culturale della destra, come dimostra anche la sostituzione alla direzione dell’Ente Cinema, avvenuta da poco, di Miccichè con Alberoni, il sociologo dei salotti “buoni” del periodo di Craxi, il sociologo televisivo, il nuovo intellettuale del “pensiero debole”, organico al potere degli anni ’80, che ha preparato il terreno fertile per l’avanzata del pensiero unico.

Berlusconi ha proposto, inoltre, una soluzione del conflitto d’interessi che gli permetta di scegliersi i controllori.

Siamo in presenza di una grave discrepanza tra i tempi lunghi delle procedure giudiziarie, per cui non si è attuato nessun provvedimento, e la velocità con cui la maggioranza ha introdotto nei primi mesi della sua attività parlamentare leggi atte a risolvere i problemi giudiziari del suo Presidente e dei suoi collaboratori, per le discutibili iniziative che gli sono valse numerose accuse di violazione della legge penale. Questa discrepanza evidenzia in maniera inequivocabile il conflitto di interessi non leciti che oppongono questa maggioranza al regolare corso della giustizia e alla Magistratura.

Le prime misure legislative di questa nuova maggioranza della “Casa delle libertà” sono state introdotte in materia:

  • di falso in bilancio, anche per i processi in corso, con cui si è oscurata la trasparenza del mercato, ma vengono consolidati i consensi d’impresa, grande e piccola;
  • di rientro dei capitali dall’estero, con cui si sono premiate quelle società, imprese, e congreghe criminali che, negli anni, hanno costituito all’estero “fondi neri” destinati alla corruzione o all’evasione fiscale;
  • di legge sulle rogatorie, con cui si sono pregiudicati i processi contro quel crimine organizzato, capace di trasferire cospicui capitali all’estero.

La rogatoria internazionale è uno strumento di comunicazione processuale fra autorità giudiziarie di Paesi diversi, che permette di utilizzare documenti (spesso si tratta di documenti bancari) trovati all’estero o di compiere, sempre all’estero, atti giuridicamente validi nel Paese sede del processo. La nuova legge approvata fra le polemiche in ottobre e criticata anche all’estero, stabilisce la non utilizzabilità dei documenti ottenuti tramite rogatoria anche in caso di minima irregolarità formale, cosa frequente in presenza di ordinamenti e procedure spesso diverse. Le voci critiche sottolineano il rischio di indebolire il lavoro della magistratura inquirente, e quello di vanificare il lavoro fin qui svolto in numerosi processi in corso. Infatti Cesare Previti e altri due imputati del processo per il cosiddetto “Lodo Mondadori” hanno chiesto con tempestività ai giudici di non utilizzare i documenti ottenuti dalla procura all’estero. Si tratta dell’ennesima richiesta del genere presentata in questo senso, dopo l’approvazione da parte del Parlamento della contestata legge che ha cambiato, con valore anche retroattivo, le regole di validità dei documenti ottenuti tramite rogatoria internazionale.

L’on.Previti, che è deputato di Forza Italia ed è stato ministro della Difesa del primo governo Berlusconi, accusa di prevenzione nei suoi confronti la magistratura.

La non utilizzabilità delle rogatorie, la ricusazione dei giudici, come nel processo della transazione Imi-Sir , l’intervento del Ministro della Giustizia Castelli per sollevare dall’incarico il giudice Brambilla dal processo Sme, (il presidente della Corte di appello di Milano ha disposto che il giudice sia applicato al collegio del processo Sme), la legittima suspicione (un processo in una sede non idonea) e altri stratagemmi sono messi in opera dai difensori di Previti e coimputati per arrivare alla prescrizione dei processi per decorrenza dei tempi. A questo proposito Saverio Borrelli ha affermato: “Imputati e difensori a volte fanno di tutto per rallentare i meccanismi processuali. E certo le sorti di questi processi sono a rischio a causa di queste manovre dilatorie“.

In soli tre mesi il guardasigilli leghista Castelli ha riformato la procedura sul falso in bilancio in dodici articoli, che risolvono gli specifici guai giudiziari di Silvio Berlusconi. Questa riforma serve a rendere nulli tre processi, in cui Berlusconi è imputato: il “caso del calciatore Lentini”, il secondo troncone “ALL Iberian” (due processi di primo grado), l’inchiesta sui bilanci consolidati dalla Fininvest nel periodo 1990-1996 (nella fase di udienza preliminare). L’avere sottoposto l’applicazione delle rogatorie alle forche caudine del Ministero di Grazia e Giustizia e del Ministero degli Esteri resta un fatto di inaudita e indebita ingerenza di altri poteri istituzionali sulla magistratura.

La volontà di controllo sui magistrati in materia di rogatorie è ribadita anche dalla circolare inviata ai giudici il 21 dicembre 2001 dal nuovo direttore generale degli affari penali, il giudice Augusta Iannini, con cui il Ministero della Giustizia dà ai Magistrati l’avvertimento di applicare la legge sulle rogatorie in modo adeguato, previe iniziative disciplinari, violando il principio basilare che l’interpretazione delle leggi spetta ai magistrati e non ai burocrati ministeriali.

Da ricordare che il giudice Augusta Iannini è la moglie di un “certo” Bruno Vespa, giornalista di inclinazioni politiche “non ben note”, e colei che ordinò l’arresto di C. De Benedetti per la fornitura di vecchi telex alle poste.

De Benedetti è colui che nel processo per il lodo Mondadori accusa Berlusconi di avere comprato la decisione del tribunale di Roma per entrare in possesso della Mondadori.

Grandi lotte dell’alta borghesia per l’acquisizione del potere!

Per evitare i processi all’amico Cesare Previti, e ai suoi amici e collaboratori, dunque, Berlusconi fa pesare la sua leadership di una maggioranza di governo capace di cambiare le leggi, di depenalizzare i reati, di far mutare le forme del processo, di far approvare a un ramo del Parlamento risoluzioni contro i suoi giudici.

Agisce con l’arroganza di un potere che si reputa talmente al di sopra della legge da minacciare di arresto o di provvedimenti disciplinari quei magistrati, rei di non applicare la legge sulle rogatorie secondo il volere dell’esecutivo, come se l’interpretazione delle leggi non fosse prerogativa del giudice a garanzia della divisione dei poteri e della uguaglianza della legge per tutti.

Del resto Berlusconi non fa mistero su questi inquietanti propositi, quando afferma che la legge sulle rogatorie è la risposta legittima al tentativo di giudicarlo sulla base di documenti falsi. Se così fosse, perché si vuole sottrarre al processo?

E che dire sul veto posto dal governo italiano sul mandato di cattura europeo?

Si vuole impedire che il mandato di cattura europeo venga esteso ai reati di frode, corruzione e riciclaggio di denaro sporco.

Poiché il riciclaggio è centrale nelle indagini di mafia, si può arguire che ancora una volta con questo veto si voglia garantire tutti gli interessi del blocco di potere che ha portato questa maggioranza al governo, gli interessi di corruttori, riciclatori, mafia. Proprio in questi giorni, come denunciato dal magistrato palermitano del pool antimafia Sabella, (ora capo dell’Ufficio centrale dell’Ispettorato delle carceri, essendo da due anni distaccato al dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria), si sta trattando all’interno delle carceri da parte dei mafiosi sul tema della dissociazione, per arrivare all’approvazione di una legge in merito.

Un gruppo di boss detenuti, sottoposti al regime speciale, previsto dall’articolo “41 bis”, cerca di ottenere attraverso questa via dei vantaggi vitali: riduzione della pena, restituzione dei patrimoni confiscati, uscita dal regime del carcere duro e quindi possibilità di comunicare con l’esterno. Inoltre alla mafia verrebbe conferita la dignità politica di un’ideologia e il valore dell’omertà.

Alcuni messaggi giornalistici riportano la volontà di Bernardo Provenzano, ammalato, di costituirsi in una struttura ospedaliera della Sicilia in cambio del riconoscimento ai mafiosi della possibilità di dissociazione, con i vantaggi di cui sopra.

Proprio ora veniamo a sapere dal procuratore di Palermo Piero Grasso che da due anni giace al Senato una proposta di legge col numero di protocollo 2843, che prevede la possibilità della dissociazione per i mafiosi e il mantenimento dei loro patrimoni.

Melchiorre Cerami del Ccd, senatore siciliano, eletto nel collegio di Sciacca, è il primo firmatario della proposta di legge.

Il Polo nel 2000, quando era all’opposizione, tentò di fare passare questa proposta di legge di Cerami tra gli emendamenti della nuova legge sui pentiti, ma fu costretto a ritirarla per la ferma opposizione di Ayala, sottosegretario alla giustizia. I tempi ora sembrano maturi per accelerare l’iter di questa legge ed ecco la mafia esercitare pressioni in tal senso su una maggioranza, che, essendo schiacciante, ha tutta la possibilità di mettere in atto qualsiasi riforma.

Proprio due anni fa, anche l’avvocato Taormina si dichiarò favorevole ad una legge sulla dissociazione. Si sa che Taormina, quello che tuona contro i magistrati, quello che difende i mafiosi, ha già scritto quattrocento pagine della “grande riforma” della giustizia. Tra i punti della riforma ci sono l’abolizione della direzione nazionale antimafia e delle direzioni distrettuali antimafia.

Comunque, una buona mano al governo in carica e alla mafia l’ha data ancora una volta la passata legislatura, approvando leggi che sembrano tanti regali ai boss: l’introduzione dell’obbligo per i testimoni di ripetere in aula le accuse(art.513), la legge sui pentiti, l’abolizione dell’ergastolo. Se verrà approvata la legge sulla dissociazione, assieme alle altre leggi recenti, avremo una bella “legge quadro” in favore della mafia e del crimine.

Inoltre sono mesi che il centro destra diffama la magistratura, descrivendola come una fazione di toghe rosse e gruppo di persecutori, con l’obiettivo evidente di delegittimare l’ordine giudiziario e avviare una rapida riforma in modo da sottomettere tale organo al potere esecutivo, ottenendo almeno due risultati: difendere gli interessi di Cesare Previti, che nella sua caduta può trascinare il Presidente del Consiglio, e del suo antico sodale Silvio Berlusconi, e l’accelerazione dell’attuazione del “Piano di rinascita democratica” di Gelli, anche per quel che riguarda la Magistratura.

Col processo di Milano a Previti e Berlusconi si esperimentano, inoltre, i modi del controllo politico dell’esecutivo sulla magistratura per un futuro annullamento dell’organo di autogoverno, e per la sottomissione della Magistratura all’esecutivo in un regime parafascista.

Appiccicare etichette infamanti ai magistrati che danno fastidio, perché lavorano bene, hanno scoperto, possono scoprire o confermare verità scomode, è il mestiere migliore per provare a bloccarli.” (Giovanni Verde, vicepresidente del Consiglio superiore della magistratura).

Cercare di strappare le inchieste scottanti ai giudici coraggiosi e imparziali è costume antico da parte di chi si reputa al di sopra della legge.

Scrive il giornalista Pansa, nel non lontano 1990, nel suo libro “Il Regime”: “Ogni volta che un giudice aveva tentato di aprire la botola dove sibila la Politica del serpente, questo giudice l’avevano fermato.”

Infatti, al 1990, c’era chi era già stato ucciso, come V. Occorsio, G. Costa, C. Terranova, R. Chinnici, M. Amato.

C’era chi era scampato, solo per caso, all’assassinio, come Carlo Palermo e Giovanni Falcone (il giudice che fra poco morirà dilaniato con moglie e scorta da una bomba mafiosa). C’era chi era stato accusato di essere un giudice “rosso”, come Libero Mancuso, come alcuni giudici oggi, a cui sono state tolte anche le scorte. C’era, infine, chi si era visto strappare l’inchiesta sulla base di cento ragioni sempre diverse, ma dall’esito sempre uguale: l’alto là nella ricerca dei colpevoli.

Sul finire degli anni novanta il giudice da bruciare era Felice Casson, che da Venezia indagava sulla strage di Peteano e sui misteri di Gladio. Venne diffamato da più parti, ma l’attacco più pericoloso per l’autonomia dei giudici venne da quella istituzione che dovrebbe essere super partes, la presidenza della Repubblica nelle vesti di Francesco Cossiga, che così si esprimeva: “…che poi significa che ogni ragazzino, che ha vinto il concorso, ritiene di dovere esercitare l’azione penale a dritto e a rovescio, come gli pare e piace, senza rispondere a nessuno“.

Incitato anche dai suoi fedelissimi uomini forti, tra cui Licio Gelli (amico e sodale di Berlusconi e di Craxi, tra gli altri) che lo invitava a mettersi ” a capo di un movimento politico degli onesti e dei galantuomini per liberare l’Italia da vandali e lanzichenecchi della politica “, Francesco Cossiga poté finalmente esprimere se stesso.

L’uomo della destra DC, il fautore della Repubblica presidenziale, il rappresentante delle gerarchie militari, riteneva giunto il momento di potere manifestare la sua avversione per l’impianto antifascista della Costituzione e di potere agire, di fronte allo sfascio dei partiti, per una sua modificazione in senso autoritario.

C’erano le esternazioni di Martelli e di Craxi, ogni volta che un giudice indagava su un più o meno presunto scandalo; ecco questi politici garantisti respingere ogni accusa, ad invocare misure contro i magistrati “comunisti”, a prendersela con i giornalisti!!

Vecchio costume, dunque, quello del potere politico, che si sente minacciato nei suoi privilegi, di tentare di delegittimare quella parte di magistratura che vuole agire in modo imparziale.

Oggi l’ex sottosegretario agli Interni Taormina può dichiarare: “Temo un golpe di quella parte dei magistrati organici alla Sinistra, un colpo di coda per buttare giù il governo“.

In una intervista televisiva ad Enzo Biagi, rilasciata il 21 novembre 2001, il sottosegretario per l’interno Carlo Taormina ha affermato: “C’è un manipolo di magistrati settari che hanno scorrazzato per la magistratura. Io punto a liberare il paese da queste escrescenze“.

In altre dichiarazioni il sottosegretario Taormina, convinto di interpretare l’opinione pubblica, invitava la procura della Repubblica di Brescia ad arrestare i giudici del tribunale di Milano, colpevoli di avere emesso una decisione da lui non condivisa, cioè la decisione di proseguire il processo SME-Ariosto. Il ministro Castelli rivela il vero ruolo di Taormina e il gioco delle parti nelle polemiche nella “Casa delle libertà”: “Tutto merito di Taormina. E’ lui che ha avuto il coraggio di sollevare la questione. Le polemiche e i fatti degli ultimi giorni mi hanno convinto che ormai era giunto il tempo di intervenire e che il luogo più adatto per farlo fosse il Parlamento.” E così – chiosa Mario Sechi che intervista il ministro – Taormina ha messo il detonatore e Castelli, per non essere da meno, ha fatto esplodere la carica.

Dopo il “caso Taormina”, il Governo accelera sulla riforma della giustizia. Berlusconi: “In sei mesi porteremo a casa il risultato“.

Uno dei cardini fondamentali della nostra democrazia, prevista dalla nostra Costituzione antifascista nell’articolo 104, è l’autogoverno dei giudici, a garanzia dell’indipendenza della magistratura dal potere esecutivo, che è stata conquistata solo nel 1958 con l’istituzione del Consiglio Superiore della Magistratura. Ci sono voluti dieci anni di conflitti acerrimi tra le forze politiche che rappresentavano il movimento operaio e la destra democristiana che, proprio per ostacolare lo sviluppo in senso democratico della nostra Repubblica, contrastava l’attuazione di tale istituzione. Non è un caso che le stesse forze antidemocratiche di allora, proprio ora siano nuovamente all’attacco contro l’indipendenza della magistratura e dello statuto dei lavoratori, posto nel 1968, dopo molte lotte, a tutela dei diritti dei più deboli.

E’ interessante, a questo punto, leggere una parte del “Piano di rinascita democratica”, perché è illuminante per capire gli scopi degli attacchi di questi giorni, violenti e ignominiosi, di Taormina e del governo, contro la Magistratura:

Per la Magistratura è da rilevare che esiste già una forza interna (la corrente di magistratura indipendente della Associazione Nazionale Magistrati) che raggruppa oltre il 40% dei magistrati italiani su posizioni moderate. E’ sufficiente stabilire un raccordo sul piano morale e programmatico ed elaborare una intesa diretta a concreti aiuti materiali per poter contare su un prezioso strumento, già operativo nell’interno del corpo, anche ai fini di taluni rapidi aggiustamenti legislativi che riconducano la giustizia alla sua tradizionale funzione di elemento di equilibrio della società, e non già di evasione. Qualora invece le circostanze permettessero di contare sull’ascesa al Governo di un uomo politico (o di un gruppo) già in sintonia con lo spirito del club e con le sue idee di “ripresa democratica”, è chiaro che i tempi dei procedimenti riceverebbero una forte accelerazione anche per la possibilità di attuare subito il programma di emergenza e quello a breve termine in modo contestuale all’attuazione dei procedimenti sopra descritti. In termini di tempo ciò significherebbe la possibilità di ridurre a 6 mesi ed anche a meno il tempo di intervento, qualora sussista il presupposto della disponibilità dei mezzi finanziari.”

Ci sembra esattamente, il tempo che Berlusconi ha promesso di impiegare per la riforma della Magistratura

Il risultato finale di tutta l’operazione avrebbe dovuto restituire una magistratura più controllata (con la diversa regolamentazione degli accessi e delle carriere), meno autonoma (con la modifica del C.S.M.), con un pubblico ministero separato, e legato alla responsabilità politica del Ministro di giustizia.

Ora, i singoli processi milanesi e il complessivo sistema dei controlli di legalità possono essere neutralizzati da una maggioranza, tale da essere in grado di imporre un nuovo iter costituzionale e legislativo.

Inoltre, essendosi assunto la rappresentanza di tutti gli interessi criminali della sua base elettorale, Berlusconi deve pure assicurare anche a questi la sua stessa immunità o altri favori.

La diversità della fase politica di oggi, rispetto a quella degli anni ‘80-‘90, è evidente:

  • una schiacciante maggioranza parlamentare in grado di attuare rapidamente le riforme che ha in programma, incurante delle proteste dei lavoratori e degli antiliberisti;
  • un centrosinistra che, avendo un programma in larga parte simile a quello del centrodestra, non è in grado di esercitare una reale opposizione;
  • una maggioranza nel paese reale, che ha superato i traumi di Tangentopoli, assumendone i “valori”.

E’ sorprendete il fatto che molti non si rendano conto di come Berlusconi con la sua maggioranza governativa sia il nodo conclusivo e, per la sua stessa origine, naturalmente abilitato a operare da tutti quei poteri forti economici, più o meno occulti, più o meno legali che hanno manovrato in Italia in tutti questi anni per piegare il corso della politica italiana verso i loro obiettivi :

  • modificare la Costituzione italiana in senso autoritario e antidemocratico ;
  • attuare la loro Repubblica presidenziale, “la repubblica degli onesti”, come la chiamava Licio Gelli, quando incitava Francesco Cossiga a mettersi a capo di questo progetto, contro la Magistratura dei “giudici ragazzini”.

Un piano, quello di Gelli che, giova ricordarlo, si era formato fin dall’inizio della nostra Repubblica negli ambienti politici ed economici, militari e dei servizi segreti. Un gruppo consistente e potente, che temendo la democraticità e la “pericolosità” della nostra Costituzione, per la possibilità che dava alla sinistra di accedere al potere governativo attraverso le elezioni, si adopera fin da subito a creare le condizioni perché ciò non avvenisse, e per neutralizzare le richieste legittime della classe lavoratrice.

Scrive Gianni Flamini nel suo “Il partito del golpe”:

” Nel 1973 Edgardo Sogno organizzò a Firenze sotto l’egida del suo “Comitato di resistenza democratica”, nei locali della “Nazione” del golpista Attilio Monti, un convegno sulla “rifondazione dello stato”.

Al convegno, finanziato anche dalla FIAT, intervennero personaggi con cariche pubbliche importanti, come il giudice costituzionale Vezio Crisafulli, il quale aprì i lavori affermando: “Il tema delle modificazioni costituzionali pone i seguenti problemi: repubblica presidenziale, abolizione dell’assurdo, ingombrante bicameralismo, delimitazioni delle competenze parlamentari, con conferimento di poteri normativi propri al governo, unificazione della figura del presidente del consiglio con quella del segretario del partito di maggioranza.

Tra gli altri intervennero sul medesimo tono Aldo Sandrelli, Domenico Fisichella, il componente del Consiglio Superiore della Magistratura Gianni Di Benedetto, Valerio Zanone, Antonio Patuelli.

Intervenne anche il consigliere speciale di Fanfani Antonio Lombardo,ex appartenente a Ordine nuovo, il quale pose il problema: costituzione antifascista o anticomunista?

Sogno teneva contatti con tutte le aree del golpismo bianco (Mar di Fumagalli,Rosa dei Venti,Europa 70) e nero (Fronte di Borghese,Ordine nuovo, eccetera) ed agiva in proprio,in stretto rapporto con l’Esercito e i Carabinieri.

Al convegno parteciparono, ad esempio, anche i democristiani del movimento “Europa 70”, Pietro Giubilo, Celso De Stefanis, Maurizio Gilardi, i quali affermarono: “Il periodo di centrosinistra ha prodotto più disastri nel nostro paese di una guerra e ha generato germi di dissoluzione, forze ed energie altamente incontrollabili. C’è la consapevolezza, molto più diffusa di quanto non si possa pensare, che la prima repubblica è finita“.

Nel concludere i lavori Edgardo Sogno, soddisfatto della generale accoglienza avuta dalla sua proposta di seconda repubblica presidenziale, mandò un messaggio a Giovanni Leone perché intervenisse anticipando i tempi, aggiungendo nella sua qualità di ambasciatore che ciò era auspicato anche negli Usa.

Il 22 agosto 1974 il PM di Torino Violante ordinò una perquisizione nella casa di Sogno, (che ebbe tempo di sparire), ritenendo che “Edgardo Sogno agisce per la costituzione di una organizzazione intesa a riunire tutti i gruppi di estrema destra, tra i quali Ordine nuovo in epoca successiva al suo scioglimento”.

Nello stesso periodo, con un comunicato stampa congiunto, il MAR di Fumagalli, le SAM, Avanguardia Nazionale, Potere Nero dichiararono guerra allo Stato.

Il 28 luglio 1974, durante il congresso del PLI, Partito Liberale Italiano,Sogno denunciò il pericolo di un golpe marxista e propose di attuare un colpo di stato liberale per prevenire i tempi.

Poco dopo, il 4 agosto 1974, avvenne la strage sul treno “Italicus”, a San Benedetto Val di Sambro, linea ferroviaria Firenze-Bologna.

In un’abitazione del faccendiere Ferdinando Mach di Palmstein, arrestato nel 1994, fu trovato un dossier di sessanta pagine, intitolato “Costituzione rivista e rivoluzionata”, redatto da Salvatore Spinello, Gran Maestro della Massoneria, che agli inquirenti confessò di avere scritto il documento, lautamente ricompensato. Si tratta di un documento molto simile al “Piano di rinascita democratica”, che prevede la stessa riforma della magistratura e l’avvento della Repubblica presidenziale, le stesse riforme oggi annunciate da Berlusconi.

Stragi, attentati e intrighi, scenari agghiaccianti tessuti da molti settori politici ed economici italiani e stranieri fin dall’inizio della Repubblica italiana per imprimere alla nostra nazione una svolta politico-sociale conforme ai loro interessi politici ed economici.

Ormai sappiamo quanto vasto fosse il fronte golpista, e come questo fronte si sia, in un certo senso, rafforzato, pur avendo cambiato strategia, data la fase politica e sociale del nostro paese favorevole a certi poteri economici dominanti.

L’attacco contro l’intero sistema contrattuale dei lavoratori e contro i loro diritti definiti negli anni ’60 e ’70, è stato fin da subito l’obiettivo primario della classe padronale, che negli anni ’80, “regnante” Craxi, era riuscita ad ottenere l’abolizione della scala mobile.

Durante gli anni ’80 il sistema delle imprese aveva progressivamente affinato un rapporto di “mutualità” con il sistema politico dominante.

Il mondo dell’imprenditorialità aveva consolidato un legame d’affari, al bordo della Legge, con il mondo della politica, che in seguito è sfociato in Tangentopoli. Negli anni ’90, la Confindustria ha ritirato ogni delega al sistema politico e si è presentata sulla scena come soggetto indipendente. L’offensiva ha sempre più coinvolto il contratto nazionale, con il suo potenziale di unificazione dei diritti, delle condizioni di lavoro e dei salari in tutto il paese, con la sua obiettiva funzione di contro tendenza rispetto ai meccanismi del liberismo selvaggio. Quindi l’attuale offensiva padronale si volge contro lo Statuto dei diritti di lavoratori, contro l’essenza stessa dei diritti conquistati negli anni ’60 e ’70.

Il grande capitale con l’inserimento del centrosinistra nell’area di governo ha ricercato, non tanto dei benefici economici, quanto invece la paralisi del movimento operaio e l’indebolimento delle sue organizzazioni, così da poter riprovare a colpire i lavoratori frontalmente, in condizioni più favorevoli con un rinnovato schieramento di centro-destra.

Il governo di centrosinistra ha corrisposto alle aspettative del capitale, paralizzando i sindacati e inducendo i lavoratori a delegare sempre più la rappresentanza dei propri interessi ai giochi parlamentari e istituzionali.

I padroni hanno potuto, così, sferrare con maggiore facilità i colpi contro i lavoratori e i loro organismi. Basti pensare a quanto accaduto alla Fiat, nelle tante fabbriche in cui si è continuato a licenziare, o alla vicenda del rinnovo del contratto dei metalmeccanici. La forza organizzata e l’unità della classe operaia è stata ulteriormente frantumata e indebolita, con grande soddisfazione di quei “poteri forti”, la grande e media industria, in commistione con la piccola industria dei padroncini, leghisti e loro omologhi, che si stavano preparando per tornar all’assalto contro le condizioni di vita dei lavoratori.

In tutto ciò il movimento operaio italiano ha imboccato una strada già percorsa in altri paesi europei con risultati fallimentari, perché i governi di centrosinistra hanno predisposto, con la smobilitazione del proletariato, un terreno più duttile all’attacco capitalistico, consegnando ampi strati di lavoratori alla demagogia delle destre. Era già accaduto in Francia, in Spagna, in Inghilterra. Ora è avvenuto anche in Italia, con una di quelle tipiche accelerazioni che caratterizzano lo scontro politico nell’epoca dell’imperialismo.

Mentre il centrosinistra era impantanato nelle sabbie mobili della politica richiesta dal capitalismo, Berlusconi ha saputo tessere la sua tela e compattare le varie fazioni borghesi, per guidare tutta la classe capitalistica ad un attacco frontale contro i lavoratori.

Il Partito politico-aziendale “Forza Italia” del Cavaliere Berlusconi con i suoi alleati, ora, è così compatto da costituire un vero e proprio club, che può procedere celermente verso mutamenti istituzionali e sociali sul modello del progetto di “Rinascita Democratica”, presentato da Licio Gelli, ma evidente frutto dell’elaborazione di esperti costituzionalisti, di industriali, di esperti della comunicazione e di politici interni alla DC e ai partiti che avevano concorso alla formazione del pentapartito, al governo di centro-sinistra.

Il Piano di “Rinascita Democratica” fissava, dandosi obiettivi a breve, medio e lungo termine, i punti necessari per il raggiungimento dello scopo e indicava gli obiettivi da tenere presenti: i partiti, i sindacati, il Governo, la Magistratura, il Parlamento. Partiti, stampa e sindacati dovevano, fin da subito, (anni ’70), essere oggetto di quella opera di “penetrazione” da parte di persone di fiducia che, con un costo prevedibile di trenta o quaranta miliardi, avrebbero potuto assicurare il controllo degli apparati, rendendoli disponibili all’operazione di salvataggio, obiettivo del Piano. Il resto del documento analizzava ogni settore, individuando gli obiettivi da raggiungere immediatamente, o in tempi più lunghi.
Tale disamina è preceduta da una premessa: “Primario obiettivo e indispensabile presupposto dell’operazione è la costituzione di un club, di natura rotaryana per l’omogeneità dei componenti, ove siano rappresentati, ai migliori livelli, operatori imprenditoriali e finanziari, esponenti delle professioni liberali, pubblici amministratori e magistrati, nonché pochissimi e selezionati uomini politici, che non superi il numero di trenta o quaranta unità.

A tappe successive, con strategie diverse, la ragnatela dello “Stato parallelo” è riuscita a ad impadronirsi del potere politico ed economico del Paese e a realizzare il suo Piano.

“Ci avete sconfitti, ma adesso sappiamo chi siete. Tutti noi che ci siamo occupati di stragi, di poteri occulti ne siamo usciti con le ossa rotte. Abbiamo lavorato in condizioni difficili, in un clima di aggressione. Sono cose che lasciano il segno. Per qualche tempo ci siamo illusi di rappresentare uno Stato che avesse la volontà di fare luce su crimini mostruosi. Poi io ho capito: non è possibile fare giustizia su fatti che sono tragedie umane, per il numero elevatissimo di vittime innocenti, ma anche tragedie storiche, per ciò che hanno significato per il nostro assetto democratico” Libero Mancuso (magistrato, Pm al processo di primo grado per le bombe del 2 agosto 1980, alla stazione di Bologna)

11. Sintesi del Piano di “Rinascita Democratica”, elaborato dalla Loggia massonica segreta P2, del Gran Maestro Licio Gelli.

Il Piano di “Rinascita Democratica” si apre con una premessa di ordine politico generale, seguita da una seconda parte di ordine programmatico.

Premessa:

  • La situazione politica italiana è caratterizzata dalla non governabilità e dalla conflittualità sociale incontrollata.
  • La crisi economica viene aggravata dai salari troppo alti e dalla produttività del lavoro troppo bassa.
  • Alla crisi economica si affianca una crisi morale, dovuta alla ‘crisi’ della famiglia ed alla laicizzazione dei costumi.
  • L’incapacità di direzione politica della DC in crisi, con le Confederazioni Sindacali costrette a governare l’anarchismo sociale, può portare a conseguenze negative, già conosciute nel passato in vari Paesi, come in Russia nel 1917, in Italia nel 1922 ed in Germania nel 1933. La Francia, nel 1958, si salvò grazie al Generale De Gaulle.
  • In Italia il PCI fa il doppio gioco, mostra la faccia democratica, mentre sappiamo che esiste un piano del KGB per prendere il potere. Le elezioni mostrano questa escalation.
  • All’avanzata del PCI corrisponde una crisi della DC, col pericolo di una polarizzazione di voti a destra, evento che può scatenare la guerra civile.
  • D’altro canto l’Italia è inserita nel sistema di alleanze occidentali e una presa del potere da parte del PCI potrebbe scatenare un conflitto internazionale.
  • Si tenga presente, a questo proposito, la posizione strategica dell’Italia nell’area petrolifera mediterranea.
  • La situazione è gravissima, non possiamo starcene con le mani in mano ed attendere gli eventi. Dobbiamo favorire il formarsi di due schieramenti politici, uno social-laburista ed uno conservatore, favorendo lo scongelamento dei voti del MSI.
  • I tempi sono stretti, è necessario quindi puntare sullo schieramento dei partiti esistenti: PSI, PRI, DC, PLI e PSDI.

Segue un’analisi della crisi della DC, scritta da una mano e con un tono molto interni al partito.

Gli elementi principali di crisi della DC vengono individuati nel distacco dalla Chiesa, nel benessere che ha provocato l’allontanamento di intere categorie sociali, nelle lotte intestine tra le correnti e nella questione morale:

  • La rifondazione della DC deve quindi passare attraverso un nuovo assetto territoriale (clubs territoriali e settoriali) per instaurare un nuovo rapporto coi ceti medi, e attraverso la formazione culturale e teorica dei quadri.

In conclusione del documento l’estensore, che evidentemente conosce bene l’ambiente democristiano, si preoccupa di aggiungere che saranno necessari almeno 10 miliardi (del 1976) per acquistare un numero di tessere sufficienti per controllare il partito:

  • Altri 10 miliardi saranno necessari per impedire l’unità sindacale, peggiore nemico della democrazia sostanziale, come testualmente indica il documento.

Segue la seconda parte del Piano di rinascita, più direttamente programmatica che, riassunta per argomenti, è stata integrata con le dichiarazioni di Licio Gelli, contenute nella famosa intervista al Corriere della sera del 5 ottobre 1980, fatta da Maurizio Costanzo, giornalista P2.

  • Collegamenti internazionali. E’ importante stabilire un collegamento stretto con la massoneria internazionale.
  • Partiti. I partiti da interessare al progetto sono PSI, PRI, DC, PSDI e PLI, verificando la disponibilità dei seguenti uomini: per il PSI, Craxi, Mancini, Mariani; per il PRI, Visentini e Bandiera; per il PSDI, Orlandi e Amadei; per la DC, Andreotti, Piccoli, Forlani, Gullotti, Bisaglia; per il PLI, Cottone e Quilleri. Occorrerà uno stanziamento di 40 miliardi per far acquisire posizioni di preponderanza agli uomini sui quali punteremo nei rispettivi partiti.
  • Magistratura. Per la conquista di posizioni di potere nel Consiglio superiore, possiamo contare sulla presenza organizzata di Magistratura indipendente, di orientamento moderato e che conta sul 40% dei magistrati.
  • Sancire la responsabilità del Guardasigilli nei confronti del Governo, per l’operato del pubblico ministero. Nella sua responsabilità nei confronti del Governo, il pubblico ministero deve assumere un ruolo distinto da quello del giudice.
  • Modificare la costituzione nel senso di portare il Consiglio superiore della magistratura a rispondere nei confronti del Governo.
  • Modificare le norme sulla concessione della libertà provvisoria, rendendole meno permissive.
  • Introdurre la responsabilità civile del magistrato.
  • Divieto di nominare sulla stampa i magistrati investiti da procedimenti giudiziari.
  • Reintrodurre la soluzione meritocratica nella carriera dei magistrati.
  • Stampa e informazione. Dissolvere la Rai in nome della libertà di antenna, art.21 Costituzione, abolendone il monopolio.
  • Conquistare le televisioni via cavo, costituendo agenzie locali per il controllo delle emittenti.
  • Acquisire il controllo di alcuni settimanali, Europeo ecc., da gestire con la formula del Settimanale.
  • Legare al nostro progetto giornalisti delle seguenti testate: Corriere, Giorno, Giornale, La stampa, Resto del carlino, Messaggero, Il tempo, Roma, Mattino, Gazzetta del mezzogiorno, Giornale di Sicilia, Europeo, Espresso, Panorama, Epoca, Oggi, Gente, Famiglia cristiana e, naturalmente, la Rai-tv. A questi giornalisti bisognerà dare l’indicazione di ‘simpatizzare’ coi nostri candidati nei partiti.

Nell’intervista al Corriere della sera, Gelli preciserà le posizioni, affermando che al Governo avrebbe dovuto andare un socialista ed alla Presidenza della repubblica un democristiano. Successivamente si riuscirà a ricostruire che i candidati erano rispettivamente Craxi e Andreotti

  • Stampa e informazione. Dissolvere la Rai in nome della libertà di antenna, art.21 Costituzione, abolendone il monopolio.
  • Conquistare le televisioni via cavo, costituendo agenzie locali per il controllo delle emittenti.
  • Acquisire il controllo di alcuni settimanali, Europeo ecc., da gestire con la formula del Settimanale.
  • Legare al nostro progetto giornalisti delle seguenti testate: Corriere, Giorno, Giornale, La stampa, Resto del carlino, Messaggero, Il tempo, Roma, Mattino, Gazzetta del mezzogiorno, Giornale di Sicilia, Europeo, Espresso, Panorama, Epoca, Oggi, Gente, Famiglia cristiana e, naturalmente, la Rai-tv. A questi giornalisti bisognerà dare l’indicazione di ‘simpatizzare’ coi nostri candidati nei partiti.

Per quanto riguarda la stampa, nell’intervista del 1980 Gelli, in risposta ad una domanda fatta apposta da Costanzo, porterà un durissimo attacco a L’Espresso e Panorama che, su informazioni passate dai massoni di sinistra, nel 1976 condussero parecchie inchieste sulla massoneria e sul ruolo golpista svolto dalla P2.

  • Sindacati. Soltanto attraverso una scissione delle tre Confederazioni (definite, nell’originale del testo, Trimurti) sarà possibile costruire un vero sindacato, libera associazione di lavoratori, disposto alla collaborazione per realizzare gli obiettivi della produzione. Per favorire la rottura, possiamo puntare sulla intera UIL e sulla minoranza della CISL (Marini).
  • Inoltre è urgente passare all’attuazione degli articoli 39 e 40 della Costituzione, concernenti la regolamentazione giuridica del sindacato e del diritto di sciopero.
  • In materia di contrattazione si dovranno richiedere l’eliminazione delle festività infrasettimanali e la riduzione del costo del lavoro.
  • Successivamente dovremo valutare la possibilità di attuare la cogestione nelle aziende sul modello Germania.

Nella già citata intervista del 1980, Gelli rincarerà la dose nei confronti del sindacato, affermando: “La normativa e l’applicazione del cosiddetto Statuto dei lavoratori non ha bisogno di commenti. Mi sembra che l’Italia sia l’unica nazione in tutto il mondo ad avere una legge di questo tipo, ma i risultati dal 1970 ad oggi sono, purtroppo, più che evidenti. Certe conquiste ci ricordano che anche Pirro vantò la sua vittoria”.

  • Ordine pubblico. Bisogna ripristinare la possibilità, da parte delle forze dell’ordine, di interrogare direttamente i fermati (fermo di polizia).
  • Scuola. La disoccupazione intellettuale giovanile è pericolosa perché fomenta rivolte, è necessario quindi togliere valore legale al titolo di studio. L’egualitarismo nella scuola è un elemento di disgregazione, è necessario reintrodurre il merito come valutazione. Soltanto i più meritevoli devono poter accedere ai livelli superiori di istruzione. Per quanto riguarda la scuola, dobbiamo aggiornare il messaggio del presidente Leone.
  • Fisco. Abolire la nominatività dei titoli di ogni genere. Concedere forti sgravi fiscali ai capitali esteri per favorire gli investimenti nel nostro Paese. Prevedere forti sgravi fiscali per gli utili accantonati dalle aziende e reinvestiti come autofinanziamento. Ridurre le aliquote per i lavoratori dipendenti.
  • Pensioni. Vietare il pagamento della pensione prima dei 60 anni. Eliminare il cumulo di più pensioni. Controllo rigido delle pensioni di invalidità.
  • Costituzione e Presidenza della repubblica. Sancire la non rieleggibilità del Presidente, riducendone contemporaneamente il mandato a soli cinque anni ed eliminando anche il semestre bianco.
  • Governo e Parlamento. Qualora avessimo a primo ministro uno dei nostri candidati, evidentemente i tempi della nostra iniziativa potrebbero essere notevolmente accelerati e facilitati.
  • Varare urgentemente, in base all’art.95 della Costituzione, le leggi sulla Presidenza del consiglio e sulla nomina dei ministri, in modo che il Presidente del consiglio sia eletto dal Parlamento, introducendo la norma della sfiducia costruttiva (modifica costituzionale) e che i ministri vengano a perdere la qualifica di parlamentari, diventando collaboratori del Presidente del consiglio, suoi dipendenti, scelti sotto la propria responsabilità.
  • Riforma della Costituzione agli articoli 28, 97, 98, fondati sulla teoria dell’atto pubblico non amministrativo, sancendo la responsabilità personale, non politica, degli amministratori pubblici.
  • Istituire sessioni di dibattito parlamentare con corsie privilegiate da parte del governo, sancendo contemporaneamente la non emendabilità dei decreti legge.
  • Modifica della legge elettorale, istituendo collegi uninominali anche per la Camera, in modo da ridurre i deputati a 450 e i senatori a 250.
  • Modificare la funzione delle due Camere, assegnando ai deputati funzioni politiche ed ai senatori funzioni economiche e di controllo.
  • Modificare la legge di bilancio dello Stato, passando da quello di competenza a quello di cassa.

Modificare la contabilità degli enti locali, permettendo il consolidamento del loro debito, ma stabilendo vincoli rigidi sull’accensione di nuovi prestiti e sull’insieme della spesa.costituzione e Presidenza della repubblica. Sancire la non rieleggibilità del Presidente, riducendone contemporaneamente il mandato a soli cinque anni ed eliminando anche il semestre bianco.

Nel 1980, però, Gelli esprimerà una posizione molto più nettamente presidenzialista ed anticostituzionale. In materia presidenziale, con riferimento indiretto, alla domanda di Costanzo: “Sbaglio o in più occasioni lei si è espresso a favore di una repubblica presidenziale?” rispondeva: “Sì, anche in una relazione che inviai al presidente Leone”. La relazione terminava portando come esempio De Gaulle. Più avanti, in materia costituzionale, Gelli affermava: “Ma quando fossi eletto, il mio primo atto sarebbe una completa revisione della Costituzione”.

Note bibliografiche

Aldo Giannulli: “Lo stato parallelo – Cronologia 1942-1992”; collana I libri dell’Altritalia; supplemento al n.9 di “Avvenimenti”.

Gianni Cipriani, Giuseppe De Lutiis: “I servizi segreti”; collana I libri dell’Altritalia; supplemento al n.13 di “Avvenimenti”.

Gianni Flamini: “Il partito del golpe”; Bovolenta editore.

AA.VV.: “Banda armata -La sentenza del giudice Casson su ‘Gladio'”; collana I libri dell’Altritalia; supplemento al n.48 di “Avvenimenti”.

Gian Pietro Testa: “Storia dell’Italia delle stragi – 1969-1993”; collana I libri dell’Altritalia; supplemento al n.30 di “Avvenimenti”.

Gian Pietro Testa: “Le stragi nere”; collana I libri dell’Altritalia; supplemento al n.8 di “Avvenimenti”.

Gian Pietro Testa: “La strage di Peteano”; ed.Einaudi.

Michele Gambino: “Cossiga – Biografia di un golpista”; collana I libri dell’Altritalia; supplemento al n.4 di “Avvenimenti”.

Michele Gambino: “La Loggia P2 – La storia e i documenti”; collana I libri dell’Altritalia; supplemento al n.12di “Avvenimenti”.

Michele Gambino, Edgardo Pellegrini: “I segreti della Massoneria”; collana I libri dell’Altritalia; supplemento al n.45 di “Avvenimenti”.

Gianni Flamini: “Il memoriale di Gelli”; ed.”L’Espresso”.

AA.VV.: “Andreotteide – Le denunce insabbiate. Le spiritosaggini. I verbali davanti alla Commissione P2”; collana I libri dell’Altritalia; supplemento al n.13 di “Avvenimenti”.

Sergio Flamigni, Michele Gambino: “Il caso Moro”; collana I libri dell’Altritalia; supplemento al n.6 di “Avvenimenti”.

Michele Gambino: “Craxi – Biografia non autorizzata di un giocatore di poker”; collana I libri dell’Altritalia; supplemento al n.20 di “Avvenimenti”.

Giampaolo Pansa: “Il regime”; Sperling & Kupfer Editori.

Antonio Cipriani, Gianni Cipriani: “Sovranità limitata”; Edizioni Associate, 1991

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FINE

Dalla P2 a Forza Italia

http://www.controcorrente.info/Dossier/dallaP2pag1.htm 

Giusto lo scorso 8 settembre, sessantesimo anniversario della firma dell’armistizio, e all’indomani delle affermazioni del premier Silvio Berlusconi sulla “diversità antropologica” dei giudici italiani, Oscar Luigi Scalfaro si è lasciato andare sulle pagine dei maggiori quotidiani nazionali a paragoni gravissimi e molto espliciti che hanno chiamato in causa l’attuale governo: “Ci sono dei tarli che stanno erodendo la Costituzione e la storia d’Italia. Attenzione ai primi sintomi. Non facciamo finta di non vedere. Anche Mussolini andò al potere nel rispetto dello Statuto Albertino…”. Senza voler essere altrettanto audaci nel trovare analogie così lontane, quello che in nessun modo può sfuggire all’evidenza è la somiglianza, netta, decisa e inequivocabile, la continuità negli intenti, tra il partito-azienda istituito da Berlusconi all’indomani dello scandalo di Tangentopoli, il suo programma e la sua condotta di governo e il piano di quello che ancora oggi costituisce uno dei più fitti misteri del sottobosco politico dell’Italia della Prima Repubblica, vale a dire la Loggia P2. Lo dice la biografia stessa del Cavalier Berlusconi, che si fece strada come imprenditore, prima come costruttore, poi come editore, finendo per occuparsi infine pressochè di tutto, proprio nel periodo di massima espansione della Loggia massonica di Licio Gelli, cui infine risultò iscritto; lo dicono i suoi fitti rapporti col mondo politico ai tempi di Craxi, di Andreotti, di Forlani (il cosiddetto Caf); lo dice infine un attento confronto tra il programma stilato a suo tempo da Gelli e quello di Forza Italia.  Ed è tutto ciò che andiamo ad analizzare.

1.   LA LOGGIA P2
La P2 (dove P sta per propaganda) era una loggia massonica segreta, che sviluppò i suoi gangli nella società e nel mondo politico italiano a partire dal 1975 e, ufficialmente, fino al 1981, quando, per la precisione il 4 luglio, la polizia rinvenne una valigetta in possesso della figlia di Licio Gelli (il capo della P2) all’aeroporto di Fiumicino, contenente programma politico e memorandum della loggia, facendo istituire una Commissione parlamentare d’inchiesta. Lo scandalo portò alla crisi del governo Forlani, nelle cui stesse fila risultarono presenti due ministro pidduisti: Enrico Manca, che era al Commercio Estero, e Adolfo Sarti di Grazia e Giustizia. In sostanza, la loggia costruita da Gelli si proponeva come una vera e propria alternativa statale, un vero potere occulto a vocazione affaristica, che dichiarava in maniera esplicita di voler effettuare una stretta in senso autoritario e oligarchico in seno alle istituzioni, attraverso la corruzione e il condizionamento di politici, sindacati, giornalisti, magistrati, puntando all’infiltrazione occulta della longa manus della P2 in ogni settore della vita politica e sociale dello Stato.  Infiltrazione nei partiti, dunque, e controllo dei media: erano questi i due imperativi. Il Memorandum accluso al programma trovato in possesso della Gelli spiega molto bene il contesto storico e politico che portò alla nascita di questo movimento: una profonda crisi economica, con il boom del 1986 ancora molto lontano da venire, dovuta secondo i piduisti ad un eccesso di pretese salariali, dallo scarso rendimento sul lavoro (e qui risulta già evidente la lotta contro i sindacalismi e ogni forma di garantismo); ad un crisi morale profonda derivante dal fatto che l’Italia non sarebbe stata ancora una nazione pronta ad essere elevata a livello delle democrazie nordeuropee come invece si pretendeva, e che ebbe le sue drammatiche rappresentazioni nelle contestazioni del 1977, nella strategia del terrore propugnata dai gruppuscoli extraparlamentari di destra e di sinistra, le stragi, il rapimento e la morte di Aldo Moro da parte delle Brigate Rosse, le spinte sindacaliste; allo stesso tempo causa ed effetto di tutto ciò naturalmente, una forte crisi del sistema politico stesso, caratterizzato da una forte instabilità, dalla perdita della capacità della Democrazia Cristiana di rappresentare una fetta finora importantissima di popolazione. Questo contesto sociale faceva temere ai massoni piduisti che una crescita esponenziale del Pci, unico partito in questa fase capace di interpretare i cambiamenti in vista, avrebbe portato l’Italia, geograficamente situata in una zona delicatissima, di confine tra l’Ovest atlanticizzato e l’est sovietico, alla deriva verso l’instaurazione di un regime comunista. Il rimedio è quindi, secondo il memorandum, costituito nel breve nel raccoglimento sotto lo stesso scopo comune di tutte le forze conservatrici moderate al fine di contenere l’emorragia di voti che dissanguava la Dc (ed è esattamente ciò che si verificò negli anni del pentapartito con Psi, Psdi, Dc, Pri e Pli), nel medio periodo lavorare alla “rifondazione e il ringiovanimento” del partito democristiano, con l’epurazione “dell’80% della dirigenza” fino addirittura all’ipotesi di “acquistare” il partito, attraverso il sistema di tesseramento; nel lungo perido si puntava all’instaurazione di un regime bipolaristico (con due differenti schieramenti, nessuno dei quali su posizioni estremiste, proprio come adesso). Si trattava dunque di un vero e proprio “piano concreto di ripresa” delle istituzioni, come viene chiamato nel testo, imperniato soprattutto sulla ristrutturazione della Dc, tradotta anche in una serie di nuove scelte politiche e di programma di governo. Quelle della P2. Al termine dei suoi lavori, la Commissione Parlamentare di inchiesta stabilirà che la Loggia P2 “si è posta come motivo di inquinamento della vita nazionale mirando ad alterare in modo spesso determinante il corretto funzionamento delle istituzioni secondo un progetto che mirava allo snervamento della democrazia. Tale organizzazione, per le connivenze stabilite in ogni direzione e ad ogni livello, e per le attività poste in essere, ha costituito motivo di pericolo per la compiuta realizzazione del sistema democratico”. La Loggia P2 verrà dichiarata sciolta a norma di legge. Il venerabile maestro Licio Gelli verrà inquistito dalla magistratura per reati gravissimi, tutti legati alle attività della Loggia: l’omicidio del giornalista Pecorelli, concorso in bancarotta per il crack del Banco Ambrosiano, come mandante dell’omicidio del banchiere Roberto Calvi, per la costituzione di capitali all’estero, per cospirazione politica, spionaggio, interesse privato in atti d’ufficio, rivelazione di segreti di Stato, finanziamento di gruppi armati a scopo eversivi, associazione sovversiva con finalità di strage, depistaggio di indagini, calunnia, millantato credito, associazione a delinquere e truffa aggravata. In totale, tra il 1992 e il 1994, sarà condannato a scontare 35 anni di detenzione.

2. L’ASCESA DI BERLUSCONI SOTTO IL SEGNO DELLA P2
L’ascesa di Silvio Berlusconi nel mondo dell’imprenditoria comincia nel 1962 e avviene per anni nell’ombra della lobby creata dagli appartenenti alla Loggia. Ne 1977 addirittura la loggia P2, celata ma ormai ben annidiata nella destra della Democrazia cristiana, arrivò a manifestare “pubblico affetto” a Silvio Berlusconi tramite il presidente della Repubblica Giovanni Leone (amico personale di Gelli), che lo fregiò del titolo di “Cavaliere del lavoro” insieme a Gianni Agnelli, a soli 40 anni e nonostante Berlusconi si fosse sempre dichiarato estraneo alle proprietà delle società presso le quali orbitava. Questa collusione di intenti culminò infine nel 1978 con l’affiliazione dello stesso Berlusconi agli elenchi della loggia. L’appoggio che il Cavaliere otteneva dalla P2 non era certamente spassionato, ma aveva dietro una strategia ben precisa: il giovane e rampante imprenditore era stato infatti indivuato da Gelli e compagni (anzi fratelli) come l’uomo che avrebbe fatto al caso loro per la realizzazione di molti punti fondanti del “Piano di Rinascita”. E questo connubio durò di lì in avanti per molto tempo, e paradossalmente, potremmo dire, non si è ancora mai spezzato. Nel 1962, dunque, Berlusconi entra nel campo dell’edilizia: tramite alcune società chiamate Edilnord, che cambieranno più di una volta denominazione sociale, managers, prestanome, e che godevano di misteriosi finanziamenti svizzeri, Berlusconi si occupava di comprare terreni, procurare licenze edilizie e rivendere gli appartamenti edificati. Ma a partire dalla seconda metà degli anni settanta il mercato edilizio entrò in crisi e Berlusconi rischiò il fallimento. A salvarlo fu Ferruccio De Lorenzo, che per l’Enpam (Ente Nazionale Previdenza e Assistenza Medici), di cui era presidente sotto il governo Andreotti, iniziò ad acquistare a prezzi ipermaggiorati gli stabili berlusconiani. Mai era successo prima di allora che l’Enpam acquistasse immobili da un privato (si trattò inizialmente di due alberghi nel milanese), eppure da lì in poi si sviluppò un vero e proprio sodalizio massonico e affaristico che durò fini agli anni novanta e che fruttò a Berlusconi benefici immensi ed uno sbocco commerciale e finanziario provvidenziale.  Non era certo un caso che Ferruccio De Lorenzo, ex parlamentare Pli, fosse iscritto alla loggia P2. Mino Pecorelli, scomodo giornalista dell’agenza Op, ex piduista “pentito”, tre mesi prima di essere assassinato (marzo 1979) scriveva a proposito: “Silvio Berlusconi, noto costruttore milanese, è uscito dalle difficoltà finanziarie che lo angustiavano a causa dell’equo canone. […] Per fortuna sua Carmelo Conte, un palermitano dalle mille maniglie, gli ha fatto vendere all’Ordine dei medici appartamenti di Milano2 per 33 miliardi”. Berlusconi, con le sue società e sorretto da anonime fiduciarie e dai finanziamenti del maggiore istituto di credito italiano, la Banca Nazionale del Lavoro, e dal Monte dei Paschi di Siena, che a partire dal 1978 erano ormai saldamente sotto il controllo di dirigenti affiliati alla P2, aveva intanto potuto realizzare la costruzione di diversi centri residenziali, vere e proprie città satelliti, tra cui le più importanti erano Brugherio, con la quale era iniziata l’avventura berlusconiana, la Milano 2 citata da Pecorelli, e Milano 3, in fase di realizzazione. Milano 2, soprattutto, completata nel 1979, fu al centro di uno scandalo dalle grosse proporzioni: Berlusconi, preoccupato dalla svalutazione economica causata dall’inquinamento acustico del nuovo centro, che sorgeva sulla rotta degli aerei in partenza dal vicino aeroporto di Linate, riuscì a convincere praticamente da solo, e con l’appoggio del parlamentare Dc Egidio Carenini (piduista) l’Aviazione Civile a cambiare le rotte aeree a scapito di altri otto comuni del milanese, che si videro invasi dagli aerei. Inoltre, Alitalia, Air France e Klm denunciarono l’assoluta pericolosità delle nuove rotte per le operazioni di decollo e atterraggio. Voci che rimasero inascoltate, o comunque prive di forza di fronte alle carte in mano a Berlusconi: d’altra parte, il Cavaliere godeva nell’affare di tutta la benevolenza della loggia segreta, già ben introdotta nei gangli della Dc e del Partito Socialista, il più forte per tradizione a Milano: tant’è che il progetto andava a nozze con uno dei punti inseriti nel “Piano di rinascita democratica” riguardanti il piano edilizio, ovvero quello che prevedeva una legge che imponesse alle Regioni il ricorso al sistema dei comprensori obbligatori sul modello svedese: esattamente ciò da cui traeva l’esempio la cittadella-comprensorio di Milano 2, per la costruzione della quale Berlusconi si era anche recato in Svezia personalmente.

La longa manus della P2 nei programmi doveva arrivare a toccare anche alcuni dei maggiori quotidiani nazionali, e anche in questo campo Berlusconi fu in prima fila in quegli anni. Tutto avviene nel 1977, quando Berlusconi diventa azionista (prima di minoranza, poi di maggioranza) del “Giornale Nuovo” quotidiano fondato da Montanelli in contrapposizione alla gestione sinistroide del Corriere della Sera di Piero Ottone. Quella del neo-Cavaliere non fu certo una mossa imprenditoriale, dal momento che si trattò di un acquisto molto oneroso e che il Giornale si mantenne costantemente in deficit, ma strettamente politico (contrastare l’avanzata del Pci). Nello stesso anno, la P2 entra in possesso anche del controllo del Corriere tramite l’affiliazione di Angelo Rizzoli, editore, e di Bruno Tassan Din, direttore generale della testata e parlamentare Dc, e forti mutamenti nel consiglio di amministrazione. Ottone si dimise, e al suo posto proprio Berlusconi si mosse per far insediare Franco Di Bella, che a sua volta entrò a far parte della P2. Così, mentre da un lato Berlusconi dichiarava di voler mettere a disposizione della destra Dc il Giornale, che infatti iniziò ad ospitare firme di numerosi piduisti, tra cui Antonio Martino, dall’altra apparirono sul Corriere lunghi articoli a sua firma, e nonostante ufficialmente il Cavaliere non occupasse ruoli all’interno del Corriere aldilà di quello di opinionista, il Cavaliere, intervistato da Giorgio Bocca per “Repubblica” il 17 maggio 1979, ne parlò come fosse l’editore (“Ai dirigenti attuali piace soprattutto premere l’acceleratore. Anche a me piace, ma ho l’avvertenza di tenermi al fianco alcuni frenatori”). Nel frattempo, era il 16 marzo del 1978, le Brigate Rosse rapirono Aldo Moro, fautore dell’accordo di maggioranza della Dc col Partito Comunista e per questo politicamente inviso a Berlusconi e alla P2. Ebbene, il “Giornale Nuovo” e il “Corriere della Sera” furono i maggiori sostenitori della linea della fermezza durante i due mesi del rapimento: lo Stato non doveva, assolutamente, trattare coi terroristi (non si è mai potuto appurare che tipo di rapporti ci possano essere stati tra i brigatisti e i piduisti infiltrati agli Interni), anche al prezzo della vita di un deputato: scelta che può avere le sue ragioni, ma la morte di Moro favorì senz’altro le strategie politiche di Gelli e compagni, segnando la fine della politica di solidarietà nazionale, sancita poche settimane dopo da una pagina del Corriere che delineava i nuovi scenari politici italiani (nuova politica edilizia, allontanamento del Pci, più forza all’ala Dc anticomunista): le firme di Berlusconi e De Carolis (destra Dc, piduista), più un’intervista a Bettino Craxi, che era espressamente citato nel Piano come possibile referente della P2 e che non a caso, di lì a poco, si espresse per una revisione in senso presidenzialista della Costituzione.

Ma il passo più importante di quel periodo, naturalmente, fu per Berlusconi la fondazione della Fininvest, e anche questa avvenne sotto lo stesso benevolente segno. Una prima Fininvest srl nacque nel 1975, poi assorbita dalla Fininvest Roma srl costituita nel 1978 da due fiduciarie della Bnl, Servizio Italia e Saf. Ora, mentre, come già messo in evidenza, la Banca Nazionale del Lavoro era tra gli istituti di credito italiani il pù esposto all’influenza della loggia, che contava su ben nove infiltrati tra i suoi massimi dirigenti, la Servizio Italia venne alla cronache perché presente in tutte le vicende del bancarottiere mafioso e piduista Michela Sindona, perché presidente e segretario (Ferrari e Graziadei) erano iscritti alla P2, perché tramite Servizio Italia operavano Rizzoli e Tassan Din, perché la stessa loggia P2 si avvalse di essa per una miliardaria operazione speculativa con la Savoia Assicurazioni. E il pieno controllo del sistema bancario (previsto naturalmente nel Piano) sarebbe dovuto passare anche per l’insediamento di Berlusconi, tra il 1978 e il 1979, ai vertici della Cariplo, ma purtroppo questa volta l’obiettivo svanì: troppo pochi piduisti coinvolti nell’ambiente, anche se l’affare fu soltanto rimandato, se è vero che nel 1993, prima dell’insediamento di Franco Tatò ai vertici di una Fininvest in deficit e commissionariata, la Cariplo risultò essere la maggiore creditrice (senza grandi garanzie) del gruppo del Biscione.

3. DALLO SCANDALO P2 A FORZA ITALIA
Già sul finire degli anni settanta inizia l’ascesa nel settore delle televisioni private, di cui Silvio Berlusconi riuscì ad imporre il proprio monopolio anche grazie al sostegno occulto della P2. Il Piano di Rinascita della loggia segreta prevedeva l’istituzione di un coordinamento delle Tv private locale “da impiantare a catena in modo da controllare la pubblica opinione media nel vivo del paese” ed è proprio la situazione che si andò costituendo col gruppo Fininvest. A scapito, naturalmente, della televisione pubblica, la Rai, penalizzata per tutti gli anni 80, fino alla legge Mammì, dai vari esecutivi che si sono succeduti. Si era cominciato nel 1976, quando per la prima volta la Corte Costituzionale si era pronunciata per l’autorizzazione delle trasmissioni private in ambito locale. Berlusconi, che trasmetteva con Telemilano a Milano 2, si attrezzò per espandersi in tutta la Lombardia, dando subito alla sua emittente un taglio da destra Dc. Nel 1980 la Fininvest originò una serie di società televisivo, tra cui Rete Italia e soprattutto Publitalia 80, tramite la quale Berlusconi poteva provvedere in proprio alla raccolta di pubblicità (e questa fu una mossa decisiva per la crescita del suo impero televisivo, perché mise le altre tv private in condizioni di dipendenza dal Cavaliere); sempre sul finire del 1980 Telemilano divenne Canale5, e da qui in poi cominciò l’escalation: contravvenendo alla legislazione vigente in materia tv, e di fatto alla sentenza della Corte Costituzionale, Canale5 iniziò proprio a “coordinare”, come diceva il Piano, le varie emittenti private regionali più deboli, arrivando a fornirle di cassette preregistrate, con inseriti già anche gli inserti pubblicitari, in modo da trasmettere in contemporanea su tutto il territorio nazionale i propri programmi e i proprio spot. Un palese aggiramento delle leggi, avallato però tanto dal primo governo Cossiga (un amico personale di Gelli) del 1979, con due ministri (Stamati, Commercio Estero, e Sarti, alla Difesa) e tre sottosegretari piduisti, quanto dal Cossiga bis (tre ministri e cinque sottosegretari infiltrati) e dal governo Forlani (tre ministri, cinque sottosegretari, il capo di gabinetto della presidenza del Consiglio, Semprini)  formati in rapida successione nel 1980. E sempre in quell’anno Berlusconi andò all’attacco del monopolio Rai “in nome della libertà d’antenna” proprio secondo i dettami del Piano, grazie anche all’appoggio dei suoi giornali. Lo scontro si gioca sull’acquisto dei diritti di trasmissione del Mundialito di calcio, cui la Rai rinuncia considerandoli troppo onerosi. Canale5 allora insorgerà rivendicando il suo diritto a trasmettere le gare del torneo, che si disputa in un paese, l’Uruguay, martoriato da una feroce dittatura militare con la quale Gelli in persona intratteneva affari finanziari (tra cui, pare, anche l’organizzazione del torneo): la questione si risolse con un grosso successo di immagine per la tv privata.

Il 20 maggio del 1981 scoppia fragoroso il caso P2, con il ritrovamento del Piano di Rinascita con allegato memorandum e dell’elenco degli affiliati. In cui c’è anche Silvio Berlusconi, che minimizzerà la cosa dicendo di aver solamente fatto un favore all’amico giornalista Gervaso che voleva scrivere sul Corriere della Sera piduista e che per questo cercava personalità prestigiose da presentare a Gelli. Fatto sta che la Loggia viene scoperchiata e messa fuorilegge, Gelli va in “esilio” ma Silvio Berlusconi è ormai tanto grande da poter andare avanti anche da solo, grazie alle ricchezze economiche accumulate, ad una fitta rete di solidarietà intessuta con gli altri ex pidusti e soprattutto per gli ormai fitti rapporti privilegiati col potere politico, l’ala destra democristiana ma in particolare l’emergente segretario socialista ed anticomunista Bettino Craxi. Sostegni di siffatta portata gli consentirono di conservare e consolidare il monopolio della televisione privata, in barba a qualsiasi sentenza della Corte Costituzionale. Nonostante questa avesse ribadito nel 1981 il divieto di interconnessione, erano sorti l’anno successivo Italia 1 di Rusconi e Rete 4 di Mondadori che imitavano i traffici di Canale 5, mettendone a rischio il monopolio: intervenne dapprima il Psi, chiedendo adeguate norma antitrust per penalizzare chi possedeva sia tv che altri mezzi d’informazione (Rusconi e Mondadori possedevano anche quotidiani e riviste, la Finivest, almeno direttamente, no) poi Berlusconi in persona, acquistando Italia 1, il più pericoloso dei due network, a suon di miliardi. In cambio degli appoggi politici, Berlusconi offrì a Craxi, in vista delle politiche dell’83, una risonanza enorme (altro che par condicio!) sui suoi due network, tanto da far dire alla parlamentare radicale Aglietta in una seduta di aprile di quell’anno: “I partiti consentono che il torbido mondo della P2, come in questa Camera con l’on. Labriola (capogruppo Psi affiliato alla P2), così con Berlusconi per Canale5 e Italia1, sia oggi più che ieri ideologicamente e politicamente attivo con gli stessi mezzi: contrattazione selvaggia con la partitocrazia”. Anche il 1984 è un anno molto caldo sul fronte televisivo privato. Berlusconi diventa definitivamente monopolista del settore acquistando anche Rete 4, ma in ottobre i pretori di Piemonte, Lazio e Abruzzo vietano l’interconnessione delle reti, quindi la trasmissione simultanea dello stesso programma su scala nazionale. Il che non comportava certo l’oscuramento delle reti, come fu invece fatto credere dalla Fininvest per scatenare una campagna basata sulla libertà di informazione che colpì molto l’opionione pubblica. In quattro giorni, il presidente del Consiglio Bettino Craxi, insieme al Ministro delle Poste Gava, vara un decreto legge (provvedimento da usare solamente per “casi straordinari di necessità e d’urgenza” secondo la Costituzione) che consente la prosecuzione delle attività delle singole emittenti televisive private fino alla approvazione della nuova disciplina. E a Craxi doveve stare molto a cuore la questione, se è vero che il decreto fu tacciato di incostituzionalità e respinto dalla Camera, e in tre giorni un decreto analogo fu approntato di nuovo, al termine di una riunione d’urgenza con, tra gli altri, gli ex piduisti socialdemocratici Renato Massari e Giampiero Orsello, viepresidente Rai. Tutto questo fermento fece sollevare nuovamente molti parlamentari dell’opposizione, e da Giuseppe Fiori ad Achille Occhetto in molto furono a richiamare la P2 e l’affarismo della massoneria. L’altro versante in cui il governo filo-berlusconiano operò fu l’indebolimento della televisione pubblica. Nel 1985 Craxi rifiutò sdegnosamente la richiesta dei vertici Rai di aumentare del 20% il tetto massimo di introiti pubblicitari, motivata tra l’altro dalla concorrenza privata. L’anno seguente finalmente la presidenza del Consiglio provvide a rinnovare il Cda della Rai, scaduto da ben 4 anni e lasciato in regime di proroga (dunque, di grande precarietà): sotto la spinta di Berlusconi e Previti (da anni in rapporti di affari-amicizia) Craxi insediò alla presidenza l’ex P2 Enrico Manca. Da qui alla fine della vicenda, con la legge Mammì, il passo è breve: una nuova sentenza della Corte (1988) dichiara incostituzionale la situazione vigente, ma la consente in via provvisoria in attesa di una legge regolamentatoria, promulgata in fretta e furia nel 1990 sotto la pressione di una censura definitiva. Ma la legge Mammì (ministro delle Poste del Pri), costata alla triade Craxi-Andreotti (presidente del Consiglio dal luglio 1989) – Forlani le dimissioni di ben cinque ministri e tredici sottosegretari, in polemica con il testo, non regolava un bel niente: si limitava a legittimare il duopolio vigente (era previsto genericamente il trasferimento di Rete 4 sul satellite, ma non se ne è mai fatto nulla) e fissava regole e limiti ben diversi per tv pubblica e tv privata in materia di pubblicità; il tutto mentre Berlusconi entrava nel mercato, ufficialmente solo con una quota minoritaria, con altri tre canali: Tele+1, Tele+2, Tele+3. Quando esploderà lo scandalo di Tangentopoli, la magistratura porterà alla luce un fitto giro di connivenze affaristiche tra Oscar Mammì, Davide Giacalone (consigliere di Mammì che aveva avuto personalmente l’incarico di scrivere la legge) e la Finivest: in pratica, Giacalone era amministratore di una società di servizi fortemente legata in affari con la Fininvest, e le cui quote erano in maggioranza di proprietà della famiglia Mammì; e terminato il suo mandato al Ministero delle Poste, Giacalone entrò direttamente nella grande famiglia Fininvest.

Nel frattempo Licio Gelli nel febbraio 1988 era tornato in Italia a piede libero in seguito all’estradizione dalla Svizzera, e in qualche modo aveva ripreso a tessere il suo progetto, che aveva trovato a un punto decisamente migliore rispetto a dove lo aveva lasciato sette anni prima: monopolio tv, il patto del Caf che sanciva il potere di destra Dc e Psi craxiano, Cossiga (presidente della Repubblica) e lo stesso Craxi che spingevano per la Repubblica presidenziale, uno degli obiettivi principali del Piano di Rinascita. All’appello mancava forse il monopolio della carta stampata, poiché il maggiore gruppo editoriale italiano era detenuto dalla Mondadori-De Benedetti, che nell’89 aveva acquisito anche il gruppo L’Espresso. E il quotidiano La Repubblica di Scalfari era il più avverso nemico del Caf. Improvvisa nel 1989 scoppiò la polemica, e Craxi usò parole che ricordano molto nello stile quelle dell’ultimo Berlusconi: “C’è in Italia un gruppo editoriale che conduce contro la mia persona e contro il nostro partito una campagna di odio e denigrazione che […] non ha precedenti in tutta la storia della democrazia repubblicana”. Seguirono accuse di filo-comunismo, proprio come ora (ma nel 1989 era forse un discorso più plausibile, col muro ancora in piedi sebbene vacillante…). Subito partì all’attacco Berlusconi: la famiglia Formenton, in possesso di numerose quote di minoranza della Mondadori, si alleò improvvisamente con Fininvest, ribaltando i vertici societari e mettendo in condizioni il Cavaliere di entrare in possesso anche del Gruppo L’Espresso. Il fantasma P2 si ripresentò puntuale; Tina Anselmi, ex presidente della Commissione Parlamentare d’inchiesta sulla P2, dichiarò: “Gli uomini di Gelli hanno rimesso in piedi la struttura, il loro potere, hanno ristabilito una loro presenza in aree così significative che ora il problema riemerge”; e Scalfari, dal proprio giornale, fu un ispirato profeta: “Se l’operazione andrà in porto, vedremo a capo del più grande gruppo multimediale un membro della loggia P2 […]. Oggi un membro di quell’associazione segreta, sciolta per legge perché ritenuta sovversiva contro lo Stato, sta per assidersi al vertice della Mondadori, dopo aver monopolizzato tutte le reti televisive private esistenti […]. Se sta nascendo un regime col volto di Silvio Berlusconi, questo regime e quel volto avranno nei prossimi mesi la nostra attenzione”. Ma il progetto berlusconiano finì in tribunale: nel 1991 a Berlusconi fu riconosciuta la proprietà della vecchia Mondadori, mentre L’Espresso rimase nelle mani di De Benedetti, vecchio proprietario prima dell’avvento di Mondadori.

Ma il sistema a cui Berlusconi si era appoggiato per un decennio e più è ormai sul punto di crollare: agli inizi del 1992 l’arresto del socialista Mario Chiesa apre la stagione di “Mani Pulite” che in breve porterà al collasso del sistema approntato dal Caf e della Prima Repubblica. Craxi lascia la presidenza del Psi nel febbraio 1993 travolto da numerosi avvisi di garanzia, e anche molti uomini Fininvest (Brancher, Confalonieri, Paolo Berlusconi) vengono indagati per laute tangenti versate a esponenti socialisti e democristiani, ed emerge un ricco sottobosco di finanziamenti occulti, sebbene non considerati illeciti, tramite il sistema televisivo; lo scandalo più grande riguarda però il Piano delle frequenze della Mammì, per il quale vengono accusati di corruzione Giacalone, Galliani e Letta (ma la magistratura accertò anche, ad esempio, che il Codice stradale del 1993 fu approvato per permettere l’introduzione di apparecchiature di controllo prodotte da aziende dell’ambito Fininvest; e che il Parlamento era assolutamente restìo a proporre interrogazioni parlamentari sul gruppo berlusconiano). Contemporaneamente nella Fininvest iniziano ad aprirsi gravissime falle economiche (debiti per quattro-cinquemila miliardi) dovute principalmente alla saturazione del mercato degli investimenti e dalla fine del boom economico del 1986; l’azienda finirà addirittura per essere commissionata, con l’arrivo del manager Franco Tatò cui sarebbe spettato il gravoso compito di far quadrare i conti. Fu così che, crollato il sistema spartizionistico costruito insieme alla triade Craxi-Andreotti-Forlani, venuto a mancare l’ombrello protettivo della Dc e del Partito Socialista, scoperchiata l’immensa rete di tangenti e corruzioni, sul finire dell’estate del 1993 Silvio Berlusconi decide di scendere in campo personalmente per garantirsi da solo ciò che nessun altro poteva ormai garantirgli, per salvare la sua azienda dal crac, per salvaguardare i propri interessi, per prendere il posto nel cuore dell’elettorato dei due storici partiti senza farlo scivolare verso i comunisti. Pime reazioni: la benedizione del “maestro” Licio Gelli, ancora coinvolto in numerose inchieste su collusioni P2-mafia in cui escono fuori anche i nomi di Berlusconi e Craxi (“Molti concordano che diversi contenuti del Piano di Rinascita siano stati attuati. Posso citare il rafforzamento delle tv private. Occorrono nuovi politici, che abbiano dimostrato creatività, serietà, professionalità, onestà, per formare quadri della Repubblica presidenziale, per guidare il Paese all’insegna di meritocrazia e gerarchia. Uno potrebbe essere Berlusconi. Il suo è un ottimo programma, un tessuto sul quale si può costruire un buon partito. Mi dicono che si è già messo in movimento per aggregare altre forze intorno a sé…”); il monito di Luciano Violante, oggi capogruppo Ds alla Camera, ieri presidente della Commissione parlamentare antimafia: “La P2 è stata sciolta da una legge, ma può essere sopravvissuto il suo sistema di relazioni politiche, finanziarie e criminali […] Quanto al dottor Berlusconi, il suo interventismo attuale è sintomo della reazione di una parte del vecchio regime che, avendo accumulato ricchezza e potere negli anni Ottanta, pretende di continuare a condizionare la vita politica anche negli anni Novanta”.

4.  FORZA ITALIA E LA P2: RICORSI STORICI E ANALOGIE
In effetti nel momento in cui Berlusconi annuncia la sua discesa in campo e presenta il proprio programma, a molti nel mondo della politica e dell’opinione pubblica torna agli occhi l’immagine della loggia massonica di Licio Gelli, sia perché Berlusconi vi era risultato iscritto, sia perché molto evidenti risultano le somiglianze per modi, obiettivi, programmi. La stessa origine del partito-associazione è similare: Forza Italia, come la P2, non è certo un partito che nasce dal basso, come risposta ad un movimento sociale (nel senso meno politico del termine), a un sentire comune di un dato periodo storico; piuttosto si tratta di singole iniziative di gruppi o personaggi di potere, quasi delle lobbies, che nascono già con un programma stabilito per poi cercare adepti che vi aderiscano. La stessa suddivisione in clubs è tipica di gruppi di pressione politica composte di personalità influenti (soprattutto imprenditori, pubblici amministratori, liberi professionisti, pochi e selezionatissimi politici, dice il Piano, praticamente lo stesso il Programma di Forza Italia), o “rotary” come nelle idee dello stesso Berlusconi (che d’altronde, quando fu chiamato a giustificare la sua affiliazione nella P2, disse proprio che pensava si trattasse di un’associazione tipo Rotary). Anche sui nomi c’è molta diffidenza: detto delle inchieste P2-mafia che coinvolgevano Gelli, il pm Omboni alla vigilia delle elezioni del 1994 sequestra gli elenchi dei candidati di Forza Italia, che era risultata essere stata aiutata nella campagna elettorale da alcuni gruppi massonici in contatto con la mafia.  Alcuni dei nomi indagati per i rapporti P2-mafia sono nelle liste: Rasoli, presidente di un club Forza Italia; il colonnello Pappalardo, testimonial di un club; Gustavo Selva, ex piduista, candidato nelle liste del partito. Non solo, perchè nel governo Berlusconi scaturito dalle elezioni del 1994, alcuni ex piduisti otterranno importanti incarichi: Publio Fiori come Ministro dei Trasporti, Antonio Martino (attuale ministro della Difesa) agli Esteri, lo stesso Selva alla presidenza della Commissione Affari Costituzionali della Camera, Meluzzi e Cecchi come capogruppi FI alla Camera; e soltanto il no di Scalfaro negò a Berlusconi la nomina di Cesare Previti a ministro degli Interni. Ma stanno proprio nei programmi le analogie più evidenti tra la P2 e l’avanzata al governo di Silvio Berlusconi, alcune delle quali evidenziate nel seguente “riassunto” delle 17 pagine del Piano di Rinascita democratica di Gelli, che si componeva in questo modo: premessa, obiettivi, procedimenti, programmi a breve termine, programmi a medio e lungo termine, provvedimenti economico-sociali.
-Premessa: quattro punti preliminari, di cui al numero 4: Va rilevato che i programmi a medio e lungo termine prevedono alcuni ritocchi alla Costituzione successivi al restauro delle istituzioni fondamentali. è tali ritocchi alla Costituzione furono tentati da Berlusconi nella Bicamerale nel 1997 e finalmente attuati con il recentissimo disegno di legge del 16 settembre sulla devoluzione.
-Obiettivi: tre punti, di cui al primo, lettera b: La stampa, attraverso una selezione che tocchi soprattutto: Corriere della Sera, Giorno, Giornale, Stampa, Resto del Carlino, Messaggero, Tempo, Roma, Mattino, Gazzetta del Mezzogiorno, Giornale di Sicilia per i quotidiani; e per i periodici: Europeo, Espresso, Panorama, Epoca, Oggi, Gente, Famiglia Cristiana. La RAI-TV non va dimenticata è si è visto come Berlusconi possegga e controlli la maggior parte delle suddette testate, o abbia cercato di controllarle, e come queste lo abbiano favortito nella sua scalata; inoltre appena arrivato al governo nel ’94 cambiò il Cda Rai piazzando Carlo Rossella e Clemente Mimun, due ex dipendenti Fininvest, al Tg1 e al Tg2. Anche le ultime vicissutini dei Cda Rai con Berlusconi sono state piuttosto travagliate; lettera e: la magistratura, che deve essere ricondotta alla funzione di garante della corretta e scrupolosa applicazione delle leggi è si ricordino le continue invettive del premier contro la categoria. Al terzo punto, invece: Primario obiettivo e indispensabile presupposto dell’operazione è la costituzione di un club (di natura rotariana per l’eterogeneità dei componenti) ove siano rappresentati, ai migliori livelli, operatori, imprenditoriali e finanziari, esponenti delle professioni liberali, pubblici amministratori e magistrati nonché pochissimi e selezionati uomini politici […]. Importante è stabilire subito un collegamento valido con la massoneria internazionale.è Intervista di Berlusconi nel 1994: “FI è un’associazione di club formati da persone che hanno dato buona prova di sé nelle imprese e nelle professioni”: avvocati, manager, imprenditori, qualche ex Psi e Dc. Quanto ai legami di FI con la massoneria, sono stati resi noti da un’inchiesta della procura di Palmi.
-Procedimenti: quattro punti, di cui al primo, circa il mondo politico: Tutti i promotori debbono essere inattaccabili per rigore morale, capacità, onestà e tendenzialmente disponibili per un’azione politica pragmatistica, con rinuncia alle consuete e fruste chiavi ideologiche. è Berlusconi nel 1994: “Abbiamo bisogno di una nuova etica pubblica, di un’opzione radicale per il pragmatismo. Occorre orientare verso l’impegno politico persone per bene, di buon senso”. Al punto 4, su Governo, Magistratura e Parlamento: Per la Magistratura è da rilevare che esiste già una forza interna (la corrente di magistratura indipendente della Ass.Naz.Mag.) che raggruppa oltre il 40% dei magistrati italiani su posizioni moderate. E’ sufficiente stabilire un raccordo sul piano morale e programmatico ed elaborare un’ intesa diretta a concreti aiuti materiali per poter contare su un prezioso strumento, già operativo nell’interno del corpo anche ai fini di taluni rapidi aggiustamenti legislativi che riconducano la giustizia alla sua tradizionale funzione di elemento di equilibrio della società e non già di evasione. Qualora invece le circostanze permettessero di contare sull’ascesa al Governo di un uomo politico (o di una èquipe) già in sintonia con lo spirito del club e con le sue idee di “ripresa democratica” è chiaro che i tempi dei procedimenti riceverebbero una forte accelerazione anche per la possibilità di attuare subito il programma di emergenza e quello a breve termine è Il Programma di Forza Italia recita sull’argomento: “La politicizzazione della magistratura ha contribuito a moltiplicare le incertezze. Gruppi organizzati di magistrati hanno teorizzato e teorizzano la necessità di fare “giurisprudenza alternativa”…Un giudice che fa politica compromette l’immagine della giustizia”.
-Programmi: quattro categorie, divise a loro volta in punti. Si tratta di “registrare” le funzioni di ciascuna istituzione e di ogni organo relativo in modo che i rispettivi confini siano esattamente delimitati e scompaiano le attuali aree di sovrapposizione da cui derivano confusione e indebolimento dello Stato. è Nel Programma di Forza Italia: “Vogliamo uno Stato basato sulla delimitazione dei compiti attribuiti all’azione di governo, la cui ampiezza deve essere sottratta all’arbitrio dei politici e definita e disciplinata dalla Costituzione”. Subito dopo: “L’involuzione subita dalla scuola negli ultimi anni quale risultante di una giusta politica di ampliamento dell’area di istruzione pubblica, non accompagnata però dalla predisposizione di corpi docenti adeguati e preparati nonché dalla programmazione dei fabbisogni in tema d’occupazione… con gravi deficienze nei settori tecnici è “La scuola italiana non è in grado di fornire gli strumenti per trasformare la cultura generica in professionalità. Le difficoltà in cui vive la scuola sono anche alla base di fenomeni di disoccupazione. La scuola è priva di autonomia: la professionalità e la creatività di presidi e docenti è mortificata”. La riforma della scuola è stata una dei punti forti della campagna politica del 2001 (le tre I: internet, inglese, impresa) ed è sfociata nella discussa legge Moratti, basata proprio sull’autonomia scolastica. Inoltre “la scuola italiana non è in grado di sfornare tecnici richiestissimi dall’industria”, sempre secondo il Programma di FI. Il rimedio, per Gelli e Berlusconi, è il ritorno ad un sistema meritocratico, con l’abolizione dell’equazione titolo di studio=posto di lavoro.
Per quanto riguarda le emergenze a breve termine (punto a), il Piano dice: Il programma urgente comprende provvedimenti istituzionali (rivolti cioè a “registrare” le istituzioni) e provvedimenti di indole economico-sociale. è Berlusconi sul suo programma nel 1994: “Bisogna anzitutto modificare la Costituzione, e il punto cardine del nostro programma è lo sviluppo economico e la riforma fiscale”.
Sull’ordinamento giudiziario (a1): le modifiche più urgenti investono la normativa per l’accesso in carriera (esami psico- attitudinali preliminari)èProgramma di Forza Italia: “Introdurre prove selettive che non consentano al magistrato di passare da una funzione richiedente specifica professionalità ad altra tramite automatismi”. E molti parlamentari proporranno l’introduzione di test psico-attitudinali.  
Sull’ordinamento del Governo (a2): Definizione della riserva di legge nei limiti voluti e richiesti espressamente dalla Costituzione e individuazioni delle aree di normativa secondaria (regolamentare) in ispecie di quelle regionali che debbono essere obbligatoriamente limitate nell’ambito delle leggi cornice. è Programma di FI: “Creare un’ampia delegificazione basata sull’introduzione in Costituzione di una “riserva di regolamento” a favore del Governo e delle Regioni per la normazione applicativa e di dettaglio”.
Sull’ordinamento del Parlamento (a3): Ripartizione di fatto di competenze fra le due Camere (funzione politica alla Camera dei Deputati e funzione economica al Senato della Repubblica) è Programma di FI: “Attribuire la funzione legislativa alla Camera dei deputati; trasformare il Senato in una “Camera delle Regioni” e attribuirgli le funzioni di controllo sul Governo e sulla Pubblica amministrazione”. È all’incirca quanto attuato dal recentissimo dl che introduce il “Senato delle Regioni”, ossia il compito del Senato di esaminare le competenze concorrenti tra Stato e Regione nell’ambito della devolution.
Per quanto riguarda i provvedimenti economico-sociali (punto b): abolizione della validità legale dei titoli di studio (per sfollare le università e dare il tempo di elaborare una seria riforma della scuola che attui i precetti della Costituzione) è come già visto, nel Programma di FI: “Abolire il valore legale del titolo di studio…Operare perché ogni Università abbia un numero di studenti adeguato alla capacità di ospitarli, riportare la popolazione discente a livelli accettabili”.
Sulla revisione della riforma tributaria (b5): alleggerimento delle aliquote sui fondi aziendali destinati a riserve, ammortamenti, investimenti e garanzie, per sollecitare l’autofinanziamento premiando il reinvestimento del profitto è Programma di FI: “Introdurre la detassazione degli utili reinvestiti…Detassare gli utili reinvestiti per lo sviluppo dell’occupazione, e modificare il trattamento privato delle procedure d’ammortamento”. Poi per quanto si riferisce in particolare all’edilizia abitativa, il ricorso al sistema dei comprensori obbligatori sul modello svedese ed al sistema francese dei mutui individuali agevolati sembra il metodo migliore per rilanciare questo settore  è Programma di FI: “Estendere il periodo di ammortamento dei mutui, e ridurre i tassi per l’acquisto della prima casa”.
Sulla criminalità (punto c): E’ evidente che le forze dell’ordine possono essere mobilitate per ripulire il Paese dai teppisti ordinari e pseudo politici e dalle relative centrali direttive soltanto alla condizione che la Magistratura li processi e condanni rapidamente inviandoli in carceri ove scontino la pena senza fomentare nuove rivolte o condurre una vita comoda. Sotto tale profilo, sembra necessario che alle forze di P.S. sia restituita la facoltà di interrogatorio d’urgenza degli arrestati in presenza dei reati di eversione e tentata eversione dell’ordinamento, nonché di violenza e resistenza alle forze dell’ordine, di violazione della legge sull’ordine pubblico, di sequestro di persona, di rapina a mano annata e di violenza in generale. è Programma di FI: “Criminalità comune: il cittadino vive in condizioni di costante insicurezza…Occorre riformare il sisterma della legislazione penale accelerando i tempi dei gradi di giudizio al fine di evitare che coloro che sono riconosciuti colpevoli di gravi reati sfuggano alla detenzione per il prolungarsi dei processi a loro carico”.
-Programmi a medio e lungo termine, composti di due voci divise a loro volta in punti. Nel punto a1 “ordinamento giudiziario” in Provvedimenti istituzionali (a): Responsabilità del Guardasigilli verso il Parlamento sull’operato del P.M. (modifica costituzionale) è la stessa modifica costituzionale verrà sostenuta da Berlusconi in entrambi i suoi governi nel corso della guerra continua alla magistratura, per legare il Pubblico Ministero al potere politico. D’altronde, nel Piano subito sotto si legge: riforma del Consiglio Superiore della Magistratura che deve essere responsabile verso il Parlamento (modifica costituzionale) è Programma di FI: “Riformare il Csm, che si trasforma spesso in cassa di amplificazione di indebite attività politiche dei magistrati”. Da ricordare il recente tentativo revisionistico del governo nei confronti di “Tangentopoli”, definita come uno strumentale accanimento della Magistratura nei confronti di una precisa parte politica. E ancora, riforma dell’ordinamento giudiziario per ristabilire criteri di selezione per merito delle promozioni dei magistrati, imporre limiti di età per le funzioni di accusa, separare le carriere requirente e giudicante, ridurre a giudicante la funzione pretorile è Programma di FI: “Recuperare la qualificazione del magistrato…Si tratta di introdurre forme di selezione…Separare le carriere requirenti e giudicanti”.
Sull’ordinamento del governo (a2): modifica della Costituzione per stabilire che il Presidente del Consiglio è eletto dalla Camera all’inizio di ogni legislatura e può essere rovesciato soltanto attraverso le elezioni del successore è La nuova riforma prevederebbe l’elezione quasi diretta del premier, il cui nome è indicato sulla scheda elettorale insieme alla sua coalizione.
Sull’ordinamento del Parlamento (a3): Nuove leggi elettorali, per la Camera, di tipo misto riducendo il numero dei deputati a 450 e, per il Senato, di rappresentanza di 2° grado, regionale, degli interessi economici, sociali e culturali, diminuendo a 250 il numero dei senatori ed elevando da 5 a 25 quello dei senatori a vita di nomina presidenziale è  Programma di FI: “Ridurre il numero dei parlamentari”. E la nuova riforma non a caso porterà il numero dei deputati da 630 a 408 e i senatori da 315 a 208. Quindi, Stabilire che i decreti-legge sono inemendabili è Programma di FI: “Si stabilisce l’inemendibilità parlamentare del decreto-legge”.
Per quanto riguarda l’ordinamento di altri organi istituzionali (a4), sul Presidente della Repubblica: ridurre a 5 anni il mandato, sancire l’ineleggibilità ed eliminare il semestre bianco (modifica costituzionale) è Programma di FI: “Ridurre a cinque anni il mandato presidenziale, con abolizione del semestre bianco e divieto di rieleggibilità immediata”. -Provvedimenti economico-sociali: tredici punti, di cui al quarto: unificazione di tutti gli istituti ed enti previdenziali ed assistenziali in un unico ente di sicurezza sociale da gestire con formule di tipo assicurativo allo scopo di ridurre i costi attuali è Programma di FI: “Favorire lo sviluppo della previdenza privata: passare gradualmente ad un sistema assicurativo privato”. Al punto cinque: Disciplinare e moralizzare il settore pensionistico stabilendo: 1) Il divieto del pagamento di pensioni prima dei 60 anni salvo casi di riconosciuta inabilità; 2) il controllo rigido sulle pensioni di invalidità; 3) l’eliminazione del fenomeno del cumulo di più pensioniè Programma di FI: “Nel settore delle pensioni di invalidità si sono spesso annidati il malaffare e la corruzione”. Ma soprattutto, è la riforma pensionistica proposta dal governo Berlusconi tanto dibattuta proprio in questo periodo che riprende i punti suddetti, specie per quanto riguarda l’età pensionabile, che sta per essere innalzata a 65 anni, e le invalidità-truffe.  Al punto otto:
Nuova legislazione sull’assetto del territorio (ecologia, difesa del suolo, disciplina delle acque, rimboscamento, insediamenti umani) èIl Programma di FI riserva all’argomento ben undici punti. Al punto undici: Riforma della scuola (selezione meritocratica – borse di studio ai non abbienti – scuole di Stato normale e politecnica sul modello francese) è Riforma della scuola realizzata dal ministro Moratti, borse di studio previste dal Programma. Infine, al punto quattordici, un provvedimento che non ha bisogno di spiegazioni: abolire il monopolio RAI – TV: ci ha pensato Silvio Berlusconi.

5.  LE RIFORME DEL PRIMO MINISTRO
Sono praticamente la metà, ventuno su quarantacinque, i punti che il Programma di Forza Italia ha in comune con quelli del Piano di Rinascita democratica della loggia P2 ritrovato nel lontano 1981, ossia ben dodici anni prima della costituzione da parte di Silvio Berlusconi del partito di Forza Italia. Coincidenze di qualsiasi tipo, che spaziano dalla riforma istituzionale (in entrambi vi è l’aspirazione alla Repubblica di tipo presidenziale) alla riorganizzazione ministeriale, con in primis l’accorpamento dei ministeri economici; dalla struttura dell’associazione creata (piccoli clubs d’elite) al ruolo di simpatizzanti cui relegare un nucleo scelto di giornalisti (ruolo cui Berlusconi ha posto i vari Emilio Fede, Paolo Liguori e gli altri professionisti del settore sul suo libro paga); le picconate alla Rai e il desiderio di assoggettamento della magistratura; dalla riforma fiscale agli attacchi ai movimenti sindacalisti; dalla riforma sanitaria al sistema maggioritario. E naturalmente non si tratta di idee rimaste scritte in un programma, ma di provvedimenti e riforme per la maggior parte attuate regolarmente. Di anni ne sono passati non dodici, ma ventidue da quel 1981 allo scorso 16 settembre, giorno in cui il governo ha varato un importante disegno di legge che modificherà metà della nostra Carta Costituzionale, e che nelle previsioni di Berlusconi dovrebbe essere legge nel 2004 dopo i consueti passaggi alla Camera e al Senato. Sono molti i punti di questo nuovissimo disegno che attualizzano il Piano piduista più di vent’anni dopo, come abbiamo visto: il rafforzamento dei poteri del premier col passaggio di fatto alla formula del “premierato”, lo snellimento di Camera e Senato, soprattutto la fine del bipolarismo perfetto con la “regionalizzazione” (federalizzazione) del Senato. Si tratta dell’ultima, non dell’unica legge-riforma di questo governo (che vanta nella rosa dei suoi ministri due altri ex piduisti come Berlusconi: Antonio Martino alla Difesa e Giuseppe Pisanu agli Interni) che richiama esplicitamente quel Piano: la riforma del ministro Letizia Moratti ha risistemato (o pretende di risistemare, data la mancanza di fondi evidenziata dalla Finanziaria) il settore scolastico, la legge Gasparri in materia di comunicazione è stata giudicata da molti anticostituzionale e favorisce il monopolio privato del Cavaliere, anche attraverso la cancellazione della vecchia e trasgredita imposizione di mandare Retequattro sul satellite; prima ancora, lo scorso Natale, l’ampio dibattito sul presidenzialismo tirato in ballo da Berlusconi, che puntava forte alla presidenza della Repubblica a fine mandato e che invece adesso ripiega sul premierato; la ventilata riforma delle pensioni, come già evidenziato, ricalca molti dei punti che stavano a cuore al vecchio Piano. Che vecchio rimane, anagraficamente; ma che per alcuni versi non è mai sembrato più attuale, in balia come siamo di una virata autoritaria. Allora attenzione al monito di un vecchio saggio come Oscar Luigi Scalfaro: Berlusconi non è certo Mussolini, sebbene abbia appena mostrato pubblicamente ad alcuni giornalisti inglesi di non disprezzarlo, ma non c’è da farsi cogliere impreparati. Né da dimenticare le parole furibonde del Montanelli appena messo alla porta dal Giornale nel 1994 (a proposito, anche le recente cambio alla direzione del Corriere della Sera ha fatto pensare che ci fosse dietro la mano del Cavaliere): lasciandolo governare gli italiani si accorgeranno di chi è veramente Berlusconi

Simone Santi
21/11/2003

BIBLIOGRAFIA
Guarino, Mario, Fratello P2 1816, Kaos edizioni
Ruggeri, Giovanni, Berlusconi. Gli affari del Presidente, Kaos edizioni
Guarino, Mario; Ruggeri, Giovanni, Berlusconi. Inchiesta sul signor Tv, Kaos edizioni
La Repubblica, edizione 8/9/03
La Repubblica, edizione 17/9/03

WEBOGRAFIA
www.misteriditalia.it
www.cattiviragazzi.it
www.pidue.org
www.letterealdirettore.it
www.espressoedit.it
www.cedos.it
www.zorzato.it
www.forza-italia.it
www.controcorrente.info


P2 … FATTO!

Pubblicato in La Contraddizione, no.54 – maggio.giugno.96

http://www.intermarx.com/ossto/P2.html 

Immaginate di viaggiare nel cyberspazio della “realtà virtuale”, oggi tanto inutilmente di moda. La mitica “Azienda-Italia”, così cara ai prodi berluscoidi, si può rappresentare come un “nodo della rete” mondiale, così si suol dire. In tal immaginifica rappresentazione non si va troppo lontano dalla “realtà reale” se si configura “Italia” come un terminale telematico della vasta rete del Nuovo Ordine Mondiale. I programmi che vengono smistati ai nodi, perciò, provengono tutti da quel “cervellone” centrale, lasciando alle cosiddette “stazioni di lavoro” solo la loro pratica esecuzione. Non stupisce, quindi, che programmi chiamati diversamente siano in fin dei conti quasi identici: è il caso dei programmi politico-economici denominati “Polo” e “Ulivo” che non si sono copiati a vicenda, come gli “hakers” dei due gruppi sono incaricati di sostenere, bensì sono simili perché entrambi copiati dal programma originale “Propaganda” del “cervellone” del nuovo ordine mondiale presso la Trilateral (in gergo P.1), commercializzato in Italia dalla “Loggia Massonica Coperta Propaganda 2” (in gergo P.2). Basta leggere quel programma nella versione italiana. Chiunque, anche non troppo esperto, abbia mai acceso un computer Ms-Dos Ibm-compatibile potrebbe immaginare di leggere sul terminale “Italia” tutti gli obiettivi di quel programma – riportati testualmente – in una schermata come quella che segue.

C:> cd Propaganda
C:> PROPAGANDA > P2.EXE

Avvio di “Propaganda” …
Copyright by Trilateral Corporation @ 1974
Versione italiana, release 2 @ 1976
licensed to Licio Gelli, Gran Maestro
P.2 – Piano di rinascita democratica

… installazione avviata

Terminale “Italia” sta caricando 65 files in 6 sub-directories …

Sub-directory PARTITI …
Invalidazione partitocrazia … fatto
Apertura utility “pentapartito” … fatto
Dissoluzione partiti: Dc, Pci, Psi … fatto
Scongelamento Destra Nazionale … fatto
Creazione Alleanza Nazionale
(con antifascismo) … fatto
Formazione due poli moderati … fatto
Creazione polo liberal-conservatore … fatto
Creazione polo social-laburista … fatto

Sub-directory ISTITUZIONI …
Depotenziamento parlamento … fatto
Rafforzamento esecutivo … fatto
Sistema elettorale maggioritario … fatto
Estensione referendum … fatto
Decretazione d’urgenza (con reiterazione) … fatto
Inemendabilità leggi chiave (finanziaria) … fatto
Formazione diretta squadra di governo … fatto
Ministri non parlamentari (tecnici) … fatto
Nuovo modello di difesa … fatto
Normalizzazione servizi segreti … fatto

Sub-directory MAGISTRATURA …
Riduzione autonomia Corte Costituzionale … fatto
Riduzione autonomia Pubblico Ministero … fatto
Riforma processo penale … fatto
Responsabilità civile giudici (punibilità) … fatto
Ripulimento del paese (“mani pulite”) … fatto

Sub-directory LAVORO …
Soppressione conflitto di classe … fatto
Limitazione diritto di sciopero … fatto
Rottura unità sindacale … fatto
Ricompattamento sindacato (neocorporativo) … fatto
Confederazione sindacale polo conservatore … fatto
Collaborazione sindacale alla produzione … fatto
Precarizzazione e flessibilizzazione del lavoro … fatto
Partecipazione salario a risultati d’impresa … fatto
Riduzione sistematica costo del lavoro … fatto
Abolizione scala mobile … fatto
Soppressione festività infrasettimanali … fatto
Taglio servizi pubblici eccessivi … fatto
Previdenza assicurativa a capitalizzazione (non a ripartizione) … fatto
Predisposizione pensioni integrative private … fatto
Allungamento età pensionabile … fatto
Revisione pensioni invalidità … fatto
Assistenzialismo per lavori sociali (utili) … fatto

Sub-directory CAPITALE …
Nuova legislazione bancaria (mista universale) … fatto
Appalti urbanistica contrattata … fatto
Piano metropolitane e trasporti veloci … fatto
Riforma sistema sanitario e ospedaliero … fatto
Riduzione progressività fisco e imposte indirette … fatto
Esenzione fiscale profitti per autofinanziamento … fatto

Sub-directory CONSENSO …
Fine delle ideologie … fatto
Controllo editoria … fatto
Autorità di controllo mass-media … fatto
Dissoluzione Rai … fatto
Formazione polo televisivo privato … fatto
Riassetto proprietà giornali … fatto
Uso privatistico istruzione pubblica … fatto

Terminale “Italia” ha rilevato 12 files
in 5 sub-directories mancanti o difettosi
Il programma PROPAGANDA 2 prevede
procedure di autoapprendimento per
l’autoprogrammazione e la riparazione di alcuni di questi files

Premere Control+Alt per proseguire

Premere Delete per abortire l’installazione di P.2

Dopo 30 secondi di stand-by senza istruzioni
terminale “Italia” avvia automaticamente
la procedura

Sub-directory ISTITUZIONI …
Revisione seconda parte Costituzione …
Progetto macroregioni …
Gaullismo o militaricrazia …

Sub-directory MAGISTRATURA …
Separazione carriere giudici e magistrati …
Riforma Consiglio superiore magistratura …
Censura stampa giudiziaria …

Sub-directory LAVORO …
Creazione sindacato unico neocorporativo …

Sub-directory CAPITALE …
Abolizione nominatività azioni …
Leggi antitrust (difesa monopoli nazionali) …

Sub-directory CONSENSO …
Numero chiuso università …

Terminale “Italia” sta completando la procedura di autoapprendimento … fatto

Error … Error … Error …

Terminale “Italia” non ha potuto caricare 2 files in sub-directory ISTITUZIONI

* Elezione diretta Presidente

* Federalismo debole

per una delle seguenti possibili cause:
– uno o più files sono mancanti o difettosi e non riparabili
– uno o più files sono tra loro incompatibili
– non può leggere il file nascosto o compresso PRESIDENZIALISMO

Provare a copiare il file nascosto o compresso, per caricare files difettosi,
da programma originale Usa o da una versione ridotta, francese o tedesca

Installazione parziale P.2 completata
Terminale “Italia” può comunque avviare
il programma II REPUBBLICA

Grazie per la scelta.

Alberi o Poli, chiunque voi siate, buon lavoro.

Possa essere il vostro ultimo lavoro!


Devo aggiungere che Licio Gelli, dal 1941 al 1945 lavora per il (CIC) Counter Intelligence Corps, il servizio di controspionaggio militare americano.    E questo perché Gelli è stato implicato nella rapina dei depositi valutari d’oro della banca nazionale serba (1942). Il sottufficiale fascista italiano Gelli, al servizio degli USA, era a Belgrado per caricare l’oro su alcuni camion che poi non si sa bene dove siano finiti.


Elenco, quasi completo, delle vicende in cui e’ implicata la loggia P2

– Strage del treno Italicus
– strage di Bologna
– strage di Ustica
– strage di Piazza Fontana
– strage del rapido 904
– omicidio Calvi
– omicidio Pecorelli
– omicidio Olof Palme
– omicidio Semerari
– colpo di stato militare in Argentina
– tentativo di colpo di stato di Junio Valerio Borghese
– tentativo di colpo di stato della Rosa dei Venti
– caso dei dossier illegali del SIFAR
– operazione Minareto
– falso rapimento Sindona
– tentativo di depistamento durante il rapimento Moro
– rapimento Bulgari
– rapimento Ortolani
– rapimento Amedeo
– rapimento Danesi
– rapimento Amati
– rapporti con la banda della Magliana
– rapporti con la banda dei marsigliesi
– inchiesta sul traffico di armi e droga del giudice Carlo Palermo
– riciclaggio narcodollari (caso Locascio)
– caso Cavalieri del Lavoro di Catania
– fuga di Herbert Kappler
– crack Sindona
– crack Banco Ambrosiano
– crack Finabank
– scandali finanziari legati allo IOR
– caso Rizzoli-Corriere della Sera
– caso SIPRA-Rizzoli
– scandalo dei Petroli
– caso M. Fo. Biali
– caso Eni-Petronim
– caso Kollbrunner
– cospirazione politica e truffa di Antonio Viezzer
– cospirazione politica di Raffaele Giudice
– cospirazione politica di Pietro Musumeci
– cospirazione politica e falsificazione documenti di Antonio La Bruna
– finanziamenti FIAT alla massoneria

http://www.zaratustra.it/ 

LA LOGGIA P2

Nell’analisi della Commissione Stragi (relazione Pellegrino) Sono i concetti di “doppia appartenenza”, di “doppia lealtà” e di “oltranzismo atlantico” quelli che vengono analizzati nella relazione Pellegrino. Concetti ricavabili dall’esame dei documenti della P2, primo fra tutti il piano di rinascita democratica.   

————————————————————————  

AVVERTENZA: La relazione Pellegrino non va letta come una sorta di maxi-sentenza definitiva, ma soltanto come <<la formulazione di un giudizio storico-politico globale>>. Come ogni analisi storico-politico essa è, comunque, soggetta a integrazioni e mutamenti.

I netti contorni della svolta del 1974 si possono cogliere anche nel raffronto tra i contenuti di ben noti documenti provenienti da Licio Gelli e più in generale dalla Loggia massonica P2.

Sull’analisi di tale fenomeno e sul suo intrecciarsi con le vicende politiche, la relazione della Commissione parlamentare d’inchiesta presieduta dall’onorevole Anselmi ha fissato punti fermi che mantengono ancora oggi la loro validità, avendo trovato nel tempo addirittura ulteriori conferme. E’ pur vero che sul piano valutativo le conclusioni cui si è giunti in sede parlamentare sembrano aver trovato smentita in ambito giudiziario, dove la Corte d’Assise romana ha recentemente negato la fondatezza della accusa di cospirazione mediante associazione, escludendo quindi che la P2 sia stata una struttura in grado di interferire ad un livello diverso da quello (di bassissimo profilo) dello scambio di favori e di raccomandazioni. E’ vero peraltro, da un lato, che si tratta di un accertamento penale ancora provvisorio, essendo stato impugnato dalla pubblica accusa, dall’altro, che sussistono differenze strutturali tra l’accertamento giudiziario penale e la valutazione storico-politica, in cui consiste il proprium di un’inchiesta parlamentare. Infatti, mentre in sede giudiziaria assume fondamentale importanza la verifica della riconducibilità di ogni specifico aspetto ai comportamenti concreti dei singoli imputati, in sede di valutazione politica diventa centrale esclusivamente l’esame di insieme del sistema delle connessioni. Può dunque, ovviamente, non solo confermarsi l’esistenza di un progetto politico modificatosi e adattatosi nel tempo allo sviluppo degli avvenimenti, ma anche la sua inerenza alla ragione d’essere stessa dell’organizzazione, che esiste proprio quale strumento di realizzazione di quel progetto.   Il fatto che, come osservato dalla Commissione Anselmi, la logica ispiratrice della P2 fosse quella del controllo e non quella del governo dei processi politici attraverso un’articolazione trasversale ai partiti e particolarmente attenta agli apparati, crea una perversa sinergia tra le diverse anime della P2 – quella del condizionamento politico, quella della fratellanza massonica e quella degli affari – che solo un’ottica miope può tendere a schiacciare sul suo profilo più basso. E’ un giudizio che appare quindi opportuno riconfermare nella sede parlamentare dell’inchiesta affidata a questa Commissione, dai cui specifici oggetti di indagine la Loggia P2 può solo ad una prima approssimazione ritenersi estranea una volta che – come si è già evidenziato – affiliati alla Loggia assumono rilievo centrale, in qualche modo collegandole, in numerose vicende di sicura competenza della Commissione. La P2 sta quindi all’interno del contesto occulto che viene investigato; e la circostanza che la maggior parte dei suoi affiliati fossero personalità investite da responsabilità istituzionali di elevato rilievo focalizza ancora una volta l’attenzione sul tema della “doppia appartenenza” o della “doppia lealtà“, canale attraverso cui il piano occulto degli eventi reagisce su quello apparente, a volte con risultati di vera e propria torsione. E’ un profilo che appare di indubbia rilevanza afferendo ad uno dei temi conduttori delle inchieste, e che non viene né smentito, né sminuito dalla considerazione della P2 come un luogo di “oltranzismo atlantico“, come autorevolmente suggerito dall’ex Capo dello Stato Francesco Cossiga, perché “oltranzismo atlantico” richiama appunto il tema della “doppia lealtà” arricchito dal vincolo di fratellanza massonico che operava come filtro selettivo del riferimento. Non diversamente – e sia pure per altro profilo – le più recenti acquisizioni che incrinano un’immagine monolitica della P2, evidenziando le dinamiche di forte contrapposizione esistenti al suo interno, non escludono la possibilità di ritenere che progetti politici siano stati nel tempo elaborati all’interno della Loggia P2, cogliendone le differenze e quindi le linee evolutive.   In tal senso assumono rilevanza i documenti provenienti da Gelli fra i quali il “Memorandum sulla situazione politica del paese” ed il “Piano di rinascita democratica” che furono rinvenuti all’aeroporto di Fiumicino nel sottofondo malamente camuffato di una valigia di Maria Grazia Gelli, figlia di Licio, in arrivo da Nizza. Si tratta di due documenti databili intorno al 1976 di diverso contenuto, pure se complementari tra loro. Dopo averli fatti rinvenire, Gelli ha avuto cura di introdurre nuovi elementi di confusione precisando, nella memoria trasmessa dall’avvocato Dean al Presidente della Commissione Anselmi nel giugno del 1984, che:   “il Piano di rinascita democratica non è mai esistito, posto che ciò che fu trovato nella borsa di mia figlia Maria Grazia non era altro che una quantità di appunti, che dovevano servire da scaletta per una serie di articoli e relazioni sul tipo del mio “Piano R”, che consegnai nelle mani del Presidente della Repubblica Giovanni Leone; non era altro che un’esposizione sullo stato della nazione, lecita per qualsiasi cittadino che voglia esprimere il suo punto di vista sull’andamento generale del paese“.   Lo “schema R“, verrà poi pubblicato da Gelli nel suo libro “La verità”, mentre il Presidente Leone, che non fu ascoltato in audizione dalla Commissione Anselmi, ma che ebbe con l’Ufficio di Presidenza un incontro il cui contenuto fu reso noto al plenum negò recisamente di aver avuto qualsiasi documento da Gelli; al contrario del presidente Cossiga che, in sede di deposizione processuale, anche questa resa fuori udienza, ha ricordato di aver avuto da Gelli, in un incontro, materiale documentale che ragionevolmente potrebbe essere quello dei documenti programmatici, senza aver dato ad esso soverchio rilievo. Il contenuto di tali documenti smentisce con evidenza l’ipotesi di un Gelli solitario elaboratore di appunti personali su fantasiose ingegnerie costituzionali per diletto o per la soddisfazione di qualche accolito nostalgico e sprovveduto. Lo stile dei documenti, pur infarciti di luoghi comuni cari alla tradizione più gretta e reazionaria, non è riconducibile né allo stile stentato che Gelli dimostra possedere negli scritti a lui sicuramente attribuibili, né al livello assai mediocre della sua preparazione culturale anche sul piano istituzionale. Peraltro ciò che ora interessa è il raffronto contenutistico tra lo “schema R” da un lato, ed il “Memorandum” ed il “Piano di rinascita” dall’altro. E ciò perché nel loro collegamento cronologico (lo “schema R” è almeno di qualche tempo anteriore rispetto al “Memorandum” ed al “Piano di rinascita“, i quali appaiono il frutto di una elaborazione databile intorno al 1976) i documenti consentono di cogliere anche all’interno della P2 il passaggio di fase che si colloca a cavaliere della metà del decennio. Il senso di insieme che è dato cogliere dal raffronto del documento più antico con i due più recenti è appunto quello dell’evoluzione, da un’idea di colpo di Stato per la costruzione di un assetto politico e sociale autoritario e paternalista, ad un progetto di conquista del controllo dello Stato con mezzi più morbidi e secondo una visione più moderna di un assetto sociale “ordinato”, che si connota di efficientismo, meritocrazia, esaltazione dei valori individuali ed esasperazione della preminenza delle esigenze economiche, ma che conserva una sostanziale continuità con le impostazioni autoritarie precedenti.   Lo “Schema di massima per un risanamento generale del paese“, che fu pubblicato da Gelli, è un progetto politico di taglio decisamente golpista. Il documento si fonda su un’analisi politica assai più grossolana e datata di quella relativa al “Piano di rinascita nazionale” (ed al “Memorandum” a questo allegato). L’anticomunismo (inteso come contrasto all’ideologia e insieme all’espansionismo anche militare dell’URSS) e l’avversione alla formula politica del centro-sinistra richiamano in parte i documenti del convegno dell’Istituto Pollio (di circa un decennio anteriori), assumendo un notevole rilievo sul piano storico specie con riferimento al succedersi e all’intrecciarsi delle istanze golpiste che vanno esaurendosi proprio tra il 1974 ed il 1975 e al loro stretto concatenarsi con la P2. Dal punto di vista cronologico lo “Schema” si direbbe immediatamente successivo alla tornata elettorale del 1975, e precedente di qualche tempo il “Memorandum” che contiene una lettura assai più articolata della situazione generale. Per queste ragioni desta qualche perplessità, peraltro priva oggi di conseguenze sul piano pratico, l’affermazione di Gelli secondo la quale sarebbe stato questo e non il “Piano” il documento sottoposto all’attenzione del Presidente della Repubblica. Come già accennato il pericolo di una eccessiva ascesa del partito comunista in Italia è il dato politico ispiratore di tutta la parte introduttiva del documento, che paventa la possibilità di un assorbimento dell’Italia nell’area di influenza del mondo comunista e vede nella crisi della Democrazia Cristiana il venir meno di un possibile baluardo a tale ascesa. La soluzione per una tale possibile catastrofica degenerazione della situazione politica italiana, che determinerebbe imprevedibili reazioni anche in campo internazionale per la impossibilità, da parte degli Stati Uniti, di prendere atto passivamente di una così rilevante modifica degli equilibri concordati dopo la fine della guerra, è condensata in un programma di interventi affidati all’iniziativa del Presidente della Repubblica, il quale dovrebbe varare immediatamente tre provvedimenti urgenti indispensabili: -revisione della Costituzione con la trasformazione dell’Italia in Repubblica presidenziale; – proclamazione dello stato di “armistizio sociale” per un periodo non inferiore a due anni; -nomina ed insediamento di un “comitato di coordinamento” composto da non più di undici membri, scelti tra tecnici di provata esperienza e capacità nelle rispettive specializzazioni con il compito immediato e principale di studiare e proporre eventuali riforme all’attuale Costituzione.   In epoca immediatamente successiva si dovrebbero concedere al Comitato di coordinamento i poteri necessari per poter esaminare, analizzare ed eventualmente modificare gli schemi di riforme sociali ed economiche, nonché tutti i progetti di legge da rimettere al Parlamento. Inoltre il predetto Comitato dovrebbe avere pieni poteri per poter procedere al riesame di tutta la legislazione attualmente in vigore. Il meccanismo di accentramento del potere, di sospensione delle garanzie fondamentali e di creazione di una sorta di Comitato di salute pubblica risponde proprio ai principi elementari della manualistica del colpo di Stato ed il resto del documento non delude le aspettative in questa direzione. La limitazione del diritto di sciopero, la modifica della legge elettorale, l’aumento dei poteri delle forze dell’ordine e l’impiego dell’esercito nelle operazioni di ordine pubblico, la predisposizione di un piano di richiamo in servizio dei carabinieri ausiliari e di un piano di ripiegamento dell’arma territoriale con    “raggruppamento in centri di raccolta opportunamente scelti in base a criteri operativi per fronteggiare eventuali esigenze di ordine pubblico e per evitare che le forze restino inoperose ed inutilizzabili…“, >  la trasformazione dell’esercito da esercito di leva in esercito di volontari ed una serie di misure a favore delle forze armate e di rafforzamento del principio di autorità al loro interno, il ripristino della pena di morte, la riduzione del numero dei quotidiani, i provvedimenti in tema di “moralità pubblica”, di economia e di istruzione costituiscono infatti lo sviluppo, che si articola in ben cinquantaquattro punti, delle premesse poste con il preambolo e con l’enunciazione dei provvedimenti urgenti necessari.   Di contenuto e natura diversa sono invece i documenti sequestrati a Fiumicino e cioè il “Piano di rinascita democratica” ed il “Memorandum“, che lo integra e lo motiva. Il contenuto dei documenti è tale da escludere che si sia trattato, come Gelli afferma, di una serie di appunti elaborati in vista di successivi interventi sulla stampa. Si tratta invece, come già osservato, di un progetto politico complessivo, frutto evidente di un’elaborazione collettiva; e cioè documenti programmatici che assumono rilievo non tanto in sé, ma in virtù della loro esatta coincidenza con l’accertata attività concreta della Loggia, e con comportamenti assunti nel tempo dai suoi affiliati. Vuol dirsi cioè che, analizzando i comportamenti concreti e i criteri con cui furono individuate le persone da reclutare, si evidenzia in controluce un piano di azione non molto dissimile da quello rinvenuto nella valigia di Maria Grazia Gelli e composto, come già più volte ricordato, dal “Piano di rinascita democratica” e dall’allegato “Memorandum“. Quest’ultimo è un documento di analisi della situazione politica che parte dalla constatazione della situazione di crisi della Democrazia cristiana. La soluzione a tale problema potrebbe venire dalla creazione di due nuovi movimenti politici, uno social-laburista e l’altro liberal-moderato o conservatore, in grado di catalizzare, a destra ed a sinistra della D.C. le aree moderate che stentatamente convivono all’interno del partito impegnandosi in una lotta interna esiziale. Ma poiché tale progetto appare troppo ambizioso in termini di costo e di tempo necessari per la realizzazione, non rimane che avviare un processo di rifondazione della Democrazia cristiana che passi anche attraverso il ringiovanimento dei quadri e la sostituzione di almeno l’80% della dirigenza del partito. E’ necessario poi che la D.C. prenda atto della “cetimedizzazione” della società italiana abbandonando perciò la sua anima più radicatamente popolare che solo nella contrapposizione all’ideologia comunista trovava la sua giustificazione, in favore di una “morale fondata sull’equilibrio fra diritti e doveri, sul principio del neminem ledere“, sulla libertà di scelta economica quale presupposto di quella politica, sul dovere di solidarietà cristiana e umana che ha inizio nel momento fiscale. Anche l’apparato del partito deve adattarsi con radicali cambiamenti articolandosi in clubs territoriali e settoriali destinati a funzionare come centri propulsori nel campo della propagazione delle idee mentre il ricambio ai vertici del partito deve essere garantito dall’eliminazione di gran parte dei vertici nazionali e periferici e la sostituzione con nuove leve provenienti dal mondo esterno. Solo una struttura di questo tipo sarebbe in grado di realizzare il programma contenuto nel “Piano di rinascita“, che costituisce una sorta di allegato al “Memorandum“, mentre d’altro canto non avrebbe senso lo sforzo necessario per la creazione della struttura, se non per la realizzazione di cambiamenti prospettati nel piano. Significativamente il documento termina con una previsione di spesa di una decina di miliardi, necessari per inserirsi nel sistema di tesseramento per “acquistare il partito” mentre una cifra altrettanto consistente appare necessaria per provocare la scissione del sindacato, altra condizione indispensabile per la realizzazione del progetto. Il “Piano di rinascita democratico” fissa, dandosi obiettivi a breve, medio e lungo termine, i punti necessari per il raggiungimento dello scopo e indica gli obiettivi da tenere presenti: i partiti, i sindacati, il Governo, la Magistratura, il Parlamento, Partiti, stampa e sindacati possono fin da subito essere oggetto di quella opera di “penetrazione” da parte di persone di fiducia che, con un costo prevedibile di trenta o quaranta miliardi, potrebbe assicurare il controllo degli apparati rendendoli disponibili all’operazione di salvataggio contenuta nel piano.   Il resto del documento analizza partitamente ogni settore, individuando gli obiettivi da raggiungere immediatamente o in tempi più lunghi e tale disamina è preceduta da una premessa:   “Primario obiettivo e indispensabile presupposto dell’operazione è la costituzione di un club (di natura rotariana per l’omogeneità dei componenti) ove siano rappresentati, ai migliori livelli, operatori imprenditoriali e finanziari, esponenti delle professioni liberali, pubblici amministratori e magistrati, nonché pochissimi e selezionati uomini politici, che non superi il numero di trenta o quaranta unità. Gli uomini che ne fanno parte devono essere omogenei per modo di sentire, disinteresse, onestà e rigore morale, tali cioè da costituire un vero e proprio comitato di garanti rispetto ai politici che si assumeranno l’onere dell’attuazione del piano e nei confronti delle forze amiche nazionali e straniere che lo vorranno appoggiare. Importante è stabilire un collegamento valido con la massoneria internazionale“.

  In questo paragrafo è in qualche modo condensata la filosofia essenziale del “Piano di rinascita“, che è quella di una visione fortemente economicista della società che relega in un angolo la politica, i cui rappresentanti hanno necessità di una garanzia che non gli viene dalla legittimazione ma dai rappresentanti delle élite, attribuendogli un ruolo di strumento di mediazione tanto ineliminabile quanto sgradito e quindi relegato in una posizione fortemente marginale e in buona sostanza appena tollerato per conservare il carattere democratico del sistema. Per quanto riguarda i procedimenti si può brevemente dire che l’obiettivo deve essere, nei partiti, nella stampa e nel sindacato, quello del controllo delle persone che in ogni formazione o in ogni giornale siano ritenute sintoniche con gli obiettivi del “Piano” e della creazione di strutture (formazioni politiche e giornali) che se ne facciano strumento di realizzazione. Per il sindacato in particolare, deve essere prioritario l’obiettivo della scissione dell’unità sindacale per poi consentire la riunificazione con i sindacati autonomi di quelle componenti confederali sensibili all’attuazione del “Piano”. Tale obiettivo è preferibile (e meno costoso in termini economici) rispetto a quello, pur esso positivo, del rovesciamento degli equilibri di forze all’interno della confederazione. Per quanto riguarda i programmi, il documento si articola con l’illustrazione di una serie di interventi, sul piano delle istituzioni, dell’istruzione e dell’economia, coerenti con le premesse date e idonee alla realizzazione del progetto sia nel breve termine che nei tempi medi e lunghi. Il risultato finale di tutta l’operazione avrebbe dovuto restituire una magistratura più controllata (con la diversa regolamentazione degli accessi e delle carriere) e meno autonoma (con la modifica del CSM); un pubblico ministero separato e legato alla responsabilità politica del Ministro di giustizia; un Governo il cui presidente viene eletto dalla Camera, libero da condizionamenti del Parlamento e i cui decreti non sono emendabili; un sistema della rappresentanza congelato con elezioni a scadenza rigida e simultanee per il Parlamento ed i consigli regionali e comunali; un Parlamento profondamente modificato e ridimensionato nella composizione e nelle funzioni; una Corte costituzionale ricondotta in argini più ristretti attraverso il divieto delle sentenze cosiddette additive; una amministrazione forte nei suoi apparati da contrapporre alla fragilità del controllo politico esercitato su di essa, una struttura sociale più rigida e meritocratica, una stampa più controllata, un’economia libera da eccessivi condizionamenti. Abbastanza agevole è quindi cogliere, così chiarendo il senso del “passaggio di fase“, una distinzione tra il “Piano R“, vero schema di colpo di Stato, ed il programma di rinascita che assumeva i profili dell’illiceità con riferimento non al contenuto del Piano (a parte l’inciso sulla possibile sua realizzazione per decreto), quanto ai mezzi che ci si proponeva di utilizzare (non la legittimazione del voto, ma ad esempio le cosiddette “operazioni finanziarie” di controllo dei meccanismi della rappresentanza). Tuttavia, anche all’interno del “Piano” e del “Memorandum“, è possibile ritrovare tracce testuali di una continuità di elaborazione che collega tali documenti posteriori allo “Schema R” e che testimonia della non episodicità e della non individualità delle riflessioni dell’organizzazione P2 sul tema. Anche lo “Schema” contiene infatti riferimenti al divieto di sentenze additive per la Corte costituzionale, alla necessità di abolire le province e di fissare una data comune e inderogabile per le elezioni del Parlamento e per quelle regionali e comunali, all’accertamento dei poteri di programmazione attraverso la riforma del Ministero delle partecipazioni statali (che nel “Piano” diventa Ministero dell’economia).   Su tali basi è quindi possibile rilevare come ben relativo fosse il carattere democratico del “Piano di rinascita” che pure i suoi estensori pretesero di attestare in limine, e cioè nell’incipit della premessa:   “l’aggettivo democratico sta a significare che sono esclusi dal presente Piano ogni movente o intenzione anche occulta di rovesciamento del sistema“.   Ad asseverare tale dichiarazione di intenti potrebbe valere il rilievo che gli obiettivi del “Piano” ben potrebbero considerarsi rientranti nel programma politico di un partito conservatore, soprattutto oggi che almeno parte di essi sono nel dibattito politico oggetto di una condivisione abbastanza ampia. Ma è l’analisi dei mezzi (e non dei fini) ad escludere, come già ricordato, il carattere democratico del Piano, affidato ad un’operazione occulta degli affiliati all’interno delle istituzioni, dei movimenti politici, del sistema dell’informazione e dell’economia. D’altro canto tutta la storia della P2 dimostra un tentativo di occupazione del potere e si realizza attraverso la distribuzione di uomini “propri” in ogni posto di responsabilità e se questo è nella logica storicamente consolidata della massoneria di tutte le “fratellanze” di qualsiasi matrice, si fonde nella P2 con lo sforzo di realizzazione di un progetto politico e di un assetto istituzionale che stravolge radicalmente quello esistente impossessandosene da dentro e violando i suoi principi fondamentali. A riprova che il carattere democratico di un ordinamento riposa non soltanto sul profilo statico di istituzioni che fondano e recuperano la loro legittimazione nel consenso popolare, ma anche (e in maniera non meno intensa) sul profilo dinamico dei metodi, caratterizzati da trasparenza e visibilità, ai quali l’ordinamento stesso affida le prospettive di una sua possibile riforma. 


http://www.abanet.it/papini/circolo/coglitore2.htm 

La democrazia apparente: appunti sui servizi segreti

In Italia il primo servizio segreto, ufficio I come fu denominato, risale al 1863. Si trattava di un organo istituito presso lo stato maggiore dell’esercito e destinato negli anni ad assumere un’importanza sempre maggiore. Non è un caso che la sua origine si collochi in ambito militare; in epoca moderna, chiamiamola così, l’esercito costituiva uno dei perni fondamentali nell’articolazione della macchina statale. Come si può facilmente constatare rileggendo cronache vicine e lontane, anche più tardi il potere dei militari sarà piuttosto consistente.

Ma per le notizie di carattere storico sarà sufficiente consultare una buona bibliografia. Esaminare la questione, invece, nella prospettiva di un’analisi politica può risultare difficile. Si fà un gran parlare ultimamente del ruolo e dell’operato dei servizi segreti di un’Italia sedicente democratica: a tratti il problema riemerge con una certa forza. Poi, dopo un rimescolamento di carte da parte degli organi preposti, per così dire, ci si accorge che quasi niente è cambiato: ad eccezione forse di un paio di trasferimenti. Mi sembra assolutamente esemplificativo il polverone sollevato nelle ultime settimane a proposito del Sisde (Servizio informazioni sicurezza democratica) e dei suoi brillanti dirigenti che scopriamo coinvolti non soltanto nello stragismo degli ultimi ventanni ma anche nello scandalo di Tangentopoli con tanto di storno di capitali, interessi privati in atti d’ufficio e altre decine di bazzeccole di questo genere.

Se la storia può servire a qualcosa, in questo senso, l’uso che ne dobbiamo fare è semplicemente quello di tracciare, per l’ennesima volta (le cose ripetute giovano, recita una antichissima massima latina), un percorso ben visibile all’interno di un quadro infinitamente più ampio e dai contorni per certi versi imprecisi, che ci racconta episodi di una politica del controllo e del dominio da parecchi decenni in grado di sorvegliare lo sviluppo ed i mutamenti di una società complessa: la società del capitale.

Tuttavia il sistema economico che definiamo capitalista è soltanto un aspetto di quella complessità, con buona pace di tutti i marxisti del mondo; altre e più sottili strutture articolano la geografia dell’imprevedibile. Il potere sfugge a se stesso nel tacito rinnovamento, ineludibile, del proprio esercizio.

In quanto struttura occulta, ma in teoria sotto la giurisdizione di organi legalmente previsti nelle costituzioni degli Stati contemporanei, e la cui azione quindi dovrebbe comunque rispettare le regole del gioco democratico, i servizi segreti finiscono per costituire potentissime agenzie in proprio in grado di manipolare con destrezza cose e persone.

A questo punto l’idea di servizio segreto deviato, che da più parti ci si ostina a contrapporre ad un immaginario servizio pulito o degli onesti, se volete, assume delle connotazioni che vale la pena di discutere. La questione va precisata in termini molto chiari: non esistono deviazioni nei servizi, esistono semplicemente servizi. Per definizione un tale ambito di potere ristretto ma ad alta concentrazione acquista vita propria, funziona per se stesso. Al massimo, di tanto in tanto, per un gruppo specifico di gestione che ne usa le risorse, davvero imponenti.

Recentemente, come dimostrano alcune inchieste che forse non hanno la notorietà che meritano (e infatti la loro pubblicazione è affidata ad editori minori), stabiliscono con una certa esattezza quale sia il livello di articolazione di questi poteri occulti che sono al punto di intersezione, perlomeno per quanto riguarda il caso italiano ma sarebbe abbastanza semplice gettare uno sguardo anche oltre confine (od oltre oceano se preferite), degli interessi di Massoneria, Mafia, destra internazionale, interi settori dello Stato, corpi militari, Carabinieri, Polizia. Ognuno con la sua specificità, ognuno con il suo livello di appartenenza e di tornaconto. Per chi mastica un po’ di letteratura sull’argomento l’incontro con i medesimi personaggi, che appaiono e scompaiono in un gioco di ombre cinesi davvero impressionante, forma un quadretto davvero ameno; una foto di famiglia dalle enormi proporzioni in cui gli eventi della storia recente e meno recente, storia dolorosa di stragi ed omicidi, di occultamento di prove, di denaro e scambio di favori diventano fatti di una cronologia che scorre da sola.

La cornice sapientemente modellata attorno non poteva che essere quella di una democrazia falsamente rincorsa nella quale hanno creduto in tanti. Ristabilimento delle regole del vivere civile. Ma contro che cosa, o meglio, in sostituzione di quale illegalità?

Facciamo un passo indietro. Nell’ottobre 1925 venne istituito il SIM, Servizio informazioni militari. I rapporti tra questa struttura e il regime non saranno mai chiariti completamente; resta il fatto che con il potenziamento della terza sezione, utilizzata per il controspionaggio, in realtà il controllo sull’opposizione diventa capillare. I fondi erogati al servizio raddoppiano velocemente nel corso di quel decennio e il SIM si affianca ad altre temibili organizzazioni nella persecuzione degli antifascisti, tra tutte l’OVRA (Opera vigilanza e repressione antifascismo) con scambio frequente di agenti e mezzi, che il regime ben tollerava. E’ il periodo della direzione Roatta, generale dell’esercito che ottiene da Mussolini quelle sovvenzioni di cui si diceva. Nel dopoguerra la terza sezione diventerà l’ufficio D (difesa) dei nuovi servizi, segnando una delle prime linee di continuità tra sistemi di potere, per quanto sulla carta (in questo caso la Costituzione della Repubblica) radicalmente opposti nella valenza ideologica. Ma il binomio democrazia contro dittatura fà comunque salve le posizioni di numerosi funzionari che passano indenni da un contesto politico all’altro candeggiando la camicia. Lo stesso Roatta avrebbe detto più tardi, come riporta De Lutiis nel suo libro che troverete in bibliografia, “…non sono mai stato un generale fascista ne antifascista, ma soltanto un generale dell’esercito italiano. Il colore o la forma del governo non mi interessavano.” O patria, o morte.

Non si contano le operazioni di eliminazione fisica degli avversari scomodi, operazioni speciali che Roatta avalla in perfetta complicità con il numero due del regime fascista Galeazzo Ciano. Nel 1937 Carlo e Nello Rosselli furono assassinati sulla strada che conduceva a Bagnoles-sur-l’Orne, una località della Normandia. Ignoti assalitori li picchiarono a morte dopo aver intercettato la loro auto. La carriera di Roatta prosegue indisturbata; lui i favori ai potenti sa come farli.

Le vicende del SIM, su cui vale la pena di soffermarsi ancora un attimo, corrono parallele a quelle di un’Italia sconvolta dalla guerra, dal settembre 1943, data della capitolazione ufficiale del regime e del voltafaccia nell’alleanza con Hitler e i governi dell’Asse, dalla ritirata sanguinosa dei tedeschi e dall’arrivo degli americani. La sinistra, risollevatasi, chiede a gran voce dalle pagine del quotidiano l’Unità la cancellazione del SIM, fino ad allora intoccato ed intoccabile. Probabilmente erano già cominciati i rapporti con il controspionaggio alleato, in particolare con l’OSS statunitense (Office of strategic service), alla cui guida Allen Dulles cerca di riorganizzare letteralmente l’Europa, e nella confusione di quei giorni si cerca di porre rimedio ad alcune situazioni che potrebbero rivelarsi dannose per la sicurezza delle reti spionistiche presenti e future. Viene istruito un processo contro i dirigenti del SIM e si chiede addirittura la condanna a morte dell’ambasciatore Anfuso, coinvolto nell’omicidio Rosselli. Per Roatta la previsione è l’ergastolo. In questo modo stava per essere stroncata la riorganizzazione della struttura del SIM, iniziata a ridosso dell’8 Settembre. Il generale senza ideologia viene posto agli arresti nel carcere di Regina Coeli e comincia una delle prime battaglie dei dossiers della sfortunata epopea italiana. Le prove sembrano schiaccianti, e il dibattimento ha inizio nel 1945. Roatta sfugge alla sue responsabilità, sparisce, in pigiama, dal liceo Virgilio trasformato in ospedale nel quale era stato ricoverato perchè cagionevole nella salute, eludendo la sorveglianza dei Carabinieri e se ne va quasi indisturbato dopo aver scavalcato un cancello.

Si compie una delle più importanti esfiltrazioni, nel gergo dei servizi messa in fuga di qualcuno oltre frontiera, nella storia del nascente governo democratico. Roatta si era rifugiato in Vaticano e di lì sarebbe partito con la moglie per la Spagna da dove ritornerà nel 1966. Forse con la benedizione dello stesso Papa.

Lentamente cominciamo a cogliere l’adeguamento delle strutture dei servizi alla realtà che cambia così repentinamente. Ma la minaccia comunista è sempre alle porte e gli americani lo sanno molto bene. Bisogna cominciare a gettare le basi di un sistema di potere che tenga conto delle mutate necessità storiche e politiche. Inizia il periodo del riciclaggio. Il fenomeno ha una portata sicuramente europea, specialmente in Germania dove col processo di Norimberga vengono in sostanza incriminate soltanto le mummie del Terzo Reich.

Un uomo del calibro di Gehlen è già in viaggio per gli Stati Uniti. Reinhard Gehlen era responsabile dell’unità di spionaggio del Terzo Reich Fremde Heere Ost (eserciti stranieri dell’Est) e fedele soldato del Führer. Allen Dulles lo spedì a dirigere la sezione affari sovietici dell’OSS. Alcuni anni dopo Gehlen rientrò in Germania e divenne direttore del servizio di controspionaggio federale (BND). Una bella carriera, non c’è dubbio.

Nel paese degli aranci e dei limoni, la riconversione degli elementi peggiori della vecchia classe dirigente fascista procede di pari passo con altrettanta celerità. Di Roatta si è già detto. La stessa impunità viene riservata ai responsabili principali delle operazioni speciali del SIM, dell’OVRA e della palude torbida delle varie squadracce mussoliniane. Nel 1947 viene nominato Ministro degli Interni Mario Scelba, protagonista della repressione di operai e braccianti negli anni immediatamente a ridosso della proclamazione della Repubblica democratica fondata sul lavoro. A questo proposito va ricordato che la nomina dell’uomo che avrebbe inventato il reparto Celere della Polizia di Stato (negli anni divenuto via via tristemente famoso per i metodi antiguerriglia promossi sul campo nella repressione delle agitazioni di piazza) trova consenso anche in casa PCI: il compagno Togliatti dà il beneplacito senza battere ciglio. Come lo stesso Scelba conferma in un’intervista comparsa nel 1988 sulla rivista Prospettive nel mondo, “[…] Allontanai, con buonuscite o trasferimenti nelle isole, per tutto il 1947, gli ottomila comunisti infiltratisi nella Polizia, e assunsi diciottomila agenti fidatissimi…Posso aggiungere che non mi limitai a reclutare forze di Polizia affidabili, ma creai una serie di poteri per l’emergenza, una rete parallela a quella ufficiale che avrebbe assunto automaticamente ogni potere in caso di insurrezione.” Lascio a chi legge ogni ulteriore considerazione.

Continuiamo con i fatti. Diamo un rapido sguardo alla situazione delle forze di Polizia negli anni ’50: su 64 prefetti di primo grado, 64 prefetti non di primo grado e 241 prefetti, soltanto due non erano di provenienza fascista; di 135 questori e 139 vicequestori, soltanto 5 avevano avuto rapporti con la Resistenza; e, infine, su 603 commissari, commissari aggiunti e vicecommissari, solo 34 erano stati in contatto con i partigiani.

Nel 1946 i servizi segreti, perlomeno sulla carta, non esistono; restano attivi gli uffici I di armata. Un anno dopo l’Ufficio informazioni dello stato maggiore dell’esercito riprende a funzionare a pieno ritmo. E’ la premessa per la ricostituzione di un servizio segreto perfettamente efficiente; infatti con le elezioni dell’Aprile 1948 e l’adesione (ovvia) al Patto Atlantico si dà corpo all’organigramma del Servizio informazioni forze armate (SIFAR), definitivamente legittimato nel 1949, per l’esattezza il primo Settembre.

Il SIFAR è identico al SIM, in buona sostanza. Prima di tutto perchè è il risultato, come il precedente servizio, di una circolare interna del ministro della difesa, all’epoca Pacciardi, e non di una decisione parlamentare. In secondo luogo raccoglie molti degli elementi, già abbastanza squallidi oltrechè pericolosi, che gravitavano attorno agli ambienti del regime. Contemporaneamente vengono istituiti per ognuna delle tre forze armate i Servizi informazioni operative e situazione (SIOS), che troveremo attivi e coinvolti negli anni successivi in molte delle situazioni scabrose di questo tormentato paese. L’esempio classico può essere quello del disastro aereo di Ustica, per il quale il SIOS Aereonautica si è largamente adoperato nel tentativo di depistare le indagini e fornire improbabili versioni dei fatti.

Giovanni De Lorenzo assume la direzione del SIFAR nel 1955. Sono gli anni infausti del golpe strisciante e delle famose schedature, oltre 155.000, di esponenti della sinistra istituzionale e non, semplici simpatizzanti, sindacalisti, operai. Fino alla riforma del 1965, quando fu istituito il SID, Servizio informazioni difesa, il SIFAR del generale De Lorenzo reggerà le fila del controllo occulto della politica italiana degli anni caldi precedenti al rivoluzionario decennio aperto dalla contestazione del 1968.

Si infittiscono i rapporti con i servizi statunitensi che fin dal dopoguerra hanno installato un’importante centro operativo in Italia. La stazione CIA di Roma funziona egregiamente: attraverso il lavoro paziente di alcuni tra i loro migliori agenti, gli americani sono in grado di tessere una fitta ragnatela che piegherà le decisioni del governo alla volontà degli alleati d’oltreoceano. La rete Stay Behind, al secolo Gladio, attiva anche in molti altri paesi europei, risulta, come ha osservato lo stesso giudice Casson nella sua indagine, da accordi intercorsi tra servizi segreti, nel nostro caso CIA e SIFAR, scavalcando qualsiasi decisione del parlamento, l’unico organismo in grado di ratificare trattati internazionali di questa natura, qualora essi fossero ritenuti legittimi. Vecchia abitudine, questa, di organizare reti clandestine totalmente svincolate da qualsiasi controllo. E alla faccia di una democrazia costruita in realtà sulle feroci repressioni operaie di Scelba.

Vale la pena, a questo punto, di introdurre un singolare, a quei tempi giovanotto che negli anni a cavallo tra la caduta del fascismo ed il ripristino della cosiddetta legalità istituzionale iniziava la sua brillante formazione. Licio Gelli era nato a Pistoia nel 1919, aveva combattuto in Albania e successivamente era diventato sottotenente delle SS naziste. Spiava i partigiani e li denunciava ai tedeschi; un ufficiale di collegamento che presto si specializzò nel doppiogioco. Comunicava ai nazisti i nascondigli della Resistenza e poi avvertiva gli stessi partigiani consentendo loro di mettersi in salvo. Gelli non era persona che si faceva molti scrupoli, il suo problema era quello di acquisire potere. La collaborazione con i comunisti, per i quali lavorò alcuni anni, gli valse la vita in almeno un’occcasione dopo la sconfitta dell’esercito nazista quando stava per essere condannato come spia. Nel 1956 passò direttamente alle dipendenze dei servizi segreti italiani. Aveva già acquisito l’esperienza sufficiente per destreggiarsi nelle situazioni più difficili, i suoi rapporti con l’intelligence americana erano solidi e le sue finanze, frutto di numerose rapine di guerra, robuste. La sua ascesa ai vertici del potere politico occulto fu inarrestabile: con la costituzione del raggruppamento Gelli – P2 il venerabile maestro creava un centro strategico fondamentale nella geografia del dominio in Europa e oltreoceano.

L’esempio di Gelli può essere assunto come elemento chiave della costruzione lenta ed inesorabile di una democrazia nata malata. O forse addirittura inesistente. Barricati dietro ad un’ideologia paranoicamente anti-comunista, e sorretti certamente dalle paure di un’intero segmento della cultura borghese più retriva, i profeti del terrore cominciavano a seminare il loro vento. La tempesta raccolta, non occorrerà citare decine di fatti ormai noti, li avrebbe ripagati degli sforzi compiuti.

Gli anni ’70 conoscono il periodo buio dello stragismo targato SID. La bufera dei servizi, termine che ricorre spesso nelle cronache di questi giorni, travolge fatti e persone in un fiume di sangue.

Il 24 Ottobre 1977 viene varata l’ennesima riforma dei servizi. L’idea che vuole sembrare risolutiva è quella di distinguere tra servizi civili e militari: da una parte il SISDE (Servizio informazioni sicurezza democratica) e dall’altra il SISMI (Servizio informazioni sicurezza militare), coordinati da un organo unico alle dipendenze del Presidente del Consiglio, un comitato esecutivo di sorveglianza, il CESIS. L’ammiraglio Henke, il generale Miceli e tutta la dirigenza SID erano usciti malconci dagli scandali di quel decennio. Non c’era situazione critica che non li avesse visti coinvolti a depistare, falsare, intervenire pesantemente a normalizare.

La strategia della tensione era stata un prodotto schietto della loro logica eternamente destabilizzante. Con il caso Moro, infine, l’incrinatura nei poteri dello Stato rischiava di tradursi in crollo definitivo. Lo strappo venne ricucito con la stessa tecnica quarantennale: ripristino delle strutture, passaggio di consegne, spostamento nell’esercizio del potere. Ma lo slittamento fu, all’interno, davvero impercettibile se si considera ciò che sono stati gli anni ottanta. Con Craxi a capo del governo, agli 007 nostrani fu persino concessa licenza di uccidere, nella migliore tradizione bondiana. Fino all’attuale rimercificazione spettacolare. Travolti da Tangentopoli, gli appartenenti al SISDE sembrano rinnovare gli antichi necrologi. Cambiamento totale, tramonto delle vecchie logiche, abbandono dei fondi neri.

Nell’Europa del dopo-muro, i servizi segreti riadattano in fretta le loro già fluide caratteristiche alle mutate condizioni. Il conflitto jugoslavo garantisce del resto la parziale fruibilità di canali preferenziali di comunicazione per il commercio di armi, plutonio, droga, denaro riciclato e riciclabile. Un vero paradiso per gli oscuri personaggi che si aggirano tra le macerie dell’ex impero sovietico, saccheggiando tutto quello di cui ci si può impadronire.

All’Ovest una macchina perfetta, quella del Capitale, attende con pazienza l’arrivo di nuova materia prima da trasformare subito in merce. La concussione contestata agli appartenenti al SISDE se per un verso è certamente documentabile, per un altro è soltanto polvere sollevata dinanzi ai nostri occhi. Cominciano da subito, infatti, le proposte per il solito riaggiustamento delle strutture. Sembra che le due classiche branche dei servizi rimangano immutate, a parte il cambiamento nella denominazione. Un centro di controllo sovrintende ai due dipartimenti, interno e difesa, sotto l’alto patrocinio del Presidente del Consiglio. Variazioni minime, la sostanza quasi certamente non cambierà.

L’unica soluzione, dopo una stagione durata più di quarant’anni e disseminata di morti, è quella che ha proposto Felice Casson: abolizione definitiva dei servizi. Ma le trame parallele dell’Italia democratica sono fin troppo connaturate al sistema per sperare in una loro completa scomparsa. Perchè esse sono il sistema.

Mario Coglitore

BIBLIOGRAFIA di riferimento

R. FaenzaM. Fini, Gli americani in Italia, Feltrinelli, Milano 1976.

R. Faenza, Il Malaffare, Mondadori, Milano 1978.

G. De Lutiis, Storia dei servizi segreti in Italia, Editori Riuniti, Roma 1985.

G. Boatti, L’Arma, i Carabinieri, da De Lorenzo a Mino 1962-1977, Feltrinelli, Milano 1978.

C. StajanoM. Fini, La forza della democrazia, Einaudi, Torino 1977.

R. Canosa, La polizia in Italia dal 1945 ad oggi, Il Mulino, Bologna 1976.

R. Zangrandi, Inchiesta sul Sifar, Editori Riuniti, Roma 1970.

D. Yallop, In nome di Dio, Pironti editore, Napoli 1985.

G. Flamini, Il partito del golpe, Bovolenta editore, Ferrara 1981-1985 (quattro volumi in sei tomi complessivi).

M. CoglitoreS. Scarso (a cura di), La notte dei gladiatori, omissioni e silenzi della Repubblica, Calusca edizioni, Padova 1992.

L. Grimaldi, Da gladio a cosa nostra, Edizioni Kappa Vu, Udine 1933.

G. Barbacetto, Il grande vecchio, Baldini e Castoldi, Milano 1993.


INFORMATIVA

NOME E COGNOME: Licio Gelli.

PATERNITA’: di Ettore.

MATERNITA’: di Gori Maria.

DATA DI NASCITA: 21 aprile 1919.

LUOGO DI NASCITA: Pistoia.

RESIDENZA: Pistoia.

INDIRIZZO: Viale Silvano Fedi n.30 piano 3°.

TITOLO DI STUDIO: Licenza scuola media.

PROFESSIONE: Ex impiegato.

STATO CIVILE: Moglie ed un figlio.

CARICHE PUBBLICHE: Nessuna.

CARICHE NEL PCI: Capo servizio del Distretto 7°.

TITOLI CAVALLERESCHI: Nessuno.

GRADO MILITARE: Ex Oberleutnant – Uff. della M.V.S.N. – Soldato del Regio Esercito Italiano.

ARMA: M.V.S.N. (735° Btg. CC.NN.) R. Eserc. Italiano 127° Regg. Fanteria C.S. paracadutisti – SS Tedesche (P. Div. Hermann Goering) – Partigiano combattente (XI zona).

DISTRETTO: 84° – Pistoia.

AGENTE: 8° Zona distretto 7° Settore I.

CAMPAGNE: Guerra di Spagna con il 735° Btg. CC.NN., Guerra di Albania con il 127° Regg. Fanteria, Guerra Europea, campagne d’italia contro gli alleati, incorporato nelle S.S. Tedesche quale ufficiale di collegamento con la federazione repubblichina di Firenze e Pistoia. Partigiano combattente comunista alle dipendenze del comando XI  Zona, facente parte della formazione Bruno Buozzi (Dr. Vincenzo Nardi).

FERITE: Ferito agli arti inferiori. Riconosciuto invalido di guerra.

LINGUE: Tedesco-spagnolo-francese.

CONNOTATI:

STATURA: 1,82

CORPORATURA: Snellissima

CAPELLI: Castani

OCCHI: Castani

COLORITO: Pallido

NASO: Grosso

VISO: Ovale

SEGNI PARTICOLARI: Nessuno

Altri particolari fisici:

E’ un giovane alto, distinto, con capelli all’ Umberto, ondulati artificialmente, fronte spaziosa, occhi piccoli quando sorride, naso grosso piuttosto aquilino, bocca leggermente larga ma regolare, dentatura sana, viso ovale

E’ di corporatura molto snella, le mani piuttosto grosse molto lunghe. Cammina sempre svelto con fare franco e disinvolto. E’ molto spigliato quando parla ostenta sempre grande padronanza di sé.

Abiti:

Veste elegantemente con soprabito marrone a doppio petto (sei bottoni) porta sempre sciarpa di seta sotto il soprabito di color blu a fiori leggermente pallidi, cravatta chiara marrone e pantaloni lunghi di eguale colore, scarpe basse color cuoio.

Ama però portare spesso pantaloni sborsati da ufficiale con gambali neri, lucidi a stecca.

1 fede d’oro nell’ anulare sinistro.

1 penna stilografica nel taccuino della giacca.

Altri particolari:

Fuma sigarette di varie marche, specialmente «Chesterfield». Non è dedito né al vino né ai liquori. Non gioca. Non frequenta sale da ballo, né altri ritrovi pubblici. Vive molto appartato.

In compenso viaggia molto in auto, una Fiat 1100 (musetto) targata in un primo tempo 100577 MI a quattro posti (guida interna) e successivamente targata 8782 PT con la quale fa la spola fra Pistoia e Roma , fra Pistoia e Milano e fra Pistoia e Livorno.

La macchina è stata acquistata da certo Colombo di Milano e sebbene sia stata regolarmente pagata, ha atteso oltre un anno per fare le volture.

Il GELLI spende somme di denaro notevoli in cose del tutto superflue, dimostrando di avere una quantità di denaro esagerata in confronto alle sue probabili entrate. Risulta che spende circa diecimila lire al giorno e non è possibile capacitarsi della fonte di tale reddito.

Inoltre tiene a far vedere che egli ha molte possibilità in campo commerciale e industriale, vantando alte relazioni con eminenti personalità politiche del quale non disdegna fare il nome.

RAPPORTO

Il nominativo segnalato è uno dei più pericolosi elementi che operano nella zona 8° alle dirette dipendenze del partito comunista.

Il suddetto ha tutte le prerogative classiche per esplicare le mansioni che gli sono state affidate per conto dei rossi e non mancherà alla loro fiducia perché elemento capace di compiere qualunque azione.

1°) L’attività del Gelli con il P.C. risale al 1944, epoca in cui egli si pose al servizio dei rossi per salvare le propria pelle, dopo aver operato contro di essi.

2°) Il Gelli se ne stette all’apparenza inoperoso per due anni fingendo di fare il traffico clandestino di sigarette americane (che smerciava in accordo col proprio suocero che aveva impiantato una bella bancarella in Piazza del Duomo a Pistoia all’angolo con via degli Orafi) facendo la spola tra Pistoia e Livorno e fra Livorno e Milano, mentre invece eseguiva per conto dei comunisti altre missioni poco chiare.

3°) La sua vera attività comincia ad essere più scoperta nel 1947 e nel 1948 è già in pieno svolgimento. Egli si associa con un certo NICCOLAI Danilo, abitante a S. Felice di Piteccio (Pistoia) e con lui cerca di mascherare altri traffici, facendosi passare per un industriale che sta impiantando una grande fabbrica per la produzione di trafilati di ferro e di rame (sono aziende che tra laminatoi e presse necessitano di prime spese di impianto come qualcosa che si aggira sui 50 milioni) a tal’uopo comincia a costruire un piccolo capannone in località Porta Lucchese, capannone che fu soltanto iniziato e non finito perché serviva per giustificare la sua attività in altro campo.

Infatti, questa azienda da circa 14 mesi è rimasta allo stato quo e non ci sono state fatte altre modificazioni, né sono stati acquistati i materiali necessari sebbene il Gelli ne abbia – con coloro che glielo domandavano – sempre assicurato che in un breve volgere di tempo l’azienda avrebbe dovuto essere completa e funzionare normalmente.

Inoltre il Gelli fingeva di essere sempre vicino alla fase iniziale del lavoro e trattava di assumere.

Dai 180 ai 200 operai (sono parole sue dette ad un nostro informatore) e già aveva iniziato trattative con alcuni giovani per assumerli come impiegati d’ufficio.

Tutto questo preparativo gli servì egregiamente per farsi un certo credito in campo industriale e commerciale, oltre a stornare i sospetti per quelle che potevano essere le sue capacità finanziarie, in quanto giustificava le spese d’impianto a carico del socio che era di buona famiglia e poteva avere i denari necessari per le spese iniziali e da altra parte poteva in un secondo tempo giustificare anche le proprie con la dimostrazione di una attività non indifferente.

4°) Ecco così il Gelli industriale e commerciante che comincia il «lavoro». Acquista o gliela regalano una  1100 Fiat targata 100577 MI ed inizia la spola con i vari agenti del suo servizio.

Il lavoro di Gelli deve aver soddisfatto i suoi dirigenti superiori i quali dopo poco tempo ritengono opportuno affidargli incarichi di maggiore importanza e ritengono necessario inviarlo anche all’estero.

Il Gelli che tra l’ altro è schedato nella nostra questura come «pericoloso fascista» non potrebbe ottenere il regolare passaporto ed allora egli giustifica la richiesta per ragioni «commerciali» (ecco il motivo dell’impianto dell’azienda) la questura di Pistoia molto opportunamente gli nega il rilascio.

Il Gelli non si scoraggia per questo; sa che il deputato più influente di Pistoia è l’on. Attilio Piccioni, il quale si trova a Roma come segretario generale della D.C., e munito della tessera di iscritto al partito democristiano parte per Roma e si reca a Piazza del Gesù per perorare la sua causa, cioè ottenere il passaporto.

Ma i preti si sa sono molto furbi ed intelligenti; l’on. Piccioni non abbocca, ma prima chiede informazioni a Pistoia e intanto promette al Gelli il suo interessamento. Le informazioni giungono e non sono conformi ai desideri dell’ on., di cui sopra la ragione per cui il Gelli non ottiene la raccomandazione agognata.

Ma Gelli non è uno facile a disarmare ed allora eccolo iscriversi al Partito Monarchico e ritorna a Roma per ottenere la spinta che servirà a far recedere la questura di Pistoia dalla decisione iniziale. Però anche il partitino monarchico è deboluccio, ha poca forza e non riesce a fornire al Gelli quanto desidera.

Il Gelli ancora una volta non cede e si iscrive al M.S.I.; questa approfittando che a Roma si trova nel direttorio il Dr. Orfeo Sellani (ex segretario del P.N.F. di Pistoia del quale Gelli era stato dipendente nel 1938) riesce ad imbrogliarlo ed ottiene quanto desidera.-

La questura di Pistoia riceve ordine e il passaporto è rilasciato.

5°) Eccolo così il Gelli in possesso di un passaporto per l’estero per le seguenti nazioni: Spagna-Francia- Belgio- Svizzera.

Il Gelli inizia poco dopo i suoi viaggi per ragioni commerciali visitando successivamente queste nazioni. Infatti le necessità della sua «industria» lo obbligavano a prendere contatti con i complessi industriali e commerciali di altri paesi.-

Al suo ritorno il Gelli iniziava le trattative con un proprietari di Pistoia ed acquistava un bell’appartamento in viale Silvano Fedi, che pagava in contanti per qualche milione. Però il Gelli, sempre furbo, lo acquistò a nome del proprio figlio Raffaello nato il 28 Maggio 1947.

Intanto l’azienda di Porta Lucchese rimane allo stato iniziale, i macchinari non vengono, gli operari che dovevano essere assunti entro breve tempo rimangono disoccupati e naturalmente il lavoro non comincia. Trascorrono alcuni mesi e nel novembre del 1948 il Gelli annuncia finalmente è venuto il momento di iniziare la lavorazione e sarà dato subito l’avvio al completamento dei lavori in officina per sviluppare in pieno l’azienda.

Invece da allora è sempre rimasta in quella maniera.

6°) Di ritorno dall’estero (senza sapere quello che è riuscito a combinare) il Gelli ha continuato la commedia dell’industriale e del commerciante cercando ancora di mascherare la sua vera attività. Il suo tenore di vita però, è stato svolto con pochissima furberia per un capo servizio di un distretto dell’importanza di Pistoia (nodo stradale e ferroviario di primissimo piano), in quanto ha fatto delle spese che non erano consone alle sue probabili entrate e tutto questo ha dato nell’occhio alla questura di Pistoia e al comando della stazione della Principale dei C.C. i quali sono stati sul chi va là e lo hanno tallonato da presso.

La questura aveva ricevuto frattanto la comunicazione dalla consorella di Livorno e questa da quella di Milano che in un recente arresto di contrabbandieri di armi e di esplosivi risultò che il nome di Gelli era in qualche modo in combutta con i suddetti (sembra Malgheri e Compagni).

Il giorno 18 dicembre 1949 il Gelli è stato fermato e condotto in questura, mentre era stato provveduto a fargli una perquisizione nella propria casa perché sospetto di traffico d’armi e pure sospetto di spionaggio a favore dei Paesi Orientali.

7°) Il Gelli, visto che l’affare industria non poteva più reggere in quelle condizioni, ha deciso di cambiare tattica ed ha iniziato il solito lavoro tanto in uso nel servizio spionistico orientale. Ha aperto una bottega di libri in corso A Gramsci n. 52.

Così gli agenti del suo servizio si recheranno in bottega con dei libri sotto il braccio, diranno che tal libro non và, ne prenderanno un altro e così avviene lo scambio degli ordini e delle circolari opportunamente celate  entro i volumi. Questo gioco è ormai troppo vecchio e non si sono ancora modernizzati, perché riesce troppo ingenuo agli occhi di coloro che lo sorvegliano da vicino.

8°) Il fattore principale che rende il Gelli molto pericoloso nei nostri confronti è quello dato dalla sua eccezionale capacità di spostamento e di mobilità.

Egli è sempre in movimento da una città all’altra; non passa giorno che non si veda la sua macchina per ogni dove. Gira continuamente da una regione all’altra con velocità impressionante.

Roma è uno dei centri da lui più battuti, segue Milano e poi Livorno.

9°) Il Gelli può fare anche questo lavoro, perché dai più è ritenuto come un sacrificato politico del passato regime e non desta sospetti in maniera che i più accaniti anticomunisti sono facilmente abbordabili da lui si sbottonano con facilità credendolo un elemento della loro idea, in modo che  esso può fare pervenire informazione preziose agli agenti del P.C..

10°) Il Gelli insomma per le sue qualità di traditore specifico, per i suoi meriti di delinquente, per le sue caratteristiche di mobilità è l’elemento ideale per il servizio a cui è stato preposto.

Perciò lo segnalo; sia per la zona strategica nella quale opera e di cui lui è praticissimo, sia per l’azione informativa che espleta di cui lui può fare moltissimo. 

RAPPORTO SUL SUO PASSATO

Fare il rapporto di questo pericolosissimo Capo-Distretto al servizio del Cominform è una cosa quasi ripugnante, tanto sono le sue nefandezze da elencare.

E’ necessario pertanto descrivere l’uomo per poter capire come esso sia al servizio dei criminali rossi.

Il Gelli iniziò la sua carriera presso la Federazione dei Fasci di Combattimento di Pistoia nel 1937.

Fu assunto come addetto d’ordine al gruppo universitario fascista. Venne la guerra di Spagna ed egli si arruolò volontario come semplice C.N. e combatté contro i rossi tutta la guerra con il 735° Btg. CC.NN..

Al suo ritorno, per i meriti acquisiti e per avere egli scritto un libro sulla campagna spagnola (tutto un inno alla tirannide rossa) fu promosso al grado di impiegato federale nella Federazione Fascista di Pistoia. Il libro che egli scrisse (cioè che…. non scrisse , perché egli raccontò i fatti e l’universitario rag. M.C. da Pescia  ne redasse la stesura fu venduto tramite la Federazione Fascista ai dipendenti fasci a beneficio delle famiglia dei caduti di Spagna). La nomina al grado di impiegato federale gli fu sanzionata proprio dal consigliere del MSI di Roma, dottor Orfeo Sellani, allora segretario federale del PNF di Pistoia.

Scoppiata la guerra europea nel 1939, fu richiesto nel 127° reggimento fanteria ed inviato in Albania.

Dopo parecchi mesi che si trovava al fronte cominciarono gli arruolamenti per il primo corpo speciale dei Paracadutisti ed egli fece domanda ed ottenne di poter tornare in Italia per andare alla scuola dei paracadutisti di Viterbo. Durante un’esercitazione di lanciò si ferì seriamente alle gambe ed allora fu congedato e riconosciuto inabile alle fatiche di guerra.

Rientrato a Pistoia riprese il suo servizio alla Federazione fascista e dopo pochi mesi fu nominato segretario del fascio di combattimento di Cattaro, ove prese servizio stipendiato e vi stette fino al 25 luglio 1943, epoca in cui cadde il fascismo.

Tornato nuovamente a Pistoia divenne il più pericoloso informatore del Comando tedesco della Piazza, tanto che dopo alcune settimane venne nominato Oberleutenat delle SS e ufficiale di collegamento con le federazioni repubblichine di Firenze e Pistoia, quest’ultima diretta dal senior della MVSN dottor Bruno Lorenzoni.

Fu in questo periodo che avvennero deportazioni di massa di pacifici cittadini, fucilazioni di giovani renitenti alla chiamata alle armi della repubblica di Salò ed in tutti questi episodi vi era la lunga mano del Gelli che pratico del posto segnalava al comando tedesco quando era il momento di agire.

Venuto il momento della resa dei conti il Gelli ritenne opportuno cambiare tattica e bandiera e si associò con i partigiani comunisti delle formazioni «Bruno Buozzi» che dipendevano dal comando della XI Zona , comandata dal dr. Vincenzo Nardi.- Così cominciò un altro periodo di tradimento in duplice fase: il giorno il Gelli era con i tedeschi ai quali indicava i rifugi dei partigiani e li faceva sorprendere e passare per le armi, la notte era assieme ai partigiani ed indicava loro il momento in cui sarebbero –il giorno dopo- passate le vetture tedesche con i loro ufficiali e faceva loro tendere imboscate che si concludevano sempre con conseguenze sanguinose per i nazisti; il giorno dopo indicava ai tedeschi il luogo di raduno dei partigiani che avevano operato la notte in modo che per un periodo indeterminato poté seguire questa tattica inqualificabile fino al termine delle operazioni.

Per confermare basti sapere il seguente episodio: nel luglio del 1944, il Gelli in divisa da ufficiale germanico delle SS, si presentava in località Collegigliato (Pistoia) presso una casa di cure per malattie nervose chiamata «Villa Sbertoli» casa che era stata dalle SS adibita a prigione per rastrellati sospetti di essere partigiani ed insieme a  dei veri partigiani ordinò ai carcerieri di rilasciare i prigionieri. Si acquistò la fiducia dei vari comandanti le formazioni partigiane che operavano nelle montagne pistoiesi, ma il Gelli, la sera, con perfetto cinismo si portava al comando tedesco della Piazza di Pistoia e finendo di ignorare l’episodio, indicava al comandante nazista i nomi di coloro che avevano partecipato all’azione in modo che il giorno dopo varie unità delle SS compirono un meticoloso rastrellamento per acciuffare i nominativi segnalati dal Gelli che – fortunatamente – non furono rintracciati.

Terminato il periodo di lotta in questa zona con la avanzata dei soldati della V° Armata, i Partigiani riuscirono ad arrestare il Gelli e già era stato posto contro il muro per essere fucilato, quando l’intervento tempestoso del comunista Corsini Giuseppe, oggi sindaco di Pistoia, gli valse la revoca del giusto provvedimento.  


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{18-01-2003}

http://www.societacivile.it/focus/articoli_focus/massoni/p2.html

Licio Gelli, fascista e massone. 

Chi è questo Gelli? – si chiedono Turone e Colombo. Quasi sconosciuto, allora, dal grande pubblico, era il Maestro Venerabile della loggia massonica Propaganda 2, che riuniva la crema del potere italiano. C’era la fila, per ottenere udienza da Gelli nella sua suite all’hotel Excelsior, in via Veneto, a Roma. La loggia era segreta, per non mettere in imbarazzo i suoi potenti iscritti, dispensati anche dalle ritualità massoniche. Bastava la sostanza.
Gelli era arrivato al vertice della P2 dopo una onorata carriera come fascista, simpatizzante della Repubblica di Salò, doppiogiochista con la Resistenza, collaboratore dei servizi segreti inglesi e americani, infine agente segreto della Repubblica italiana. Volonteroso funzionario del Doppio Stato: soldato, come tanti altri fascisti e nazisti, arruolato nell’esercito invisibile che gli Alleati avevano approntato, dopo la vittoria contro Hitler e Missolini, per combattere la «guerra non ortodossa» contro il comunismo. Entrato nella massoneria, aveva contribuito a selezionare, dentro l’esercito, gli ufficiali anticomunisti disposti ad avventure golpiste. Nel colpo di Stato (tentato) del 1970 aveva avuto un ruolo di tutto rispetto: suo era l’incarico di entrare al Quirinale e trarre in arresto il presidente della Repubblica Giuseppe Saragat, quello che mandava telegrammi a raffica che finivano sempre con un bel «viva la Resistenza, viva l’Italia». Poi il golpe non ci fu, sospeso forse dagli americani, ma la «guerra non ortodossa» continuò, con una serie di stragi che insanguinarono l’Italia. Fino al 1974, anno di svolta. Allora la strategia della guerra segreta contro il comunismo cambiò: basta con la contrapposizione diretta, con i progetti apertamente golpisti, sostituiti da una più flessibile occupazione, attraverso uomini fidati, di tutti gli ambiti della società, di tutti i centri di potere. La massoneria (o almeno una parte di essa) fornisce le strutture e le coperture necessarie a organizzare questo club del Doppio Stato, questo circolo dell’oltranzismo atlantico. Nasce la P2 di Licio Gelli. In cui poi, all’italiana, entrano anche (e per alcuni soprattutto) le protezioni, le carriere, gli affari e gli affarucci. Ma tutto ciò, tra il 1980 e il 1981, Turone e Colombo ancora non lo sapevano, non lo immaginavano neanche. I due andavano avanti per la loro strada, a districare i misteri del caso Sindona.


PIANO DI RINASCITA DEMOCRATICA  

Questo documento viene pubblicato mantenendo la stessa forma grafica dell’originale (spazi, sottolineature, titolazione, ecc.)

PREMESSA

1)    L’aggettivo democratico sta a significare che sono esclusi dal presente piano ogni movente od intenzione anche occulta di rovesciamento del sistema

2)    Il piano tende invece a rivitalizzare il sistema attraverso la sollecitazione di tutti gli istituti che la Costituzione prevede e disciplina, dagli organi dello Stato ai partiti politici, alla stampa, ai sindacati, ai cittadini elettori.

3)    Il piano si articola in una sommaria indicazione di obiettivi, nella elaborazione di procedimenti – anche alternativi – di attuazione ed infine nell’elencazione di programmi a breve, medio e lungo termine.

4) Va anche rilevato, per chiarezza, che i programmi a medio e  

     lungo termine prevedono alcuni ritocchi alla Costituzione – 

     successivi al restauro delle istituzioni fondamentali.

OBIETTIVI

1) Nell’ordine vanno indicati:

a)    partiti politici democratici, dal PSI al PRI, dal PSDI alla DC al PLI (con riserva di verificare la Destra Nazionale)

b)    la stampa, escludendo ogni operazione editoriale, che va sollecitata al livello di giornalisti attraverso una selezione che tocchi soprattutto: Corriere della Sera, Giorno, Giornale, Stampa, Resto del Carlino, Messaggero, Tempo, Roma, Mattino, Gazzetta del Mezzogiorno, Giornale di Sicilia per i quotidiani; e per i periodici: Europeo, Espresso, Panorama, Epoca, Oggi, Gente, Famiglia Cristiana. La RAI-TV va dimenticata;

c)    i sindacati, sia confederali CISL e UIL, sia autonomi, nella ricerca di un punto di leva per ricondurli alla loro naturale funzione anche al prezzo di una scissione e successiva costituzione di una libera associazione dei lavoratori;

d)    il Governo, che va ristrutturato nella organizzazione ministeriale e nella qualità degli uomini da preporre ai singoli dicasteri;

e)    la magistratura, che deve essere ricondotta alla funzione di garante della corretta e scrupolosa applicazione delle leggi;

f)      il Parlamento, la cui efficienza è subordinata al successo dell’operazione 

     sui partiti politici, la stampa e i sindacati.

2) Partiti politici, stampa e sindacati costituiscono oggetto di sollecitazioni

possibili sul piano della manovra di tipo economico-finanziario. 

La disponibilità di cifre non superiori a 30 o 40 miliardi sembra sufficiente

a permettere ad uomini di buona fede e ben selezionati di conquistare le posizioni chiave necessarie al loro controllo.

Governo, Magistratura e Parlamento rappresentano invece obiettivi successivi, accedibili soltanto dopo il buon esito della prima operazione, anche se le due fasi sono necessariamente destinate a subire intersezioni e interferenze reciproche, come si vedrà in dettaglio in sede di elaborazione dei procedimenti

3) Primario obiettivo e indispensabile presupposto dell’operazione è la costituzione di un club (di natura rotariana per l’eterogeneità dei componenti) ove siano rappresentati, ai migliori livelli, operatori, imprenditoriali e finanziari, esponenti delle professioni liberali, pubblici amministratori e magistrati nonché pochissimi e selezionati uomini politici, che non superi il numero di 30 o 40 unità.

     Gli uomini che ne fanno parte debbono essere omogenei per modo di sentire, disinteresse, onestà e rigore morale, tali cioè da costituire un vero e proprio comitato di garanti rispetto ai politici che si assumeranno l’onere dell’attuazione del piano e nei confronti delle forze amiche nazionali e straniere che lo vorranno appoggiare. Importante è stabilire subito un collegamento valido con la massoneria internazionale.

PROCEDIMENTI

1)    Nei confronti del mondo politico occorre:

a)   selezionare gli uomini – anzitutto – ai quali può essere affidato il compito di promuovere la rivitalizzazione di ciascuna rispettiva parte politica (Per il PSI, ad esempio, Mancini, Mariani e Craxi; per il PRI: Visentini e Bandiera; per il PSDI: Orlandi e Amidei; per la DC: Andreotti, Piccoli, Forlani, Gullotti e Bisaglia; per il PLI: Cottone e Quilleri; per la Destra Nazionale (eventualmente): Covelli);

b)   in secondo luogo valutare se le attuali formazioni politiche sono in grado di avere ancora la necessaria credibilità esterna per ridiventare validi strumenti di azione politica;

c)   in caso di risposta affermativa, affidare ai prescelti gli strumenti finanziari sufficienti – con i dovuti controlli – a  permettere loro di acquisire il predominio nei rispettivi partiti;

d)   in caso di risposta negativa usare gli strumenti finanziari stessi per l’immediata nascita di due movimenti: l’uno, sulla sinistra (a cavallo fra PSI-PSDI-PRI-Liberali di sinistra e DC di sinistra), e l’altro sulla destra (a cavallo fra DC conservatori, liberali, e democratici della Destra Nazionale). Tali movimenti dovrebbero essere fondati da altrettanti clubs promotori composti da uomini politici ed esponenti della società civile in proporzione reciproca da 1 a 3 ove i primi rappresentino l’anello di congiunzione con le attuali parti ed i secondi quello di collegamento con il mondo reale. Tutti i promotori debbono essere inattaccabili per rigore morale, capacità, onestà e tendenzialmente disponibili per un’azione politica pragmatistica, con rinuncia alle consuete e fruste chiavi ideologiche. Altrimenti il rigetto da parte della pubblica opinione è da ritenere inevitabile.

2)    Nei confronti della stampa (o, meglio, dei giornalisti)

l’impiego degli strumenti finanziari non può, in questa fase, essere previsto nominatim. Occorrerà redigere un elenco di almeno 2 o 3 elementi, per ciascun quotidiano o periodico in modo tale che nessuno sappia dell’altro. L’azione dovrà essere condotta a macchia d’olio, o, meglio, a catena, da non più di 3 o 4 elementi che conoscono l’ambiente.

                         Ai giornalisti acquisiti dovrà essere affidato il compito di “simpatizzare” per gli esponenti politici come sopra prescelti in entrambe le ipotesi alternative 1c e 1d.

                         In un secondo tempo occorrerà:

a)   acquisire alcuni settimanali di battaglia;

b)   coordinare tutta la stampa provinciale e locale attraverso una agenzia centralizzata;

c)   coordinare molte TV via cavo con l’agenzia per la stampa locale;

d)   dissolvere la RAI-TV in nome della libertà di antenna ex art.21 Costit.

        3) Per quanto concerne i sindacati la scelta prioritaria è fra la sollecitazione alla rottura, seguendo cioè le linee già esistenti dei gruppi minoritari della CISL e maggioritari dell’UIL, per poi agevolare la fusione con gli autonomi, acquisire con strumenti finanziari di pari entità i più disponibili fra gli attuali confederati allo scopo di rovesciare i rapporti di forza all’interno dell’attuale trimurti.  

                         Gli scopi reali da ottenere sono:

                              a)    restaurazione della libertà individuale nelle fabbriche e aziende in genere per consentire l’elezione dei consigli di fabbrica con effettive garanzie di segretezza del voto;

                              b) ripristinare per tale via il ruolo effettivo del sindacato di collaboratore del fenomeno produttivo in luogo di quello illegittimamente assente di interlocutore in vista di decisioni politiche aziendali e governative.

Sotto tale profilo, la via della scissione e della successiva integrazione con gli autonomi sembra preferibile anche ai fini dell’incidenza positiva sulla pubblica opinione di un fenomeno clamoroso come la costituzione di un vero sindacato che agiti la bandiera della libertà di lavoro e della tutela economica dei lavoratori. Anche in termini di costo è da prevedere un impiego di strumenti finanziari di entità inferiori all’altra ipotesi.

                      4) Governo, Magistratura e Parlamento

                          E’ evidente che si tratta di obiettivi nei confronti dei quali i procedimenti divengono alternativi in varia misura a seconda delle circostanze.

                          E’ comunque intuitivo che, ove non si verifichi la favorevole circostanza di cui in prosieguo, i tempi brevi sono – salvo che per la Magistratura – da escludere essendo i procedimenti subordinati allo sviluppo di quelli relativi ai partiti, alla stampa ed ai sindacati, con la riserva di una più rapida azione nei confronti del Parlamento ai cui componenti è facile estendere lo stesso modus operandi già previsto per i partiti politici.

                          Per la Magistratura è da rilevare che esiste già una forza interna (la corrente di magistratura indipendente della Ass.Naz.Mag.) che raggruppa oltre il 40% dei magistrati italiani su posizioni moderate.

                          E’ sufficiente stabilire un raccordo sul piano morale e programmatico ed elaborare una intesa diretta a concreti aiuti materiali per poter contare su un prezioso strumento, già operativo nell’interno del corpo anche ai fini di taluni rapidi aggiustamenti legislativi che riconducano la giustizia alla sua tradizionale funzione di elemento di equilibrio della società e non già di evasione.

                          Qualora invece le circostanze permettessero di contare sull’ascesa al Governo di un uomo politico (o di una èquipe) già in sintonia con lo spirito del club e con le sue idee di “ripresa democratica” è chiaro che i tempi dei procedimenti riceverebbero una forte accelerazione anche per la possibilità di attuare subito il programma di emergenza e quello a breve termine in modo contestuale all’attuazione dei procedimenti sopra descritti.

                          In termini di tempo ciò significherebbe la possibilità di ridurre a 6 mesi ed anche meno il tempo di intervento, qualora sussista il presupposto della disponibilità dei mezzi finanziari.

PROGRAMMI Per programmi s’intende la scelta, in scala di priorità, delle numerose operazioni da compiere in forma di:

a)    azioni di comportamento politico ed economico;

b)    atti amministrativi (di Governo);

c)    atti legislativi; necessari a ribaltare –

concomitanza con quelli descritti in materia di procedimenti – l’attuale tendenza al disfacimento delle istituzioni e, con essa, alla disottemperanza della Costituzione i cui organi non funzionano più secondo gli schemi originali. Si tratta, in sostanza, di “registrare” – come nella stampa in tricromia – le funzioni di ciascuna istituzione e di ogni organo relativo in modo che i rispettivi confini siano esattamente delimitati e scompaiano le attuali aree di sovrapposizione da cui derivano confusione e indebolimento dello Stato.

A titolo di esempio, si considerino due fenomeni:

1)   lo spostamento dei centri di potere reale dal Parlamento ai sindacati e dal Governo ai padronati multinazionali con i correlativi strumenti di azione finanziaria. Sarebbero sufficienti una buona legge sulla programmazione che rivitalizzi il CNEL ed una nuova struttura dei Ministeri accompagnate da norme amministrative moderne per restituire ai naturali detentori il potere oggi perduto;

2)   l’involuzione subita dalla scuola negli ultimi lo anni quale risultante di una giusta politica di ampliamento dell’area di istruzione pubblica, non accompagnata però dalla predisposizione di corpi docenti adeguati e preparati nonché dalla programmazione dei abbisogni in tema d’occupazione.

Ne è conseguenza una forte e pericolosa disoccupazione intellettuale – con gravi deficienze invece nei settori tecnici – nonché la tendenza ad individuare nel titolo di studio il diritto al posto di lavoro. Discende ancora da tale stato di fatto la spinta all’equalitarismo assoluto (contro la Costituzione che vuole tutelare il diritto allo studio superiore per i più meritevoli) e, con la delusione del non inserimento, il rifugio nella apatia della droga oppure nell’ideologia dell’eversione anche armata. Il rimedio consiste: nel chiudere il rubinetto del preteso automatismo: titolo di studio – posto di lavoro; nel predisporre strutture docenti valide; nel programmare, insieme al fenomeno economico, anche il relativo fabbisogno umano; ed infine nel restaurare il principio meritocratico imposto dalla Costituzione.

Sotto molti profili, la definizione dei programmi intersecherà temi e notazioni già contenuti nel recente Messaggio del Presidente della Repubblica – indubbiamente notevole – quale diagnosi della situazione del Paese, tendendo, però, ad indicare terapie più che a formulare nuove analisi.

Detti programmi possono essere resi esecutivi – occorrendo – con normativa d’urgenza (decreti legge).

a)    Emergenza a breve termine. Il programma urgente comprende, al pari degli altri, provvedimenti istituzionali (rivolti cioè a “registrare” le istituzioni) e provvedimenti di indole economico-sociale.

a1) Ordinamento giudiziario: le modifiche più urgenti

      investono:

         la responsabilità civile (per colpa) dei magistrati;

     il divieto di nominare sulla stampa i magistrati comunque investiti di procedimenti giudiziari;

         la normativa per l’accesso in carriera (esami psico- attitudinali preliminari);

         la modifica delle norme in tema di facoltà di libertà

    provvisoria in presenza dei reati di eversione – anche

    tentata – nei confronti dello Stato e della Costituzione,

    nonché di violazione delle norme sull’ordine pubblico,

    di rapina a mano armata, di sequestro di persona e di

    violenza in generale.

a2) Ordinamento del Governo

1-    legge sulla Presidenza del Consiglio e sui Ministeri

                       (Cost.art.95) per determinare competenze e numero

                       (ridotto, con eliminazione o quasi dei Sottosegretari); 

2-    legge sulla programmazione globale (Costit.art.41)

    incentrata su un Ministero dell’economia che ingloba

    le attuali strutture di incentivazione (Cassa Mezz. –

    PP.SS – Medicredito – Industria – Agricoltura), sul

    CNEL rivitalizzato quale punto d’incontro delle forze

    sociali sindacali, imprenditoriali e culturali e su

    procedure d’incontro con il Parlamento e le Regioni;

3-    riforma dell’amministrazione. (Costit.articoli 28-97 e

    98) fondata sulla teoria dell’atto pubblico non

    amministrativo, sulla netta separazione della

    responsabilità politica da quella amministrativa che

    diviene personale (istituzione dei Segretari Generali di

    Ministero) e sulla sostituzione del principio del

    silenzio-rifiuto con quello del silenzio-consenso;

4-    definizione della riserva di legge nei limiti voluti e

     richiesti espressamente dalla Costituzqione e

     individuazioni delle aree di normativa secondaria

    (regolamentare) in ispecie di quelle regionali che

    debbono essere obbligatoriamente limitate nell’ambito

    delle leggi cornice.

a3) Ordinamento del Parlamento

1)    ripartizione di fatto, di competenze fra le due Camere

    (funzione politica alla CD e funzione economica al

    SR);

2)    modifica (già in corso) dei rispettivi Regolamenti per

     ridare forza al principio del rapporto (Cost.art.64) fra

     maggioranza-Governo, da un lato, e opposizione,

     dall’altro, in luogo della attuale tendenza

     assemblearistica.

3)  adozione del principio delle sessioni temporali in

     funzione di esecuzione del programma governativo.

b)    Provvedimenti economico-sociali;

b1) abolizione della validità legale dei titoli di studio (per

      sfollare le università e dare il tempo di elaborare una

      seria riforma della scuola che attui i precetti della

      Costituzione);

b2) adozione di un orario unico nazionale di 7 ore e 30′

      effettive (dalle 8,30 alle 17) salvi i turni necessari per gli impianti a ritmo di 24 ore,       obbligatorio per tutte le attività pubbliche e private;

                        b3) eliminazione delle festività infrasettimanali e dei relativi ponti (salvo 2 giugno – Natale – Capodanno e Ferragosto) da riconcedere in un forfait di 7 giorni aggiuntivi alle ferie annuali di diritto;

                        b4) obbligo di attuare in ogni azienda ed organo di Stato i turni di festività – anche per sorteggio – in tutti i periodi dell’anno, sia per annualizzare l’attività dell’industria turistica, sia per evitare la “sindrome estiva” che blocca le attività produttive;

                        b5) revisione della riforma tributaria nelle seguenti direzioni:

1-    revisione delle aliquote per i lavoratori. dipendenti aggiornandole al tasso di svalutazione 1973-76;

2-    nettizzazione all’origine di tutti gli stipendi e i salari della P. A. (onde evitare gli enormi costi delle relative partite di giro);

3-    inasprimento delle aliquote sui redditi professionali e sulle rendite;

4-    abbattimento delle aliquote per donazioni e contributi a fondazioni scientifiche e culturali riconosciute, allo scopo di sollecitare indirettamente la ricerca pura ed il relativo impiego di intellettualità;

5-    alleggerimento delle aliquote sui fondi aziendali destinati a riserve, ammortamenti, investimenti e garanzie, per sollecitare l’autofinanziamento premiando il reinvestimento del profitto;

6-    reciprocità fra Stato e dichiarante nell’obbligo di mutuo acquisto ai valori dichiarati ed accertati;

b6) abolizione della nominatività dei titoli azionari per

      ridare fiato al mercato azionario e sollecitare

      meglio l’autofinanziamento delle aziende

      produttive;

b7) eliminazione delle partite di giro fra aziende di

      Stato ed istituti finanziari di mano pubblica in

      sede di giro conti reciproci che si risolvono – nel

      gioco degli interessi – in passività inutili dello

      stesso Stato;

b8) concessione di forti sgravi fiscali ai capitali

      stranieri per agevolare il ritorno dei capitali

      dall’estero;

b9) costituzione di un fondo nazionale per i servizi

      sociali (case-ospedali-scuole-trasporti) da

      alimentare con:

1 – sovraimposta IVA sui consumi voluttuari

     (automobili- generi di lusso);

2 – proventi dagli inasprimenti fiscali ex b5)4;

3 – finanziamenti e prestiti esteri su programmi di

     spesa;

4 – stanziamenti appositi di bilancio per investimenti;

5 – diminuzione della spesa corrente per parziale

     pagamento di stipendi statali superiori a

     L.7.000.000 annui con speciali buoni del Tesoro al

     9% non commerciabili per due anni.

Tale fondo va destinato a finanziare un programma biennale di spesa per almeno 10.000 miliardi. Le riforme di struttura relative vanno rinviate a dopo che sia stata assicurata la disponibilità dei fabbricati, essendo ridicolo riformare le gestioni in assenza di validi strumenti (si ricordino i guasti della riforma sanitaria di alcuni anni or sono che si risolvette nella creazione di 36.000 nuovi posti di consigliere di amministrazione e nella correlativa lottizzazione partitica in luogo di creare altri posti letto).

Per quanto concerne la realizzabilità del piano edilizio in presenza della caotica legislazione esistente, sarà necessaria una legge che imponga alle Regioni programmi urgenti straordinari con termini brevissimi surrogabili dall’intervento diretto dello Stato; per quanto si riferisce in particolare all’edilizia abitativa, il ricorso al sistema dei comprensori obbligatori sul modello svedese ed al sistema francese dei mutui individuali agevolati sembra il metodo migliore per rilanciare questo settore che è da considerare il volano della ripresa economica;

                      b10) aumentare la redditività del risparmio postale 

                              elevando il tasso al 7%

                      b11) concedere incentivi prioritari ai settori:

                              I – turistico;

                              Il – trasporti marittimi

                              III – agricolo-specializzato (primizie-zootecnica);

                              IV – energetico convenzionale e futuribile (Nucleare-geotermico-solare);

                              V – industria chimica fine e metalmeccanica specializzata di trasformazione; in  modo da sollecitare investimenti in settori ad alto tasso di mano d’opera ed apportatori di valuta;

                          b12) sospendere tutte le licenze ed i relativi incentivi per impianti di raffinazione  primaria del petrolio e di produzione siderurgica pesante.

                          c) Pregiudiziale è che oggi ogni attività secondo quanto sub a) e b) trovi protagonista e gestore un Governo deciso ad essere non già autoritario bensì soltanto autorevole e deciso a fare rispettare le leggi esistenti.

      Così è evidente che le forze dell’ordine possono essere mobilitate per ripulire il Paese dai teppisti ordinari e pseudo politici e dalle relative centrali direttive soltanto alla condizione che la Magistratura li processi e condanni rapidamente inviandoli in carceri ove scontino la pena senza fomentare nuove rivolte o condurre una vita comoda.

      Sotto tale profilo, sembra necessario che alle forze di P.S. sia restituita la facoltà di interrogatorio d’urgenza degli arrestati in presenza dei reati di eversione e tentata eversione dell’ordinamento, nonché di violenza e resistenza alle forze dell’ordine, di violazione della legge sull’ordine pubblico, di sequestro di persona, di rapina a mano annata e di violenza in generale.

                            d) Altro punto chiave è l’immediata costituzione di una agenzia per il coordinamento della stampa locale (da acquisire con operazioni successive nel tempo) e della TV via cavo da impiantare a catena in modo da controllare la pubblica opinione media nel vivo del Paese.

           E’ inoltre opportuno acquisire uno o due periodici da contrapporre a Panorama, Espresso, Europeo sulla formula viva “Settimanale”.

MEDIO E LUNGO TERMINE

   Nel presupposto dell’attuazione di un programma di emergenza a breve termine come sopra definito, rimane da tratteggiare per sommi capi un programma a medio e lungo termine con l’avvertenza che mentre per quanto riguarda i problemi istituzionali è possibile fin d’ora formulare ipotesi concrete, in materia di interventi economico-sociali, salvo per quel che attiene pochissimi grandi temi, è necessario rinviare nel tempo l’elencazione di problemi e relativi rimedi.

a)    Provvedimenti istituzionali

a1) Ordinamento giudiziario

unità del Pubblico Ministero (a norma della

  Costituzione – articoli 107 e 112 ove il P.M. è

  distinto dai Giudici),

Il responsabilità del Guardasigilli verso il

   Parlamento sull’operato del P.M. (modifica

   costituzionale);

III istruzione pubblica dei processi nella dialettica

    fra pubblica accusa e difesa di fronte ai giudici

    giudicanti, con abolizione di ogni segreto

    istruttorio con i relativi e connessi pericoli ed

    eliminando le attuali due fasi d’istruzione;

IV riforma del Consiglio Superiore della

    Magistratura che deve essere responsabile

    verso il Parlamento (modifica costituzionale);

V  riforma dell’ordinamento giudiziario per

    ristabilire criteri di selezione per merito delle

    promozioni dei magistrati, imporre limiti di età

    per le funzioni di accusa, separare le carriere

    requirente e giudicante, ridurre a giudicante la

    funzione pretorile

VI esperimento di elezione di magistrati (Costit.

    art. 106) fra avvocati con 25 anni di funzioni in

    possesso di particolari requisiti morali;

a2) Ordinamento del Governo

    I   modifica della Costituzione per stabilire che il

      Presidente del Consiglio è eletto daIla Camera

      all’inizio di ogni legislatura e può essere

      rovesciato soltanto attraverso le elezioni del

      successore;

 II   modifica della Costituzione per stabilire che i

       Ministri perdono la qualità di parlamentari

III  revisioni della legge sulla contabilità dello Stato

      e di quella sul bilancio dello Stato (per

      modificarne la natura da competenza in cassa);

                                    IV   revisione della legge sulla finanza locale per stabilire – previo  consolidamento del debito attuale degli enti locali da riassorbire in 50 anni –  che Regioni e Comuni possono spendere al di là delle sovvenzioni statali soltanto i proventi di emissioni di obbligazioni di scopo (esenti da imposte e detraibili) e cioè relative ad opere pubbliche da finanziare secondo il modello USA. Altrimenti il concetto di autonomia diviene di sola libertà di  spesa  basata sui debiti;

                                    V   riforma della legge comunale e provinciale per sopprimere le provincie e  ridefinire i compiti dei Comuni dettando nuove norme sui controlli finanziari

                      a3) Ordinamento del Parlamento

I –  nuove leggi elettorali, per la Camera, di tipo misto (uninominale e proprozionale secondo il modello tedesco) riducendo il numero dei deputati a 450 e, per il Senato, di rappresentanza di 2° grado, regionale, degli interessi economici, sociali e culturali, diminuendo a 250 il numero dei senatori ed elevando da 5 a 25 quello dei senatori a vita di nomina presidenziale, con aumento delle categorie relative (ex parlamentari – ex magistrati – ex funzionari e imprenditori pubblici – ex militari ecc.);

II –  modifica della Costituzione per dare alla Camera preminenza politica (nomina del Primo Ministro) ed al Senato preponderanza economica (esame del bilancio);

III –  Stabilire norme per effettuare in uno stesso giorno ogni 4 anni le elezioni nazionali, regionali e comunali (modifica costituzionale);

IV –  Stabilire che i decreti-legge sono inemendabili:

                     a4) Ordinamento di altri organi istituzionali

1) Corte Costituzionale: sancire l’incompatibilità successiva dei giudici a cariche elettive ed in enti pubblici; sancire il divieto di sentenze cosiddette attive (che trasformano la Corte in organo legislativo di fatto);

2) Presidente della Repubblica: ridurre a 5 anni il mandato, sancire l’ineleggibilità ed eliminare il semestre bianco (modifica costituzionale);

3) Regioni: modifica della Costituzione per ridurre il numero e determinarne i confini secondo criteri geoeconomici più che storici.

Provvedimenti economico sociali,

   b1) Nuova legislazione antiurbanesimo subordinando il diritto di residenza alla dimostrazione di possedere un posto di lavoro ed un reddito sufficiente (per evitare che saltino le finanze dei grandi Comuni);

   b2) nuova legislazione urbanistica favorendo le città satelliti e trasformando la scienza urbanistica da edilizia in scienza dei trasporti veloci suburbani;

   b3) nuova legislazione sulla stampa in senso protettivo della dignità del cittadino (sul modello inglese) e stabilendo l’obbligo di pubblicare ogni anno i bilanci nonché le retribuzioni dei giornalisti;

   b4) unificazione di tutti gli istituti ed enti previdenziali ed assistenziali in un unico ente di sicurezza sociale da gestire con formule di tipo assicurativo allo scopo di ridurre i costi attuali;

   b5) disciplinare e moralizzare il settore pensionistico stabilendo:

1) Il divieto del pagamento di pensioni prima dei 60 anni salvo casi di riconosciuta inabilità;

2) il controllo rigido sulle pensioni di invalidità;

3) l’eliminazione del fenomeno del cumulo di più pensioni;

   b6) dare attuazione agli articoli 39 e 40 della Costituzione regolando la vita dei sindacati e limitando il diritto di sciopero nel senso di:

1) introdurre l’obbligo di preavviso dopo avere esperito il concordato;

2) escludere i servizi pubblici essenziali (trasporti; dogane; ospedali e cliniche; imposte; pubbliche amministrazioni in genere) ovvero garantirne il corretto svolgimento;

3) limitare il diritto di sciopero alle causali economiche ed assicurare comunque la libertà di lavoro;

b7) nuova legislazione sulla partecipazione dei lavoratori alla proprietà azionaria delle imprese e sulla gestione (modello tedesco)

b8) nuova legislazione sull’assetto del territorio (ecologia, difesa del suolo, disciplina delle acque, rimboscamento, insediamenti umani);

b9) legislazione antimonopolio (modello USA);

b10) nuova legislazione bancaria (modello francese);

b11) riforma della scuola (selezione meritocratica – borse di studio ai non abbienti – scuole di Stato normale e politecnica sul modello francese);

b12) riforma ospedaliera e sanitaria sul modello tedesco

      c) Stampa – Abolire tutte le provvidenze agevolative dirette a sanare i bilanci deficitari con onere del pubblico erario ed abolire il monopolio RAI – TV.                

ORGANIGRAMMA

ECONOMIA E FINANZA

        Governatore Banca d’Italia

        Direttore Generale B.ca It.

        Presidente IRI (e finanziarie dipendenti)

        Dir. Gen. –   “   

        Presidente ENI (e finanziarie dipendenti)

        Dir. Gen.      “

        Presidente e Dir. Gen. Enti di gestione PP.SS. (EGAM-EFIM- Cinema – Terme)

        Presidente Cassa Mezzog   

        Dir. Gen.       “                 

        Presidente IMI

        Dir. Gen.     “     

        Presidente Mediobanca

        Dir. Gen.          “   

        Presidente Mediocredito Centrale

        Dir. Gen.          “  

        Presidente ICIPU

        Dir. Gen.         “    

        Presidente INA

        Dir. Gen.     “

        Presidente INPS

        Dir. Gen.     “   

        Presidente INAM

        Dir. Gen.   “  

        Presidente INADEL

        Dir. Gen.     “

MAGISTRATURA

Primo Pres. Corte Cass.

Proc. Gener.      “     “

Avv. Gerer.      “       “

Pres. C.A.    Roma

Proc. Gen. C.A. Milano

Pres. Trib.   Torino

Proc. Repubbl. Venezia

Cons. Istrutt. Bologna

                     Firenze

                     Napoli

                     Bari

                     Catanzaro

                     Palermo

PUBBLICA AMMINISTRAZIONE

        Presidente Consiglio di Stato

        Presidente Corte dei Conti

        Procuratore Generale Corte dei Conti

        Ragioniere generale dello Stato

        Segretario Generale Ministero Affari Esteri

        Segretario Generale Programmazione

        Capo della Polizia

        Direttore Generale FF.SS

        Direttore Generale PP.TT

        Direttore Generale ANAS

        Direttore Generale Tesoro

        Direttore Generale II.DD.

        Direttore Generale II. Indiri.

        Direttore Generale UTE

        Direttore Generale fonti d’energia

        Direttore Generale produzione industriale

        Direttore Generale produzione industriale

        Direttore Generale valute

        Direttori Generali istruzione elementare

                                 secondaria 1° grado

                                 superiore

                                 tecnica

                                 professionale

                                 universitaria

CORPI MILITARI

        Capo S.M. Difesa

        Capo S.M. Esercito

        Capo S.M. Marina

        Capo S.M. Aeronautica

        Com.te Arma CC.

        Capo S.M. Guardia Fin.

        Com  ti Regioni Territoriali Eserc

        Com.ti Zone Aeree

        Com.ti Dipartim. Mil. Maritt.

        Com.te Guardie PS

        Com.te Guardie Forestali

        Com.te Guardie Carcerarie

        Com.te Sid.







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