PROMEMORIA: D’ALEMA VA ALLA GUERRA

Dossier a cura del gruppo Zastava

338-9116699      zastavatrieste@libero.it             http://digilander.iol.it/zastavatrieste

marzo 2002

23 marzo 2002
3 anni fa l’Italia bombardava la Jugoslavia

“Vorrei ricordare che quanto a impegno nelle operazioni militari noi siamo stati, nei 78 giorni del conflitto, il terzo Paese, dopo gli USA e la Francia, e prima della Gran Bretagna. In quanto ai tedeschi, hanno fatto molta politica ma il loro sforzo militare non è paragonabile al nostro: parlo non solo delle basi che ovviamente abbiamo messo a disposizione, ma anche dei nostri 52 aerei, delle nostre navi. L’Italia si trovava veramente in prima linea.”
(On. Massimo D’Alema)

La composizione del governo D’Alema I (21 ottobre 1998)

Presidente del Consiglio: Massimo D’Alema (Ds)

Vice Presidente: Sergio Mattarella (Ppi)

Sottosegretario alla presidenza: Franco Bassanini (Ds)

Bilancio e Tesoro: Carlo Azeglio Ciampi

Finanze: Vincenzo Visco (Ds)

Industria: Pier Luigi Bersani (Ds)

Esteri: Lamberto Dini (Ri)

Giustizia: Oliviero Diliberto (Pdci)

Interno: Rosa Russo Jervolino (Ppi)

Commercio estero: Piero Fassino (Ds)

Riforme costituzionali: Giuliano Amato

Beni Culturali Spettacoli e Sport: Giovanna Melandri (Ds)

Sanità: Rosy Bindi (Ppi)

Ambiente: Edo Ronchi (Verdi)

Funzione Pubblica: Angelo Piazza (Sdi)

Comunicazioni: Salvatore Cardinale (Udr)

Pubblica Istruzione: Luigi Berlinguer (Ds)

Ricerca Scientifica e Università: Ortensio Zecchino (Ppi)

Trasporti: Tiziano Treu (Ri)

Difesa: Carlo Scognamiglio (Udr)

Lavori Pubblici: Enrico Micheli (Ppi)

Lavoro e Mezzogiorno: Antonio Bassolino (Ds)

Pari opportunità: Laura Balbo

Solidarietà sociale: Livia Turco (Ds)

Politiche agricole: Paolo De Castro (Ulivo)

Rapporti parlamento: Guido Folloni (Udr)

Politiche comunitarie: Enrico Letta (Ppi)

Affari regionali: Katia Belillo (Pdci)

(21 ottobre 1998)

————-

<<E’ difficile definire le regole di appartenenza al giro nobile dei grandi, non esiste uno statuto. Di fatto ti rendi conto di essere entrato in una certa agenda di telefonate del presidente degli Stati Uniti>>.

da: M. D’Alema “Gli italiani e la guerra“, Mondadori

ATTACCO ALLA JUGOSLAVIA, 23 MARZO 1999:

LA GARA PER IL PRIMO DELLA CLASSE

QUANDO LA “SINISTRA” VA ALLA GUERRA

INTERPRETI:

SCOGNAMIGLIO – PRODI – COSSIGA – D’ALEMA E IL SUO GOVERNO

“Vorrei ricordare che quanto a impegno nelle operazioni militari noi siamo stati, nei 78 giorni del conflitto, il terzo Paese, dopo gli USA e la Francia, e prima della Gran Bretagna. In quanto ai tedeschi, hanno fatto molta politica ma il loro sforzo militare non è paragonabile al nostro: parlo non solo delle basi che ovviamente abbiamo messo a disposizione, ma anche dei nostri 52 aerei, delle nostre navi. L’Italia si trovava veramente in prima linea.”

(On. Massimo D’Alema)


INDICE:

1. 172 missioni in Kosovo dell’Aeronautica militare italiana

(col. Francesco Latorre)

2. Il governo D’Alema nacque per rispettare gli impegni Nato

(ex ministro della difesa Carlo Scognamiglio Pasini)

3. Attacco contro Milosevic: fu il mio governo a dire sì

(ex pres. Del consiglio Romano Prodi)

4. Prodi diede solo le basi, noi inviammo gli aerei

(ex ministro della difesa Carlo Scognamiglio Pasini)

5. Onorevole Prodi, non tolga a D’Alema il “merito” della guerra!

(comunicato Peacelink – allegati atti governo Prodi)

6. Prodi non aveva i voti per rispettare gli impegni Nato

(ex- presidente e sen. a vita Francesco Cossiga)

7. La vigilia della guerra -Come gli Usa hanno operato, attraverso la Cia, per trascinare l’Italia nell’aggressione contro la Jugoslavia (di Domenico Gallo)


1. 172 missioni in Kosovo dell’Aeronautica militare italiana

Dal “Giornale di Brescia”, Sabato 10 Luglio 1999

A guerra conclusa, svelati dal colonnello Francesco Latorre

i numeri dell’operazione “Alled Force”

Sesto Stormo, 172 missioni per il Kossovo

Da Ghedi sono stati schierati in Puglia 85 uomini e 12 velivoli, per 418 ore di volo.

Missioni di ricognizione e di attacco a terra.

“(…) L’altra sera il colonnello Latorre ha svelato tutti i numeri della cosiddetta operazione Aled Force conclusasi il 10 Giugno con la resa di Milosevic (sic). Lo ha fatto davanti ai militari del VI Stormo e alle loro famiglie (cui e’ andato il sincero ringraziamento del comandante…) ma anche davanti al Generale Gargini, al prefetto, al vicequestore e al comandante provinciale dei Carabinieri.

Il colonnello ha cominciato spiegando che, a causa della posizione centrale in una zona perennemente in crisi (….), “l’Italia e’ considerata una sorta di portaerei nel Mediterraneo. Non a caso, nel corso dell’Allied Force, l’85% delle missioni ha decollato dalle nostre basi”. (…)

Naturalmente, gli uomini e i mezzi del VI stormo hanno fatto la loro parte. Anzi hanno fatto molto.

“L’impegno operativo del VI Stormo – ha detto Latorre – s’e’ concretizzato in missioni di ricognizione (2 sortite per due giorni la settimana) e in missioni d’attacco effettuate in un primo periodo da Ghedi, poi da una cellula schierata a Gioia del Colle (6/8 sortite giornaliere per 6 giorni la settimana)”.

(…) da Ghedi in Puglia sono arrivati 85 uomini, 12 velivoli e 12 laser pod. ll rischieramento ha consentito di effettuare 418 ore di volo, che si traducono in 172 sortite: 6 di ricognizione e 166 di attacchi veri e propri, sferrati contro obiettivi selezionati di tipo prettamente militare: depositi di munizioni, caseme, aeroporti. V’e’ inoltre da specificare che, per gli attacchi, sono state utilizzate bombe a puntamento laser e a caduta libera.

Il colonnello Latorre ha anche spiegato come tecnicamente avvenivano le missioni. Dopo la preparazione alla base, “i nostri aerei decollavano da Gioia del colle, quindi, fatto rifornimento in volo sull’Adriatico, si mettevano in “zona d’attesa” su cieli non ostili, tipo la Macedonia e l’Albania: l’attesa dipendeva dal fatto che si viaggiava in pacchetti di aerei e che ogni pacchetto aveva tempi precisi per entrare in azione. Poi, quand’era il nostro turno, si andava sull’obiettivo, quindi, seguendo rotte prestabilite, si tornava. Anche grazie alla preparazione dei nostri equipaggi, tutto ha funzionato a meraviglia, tant’e’ vero che, nel 100% delle operazioni, uomini e mezzi sono rientrati alla base” (….)


2. Il governo D’Alema nacque per rispettare gli impegni Nato

Date sent: Thu, 7 Jun 2001 17:44:09 +0200

Subject: [JUGOINFO] Italiani brava gente (6)

From: “jugocoord@libero.it”<jugocoord@libero.it>

Se qualcuno aveva ancora dubbi sulle colpe del centro-sinistra per la sua sconfitta e su quelle più gravi della subalternità coltivata ed ostentata (che ha trovato in D’Alema un “ottimo” interprete), la lettera di oggi di Carlo Scognamiglio pubblicata dal Corriere della Sera, scioglie ogni dubbio. Un ulteriore spunto di riflessione per la sinistra che vuole fare autocritica rispettosa ed intransigente sugli sbagli di questi anni.

Unica nota: sul fatto che la guerra sia “stata vinta”, dissento da Scognamiglio al quale ricordo di essere stato denunciato di nuovo, e con tutti i membri del suo ex-governo, per reati contro la costituzione visto che si continua a parlare di “guerra” laddove non hanno avuto neanche il coraggio politico ed istituzionale di dichiararla formalmente a termine di legge. Il dopo, fatto di uranio impoverito e spaventose menzogne ormai svelate a difesa del concetto “umanitario”, sono solo l’ultimo ed il più pesante dei giudizi morali nei confronti di chi questa guerra l’ha voluta e sostenuta, per calcolo politico e tornaconto personale.

MARCO TROTTA – PEACELINK

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[da: Corriere della Sera – http://www.corriere.it]

Giovedì 7 Giugno 2001

COMMENTI – LA LETTERA

´Il governo D’Alema nacque per rispettare gli impegni Nato’

di CARLO SCOGNAMIGLIO PASINI*

Nel dibattito sulla caduta del governo Prodi pubblichiamo l’intervento di Carlo Scognamiglio Pasini, ministro della Difesa nel successivo esecutivo guidato da D’Alema.

Caro Direttore,

forse in conseguenza dell’esito elettorale, la più autorevole stampa italiana ha pubblicato numerose interviste a protagonisti ed articoli autorevoli che qualificano la formazione del Governo presieduto dall’on. D’Alema (22 ottobre 1998) come la conseguenza dei peggiori vizi del machiavellismo minore, cioè il complotto, il tradimento e l’ambizione.

Avendo avuto una parte non secondaria in quella vicenda desidero testimoniare che una simile ricostruzione non corrisponde affatto alla verità storica, e costituisce invece il frutto di una percezione della politica che vede soltanto le questioni interne e non conosce, o non comprende, le ragioni della politica internazionale che talvolta sono ben più forti e rilevanti di quelle domestiche.

Il Governo D’Alema non fu formato in conseguenza di questioni interne, poiché – per quanto io sappia – il protagonista avrebbe volentieri differito l’appuntamento, ma da ragioni di politica internazionale che derivavano dalla più grave crisi che il Paese si trovò ad affrontare negli oltre 50 anni della Repubblica.

Questi sono i fatti.

Il Governo presieduto dall’on. Prodi perse il voto di fiducia alla Camera il 7 ottobre 1998.

Cinque giorni più tardi il Nac (North Atlantic Council, cioè la Nato) deliberò l’Activation Order contro il dittatore serbo Milosevic. Si tratta del terzo e ultimo passo della procedura di attacco militare in vigore presso l’Alleanza Atlantica, passo che affida al Segretario Generale e al comandante militare (Supreme Allied Commander in Europe – Saucer) il mandato, irrevocabile senza una nuova procedura di voto, di premere il grilletto, cioè di scatenare l’attacco che verrà compiuto dalle forze alleate, già schierate per questo scopo.

La delibera del 12 ottobre prevedeva una sospensiva di 96 ore, cioè fino al 16 ottobre, nell’esecuzione, per dare modo al Governo jugoslavo di dimostrare la propria disponibilità a riprendere il negoziato con la comunità internazionale. Questo fu, infatti, quanto si percepì, per cui alla scadenza la sospensiva fu protratta per ulteriori 96 ore, cioè fino al 20 ottobre, data alla quale l’Act Ord fu definitivamente sospeso, ma non revocato. Alla data del 20 ottobre 1998, cioè allo spegnersi dell’allarme rosso, la procedura per la risoluzione della crisi di governo italiana si era compiuta, avendo il Presidente della Repubblica concluso le consultazioni ed affidato all’on. D’Alema l’incarico di formare il Governo.

Rammentando questi fatti, è impensabile che qualcuno ritenga che vi possa essere stato un solo rappresentante politico o istituzionale che nel corso delle consultazioni si sia espresso per un Governo istituzionale, cioè senza maggioranza parlamentare, oppure per lo scioglimento anticipato del Parlamento (e per votare, quando: a Natale?).

In quelle circostanze né il Presidente Scalfaro, né l’on. D’Alema, avevano altra scelta se non tentare di formare un governo politico, cioè sostenuto da una propria maggioranza parlamentare, ancorché formata da una coalizione (i governi di coalizione sono la norma non l’eccezione nelle situazioni di guerra) diversa da quella formatasi con le elezioni politiche del 1996, un governo che garantisse alle Forze Armate italiane la possibilità di assolvere con dignità i propri compiti nell’Alleanza di fronte alla imminenza di un conflitto che di necessità avrebbe visto l’Italia nel ruolo di protagonista.

Sono testimone all’on. D’Alema di aver mantenuto i propri impegni con scrupolo e determinazione.

Nel mese di novembre (1998, ndr) acconsentì alla richiesta di far partecipare l’Italia alla costituzione dello Kfor in Macedonia, che sarebbe poi divenuto il corpo di spedizione in Kosovo, su basi paritetiche con le maggiori potenze europee, Francia e Inghilterra.

Nel mese di gennaio (1999, ndr) acconsentì al conferimento di una rilevante forza aerea italiana di 40 (poi 50) aerei da combattimento al comando Nato.

Il 24 marzo 1999 si assunse la responsabilità di acconsentire l’inizio delle ostilità, nel corso delle quali pur impegnandosi – come era suo dovere – nella ricerca di una soluzione diplomatica, non ostacolò l’azione militare dell’Alleanza.

Verso la fine del conflitto autorizzò l’eventuale partecipazione dell’Italia alla formazione di un corpo di invasione, con una imponente aliquota di forze.

L’Italia uscì da questa drammatica vicenda avendo conquistato il rispetto e la considerazione degli Alleati in una misura che mai si era espressa in passato, e avendo offerto un contributo insostituibile all’azione militare.

Queste furono le ragioni della formazione del Governo D’Alema e della maggioranza che lo sostenne.

E’ possibile che prima e dopo la conclusione vittoriosa della guerra nel Kosovo si siano compiuti errori nella politica interna. Ma questa è questione diversa dalle vicende che si svolsero nell’ottobre 1998, e sulla quale non saprei esprimermi per difetto di competenza.

*Ex ministro della Difesa


3. Attacco contro Milosevic: fu il mio governo a dire sì

Date sent: Sun, 10 Jun 2001 13:38:03 +0200

Subject: [JUGOINFO] La gara per il primo della classe

From: “jugocoord@libero.it”<jugocoord@libero.it>

Fonte: Il corriere della sera – 8-6-2001

LA LETTERA

“Attacco contro Milosevic: fu il mio governo a dire sì”

di ROMANO PRODI*

Nel dibattito sulla caduta del governo guidato da Romano Prodi, interviene oggi l’ex presidente del Consiglio, attuale presidente della Commissione europea.

Prodi replica a Carlo Scognamiglio Pasini, responsabile del ministero della Difesa nel governo presieduto da Massimo D’Alema.

Scognamiglio aveva sostenuto che il gabinetto D’Alema era nato per rispettare gli impegni Nato, consentendo così all’Italia di conquistare il rispetto e la considerazione degli alleati.

Caro Direttore, ho letto con interesse sul Corriere della Sera di ieri l’articolo che l’ex ministro della Difesa Carlo Scognamiglio ha dedicato al passaggio tra il governo da me presieduto e quello guidato dall’on. Massimo D’Alema.

Carlo Scognamiglio si sofferma, in particolare, sugli avvenimenti di politica internazionale (erano i giorni del drammatico confronto con la Serbia di Milosevic) che fecero da sfondo al passaggio di governo. Avvenimenti che lo inducono a concludere che il nuovo esecutivo fu formato per “ragioni di politica internazionale che derivarono dalla più grave crisi che il Paese si trovò ad affrontare negli oltre cinquanta anni della Repubblica”.

Fondamentale – secondo Scognamiglio – fu, in questa prospettiva, la necessità di dare vita ad un governo “che garantisse alle Forze Armate italiane la possibilità di assolvere con dignità i propri compiti nell’Alleanza di fronte alla imminenza di un conflitto che di necessità avrebbe visto l’Italia nel ruolo di protagonista”.

“Il governo presieduto dall’on. Prodi perse il voto di fiducia alla Camera il 7 ottobre 1998. Cinque giorni più tardi il Nac (North Atlantic Council, cioè la Nato) deliberò l’Activation Order contro il dittatore serbo Milosevic. Si tratta del terzo e ultimo passo della procedura di attacco militare in vigore presso l’Alleanza Atlantica, passo che affida al Segretario Generale e al comandante militare il mandato, irrevocabile senza una nuova procedura di voto, di premere il grilletto. Alla data del 20 ottobre, cioè allo spegnersi dell’allarme rosso, la procedura per la risoluzione della crisi di governo italiana si era compiuta, avendo il Presidente della Repubblica concluso le consultazioni ed affidato all’on. D’Alema l’incarico di formare il nuovo governo”.

Questi sono “i fatti” ricordati da Carlo Scognamiglio. “Fatti” a proposito dei quali non ho nulla da aggiungere. Se non un piccolo particolare.

Questo: ancorché dimissionario, fu il mio governo ad assumersi la responsabilità di decidere a favore dell’Activation Order. E fui io stesso, come Presidente del Consiglio, a firmare il relativo provvedimento.

*Presidente della Commissione europea

[da: Corriere della Sera – http://www.corriere.it&nbsp;]


4. Prodi diede solo le basi, noi inviammo gli aerei

Fonte: Il corriere della sera – Sabato 9 Giugno 2001

POLITICA

Scognamiglio replica al presidente Ue: l’ex premier DS decise l’azione offensiva

´Prodi diede solo le basi, noi inviammo gli aerei’

di CARLO SCOGNAMIGLIO*

Caro direttore, la precisazione del presidente Prodi sulla mia ricostruzione, pubblicata dal Corriere, delle vicende che diedero l’avvio alla guerra del Kosovo e alla formazione del governo D’Alema, ovvero che fu pur sempre il suo governo, ancorché dimissionario, ad ‘assumersi la responsabilità di decidere a favore dell’Activation Order (ossia dell’ordine di attacco a Milosevic)’ è del tutto pertinente, e d’altra parte implicita nell’elenco di ‘fatti’ che avevo elencato.

Mentre va dato atto al governo dimissionario di avere superato non poche difficoltà e resistenze istituzionali per non bloccare la decisione della Nato [SIC], va però ricordato un altro ‘fatto’, ossia che l’assenso dell’Italia si limitava all’uso delle basi e non anche alla costituzione di una forza d’attacco aereo con mezzi italiani, secondo la formula della ‘difesa integrata’.

In altre parole, l’Italia non avrebbe partecipato ad azioni offensive.

La questione fu superata successivamente, come ho ricordato, dal conferimento deciso dal governo D’Alema di una cospicua forza aerea, inclusi i mezzi d’attacco, al comando Nato.

P. S. Per quanto mi sia già dichiarato incompetente in questioni di politica interna, posso tuttavia ritenere che la ragione per cui il presidente Prodi non riuscì a ricostituire il governo, dopo il voto di sfiducia, consistette nella sua indisponibilità, motivata da ragioni di coerenza politica, ad accettare una coalizione diversa da quella uscita dalle elezioni del ’96. Per cui un secondo governo Prodi sarebbe stato minoritario in Parlamento, e ciò in contrasto con la regola universale delle democrazie parlamentari che, in caso di guerra [SIC], prevede la formazione di governi di coalizione e non di governi minoritari.

* ex ministro della Difesa


5. Onorevole Prodi, non tolga a D’Alema il “merito” della guerra!

Date sent: Sat, 16 Jun 2001 15:02:34 +0200

Subject: [JUGOINFO] La gara per il primo della classe (2)

Date: Sun, 10 Jun 2001 18:01:12 +0200

From: Associazione PeaceLink <info@peacelink.it>

COMUNICATO STAMPA – ASSOCIAZIONE PEACELINK – TELEMATICA PER LA PACE

Onorevole Prodi, non tolga a D’Alema il “merito” della guerra!

In un articolo apparso sul Corriere della Sera del 7 giugno 2001 l’ex Ministro della Difesa Carlo Scognamiglio ha sostenuto che la nascita del governo D’Alema e’ stata in buona sostanza un “parto pilotato” per creare un governo politico in grado di affrontare l’imminente emergenza militare dei Balcani.

Scognamiglio ha affermato testualmente che, dopo la caduta del governo Prodi,

“né il Presidente Scalfaro, né l’on. D’Alema, avevano altra scelta se non tentare di formare un governo politico, (…) un governo che garantisse alle Forze Armate italiane la possibilità di assolvere con dignità i propri compiti nell’Alleanza di fronte alla imminenza di un conflitto che di necessità avrebbe visto l’Italia nel ruolo di protagonista”.

Il 9 giugno L’Onorevole Romano Prodi si e’ affrettato a replicare alle affermazioni di Scognamiglio, e sempre dalle pagine del Corriere della Sera ha sostenuto che “ancorché dimissionario, fu il mio governo ad assumersi la responsabilità di decidere a favore dell'”Activation Order”. E fui io stesso, come Presidente del Consiglio, a firmare il relativo provvedimento”.

Per dovere di correttezza e di completezza dell’informazione, invitiamo gli organi di stampa a riportare l’esatto contenuto delle disposizioni impartite dal Governo presieduto da Romano Prodi nei giorni precedenti al suo scioglimento.

I dati che stiamo per citare sono liberamente consultabili all’indirizzo

http://www.parlamento.it/att/uip/kosovo.htm

Dalla consultazione di questi dati emerge quanto segue:

1) Le decisioni del governo Prodi, pur avendo aderito all’ “Activation Order” della Nato, avevano esplicitamente limitato l’azione delle Forze Armate al territorio nazionale, ne’ avevano autorizzato i bombardamenti che sono stati successivamente effettuati ANCHE DA AEREI DELL’AVIAZIONE ITALIANA, come risulta da numerose fonti dirette.

2) Il governo Prodi ha unicamente autorizzato attivita’ di “DIFESA INTEGRATA” del territorio nazionale, e non azioni militari al di fuori dei confini della repubblica, affermando esplicitamente che

“Nell’attuale situazione costituzionale il contributo delle Forze Armate italiane sarà LIMITATO ALLE ATTIVITA’ DI DIFESA INTEGRATA del territorio nazionale.”

Con il termine “difesa integrata” si indicano tutte quelle azioni di supporto e di facilitazione delle operazioni militari condotte dalle forze Nato nel territorio nazionale, e non certo i bombardamenti autorizzati in seguito dal governo D’Alema.

In questa circostanza il governo Prodi, parlando dell’“attuale situazione costituzionale”, ha dimostrato di essere ben consapevole dei vincoli imposti dall’articolo 11 della Costituzione: “L’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali”.

3) Il governo Prodi ha riconosciuto al Parlamento la facolta’ di deliberare l’azione militare, affermando in un comunicato che, per tutte le attivita’ che esulano dalla Difesa Integrata, “Ogni eventuale ulteriore impiego delle Forze Armate dovrà essere autorizzato dal Parlamento”.

Il governo D’Alema, d’altro canto, non ha riconosciuto al Parlamento la prerogativa di essere l’unica autorita’ in grado di deliberare lo stato di guerra, e ha deciso unilateralmente di dare il via all’azione militare. Il dibattito parlamentare sull’opportunita’ e le modalita’ di questa azione militare e’ avvenuto quando i bombardamenti e i conseguenti “effetti collaterali” erano gia’ in atto da diverso tempo.

Riteniamo pertanto che l’azione del governo Prodi, ancorche’ discutibile dal punto di vista politico, sia comunque rimasta all’interno dei limiti imposti dal dettato costituzionale, limiti abbondantemente superati dalle successive disposizioni impartite dal governo D’Alema.

Invitiamo i mezzi di informazione a documentare nel modo piu’ completo possibile gli avvenimenti politici che hanno preceduto l’azione militare della primavera del 1999, consultando anche e soprattutto gli atti parlamentari e non solamente le “lettere al direttore” con cui ognuno espone la sua parziale versione dei fatti.

Contemporaneamente esortiamo tutti i rappresentanti politici che hanno preso parte a vario titolo al governo D’Alema ad assumersi le loro responsabilita’ di fronte alla storia, di fronte alla loro coscienza, e di fronte alle vittime civili dell’azione militare contro la Repubblica Federale di Yugoslavia.

Carlo Gubitosa

Segretario Associazione Peacelink

Volontariato dell’informazione

http://www.peacelink.it

info@peacelink.it

ALLEGATO:

I comunicati relativi alla questione del Kossovo emanati dal Governo Prodi nei giorni immediatamente precedenti al suo scioglimento.

Fonte: http://www.parlamento.it/att/uip/kosovo.htm

Comunicato n. 157 del 12 ottobre 1998 (Governo Prodi)

In apertura di seduta il Consiglio ha auspicato che la trattativa in corso a Belgrado e a Pristina abbia esito positivo in modo da garantire completa attuazione della delibera del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite a protezione dei cittadini del Kosovo. Udite poi le relazioni del Ministro degli Affari Esteri, Lamberto Dini e del Ministro della Difesa Beniamino Andreatta ha unanimemente ritenuto di autorizzare il Rappresentante permanente d’Italia presso la Nato ad aderire al cosiddetto Ordine di Attivazione (Act Ord). Questa decisione si colloca nel quadro delle delibere adottate in ambito Onu. Di conseguenza l’Italia metterà a disposizione le proprie basi qualora dovesse risultare necessario l’intervento militare da parte dell’Alleanza Atlantica per fronteggiare la crisi nel Kosovo. Il Governo ribadisce che l’obiettivo della Nato e dell’Italia é quello di contribuire ad una soluzione durevole per consentire di fronteggiare l’imminenza di una catastrofe umanitaria che minaccia la sopravvivenza di circa 300.000 rifugiati in un’area così vicina al nostro Paese. Nell’attuale situazione costituzionale il contributo delle Forze Armate italiane sarà limitato alle attività di difesa integrata del territorio nazionale. Ogni eventuale ulteriore impiego delle Forze Armate dovrà essere autorizzato dal Parlamento.

Comunicato n. 158 del 16 ottobre 1998 (Governo Prodi)

Il Ministro degli Affari Esteri, Dini, ha svolto una relazione sulle tematiche di politica internazionale, illustrando in particolare gli svilupppi della crisi in Kosovo, anche alla luce della riunione ministeriale di ieri a Parigi del Gruppo di Contatto. Il Ministro Dini ha espresso soddisfazione per gli accordi raggiunti a Belgrado nel quadro del processo negoziale condotto dall’Ambasciatore Holbrooke, con l’appoggio del Gruppo di Contatto, in particolare per l’intesa sulla missione di verifica dell’Osce che verrà firmata oggi e per quella sulla sorveglianza aerea da parte della NATO già firmata ieri a Belgrado. Tali accordi sono il frutto del coordinamento fra la pressione diplomatica e quella militare e della coesione dimostrata dai Paesi membri del Gruppo di Contatto e dell’Alleanza Atlantica. Essi devono tradursi al piu’ presto in una nuova Risoluzione del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, che conferisca loro definitiva autorità. In merito alla missione di verifica dell’Osce in Kosovo, cui l’Italia contribuirà in maniera significativa al pari degli altri Paesi europei del Gruppo di Contatto, Dini ha indicato che essa dovrà essere dispiegata sul terreno nei tempi piu’ rapidi possibili, per monitorare il ritiro delle forze speciali dalla regione, consentire alle organizzazioni umanitarie di tornare nella regione e facilitare gli interventi a favore dei profughi. In tale contesto, ha ricordato che la Cooperazione italiana ha già inviato una missione a Belgrado e a Pristina per valutare la possibilità di creare in tempi brevi un sistema di centri di accoglienza per gli sfollati. Il Ministro ha infine ribadito che occorre portare avanti l’azione di pressione sulle parti in causa per l’avvio di negoziati seri e costruttivi sul futuro Statuto di autonomia che consenta l’autogoverno della regione, sulla base della piattaforma presentata dall’Ambasciatore Hill, col sostegno del Gruppo di Contatto.


6. Prodi non aveva i voti per rispettare gli impegni Nato

Dal “Corriere della Sera” di domenica, 10 giugno 2001

LA LETTERA

Il presidente Cossiga* interviene nel dibattito sulla caduta del governo dell’Ulivo

´Prodi non aveva i voti per rispettare gli impegni Nato’

Caro Direttore, ho letto con molta attenzione le lettere scritte al Suo giornale dall’ on. Prodi, presidente della Commissione Europea, e dall’ex ministro della Difesa del governo D’ Alema I, l’amico Carlo Scognamiglio.

Solo per precisare i fatti da un punto di vista tecnico e politico, e quindi non per sollevare polemiche – per carita’ di patria – ma per amore della verita’, debbo dire che a coloro i quali, come certamente Carlo Scognamiglio ed io, anche contattati con preoccupazione e premura dai rappresentanti dei governi alleati, seguivano con apprensione l’avvicinarsi dell’inizio dell’intervento umanitario nel Kosovo e quindi le operazioni militari contro la Serbia, era ben noto che il governo Prodi non aveva nel suo complesso ne’ la volonta’ politica ne’ la forza parlamentare per poter prendere decisioni all’altezza del nostro ruolo nella Nato. E questo anche per la presenza, in esso e nella sua base parlamentare, di forti componenti pacifiste comuniste e cattoliche.

La prudenza di tutti stese in quel momento un pietoso velo sui profondi dissensi affiorati nel governo a proposito della nostra disponibilita’ ad affrontare le nostre responsabilita’.

La decisione, la cui responsabilita’ l’on. Prodi rivendica al suo governo, fu quella di mettere le basi nazionali e Nato a disposizione delle forze aeree dei Paesi alleati per le operazioni aeree contro obiettivi jugoslavi, la cui partecipazione noi peraltro avevamo declinato. Ci sarebbe mancato altro di non dichiarare la disponibilita’ dell’ Italia all’ uso delle basi nazionali Nato per le operazioni militari da altri Paesi – e non da noi – condotte escludendo un nostro diretto intervento!

Non fu facile per il governo D’ Alema passare dalla sola messa a disposizione delle basi al trasferimento sotto comando Nato delle nostre forze aeree, che anche solo sulla base del concetto di difesa integrata, intervennero con missioni di attacco contro obiettivi militari jugoslavi nel Kosovo. Questa e’ la verita’.

* Senatore a vita

_______________________

Il senatore a vita ed ex presidente della Repubblica Italiana Cossiga con la lettera sopra riportata rivendica anche un poco per sé il “merito” di aver reso possibile l'”intervento umanitario” nel “Kosovo”. Tra i “meriti” di Cossiga, rispetto a dieci anni di guerra fratricida ed imperialista nei Balcani, e’ bene annoverare anche il suo appoggio ai secessionismi ed alle classi dirigenti reazionarie ed ultranazionaliste.

In particolare, Cossiga e’ stato, secondo quanto ha affermato lui stesso, amico personale di Franjo Tudjman. (CRJ)

La foto: Cossiga bacia ed abbraccia Tudjman:

http://members.nbci.com/_XMCM/crjmail/IM/k.jpg

Il seguente articolo e’ apparso su “Glas Istre” di venerdi’ 16 gennaio 1998:

http://members.nbci.com/crjmail/DOCS/cossiga.html

Il Presidente dott. Franjo Tudjman ha incontrato Francesco Cossiga

IL RICONOSCIMENTO DELLA CROAZIA, UNA DELLE PIU’ GIUSTE DECISIONI DI COSSIGA

ZAGABRIA (Hina) – Il Presidente della Repubblica di Croazia dott. Franjo Tudjman ha incontrato giovedi’ Francesco Cossiga, ex Presidente della Repubblica Italiana e senatore a vita, il primo uomo di Stato straniero ad aver ufficialmente visitato lo Stato croato – esattamente il giorno dopo [16/1/1992] il suo riconoscimento internazionale [15/1/1992]. Di questo ha dato notizia l’ufficio presidenziale. Il Presidente Tudjman ha sottolineato che quella visita del signor Cossiga, vero amico della Croazia, significo’ incoraggiamento per il popolo croato e rafforzo’ la convinzione che la Croazia, in parte ancora occupata in quel periodo [ci si riferisce alla presenza degli abitanti di religione ortodossa, contrari a diventare minoranza di uno Stato considerato per ragioni storiche e politiche straniero ed ostile; n.d. CRJ], avrebbe raggiunto la sua completa sovranita’. Il signor Cossiga vede la decisione italiana di riconoscere la Croazia e di instaurare rapporti diplomatici come una delle sue piu’ giuste decisioni di politica estera statale. Durante il colloquio e’ stata espressa soddisfazione per il fatto che oggi, esattamente 6 anni dopo il riconoscimento internazionale, la Croazia [con la “reintegrazione” della Slavonia Orientale, cioe’ della zona di Vukovar; n.d.CRJ] assume il potere sul suo intero territorio e con questo sugella la sua integrita’. Cosi’, secondo l’opinione del signor Cossiga, sono stati sgombrati dal campo anche gli ultimi ostacoli alla integrazione euro-atlantica della Croazia. Il signor Cossiga ha in particolare affermato che impieghera’ tutta la sua influenza per sostenere la Croazia nel raggiungimento di questi scopi. Rimarcando di avere accettato l’invito del Presidente Tudjman con grande piacere, il signor Cossiga ha portato al Presidente della Repubblica Franjo Tudjman i saluti del Presidente della Repubblica Italiana Scalfaro e del Presidente del governo Prodi, con la convinzione che l’Italia sviluppera’ ulteriori rapporti di amicizia con la Repubblica di Croazia.

Vlatko Pavletic ha incontrato Francesco Cossiga nel club del Sabor

UN PROGRAMMA RICCO PER IL SENATORE A VITA

Il Presidente del Parlamento di Stato della Croazia, l’accademico Vlatko Pavletic, ha ricevuto giovedi’ l’ex Presidente italiano e senatore a vita Francesco Cossiga, che si trattiene in visita per alcuni giorni in Croazia. Con il Presidente del Sabor [Parlamento] ed il senatore italiano ha partecipato ad un pranzo d’onore nel club del Sabor anche il vice-Ministro degli Esteri Ivo Sanader e l’ambasciatore italiano nella Repubblica Croata Francesco Olivieri. Cossiga visitera’ giovedi’ la Facolta’ di Filosofia a Zagabria, e la sera dovrebbe essere presente al concerto d’onore nell’HNK [Teatro Nazionale Croato]. Il senatore italiano partecipera’ venerdi’ alla cerimonia di consegna dell’Ordine della Gratitudine dell’ONU nel Castello Presidenziale. Per sabato e’ prevista una visita di Cossiga a Spalato, Trogir e Solin, per domenica la visita alla Nunziatura Apostolica e a Vukovar ed Osijek.

[Possibile che Cossiga non sia stato decorato anche con l’Ordine di Re Tomislav?! n.d. CRJ]


7. La vigilia della guerra

Date sent: Mon, 12 Mar 2001 20:40:23 +0200

From: CN La Jugoslavia Vivra’ <jugocoord@libero.it>

Subject: [JUGOINFO] “La vigilia della guerra” di D. Gallo

http://www.lernesto.it/5-00/Gallo-5.htm

La vigilia della guerra

Come gli Usa hanno operato, attraverso la Cia,

per trascinare l’Italia nell’aggressione contro la Jugoslavia

di Domenico Gallo

La sera del 24 marzo 1999, quando si sono levati in volo i bombardieri della Nato e sono partiti i primi missili Cruise dalle navi militari americane schierate nell’Adriatico, si è consumato un evento che ha segnato una drammatica rottura dell’ordine internazionale, come delineato dalla Carta delle Nazioni Unite.

Un gruppo di potenze, unite sotto la “leadership” degli Stati Uniti, attraverso una avventura bellica, ha aperto una nuova avventura nelle relazioni internazionali, rivendicando, manu militari, il “diritto” della cosiddetta ingerenza umanitaria. In realtà il diritto di regolare unilateralmente le situazioni di crisi internazionale attraverso la coercizione fondata sulla geometrica potenza delle armi occidentali.

Quando il pomeriggio del 24 marzo il Parlamento italiano è stato informato dal Governo che l’azione della Nato era iniziata, i bombardieri erano già in volo, la macchina da guerra si era messa in moto secondo un progetto predisposto e reso operativo da tempo, e la politica non avrebbe potuto fare niente per arrestarla: ormai si era consumato un evento (anche politicamente) irreversibile. In quel frangente, nessuna forza di maggioranza o di opposizione contraria alla guerra, nessun sindacato, nessuna mobilitazione popolare, nessuno sciopero generale (che non c’è stato), avrebbe potuto fermare i bombardieri in volo ed impedire che oltrepassassero quella soglia, destinata a produrre quegli eventi disastrosi per il Kosovo e la Serbia che si sono sviluppati come vicende ineluttabili.

Se il 24 marzo la macchina bellica della Nato non poteva più essere arrestata dalla politica, allora v’è da chiedersi quando è maturata questa irreparabilità, quando e da chi sono stati fatti i passi, sono state compiute le scelte politiche che hanno reso, prima, il ricorso alla guerra possibile e, poi, ineluttabile?

Sebbene, a quella data, ormai irreversibile, l’evento della guerra è stato frutto di un processo politico il cui esito, per niente scontato, è stato costruito tenacemente, dai soggetti interessati, giorno per giorno, manovrando diversi tasselli sullo scacchiere internazionale, compreso quello della crisi di governo in Italia e del rimpasto del governo in Germania con l’allontanamento di La Fontaine. Se tutti noi conosciamo la data di inizio della guerra e possiamo collocarla in uno spazio temporale e in una dimensione politica, altrettanto non può dirsi per la vigilia della guerra.

La vigilia della guerra: il punto di svolta

Crista Wolf in Cassandra ricostruisce il passaggio della società di Troia da uno stato di pace ad uno stato di guerra ed il conseguente degrado delle istituzioni, della politica, del linguaggio di fronte all’avanzata dell’immagine del nemico e si pone appassionatamente questa domanda: quando è iniziata la vigilia della guerra?

Parafrasando Crista Wolf vogliamo chiederci anche noi: quando è iniziata la vigilia della guerra del Kosovo? Dove, e quando, e da chi, sono state fatte le scelte politiche che hanno spianato la strada alle armi e che hanno fatto fallire ogni tentativo di soluzione politica del conflitto, a cui tanto la Jugoslavia, quanto la leadership albanese non UCK, erano seriamente interessate?

Orbene, per quanto si tratti di un processo politico, nel quale gli avvenimenti sono concatenati fra di loro, un punto di svolta c’è ed è possibile risalire ad esso.

È la decisione assunta dal Consiglio dei Ministri del Governo Prodi, dopo la sfiducia, (votata dalla Camera il 9 ottobre), qualche ora prima di fare le valigie e di sloggiare da Palazzo Chigi, relativa adesione dell’Italia all’activation order.

Un comunicato di Palazzo Chigi del 12 ottobre 1998 informa che il Consiglio dei Ministri ha deciso di autorizzare il rappresentante permanente dell’Italia presso il Consiglio Atlantico ad aderire al c.d. Activation order“Di conseguenza – recita il comunicato – l’Italia metterà a disposizione le proprie basi qualora risulterà necessario l’intervento militare da parte dell’Alleanza atlantica per fronteggiare la crisi del Kosovo… Nell’attuale situazione costituzionale – conclude il comunicato – il contributo delle forze armate italiane sarà limitato alle attività di difesa integrata del territorio nazionale. Ogni eventuale ulteriore impiego delle Forze armate italiane dovrà essere autorizzato dal Parlamento.”

Il giorno successivo, il 13 ottobre, il Segretario Generale della Nato, Solana, emana l’activation order e conferisce al Comandante militare (SACEUR), generale Clark, il potere di ordinare attacchi armati contro la Repubblica federale Jugoslava. È il 13 ottobre del 1998 che la macchina da guerra della Nato accende (non solo in senso simbolico) i suoi motori. Non li spegnerà più, malgrado l’accordo fra Milosevic ed Hoolbroke del 14 ottobre, ed il conseguente dispiegamento dell’OSCE nel Kosovo e malgrado i negoziati intavolati a Rambouillet. Inizia così la vigilia della guerra.

Come e attraverso quali percorsi politici si è arrivati a questa svolta?

Il nuovo ruolo strategico della NATO

Il retroterra è costituito dal conflitto nato dalla dissoluzione della ex Jugoslavia, ed in particolare dalla guerra nella Bosnia e dal nuovo ruolo strategico militare che gli Stati Uniti hanno concepito per la Nato dopo la fine della guerra fredda e che è stato ufficialmente proclamato a Washington il 24 aprile, proprio mentre veniva sperimentato in vivo.

Pochi ricordano che nell’estate del 1993, durante una delle fasi più oscure del conflitto in Bosnia, si verificò un durissimo braccio di ferro fra la Nato (che minacciava di intervenire in Bosnia con bombardamenti contro le forze serbo-bosniache) e l’Unprofor (i caschi blu dell’Onu) che si opponeva con tutte le sue forze. Il braccio di ferro si concluse con la stipula di un memorandum d’intesa, siglato nell’agosto dall’ammiraglio americano Jeremy Borda (Comandante delle operazioni Nato) e dal generale francese Jean Cot (Comandante delle forze Unprofor) con quale fu stabilito il principio che la Nato non poteva bombardare senza il consenso della missione dell’Onu, sebbene astrattamente autorizzata all’intervento dalle Risoluzioni del Consiglio di Sicurezza che avevano stabilito alcune misure interdittive della guerra e coercitive per i belligeranti. E quando la Nato finalmente intervenne nella fase finale della guerra in Bosnia, nella notte fra il 29 ed il 30 agosto del 1995, ciò accadde soltanto per effetto di una legittima (ma inopportuna) richiesta di intervento dell’Onu, che faceva seguito allo sconcerto ed all’indignazione provocata dalla strage del mercato di Sarajevo occorsa il giorno precedente (28 agosto).

Furono proprio le vicende della guerra di Bosnia e la possibilità – e per un limitato verso anche l’esigenza – che la Nato giocasse un ruolo nel contesto delle garanzie della sicurezza internazionale a far si che venisse messa a punto nell’ambito della Nato una strategia operativa di intervento per la gestione delle crisi, includendovi dentro tanto le tradizionali (per l’Onu) missioni di peacekeeping (mantenimento della pace), quanto le missioni di peacebuilding (ricostruzione della pace), di cui la missione militare dispiegata in Bosnia, a seguito degli accordi di Dayton costituisce un esempio classico, che le missioni di peaceenforcing (per esempio, sorveglianza degli embarghi delle armi) e le missioni di peacemaking (costruire la pace attraverso un vero e proprio intervento bellico).

La posizione dell’Italia

In questo contesto, per la decisa posizione assunta dall’Italia, durante il Governo Dini, fu stabilito che la Nato non aveva legittimità a ricorrere a misure comportanti l’uso della forza senza la preventiva autorizzazione del Consiglio di Sicurezza, come del resto prevede la Carta delle Nazioni Unite. Addirittura in questo periodo il ministro degli esteri del Governo Dini, Susanna Agnelli, diede platealmente uno schiaffo agli Stati Uniti, vietando – per qualche tempo – che fossero dislocati ad Aviano i cacciabombardieri invisibili Stealth, (che saranno i principali protagonisti della guerra del 99), fino a quando l’Italia non fu inclusa nel Gruppo di contatto, da cui l’amministrazione americana voleva tenerla fuori.

Questa posizione assunta dal Governo Dini fu ereditata dal Governo Prodi e lo stesso Dini, come ministro degli esteri la mantenne in piedi, come posizione ufficiale della Farnesina, in dichiarazioni pubbliche e comunicati stampa, fino al settembre del 1998.

Nel frattempo la crisi della convivenza interetnica fra serbi ed albanesi nel Kosovo si aggravò in quanto qualcuno decise di soffiare sul fuoco del conflitto armato, appoggiando una banda armata (l’Uck) che aveva avuto oscure origini e che fino a quel momento non aveva giocato un ruolo effettivo.

È il 1° marzo 1998 la data che segnò l’inizio della guerriglia dell’Uck, con l’uccisione di due poliziotti serbi a Drenica, a cui fece seguito una reazione inconsulta che provocò la morte di venti albanesi. Nella primavera del 1998 si accesero i fuochi di sporadiche azioni di guerriglia a cui fecero seguito drastiche azioni di repressione.

A questo punto la Nato, sotto la spinta dell’amministrazione americana, decise di intervenire “politicamente” nel conflitto lanciando, con un comunicato del Consiglio atlantico del 28 maggio, un duro monito a Belgrado, in cui lasciava intravedere la possibilità di un intervento militare. Questa posizione, in realtà, più che favorire un self restraint da parte dell’apparato militare jugoslavo, non poteva che incoraggiare l’Uck sulla strada della guerriglia che, seppure perdente sul terreno, in prospettiva diventava vincente, potendo giocare un ruolo di detonatore per l’intervento militare occidentale.

I furiosi combattimenti che ne sono seguiti durante l’estate del 98 e la durissima repressione scatenata dalle forze di sicurezza serbe (peraltro ingigantita dalla stampa internazionale con la fabbricazione di notizie false) hanno sollecitato lo sdegno dell’opinione pubblica internazionale, creando l’humus politico favorevole per l’intervento della Nato.

Un problema da risolvere

C’era, però, un problema da risolvere.

La carta delle Nazioni Unite non consente che gruppi di Stati possano ricorrere all’uso della forza per regolare le crisi internazionali e, conseguentemente, la Nato non aveva alcuna legittimità per effettuare un intervento militare per regolare la crisi del Kosovo, aggredendo una delle parti in conflitto ed alleandosi con l’altra.

Nel corso della primavera, dell’estate e del mese di settembre del 1998 si sviluppò un dibattito sulla possibilità che la Nato intervenisse militarmente nel Kosovo, anche in assenza di una formale autorizzazione da parte del Consiglio di Sicurezza. Tale dibattito nascondeva un conflitto politico durissimo fra Stati Uniti e Gran Bretagna (che sostenevano la tesi della legittimità del ricorso alla forza) e l’Italia che continuava ad opporsi.

Tale posizione, peraltro, non era affatto scontata all’interno del Governo italiano, in quanto il Ministro della difesa Beniamino Andreatta, propugnava l’allineamento totale dell’Italia alle esigenze degli Stati Uniti, secondo la tradizionale politica di “fedeltà atlantica”; tuttavia gli equilibri politici di maggioranza escludevano che il Governo Prodi potesse assumere una posizione differente senza rischiare una crisi.

È sorta a questo punto per l’Alleato americano l’esigenza di provocare un mutamento di Governo in Italia per ottenere una maggioranza più omogenea alle esigenze belliche della Nato. Poiché non si poteva correre il rischio di nuove elezioni, il cui esito non sarebbe stato prevedibile, è sorta l’esigenza di trovare una maggioranza di ricambio che potesse fare accrescere il tasso di “fedeltà atlantica” dell’Italia, sostituendo Rifondazione comunista con forze più omogenee alla Nato.

Il ruolo di Cossiga

A questo punto è stato attivato il più autorevole dei terminali della Cia nel sistema politico italiano, l’ex Presidente della Repubblica Francesco Cossiga, l’uomo di Gladio.

Cossiga, fino all’inizio del 1998, aveva svolto un ruolo di tutore del centro destra e sembrava che volesse contendere a Berlusconi la leadership della destra.

Nella primavera del 1998 Cossiga ha fatto un revirement e, utilizzando la sua influenza politica occulta ma reale sul sistema politico italiano, è riuscito a staccare una frazione di deputati e senatori dal centro destra, fondando l’Udeur, con il dichiarato scopo di far nascere una nuova maggioranza politica che sostituisse quella basata sull’alleanza dell’Ulivo più Rifondazione e guidata da Prodi.

Quasi tutti hanno commentato l’operazione Udeur guidata da Cossiga come una manifestazione del peggiore costume trasformistico italiano. Ed invece tale operazione, che si avvaleva si della tendenza al trasformismo esistente nel sistema politico italiano, aveva uno specifico significato ed un preciso obiettivo di natura internazionale: quello di provocare un mutamento della posizione internazionale dell’Italia e di ottenere la legittimazione della Nato al ricorso alla guerra, come strumento della politica di potenza americana. Operazione perfettamente riuscita.

Perso il condizionamento di Rifondazione comunista, indeboliti i Verdi, indebolita la posizione autonomistica di Dini, il 12 ottobre 1998 il Governo Prodi, sebbene sfiduciato, ha compiuto l’atto politicamente più rilevante dalla sua nascita, e più gravido di conseguenze per il futuro, accettando l’adesione dell’Italia all’activation order.

La svolta

In sede politica la svolta dell’Italia sulla liceità del ricorso all’uso della forza da parte della Nato era stata propugnata dall’allora segretario del partito dei DS – l’on. D’Alema – e dal sottosegretario alla Difesa, Brutti, i quali si erano affrettati a dichiarare che la concessione dell’uso delle basi italiane (nella imminente guerra contro la Jugoslavia) costituiva un “atto dovuto” ed un effetto “automatico” della partecipazione italiana alla Nato.

Era ormai alle porte un Governo D’Alema, con la benedizione di Cossiga e con l’uomo giusto, Carlo Scognamillo, al posto giusto, il Ministero della Difesa.

Sul Foglio del 4 ottobre 2000 proprio Carlo Scognamiglio, polemizzando con James Rubin, l’ex portavoce di Madeleine Albright, si lascia sfuggire:

A Rubin sfugge che in Italia avevamo dovuto cambiare governo proprio per fronteggiare gli impegni politici-militari che si delineavano in Kosovo… Prodi ad ottobre aveva espresso una disponibilità di massima all’uso delle basi italiane, ma per la presenza di Rifondazione nella sua maggioranza non avrebbe mai potuto impegnarsi in azioni militari. Per questo il senatore Cossiga ed io ritenemmo che occorreva un accordo chiaro con l’on. D’Alema.

In che cosa consisteva questo accordo? Due parti. La prima era il rispetto dell’impegno per l’euro… la seconda era il vincolo di lealtà alla Nato: l’Italia avrebbe dovuto fare esattamente ciò che la Nato avrebbe deciso di fare. Questo è esattamente ciò che l’Italia ha fatto. Adesso che la missione è compiuta Cossiga può rientrare nel centro destra. D’Alema è già tornato a casa.

(Tratto da: L’ERNESTO, ottobre 2000)



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