Pubblicato da Robert Lederman
robert.lederman@worldnet.att.net
9 febbraio 2002
Nota: L’autore di questo articolo, John Loftus, è un ex inquirente
della sez. Crimini di guerra nazisti del Dipartimento della Giustizia
USA, Presidente del Museo dell’Olocausto della Florida ed autore
estremamente rispettato di numerosi libri sulla connection CIA-
nazisti, inclusi The Belarus Secret and The Secret War Against the
Jews, entrambe con ampia documentazione sulla connection Bush-
Rockefeller-nazisti.
Copyright 27 settembre 2000 di Avv: John Loftus
La Dutch Connection
Come una famosa famiglia americana ha fatto fortuna con i nazisti
Per la famiglia Bush è un incubo perenne. Per i loro clienti nazisti
la Dutch connection era la madre di tutti i sistemi di riciclaggio
del denaro. Dal 1945 al 1949 iniziò nella zona americana della
Germania occupata uno dei più lunghi e, come ora appare, futili
interrogatori di un sospetto di crimini di guerra nazisti. Il magnate
multimilionario dell’acciaio Fritz Thyssen – l’uomo il cui consorzio
dell’acciaio era il cuore della macchina da guerra nazista – parlava
e parlava e parlava ad un gruppo congiunto di interrogatorio USA-UK.
Per quattro lunghi anni, successive squadre di inquirenti tentarono
di infrangere la semplice pretesa di Thyssen di non possedere né
conti in banche straniere né interessi in società straniere, né beni
che potessero portare ai miliardi mancanti in beni del Terzo Reich.
Gli inquirenti fallirono completamente.
Perché? Perché ciò che l’astuto Thyssen deponeva era, in certo senso,
vero. Quello che gli investigatori alleati non capirono mai era che
essi non facevano a Thyssen la domanda giusta. Thyssen non aveva
bisogno di nessun conto bancario straniero perché *** la sua famiglia
segretamente possedeva un’intera catena di banche ***. Egli non
dovette trasferire i suoi beni nazisti alla fine della II G.M., tutto
ciò che doveva fare era trasferire i documenti delle proprietà –
azioni, obbligazioni, atti e accordi legali – dalla sua banca di
Berlino attraverso la sua banca in Olanda ai suoi amici americani di
New York City: *** Prescott Bush e Herbert Walzer. I soci di Thyssen
nel crimine erano il padre ed il suocero di un futuro presidente
degli Stati Uniti ***.
Gli investigatori alleati sottostimarono il potere di Thyssen, le sue
connessioni, le sue motivazioni ed i suoi mezzi. La ragnatela di
società finanziarie che Thyssen aiutò a creare negli anni ’20 rimase
un mistero per il resto del ventesimo secolo, una quasi perfetta
condotta fognaria nascosta sottoterra per spostare il denaro sporco,
denaro che rifornì di fondi le fortune postbelliche non solo
dell’impero industriale Thyssen… ma anche della famiglia Bush. Era
un segreto che Fritz Thyssen si sarebbe portato nella tomba.
Era un segreto che avrebbe condotto l’ex agente dell’intelligence USA
William Gowen, ora quasi ottantenne, proprio ad un passo dalla
famiglia reale olandese. I Gowen non erano nuovi alle controversie o
alla nobiltà. Suo padre era uno degli emissari diplomatici del
Presidente Roosevelt presso Papa Pio XII che fecero l’inutile
tentativo di persuadere il Vaticano a denunciare il trattamento che
Hitler riservava agli ebrei. Fu suo figlio, William Gowen, che prestò
servizio a Roma dopo la II G.M. come cacciatore di nazisti ed
investigatore del servizio controinformazioni dell’esercito USA. Fu
l’agente Gowen che per primo scoprì nel 1949 il canale segreto del
Vaticano per portare in salvo i nazisti. E fu anche lo stesso William
Gowen che iniziò a far venire alla luce nel 1999 la condotta segreta
olandese per contrabbandare il denaro dei nazisti.
Mezzo secolo prima Fritz Thyssen stava raccontando agli investigatori
alleati che egli non aveva interessi in società straniere, che Hitler
gli si era rivoltato contro ed aveva preso la maggior parte delle sue
proprietà. I suoi rimanenti beni (che sapeva comunque persi) erano
soprattutto nella zona d’occupazione russa della Germania. I suoi
distanti (e non di suo gusto) parenti nelle nazioni neutrali come
l’Olanda erano i reali proprietari di una sostanziosa percentuale
della restante base industriale tedesca. Come vittime innocenti del
Terzo Reich essi premevano sui governi d’occupazione alleati in
Germania chiedendo la restituzione delle proprietà che gli erano
state sequestrate dai nazisti.
Secondo le norme dell’occupazione alleata della Germania tutte le
proprietà possedute dai cittadini di una nazione neutrale che erano
state prese dai nazisti dovevano essere restituite ai cittadini
neutrali dietro presentazione di appropriata documentazione
dimostrante la prova della proprietà. Improvvisamente, parti neutrali
di ogni genere, particolarmente in Olanda, pretesero la proprietà di
diversi pezzi dell’impero Thyssen. Nella sua cella Fritz Thyssen
semplicemente sorrideva ed aspettava di essere rilasciato dalla
prigione mentre membri della famiglia reale olandese e del servizio
informazioni olandese rimettevano assieme per lui i suoi possedimenti
anteguerra.
Gli inquirenti britannici ed americani potevano avere seriamente
sottostimato Thyssen ma non di meno essi sapevano che gli veniva
mentito. I loro sospetti si concentrarono in particolare su una banca
olandese, la Banca voor Handel en Scheepvaart di Rotterdam. Questa
banca da anni faceva molti affari con i Thyssen. Per fargli un
favore, nel 1923 la banca di Rotterdam prestò il denaro per costruire
proprio il primo quartier generale del partito nazista a Monaco. Ma
in qualche modo le indagini alleate continuarono a non andare da
nessuna parte, le piste sembravano tutte arenarsi.
*** Se gli investigatori si fossero accorti che Allen Dulles, il capo
dell’intelligence USA nella Germania postbellica, era anche
l’avvocato della banca di Rotterdam, avrebbero potuto fare domande
molto interessanti. Essi non sapevano che anche Thyssen era cliente
di Dulles. Non si sono nemmeno mai accorti che era l’altro cliente di
Allen Dulles, il barone Baron Kurt Von Schroeder che era il
fiduciario dei nazisti per le società Thyssen che ora si pretendevano
possedute dagli olandesi. La banca di Rotterdam era al cuore dello
schema di copertura di Dulles, ed essa custodiva gelosamente i suoi
segreti ***.
Diversi decenni dopo la guerra il giornalista investigativo Paul
Manning, collega di Edward R. Murrow, inciampò sugli interrogatori di
Thyssen negli Archivi Nazionali USA. Manning voleva scrivere un libro
sul riciclaggio del denaro dei nazisti. Il manoscritto di Manning era
un coltello alla gola di Allen Dulles: il suo libro menzionava
specificamente la Banca voor Handel en Scheepvaart per nome, sebbene
di sfuggita. Dulles si offrì di aiutare l’ignaro Manning con il suo
manoscritto e lo mandò verso un vicolo cieco, in cerca di Martin
Bormann in Sud America.
Senza sapere di essere stato deliberatamente sviato, Manning scrisse
una prefazione del suo libro ringraziando personalmente Allen Dulles
per la sua “assicurazione che era sulla pista giusta e doveva
continuare così”. Dulles mandò Manning ed il suo manoscritto nelle
paludi dell’oscurità. Anche l’imbroglio stesso della “caccia a Martin
Bormann” venne usato con successo per screditare Ladislas Farago, un
altro giornalista americano che esaminava troppo approfonditamente il
riciclaggio del denaro dei nazisti. Gli investigatori americani
dovevano essere mandati ovunque eccetto in Olanda.
E così la Dutch connection rimase inesplorata fino a quando nel 1994
pubblicai il libro “The Secret War Against the Jews”. Come argomento
di curiosità storica menzionai che Fritz Thyssen (ed indirettamente
il partito nazista) avevano ottenuto i loro primi finanziamenti dalla
Brown Brothers Harriman e dalla sua affiliata Union Banking
Corporation. La Union Bank era a sua volta la holding della famiglia
Bush che controllava molte altre società, compresa la “Holland
American Trading Company”.
Era pubblicamente noto che le holding di Bush erano state sequestrate
dal governo USA dopo che i nazisti invasero l’Olanda. Nel 1951 i Bush
reclamarono dall’Alien Property Custodian la Union Bank assieme alle
sue proprietà “neutrali” olandesi. Non l’avevo capito, ma avevo
sbattuto contro un pezzo veramente grande della scomparsa Dutch
connection. La proprietà di Bush della società d’investimenti
olandese-americana era l’anello mancante nelle prime ricerche di
Manning nei documenti dell’indagine Thyssen. Nel 1981 Manning aveva
scritto:
“Il primo passo di Thyssen in una lunga danza di frodi fiscali e
valutarie iniziò [alla fine degli anni ’30] quando dispose che le
proprie quote nella olandese Hollandische-Amerikanische Investment
Corporation venissero accreditate alla Banca Bank voor Handel en
Scheepvaart, N.V., Rotterdam, la banca fondata nel 1916 da August
Thyssen Senior”.
In questo oscuro paragrafo di un libro poco noto, Manning aveva
involontariamente documentato due interessanti argomenti: 1) La Union
Bank di Bush aveva evidentemente acquistato le stesse azioni
societarie che i Thyssen stavano vendendo come parte del loro
riciclaggio del denaro dei nazisti, e 2) la banca di Rotterdam, lungi
dall’essere un ente neutrale olandese, venne fondata dal padre di
Fritz Thyssen. In retrospettiva, io e Manning avevamo scoperto
terminali diversi della Dutch connection.
Dopo aver letto l’estratto del mio libro sulla proprietà di Bush
della Holland-American trading Company, l’agente del servizio
informazioni USA in pensione William Gowen cominciò a mettere insieme
le tessere del puzzle. Mr. Gowen conosceva ogni angolo dell’Europa
per il suo passato di figlio di un diplomatico, agente del servizio
informazioni americano e giornalista. William Gowen merita tutto il
credito per la scoperta del mistero di come gli industriali tedeschi
nascosero il loro denaro dagli Alleati alla fine della II G.M.
Nel 1999 Mr. Gowen andò in Europa, a proprie spese, per incontrare un
ex membro dell’intelligence olandese che aveva informazioni interne
dettagliate sulla banca di Rotterdam. Lo scrupoloso Gowen prese nota
della dichiarazione e quindi la fece leggere e correggere dalla sua
fonte per evitare errori. Qui, sommariamente, si racconta come i
nazisti nascosero il loro denaro in America.
Dopo la I G.M. August Thyssen era stato seriamente danneggiato dalla
perdita di beni dovuta alle dure condizioni del trattato di
Versailles. Egli era determinato a che ciò non accadesse mai più. Uno
dei suoi figli si sarebbe unito ai nazisti, l’altro sarebbe rimasto
neutrale. Non importava chi vincesse la prossima guerra, la famiglia
Thyssen sarebbe sopravvissuta con il suo impero industriale intatto.
Fritz Thyssen si unì ai nazisti nel 1923: suo fratello minore sposò
una nobile ungherese e cambiò il proprio nome in quello di barone
Thyssen-Bornemisza. Il barone più tardi reclamò la cittadinanza
ungherese ed anche quella olandese. In pubblico fingeva di detestare
il suo fratello nazista, ma in privato si incontravano a consigli di
amministrazione segreti in Germania per coordinare le loro
operazioni. Se un fratello veniva minacciato della perdita della sua
proprietà, avrebbe trasferito le proprie società all’altro.
Per aiutare i suoi figli nel loro gioco di scatole vuote, August
Thyssen durante gli anni ’20 costituì tre diverse banche – la August
Thyssen Bank a Berlino, la Bank voor Handel en Scheepvaart a
Rotterdam e la Union Banking Corporation a New York City. Per
proteggere le loro holding tutto ciò che i fratelli dovevano fare era
spostare i documenti delle società da una banca all’altra. E questo
fecero piuttosto regolarmente. Quando Fritz Thyssen “vendette” la
Holland-American Trading Company per una perdita fiscale, la Union
Banking Corporation di New York comprò le azioni. Similmente, la
famiglia Bush investì i camuffati profitti nazisti in società
americane dell’acciaio e di produzione che divennero parte del
segreto impero Thyssen.
Quando i nazisti invasero l’Olanda nel maggio del 1940 investigarono
nella Banca voor Handel en Scheepvaart di Rotterdam. Fritz Thyssen
era sospettato di dagli ispettori di Hitler di essere un evasore
fiscale e di trasferire illegalmente la sua ricchezza al di fuori del
Terzo Reich. Gli ispettori nazisti avevano ragione: Thyssen pensava
che le politiche economiche di Hitler avrebbero fatto diminuire la
sua ricchezza attraverso una disastrosa inflazione. Egli
contrabbandava all’estero i suoi profitti di guerra attraverso
l’Olanda. Ma i forzieri di Rotterdam non contenevano indizi su dove
fosse andato a finire il denaro. I nazisti non sapevano che tutti i
documenti comprovanti la segreta proprietà di Thyssen erano stati
tranquillamente rispediti alla banca August Thyssen a Berlino, sotto
la benevola supervisione del barone Kurt Von Schroeder. Thyssen passò
il resto della guerra agli arresti domiciliari di lusso. Egli aveva
giocato Hitler, nascosto i suoi immensi profitti, ed ora era tempo di
giocare gli americani con lo stesso trucco delle scatole vuote.
Appena Berlino cadeva in mano degli alleati venne il momento di
rispedire i documenti a Rotterdam cosicché la banca “neutrale”
potesse pretendere le proprietà con la benevola supervisione di Allen
Dulles, che, come capo dell’intelligence dell’OSS a Berlino nel 1945,
era ben piazzato per gestire qualsiasi tranquilla indagine.
Sfortunatamente, la banca August Thyssen durante la guerra era stata
bombardata ed i documenti erano sepolti nei forzieri sotterranei
sotto le rovine. Ancora peggio, i forzieri si trovavano nella zona
sovietica di Berlino.
Secondo la fonte di Gowen, il principe Bernardo comandava una unità
dell’intelligence olandese che nel 1945 tirò fuori i documenti
societari incriminanti e li riportò alla banca “neutrale” di
Rotterdam. Il pretesto era che i nazisti avevano rubato a sua moglie,
principessa Giuliana, i gioielli della corona, ed i russi diedero
agli olandesi il permesso di scavare tra i forzieri e recuperarli.
L’operazione Giuliana fu una truffa olandese agli Alleati che
cercavano ovunque i pezzi mancanti della fortuna Thyssen.
Nel 1945 l’ex direttore olandese della banca di Rotterdam riprese il
controllo solamente per scoprire che sedeva su una grande pila di
attività naziste nascoste. Nel 1947 il direttore minacciò di
informare le autorità olandesi, e venne immediatamente licenziato dai
Thyssen. Il leggermente ingenuo direttore di banca allora fuggì a New
York City dove aveva intenzione di parlare con il presidente della
Union Bank, Prescott Bush. Come ricordava la fonte olandese di Gowen,
il direttore intendeva “rivelare [a Prescott Bush] la verità sul
barone Heinrich e la banca di Rotterdam, perché alcuni o tutti degli
interessi di Thyssen nel gruppo Thyssen potessero essere sequestrati
e confiscati come proprietà del nemico tedesco. “Il corpo del
direttore venne ritrovato a New York due settimane più tardi”.
Allo stesso modo nel 1996 il giornalista olandese Eddy Roever andò a
Londra per intervistare il barone, che era vicino di Margaret
Thatcher. Il corpo di Roever venne scoperto due giorni dopo. Forse,
osservò laconicamente Gowen, era solamente una coincidenza che
entrambe i due sani uomini morissero infarto immediatamente dopo aver
tentato di scoprire la verità sui Thyssen.
Né Gowen né la sua fonte olandese sapevano delle sostanziose prove
negli archivi dell’Alien Property Custodian o negli archivi
dell’OMGUS. Assieme, i due separati gruppi di documenti USA si
sovrapponevano a vicenda e supportavano direttamente la fonte di
Gowen. Il primo gruppo di archivi conferma assolutamente che la Union
Banking Corporation di New York era posseduta dalla banca di
Rotterdam. Il secondo gruppo (citato da Manning) che a sua volta la
banca di Rotterdam era proprietà dei Thyssen.
Non sorprende che queste due agenzie americane non resero mai noti i
documenti Thyssen. Come documentò il noto storico Burton Hersh:
“L’Alien Property Custodian, Leo Crowley, era nel libro paga della
banca di New York J. Henry Schroeder dove nel consiglio di
amministrazione sedevano Foster and Allen Dulles. Foster riuscì a
farsi nominare consigliere legale speciale per l’Alien Property
Custodian mentre simultaneamente rappresentava interessi [tedeschi]
contro il custode”.
Non meraviglia che Allen Dulles avesse diretto Paul Manning a caccia
di farfalle in Sud America. Egli era molto vicino a scoprire il fatto
che la banca di Bush a New York City era segretamente posseduta dai
nazisti, prima durante e dopo la II G.M. La proprietà di Thyssen
della Union Banking Corporation è provata, e concretizza un capo
d’imputazione per tradimento nei confronti delle famiglie Dulles e
Bush per aver dato aiuto e sostegno al nemico in tempo di guerra.
SECONDA PARTE
Il primo fatto chiave che deve essere provato in ogni indagine
criminale e che la famiglia Thyssen possedeva segretamente la banca
di Bush. A parte la fonte di Gowen ed i documenti gemelli americani,
un terzo gruppo di documentazione proviene dalla stessa famiglia
Thyssen. Nel 1979 l’attuale barone Thyssen-Bornemisza (nipote di
Fritz Thyssen) preparò una storia scritta della famiglia da
condividere con i suoi alti dirigenti. Una copia di questo topo di
trenta pagine intitolato “La storia della famiglia Thyssen e loro
attività” venne procurata dalla fonte di Gowen. Essa contiene le
seguenti ammissioni di Thyssen:
“Così, all’inizio della II G.M. la Banca voor Handel en Scheepvaart –
una ditta olandese il cui unico azionista era un cittadino ungherese –
era diventata la holding delle società di mio padre. Prima del 1929
egli deteneva le quote della Banca August Thyssen, ed anche
sussidiarie americane e la Union Banking Corporation di New York. Le
azioni di tutte le affiliate [nel 1945] erano nella Banca August
Thyssen nel settore orientale di Berlino, da dove riuscii a farle
trasferire in occidente all’ultimo momento”
“Dopo la guerra il governo olandese ordinò un’indagine sulla
situazione legale della società holding e, in attesa del risultato,
nominai un olandese ex direttore generale di mio padre che si era
rivoltato contro la nostra famiglia. In quello stesso anno, il 1947,
ritornai in Germania per la prima volta dopo la guerra, travestito da
autista olandese in uniforme militare, per stabilire i contatti con i
nostri dirigenti tedeschi”
“La situazione del gruppo cominciò gradualmente ad essere risolta ma
non fu prima del 1955 che le società tedesche vennero liberate dal
controllo alleato ed in seguito rilasciate. Fortunatamente le società
del gruppo soffrirono poco dallo smembramento. Infine, fummo nella
posizione di concentrarci su problemi puramente economici – la
ricostruzione ed ampliamento delle società e l’espansione
dell’organizzazione”
“Il dipartimento creditizio della Banca voor Handel en Scheepvaart,
che funzionava anche come società holding del gruppo, si fuse nel
1970 con la Nederlandse Credietbank N.V. che aumentò il suo capitale.
Il gruppo ricevette il 25%. La Chase Manhattan Bank detiene il 31%.
Per la nuova società holding venne scelto il nome di Thyssen-
Bornemisza Group”.
*** Dunque, gli archivi gemelli USA, la fonte olandese di Gowen e la
storia della famiglia Thyssen confermano tutte indipendentemente che
il padre ed il nonno del Presidente Bush facevano parte del consiglio
di amministrazione di una banca che era segretamente posseduta dai
principali industriali nazisti. La connessione di Bush con queste
istituzioni americane è pubblicamente nota. Quello che nessuno
sapeva, finché la brillante ricerca di Gowen non lo portò alla luce,
era che i Thyssen erano i datori di lavoro segreti della famiglia
Bush.
*** Ma cosa sapeva la famiglia Bush dei suoi collegamenti nazisti e
quando lo seppe? Come manager anziani della Brown Brothers Harriman,
dovevano aver saputo che i loro clienti americani, come i
Rockefeller, stavano investendo pesantemente nelle società tedesche,
compreso il gigante Vereinigte Stahlwerke di Thyssen. Come
ripetutamente documenta il noto storico Christopher Simpson, è
argomento di dominio pubblico che gli investimenti della Brown
Brothers nella Germania nazista ebbero luogo con i servizi della
famiglia Bush.
*** Quando scoppiò la guerra Prescott Bush venne colpito da un caso
di morbo di Waldheimer, un’improvvisa amnesia del suo passato
nazista? Oppure egli credeva veramente che i nostri benevoli alleati
olandesi possedessero la Union Banking Corporation e la sua società
madre di Rotterdam? Dovrebbe essere ricordato che nel gennaio del
1937 egli assunse Allen Dulles per “coprire” i suoi conti. Ma coprire
da chi? Si aspettava che la piccola felice Olanda dichiarasse guerra
all’America? L’operazione di copertura aveva senso solamente come
anticipazione di una possibile guerra con la Germania nazista. Se la
Union Bank non era il condotto per riciclare gli investimenti nazisti
di Rockefeller in America, allora come avrebbe potuto la Chase
Manhattan Bank controllata da Rockefeller finire a possedere dopo la
guerra il 31% del gruppo Thyssen?
*** Si dovrebbe notare che il gruppo Thyssen (TBG) ora è la maggiore
conglomerata industriale della Germania, e, con un patrimonio netto
di più di 50 miliardi di dollari, una delle più ricche società al
mondo. La TBG è talmente ricca che ha persino acquistato le società
della famiglia Krupp, famoso fabbricante di armi di Hitler, lasciando
i Thyssen gli indiscussi campioni di sopravvivenza del Terzo Reich.
Dove hanno preso i Thyssen il denaro per partire con la ricostruzione
del loro impero con tale velocità dopo la II G.M.?
*** Le enormi somme di denaro depositate nella Union Bank prima del
1942 sono la migliore prova che Prescott Bush servì consapevolmente
da riciclatore del denaro per i nazisti. Ricordate che i libri ed i
conti della Union Bank nel 1942 vennero congelati dall’Alien Property
Custodian USA e non vennero restituiti alla famiglia Bush fino al
1951. A quel tempo, le azioni della Union Bank, che rappresentavano
il valore di milioni di dollari di azioni industriali e di
obbligazioni, vennero sbloccate per la circolazione. La famiglia Bush
credeva realmente che tali enormi somme venivano da aziende olandesi?
Si potrebbero vendere bulbi di tulipano e scarpe di legno per secoli
e non raggiungere quelle somme. Una fortuna di questa misura poteva
essere arrivata solamente dai profitti che Thyssen fece riarmando il
Terzo Reich e quindi nascosti, prima dagli ispettori fiscali nazisti
e poi dagli Alleati.
*** I Bush sapevano perfettamente bene che la Brown Brothers era il
canale del denaro americano nella Germania nazista, e che la Union
Bank era la conduttura segreta per riportare dall’Olanda in America
il denaro nazista. I Bush dovevano aver saputo di come funzionava il
circuito segreto del denaro poiché essi erano nel consiglio di
amministrazione in entrambe le direzioni: fuori dalla Brown Brothers,
dentro la Union Bank.
*** Inoltre, la misura del loro compenso è commensurata con il loro
rischio come riciclatori del denaro nazista. Nel 1951 Prescott Bush e
suo suocero ricevettero una quota delle azioni della Union Bank,
ciascuna del valore di 750.000 dollari. Un milione e mezzo di dollari
erano un sacco di soldi nel 1951. Ma allora, dal punto di vista di
Thyssen, comprare i Bush era stato il miglior affare della guerra.
*** Il punto decisivo è grave: E’ abbastanza disdicevole che la
famiglia Bush abbia aiutato a raccogliere per Thyssen il denaro da
dare a Hitler per il suo avvio negli anni ’20, ma dare aiuto e
sostegno al nemico in tempo di guerra è tradimento. La banca di Bush
aiutò i Thyssen a fabbricare l’acciaio che uccideva i soldati
alleati. Per quanto possa sembrare negativo aver finanziato la
macchina bellica nazista, aver aiutato ed assistito l’Olocausto era
peggiore. Le miniere di carbone di Thyssen utilizzavano schiavi ebrei
come se fossero materiali usa e getta. Vi sono sei milioni di
scheletri nell’armadio della famiglia Thyssen, ed una miriade di
domande criminali e storiche cui deve essere data risposta sulla
complicità della famiglia Bush ***.
Fonte: http://freebooter.da.ru/; inviato da fr_abbe
Quando il fratellastro di Osama faceva affari con la famiglia Bush
by Radice Giancarlo
IL RETROSCENA
Quando il fratellastro di Bin Laden faceva affari con la famiglia Bush. In spagnolo, la seconda lingua del Texas, si dice «arbusto», in inglese si traduce «bush». Ed è proprio formando la compagnia petrolifera Arbusto Energy che il giova ne George W. Bush, attuale presidente degli Stati Uniti, fa il suo debutto ufficiale nel mondo degli affari. E’ il 1978. Sono passati tre anni da quando ha terminato gli studi alla Harvard Business School. Fra i compagni d’ avventura imprenditoriale c’ è anche James Bath, suo vicino di casa, compagno di Air National Guard e amico intimo. Ma soprattutto Bath è un collaboratore di lungo corso della Cia e uomo di fiducia in America della famiglia reale saudita. Nella Arbusto Energy, non a caso, inv estono direttamente due fedelissimi della corona di Riad. I loro nomi: lo sceicco Salem Bin Laden, fratellastro di quell’ Osama Bin Laden che sarebbe diventato più tardi il principe nero del terrorismo islamico, e Khaled Bin Mahfuz, uomo chiave dello scandalo Bcci e oggi ritenuto uno degli alleati chiave di Osama. Ma quella fra i Bush e i Bin Laden è una saga che in realtà comincia a prendere forma molto prima. In Texas lo sceicco Muhammad Bin Laden, il patriarca, inizia a fare affari fin dai ‘ 60. E nel 1968 muore in un misterioso incidente aereo. Poi il testimone passa al figlio Salem. Arriva in Texas nel 1973, costituisce ad Austin la compagnia aerea Bin Laden Aviation ed entra presto nei circoli che contano, fra alta finanza e politica locale. L’ obiettivo è di stringere i legami necessari per arrivare a influenzare la politica Usa a favore degli interessi sauditi. La chiave d’ accesso è George Bush, padre dell’ attuale presidente, uomo collegato alla Cia fin dai tempi della Baia d ei Porci nel ‘ 61, poi nominato a capo della Cia nel ‘ 76, salito alla Casa Bianca nell’ 81 come vice di Ronald Reagan e infine, presidente degli Stati Uniti dall’ 88 al ‘ 92. Così, fin dai primi anni ‘ 70, le storie e gli interessi delle due famigli e s’ intrecciano a più riprese. Non solo negli affari comuni in campo petrolifero e finanziario, ma soprattutto nelle vicende che hanno scandito la politica Usa e internazionale. Un esempio su tutti: l’ affaire Bcci, il più grande scandalo criminal-f inanziario del secolo, un magma di connivenze che è servito a coprire le operazioni in Iran e nell’ Iraq di Saddam Hussein, nel Nicaragua diviso fra Sandinisti e Contras come nell’ Afghanistan dei mujaheddin. Ed è servito ad alimentare il riciclaggio di uno spaventoso flusso di denaro proveniente da traffico di droga e armi. Un ruolo fondamentale nella liaison Bush-Bin Laden lo svolge proprio James Bath. All’ epoca della Arbusto i suoi affari gravitano attorno a una serie di piccole compagnie ae ree (ottime clienti della Air America, che si scopre poi essere una società di copertura della Cia). Ma Bath è anche molto altro: informatore della Cia, intermediario nella Bcci, uomo di fiducia in America di Bin Laden, Mahfuz e, in definitiva, della Corona saudita. E’ lui uno dei grandi finanziatori di quella Arbusto che più tardi, nell’ 82, George W. Bush trasforma in Bush Exploration Oil, poi fonde con altre compagnie e infine trasforma in Harken Energy, in una continua girandola di nuovi fin anziamenti provenienti da paesi arabi come da personaggi del giro Bcci o fedelissimi di casa Bush come James Baker (ex segretario di Stato Usa). A George W. Bush le attività industriali fruttano molto denaro, ruoli di primo piano nei consigli d’ ammi nistrazione e ricchi contratti di consulenza, anche se le attività, in realtà, vanno malissimo (per due volte la società arriva alle soglie del fallimento, ma viene sempre salvata dal consueto circolo di finanziatori). E fioccano le super-commesse. Come quella dell’ 89, quando il governo del Bahrein straccia improvvisamente un contratto con la Amoco e incarica la Harken di un mega-progetto di estrazione petrolifera off shore, ben sapendo che la Harken fino a quel momento non ha realizzato altro che qualche piccola estrazione di greggio di Oklahoma e Louisiana (mai in mare) e si trova in condizioni finanziarie disperate. Solo un anno prima, nell’ 88, muore Salem Bin Laden. Anche lui in Texas. Anche lui precipitando in aereo in circostanze mi steriose. Ma le «strade parallele» fra i Bush, Bath e le famiglie saudite non si fermano. Attraversano buona parte degli anni ‘ 90, per poi scomparire progressivamente dai rapporti d’ intelligence. In Afghanistan la guerra anti-sovietica è finita da un pezzo. La «pecora nera» della famiglia Bin Laden, Osama, è ormai la mente occulta del terrorismo internazionale. E George W. Bush comincia la sua marcia verso la Casa Bianca.
Giancarlo Radice
Il business degli uomini del presidente
di Manlio Dinucci
Il Manifesto, 4 ottobre 2001
Chi ha detto che l’amministrazione Bush non è democratica? Ci sono rappresentati tutti. Tutti i principali gruppi economici. Qualche favoritismo, a dir la verità, c’è: particolarmente agevolate le industrie belliche e petrolifere. D’altronde è sulla guerra e l’oro nero che la famiglia Bush ha costruito le sue fortune, trafficando anche con la famiglia bin Laden (v. il manifesto del 25-26 settembre e 3 ottobre).
La connection delle armi
La General Dynamics, uno dei maggiori contrattisti del Pentagono (costruisce, tra l’altro, sottomarini nucleari) è ben piazzata. Ha fatto fare a Colin Powell, prima che divenisse segretario di stato dell’amministrazione Bush, un ottimo affare. L’ex capo delle forze armate Usa all’epoca della guerra del Golfo, una volta a riposo era entrato nel consiglio di amministrazione della Gulfstream Aerospace, di cui era divenuto anche azionista. Quando la General Dynamics ha acquistato nel 1999 la Gulfstream Aerospace, il pacchetto azionario di Powell, già cresciuto con la vendita di aerei per executive e generali al Kuwait e all’Arabia Saudita, è fortemente aumentato di valore.
Altro affare Powell lo ha realizzato nel campo multimediale. Entrato nel consiglio di amministrazione di America Online, grazie soprattutto all’influenza politica acquistata come capo delle forze armate, ha visto il valore delle sue azioni crescere di 4 milioni di dollari quando la società si è fusa nel 2000 con il colosso dei media Time Warner. Sarà un caso, ma il figlio di Colin Powell, Michael, era stato l’unico membro della Commissione federale per le telecomunicazioni a sostenere che la fusione doveva essere approvata senza essere sottoposta a esame. Per i suoi meriti, Michael è stato nominato da Bush presidente della suddetta Commissione. Powell senior ha anche qualche altra entrata – nel 2000 ha guadagnato 7,7 milioni di dollari (16 miliardi di lire) per 108 conferenze, pagate ciascuna oltre 71mila dollari (150 milioni lire). A remunerare l’arte oratoria di Powell alcune tra le maggiori multinazionali Usa.
Direttore della Gulfstream Aerospace era l’attuale segretario (ministro) della difesa Donald Rumsfeld, il cui pacchetto azionario di 11 milioni di dollari è lievitato quando la società è stata acquistata dalla General Dynamics. Rumsfeld, già segretario della difesa nell’amministrazione Ford, è stato messo a capo della commissione congressuale incaricata di valutare la minaccia dei missili balistici: ha raccomandato la realizzazione dello «scudo spaziale», alimentando un nuovo colossale business dell’industria bellica. La General Dynamics può contare anche sul vicesegretario di stato Richard Armitage, già membro del consiglio di amministrazione della General Dynamics Electronic Systems, e sul segretario della marina militare, Gordon England, già executive della stessa General Dynamics.
Messa bene è anche la Lockheed Martin, tra i principali contrattisti del Pentagono sia per lo «scudo spaziale» (che ha ricevuto sinora fondi per 140 miliardi di dollari), sia per il caccia F-22 (26 miliardi), che per il caccia Joint Strike (4,3 miliardi, ma siamo sono all’inizio), Il Ceo (Chief executive officer) della Lockheed, Anthony Principi, è divenuto segretario del dipartimento per gli affari dei veterani. Uno dei vicepresidenti della Lockheed, Norman Minetta, è segretario dei trasporti, mentre un altro vicepresidente, Michael Jackson, è vicesegretario dello stesso dipartimento. Si aggiungono a questi Otto Reich, già lobbista della Lockheed e ora assistente segretario per gli affari dell’emisfero occidentale al dipartimento di stato, e David Aufhauser, già avvocato della Lockheed e ora consigliere generale del dipartimento del tesoro.
Altre industrie belliche sono ben rappresentate. Segretario dell’aeronautica è James Roche, già executive della Northrup Grumman, società contrattista dei caccia F-22, Joint Striker e F/A-18E/F (finanziato finora con 19 miliardi di dollari). Al posto di sottosegretario della difesa per l’acquisizione, la tecnologia e la logistica, c’è Pete Aldridge, già Ceo della Aerospace Corporation, anch’essa contrattista dello «scudo». Maureen Patricia Cragin, già lobbista della Raytheon (altra contrattista dello «scudo«), è divenuta assistente segretaria del dipartimento per gli affari dei veterani, mentre Leo Mackay, già presidente di una divisione della Bell Helicopters, è divenuto vicesegretario.
La connection del petrolio
Altrettanto ben rappresentate nell’amministrazione Bush sono le compagnie petrolifere. Dick Cheney – già Ceo della Halliburton, la maggiori fornitrice mondiale di servizi per le industrie petrolifere – ricopre la carica di vicepresidente. Capo dello staff del vicepresidente è Lewis Libby, che ha interessi nella Texaco e ExxonMobil. Condoleezza Rice, già membro del Cda ella Chevron (hanno dato il suo nome a una petroliera), occupa l’influente posto di consigliere per la sicurezza nazionale. Donald Evans, che è stato presidente della società petrolifera Tom Brown Inc., è segretario al commercio. Kathleen Cooper, già economista capo alla Exxon, è sottosegretaria per gli affari economici al dipartimento di stato. Gale Norton, già avvocata della Delta Petroleum e rappresentante di una coalizione repubblicana finanziata da BpAmoco e Ford, è segretaria del dipartimento degli interni. Vicesegretario è Steven Griles, già lobbista di varie compagnie petrolifere.
La protezione dell’ambiente è assicurata da Christine Whitman – amministratrice dell’Agenzia per la protezione ambientale – che ha fatto notevoli’ investimenti nei pozzi petroliferi della Texas Oil e in altre industrie petrolifere, e da Spencer Abraham, segretario del dipartimento dell’energia, beneficario di grosse donazioni delle compagnie petrolifere alla sua (fallita) campagna elettorale per il senato. La giustizia è amministrata dal procuratore generale John Ashcroft, che ha ricevuto ingenti donazioni da compagnie petrolifere e automobilistiche.
Altri importanti consiglieri del presidente sono Karl Rove, principale stratega politico, che ha fatto grossi investimenti nella BpAmoco e nella Royal-Dutch-Shell; Nicholas Calio, direttore della Casa bianca per gli affari legislativi, già lobbista di compagnie petrolifere e automobilistiche; Gay Johnson, direttore del personale presidenziale, che possiede un grosso pacchetto azionario nella El Paso Energy.
Questi e altri – tra cui la segretaria all’agricoltura Ann Veneman, già membro della Calgene (società biotecnologica acquistata dalla Monsanto) e di un gruppo politico finanziato dalla stessa Monsanto – sono gli uomini e le donne del presidente. Sono loro, e soprattutto chi è dietro di loro, a consigliare e orientare Bush nella «guerra contro il terrorismo», nella «crociata» che parte tra le lacrime di chi piange le vittime degli attentati e la tacita soddisfazione di chi pregusta altri colossali profitti ricavati dalle armi e dal petrolio.
06/02/2003
LE RAGIONI DELLA GUERRA
http://www.salaambaghdad.org/news.asp?id_news=88
Dossier sintetico CONTESTO “Nuove ricerche suggeriscono che la produzione globale di petrolio raggiungerà il picco fra il 2010 e il 2020 (secondo alcuni addirittura prima del 2010). In altre parole, in quell’arco di tempo metà delle riserve stimate disponibili del pianeta sarà consumata. Una volta raggiunto il picco, i prezzi del petrolio cominceranno a crescere inarrestabilmente, mentre nazioni, aziende e consumatori faranno a gara per procurarsi la rimanente metà delle riserve.[.]. Gli Stati Uniti, per molto tempo leader della produzione di petrolio, hanno sperimentato in questo settore un costante declino a partire dal 1970, anno in cui l’estrazione petrolifera americana ha raggiunto il picco. Da quel momento è iniziata la loro sempre maggiore dipendenza dalle importazioni. Oggi, gli Stati Uniti rimangono il principale consumatore di greggio: la popolazione americana, che costituisce soltanto il 5% di quella mondiale, consuma il 26% del petrolio prodotto ogni anno nel mondo.” JEREMY RIFKIN, presidente della Foundation on Economic Trends di Washington PRESUPPOSTI “In un momento in cui la produzione petrolifera interna degli Stati Uniti conosce un calo a lungo termine mentre la domanda cresce di giorno in giorno, gli Stati Uniti dipendono sempre più dai maggiori produttori stranieri come l’Iraq e l’Arabia Saudita. Tuttavia non è l’attuale flusso di petrolio iracheno che preoccupa Washington, bensì le prospettive a lungo termine. Secondo recenti calcoli del dipartimento dell’energia, nel 2020 gli Stati Uniti avranno bisogno di importare 17 milioni di barili di petrolio al giorno, sei milioni in più rispetto ad oggi. La maggior parte dovrà venire dal Golfo Persico, perché solo quest’area possiede sufficienti riserve per aumentare sostanzialmente la produzione. L’Iraq è l’unico stato oltre all’ Arabia Saudita che nei prossimi dieci o venti anno possa aumentare la produzione di milioni di barili al giorno.” MICHAEL T. KLARE, Salon, USA RAPPORTI UFFICIALI “Un rapporto dell’inizio del 2001, predisposto congiuntamente dal potente Council on Foreign Relations e dal James A.Baker Institute for Public Policy, metteva in luce il fatto che gli USA stanno per finire il petrolio, prospettando anche l’eventuale ” necessità dell’intervento militare” per garantire approvvigionamenti petroliferi. Intitolato “Strategic Energy Policy Challanges for the 21st Century”, il rapporto congiunto paventa la fine del greggio abbondante e a basso prezzo. Il Council on Foreign Relations è uno dei gruppi più potenti tra quelli che influenzano la politica americana. Affermando che “non c’è alternativa. E non c’è tempo da perdere”, il loro documento prospetta in futuro l’esplosione dei prezzi dell ‘energia, la recessione economica e scontri sociali negli USA, a meno che non si trovino risposte. L’accesso al petrolio viene citato ripetutamente come un “imperativo per la sicurezza”. Uno dei “passi immediati” che il Rapporto chiede è di verificare se si possa modificare la politica USA in modo da velocizzare la disponibilità di “petrolio nella regione del bacino del Caspio”. Questo confermerebbe vecchie accuse secondo le quali le questioni energetiche farebbero ombra all’agenda americana sull’ Afghanistan.” RITT GOLDSTEIN “Gli strateghi americani vogliono inoltre garantirsi l’accesso alle ingenti riserve petrolifere irachene, e impedire che finiscano sotto il controllo esclusivo delle compagnie petrolifere russe, cinesi o europee. La priorità dell’amministrazione, cioè l’acquisizione di nuove riserve di petrolio in territorio straniero, è stata esplicitata per la prima volta in un rapporto del National Energy Policy Developmant Group, pubblicato il 17 maggio 2001 (prima dell’ 11 settembre n.d.r.) Questo documento, redatto dal vicepresidente Richard Cheney mette a punto una strategia destinata a far fronte al previsto aumento dei consumi petroliferi americani nel prossimo venticinquennio. Secondo il rapporto CHENEY, il greggio importato, che nel 2001 rappresentava il 52% del fabbisogno complessivo, dovrebbe arrivare nel 2020 al 66%. Ma dato che è previsto anche un aumento del consumo totale, nel 2020 gli Stati Uniti dovranno importare il 60% di petrolio in più.[.]. PRIMO OBBIETTIVO: aumentare le importazioni dai paesi del Golfo Persico, dove si trovano circa i due terzi delle riserve energetiche mondiali.[.]. Il progetto USA di garantirsi l’accesso alle riserve petrolifere di region i cronicamente instabili può essere realistico soltanto a condizione di possedere la capacità di “proiettare” in queste aree la propria potenza miliare.” Michael Klare, Università di Hampshire, Massachusetts INTERESSI PRIVATI “Con l’amministrazione Bush i giganti del petrolio americani hanno conquistato un accesso diretto alla pianificazione di operazioni militari e di intelligence, che possono influenzare a proprio vantaggio. E’ un successo della potente lobby petrolifera texana, che è riuscita a far nominare alcuni alti (ex) dirigenti di compagnie petrolifere in posizioni chiave alla Difesa e agli Esteri. La famiglia del presidente GEORGE W. BUSH ha gestito compagnie petrolifere fin dal 1950 (vi ricordate il mitico tormentone DALLAS, che tanto inchiodò gli italiani ai televisori ? Erano loro…. n.d.r.). Il vicepresidente DICK CHENEY ha trascorso la seconda metà degli anni Novanta come chief executive offier della Halliburton, la maggiore fornitrice di servizi per le industrie petrolifere. CONDOLEEZZA RICE, consigliere per la Sicurezza nazionale, ha fatto parte del consiglio di amministrazione della Chevron, che ha battezzato con il suo nome una petroliera. Il segretario del commercio Donald Evans è stato per più di dieci anni chief executive offier della Tom Brown Inc., una compagnia che possiede giacimenti di gas naturale in Texas, Colorado e Wyoming. Ma i legami non si esauriscono a livelo personale. La famiglia Bin Laden e altri membri della ricchissima élite saudita (che deve il proprio patrimonio al petrolio) hanno partecipato a numerose imprese d’affari della famiglia Bush, proprio mentre l’industria energetica americana contribuiva all’elezione di Bush. Dei 10 principali finanziatori di sempre di Gerge W. 6 provengono dal settore petrolifero o hanno legami con esso.” Michel Chossudovski, Università di Ottawa CONTRO LE GUERRE PER IL PETROLIO LASCIAMO A CASA LE AUTOMOBILI Sintesi a cura del Gruppo di Azione Nonviolenta di Reggio Emilia Fonte: Rete di Lilliput – GLT Nonviolenza http://www.retelilliput.org (notizia inserita da Rambaldo degli Azzoni).
Petrolio e gas nel Mar Caspio
Implicazioni economiche e politiche
Washington, DC. 5 maggio 1999
Prefazione
Il 5 di maggio del 1999 International Research & Exchanges Board (IREX) ha riunito un forum di politica al Dipartimento di Stato degli Stati Uniti per discutere le implicazioni economiche e politiche che il petrolio ed il gas nella regione del Mar Caspio hanno per la regione, i relativi vicini e la politica degli Stati Uniti.
Il pubblico era composto da una vasta gamma di persone appartenenti alla comunità politica di Washington. Compresi funzionari del Dipartimento di Stato ed altri enti governativi, diplomatici delle ambasciate straniere e membri del personale dal congresso degli Stati Uniti, organizzazioni non governative, fondazioni private e centri di ricerca.
Fondato grazie ad una concessione dal programma Title VIII del Dipartimento di Stato degli Stati Uniti, il forum ha esaminato le divergenti strategie che i paesi nella regione hanno adottato nello sviluppo delle loro riserve di gas e di petrolio. Ha analizzato l’effetto che tali strategie e la partecipazione internazionale hanno sui rapporti politici ed economici nella zona. La discussione si è incentrata su come modificare la politica internazionale per aiutare i paesi della regione del Mar Caspio a migliorare la loro infrastruttura fisica, portare le loro risorse sul mercato e mantenere la stabilità politica.
Le opinioni qui ricapitolate non necessariamente riflettono quelle di IREX o del Dipartimento di Stato.
Punti culminanti di discussione e raccomandazioni
Lo sviluppo delle riserve di energia principali non utilizzate della regione del Mar Caspio è diventato una delle aree di investimento più attraenti per le aziende internazionali di gas e petrolio. La produzione potenziale di energia della zona è stata paragonata a quello dei principali giacimenti di petrolio del mondo, compreso quelli del Medio Oriente ed della Russia. Alcuni affermano, tuttavia, che le risorse energetiche della regione del Mar Caspio sono modeste, almeno al confronto con quelle della regione del golfo persico. Parecchie ditte importanti sono stato implicate nei progetti di produzione del gas e del petrolio nell’Azerbaijan, Kazakhstan, Turkmenistan ed Uzbekistan. Questi paesi sperano che il reddito dalla vendita delle risorse energetiche costituisca un fondo per il loro sviluppo economico. Ma ostacoli politici e tecnici ostacolano lo sfruttamento dei giacimenti di idrocarburi della regione.
Gli stati e le società della regione sono cambiati drammaticamente dalla disgregazione del sistema sovietico. Questi
Stati affrontano numerose difficoltà economiche e sociali. Per la prima volta da decenni le aziende e le ditte occidentali stanno trovando opportunità in campo energetico e nel commercio. Le percezioni russe del comportamento occidentale e il comportamento russo stesso hanno suggerito che “il grande gioco” si sta ancora giocando.
Le condizioni della regione e le dinamiche del ruolo del petrolio e del gas nel Mare Caspio conducono a parecchie conclusioni e raccomandazioni per la politica degli Stati Uniti. I partecipanti alla tribuna non hanno trovato un consenso completo su questi punti, ma queste raccomandazioni riflettono un vasto accordo.
Il petrolio della regione del Mar Caspio non è un interesse strategico importante degli Stati Uniti. La regione ha circa 30 miliardi di barili di riserva, ma questa cifra è modesta confrontata al Medio Oriente. La regione è significativa per gli interessi strategici degli Stati Uniti per altri aspetti. Il conflitto etnico rappresenta una sfida importante alla stabilità politica della regione ed è chiaramente negli interessi della politica degli Stati Uniti lavorare per evitare ulteriori dispute etniche. La strategia del governo degli Stati Uniti nella regione è vitale, ampiamente compresa e generalmente apprezzata, sebbene non tutti i paesi della regione la sostengano. Questa strategia si concentra sulla rete di condutture e di collegamenti che facilita l’istituzione dei corridoi est-ovest di transito per energia. Questi corridoi contribuirebbero a ridurre il conflitto etnico potenziale, che può condurre al conflitto politico aperto e quindi diminuiscono la probabilità che le condutture vengano interrotte da attività terroristiche che provengono dalle rimostranze dei gruppi etnici.
Gli Stati Uniti dovrebbero dare risalto a rinforzare il processo di democraticizzazione, la costruzione della società civile, fornendo sussidi umanitari e migliorando le condizioni di vita all’interno della regione. Dovrebbero fare pressione sui governi che difettano della volontà politica per la democrazia e le riforme. Questa enfasi contribuirà a promuovere la stabilità a lungo termine e a facilitare l’integrazione e la cooperazione fra gli stati della regione.
L’aiuto economico dovrebbe dare risalto alla creazione di nuove infrastrutture. Queste infrastrutture devono essere decentralizzate con collegamenti multipli che vanno in parecchie direzioni.
Meno assistenza tecnica dovrebbe andare ai governi della regione e una maggiore importanza dovrebbe essere data ai diritti dell’uomo e all’aiuto umanitario. Ciò aumenterà la percezione che gli Stati Uniti agiscono soprattutto negli interessi della gente della regione e non solo negli interessi dei governi.
Il Kazakhstan e la politica del governo sul trasporto
Cinque paesi circondano il Mar Caspio. La Russia sta a nord e l’Iran a sud. Kazakhstan e Turkmenistan sono sul litorale orientale e Azerbaijan su quello occidentale. Armenia, Georgia, Uzbekistan, Tajikistan e Kyrgyzstan sono direttamente influenzati dagli eventi in questi stati della regione del Mar Caspio.
L’Uzbekistan gioca un ruolo nella regione sebbene non sia direttaemente sul Mar Caspio. Tajikistan e Kyrgyzstan contano sull’energia proveniente dall’Uzbekistan. Se e come Uzbekistan fornisca questa energia dipende fortemente dalle politiche di Kazakhstan e di Turkmenistan.
L’infrastruttura fisica in Asia centrale è sviluppata troppo male per sostenere la cooperazione fra gli stati intorno al Mare Caspio. È un’eredità del periodo sovietico che collegava tutto a Mosca. Questa infrastruttura è servita agli scopi per cui è stata creata, ma non è adatta per la coordinazione della politica tra gli stati nelle circostanze attuali. Di conseguenza, per ridurre il potenziale per il conflitto etnico e per escludere la possibilità che i collegamenti delle condutture possono interrompersi per colpa dell’attività terroristica deve essere data grande importanza alla creazione di nuova infrastruttura.
Il governo degli Stati Uniti sostiene la creazione d’una rete di condutture multiple che faciliterebbe l’istituzione di un corridoio est-ovest di transito di energia. Gregory Gleason ha sostenuto che questa è una politica saggia perché è capita ed apprezzata nella regione. Tuttavia, non tutti i paesi la sostengono completamente.
Gleason afferma che, al contrario alle percezioni popolari, la regione non ha importanza strategica o economica grande per gli Stati Uniti. Ha circa 30 miliardi di barili di riserva, ma le cinque principali riserve del Medio Oriente – Arabia Saudita, Iran, Iraq, Kuwait e gli Emirati Arabi Uniti – hanno più di 600 miliardi di barili di riserve di petrolio.
Kazakhstan, Turkmenistan e l’ Azerbaijan producono insieme circa 800.000 barili di petrolio al giorno; dei quali più di 500.000 sono prodotti dal Kazakhstan da solo. Nel migliore dei casi si prevede che la regione del Mar Caspio possa esportare tre o quattro milioni di barili al giorno entro l’anno 2010. L’Arabia Saudita da sola produce 7,4 milioni di barili di petrolio al giorno.
Come questi numeri suggeriscono, gli stati non possono guidare il mercato da soli e non avranno un’influenza decisiva sul prezzo del petrolio. Inoltre, la regione è carica di divisioni e aperta a disaccordi politici. Ciò a differenza di altre regioni petrolifere, specialmente gli stati del Golfo, il Mare del Nord e perfino la Nigeria. Una complicazione supplementare è il problema complesso del trasporto del petrolio dai paesi bloccati dell’Asia centrale e della regione del Mar Caspio.
Detto ciò, non sorprende che le ditte petrolifere occidentali non sono ottimiste come si pensava. Mentre le ditte hanno una presenza visibile ed entusiastica, sono motivate più dal convincimento che devono sedere al tavolo delle trattative che dall’aspettativa del profitto.
I conflitti etnici rendono importante osservare la regione nel contesto di più grandi associazioni strategiche. La situazione dei Curdi in Turchia, del Azeri nell’Iran e del turchi nell’Iran del Nord, con l’agitazione civile in Tajikistan, forma un mosaico di conflitti territoriali etnici che non sono facili da acquietare applicando il principio di autodeterminazione.
Con questa analisi in mente, il mondo occidentale dovrebbe concentrarsi su tre zone cruciali negli sforzi per risolvere i problemi della regione.
In primo luogo, la comunità produttrice dovrebbe coordinare il relativo lavoro per creare un fondamento per gli investimenti. Ciò significherebbe fornire i prestiti per l’infrastruttura fisica. Ciò non sarebbe rappresentrata solo dalle condutture, ma anche da strade e telecomunicazioni. Questa infrastruttura fisica collegherebbe i paesi della regione e ridurrebbe la probabilità di conflitti in seguito alla rottura delle vie di trasporto e delle condutture.
In secondo luogo, gli sforzi del mondo esterno di migliorare le condizioni all’interno di questi paesi ridurrebbe il potenziale per i conflitti. Uno delle dinamiche più importanti delle nuove identità nazionali è una tendenza a ricorrere alle politiche che creano miglioramenti a scapito dei paesi limitrofi. Questa tendenza è troppo evidente in tutta l’Asia centrale.
In terzo luogo, maggiore assistenza tecnica dovrebbe essere data direttamente alla gente della regione e meno dovrebbe andare ai governi. In più, dovrebbe essere offerto aiuto umanitario ed una maggior importanza deve essere data ai diritti dell’uomo. Questi aggiustamenti nell’assistenza ridurranno la percezione che gli Stati Uniti sostengono gli interessi dei governi più di quelli della gente. Con l’Azerbaijan in mente, Jayhun Mollazade ha sostenuto che la costruzione dello stato dovrebbe essere un obiettivo per la politica degli Stati Uniti nella regione. Ma gli Stati Uniti non dovrebbero costruire regimi corrotti e autoritari ed gli sforzi dovrebbero essere indirizzati allo sviluppo delle società civili.
Cambiare la Dinamica del petrolio e del gas nel Mare Caspio.
Secondo Julia Nanay i collegamenti multipli sono critici per la regione. La nozione di condutture multiple e di una diversa infrastruttura è stata sostenuta dall’industria petrolifera. L’obiettivo del governo degli Stati Uniti è stato l’itinerario est-ovest piuttosto che rendere gli itinerari vari. Esiste, infatti, una sola conduttura per petrolio e gas che corre da est a ovest. Gli interessi commerciali sono stati meno entusiasti del governo degli Stati Uniti perché sono interessati soprattutto a fare in modo che le risorse possano essere spostate al minor costo possibile.
L’industria petrolifera ha spostato il suo punto di vista sull’investimento nella regione dopo il crollo dell’Unione Sovietica. Subito dopo il crollo, l’industria è andata velocemente in Russia ed ha avuto grandi speranze per la Siberia occidentale.
Ciò non era perché la Russia era un bel posto dove operare. Piuttosto, aveva le grandi riserve di cui hanno bisogno le aziende per svilupparsi. Inoltre, come nota Mollazade, c’era in origine grande pessimismo sulla regione del Mar Caspio.
Ciò nonostante, divenne evidente che i profitti disponibili dalla Russia erano meno di quelli previsti e l’industria presto ha cominciato a spostarsi ulteriore a sud. In primo luogo è entrato in Kazakhstan, il più grande produttore e il paese più importante nella regione per gli interessi commerciali degli Stati Uniti. Il primo contratto principale era l’impresa unita di Tengis-Chevroil con la Chevron, firmato in 1993. È il più grande progetto con un socio straniero in Unione Sovietica.
Dal Kazakhstan, le aziende si sono avventurate in Azerbaijan. Il secondo più grande progetto di sviluppo in Unione Sovietica è la Azeri International Oil Company (AIOC), che è sotto il controllo degli interessi britannici. Le aziende allora sono andate nel Turkmenistan, dove il gas è più abbondante del petrolio.
Il crollo del prezzo del petrolio nel 1998 ha segnalato all’industria che non ci si aspettava che i prezzi sarebbero saliti. È diventato evidente che, al contrario, l’industria potrebbe aspettarsi bassi prezzi, più vicino a 10 dollari al barile che a 20.
Di conseguenza, l’industria ha cominciato a spostarsi ulteriormente a sud, dalla regione del Mar Caspio. Le notizie di una apertura potenziale in Arabia Saudita hanno creato euforia ed ora è diventato evidente che l’industria petrolifera sta guardando al Medio Oriente.
Il gran parlare della stampa per la regione del Mar Caspio ha portato a fare confronti con il Medio Oriente. Ma è importante non ignorare l’importanza strategica più grande che il Golfo Persico ha per gli Stati Uniti. Il problema critico nella regione del Mar Caspio è che i Russi possono, se vogliono, interrompere tutte le vie di esportazione attualmente disponibili. Ogni paese ha fatto progressi nel portare petrolio e gas al mercato bloccato dalla Russia. Ora i paesi della regione del Mar Caspio vedono che l’unica opzione non gestita dalla Russia è passare attraverso l’Iran.
Ma gli Stati Uniti hanno insistito che l’Iran deve essere isolato. Gli Stati Uniti hanno inoltre insistito affinchè nessuna conduttura e nessuno scambio siano fatti tramite quell’itinerario. Ciò essenzialmente ha bloccato i paesi della regione ed ha evitato che gli interessi commerciali possano esercitare un’opzione che potrebbe sfalsare la stretta russa su tutti le altre vie d’esportazione.
Rimane da vedere se le aziende riescono a costruire una via di esportazione importante. Una conduttura che collega il campo di Tengis in Kazakhstan al porto russo del Mar Nero di Novorossisk è stata un progetto chiave per la Chevron per cinque anni. La Chevron può aver preso in considerazione gli itinerari est-ovest, ma l’itinerario di Novorossisk è la principale promessa commerciale. Di conseguenza, la Chevron ha continuato a perseguire l’opzione controllata dalla Russia.
Gli sforzi per costruire una conduttura possono anche essere impediti dall’alleanza che cresce fra la Russia e l’Iran. La Russia sta provando a convincere gli Iraniani per permetterle di avere un posto nei progetti infrastrutturali . Ciò potrebbe dare alla Russia il potere di ostruire il flusso di olio al sud e può fare ritenere alla Russia che non deve facilitare un importante progetto di esportazione dal Kazakhstan.
Una dei problemi che l’industria petrolifera affronta oggi è la sovrapproduzione e molte aziende russe hanno preso in prestito i soldi contro le loro esportazioni future. Di conseguenza, devono produrre tanto petrolio quanto possono semplicemente per pagare i loro debiti. Gazprom, per esempio, ha venduto una quantità significativa di gas che ancora non ha prodotto per potere raccogliere liquidi. Anche questo può rendere l’esportazione di petrolio e di gas dall’ Asia centrale contraria agli interessi russi.
Gli Stati Uniti stanno tentando di costruire una conduttura per trasportare il gas del Turkmenistan sotto il Mare Caspio. Attraverserebbe l’Azerbaijan e la Georgia fino alla Turchia. Ma il Turkmenistan confina con l’Afganistan e l’Iran e deve avere a che fare con entrambi questi paesi. Infatti, i collegamenti con l’Iran stanno crescendo. Dal febbraio del 1998, il Turkmenistan è stato l’unico paese con un itinerario di esportazione per gas che attraversa l’Iran. C’è anche un piccolo oleodotto che va dal Turkmenistan in Iran. E l’Iran del nordest, un grande consumatore sia di petrolio che di gas, è un obiettivo per gli sforzi di commercializzazione del Turkmenistan.
Il progetto della conduttura della regione del Caspio affronta anche i problemi relativi allo stato giuridico del Mar Caspio. Inoltre, il futuro politico dell’Azerbaijan, dopo il presidente Heydar Aliev, è incerto ed il percorso attraverso la Georgia ha i suoi dilemmi politici. Questi problemi e quelli descritti precedentemente rendono improbabile che qualcuno finanzi questa conduttura. Secondo Nanay, le pressioni dalla Russia e dagli Stati Uniti per avere condutture nella regione del Mar Caspio che servono i loro interessi hanno aumentato i conflitti e intensificato le tensioni. Senza quelle pressioni, il potenziale per la risoluzione del conflitto sarebbe maggiore e la probabilità che la regione diventi più pacifica aumenterebbe.
L’Azerbaijan, il petrolio, il gas e la politica delle condutture
Dopo sette anni di indipendenza, i paesi della regione del Mar Caspio e gli altri stati da poco indipendenti stanno formando nuovi blocchi e cominciando a cooperare tra loro, nonostante le limitazioni che affrontano a causa delle infrastrutture poco sviluppate e con centro a Mosca. L’ Azerbaijan ha formato un blocco con la Georgia, l’Ucraina e la Moldova ed ha stabilito stretti rapporti con la Turchia. Poiché sia la Russia che l’Iran hanno dato il loro supporto alla ostile Armenia, la Turchia sembra, per contro, essere un alleato dell’Azerbaijan.
L’elite politica dell’Azerbaijan favorisce fortemente la condotta di Baku-Jayhan. Questa conduttura collega Bacu, attraverso la Georgia, con la città porto mediterranea di Jayhan in Turchia. Sia il governo dell’Azerbaijan che i gruppi principali di opposizione la sostengono senza badare alla sua validità commerciale. Secondo Mollazade la conduttura attualmente esistente attraverso la Russia ha attratto l’interesse, ma la guerra in Cecenia e il meddling russo rende necessaria un’alternativa. Rimane da vedere se la conduttura attuale sarà vulnerabile o efficace. Il governo della Turchia ha indicato recentemente che gli appaltatori turchi potrebbero costruire una nuova conduttura per 2,4 miliardi di dollari. Se il costo aumenta, la Turchia pagherà la differenza.
Infatti, l’ Azerbaijan ha un interesse nella conduttura di Baku-Jayhan in parte perché la Turchia ha fornito l’assistenza tecnica all’esercito dell’Azerbaijan, mandando gli ufficiali turchi per costruirla. Nel 1992-1993, 500 ufficiali dell’Azerbaijani si sono laureati nelle accademie militari turche. Questi ufficiali ora stanno addestrando altri nelle scuole militari dell’Azerbaijan. I legami fra i due paesi continueranno ad essere vicini perché l’Azerbaijan promuove legami forti con la NATO e l’integrazione nella Comunità Euro-Atlantica.
I legami fra l’Iran e l’Azerbaijan non sono stati buoni. L’elite politica dell’Azerbaijani non si fida dell’Iran e l’ Iran vede l’Azerbaijan come un innesco potenziale per il separatismo degli Azeris nell’Iran del Nord. L’Iran solleva costantemente il problema dei legami dell’Azerbaijani con gli Stati Uniti e Israele, facendo pressione sull’Azerbaijan per chiudere l’ambasciata israeliana a Bacu. La risposta dell’Azerbaijan a ciò è stata che nè gli Stati Uniti nè Israele hanno occupato i territori iraniani, mentre l’Armenia, con cui l’Iran ha stretti rapporti, ha occupato il territorio dell’Azerbaijan.
Recentemente, funzionari iraniani hanno rilasciato dichiarazioni che negano la legittimità degli accordi che l’Azerbaijan ha firmato con Exxon e Mobil. Secondo Mollazade, queste aziende hanno ignorato il consiglio politico che gli è stato dato. Stanno lavorando e facendo esperienza nella regione del Mar Caspio. Di conseguenza, il petrolio ora va verso la Russia. Ci sono state alcune rotture nelle condutture, ma né la Russia né la Cecenia ne hanno beneficiato.
Contrariamente a Gleason, Mollazade ha sostenuto che gli Stati Uniti hanno un interesse strategico nella regione del Mar Caspio. Ciò non solo a causa del petrolio; ci sono miliardi di dollari di investimenti per le aziende degli Stati Uniti in gioco. Il petrolio della regione non può essere abbastanza abbondante da interessare la politica mondiale del petrolio, ma i guadagni dal petrolio avvantaggiano questi paesi e li aiutano a soddisfare i loro bisogni di energia.
I pericoli per la regione del Mar Caspio includono gli scontri e le guerre etniche, ma la polvere sta depositandosi. Gli armeni hanno preso tutto ciò che hanno potuto nel loro conflitto con l’Azerbaijan, compreso Nagorno-Karabakh ed altri sette distretti. La possibilità di ulteriore conflitto fra l’Armenia e l’Azerbaijan non può essere esclusa. Tuttavia, è improbabile che l’ Azerbaijan possa riprendere i territori che ha ceduto. È anche possibile che la Russia possa tentare di destabilizzare la Georgia e l’Azerbaijan. Ma la Russia sta diventando sempre più debole e meno in grado di interferire negli affari interni dei paesi del Mar Caspio. In più la struttura militare, di sicurezza e statale dell’Azerbaijan è cambiata dal 1992-1993 in modo che ora può fermare una aggressione.
La cooperazione fra gli Stati Uniti, la NATO e questi paesi è cruciale. Dovrebbe essere sia bilaterale che multilaterale.
Le elite politiche degli stati dell’Asia Centrale non hanno la volontà politica per fare riforme e per costruire la democrazia.
Mollazade ha sostenuto che gli Stati Uniti dovrebbero fare pressione sui governanti per cambiare. I paesi come l’Azerbaijan e la Georgia a volte mostrano volontà politiche di riforma, ma, come i paesi dell’Asia centrale, queste sono società tradizionali in cui ogni riforma affronta ostacoli significativi. La Georgia sta facendo progressi sia perché è un membro del Consiglio d’Europa sia perché ha accolto favorevolmente il governo degli Stati Uniti e le organizzazioni internazionali.
Finché Aliev rimane al potere, non ci sarà democrazia nell’Azerbaijan. Il paese potrebbe essere destabilizzato se Aliev porta suo figlio al potere. Suo figlio è estremamente impopolare e implicato in numerosi scandali. Malgrado il pericolo, questo sembra essere l’intenzione di Aliev. Inoltre, vi sono voci che possano essere fatti dei tentativi per portarlo al potere con brogli elettorali o altri mezzi illegali.
Quando Aliev abbandonerà la scena, l’ Azerbaijan sarà ad un bivio. Potrebbe seguire il percorso sempre più autoritario dell’ Asia centrale o il percorso riformista preso dalla Georgia e dagli stati baltici. L’emersione dei seguaci di Aliev o di suo figlio potrebbe essere ancor più pericoloso del regno di Aliev stesso. Aliev ha molta esperienza e sa riconosce i limiti dell’uso della forza per sopprimere l’ opposizione. I suoi soci invece mancano di esperienza e potrebbero usare una forza eccessiva per mantenere il potere.
Moderatore
Daniel C. Matuszewski
Presidente, International Research & Exchanges Board
Partecipanti
Professor Gregory Gleason,
Università de New Mexico.
Julia Nanay
Direttore della Petroleum Finance Company
Jayhun Mollazade,
Presidente del U.S.-Azerbaijan Council
Il forum è stato organizzato da Bahar Jalali e da Stefanie Altman di IREX e da Robin Schulman del Dipartimento di Stato degli Stati Uniti. IREX ringrzia Susan Pelton per aver fornito assistenza a questo evento. Questo rapporto è stato scritto da Bahar Jalali ed è stato stampato da James Voorhees.
IREX è riconoscente del supporto dato dal Dipartimento di Stato degli Stati Uniti con il programma Title VIII
Le opinioni espresse qui necessariamente non riflettono quelle di IREX o delle istituzioni che la sponsorizzano.
Gli interessi occidentali nel Caucaso
Ariel Cohen, il più importante analista della Fondazione Heritage (USA) è stato citato (Rosiiskaya Gazeta, 28/11/99, “I conflitti nel Caucaso minacciano gli interessi Americani)”) per aver detto che il Caucaso è l’incrocio geo-strategico degli interessi di USA, Europa, Russia, Iran e Turchia. Esso giocherà molto presto un ruolo fondamentale nella ricostruzione della “Grande via della seta” che aveva messo in comunicazione l’Asia Centrale, l’Europa e il MedioOriente. Le gigantesche condutture di gas e petrolio potranno trasportare enormi risorse energetiche dal Kazakhstan e dal bacino del Caspio verso i mercati mondiali, ha dichiarato Cohen. Gli interessi USA nel Caucaso si riassumono nel fornire garanzie d’indipendenza e d’integrità territoriale alla Georgia, Armenia and Azerbaijan; attraverso il controllo dell’Iran e di ogni segnale di fondamentalismo Islamico; assicurando l’accesso alle risorse energetiche; e precludendo ogni possibile revival di ambizioni imperialiste della Russia in quella regione.
Secondo Cohen, gli USA dovranno proteggere la sfera dei loro interessi strategici da possibili minacce rafforzando gli Istituti Civili e i Mercati Economici delle tre Repubbliche TransCaucasiche e sviluppando la coalizione di Georgia e Azerbaijan, appoggiata da Turchia e Isralele.
Queste misure sono progettate per garantire alle compagnie energetiche americane la possibilità di costruire condutture di gas e petrolio dirette verso l’occidente attraverso il Mar Nero e il Mediterraneo, invece di quelle proposte a nord (attraverso la Russia) o a sud (attraverso l’Iran). Per garantire i suoi interessi nel Caucaso, gli USA devono fare quanto segue:
– Dare maggior supporto politico al progetto relativo agli oleodotti da Baku (Azerbaijan) a Ceyhan (Turchia). Altrimenti le vie del nord o del sud potrebbero dare alla Russia o all’Iran una possibilità do controllo su una parte considerevolmente grande del mercato energetico. Gli USA devono usare la loro influenza sui governi del Kazakhstan e del Turkmenistan per garantire la costruzione degli oleodotti attraverso il Mar Caspio, sotto forma di un collegamento al progetto Baku-Ceyhan, e aumentare così le opportunità economiche dello stesso.
– Promuovere lo sviluppo di una collaborazione sulla Sicurezza con la Georgia, che è l’alleato più importante degli USA in quella regione, ma non ancora abbastanza forte da proteggere i suoi stessi confini. Questa debolezza stimola i separatisti appoggiati da Mosca. Gli USA devono aiutare la Georgia rafforzando le sue forze armate.
– Sospendere le sanzioni all’ Azerbaijan. Esse sono state introdotte durante il conflitto del Karabakh utilizzando l’articolo 907 del Freedom Support Act del 1992. Nel 1994 le parti in conflitto hanno firmato un accordo di “cessate il fuoco”, ma le sanzioni non sono state sospese, la qual cosa sminuisce il ruolo USA quale intermediario imparziale nella risoluzione del conflitto del Karabakh e blocca eventuali provvedimenti di assistenza al governo dell’ Azerbaijan. Alti funzionari dell’amministrazione Clinton hanno parlato a favore della sospensione delle sanzioni e la relativa commissione della camera dei Deputati ha votato per la sua attuazione per il 10 settembre 1998.
– Far capire a Mosca che il suo continuo supporto ai separatisti del Caucaso meridionale significherebbe la fine degli aiuti Americani. Vista la drammatica situazione economica della Russia, il Cremlino sarà interessato ad ottenere maggiori finanziamenti e assistenza economica dagli USA e dalle organizzazioni finanziarie internazionali, quali il Fondo Monetario Internazionale e la Banca Mondiale. Ma il guaio è che Mosca continua ad appoggiare i separatisti in Abkhazia e gli Armeni in Karabakh nel loro conflitto con Tbilisi e Baku. Washington dovrebbe dichiarare chiaramente che qualsiasi assistenza alla Russia, e aiuto nello spingere gli interessi Russi all’interno degli Istituti Finanziari Internazionali sarà sospeso fino a che la Russia non interromperà i suoi sforzi mirati a destabilizzare la situazione in Caucaso.
– Dare avvio a colloqui con i capi dei vari gruppi etnici del Nord Caucaso. Il Nord Caucaso è una pentola in ebollizione di contraddizioni etniche, vicine al punto di fusione. Gli USA dovrebbero rafforzare le loro informazioni e le loro specifiche possibilità nella regione e avviare colloqui con i capi delle autonomie del Nord Caucaso. Ciò garantirà stabilità, comprensione reciproca e pace.
Zbigniew Bzhezinski, il passato consigliere per la Sicurezza Nazionale del presidente Carter e ora consulente del Centro degli Studi Internazionali e Strategici, ha un capitolo chiamato “Balcani Euroasiatici” nel suo sensazionale libro, La Scacchiera.
In Europa, la parola “Balcani” evoca associazioni con conflitti etnici e con lotte tra grandi poteri. Anche l’Eurasia ha i suoi Balcani, ma i Balcani eurasiatici sono molto più estesi, molto più popolati e con molte più regioni etnicamente diverse. Essi comprendono parte del SudEst Europeo, Asia Centrale e Meridionale, il Golfo e il Medio Oriente. I suoi soggetti politici sono instabili e attirano le interferenze dei paesi confinanti più forti, ognuno dei quali determinato a resistere al predominio degli altri. Bzhezinski indica in special modo le “ambizioni storiche” di tre dei più vicini e potenti paesi confinanti – Russia, Iran e Turchia. Egli crede che anche la Cina stia mostrando un crescente interesse verso quella regione.
Secondo Bzhezinski i Balcani Eurasiatici comprendono nove paesi: Kazakhstan, Kyrgyzstan, Tajikistan, Uzbekistan, Turkmenistan, Azerbaijan, Armenia, Georgia e Afghanistan, con due potenziali candidati che sarebbero Turchia e Iran. Gli ultimi due paesi sono molto più vitali degli altri da un punto di vista politico ed economico, e ambedue stanno attivamente combattendo per imporre un’influenza territoriale sui Balcani Eurasiatici e sono quindi i più importanti attori geo-strategici nella regione.
Secondo Bzhezinski, Azerbaijan è il fulcro di un vasto territorio. Può essere chiamato il”tappo” vitale della “bottiglia” che contiene le ricchezze del Bacino del Caspio e dell’Asia centrale. Egli assegna un importante ruolo all’ Azerbaijan nel nuovo allineamento politico. Uno stato turco Indipendente, con oleodotti che giungono in Turchia attraversandolo (una relazione etnica che fornisce assistenza politica), l’ Azerbaijan potrebbe ostacolare il monopolio di accesso alla regione della Russia e quindi privare Mosca del più importante strumento di influenza nella politica dei neonati stati liberi dell’Asia Centrale.
Bzhezinski predice che Ukraine, Pakistan, India, China e perfino la lontana America potrebbero unire, seppur al minimo grado, Russia, Turchia e Iran attualmente rivali per quanto concerne i Balcani Europei. Egli punta sulle speciali ambizioni di Mosca, la quale confida sulle recenti reminescenze imperiali e il desiderio del Cremlino di riguadagnare lo status di grande potenza. Da come Bzhezinski la vede, Mosca considera l’intero territorio della passata Unione Sovietica come la sfera dei suoi speciali interessi geo-strategici, dove qualunque influenza politica (e anche economica) esterna è inammissibile.
In quanto agli USA, essi non sono fortemente interessati solo allo sviluppo delle risorse del Caucaso, ma anche a precludere una dominazione geo-politica della Russia nella regione. Gli USA hanno dichiarato nell’Eurasia le loro mete strategiche più importanti e i loro interessi economici, tanto quanto quelli dell’Europa e del lontano Oriente, nell’ottenere l’accesso illimitato a quella regione.
Bzhezinski conclude che il principale motivo di rivalità è l’accesso alla regione. Gli oleodotti sono di vitale importanza per il futuro del Bacino del Caspio e per l’Asia Centrale. Se gli oleodotti più importanti nella regione corrono attraverso la Russia per arrivare fino a Novorossiisk sulle coste del Mar Nero, le conseguenze politiche potrebbero essere sentite senza che Mosca debba mostrare i muscoli per raggiungerle. La regione rimarrebbe politicamente dipendente, per cui Mosca manterrebbe una forte posizione e potrebbe decidere in modo indipendente la distribuzione delle ricchezze della stessa. Ma se un oleodotto corre lungo il letto del Mar Caspio verso l’ Azerbaijan e prosegue verso il Mediterraneo passando per la Turchia, e altri oleodotti corrono lungo l’Afghanistan verso il Mar Arabico, non ci sarebbe nessuna possibilità di tale dominio relativamente all’accesso alla regione.
Quindi si può concludere che l’obiettivo nella regione consiste nel creare una situazione in cui nessun singolo potere potrebbe controllare quel determinato spazio geo-politico, mentre la Comunità Internazionale otterrebbe un libero accesso economico e finanziario.La pluralità geo-politica potrà diventare una realtà duratura solo quando una rete di oleodotti metterà direttamente in comunicazione la regione con i Centri Economici Mondiali attraverso il Mediterraneo e i mari Arabi, tanto quanto via terra. Di conseguenza, gli sforzi della Russia per monopolizzare l’accesso alla regione devono essere contrastati in quanto potenziale pericolo alla stabilità della regione.
Zbigniew Bzhezinski crede che gli USA dovrebbero accordare assistenza geo-politica all’ Azerbaijan, Uzbekistan e (dall’altra parte della regione) all’Ucraina, essendo ognuno di essi un centro geo-politico. Il ruolo di Kiev è rinforzato dal fatto che l’Ucraina è uno stato talmente importante da determinare la futura evoluzione della Russia. Anche il Kazakhstan (visti il suo peso, la potenzialità economica e l’importante collocazione geografica) merita di ricevere una ragionevole assistenza internazionale e aiuti economici a lungo termine. A tempo debito, la rinascita economica del Kazakhstan dovrebbe sanare la lacerazione etnica, la quale rende attualmente questo “scudo” Centro Asiatico così fragile rispetto alla pressione Russa.
Gli USA hanno interessi comuni nella regione con la solida Tuchia filo-occidentale, tanto quanto Iran e Cina. Un graduale miglioramento delle relazioni USA-Iran potrebbe allargare in modo considerevole l’accesso alla regione, o più precisamente, ridurre la minaccia diretta alla sopravvivenza dell’ Azerbaijan. Anche la crescente presenza economica della Cina nella regione e il suo contributo all’indipendenza territoriale conviene agli interessi USA. Il supporto della Cina agli interventi Pakistani in Afghanistan è un fattore positivo, dato che le strette relazioni Pakistan-Afghanistan possono rendere l’accesso internazionale al Turkmenistan più probabile, aiutando di conseguenza a rafforzare sia il Turkmenistan che l’ Uzbekistan (nel caso che il Kazakhstan continui a vacillare sotto la pressione Russa).
Zbigniew Bzhezinski, James Baker, Margaret Thatcher e altri importanti politici occidentali continuano a prendere direttamente parte alla formulazione e realizzazione delle misure strategiche Occidentali nei confronti della Russia e dei nuovi Stati indipendenti dell’area post-Sovietica.
Aleksandr Mosyakin scrive nel suo articolo, “The Bzhezinski Arc: Chi versa olio sul fuoco Caucasico” (Business & Baltics, Riga, 22/09.99), che furono Bzhezinski, un direttore della compagnia Amoco (chiamata ora British Petroleum – Amoco) e il capo-consigliere della Chevron per gli affari post-Sovietici, a formulare la geo-politica USA per il petrolio nella regione Centrale Asiatica- Caspiana.
Rif: http://www.fas.org/man/dod-101/ops/war/2000/02/game/343.htm
GLI INTRIGHI AMERICANI E L’IMPOSIZIONE DELLE SANZIONI DELL’ONU ALL’AFGHANISTAN
Il Ministro degli esteri del regime Talebano Afghano, Wakil Ahmed Muttawakil, ha dichiarato il 10 novembre che il suo governo non avrebbe consegnato Osama Bin Laden agli Stati Uniti.
“L’America appare comunque determinata a mettere in atto queste sanzioni, per cui, discutere di questo è solo una perdita di tempo” ha detto Muttawakil, giusto quattro giorni prima dell’entrata in vigore delle sanzioni.
Precedentemente, il regime Talebano, cercando di evitare le sanzioni proposte dagli USA, si era dichiarato disposto a discutere con Washington e una simile trattativa era stata mantenuta con i funzionari del Dipartimento di Stato USA in data 25 Ottobre. Secondo dichiarazioni provenienti da Kabul, Osama Bin Laden aveva dichiarato alla leadership Talebana di essere pronto a lasciare il paese a condizione che essi organizzassero una via di fuga verso una località segreta.
Ma Washington insistette perché Kabul consegnasse Bin Laden agli USA.
Citando come fonte funzionari del Dipartimento di Stato, la Associated Press ha riferito che il 3 novembre il leader dei talebani Mullah Mohammed Omar, come risposta alla richiesta americana, decise l’abbandono della discussione con l’amministrazione Clinton.
Il Consiglio di Sicurezza ha ratificato all’unanimità la risoluzione sponsorizzata dagli USA il 15 Ottobre, richiedendo che Bin Laden fosse consegnato all’America o ad un altro paese prima del 14 Novembre. Qualora Kabul non avesse aderito a questa richiesta, la risoluzione ordinava ai Paesi membri di congelare i patrimoni Afghani, compresi quelli esteri, e imporre il divieto di volo alla compagnia nazionale Afghana, Arena, o qualsiasi altro servizio aereo essi avessero noleggiato.
Gli USA accusano il Saudita Osama Bin Laden di essere il responsabile degli attentati alle ambasciate americane in Kenia e in Tanzania dell’agosto del 1998. A seguito di questi attentati gli USA hanno lanciato due volte missili sull’Afghanistan, dove dicono che Bin Laden e la sua Al Queda svolgono la loro attività. Quindi hanno imposto all’Afghanistan le loro proprie sanzioni. Con le nuove sanzioni dell’ONU, il popolo afghano, già provato da due decadi di guerra civile, sarà ulteriormente schiacciato.
Il sentito supporto di Russia e Cina all’interno del Consiglio di Sicurezza alla risoluzione Americana è stato salutato dai Media occidentali come un fatto significativo. La Russia, che sta conducendo una guerra brutale contro la minoranza Cecena, accusa i Talebani di appoggiare i ribelli Ceceni. Il regime Cinese sta reprimendo la minoranza etnica musulmana Uighur nella provincia nord-occidentale di Xinjiang, 4.000 Km da Beijing, la quale confina con diversi paesi musulmani dell’Asia Centrale. Amnesty International ha rilevato un inusuale numero di esecuzioni in quella regione.
Nell’agosto dello scorso anno i presidenti di ambedue i paesi – Boris Yeltsin e Jiang Zemin – hanno partecipato ad una conferenza con i leaders dei paesi dell’Asia centrale per discutere “la crescente minaccia dell’estremismo religioso”. In cambio del loro appoggio alla risoluzione del Consiglio di Sicurezza, ambedue i paesi sperano di ottenere il tacito consenso dell’occidente verso le loro misure repressive contro le minoranze etniche.
Due settimane fa gli USA hanno ricevuto il supporto alle sanzioni ONU anche dall’Unione degli Emirati Arabi (UAE). Dopo un incontro durato un giorno con il Presidente del UAE il 20 ottobre, il Segretario alla Difesa americano William Cohen ha detto “Noi e loro siamo preoccupati per gli atti di terrorismo..da ciò il loro appoggio alla risoluzione”. Il Ministro della Difesa Saudita ha inoltre accolto la richiesta degli USA e ha privato Bin Laden della cittadinanza saudita. Lo UAE e l’Arabia Saudita sono tra i tre paesi che hanno riconosciuto il regime Talebano. L’altro è il Pakistan. Washington sta esercitando pressioni sul Pakistan perché prenda le distanze dal governo Talebano.
Principale scopo della risoluzione USA non è solo la cattura di Bin Laden. Da diversi anni a questa parte gli interessi americani nell’Asia centrale sono cresciuti, e puntano a controllare le grandi e inutilizzate risorse di gas e di petrolio del Caspio, e Washington percepisce il ruolo dei Talebani in Afghanistan come un ostacolo. Le sanzioni dell’ONU possono essere un passo verso un intervento americano più aggressivo.
Una preoccupazione degli USA è la crescente influenza del movimento Talebano in Pakistan. Alcune settimane prima del colpo di stato in quel paese la CIA ha invitato il capo dell’ISI (Pakistani intelligence service) a New York per una discussione su questo problema.
Il regime Talebano sta imponendo un’oppressione religiosa di stile medievale contro le donne e portando attacchi brutali a tutti I gruppi etnici non-Pashtun e non- Sunni Muslims. Per finanziare le operazione militari utilizza il traffico di droga.
Ma gli Americani stessi hanno finanziato il movimento Mujahedin – principalmente attraverso il Pakistan – e avviato il movimento di Gullubddin Hekmatyar in Afghanistan all’inizio degli anni ’80 per combattere il regime filosovietico di Kabul e l’invasione dell’esercito sovietico. L’assistenza fu fornita tramite l’ISI pakistano.
Washington necessitava di un’umiliante sconfitta dei sovietici, per ricostruire l’influenza americana nella regione, compromessa dalla caduta dello Scia in Iran nel 1979. Contemporaneamente gli Usa erano determinati a prevenire lo sfruttamento della crisi Afghana da parte del nuovo regime Iraniano. Molti analisti sostengono che Bin Laden fu reclutato dalla CIA in quel periodo e mandato in Afghanistan dall’Arabia Saudita per combattere le forze sovietiche.
Dopo la ritirata delle armate sovietiche e la caduta del regime filo-sovietico Najibulla, il Pakistan non riuscì a mettere Hekmatyar in una posizione forte a Kabul. Nella successiva guerra civile tra le varie fazioni non riuscì a rimuovere il governo Rabbani così come ci si aspettava. Il Pakistan cominciò a creare allora il movimento Talebano, precedentemente sconosciuto, ai quali gli USA diedero il loro appoggio. Washington era stata ben avvertita degli abusi di questo movimento circa I diritti umani e delle sue connessioni con I baroni della droga.
Un analista dell’Istituto Internazionale di Studi Strategici ha scritto: “I sauditi cominciarono a finanziare I Talebani come una forza anti-Iran. Alcuni osservatori credono che gli USA li percepissero come utili, non solo per rafforzare il contenimento dell’Iran, ma perché avrebbero costituito una nuova nicchia in cui garantire una leva ideologica contro le forze Islamiche anti-USA in quella regione, e per espandere la possibilità di accesso di Washington alle risorse dell’Asia Centrale. Almeno due consorzi internazionali – uno capeggiato dalla UNOCAL americana e dalla DELTA OIL Saudita e l’altro dalla BRIDAS argentina – percepivano i Talebani come una potenziale e utilissima fonte di sicurezza nella loro intenzione di costruire condutture per 2 miliardi e mezzo di dollari attraverso l’Afghanistan per esportare il gas dal Turkmenistan all’Asia del Sud.
“Come i Sauditi pomparono milioni di dollari nel loro budget, la maggior parte tramite l?ISI Pakistano, come funzionari USA stabilirono regolari contatti con i leader della milizia, come la UNOCAL dichiarò la direzione dei Talebani uno sviluppo positivo, come i trafficanti di droga cominciarono a fare lucrosi affari con essi, i Talebani divennero inarrestabili.”
Gli USA, insieme con il Pakistan, permise ai Talebani di emergere nel 1994, prendere il potere a Kabul e rovesciare il governo di Burhanuddin Rabbani nel 1996. Ha avuto relazioni molto strette con il regime Talebano per un altro anno. Ma nella relazione politica del 1997 richiesero “un governo Afghano che fosse multietnico e che osservasse le norme internazionali di comportamento”.
Ci sono due fattori fondamentali nel cambio della politica americana verso I Talebani. Il primo è il supporto che i talebani danno ai gruppi Fondamentalisti Islamici che hanno una posizione anti-americana. Questi gruppi variano dalla Al Queda di Bin Laden ai gruppi in Uzbekistan e Tajikistan.
I talebani hanno connessioni con una moltitudine di gruppi si Sunni Muslims in Pakistan e hanno reclutato e addestrato i Mujahedins (guerrieri santi) in Kashmir. L’America ora vede l’influenza dei talebani come una minaccia e un fattore d’instabilità che minaccia i suoi interessi.
Il secondo fattore è la convinzione che il governo dei Talebani non potrà creare condizioni sufficientemente stabili in Afghanistan per fare di quel paese un corridoio utilizzabile per l’Asia centrale e meridionale
È inoltre preoccupata che un Afghanistan condotto dai Talebani possa condurre ad una presa di potere dei fondamentalisti in Pakistan.
Anche l’Unione Europea, cercando di perseguire i suoi stessi interessi, critica i Talebani. Recentemente il regime Talebano ha accusato la Francia di dare assistenza militare ai gruppi del fronte anti-talebano chiamati “Alleanza del Nord”.
Washington, che una volta supportava i Talebani contro l’Iran, si è ora rivolta all’Iran nel suo tentativo di isolare i Talebani. Funzionari USA hanno riferito di aver avuto diversi colloqui con funzionari del governo Iraniano negli ultimi mesi.
Rif: http://www.wsws.org/articles/1999/nov1999/afgh-n22.shtml
La Rivista de il manifesto numero 26 marzo 2002
Israele e Bush
IRAN NUOVO SATANA
Uri Avnery
http://www.larivistadelmanifesto.it/archivio/26/26A20020308.html
Qualche settimana fa è accaduta una cosa curiosa: Israele ha scoperto che l’Iran è il Grande Satana. Tutto è successo piuttosto in fretta: nessun precedente sensazionale, nessuna nuova rivelazione. Come a comando di un qualche sergente istruttore, l’intera falange israeliana ha cambiato direzione. Tutti i politici, tutti i generali, tutti i media dispiegati, con il corollario dei soliti esperti prezzolati, hanno improvvisamente scoperto che adesso il pericolo terribile, reale e imminente, è l’Iran.
Per un’incredibile coincidenza, nello stesso momento è stata catturata una nave che si dice trasportasse armi iraniane dirette ad Arafat. E a Washington Shimon Peres, un uomo per tutte le stagioni e servo di tutti i padroni, raccontava a ogni diplomatico di passaggio di migliaia di missili iraniani che sarebbero stati dati agli Hezbollah. Sì, sì, gli Hezbollah (inquadrati dal presidente Bush nella lista delle ‘organizzazioni terroristiche’) stanno ricevendo delle armi terribili dall’Iran (inquadrato dal presidente Bush nell’ ‘Asse del male’) per minacciare il beniamino del Congresso, Israele. Non sembra una follia? Ma no, questa follia ha una sua logica.
La questione è molto semplice. Gli Stati Uniti sono ancora piuttosto arrabbiati dopo l’oltraggio delle Torri Gemelle; hanno riportato una vittoria sorprendente in Afghanistan, riuscendo a non sacrificare quasi nessun soldato americano, e adesso sono lì, furibondi ed ebbri per la vittoria, e non sanno a chi lanciare il prossimo attacco. All’Iraq? Alla Corea del Nord? Alla Somalia? Oppure al Sudan?
Bush non può tirarsi indietro proprio adesso, perché una tale concentrazione di potenza non può essere fermata così; e poi, Bin Laden non è ancora morto né prigioniero. La situazione economica sta peggiorando, un grosso scandalo (Enron) comincia a scuotere Washington; non si dovrebbe lasciare l’opinione pubblica americana a riflettere troppo.
Così arriva la leadership israeliana e comincia a gridare ai quattro venti: il nemico è l’Iran! È l’Iran che bisogna attaccare!
Chi ha preso la decisione? Quando? Come? E soprattutto, dove? Ovviamente non a Gerusalemme, ma a Washington DC. Un pezzo importante dell’amministrazione Usa ha dato un segnale a Israele: comincia una massiccia offensiva politica per fare pressione sul Congresso, sui media e sull’opinione pubblica americana. Chi sono queste persone? E che interessi hanno? Cerchiamo di spiegarlo meglio.
La risorsa più ambita della Terra è la gigantesca riserva di petrolio del Mar Caspio, che compete in grandezza con le ricchezze dell’Arabia Saudita: per il 2010 si prevede che renderà 3,2 milioni di barili di grezzo al giorno, che si sommerebbero ai 137 miliardi di metri cubi di gas naturale all’anno. Gli Stati Uniti sono determinati (a) a prenderne possesso, (b) a eliminare ogni possibile concorrente, (c) a controllare politicamente e militarmente l’area, e (d) a creare un passaggio dal petrolio al mare.
A guidare questa campagna è un gruppo di industriali petroliferi, di cui fa parte anche la famiglia Bush e che, con l’aiuto delle industrie di armi, ha fatto eleggere sia George Bush senior sia Bush junior. Il presidente è una persona semplice, il suo universo mentale è piccolo e le sue dichiarazioni primitive, rasentano la caricatura di un western di serie B; questo è quello che ci vuole per le masse. Ma chi lo manipola è gente che la sa lunga, e sono loro che guidano l’amministrazione.
L’oltraggio delle Torri Gemelle gli ha reso il lavoro più facile. Osama Bin Laden non ha capito che i suoi atti sono serviti agli interessi americani. Se credessi in una Teoria della Cospirazione, direi che Bin Laden è un agente americano, non credendoci posso solo stupirmi per la coincidenza.
La ‘guerra al terrorismo’ di Bush è il pretesto ideale per una campagna pianificata da chi lo manipola. Con la scusa di questa guerra, l’America ha assunto il controllo totale delle tre piccole nazioni musulmane vicine alle riserve: Turkmenistan, Uzbeskistan e Kyrgyzstan; l’intera regione è adesso completamente sotto il controllo politico e militare americano; ogni possibile rivale – comprese Russia e Cina – è stato tagliato fuori.
Gli americani si sono chiesti per molto tempo quale fosse la strada migliore per far arrivare questo petrolio al mare. I passaggi che toccassero zone d’influenza russe sono stati esclusi, e oggi la micidiale competizione tra russi e inglesi del XIX secolo denominata la ‘assurda guerra’, prosegue tra Russia e America.
Fino a poco tempo fa, il cammino occidentale che portava al mar Nero e alla Turchia sembrava il più percorribile, ma agli americani non piaceva eccessivamente, la Russia era troppo vicina. La strada migliore è a sud, fino all’Oceano indiano, e a questo scopo gli Usa hanno portato avanti, senza farsi troppo notare, dei negoziati con il regime talebano. Che però non hanno dato i frutti sperati. Così è cominciata la ‘guerra al terrorismo’, gli Usa hanno conquistato tutto l’Afghanistan insediando dei loro agenti nel nuovo governo, e anche il dittatore pakistano è stato piegato al volere degli americani.
Guardando la mappa delle principali basi americane installate per la guerra, è stupefacente notare che seguono esattamente lo stesso percorso dell’oleodotto progettato fino all’Oceano indiano. La storia sarebbe conclusa, ma si sa che l’appetito vien mangiando. Gli americani hanno tratto due lezioni importanti dall’esperienza afghana: (a) che qualsiasi paese può essere assoggettato con bombe sofisticate, senza mettere a rischio la vita di nessun soldato, e (b) che con la forza militare e il denaro l’America può installare ovunque dei governi sotto il suo controllo.
Così Washington ha avuto un’idea: perché dover costruire un lungo oleodotto tutto intorno all’Iran (attraverso Turkmenistan, Afghanistan e Pakistan), quando se ne può fare uno molto più corto che passi direttamente per l’Iran? Bisogna soltanto far cadere il regime degli ayatollah e collocare un nuovo governo filoamericano. In passato sembrava impossibile, ma adesso, dopo l’episodio afghano, appare estremamente praticabile, bisogna solo preparare l’opinione pubblica americana e ottenere il consenso del Congresso per un attacco all’Iran.
Per questo sono necessari i buoni servizi israeliani, che hanno un enorme impatto sul Congresso e sui media. Funziona così: i generali israeliani ogni giorno dichiarano che l’Iran sta producendo delle armi di distruzione di massa e che minaccia lo Stato israeliano di provocare un secondo Olocausto; Sharon annuncia che la cattura della nave da guerra iraniana dimostra il coinvolgimento di Arafat nella cospirazione iraniana; Peres dice a tutti che i missili iraniani minacciano il mondo; ogni giorno un quotidiano scrive che Bin Laden si trova in Iran o con gli Hezbollah in Libano.
Bush sa come ricompensare chi lavora bene per lui: Sharon ha avuto mano libera per opprimere i palestinesi, imprigionare Arafat, assassinare i militanti e allargare le colonie. È un semplice patto: tu mi dai l’appoggio del Congresso e dei media, io ti consegno i palestinesi su un piatto d’argento.
Tutto questo non sarebbe successo se l’America avesse ancora avuto bisogno di alleati in Europa e nel mondo arabo. Ma in Afghanistan gli americani hanno imparato che non hanno più bisogno di nessuno: possono sputare in faccia ai miserevoli regimi arabi, che sono sempre lì a elemosinare, e fregarsene dell’Europa; gli Usa non hanno certo bisogno degli insignificanti eserciti britannico e tedesco, quando da soli sono più potenti di tutti gli eserciti del mondo messi insieme.
L’idea di una collaborazione tra israeliani e americani contro l’Iran non è nuova per Sharon. Nel 1981, appena nominato ministro della difesa, propose al Pentagono un piano audace: se Khomeini fosse morto, l’esercito israeliano avrebbe occupato immediatamente l’Iran, anticipando l’Unione Sovietica, per poi consegnare il paese agli americani in un secondo momento. Il Pentagono avrebbe dovuto rifornire Israele delle armi più sofisticate da usare nell’operazione sotto il controllo americano. Allora il Pentagono non accettò la proposta, ma adesso la collaborazione si sta creando su uno scenario diverso. Quali conclusioni se ne possono trarre?
Innanzitutto, noi ci troveremmo in prima linea in questa guerra imminente. Al di là dello scambio di insulti tra i ‘due capi di Stato persiani’ (come si dice ironizzando tra i circoli del Comando israeliano, alludendo al fatto che Shaul Mofaz è nato in Iran), una reazione iraniana all’attacco americano ci colpirebbe in modo gravissimo: ci sono i missili, ci sono le armi chimiche e biologiche. Secondo, chi vuole la pace tra israeliani e palestinesi non può contare sull’America; adesso tutto dipende da noi, israeliani e palestinesi.
Il nostro sangue è più prezioso del petrolio del mar Caspio, almeno per noi.
(Traduzione di Francesca Buffo)
Questo articolo è apparso il 9 febbraio 2002 nel sito di Gush Shalom con il titolo The Great Game.
La prima guerra dell’oppio del terzo millennio
http://www.mednat.org/centrale/guerra/guerra_oppio.htm
C’è un aspetto della guerra di aggressione condotta dagli Stati Uniti contro l’Afghanistan di cui si parla assai poco, e che è sottovalutato ma di importanza primaria. La questione è quella dell’oppio.
Al di là della complessità della situazione afgana e delle molteplici ragioni che hanno scatenato questa guerra, sembrerebbe che la motivazione principale sia ancora una volta la contesa fra multinazionali del petrolio (in questo caso la Delta Oil – Saudita, controllata dalla famiglia di Bin Ladin – e la Unolocal – statunitense – quest’ultima legatissima alla famiglia Bush, sua grande azionista) per il controllo dell’ “oro nero” della regione del Caspio e quindi degli oleodotti che dovranno attraversare il territorio afgano, il famoso “corridoio” non ancora aperto per il petrolio e il gas naturale da trasportare dall’Asia centrale ex sovietica al mar d’Arabia.
Ma vi è anche la questione del controllo del mercato dell’oppio, produzione, transito,
commercio. L’Afghanistan produce da solo il 75% dell’oppio mondiale, e questa immensa
ricchezza per quanto riguarda produzione e transito sul territorio afgano è nelle mani dei
Talebani. La commercializzazione invece è monopolio dei “signori della droga”, poche famiglie
molto potenti intrallazzatissime con le banche occidentali (ovviamente).
E non è vero che la produzione di oppio è stata proibita dai Talebani come sostiene la versione ufficiale presentata dai media. La questione è un po’ più complessa. Dopo l’eccezionale produzione del 1999 (4.500 tonnellate) e quella dell’anno successivo, il 2000 (3.600 tonnellate), gli americani (le banche occidentali) si accorsero di avere perso il controllo su questa incredibile miniera d’oro, e di dover trattare alle condizioni imposte dai Talebani, che poi naturalmente reinvestivano il denaro come gli pareva (soprattutto armamenti e consolidamento dell’economia di stato afgana). Su pressione del governo USA il mullah Omar fu indotto ad emettere una “fatwa” (editto religioso) che ne proibiva la coltivazione, dietro promessa degli americani di 43 milioni di dollari per la riconversione dei campi ad altre colture. Questa cifra, pur stanziata dal congresso statunitense non fu mai inviata, con la motivazione che non si sarebbe potuto controllare l’utilizzo che effettivamente sarebbe stato fatto di questi soldi, trattandosi di un paese “nemico”.
Vi sarebbe qui da osservare per un attimo con quale incredibile velocità paesi alleati degli stati uniti con governi (regimi) da essi stessi instaurati si trasformino improvvisamente in paesi nemici (come avvenne per l’Iraq di Saddam Hussein e ora sta avvenendo per l’Afghanistan dei Talebani). Semplice: basta che in qualsiasi modo questi ostacolino gli interessi delle multinazionali sul loro territorio, e che gli stati uniti non abbiano il completo controllo della loro politica sociale e soprattutto economica, oltre che una massiccia presenza militare sul territorio.
Tornando alla fatwa del mullah Omar, essa rimase più che altro una operazione di immagine a livello diplomatico internazionale, ma la produzione non solo non è cessata, anzi il regime talebano ha anche aumentato le tassazioni sulla produzione e il transito.
Infatti, pare che i Talebani nel corso del 2000 abbiano portato la tassazione a 30 dollari il quintale per le famiglie contadine che producono oppio, e a 250 dollari il quintale per il transito sul territorio afgano verso i grossi centri di raccolta raffinazione e commercializzazione controllati dai baroni della droga che risiedono nel nord del paese, a cavallo tra Pakistan, Afghanistan e Tagikistan, zone montuose e impenetrabili.
Detto fra noi: e che son scemi sti Talebani, al punto di buttare alle ortiche (o alle patate) una fonte di ricchezza inesauribile (non solo economica, ma anche politica e diplomatica), appetita sul mercato mondiale a qualsiasi condizione?
Vi è poi la questione, assolutamente non secondaria, della sopravvivenza e sussistenza delle famiglie afgane, che soprattutto nei contesti rurali vivono della produzione di oppio. La riconversione ad altre colture comporterebbe grossi investimenti e finanziamenti occidentali, ad esempio per la dotazione di macchinari agricoli necessari per altre coltivazioni. Inoltre nessuna coltura garantisce il reddito, seppur minimo, che l’oppio consente alle famiglie afgane. L’oppio è cash, denaro contante, e ogni famiglia o nucleo tribale ne conserva nascosto almeno un cinquantina di chili o un quintale per far fronte alle evenienze improvvise e impreviste (siccità, guerre, carestie.). Nessun’altra coltura darebbe in alcun modo questa garanzia, ed è certo che consentirebbe un livello di reddito assai più basso ai contadini afgani.
Dunque la produzione di oppio in Afghanistan non è assolutamente cessata ma è stimata, attualmente, all’incirca fra le otto e le dieci tonnellate al giorno, secondo stime che, naturalmente, sono assai difficili da verificare.
Ne consegue che banche e finanziarie occidentali, espertissime nelle triangolazioni del commercio droga/armi alle loro condizioni, si trovano a dover trattare con il maggior produttore di oppio del mondo e con un grandissimo acquirente di armamenti alle sue condizioni.
Ora, essendo una serie di questi colossi finanziari anche fra i maggiori finanziatori delle varie campagne elettorali presidenziali statunitensi (tra cui ovviamente quella di Bush, e con gran sforzo economico), questi pretendono un controllo più diretto su questa enorme fonte di profitto.
Infatti, guarda un pò, chissà come mai gli eroici yankees stanno bombardando a tutto spiano tutto quello che trovano ma NON i magazzini di raccolta dell’oppio, in cui sono stoccate centinaia di tonnellate, in attesa della cessione ai signori della droga per la raffinazione/commercializzazione sui mercati mondiali? Eppure sanno benissimo dove si trovano questi magazzini, senza neppure il bisogno dei controlli satellitari…
Bisogna ancora ricordare che il mercato mondiale dell’oppio (di cui ripeto, l’Afghanistan è di gran lunga il maggior produttore) genera annualmente un volume d’affari pari a quello del PIL di un medio paese occidentale (es. Portogallo, Finlandia…), ed è secondo solo al mercato delle armi, ma ha una peculiarità che nessuna merce possiede: il formidabile ricarico di profitto.
Il valore di un quintale di oppio prodotto come minimo si centuplica sul mercato del consumo, dato il regime di illegalità.
Il commercio dell’oppio è la quintessenza del paradigma di profitto capitalista: tutto guadagno a percentuali impressionanti.
Qui si andrebbe inevitabilmente ad innescare il discorso sul proibizionismo, ma per ragioni di spazio è meglio fermarsi qui.
Franco Cantù – anok4u@libero.it
Geopolitica
La verità negata
LE MONDE diplomatique – Marzo 2002
Jean-Charles Brisard, Guillaume Dasquié * Marco Tropea editore, Milano, 2002, euro 13,90
Tommaso di Francesco
Ha ancora senso raccontare l’evidente e lo «scontato», con tanto di prove documentarie alla mano, che un guerra si origina non per questioni metafisiche ma per un oleodotto? Sì, almeno a leggere il saggio La verità negata, scritto dai ricercatori e giornalisti francesi, Jean-Charles Brisard e Guillaume Dasquié. Un libro davvero originale e fuori dal coro, anche rispetto alla spesso affidabile letteratura sull’11 settembre e sulla risposta di guerra avviata dalla presidenza americana di George W. Bush. Il libro infatti svela un contenuto che gli Stati uniti hanno voluto tenere nascosto per molto tempo, quando non a caso hanno insistito nel dire che il loro coinvolgimento e interesse strategico in Afghanistan era finito nel 1998, con l’abbandono da parte del loro consorzio Unocal di ogni velleità sull’oleodotto conteso.
Era stato John Maresca, vicedirettore dell’Unocal, nella seduta del 12 febbraio 1998 della commissione senatoriale Usa a raccontare che l’instabilità dell’Afghanistan consigliava di abbandonare baracca e burattini. Ora il libro La verità negata racconta che invece quella trattativa diretta con il regime dei taliban, così decisiva, andò avanti fino all’agosto del 2001, ossia fino a pochi giorni prima dell’11 settembre.
In concorrenza con un altro consorzio in cui erano coinvolti interessi sauditi, che puntava al controllo dello stesso oleodotto. E racconta quanto quella trattativa fosse destabilizzante per la situazione interna dell’Afghanistan, per i rapporti tra i taliban, il mullah Omar e Osama bin Laden. Del leader di al Qaeda il libro mette in risalto, con documenti spesso sconcertanti, i suoi legami con la finanza internazionale e quelli, saldissimi, della sua famiglia con la famiglia Bush.
Il narcoimpero Bush-Cheney
http://www.informationguerrilla.org/narcoimpero_bushcheney.htm
Il coinvolgimento della famiglia Bush nel narcotraffico non è un segreto, ma è molto meno noto il diretto collegamento di Dick Cheney al traffico globale di droga attraverso una società di costruzioni USA.
DA MEDELLIN A MOSCA CON LA BROWN & ROOT
La Brown & Root della Halliburton Corporation è una delle maggiori componenti del narcoimpero Bush-Cheney. Il successo del vice presidente designato di Bush nella campagna elettorale Richard Cheney alla guida della Halliburton, Inc. verso un contratto federale da 3,8 mld di dollari in cinque anni e prestiti assicurati dai contribuenti, è solamente un segno parziale di quel che potrebbe accadere ora che Bush ha vinto le elezioni presidenziali.
Uno sguardo più attento alle ricerche disponibili, incluso un rapporto del 2 agosto 2000 del Center for Public Integrity (CPI) (www.public-i.org), suggerisce che il denaro della droga ha avuto un ruolo nel successo raggiunto dalla Halliburton sotto la presidenza Cheney dal 1995 al 2000. Ciò è vero in particolar modo per la più famosa affiliata della Halliburton, la Brown & Root, gigante delle costruzioni e del petrolio. Un profondo esame della storia rivela che il passato della Brown & Root – come pure il passato dello stesso Dick Cheney – è collegato al traffico internazionale di droga in più di una occasione ed in più di un modo.
Lo scorso giugno, l’avvocato di Washington, DC, di una grande compagnia petrolifera russa implicata – secondo rapporti di polizia – nel traffico di eroina ed anche beneficiaria di un prestito garantito dagli USA per pagare i contratti della Brown & Root in Russia, organizzò una raccolta fondi per 2,2 milioni di dollari per i forzieri già gonfi della campagna elettorale del candidato alla presidenza George W. Bush. Non è la prima volta che la Brown & Root è stata collegata alle droghe illegali, ed il fatto è che questo “bambino prodigio” dell’industria americana potrebbe essere anche un giocatore chiave negli sforzi di Wall Street per mantenere il dominio nel mercato globale del narcotraffico – mezzo trilione di dollari l’anno – e dei suoi profitti. E Dick Cheney, assai più vicino al narcotraffico di quanto si possa sospettare e che è anche il maggiore azionista (45,5 milioni di dollari) della Halliburton, ha un assoluto interesse nel fare in modo che i successi della Brown & Root nel settore continuino.
Tra tutte le società americane che hanno rapporti diretti con i militari USA e danno copertura alle operazioni della CIA, poche ditte possono uguagliare la presenza globale di questa gigante delle costruzioni con 20.000 dipendenti in più di 100 paesi. Attraverso le compagnie sorelle e le joint ventures, la Brown & Root può costruire impianti petroliferi offshore, scavare pozzi e costruire e mantenere in funzione ogni cosa, dai porti alle pipeline alle autostrade ed ai reattori nucleari. Può armare ed addestrare apparati di sicurezza e può anche nutrire, rifornire ed accasermare eserciti. Uno dei motivi principali dell’irresistibile fascino della Brown & Root per agenzie come la CIA, e fieramente annunciato nel sito Internet della compagnia, è il contratto che ha ricevuto per smantellare i vecchi ICBM russi a testata atomica nei loro silios. Inoltre, le relazioni tra istituzioni chiave, contraenti e i Bush stessi suggeriscono che con una amministrazione George “W” la famiglia Bush ed i suoi alleati, usando la Brown & Root come interfaccia operativa, possano essere in grado di controllare tutto il narcotraffico da Medellin fino a Mosca.
Costituita in origine come una società di costruzioni pesanti per costruire dighe, la Brown & Root ha allargato le suè attività con scaltri contribuzioni politiche al candidato al Senato Lyndon Johnson nel 1948. Espandendosi alla costruzione di piattaforme petrolifere, basi militari, porti, attrezzature nucleari, banchine e tunnel, la Brown & Root sottoscrisse virtualmente la carriera politica di LBJ. Come risultato prosperò, facendo miliardi di dollari con contratti governativi USA durante la guerra del Vietnam. L’Austin Chronicle, in un articolo del 28 agosto 2000 dal titolo “Il candidato della Brown & Root”, etichetta il repubblicano Cheney come il procuratore politico della fortuna della Brown & Root. Secondo documenti della campagna politica, durante i cinque anni della presidenza Cheney alla Halliburton le contribuzioni politiche della società sono più che raddoppiate a 1,2 milioni di dollari. Non sorprende che la maggior parte del denaro sia andata a candidati repubblicani.
Il servizio informazioni indipendente Newsmakingnews descrive anche come nel 1998, con Cheney presidente, la Halliburton spese 8.1 miliardi di dollari per l’acquisizione della società fornitrice di attrezzature petrolifere e di perforazione Dresser Industries. Ciò ha reso la Halliburton una corporation che avrà una presenza in quasi tutte le future operazioni di perforazione per il petrolio in ogni parte del mondo. Ed ha anche riportato nel forziere di famiglia la società che una volta (nel 1948) mandò un aereo a prendere il nuovo graduato di Yale George H.W. Bush perchè iniziasse la carriera di petroliere texano. Il padre del vecchio Bush, Prescott, fu amministratore delegato della ditta che una volta possedeva la Dresser: la Brown Brothers Harriman.
LE OPERAZIONI SPECIALI DELLA BROWN & ROOT
E’ chiaro che ovunque vi sia del petrolio lì vi è la Brown & Root. Ma con sempre maggiore intensità, anche ovunque vi sia guerra o insurrezione vi è la Brown & Root. Dalla Bosnia ed il Kosovo alla Cecenia, Ruanda, Birmania, Pakistan, Laos, Vietnam, Indonesia, Iran, Libia, Messico e Colombia, le tradizionali operazioni della Brown & Root si sono allargate dalle costruzioni industriali per includere la fornitura di supporto logistico per i militari USA. Ora, invece dei depositi dell’esercito USA, è probabile che in giro per il mondo si vedano i magazzini della Brown & Root a custodire e gestire pgni cosa, dalle uniformi alle razioni ai veicoli.
Il drammatico incremento delle operazioni della Brown & Root in Colombia suggerisce anche la preparazione di Bush per una frenesia bellica come parte del “Plan Colombia”. Ciò collima con le mosse dell’ex Segretario del Tesoro di Bush Nicholas Brady per aprire una società di investimenti Colombia-USA chiamata Corfinsura per il finanziamento di grandi progetti di costruzioni con il colombiano Antioquia Syndicate, con quartier generale a Medellín (v. FTW, giugno 2000).
E le aspettative di una guerra di terra in Colombia possono spiegare perchè un dossier della Securities Exchange Commission (SEC), riportava che la Brown & Root, che in aggiunta a possedere in Colombia più di 800.000 piedi quadri di spazio per magazzini , ha anche preso in affitto altri 122.000 piedi quadri. Secondo il dossier della Brown & Root Energy Services Group, gli unici altri posti dove la società mantiene spazio per magazzini è il Messico (525.000 piedi quadri) e gli Stati Uniti (38.000 piedi quadri).
Secondo il sito della Colombia’s Foreign Investment Promotion Agency, la Brown & Root non aveva alcuna presenza nel paese fino al 1997. Cosa sa la Brown & Root – che secondo la Associated Press (AP) ha ricavato più di 2 miliardi di dollari sostenendo e rifornendo la truppe USA – della Colombia che il pubblico degli Stati Uniti non sa? Perchè la necessità di quasi un milione piedi quadri di terreno per depositi che può essere trasferito da un’operazione della Brown & Root (servizi per l’energia) ad un altro (supporto militare) con un tratto di penna?
Come descritto dall’AP, ai tempi dell’affare “Iran-Contra” il deputato Dick Cheney del House Intelligence Committee era un fanatico sostenitore del Ten. Col. dei Marines Oliver North. Ciò nonostante il fatto che North avesse mentito a Cheney nel dare informazioni alla Casa Bianca nel 1986. I diari di Oliver North e le successive indagini dell’Ispettore Generale della CIA lo hanno inequivocabilmente legato direttamente al contrabbando di eroina durante gli anni ’80 e l’apertura di conti bancari per una ditta che muoveva quattro tonnellate di cocaina al mese. Questo comunque non fermò Cheney dal sostenere attivamente la (sfortunata) corsa di North a senatore USA della Virginia nel 1994 – solamente un anno prima che prendesse le redini di una consorella della Brown & Root – la Halliburton, Inc., di Dallas nel 1995.
Come Segretario della Difesa di Bush durante le operazioni Desert Shield/Desert Storm (1990-91), Cheney ha anche diretto le operazioni speciali coinvolgenti i ribelli kurdi nell’Iran settentrionale. La fonte primaria di reddito dei kurdi per più di 50 anni è stato il contrabbando di eroina dall’Afghanistan e Pakistan attraverso l’Iran, l’Iraq e la Turchia.
Avendo avuto qualche esperienza personale con la Brown & Root, ho notato accuratamente quando il Los Angeles Times osservò che il 22 marzo 1991 un gruppo armato fece irruzione negli uffici di Ankara, in Turchia, della joint venture Vinnell, Brown & Root ed assassinò il Serg. Magg. dell’aeronautica in pensione John Gandy.
Nel marzo 1991 decine di migliaia di rifugiati kurdi, per lungo tempo attività della CIA, vennero massacrati da Saddam Hussein durante la guerra del Golfo. Saddam, cercando di distruggere ogni speranza di successo di una ribellione kurda, trovò semplice uccidere migliaia degli indesiderati kurdi che erano fuggiti dal confine turco in cerca di rifugio. Lì le forze di sicurezza turche – in parte addestrate dalla società Vinnell, Brown & Root, rimandarono migliaia di kurdi a morte certa.
Oggi la Vinnell Corporation (una società della TRW) è una delle tre maggiori compagnie private di mercenari al mondo, assieme alla MPRI ed alla DynCorp (v. FTW, giugno 2000). Essa è inoltre la più importante per l’addestramento delle forze di sicurezza in tutto il Medio Oriente.
Non sorprende che le regioni di confine della Turchia in questione fossero i principali punti di transito dell’eroina prodotta in Afghanistan e Pakistan destinata ai mercati europei.
Una fonte cofidenziale con esperienza nei servizi segreti nella regione mi riferì in seguito che i kurdi “sono stati in qualche modo ripagati dalla gente che li ha usati per trasportare la loro droga”. Egli riconosce apertamente che entrambe la Brown & Root e la Vinnell Corporation solitamente procuravano copertura non ufficiale per i funzionari della CIA. Ma questo già lo sapevo.
Dal 1994 al 1999, durante l’intervento militare USA nei Balcani – dove, secondo il he Christian Science Monitor e la Jane’s Intelligence Review, l’Esercito di Liberazione del Kosovo (KLA) controlla il 70% dell’eroina che entra in Europa occidentale – la Brown & Root di Cheney ha ricavato miliardi di dollari rifornendo le truppe USA con enormi attrezzature nella regione. Le operazioni di supporto della Brown & Root continuano ancora oggi in Bosnia, Kosovo e Macedonia.
Le impronte di Dick Cheney sono vicine alla droga più di quanto si possa sospettare. Il rapporto dell’agosto 2000 del Center for Public Integrity le ha portate ancora più vicine. Sarebbe corretto dire che vi è un diretto collegamento tra le infrastrutture della Brown & Root – spesso sistemate in regioni remote e pericolose – con tutte le regioni che producono droga e con quelle che la consumano in tutto il mondo. Queste coincidenze, di per se stesse non provano complicità nel traffico. Altri fatti comunqueportano inequivocabilmente in quella direzione.
UN COLLEGAMENTO DIRETTO DI DICK CHENEY ALLA DROGA
Il rapporto del CPI intitolato “Cheney guidò la Halliburton a festeggiare con i fondi federali”, scritto dai veterani del giornalismo Knut Royce e Nathaniel Heller, descrive come, nei cinque anni della presidenza Cheney, la Halliburton in gran parte attraverso l’affiliata Brown & Root, godette di 3,8 miliardi di dollari di contratti federali e prestiti assicurati dai contribuenti. I prestiti erano stati garantiti dalla Export-Import Bank (EXIM) e dalla Overseas Private Investment Corporation (OPIC). Secondo l’ex CIA Ralph McGehee, entrambe le istituzioni erano pesantemente infiltrate dalla CIA e davano solitamente copertura non ufficiale ai suoi funzionari.
Uno di questi prestiti, quello alla conglometata finaziaria/banca russa The Alfa Group of Companies, comprendeva 292 milioni di dollari da pagare per il contratto della Brown & Root per rinnovare un giacimento petrolifero siberiano posseduto dalla russa Tyumen Oil Company. The Alfa Group completò la sua acquisizione del 51% della Tyumen Oil in un procedimento con offerte presumibilmente truccate. Un rapporto ufficiale del governo russo afferma che gli alti dirigenti del The Alfa Group, gli oligarchi Mikhail Fridman and Pyotr Aven, “si ritiene abbiano partecipato al traffico di droga dal Sud Est asiatico attraverso la Russia e fino all’Europa”. Questi stessi dirigenti, Fridman e Aven, che secondo rapporti ed informazioni hanno contrabbandato eroina in connessione con la famiglia mafiosa russa Solntsevo, erano gli stessi che chiesero i prestiti EXIM che l’attività di lobby della Halliburton più tardi gli assicurò. Come risultato, il lavoro della Brown & Root nei giacimenti Alfa Tyumen potè continuare – ed espandersi.
Dopo aver descritto come gli interessi del crimine organizzato nel The Alfa Group si ritiene habbiano rubato il giacimento petrolifero con la truffa, la storia del CPI – usando rapporti ufficiali dell’FSB (l’equivalente russo dell’FBI), di compagnie petrolifere come la BP-Amoco, ex funzionari della CIA e del KGB e resoconti della stampa – ha quindi stabilito un solido legame all’Alfa Tyumen ed al trasporto dell’eroina. Nel 1995, sacchi di eroina camuffata da zucchero erano stati rubati da un container ferroviario noleggiato dall’Alfa Eko e venduti nella città siberiana di Khabarovsk. Emerse un problema quando molti residenti della città vennero “intossicati” o “avvelenati”.
La storia del CPI dichiarava anche: “Il rapporto dell’FSB diceva che entro pochi giorni dall’incidente agenti del Ministero degli Affari Interni (MVD) condussero delle irruzioni negli edifici dell’Alfa Eko e trovarono ‘droga ed altra documentazione compromettente’.
Entrambe i rapporti affermano che la Alfa Bank ha riciclato i fondi della droga dei cartelli russo e colombiano.
“I documenti dell’FSB documentano che alla fine del 1993, un alto funzionario dell’Alfa incontrò Gilberto Rodriguez Orejuela, la mente finanziaria del noto cartello di Cali ora in carcere, ‘per concludere un accordo sul trasferimento di denaro nell’Alfa Bank da zone offshore come le Bahamas, Gibilterra ed altre’. Il piano era di reinserire il denaro nell’economia russa attraverso l’acquisto di azioni di compagnie russe.
“…Egli [l’ex agente del KGB] raccontò che vi erano altre prove “riguardanti il coinvolgimento [dell’Alfa Bank] col riciclaggio di denaro sporco dei…cartelli della droga latinoamericani’.”.
Diventa quindi più difficile per Cheney e la Halliburton asserire che tutto ciò sia una pura coincidenza, dal momento che il CPI ha riportato che il principale avvocato della Tyumen a Washington, James C. Langdon, Jr, alla ditta Aikin Gump, “…aiutò a coordinare questo giugno la raccolta di 2,2 milioni di dollari per la campagna elettorale di Bush. Egli quindi fu d’accordo nell’aiutare a reclutare 100 avvocati e lobbisti nella capitale che raccogliessero 25.000 ciascuno per la campagna di W.”
L’eroina menzionata nella storia del CPI proviene dal Laos, dove Richard Armitage ed il Vice Direttore associato alle Operazioni della CIA a riposo Ted Shackley, alleati di lunga data di Bush e combattenti clandestini sono stati ripetutamente collegati al narcotraffico. In seguito passò per il sudest asiatico fino al Vietnam, probabilmente il porto di Haiphong. Quindi l’eroina venne trasportata via mare al porto russo sul Pacifico di Vladivostok, da dove venne in seguito mossa in treno attraverso la Siberia e poi in camion fino all’Europa, passando per le mani dei capi della mafia russa in Cecenia e Azerbaijan. La Cecenia e l’Azerbaijan sono punti caldi sia di conflitti armati che di prospezioni petrolifere, e la Brown & Root opera lungo tutto questo tragitto.
Come descritto in precedenti edizioni della FTW, tale lungo, costoso e tortuoso sentiero venne impiantato frettolosamente dopo che l’inviato personale del Presidente George Bush Richard Armitage, col rango di ambasciatore, era stato nell’ex Unione Sovietica per assisterla nel suo “sviluppo economico” nel 1989. Allora gli ostacoli ad un più diretto, profittevole ed efficiente percorso dall’Afghanistan e Pakistan attraverso la Turchia fino in Europa erano lo stretto controllo da parte del governo jugoslavo/serbo dei Balcani e la continua instabilità nella regione della Mezzaluna d’Oro del Pakistan/ Afghanistan. Inoltre, non vi era nessun altro modo, usando l’eroina del Triangolo d’Oro (Birmania, Laos e Tailandia), di trattare con la Cina e l’India che girarvi attorno.
Forse non è un caso che Cheney e Armitage siano associati nel prestigioso Aspen Institute, un escusivo think-thank bi-partisan, ed anche nella Camera di Commercio USA-Azerbaijan. Nel novembre 1999, in quel che potrebbe essere un segno di quanto accadrà, in un’esercitazione pratica al Council on Foreign Relations, dei quali lui e Cheney sono entrambi membri, Armitage ricoprì il ruolo di Segretario della Difesa.
Molti degli aiutanti di lunga data ed elementi dell’apparato di Bush come Richard Armitage ed il veterano della CIA Ted Shackley hanno un pesante bagaglio politico. Da quando il potere governativo è talmente diviso da sembrare formale dopo la lunga elezione, è improbabile che nomine controverse per posizioni ministeriali come quelle di Armitage o Shackley vengano presentate ad un Senato diviso a metà che è improbabile le confermi. E’ molto più probabile che Armitage appaia come consigliere semiufficiale in qualche travagliata regione europea. Questo è confacente al ruolo che ha ricoperto per George Bush nel 1989 in Russia e nel 1992 in Albania. I viaggi di Armitage presagivano entrambe i conflitti ceceno e kosovaro e la violenta espansione del traffico di droga attraverso quelle regioni.
L’EFFICIENZA DELLA PIPELINE DELLA DROGA
L’amministrazione Clinton si prese cura di tutto il tempo sprecato per il viaggio dell’eroina con la distruzione della Serbia e del Kosovo nel 1999 e l’instaurazione del KLA come potenza regionale. Questo aprì una linea diretta dall’Afghanistan all’Europa occidentale – e la Brown & Root era proprio al centro di questa.
L’abilità di Clinton nel rendere efficienti le operazioni del narcotraffico è stato descritto dettagliatamente nell’edizione dell’aprile del 2000 di FTW in una storia dal titolo “La pipeline del denaro della droga del Partito Democratico presidenziale”. Da allora quell’articolo è stato ripubblicato in tre paesi. L’essenza della lezione economica sulla droga era che coltivando oppio in Colombia e contrabbandando sia eroina che cocaina dalla Colombia a New York City attraverso la Repubblica Dominicana e Porto Rico (una virtuale linea diretta), le strade tradizionali del contrabbando potrebbero essere abbreviate o persino eleminate. Ciò ridusse sia il rischio che il costo, incrementò i profitti ed eliminò la concorrenza.
FTW sospetta che in tale processo vi sia la mano del co-fondatore del cartello di Medellín Carlos Lehder, rilasciato dalla prigione sotto Clinton nel 1995, ed ora attivo sia alle Bahamas che in Sud America. Lehder era conosciuto durante gli anni ’80 come il “genio dei trasporti”. Posso ben immaginare Dick Cheney, essendo stato testimone della completa ristrutturazione del traffico globale di droga negli ultimi otto anni, andare da George W. e dire: “Guarda, so come possiamo farlo persino meglio”.
Una cosa è certa. Come citato nell’articolo del CPI, un vice presidente della Halliburton notò che se il duetto Bush-Cheney fosse eletto, “i contratti della società con il governo andrebbero ovviamente alle stelle”.
L’OSCURO PASSATO
Nel luglio del 1977 lo scrivente, allora ufficiale della polizia di Los Angeles, lottava per dare un senso ad un mondo impazzito. In un ultimo estremo sforzo per salvare la relazione con la mia fidanzata, Nordica Theodora D’Orsay (Teddy), un agente CIA a contratto, ero andato a New Orleans per trovarla. Iu una vacanza decisa in fretta, assicurata con il consenso del mio ufficiale comandante, il Capitano Jesse Brewer della LAPD, ero andato da solo, in modo non ufficiale, per evitare lo scrutinio dell’Organized Crime Intelligence Division (OCID) della LAPD.
Teddy aveva voluto che mi unissi a lei nelle sue operazioni dall’interno dei ranghi della polizia, a cominciare dalla primavera del 1976. Mi ero rifiutato di essere coinvolto con la droga in alcun modo, e tutto ciò lei menzionava pareva aver a che fare con eroina o cocaina, aassieme alle armi che stava muovendo fuori del paese. Il Direttore della CIA era George Herbert Walker Bush.
Sebbene altempo ufficialmente facessi parte dello staff dell’Accademia della LAPD, ero stato non ufficialmente prestato all’OCID dal gennaio quando Teddy, annunciando l’inizio di una nuova operazione pianificata nell’autunno del 1976, improvvisamente sparì. Lasciò molti, compreso me, meravigliati e turbati. Gli investigatori dell’OCID mi hanno tenuto duramente sotto pressione per avere informazioni su dilei e su ciò che sapevo delle sue attività. Erano informazioni che non potevo dargli. Sperando ancora che avrei trovato il modo per comprendere il suo coinvolgimento con la CIA, il LAPD, la famiglia reale iraniana, la mafia e la droga, rimasi da solo durante otto giorni di rivelazioni dantesche che avrebbero determinato il corso della mia vita da allora fino ad oggi.
Arrivando a New Orleans ai primi di luglio del 1977, trovai Teddy che viveva in un appartamento al di là del fiume a Gretna. Equipaggiata con telefoni scrambler ed apparecchi per la visione notturna, e lavorando con comunicazioni sigillate fornite da personale della marina e dell’aeronautica della vicina stazione aeronavale di Belle Chasse, era coinvolta in qualcosa di veramente brutto. Teddy stava preparando il carico di grandi quantitativi di armi su navi dirette in Iran. Allo stesso tempo lavorava con elementi della mafia del boss di New Orleans Carlos Marcello per coordinare il movimento dei battelli che stavano portando in città grossi quantità di eroina. Le barche arrivavano alle banchine controllate da Marcello, indisturbate anche dalla polizia di New Orleans cui lei mi presentò, assieme a sommozzatori, militari, ex berretti verdi e personale della CIA. I battelli stavano recuperando l’eroina da attrezzature petrolifere nel Golfo del Messico, in acque internazionali – attrezzature costruite e mantenute dalla Brown & Root.
Le armi che Teddy controllava, apparentemente AK47 e M16 surplus del tempo del Vietnam, venivano caricate su navi anch’esse di proprietà della Brown & Root. E più di una volta durante gli otto giorni passati a New Orleans, mi incontrai e mangiai in ristoranti con dipendenti della Brown & Root che che stavano caricando quelle navi e sarebbero partiti per l’Iran entro pochi giorni. Una volta, uscendo da un bar ed avendo apparentemente fatto la domanda sbagliata, mi fu sparato contro nel tentativo di mettermi paura.
Disgustato e con il cuore infranto per essere stato testimone che la mia fidanzata ed il mio governo contrabbandavano droga, troncai la relazione. Ritornato a casa a Los Angeles, tirai un sospiro e denunciai tutto ciò che avevo visto, incluse le connessioni alla Brown & Root, ai funzionari di intelligence della LAPD. Essi mi dissero prontamente che ero pazzo.
Costretto con minacce di morte ad andar via dalla polizia di Los Angeles alla fine del 1978, presentai denunce alla Divisione Affari Interni del Lapd e all’ufficio di Los Angeles dell’FBI al comando dell’FBI SAC Ted Gunderson. Io ed il mio legale scrivemmo ai politici, al Dipartimento della Giustizia ed alla CIA, e contattammo il Los Angeles Times. L’FBI ed il LAPD dissero che ero folle.
Una storia in due parti pubblicata nel 1981 dal Los Angeles Herald Examiner rivelava che l’FBI aveva fermato Teddy e che quindi l’aveva rilasciata prima di classificare la loro indagine come chiusa. L’ex Commissario Criminale di New Orleans Aaron Cohen disse al reporter Randall Sullivan che trovava la mia descrizione dei fatti perfettamente plausibile dopo i suoi 30 anni di studi sulle operazioni del crimine organizzato in Louisiana.
A tutt’oggi, un rapporto della CIA preparato come risultato della mia denuncia rimane classificato ed esentato dal rilascio, in seguito ad ordine esecutivo del Presidente, nell’interesse della sicurezza nazionale e perchè rivelerebbe l’identità di agenti CIA.
Il 26 ottobre 1981, al piano terra dell’ala ovest della Casa Bianca, raccontai di ciò che avevo visto a New Orleans al mio amico e compagno di corso all’UCLA Craig Fuller. Fuller poi divenne Capo di Gabinetto del Vice Presidente Bush dal 1981 al 1985.
Nel 1982, l’allora professore di scienze politiche all’UCLA Paul Jabber riempì molti dei vuoti nella mia ricerca per capire ciò che avevo visto a New Orleans. Era qualificato a farlo poiché aveva servito come consulente alla CIA ed al Dipartimento di Stato durante l’amministrazione Carter.
Paul spiegò che, dopo un trattato del 1975 tra lo Scià dell’Iran e Saddam Hussein dell’Iraq, lo Scià aveva tagliato ogni aperto sostegno militare per i ribelli kurdi che combattevano contro Saddam Hussein nel nord dell’Iraq. In cambio, lo Scià aveva guadagnato l’accesso alla via d’acqua dello Shatt al’Arab così da poter moltiplicare le sue esportazioni e guadagni petroliferi. Non volendo perdere i kurdi come attività a lungo termine, la CIA aveva allora usato la Brown & Root – che operava in entrambe i paesi e faceva la manutenzione delle attrezzature portuali nel Golfo Persico vicino allo Shatt al’Arab – per riarmare i kurdi. L’intera operazione era stata finanziata con l’eroina. Paul fu esplicito su tutto ciò.
Nel 1983 Paul Jabber lasciò l’UCLA per divenire vicepresidente della Banker’s Trust e presidente del Dipartimento per il Medio Oriente del Council on Foreign Relations.
LA PIU’ GRANDE LIBERA IMPRESA AL MONDO
Se uno è abbastanza coraggioso da cercare un “sistema operativo” che spieghi teoricamente ciò che FTW vi ha appena descritto, non ha bisogno di guardare oltre il favoloso articolo in due parti pubblicato su Le Monde Diplomatique nell’aprile 2000. Le storie, incentrate massicciamente sul capitale della droga, sono intitolate “Il crimine, la più grande libera impresa al mondo.” Le brillanti e penetranti parole degli autori Christian de Brie e Jean de Maillard sono la migliore spiegazione che abbia mai letto della reale situazione politica ed economica mondiale .
De Brie scrive: “Permettendo al capitale di spostarsi incontrollato da una parte all’altra del mondo, la globalizzazione e l’abbandono della sovranità hanno insieme allevato una crescita esplosiva di un mercato finanziario fuorilegge…
“E’ un sistema coerente collegato strettamente all’espansione del capitalismo moderno e basato sull’associazione fra tre elementi: i governi, le società multinazionali e le mafie. Gli affari sono affari: il crimine finanziario è prima di ogni altra cosa un mercato, prospero e strutturato, governato dalla legge della domanda e dell’offerta.
“La complicità del grande business ed il laissez faire politico sono il solo modo nel quale quel crimine organizzato su vasta scala può riciclare il denaro sporco e rigenerare i favolosi redditi delle sue attività. E le multinazionali hanno bisogno del sostegno dei governi e della neutralità delle autorità di regolamentazione per poter consolidare le loro posizioni, incrementare il loro profitti, confrontare e schiacciare la concorrenza, fare ‘l’affare del secolo’ e finanziare le loro operazioni illecite. I politici sono direttamente coinvolti e la loro capacità di intervenire dipende dagli aiuti e dai finanziamenti che li mantengono al potere. Questa collusione di interessi è parte essenziale dell’economia mondiale, l’olio che fa girare le ruote del capitalismo.”
Dopo il confronto alla TV con il Direttore della CIA John Deutch il 15 novembre 1996, sono stato intervistato dai Comitati di Intelligence della Camera e del Senato. Preparai una testimonianza scritta per quello del Senato che consegnai, sebbene non sia mai stato chiamato a testimoniare. In tutte quelle interviste, nella mia testimonianza scritta ed in tutte le conferenze da allora, ho raccontato la storia della Brown & Root.
IN GOD (GOLD, OIL, DRUGS) WE TRUST
Non vi è pericolo di sbagliare. Gli Stati Uniti si preparano per la guerra. Gli eventi immediatamente successivi alla debacle delle elezioni USA del 2000 sono minacciosi presagi per l’amministrazione Bush-Cheney. Mentre non tutti i posti del gabinetto sono ancora stati riempiti, i posti chiave del Tesoro, Difesa, Giustizia e Consigliere per la Sicurezza Nazionale indicano l’amministrazione più militarizzata, intima dei petrolieri e del grande capitale in 35 anni.
Così completo è il piano per il controllo del governo che il figlio del Segretario di Stato (designato) Colin Powell, in una nomina ancora non molto notata, è stato nominato il nuovo Commissari della Commissione Federale delle Comunicazioni. Questo è l’ente che controlla e sanziona tutte le trasmissioni commerciali degli Stati Uniti.
Con Colin Powell come Segretario di Stato, Donald Rumsfeld Segretario della Difesa e Dick Cheney come Vice Presidente, i più alti livelli del governo USA ora ospitano due ex Segretari della Difesa e l’ex capo degli Stati Maggiori riuniti. Il nuovo Consigliere per la Sicurezza Nazionale, Condoleeza Rice, sebbene afroamericana, ha un lungo curriculum di servizio nelle amministrazioni repubblicane e siede anche nel consiglio di amministrazione della Chevron Oil, che recentemente ha dato il suo nome ad una petroliera. Le sue opache credenziali operative indicano che probabilmente servirà come messaggera designata tra Bush, Powell, Rumsfeld e Cheney e la ragazza afroamericana da cartellone pubblicitaria per l’imminente avventurismo militare.
Mentre questa storia va in stampa è di particolare interesse la voce sempre più forte tra le mie fonti che l’attuale Direttore della CIA George Tenet, nominato nella carica dal Presidente Clinton nel 1997, rimarrà nella nuova amministrazione Bush. Basandomi sui miei studi delle operazioni della CIA e sulla storia, ciò suggerisce fortemente due cose. Primo, implica che la CIA, come indipendente servitore di Wall Street, sente che i suoi interessi sono stati – e continueranno ad essere – ben serviti da Tenet, che è ben visto a Langley. Più importante comunque, è il fatto che suggerisce che vi sono operazioni, sia coperte che non, in moto sotto il controllo della CIA ad una velocità e con una forza che non accetteranno un interruzione del ritmo per un cambio del direttore. La più critica di queste sarebbe l’inizio di un conflitto programmato in Colombia.
Dall’avvento della bomba atomica, gli Stati Uniti hanno sempre avuto bisogno di due tipi di nemici. Su un primo livello, essi hanno bisogno di un nemico tattico contro il quale andare a combattere una guerra sul campo. Dal 1945 questi nemici sono stati creati, ed hanno il nome di Corea del Nord, Vietnam del Nord, Grenada, El Salvador, Panama, l’Iraq ed ora la Colombia. Su un altro livello comunque gli Sati Uniti hanno bisogno di un nemico strategico che giustificherà vergognose spese di capitale per sistemi di armi strategiche come gli ICBM, i sommergibili Trident e sistemi di difesa missilistica “Star Wars”.
Con la nuova amministrazione Bush che sta già contemplando un cambio di politica che farebbe dei ribelli colombiani (opposti ai narcotrafficanti) i bersagli dell’aiuto militare USA, come riportato dall’AP, non vi è dubbio dove sarà la prossima guerra. E con il militarizzato governo Bush che fa dello scudo di difesa missilistico una priorità, sembra che o la Cina o la Russia diventeranno il prossimo grande nemico di scelta. Alla fine deciderà la profittabilità. Per il momento, la men che credibile minaccia di carta viene da non specificate “stati canaglia”. Possiamo essere certi, comunque, che lo spostamento dei piani di pressione economica intorno al mondo rivelerà abbastanza presto il prossimo demone. La Halliburton è piazzata strategicamente per trarre profitto da ogni eventualità.
Come è stato in Vietnam, America Centrale e Kosovo, la droga continuerà ad essere un’enorme parte del piano finanziario per prolungate guerre terrestri. Come disse un cinico, “GOD” sta per “Gold, Oil and Drugs”. Possiamo essere certi che un impero (opposto ad una repubblica) stia emergendo negli Stati Uniti più rapidamente di quanto molti si aspettavano. E l’amministrazione Bush sta già agendo come una “divinità”. E’ un impero che può avere poca necessità o persino la pretesa di essere una democrazia mentre il fascismo americano delle corporations toglie la maschera come conseguenza del nostro circo elettorale, la prostituzione della nostra Corte Suprema e la virtuale distruzione del governo americano come servo di niente altro che il denaro, l’avidità ed il potere.
Sources:
* Aspen Institute, http://www.aspeninst.org.
* Associated Press, “Study: US Could Save Cost in Balkans”, October 10, 2000.
* Associated Press, “Cheney, North Relationship Probed”, August 11, 2000.
* Austin Chronicle, August 28, 2000.
* “CIA Base” © 1992, Ralph McGehee.
* CIA Inspector-General, “Report of Investigation: Allegations of Connections Between CIA and the Contras in Cocaine Trafficking to the United States. Volume II: The Contra Story”, Report 96-0143-IG.
* Christian Science Monitor, October 20, 1994.
* Council on Foreign Relations, http://www.cfr.org.
* De Brie, Christian and Jean de Maillard, “Crime, The World’s Biggest Free Enterprise”, Le Monde Diplomatique, April 2000.
* Halliburton/Brown & Root, http://www.Halliburton.com/brs.
* Jane’s Intelligence Review, February 1, 1995.
* Los Angeles Herald Examiner, October 11 & 18, 1981.
* Los Angeles Times, March 23, 1991.
* Newsmakingnews, “The Dick Cheney Data Dump”, August 27, 2000, http://www.newsmakingnews.com.
* New York Press, January 8, 2000.
* New York Times Index, http://www.nytimes.com.
* Royce, Knut and Nathaniel Heller, “Cheney Led Halliburton to Feast at Federal Trough”, Center for Public Integrity, August 2, 2000, http://www.public-i.org/story_01_080200.htm.
* Ruppert, Michael C., written testimony for the Senate Select Committee on Intelligence, dated October 1, 1997; see http://www.copvcia.com/free/ciadrugs/ssci.html, and From The Wilderness 4/99, 4/00, 6/00.
* Securities and Exchange Commission, “Edgar” Database, http://www.sec.gov.
* Tarpley, Webster Griffin and Anton Chaitkin, George Bush: The Unauthorized Biography, Executive Intelligence Review, Washington, DC, 1992.
* US-Azerbaijan Chamber of Commerce, http://www.usacc.org.
* Vinnell Corporation, http://www.Vinnell.com.
© 2001Michael C. Ruppert – From The Wilderness Publications
Reprinted for fair use only
Mr. & Mrs. Sembler
http://www.carta.org/rivista/settimanale/2002/23/23Sembler.htm
inchiesta di Radley Balko
Il signor Sembler, l’ambasciatore di George W.Bush in Italia, e signora.
Due personaggi molto interessanti.Lui, già padrone di catene di shopping center, specialmente nella Florida del fratello di Bush, e potente dirigente repubblicano, è soprattutto il fondatore, con la moglie, di Straight Inc., centri di “recupero” antidroga denunciati, e condannati, per abusi di ogni tipo.Tanto che hanno cambiato nome.
SAMANTHA MONROE aveva dodici anni nel 1981, quando i suoi genitori la iscrissero nella filiale di Sarasota, Florida, della Straight Inc., un centro di riabilitazione per minori con problemi di droga.
Appena adolescente, Samantha non aveva alcun problema di droga. Eppure passò i successivi due anni della sua vita cercando di sopravvivere alla Straight. È stata picchiata e affamata, le è stata negata la possibilità di usare il bagno per giorni interi. Le era concessa solo una doccia a settimana, anche durante il periodo mestruale. Spesso veniva tenuta in isolamento per giorni nella sua stanzetta. Samantha dice che, dopo essere stata violentata da un “infermiere”, “lo stato della Florida ha pagato per costringermi ad abortire”.
Ci sono centinaia di storie sulla Straight Inc. come quella di Samantha. Wes Fager aveva iscritto suo figlio nell’istituto Straight di Springfield, dietro consiglio di un assistente sociale della scuola superiore. Fager non vide suo figlio per tre mesi, fino a quando il ragazzo riuscì a scappare, dopo aver sviluppato un grave disordine mentale.
Da allora, Fager ha deciso di smascherare la Straight. Ha raccolto storie come quella di Samantha e di suo figlio su un sito web. Ci sono casi di suicidio e tentati suicidi, stupri, aborti indotti, molestie, violenze fisiche, cause, testimonianze rese in tribunale, e una estesa documentazione dei gravissimi abusi psicologici negli istituti Straight in tutto il paese.
Eppure, il modello Straight di riabilitazione sta avendo fortuna. La tendenza, in crescita costante, è verso i centri di riabilitazione stile “scuola di sopravvivenza” e i fondatori della Straight Inc., Mel e Betty Sembler, potenti sostenitori del Partito repubblicano, hanno guadagnato enorme influenza nella politica anti-droga degli Stati uniti.
Mel Sembler è attualmente l’ambasciatore del presidente Bush in Italia, e i Sembler compaiono nei Consigli di quasi tutti i maggiori programmi nazionali anti-droga. Sono amici di vecchia data della famiglia Bush, e sostengono le campagne per bloccare le iniziative di sperimentazione della marijuana terapeutica in tutto il paese. Nonostante gli orrori che sono emersi dalla storia della Straight, sono orgogliosi del loro programma, e non se ne pentono.
La Straight nasce da un programma di riabilitazione chiamato “The seed” [il seme, ndt], basato sul metodo di trattamento “synanon” [un culto religioso nato negli anni sessanta, ndt]. Avviato nel 1972, Seed perse i fondi federali dopo che un’indagine del Congresso dimostrò che il programma di recupero si basava su metodi di lavaggio del cervello e tattiche di controllo psicologico tipiche delle sette. Un deputato della Florida, Bill Young, tenne duro. Trovò appoggio nei Semblers e li convinse ad avviare un centro di riabilitazione simile a St. Petersburg, sempre in Florida, che venne chiamato Straight Incorporated. Da Nancy Reagan a Jeb Bush Nonostante le accuse di maltrattamenti, presentate dai chi è riuscito a evadere, e nonostante i processi pendenti, nei successivi 15 anni la Straight ottenne credito dai circoli repubblicani. Personalità di spicco, da Nancy Reagan alla Principessa Diana, hanno visitato i centri della Straight, esaltando i loro successi, per quanto, secondo la maggior parte degli studi, solo il 25 per cento dei “clienti” Straight ha completato il trattamento. I metodi Straight, però, finirono ben presto in tribunale. Uno studente universitario vinse una causa, per detenzione ingiustificata, nel 1983, ottenendo 223 mila dollari di risarcimento. Un’altra causa, nel 1990, è costata alla Straight 721 mila dollari. Gli istituti della Straight in tutto il paese, allora, iniziarono a chiudere, fino all’ultimo fallimento, quello di Atlanta, nel 1993. Una gemmazione della Straight, chiamata Kids of North Jersey, è stata condannata, in un’altra causa, per 4 milioni e mezzo di dollari. La filosofia Straight, però, è ben lontana dall’esaurirsi. Molte filiali e molti direttori hanno aperto nuove cliniche, con gli stessi metodi ma con nomi diversi, come Kids, Growing Together e Safe. Il governatore della Flordia, Jeb Bush, è andato a far visita alla Safe e l’ha elogiata, nonostante un’emittente televisiva di Miami avesse rivelato abusi “stile Straight” in un’inchiesta del 2000.
Per far fronte alle crescenti denunce e alla cattiva pubblicità, durante tutti gli anni novanta, la Straight Inc. cambiò nome, nel 1996, diventando la Drug Free America Foundation. La Dfaf, oggi, prospera, grazie a 400 mila dollari di sussidi federali, ricevuti nel 2000, e altri 320 mila incassati attraverso la Small business admistration. “Niente di cui scusarsi” “Mi sorprende il fatto che nonostante le lamentele e le accuse di abusi, gli istituti della Straight riescano a proseguire la loro attività semplicemente cambiando nome”, ha detto Rick Ross, esperto di sette e specialista di politiche di intervento sociale. Ross dice che esiste uno sfortunato mercato per i centri di “riabilitazione”, che si fanno carico di ragazzi difficili, togliendoli a genitori che non riescono a gestirli. Più preoccupante, comunque, è la considerevole e continua copertura politica di cui godono i fondatori della Straight Inc. Bush padre è perfino comparso in uno spot della Dfaf, e ha indicato nel programma dei Semblers uno dei suoi “mille punti luminosi” [riferimento al programma di devolution del welfare, ndt]
Presenza costante nei circoli repubblicani della Florida, Mel Semblers venne nominato ambasciatore in Australia nel 1989. Oggi serve Bush il giovane come ambasciatore in Italia, e ha partecipato nel 2000 al consiglio direttivo della Convenzione nazionale del partito repubblicano che ha scelto Bush come candidato presidente.
Betty Sembler, la moglie, è stata co-presidente del comitato elettorale di Jeb Bush. Come ricompensa, il governatore della Florida ha dichiarato l’8 agosto del 2000 “Betty Sembler day”. Un riconoscimento, ha detto Jeb Bush, al suo lavoro “per proteggere i bambini dal pericolo delle droghe”. Betty è stata nel consiglio del Dare, programma anti-droga rivolto agli studenti delle scuole elementari, largamente fallito.
La Drug free America foundation ha lavorato con l’allora governatore George W. Bush nei programmi antidroga del Texas, e oggi afferma di avere la propria “voce” anche nelle scelte anti-droga nazionali. Rick Romley, infatti, favorito dei Sembler e pubblico ministero in Arizona, era sulla lista dei candidati al posto di zar antidroga. Sebbene Romley non sia stato scelto, Bush ha comunque optato per un “duro”, John Walters. “Non abbiamo avuto la leadership e l’appoggio della Casa bianca, per ora”, ha commentato Betty Sembler dopo la nomina di Walters.
“È davvero pazzesco che i Semblers vengano ancora lodati e onorati dopo tutto quello che è emerso a proposito della loro organizzazione”, dice Rick Ross, che precisa di essere repubblicano. Lo scorso anno un reporter della rivista telematica canadese Cannabis News, chiese a Betty Sembler in persona notizie sulle storie di orrore che aveva letto dai sopravvissuti a Straight. “Dovrebbero essere condannati all’ergastolo”, rispose Betty Sembler: “Sono orgogliosa di tutto quello che abbiamo fatto. Non c’è nulla di cui chiedere scusa. Gli antiproibizionisti sono quelli che dovrebbero chiedere scusa”.
Questo è il pensiero del potente duo della guerra alla droga. Non hanno rimorsi per le vite che hanno distrutto perché credono in un approccio “costi-quel-che-costi”.Vite a pezzi, suicidi, aborti forzati, psiche fratturate – tutte vittime necessarie della guerra alla droga. E nulla per cui chiedere scusa.
L’articolo è comparso sul sito web di Fox News. Radley Balko, giornalista freelance, gestisce un proprio sito web: www.theagitator.com con inchieste e commenti su diversi aspetti della politica e della società statunitensi.
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