Edizioni Kappa Vu
Udine 1997
Inizio la pubblicazione di vari studi sulle “Foibe” a cominciare dall’esteso studio di Claudia Cernigoi: Operazione foibe a Trieste che si estende in vari capitoli che pubblicherò successivamente. RR
Dalla Fondazione Pasti: http://www.pasti.org/foibets.htm
Credo che il lavoro di Claudia Cernigoi sia una specie di lezione per la categoria di persone che si occupano professionalmente di storia, alla quale appartengo, che tanto scarsa prova di sé hanno dato nell’affrontare la questione delle foibe. Mentre infatti paleo e neo revisionisti e fascisti, largamente finanziati da privati e istituzioni pubbliche, inviano i loro libercoli propagandistici a magistrati e scuole, dove poi vengono invitati – per ignoranza o peggio – a tener lezione sul “genocidio di italiani della Venezia Giulia”, gli storici professionisti “democratici” (salvo rare e perciò ancor più apprezzabili eccezioni, che peraltro non trovano spazio sugli stessi media che ne offrono in abbondanza a Pirina & C.) non si degnano di affrontare seriamente la questione per mettere fine alle strumentalizzazioni, ma si dedicano, nel migliore dei casi, a girare attorno all’argomento e a dotte riflessioni su giornali e TV che generalmente giungono a una conclusione comune: quanto fossero cattivi i comunisti, e gli “slavocomunisti” in particolare, e come le masse combinino orrori quando si muovono per modificare a proprio favore equilibri sociali ormai insopportabili. E nel fare tutto questo si danno sostanzialmente per buone cifre e tesi presentate dai revisionisti, limitandosi a formulare ipotesi sulle motivazioni dei presunti “massacri”.
Ma come biasimare gli storici “democratici”, se poi a scatenare l’ultima campagna propagandistica sulle foibe a livello nazionale è stata la “sinistra democratica” ora al governo! Essi in realtà non fanno che adeguarsi (con maggiore o minore convinzione) al clima della “pacificazione nazionale” (che partendo dalla comprensione per i fascisti arriva a farne dei martiri dell’”italianità”), finalizzata al ricompattamento politico della borghesia italiana e a fornire un supporto ideologico alla nascente Seconda Repubblica e alle sue mire da potenza regionale. Indirizzandosi queste mire in primo luogo verso obiettivi tradizionali, come l’Albania e le regioni confinarie slovene e croate, ecco rimessi in campo anche gli altrettanto tradizionali strumenti propagandistici e di pressione su Slovenia e Croazia, da sempre inscindibilmente legati tra loro: foibe ed esodo. E non si può non accorgersi di come le campagne stampa su questi temi preparino il terreno, con l’aizzamento dell’odio nazionale, a un eventuale energico intervento di “riparazione dei torti subiti”.
Il lavoro di Cernigoi, anche se affronta la questione foibe nel solo territorio della provincia di Trieste, era quindi più che necessario. L’autrice non nega la realtà delle foibe, né gli eccessi e le vendette personali, ma attraverso una ricerca rigorosa riporta il fenomeno fuori dal mito, presentandoci sull’argomento un lavoro agile, ma organico e completo. I risultati immediati del lavoro (presentato già in parte sul periodico La Nuova Alabarda) sono tutt’altro che disprezzabili (tenuto conto poi del fatto che i media locali ne hanno costantemente taciuto) avendo infatti costretto Pirina a ritirare “spontaneamente”dal commercio il suo “Genocidio” per correggerne gli “errori”. Ma è stata anche messa in serissimo dubbio l‘esistenza di infoibati in quella che è la foiba-simbolo di Trieste, quella di Basovizza (lo Šoht), dichiarata monumento nazionale non molti anni fa e sulla quale si svolgono ogni anno celebrazioni, alle quali partecipano autorità e picchetti d’onore militari.
I meriti maggiori del libro sono però due: l’aver affrontato la questione di chi e quanti fossero gli infoibati nella zona di Trieste e la ricostruzione, breve ma esaustiva, della storia dell’utilizzo propagandistico delle foibe. Il curriculum di squadristi, aguzzini, spie e altro, nonché la presenza tra gli uccisi di diversi sloveni, smentisce nel modo migliore la tesi degli infoibati uccisi solo in quanto italiani e chiarisce i veri motivi del fenomeno foibe.
Per quel che riguarda il numero degli infoibati si tratta di ristabilire semplicemente la verità storica – quella di un fenomeno limitato – di fronte alle cifre iperboliche letteralmente inventate dagli ambienti nazionalisti e (neo)fascisti.
La ricostruzione delle vicende dell’uso propagandistico del tema foibe dimostra come la cosa venga da lontano e come quella intorno alle foibe sia stata, e sia tuttora, una operazione di vera e propria “dezinformacija”, di guerra propagandistica, e lascia intravedere, per gli ambienti in essa coinvolti (X Mas), collegamenti con altre operazioni (per es. Gladio). E risulta molto più plausibile anche l’ipotesi che la costante riproposizione delle sparate propagandistiche sulle foibe faccia parte di un progetto politico molto più ampio (comprendente per esempio l’insediamento massiccio di esuli a Trieste) per mantenere alta la tensione nazionale in queste terre di confine.
Ed è proprio a partire da questo ultimo tema, che indica prospettive di ricerca tutte da percorrere, che vorrei fare alcune considerazioni generali più ampie. Contro il revisionismo, ormai divenuto dottrina semi-ufficiale anche della sinistra di governo, non serve a mio avviso cercare di difendersi, come fanno parte degli ex comunisti locali sulla questione delle foibe, vantando meriti patriottici e scaricando le presunte responsabilità sui comunisti sloveni e croati, facendo così il gioco di chi vuole ridurre tutto a contrapposizione nazionale, A mio avviso la sfida del revisionismo va accettata ritorcendogli contro i suoi stessi argomenti, come ha fatto l’autrice di questo libro, e abbandonando l’impostazione oleografica della Resistenza. La Resistenza non è stata infatti solamente lotta di liberazione nazionale, ma anche lotta per il potere da parte della classe operaia e delle altre classi subalterne.
Nella Resistenza c’era chi lottava per questi obiettivi e chi (per sua stessa ammissione) c’era entrato per impedire che tali obiettivi si realizzassero, se necessario anche con le armi e con l’aiuto dei fascisti, e riconsegnare il potere nelle mani di quella borghesia che il fascismo lo aveva finanziato e messo al potere. Come dimostra anche la vicenda delle foibe, i connubi con i fascisti sono continuati anche nel dopoguerra, tanto che lo stesso assioma secondo il quale la Repubblica sarebbe nata dalla Resistenza va messo in discussione, viste le persecuzioni dei partigiani comunisti e le stragi di operai e contadini attuate da quella stessa Repubblica (con largo ricorso a personale fascista) fin dall’immediato dopoguerra (per non parlare delle successive “Stragi di Stato”).
Alla luce di queste considerazioni e di quanto dice questo libro risulterà forse più chiaro come mai ogni anno rappresentanti ufficiali delle istituzioni repubblicane si rechino alla foiba di Basovizza ad onorare la memoria di “martiri dell’italianità” del tipo di quelli che ci descrive Claudia Cernigoi. Ed i primi a sentirsi offesi dal fatto che l’italianità venga rappresentata da “martiri” di tale risma, dovrebbero essere proprio quegli italiani che desiderano rispettare se stessi ed essere rispettati dai popoli vicini.
Trieste, giugno 1997
Sandi Volk
ricercatore storico
Per l’estensione di questo studio sono state essenziali alcune persone che ritengo giusto ringraziare qui. Innanzitutto Peter Behrens per il suo lavoro di ricerca ma soprattutto per quello, a me terribilmente ostico, di informatizzazione; Samo Pahor per l’indispensabile supervisione storica e Paolo Parovel per avere messo a disposizione i dati delle sue ricerche. Ringrazio inoltre il personale dell’Istituto per la Storia del Movimento di Liberazione di Trieste, ed in particolare Galliano Fogar per la disponibilità dimostrata; Nerino Gobbo, “comandante Gino” e Milka Čok, “Ljuba”, per le interviste concesse; ed infine tutti coloro che a forza di ripetere che queste ricerche dovevano per forza concretizzarsi in un libro, hanno fatto si che questo libro si concretizzasse.
È da ormai cinquant’anni che l’immaginario reazionario si trastulla con il discorso del ‘genocidio’ delle foibe, ma negli ultimi due anni il problema ha assunto rilevanza nazionale dopo la campagna stampa attivata intorno all’inchiesta sulle foibe condotta dal Pubblico Ministero di Roma Pititto e, più recentemente dall’estate del ’96, dopo gli interventi non solo locali ma anche a livello nazionale dei vertici del P.D.S. che, in una malintesa logica di ‘pacificazione’, hanno raccolto gli inviti delle destre revisioniste che chiedevano, dopo il processo Priebke, anche «giustizia per i crimini delle foibe» [1]. Dopo questa pubblica ‘assunzione di colpa’, da parte del partito degli ex-comunisti (si noti però che queste ‘colpe’ il P.D.S. le fa comunque ricadere su altri, non su se stesso!), anche i dibattiti e le discussioni sulla revisione della storia hanno preso nuovo avvio, ma questo problema lo approfondiremo in maniera più organica nell’ultimo capitolo.
Lo spunto per questa nostra ricerca ci è stato dato dalle dichiarazioni del PM Pititto, che intende chiedere il rinvio a giudizio per ‘genocidio’ di un numero imprecisato di persone, e che ha più volte asserito che una delle ‘prove’ basilari della sua inchiesta sono i libri pubblicati dal pordenonese Marco Pirina.
È appunto partendo da uno di questi libri di Pirina (il numero 4 della collana ‘Adria Storia’ ovvero ‘Genocidio…’, che tratta anche della zona di Trieste), che abbiamo cercato di fare un po’ di luce su tutto ciò che in questi anni è stato detto a proposito (ed a sproposito!) sulle foibe.
Le pagine che seguono non vogliono essere un punto di arrivo ma un punto di partenza per fare finalmente luce sulla questione foibe, al di là delle facili retoriche, delle demagogie strumentali, degli pseudo-studi condotti finora solo da una parte politica, in funzione meramente propagandistica.
Noi non affronteremo il problema ‘foibe’ né da un punto di vista politico né da un punto di vista etico: intendiamo semplicemente fornire dei dati di fatto (sui quali non v’è possibilità di intervenire polemicamente, perché si tratta appunto di fatti dimostrati) allo scopo di ritrovare le vere dimensioni di quello che viene spacciato come «genocidio di migliaia di infoibati perché italiani». In tutti questi anni a Trieste la destra ha continuato a perpetrare la propria ideologia facendosi forte della lotta contro gli «slavocomunisti infoibatori di italiani», mentre la sinistra non ha mai avuto la volontà di prendere in mano i dati sulle foibe per cercare di fare chiarezza, per ricercare la verità, per realizzare uno studio serio, basato su dati incontrovertibili e testimonianze attendibili e non su ‘voci’ o ‘sentito dire’; uno studio che dimostri cosa effettivamente c’è e c’è stato nelle varie foibe; quanti siano realmente stati i morti e di questi quanti i militari, quanti i partecipanti ai rastrellamenti, quanti i membri della Guardia Civica, della Guardia di Finanza, dell’Ispettorato di Pubblica Sicurezza e quanti i civili; e di questi quanti i collaborazionisti e via di seguito.
Lo studio che presentiamo vuole appunto fare chiarezza sulla storia delle nostre terre, vuole rendere giustizia ai morti di tutte le parti, finora strumentalizzati a scopo di propaganda; vuole mettere fine a quella continua creazione di elementi di tensione politica in un?area di confine delicata come la nostra e, oltretutto, potrebbe servire a liberare finalmente anche gli Sloveni e la sinistra tutta da quel senso di colpa che si portano dietro come ‘infoibatori’, accusa che viene loro mossa incessantemente da cinquant’anni senza che d’altra parte si tenga minimamente conto dei vent’anni di dominio fascista e snazionalizzazione forzata subita dai popoli ‘non italiani’ e dei successivi anni di guerra con massacri feroci perpetrati contro le popolazioni dell’Istria, della Slovenia e di tutta quell’area che una volta veniva chiamata Venezia Giulia.
Le ‘prove’ del ‘genocidio’
Gianni Bartoli, già sindaco democristiano di Trieste (noto come Gianni Lagrima dato che nei suoi comizi si metteva regolarmente a piangere ricordando le terre perdute d’Istria e Dalmazia), pubblicò nel 1961 il ‘Martirologio delle genti adriatiche-Le deportazioni nella Venezia Giulia e Dalmazia’, libro che raccoglie 4.122 nomi di ‘scomparsi’ (dalle province di Trieste, Gorizia, Istria, Dalmazia…); questi nomi sono accompagnati da note biografiche che, pur nella loro incompletezza, possono servire, se lette con un minimo di fantasia e senso critico, ad inquadrare la realtà dei fatti. Dei militari, ad esempio, è spesso indicato il posto in cui risulterebbero dispersi (dispersi in combattimento, si badi bene, quindi non ‘infoibati’); le indicazioni riferite ai ‘civili’, invece, possono spesso essere d’aiuto per ricostruire la storia della persona scomparsa, che da un’indagine accurata può risultare completamente diversa da quella indicata da Bartoli [2].
Un altro discorso merita l’ Albo d’oro [3] di Luigi Papo (che si autonomina ‘de Montona’, ma, visto che è nato a Grado e non a Montona, che è una cittadina dell’Istria, a noi viene voglia di chiamarlo ‘de Grado’…), il quale riporta (salvo errori di computo nostri, visto che lui non fornisce il totale), 20.712 nomi di morti tra Trieste, Gorizia, Istria, Dalmazia e non meglio identificate ‘terre irredente’ (‘Fronte russo’, ‘Fronte greco’, Corsica…), in un periodo storico che inizia con il 10.6.40, ed arriva fino a citare il generale Licio Giorgieri (ucciso dalle B.R. il 28.3.87) ed il militare Millevoi Andrea (ucciso a Mogadiscio l’1.7.93). E perché non, ci chiediamo noi, anche Pietro Greco, ucciso a Trieste dalla polizia il 9.3.85 oppure i giornalisti della RAI uccisi a Mostar e a Mogadiscio nel 1994 ?
Tra questi oltre ventimila nomi troviamo: tutti i caduti sui vari fronti della seconda guerra mondiale, i deportati nei lager tedeschi, i partigiani (mancano però sia Alma Vivoda, uccisa da un carabiniere a Trieste il 28.6.43 [4], che Pinko Toma’i’, fucilato ad Opicina dai fascisti il 15.12.41), i morti sotto i bombardamenti, nelle rappresaglie naziste, e le ‘vittime degli slavi’ tra le quali spiccano perle come questa: «Ciurcovich Leonardo, da Borgo Erizzo (Zara), ivi ucciso il 9.8.40 per aver difeso la propria italianità di fronte ad elementi slavofili». Con quel cognome la vicenda ci pare contraddittoria…
Oppure quest’altra: «Serbo Eugenio, capitano 57° Rgt. Art. Div., rimpatriato dalla Germania fu catturato dagli Slavi e deportato nei pressi di Lubiana; risulta deceduto il 14.12.44 a Leitmeritz».
Ora, Leitmeritz è il nome tedesco di Litom’rice, cittadina che si trova nell’attuale Repubblica Ceca nei pressi di Terezin [5], praticamente a metà strada tra Praga e Dresda. Ci pare difficile che i non meglio identificati ‘slavi’ di cui parla Papo siano riusciti a deportare il capitano Serbo a Lubiana e farlo morire nel 1944 in un lager tedesco.
Nell’insieme il libro di Papo è un elenco di nomi e dati non sempre completi. Quanto alle introduzioni ed alle note, più che della solita becera propaganda nazional/fascista non si tratta. Giova forse ricordare che durante la guerra Luigi Papo si è reso responsabile di rastrellamenti in Istria; fu arrestato dai partigiani per i crimini di guerra da lui commessi e deportato a Prestranek in Slovenia, da dove però venne rilasciato. Importante elemento dei servizi d’informazione della Milizia repubblichina, collaborò, dopo la fine della guerra con i servizi alleati ed i neocostituiti servizi italiani, occupandosi, indovinate un po’, di documentazioni sulle foibe… Logicamente non possiamo attenderci da lui informazione storica imparziale.
Tuttavia, pur con tutte le duplicazioni e le inesattezze presenti nei libri di Bartoli e di Papo, essi sono di gran lunga più accurati degli elenchi pubblicati nei libri di Pirina [6], che riportano anch’essi duplicazioni ed inesattezze (senza, tra l’altro, avere la scusante che potrebbe avere Bartoli e cioè che ai suoi tempi non esistevano i computer!), ed hanno inoltre il grosso difetto di non riportare la minima nota esplicativa ai nomi trascritti. Si tratta cioè di un mero elenco di nomi, a volte solo di cognomi, talvolta con l’indicazione della qualifica e della data di ‘scomparsa’ (ma tali indicazioni, anche quando ci sono, spesso – come vedremo – non corrispondono al vero); in ogni caso, Pirina non chiarisce cosa possa essere successo a questi “scomparsi”, limitandosi a scrivere ‘D’ per deportato, ‘S’ per scomparso, ‘I’ per infoibato…; però non riporta alcun ‘R’ (rimpatriato) se il ‘deportato’ ha poi fatto ritorno, come in molti casi è successo. Tutto ciò serve solo a lasciar credere che tutti i deportati siano anche scomparsi facendo lievitare le cifre dei morti.
Neanche nel capitolo dedicato alle ‘foibe’ Pirina dà prova di serietà, mescolando assieme ‘foibe’ istriane e triestine, inserendo prima un ‘abisso di Semich’ e poi un ‘abisso di Semez’ nella stessa pagina, senza accorgersi (?) che si tratta dello stesso ‘abisso’ e facendo poi una gran confusione tra i morti della foiba Plutone e quelli di Gropada. Vale la pena qui di citare il passo, perché è indicativo del modo di lavorare di Pirina:
«FOIBA DI GROPADA. Sono recuperate 5 salme. ‘…Il 12 maggio 1945 furono fatte precipitare nel bosco di Gropada 34 persone, previa svestizione e colpo di rivoltella alla nuca. Tra le ultime Dora Ciok, Rodolfo Zuliani, Alberto Marega, Angelo Bisazzi, Luigi Zerial e Domenico Mari’».
A parte che Pirina non cita la fonte da cui ha tratto questi dati, va precisato in ogni caso che dalla foiba di Gropada furono recuperati 10 corpi di persone uccise in tempi diversi, e che, come vedremo nel Cap. III, Dora ‘ok (e non Ciok!) e Marega sono stati uccisi a Gropada nel maggio del ’45, ma Zuliani e Zerial furono infoibati già a gennaio (erano due ex-partigiani.che si erano dedicati alla borsa-nera); ed infine Bigazzi (non Bisazzi!) e Mari sono stati uccisi e gettati nella Plutone (foiba che Pirina stranamente non nomina).
Ma appunto neanche Pirina è uno ‘studioso’ imparziale. Presidente del FUAN (l’organizzazione universitaria neofascista) a Roma alla fine degli anni Sessanta, fu anche presidente del ‘Fronte Delta’, gruppo di estrema destra operante all’università ‘La Sapienza’ di Roma. Per l’attività in questo gruppo fu incriminato per il coinvolgimento nel golpe Borghese; arrestato nel luglio del 1975 fu rilasciato un mese dopo e poi prosciolto, come tutti quelli coinvolti nel golpe. Alla fine degli anni Ottanta Pirina fonda a Pordenone l?associazione ‘Silentes loquimur’, e, grazie anche a finanziamenti pubblici, è riuscito a sfornare più o meno un libro all’anno sui temi dei ‘crimini’ compiuti dai partigiani, testi di matrice tipicamente revisionista e comunque pieni di inesattezze e falsi storici.
Nella sua carta intestata si autonomina ‘Prof. Marco Pirina, deputato al Parlamento Mondiale per la Sicurezza e la Pace, Presidente Centro Studi e Ricerche Storiche ‘Silentes loquimur’, presidente Commissione Cultura comune di Pordenone’ (quest’ultima parte, purtroppo, corrispondeva al vero, almeno fino alle recenti elezioni comunali).
Ed è proprio dall’analisi del libro ‘Genocidio… Adria storia 4’ di Marco Pirina ed Annamaria D’Antonio (edito dalla ‘Silentes loquimur’), che presentiamo nelle pagine seguenti, che risulterà evidente il metodo della falsificazione e del revisionismo storico seguito dai due autori.
[1] Non è probabilmente un caso che dopo la prima sentenza del processo Priebke, tra le varie voci che attribuivano la responsabilità della strage delle Fosse Ardeatine ai partigiani autori dell’azione di via Rasella, si sia levata anche quella di Marco Pirina, riportata a livello triestino soltanto dal quotidiano in lingua slovena ‘Primorski Dnevnik’.
[2] Si veda il caso di Barut Servolo, dato per infoibato sia da Bartoli che da Papo che da Pirina. Scrive Bartoli «il 23.6.1944 da Caresana a Trieste si recò in bicicletta presso la Direzione della Raffineria Aquila per incassare la paga. Scomparso senza lasciare traccia. Risulta che lasciò la bicicletta in un deposito di S. Sabba (Trieste) e che incassò la paga. Nulla si è più saputo di lui…». Il nome S. Sabba fece venire qualche sospetto al prof. Pahor, il quale verificò che Barut era in realtà un dirigente dell’Osvobodilna Fronta (Fronte di Liberazione) di Caresana. Arrestato il 23.6.1944, fu ucciso in Risiera.
[3] Dell’Albo d?oro sono uscite due edizioni; quella da noi esaminata è la seconda, uscita nel 1995.
[4] Il carabiniere Antonio Di Lauro fu insignito, per questa azione, della medaglia di bronzo al valor militare (Supplemento alla Gazzetta Ufficiale n. 259 dd. 13.10.1958); onorificenza assegnatagli da quella stessa Repubblica italiana ‘nata dalla Resistenza’ che diede una medaglia di bronzo anche a Gaetano Collotti, torturatore dell’Ispettorato Speciale di P.S., come vedremo in seguito.
[5] Terezin è la famosa Theresienstadt, la città-lager a nord di Praga dove furono rinchiusi circa 140.000 Ebrei (molti dei quali erano artisti) e che il regime nazista usò per ‘dimostrare’ agli osservatori internazionali ed alla Croce Rossa che lì gli Ebrei erano ‘trattati bene’, dato che avevano una città tutta per loro nella quale era loro permesso pure di continuare le attività artistiche. In realtà la quasi totalità degli Ebrei che erano stati deportati a Terezin furono poi internati ed uccisi nei lager di sterminio di Auschwitz-Birkenau e Treblinka.
[6] Marco Pirina ha pubblicato, assieme alla moglie Annamaria D’Antonio, nella collana ‘Adria Storia’ edita dalla ‘Silentes loquimur’ (casa editrice di sua proprietà), sei volumi, che trattano per lo più di ‘foibe’ e di ‘esodo’ dall’Istria. Il volume da noi preso in esame è ‘Genocidio…’ ed è ad esso che facciamo riferimento quando parliamo degli ‘elenchi di Pirina’.
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