LA FISICA NELL’ OTTOCENTO.  PARTE IV(2): CONCEZIONI PARTICELLARI NEL XVII E XVIII SECOLO. LA “CRISI” DELL’AZIONE A DISTANZA

Roberto Renzetti

PREMESSA

         Molto spesso nella scuola si trascura la storia della scienza che per molti versi sarebbe un’utile cerniera tra le due culture (*).  D’altra parte, dato il palese disinteresse di chi avrebbe potere di cominciare a mutare questa situazione incancrenita, ci restano due possibilità: o lasciar andare le cose come stanno (si lavora meno ma l’alienazione e la frustrazione ci rovinano l’esistenza) o mettersi a costruire delle cose che abbiano il senso di creare una motivazione non solo per noi ma soprattutto per i ragazzi (è deprimente accorgersi ancora una volta che nella nostra scuola si procede per atti singoli di volontarismo). La scelta, che ho fatto, di muovermi sulla seconda delle due alternative indicate mi ha portato ad occuparmi di questioni di storia della scienza, ed in particolare di storia della fisica. Senza farla troppo lunga, tra le tematiche che ho affrontato con gli studenti di quinta liceo scientifico c’è quella oggetto di questo articolo.

INTRODUZIONE

        Il lavoro è diviso sostanzialmente in due parti. Nella prima (dal paragrafo 1 al 4) si ricostruisce in breve la disputa continuità-discontinuità, che riprese vigore a partire dal Rinascimento, fino all’opera di G.R. Boscovich. Nella seconda (dal paragrafo 5 al paragrafo 8) invece si affronta con qualche dettaglio il dibattito sul problema dell’« azione istantanea a distanza », sempre in connessione con la questione del continuo e discontinuo. Il tutto mi pare interessante riproporlo a quanti interessati come quadro di riferimento in cui collocare l’insegnamento di quella parte della fisica che qui è appena accennata. Credo poi che il lavoro metta in evidenza altri aspetti interessanti per la comprensione dello sviluppo delle idee nella ricerca scientifica: la stretta relazione che esiste tra speculazioni filosofiche e ricerche scientifiche; il ruolo fondamentale del « pregiudizio » nell’indagine scientifica; la possibile diversa interpretazione di una stessa « esperienza » (quella di Oersted) con ipotesi aggiuntive. Sono elementi questi ultimi certamente presenti ad ogni studioso del problema ma non sufficientemente esemplificati ai non addetti ai lavori. Con la nostra formazione molto spesso rischiamo di fornire (e certamente forniamo) agli studenti la visione di una scienza dogmatica, vera, senza possibili dubbi, come cumulo successivo di conoscenze, con uno svolgimento lineare senza soverchie contraddizioni. Cercare di uscire da questa catena di trasmissione di conoscenze probabilmente apre alla scienza come attività formatrice e chiude alla scienza come pseudoconcetto e come mera acquisizione di tecniche (Croce e Gentile).

I PARTE

1 – LA DISPUTA CONTINUITÀ-DISCONTINUITÀ: LA RIPRESA DELL’ATOMISMO NEL XVII SECOLO

         Alla fine del XVIII secolo e agli inizi del XIX gli interrogativi sulla costituzione della materia cominciarono ad interessare sistematicamente la fisica. Fino a quest’epoca vi erano state varie spiegazioni sulla natura della materia ma tutte frutto di speculazioni filosofiche e mai sostenute da fatti sperimentali (al più da indizi di varia natura). Solo la chimica aveva formulato una teoria consistente grazie alla funzionalità che l’ipotesi atomica aveva per la spiegazione delle leggi chimiche. Le speculazioni sul continuo e discontinuo, che dal problema posto da Zenone (di Elea) portarono Democrito (e quindi Epicuro e Lucrezio) (1) ad affermare l’esistenza degli atomi, furono riprese solo nel Rinascimento dopo la lunga parentesi aristotelica che comportò l’accettazione dei quattro elementi costituenti l’universo (oltre l’etere incorruttibile) da parte di tutto il mondo allora conosciuto. La continuità è alla base della fisica aristotelica: nel vuoto nessun movimento sarebbe possibile. Così, per circa 2000 anni, non si pensò più agli atomi (la cui esistenza deve comportare quella del vuoto) e con l’accettazione della continuità la disputa tra continuo e discontinuo ebbe termine. D’altra parte, come quella aristotelica, la teoria democritea poteva venire gratuitamente affermata poiché nessuna verifica sperimentale era possibile per sostenerla; allo stesso modo poteva venire ripudiata (2) e dimenticata perché non comportava nessuna reale semplificazione alla concezione e spiegazione del mondo (Aristotele era molto più comprensibile di Democrito!).

         Come dicevamo si doveva attendere il Rinascimento per sentir riparlare di atomi. Il primo che ripropose, in modo sintetico e con- fuso, la filosofia di Democrito fu l’inglese Nicholas Hill ( ~ 1570-1610) (3) nel 1601. La sua opera rappresentò una pura ripresa del pensiero degli atomisti greci: nessun fatto nuovo, oltre i mutamenti sociali, era intervenuto a sostegno dell’atomismo (4). La parte predominante del lavoro di Hill ruota intorno alla teoria copernicana, ma alcune delle 500 brevi questioni che costituiscono l’opera, riguardano la riproposizione dell’atomismo greco.

         Il primo fatto che, indirettamente, dette un contributo sostanziale alla teoria atomistica e che più in generale servì a far scemare l’influenza aristotelica nella fisica, fu la famosa esperienza di Torricelli (1608 – 1647) del 1644 a Firenze. Il vuoto che si veniva a creare sopra il livello del mercurio nel tubo di vetro dimostrava che la natura non ha l’« horror vacui » e che uno dei postulati fondamentali della teoria atomistica era corretto: il vuoto esisteva. Subito si utilizzò l’esperienza di Torricelli per dare nuovo vigore all’atomismo e molti furono i filosofi naturali che scrissero sull’argomento.

         Nel 1649 il francese Pierre Gassendi (1592 – 1655) riprese l’opera di Democrito ampliandola, modificandola e traendone alcune giuste conseguenze fisiche sugli stati di aggregazione e sui cambiamenti di stato (5). Egli riteneva che gli atomi dei corpi solidi dovevano possedere dei piccoli ganci che si attaccavano gli uni agli altri in modo da formare una struttura analoga a quella delle lettiere metalliche. Ad un certo punto dei suoi scritti Gassendi superò questa visione e propugnò perfino l’esistenza di una forza che agiva sugli atomi facendoli aderire gli uni agli altri come altrettante piccole calamite.

         Nel 1654 l’inglese Walter Charleton (1620 – 1707), pur non aggiungendo nessun concetto nuovo, anzi, riprendendo in gran parte Gassendi in forma più analitica, ebbe il merito di pubblicare il primo libro in lingua inglese sugli atomi (6) (si ricordi che Hill pubblicò il suo lavoro a Parigi). Anche Charleton come Gassendi fece sovente riferimento all’esperienza di Torricelli a sostegno dell’idea di vuoto implicita nella teoria corpuscolare della materia. Egli cercò di spiegare tutte le proprietà della materia (calore, pesantezza, trasparenza…) tramite la teoria atomistica ed in particolare sostenne che i corpi sono caldi quando si insinuano in essi « atomi di caldo » e, viceversa, sono freddi quando si insinuano in essi « atomi di freddo ».

         Nel 1674, in una conferenza tenuta alla Royal Society (7), l’inglese William Petty (1623-1687), sostenendo che la materia è fatta di atomi, avanzò l’idea che questi atomi fossero dotati di poli e di centro di gravità come la Terra ed inoltre, sempre come la Terra, ruotassero su se stessi ed intorno ad altri atomi. Egli pensò poi che le forze che permettevano l’unione di più atomi fossero dovute alle loro masse e che la gravità fosse responsabile dell’attrazione degli atomi verso il centro della Terra.

         Nel 1696, l’olandese Niklaas Hartsoeker (1656 – 1725) sviluppò (8) l’ipotesi atomistica con una conseguenzialità maggiore relativamente alle idee di Democrito. Egli concepì la materia formata da atomi diversi a seconda delle proprietà che la particolare sostanza in esame aveva. Così il mercurio è costituito da atomi sferici, il ferro è formato da atomi a forma di prisma triangolare cavo all’interno ed a superficie ruvida per rendere ben conto del fatto che il ferro si corrode ed ossida facilmente…..

         Questo corpuscolarismo che, insieme al copernicanesimo, trasformò la scienza del XVII secolo non era in realtà completamente in linea con la formulazione e con i postulati degli antichi filosofi greci. Le particelle ultime sono considerate ancora divisibili pur se, nella realtà, questa divisione non avviene mai. Il vuoto è messo in discussione e viene sostituito da un fluido etereo, neutro ed inattivo, che impregna tutto lo spazio. Si è comunque d’accordo sul fatto che ogni fenomeno riguardante queste particelle (vuoti, interazioni, combinazioni,…) è governato da leggi date da Dio nella creazione. Non v’è dubbio che all’epoca vi fosse in tutti una profonda fede che l’intelligenza e la ragione sarebbero state in grado di cambiare il mondo. Le scoperte scientifiche, soprattutto nel campo dell’astronomia e della meccanica, stavano minando la filosofia aristotelica. A questa filosofia complessiva si venivano però sostituendo delle scoperte frammentarie, senza apparenti nessi e non sorrette da alcun quadro comune di riferimento. Nasceva la ‘scienza nuova’ insieme alla esigenza di una visione complessiva che la sostenesse e garantisse che le ricerche che si facevano nei vari campi tendessero ad un unico fine non essendo in contraddizione tra di loro. In gran parte, a questa esigenza di sistemazione, rispose Cartesio (1596 – 1650), sostituendo all’impalcatura aristotelica una filosofia (materialismo metafisico) altrettanto funzionale agli interessi della Chiesa e tale da non incontrare, almeno da quella parte, ostacoli alla sua diffusione.

2 – I VORTICI DI CARTESIO ED I CORPUSCOLI DI NEWTON

         Cartesio costruì (9) induttivamente la struttura della materia partendo dallo studio di un unico, ipotetico corpuscolo nel vuoto. Dopodiché studiò due corpuscoli che si urtano sempre nel vuoto. Quindi aumentò indefinitamente il numero dei corpuscoli fino a far svanire il vuoto. La materia e l’universo risultavano pieni (10). Gli urti ed i mutamenti di direzione delle particelle permettevano i mutamenti del mondo fisico (11). Naturalmente l’unico modo di conciliare un «tutto pieno» con un «eternamente in moto» è una struttura in cui una particella spinge quella successiva, un’altra particella si sostituisce a quella che ha premuto inizialmente per evitare il formarsi di un vuoto. Il tutto origina una struttura a vortici che doveva esistere fin da quando Dio aveva fornito il primo impulso ad una particella. La materia quindi non è solamente « tutta piena », ma accanto ad essa esiste un misterioso spirito che, pur essendo privo di proprietà meccaniche, permette che i fenomeni abbiano un determinato svolgimento. Questa concezione meccanicistica, intessuta di dogmi metafisici, comportò un dualismo tra materia e spirito che ha giocato e giocherà un ruolo importante nella storia del pensiero scientifico. Cartesio fu dunque il filosofo della natura che caratterizzò il secolo XVII così come Newton (1642 – 1727), riempì di sé il secolo XVIII.

         Riguardo il problema dell’origine e della costituzione della materia Newton, che aveva già dimostrato matematicamente (1687) l’erroneità della teoria cartesiana dei vortici (12), sosteneva (13) (Opticks 1707), anche se in modo problematico per mancanza di fatti sperimentali:

« Prendendo in considerazione tutte queste argomentazioni, mi sembra probabile che Dio nella Creazione costituì la materia di particelle solide, massicce, dure, impenetrabili, mobili, di varie dimensioni e forme e con tante altre proprietà, ed in tale proporzione nello spazio, a seconda del fine che egli aveva deciso per loro; e che queste particelle primitive, essendo solide, sono incomparabilmente più dure di ogni corpo poroso formato da esse; queste, inoltre, sono così dure che mai si consumano o rompono in pezzi; poiché nessuna forza ordinaria è capace di dividere quello che Dio stesso fece uno nella prima creazione. Mentre le particelle continuano ad essere indivisibili, esse possono costituire corpi di una unica e medesima natura e struttura per l’eternità: ma se essi si consumassero, o rompessero in pezzi, la natura delle cose che dipende da essi, sarebbe cambiata.

Acqua e terra, composte di vecchie particelle consumate e frammenti di particelle, non sarebbero ora della stessa natura e struttura della terra e dell’acqua composte di particelle integre nella Creazione. E quindi, poiché la natura può essere durevole, i cambiamenti delle cose corporee debbono avvenire solo nelle varie separazioni e nuove associazioni e movimenti di queste particelle immutabili; i corpi composti essendo soggetti a rompersi, non nel mezzo delle particelle solide, ma dove queste particelle son tenute insieme, ed esse si toccano (14) solo in qualche punto ».

         Il corpuscolarismo di Newton rimase soltanto enunciato e mai provato riguardo al problema della costituzione della materia. Più argomentata, complessa e completa fu la teoria corpuscolare della luce sviluppata da Newton sempre nell’Opticks. L’argomentazione che sta alla base di questa teoria è semplice: la luce deve essere composta da piccoli corpuscoli espulsi dai corpi luminosi perché i corpuscoli viaggiano, come la luce, in linea retta; le onde, che rappresentano la unica alternativa al tragitto rettilineo, vanno scartate perché si muovono in cerchio. Quando si ha a che fare con un fenomeno di diffrazione (15) allora i corpuscoli non camminano più in linea retta ma vengono deviati dal loro cammino da qualche forza che agisce a distanza (azione istantanea a distanza); oltre a questa forza che agisce esternamente questi corpuscoli interagiscono tra di loro per mezzo delle forze attrattive e repulsive che hanno sede in particolari punti dei corpuscoli che Newton chiama poli…

« per produrre i diversi colori della luce e tutti i diversi gradi di rifrangibilità, basta che i suoi raggi siano corpuscoli di diversa grandezza; che i più piccoli producano il viola… e che siano più facilmente deviati… e che secondo la loro grandezza siano sempre più difficilmente deviati dalla via esatta… » (16).

         E questi corpuscoli non interagivano solo con la materia che incontravano nel loro cammino: essi dovevano muoversi nell’etere ( … « molto più sottile dell’aria …che resta anche quando l’aria è stata pompata (17) via … che spezza e riflette la luce… molto più elastico ed attivo dell’aria… (che) penetra facilmente in tutti i corpi… (e che) … si spande in tutti i cieli… ») (18) che non rimaneva inattivo ma agiva attraendo o respingendo la luce a seconda che questa passasse in uno stato più o meno denso (« La rifrazione della luce non deriva forse dall’ineguaglianza di densità di questo mezzo etereo, che differisce secondo i diversi luoghi…? ») (19).

         In definitiva le dimensioni e forme di particelle caratterizzano per Newton soltanto alcuni aspetti dei fenomeni fisici (colore, qualità chimiche,…). Per definire e precisare queste caratteristiche delle particelle costituenti la materia e la luce molti filosofi della natura lavorarono per tutto il secolo XVIII non andando però oltre le prime affermazioni di Newton in quanto non si trovavano pratiche sperimentali atte a rilevare queste particelle e che quindi facessero uscire la teoria corpuscolare dalla metafisica e da quel certo carattere, che aveva, di ipotesi « ad hoc ». Uno degli avversari più risoluti del realismo seicentesco e del materialismo insito nel meccanicismo fu il vescovo anglicano George Berkley (1685 – 1753), che tra il 1709 ed il 1734, pubblicò una serie di opere in cui, passando dall’empirismo di tipo lockiano all’idealismo platonico, sostenne dapprima che l’esistenza delle cose è solo nel loro venir percepite (20) e quindi che solo l’illuminazione divina può darci il concetto di legge scientifica (21). Egli rifiutò di accettare sia l’infinitamente grande sia l’infinitamente piccolo: attaccò violentemente il calcolo infinitesimale (che Newton e Leibniz avevano già sviluppato), i numeri irrazionali e, naturalmente, gli atomi che sono al di fuori della nostra conoscenza percettiva.

3 – ULTERIORI SVILUPPI DELLE TEORIE CORPUSCOLARI. I PUNTI INESTESI DI BOSCOVICH

         A parte questi avversari delle teorie e scoperte di Newton il ‘700 fu il secolo in cui il meccanicismo arrivò al suo culmine. E questo, soprattutto, grazie alle trasformazioni economico-sociali (ascesa della borghesia) dell’epoca e alla profonda fede nella ragione che secondo gli uomini del 1700, deve essere in grado di chiarire tutti i problemi. Il ‘700 è il secolo dell’Illuminismo: si crede nella superiorità dello spirito scientifico su ogni forma di oscurantismo; si ha fede di migliorare, con l’uso della ragione, la condizione umana; da parte di illustri pensatori si dà avvio alla divulgazione scientifica (22) per far partecipare sempre più persone alle conquiste della filosofia della natura e per sconfiggere, quindi, la superstizione imperante. In questo periodo si lavorò molto nei vari campi della scienza e soprattutto della tecnica (Watt, Black, Beccaria, Cavendish, Franklin, Coulomb, Lavoisier,…) (23) ma, per la verità, non si raggiunsero i grossi risultati che erano stati ottenuti nel secolo precedente. La teoria corpuscolare era quasi universalmente accettata, ma come abbiamo detto, con il carattere di ipotesi « ad hoc » che era insito nella formulazione newtoniana.

         Ciò non significa che alcuni piccoli passi avanti non venissero fatti: Daniel Bernoulli (1700-1782), nel 1738 (24) darà una spiegazione microscopica della legge di Boyle (1627-1691), ricavata, sperimentalmente, nel 1662, servendosi dell’ipotesi di costituzione corpuscolare di un gas (gli urti delle particelle costituenti il gas contro le pareti del contenitore origina la pressione del gas stesso). Queste idee avranno importanti elaborazioni nel secolo seguente ad opera di Joule e Maxwell.

         Robert Smith, sempre nel 1738 (25), contribuì a togliere il carattere di ipotesi « ad hoc » alle spiegazioni della rifrazione e diffrazione date da Newton, studiando matematicamente le teorie di Newton e riconducendo questi fenomeni ad estensioni fisiche di una legge matematica generale. Va detto che Smith fece anche chiarezza sulle forze che agiscono tra corpi riservando la forza gravitazionale al campo della macrofisica ed introducendo nel campo della microfisica particolari forze a corto raggio, molto intense, che svaniscono rapidamente con la distanza. In questo senso l’ipotesi dei corpuscoli di luce può venire accettata come strumento di indagine dei fenomeni microscopici riguardanti la materia e la luce. Oltre a questi tentativi di spiegazione della natura corpuscolare della materia e della luce in linea con il meccanicismo newtoniano, verso la metà del XVIII secolo fu elaborato un tentativo di sintesi fisica estremamente complesso ed articolato, dal padre gesuita Giuseppe Ruggero Boscovich (1711 -1787) (26). Egli partì con una critica alla teoria corpuscolare della materia fatta da Newton: secondo Newton le particelle costituenti la materia sono dotate di dimensioni e, a distanze piccolissime, esse si attraggono; secondo Boscovich le forze che si esercitano a corto raggio dovevano essere repulsive. Infatti, considerando l’urto fra due palline, queste, nell’istante in cui si incontrano presentano una variazione discontinua della loro velocità. Estendendo il ragionamento ai corpuscoli costituenti la materia Boscovich concluse che questa discontinuità non poteva essere accettata. Secondo Boscovich, quindi, le particelle non hanno dimensioni ma debbono considerarsi come punti inestesi (anche se hanno massa), inoltre esse non vengono mai a contatto. Questi « punti » sono soggetti alle tre leggi della dinamica e tra essi si esercitano delle forze che sono alternativamente attrattive e repulsive al variare della distanza tra i «punti ». La legge con cui varia questa forza è rappresentata nella figura 1 (si osservi che tale grafico deve essere concepito tridimensionalmente: si pensi ai vari strati che compongono una cipolla come alle curve di forza che circondano un «punto»).Per distanze piccolissime si ha sempre repulsione, per cui diventa impossibile per questi

Fig. 1

  « punti » venire a contatto (impenetrabilità della materia) (27). In definitiva, secondo Boscovich, si hanno solo forze attrattive o repulsive tra punti inestesi (che hanno massa ma non dimensioni) che si trovano nel vuoto; con questa teoria egli riuscì a spiegare tutte le proprietà della materia.

        Come abbiamo già accennato questa teoria in qualche modo conciliava il punto di vista della continuità (le forze ovunque presenti) della materia con quello della discontinuità (i punti inestesi). Essa aveva il pregio di poter venire trattata matematicamente e di spiegare appunto tutte le proprietà e qualità della materia partendo dal punto inesteso come costituente comune di tutta la materia (in pratica si aveva a che fare con un solo tipo di « atomo » che combinandosi variamente ed oscillando continuamente intorno alla sua posizione di equilibrio permette il formarsi delle varie sostanze con le diverse proprietà chimiche ed i diversi attributi fisici).

        Questa teoria dinamica di Boscovich (dinamismo) fu molto ammirata ma non compresa nella sua grandezza tanto che, per molto tempo, non fu ripresa da nessuno: anche essa aveva il difetto di essere interamente qualitativa senza nessuna base sperimentale (28).

4 – LA CRITICA DI KANT ED IL CONFLITTO DI FORZE DI SHELLING

Negli anni in cui Boscovich portava avanti le sue speculazioni si inseriva nel dibattito sulla costituzione della materia un filosofo che avrebbe avuto profonde influenze negli sviluppi del pensiero filosofico e scientifico dalla fine del ‘700 agli inizi del nostro secolo: Immanuel Kant (1724 – 1804). Egli, profondo conoscitore di Newton, partendo (1755) (29) da una critica generale della conoscenza ed in particolare dei principi del meccanicismo fece avanzare notevolmente il « sistema del mondo » ideato da Newton escludendo il concetto di Dio dalla spiegazione dei fatti naturali che appunto, secondo Kant, si possono spiegare mediante leggi generali che la natura stessa suggerisce: il mondo non è stato creato da Dio così come è, esso ha avuto origine dal moto vorticoso di una nebulosa (30). Il concetto di vortice usato da Kant si lega però piuttosto a Newton che non a Cartesio in quanto in questo vortice egli fa intervenire delle forze attrattive e repulsive alla base, secondo lui, della costituzione della materia. Le speculazioni di Kant sui problemi delle scienze della natura in questo periodo precritico (31) furono sviluppate, modificate ed ampliate nel 1786 (32) quando egli aveva già scritto il corpo principale dei suoi lavori filosofici (33). Kant criticò i concetti di «forza d’inerzia », di « spazio assoluto », di « vuoto assoluto » e di «impenetrabilità della materia ». Secondo Kant quindi non vi possono essere atomi e non vi può essere vuoto: egli suppone che la materia sia composta da corpuscoli, che non sono solidi, che risultano indefinitamente divisibili e che si trovano immersi in una sostanza che riempie tutto lo spazio e che ha una densità di gran lunga più piccola di qualunque materia esistente (l’etere). Questa materia è soggetta all’azione di due forze (dinamismo): quella attrattiva (di tipo newtoniano) e quella repulsiva che è molto più intensa dell’altra. Queste due forze producono poi, sempre secondo Kant diverse altre forze come ad esempio: « la forza calorica » che è alla base della concezione del calore e di tutti i fenomeni che derivano dal fuoco; « la forza luminosa » che è alla base della luce e di tutti i fenomeni dipendenti da essa; «la forza elettrica» che è la causa di tutti i fenomeni elettrici; « la forza magnetica che origina tutti i fenomeni magnetici (34)». Per Kant non esistono quindi né fluidi elettrici, né calorici, né di altro tipo, ma forze di vario genere, intese tutte come modificazioni di quelle attrattive e repulsive, che agendo tra le particelle di materia, originano i fenomeni (35). La « critica generale della conoscenza » di Kant ebbe, nella seconda metà del XVIII secolo, una notevole influenza sulla scienza, influenza che durò per molti anni, almeno fino agli inizi del XX secolo. Così, a cavallo tra la fine del XVIII e gli inizi del XIX secolo mentre in Francia l’influsso del pensiero illuminista produce un ambiente scientifico tale da formare degli scienziati che domineranno con le loro scoperte l’Europa intera, in Germania le speculazioni di Kant daranno l’avvio al movimento della Naturphilosophie che, se da una parte rappresenterà un freno all’affermarsi e all’evolversi della scienza, dall’altra porrà i germi per i grandi sviluppi della scienza tedesca della seconda metà del XIX secolo. Il più autorevole pensatore della Naturphilosophie fu certamente Federico Guglielmo Schelling (1775 – 1854) le cui radici di pensiero si possono ritrovare nei lavori di Leibniz (1646 – 1716) di Boscovich e, appunto, di Kant.

        Secondo Schelling il meccanicismo fisico non rende ragione dell’esistenza della natura. La concezione meccanicista di materia come un qualcosa di inerte fino a che su di essa non agiscono forze, entità diverse e separate dalla materia è, secondo Schelling, l’ammissione di una discontinuità tra materia e spirito (tra natura e uomo) che non corrisponde alla unità originaria di queste due entità, per esempio, nell’organismo vivente. Schelling sostiene (tra il 1797 ed il 1799) (36) che è lo spirito (le forze) che si organizza in materia e pone quindi le forze, agenti tra punti inestesi, con i loro “conflitti e trasformazioni” alla base dell’esistenza del mondo (dinamismo fisico). Non c’è più materia allora ma c’è una particolare modificazione di una determinata zona dello spazio dovuta appunto ai conflitti ed alle trasformazioni delle forze (spirito) eterne e preesistenti. Questo rifiuto netto del meccanicismo, e più in generale del metodo scientifico, non nasce casualmente in questo periodo.

II PARTE

5 – LA “CRISI” DELL’AZIONE A DISTANZA: ÖERSTED

        La paura dell’affermazione di nuove classi sociali portava al rifiuto delle idee che avevano prodotto la Rivoluzione Francese, inoltre l’Illuminismo non era stato introdotto in Europa da Voltaire (1694 – 1778), da Diderot (1713 – 1784) o da altri pensatori ma dagli eserciti di Napoleone a cui spontaneamente si opponevano i nazionalismi dei popoli che allora non potevano far altro che riconoscersi per una ricerca di unità, nei loro regnanti. Così mentre da una parte, nel « programma» di Laplace (1749 – 1827), si afferma l’applicabilità illimitata delle leggi newtoniane della meccanica e si nega l’ipotesi di Dio come non necessaria per il sistema del mondo; mentre si consolida la teoria corpuscolare del calore ad opera di Laplace e di Poisson; mentre si introduce la probabilità nella fIsica che comporta l’incapacità dell’uomo di essere determinista in mancanza di dati; mentre si riafferma la esistenza dell’azione istantanea a distanza tra atomi nello spazio vuoto (Laplace) ovvero in uno o più eteri (Brewster, Malus, Ampère, Biot, Mossotti e, per un certo tempo Arago) (37); dall’altra parte si negava il metodo scientifico che aveva portato a questi risultati; si affermava che tutto lo spazio fosse riempito da forze in permanente conflitto e trasformazione; si credeva che calore, luce, elettricità e magnetismo fossero particolari manifestazioni di queste forze; si vedeva l’origine dei fenomeni sensibili dalla unità di natura e spirito in un « assoluto » metafisico.

        Si tenga conto che elementi non immediatamente riconducibili al meccanicismo fisico nascevano senz’altro dalla spiegazione dei processi biologici. Inoltre le scoperte di quegli anni del galvanismo (1789) e della pila di Volta (1800) (38), che il meccanicismo non aveva ancora spiegato esaurientemente, avevano aperto campi di indagine e di polemica in cui si inserirono efficacemente le speculazioni romantiche nella loro offensiva generale contro il meccanicismo. Certamente al culmine del meccanicismo, quando l’azione istantanea a distanza lungo la congiungente gli « oggetti » era alla base di tutte le teorie fisiche, nessuno avrebbe pensato di ottenere un qualche risultato progettando esperienze che si ponevano a priori in contrasto con le premesse di principio ed in particolare con quel tipo di azione. È quindi proprio sotto l’influenza ideologica della Naturphilosophie che il fisico danese Hans Chrstian Öersted (1777-1851) progettò ed effettuò una memorabile esperienza che scosse profondamente l’edificio meccanicista. L’azione che si esercita tra un filo percorso da corrente ed un ago magnetico disposto parallelamente al filo è normale alla congiungente filo-ago e non è più riconducibile alle forze centrali. Sono proprio le forze secondo un moderno modo di vedere, che riempiono tutto lo spazio e quindi che esistono sia lungo la congiungente filo-ago sia lungo la normale a questa congiungente che rendono possibile la deviazione dell’ago. Lo stesso Öersted sostiene (39):

« … Il conflitto elettrico non è racchiuso nel conduttore ma, come abbiamo già detto, è al medesimo tempo disperso nello spazio circostante, e ciò è ampiamente dimostrato da tutte le osservazioni fin qui fatte… ».

Riferendosi poi all’effetto di simmetria da lui riscontrato nel disporre l’ago magnetico al di sopra o al di sotto del filo percorso da corrente dice:

« … In maniera simile è possibile dedurre da quanto abbiamo osservato che questo conflitto agisce circolarmente perché questa sembra essere una condizione senza la quale è impossibile che la medesima parte del filo di congiunzione, che quando sta sotto il polo magnetico lo fa spostare ad est, lo fa spostare invece ad ovest quando è posta sopra di esso. Perché è nella natura dei cerchi che moti in parti opposte abbiano direzioni opposte… ».

        La Naturphilosophie aveva la sua base sperimentale e l’esperienza di Öersted se da una parte si opponeva alle teorie meccaniciste, dall’altra affermava l’esigenza del metodo scientifico (negata da Shelling): le forze o chi per esse preesistono nella « natura » solo se, andandole a cercare, le troviamo. Comunque questa osservazione non fu fatta all’epoca e l’esperienza di Oersted suscitò un interesse ed un fermento di ricerca che tanti risultati avrebbero dato allo sviluppo della scienza.

6 – AMPÈRE TENTA DI SPIEGARE L’ESPERIENZA DI ÖERSTED MEDIANTE L’AZIONE A DISTANZA: AZIONI PONDEROMOTRICI TRA CORRENTI

        Tra i primi ad iniziare ricerche per trovare correlazioni tra fenomeni elettrici e magnetici che in qualche modo rendessero meglio conto dell’esperienza di Oersted per cercare di ricondurla nell’ambito delle forze centrali, furono i meccanicisti (Biot, Arago, Ampère ed altri). La memoria di Öersted fu comunicata all’Académie des Sciences di Parigi nel settembre del 1820 da Arago. Subito, in settembre, partirono le prime ricerche sperimentali degli scienziati francesi. In quello stesso mese ed in quelli immediatamente successivi Ampère lesse all’Académie una serie di note (40) in cui riuscì in un impresa da tutti ritenuta impossibile: quella di ricondurre le forze del tipo di quelle osservate da Oersted al caso delle forze centrali.

        Prima di passare ad un qualche approfondimento sull’opera di Ampére è bene osservare che, fra le comunicazioni all’Académie ve ne furono due (41) di una certa importanza fatte da Biot e Savart (1791 – 1841). Anche se non c’è una precisa documentazione scritta, risalente all’epoca delle comunicazioni all’Académie, sulle ipotesi e sugli esperimenti da cui mossero Biot e Savart, che permetta un giudizio critico sul loro contributo alla spiegazione delle «forze di Oersted », i due fisici riuscirono a fornire una determinazione molto accurata della legge di forza tra corrente ed ago magnetico. Alla determinazione di questa legge, nella sua forma integrale definitiva, contribuì anche Laplace come ricorda Biot (42):

<<… Egli(Laplace) ha dedotto matematicamente dalle nostre osservazioni la legge della forza esercitata singolarmente da ogni tratto di filo su ogni molecola magnetica ad esso esposta. Questa forza è diretta, come l’azione totale, perpendicolarmente al piano formato dall’elemento longitudinale di filo e dalla più breve distanza tra questo elemento e la molecola magnetica sollecitata. La sua intensità, come nelle altre azioni magnetiche è inversamente proporzionale al quadrato di questa stessa distanza »

Come si vede, anche questa è una legge che ha una grande analogia formale con quella di Coulomb e quella di Newton: l’andamento con l’inverso del quadrato della distanza ed il riconoscimento stesso di un’azione a distanza bastano per ora a far intravedere la presenza rassicurante di Newton e ad allontanare lo spettro delle forze « disordinate » ed « in permanente conflitto ».

        Il contributo di Ampère, come è stato già detto, fu più preciso e determinante. Egli nella sua prima nota del 18 settembre all’Académie annunciò la scoperta delle azioni ponderomotrici tra correnti elettriche, nelle immediatamente successive illustrò meglio il fenomeno con dovizia di particolari, di sperimentazioni diverse, di interpretazioni teoriche. Seguiamo con un poco di attenzione l’opera di Ampére. Egli studiando l’azione che si esercita tra due correnti (43) scrive (44):

<<… I due conduttori si trovano così paralleli e vicini l’un l’altro su di un piano orizzontale; uno di essi può oscillare intorno alla linea orizzontale passante per le estremità dei due punti di acciaio, e, in questo movimento, esso resta necessariamente parallelo all’altro conduttore (che è) fisso...>>

Ampére inizia a studiare due conduttori rettilinei disposti parallelamente ed in grado di muoversi parallelamente l’uno rispetto all’altro. In questo caso si ha attrazione o repulsione (a seconda del verso delle correnti nei due fili). Il problema che Ampére aveva bene in mente era però quello della rotazione dell’ago magnetico di Öersted ed allora egli monta l’esperienza in modo da avere un filo rettilineo fisso ed un altro in grado di ruotare su di un piano parallelo al primo (44):

«… Se il conduttore mobile, invece di essere costretto a muoversi parallelamente a quello fisso, è libero soltanto di girare su di un piano parallelo a questo conduttore fisso, intorno ad una perpendicolare comune passante per i loro centri, è chiaro che, secondo la legge che abbiamo appena ammesso per le attrazioni e repulsioni delle correnti elettriche, le due metà di ogni conduttore attireranno e respingeranno quelle dell’altro, secondo che le correnti siano concordi o discordi; per conseguenza il conduttore mobile girerà fino a quando esso arriva in una situazione in cui si trovi parallelo a quello fisso, e in cui le correnti siano dirette nello stesso senso: da cui segue che nell’azione mutua di due correnti elettriche l’azione direttrice e l’azione attrattiva o repulsiva dipendono da uno stesso principio e non sono che effetti differenti di una sola e medesima azione ».

Nel caso quindi in cui uno dei due conduttori in esame è libero di ruotare esso tende a disporsi parallelamente al primo. In definitiva, secondo Ampère, due correnti non parallele tendono a disporsi parallelamente. Questo primo ragionamento, confortato dall’esperienza, è il nocciolo su cui si impernia tutta l’ulteriore discussione che porterà Ampère ad ammettere una sostanziale identità tra correnti e magneti. Egli dice: (44)

« Non è più allora necessario stabilire tra questi due effetti la distinzione che è così importante fare, come vedremo fra poco, quando si tratta dell’azione mutua di una corrente elettrica e di un magnete considerato come si fa ordinariamente in rapporto al suo asse, perché, in questo tipo di azione, i due oggetti tendono a sistemarsi in direzioni perpendicolari tra loro».

L’ipotesi riduzionista di Ampère non può però prescindere da una « teoria » che vada ad interpretare il magnetismo come, appunto, originato da particolari correnti. Ed allora un magnete, ed in particolare un ago magnetico, viene concepito come circondato da correnti che si avvolgono attorno al suo asse risultando perpendicolari a quest’ultimo.

Ampère passa quindi a sottoporre all’esperienza questa ipotesi cominciando a studiare le azioni mutue tra correnti e magneti e tra magneti e magneti (44):

« Esaminerò… l’azione mutua tra una corrente elettrica ed il globo terrestre o un magnete e l’azione mutua di due magneti l’uno sull’altro e mostrerò che esse rientrano l’una e l’altra nella legge dell’azione mutua di due correnti elettriche che ho appena annunciato, concependo sulla superficie e all’interno di un magnete tante correnti elettriche, in piani perpendicolari all’asse di questo magnete, quante si possono concepire linee formanti, senza intersecarsi mutuamente, delle curve chiuse; in modo che non mi sembra molto possibile, dopo il semplice raffronto dei fatti dubitare che non vi siano realmente queste correnti intorno all’asse dei magneti, o piuttosto che la magnetizzazione non consiste che nella operazione per la quale si fornisce alle particelle d’acciaio la proprietà di produrre, nel senso delle correnti di cui abbiamo appena parlato, la stessa azione elettromotrice che si trova nella pila voltaica… ».

E questa azione elettromotrice non è rilevabile perché, come osserva Ampère (44):

«… Solamente, poiché questa azione elettromotrice si sviluppa nel caso del magnete tra le differenti particelle di uno stesso corpo buon conduttore essa non può mai… produrre alcuna tensione elettrica, ma solamente una corrente continua rassomigliante a quella che avrebbe luogo in una pila voltaica rientrante su se stessa in modo da formare una curva chiusa (45): è abbastanza evidente… che una tale pila non potrebbe produrre in alcuno dei suoi punti né tensione né attrazioni o repulsioni elettriche ordinarie…; ma la corrente che si stabilirebbe immediatamente in questa pila agirebbe, per orientarla, attirarla o respingerla, sia su un’altra corrente elettrica, sia su un magnete che viene allora considerato come un insieme di correnti elettriche ».

E con queste ultime esperienze in connessione con i termini teorici (le ipotesi aggiuntive) Ampère riesce a portare a compimento un’operazione che soltanto un mese prima sarebbe sembrata impossibile: la spiegazione in termini newtoniani dell’esperienza di Öersted. Nel portare a compimento questo «programma » Ampère arriva anche ad una importante conclusione che trascende gli scopi per cui aveva iniziato a lavorare (44):

« E’ cosi che si arriva a questo risultato inatteso, che i fenomeni magnetici sono unicamente prodotti dalla elettricità… ».(46)

Ecco allora su quali ipotesi Ampère trova la legge di forza tra correnti: il magnete è pensato come un insieme di correnti elettriche nei piani perpendicolari alla linea che unisce i poli. Questa ipotesi è dunque necessaria ad Ampère, e non accessoria come sembra dalla lettura di qualche testo od articolo, per ricavare l’azione ponderomotrice tra correnti, per rendere conto dell’esperienza di Öersted e, infine, per ricondurre le « forze in conflitto » all’ordine newtoniano.

L’introduzione di questa ipotesi spiega bene il perché, contrariamente a due fili percorsi da corrente che tendono a sistemarsi parallelamente, un ago magnetico tende a disporsi perpendicolarmente ad un filo percorso da corrente. Quest’ultimo fenomeno è in realtà analogo a quello dei due fili: sono le correnti che circolano perpendicolarmente al filo e nel far questo portano l’asse del magnete ad essere perpendicolare al filo stesso ( vedi Fig. 2).

Ampère si rende subito conto però che non è possibile ricavare la legge di forza tra due correnti se non passando attraverso elementi infinitesimi di circuito ed infatti egli trova che (47):

« … L’azione di quelle [correnti] delle quali si possono misurare gli effetti, è la somma delle azioni infinitamente piccole dei loro elementi, somma che si può ottenere con due integrazioni successive, l’una da farsi su tutta la lunghezza di una delle correnti relativamente ad uno stesso punto dell’altra, la seconda da eseguirsi sul risultato della prima integrazione … su tutta l’estensione della seconda corrente… ». (48)

Anche qui quindi l’espressione della legge che regola l’azione che si esercita tra due correnti elettriche ha il carattere di azione istantanea a distanza tipico della fisica newtoniana. È questo un trionfo di Ampère. I fluidi imponderabili stessi, che la Naturphilosophie con Öersted aveva allontanato dall’indagine fisica rientrano ora di prepotenza sulla scena impregnando di sé non solo la spiegazione dei fenomeni elettrici ma la costituzione stessa della materia.

7 – LA MOLECOLA ELETTRODINAMICA DI AMPÈRE

        In verità la prima spiegazione che Ampère da della costituzione elettrica dei magneti, e che abbiamo appena visto, sarà rivista criticamente un paio di mesi dopo (49) dallo stesso Ampère (50). Nella seduta dell’Académie del 15 gennaio 1821 Ampère lesse una memoria (49) in cui compare per la prima volta, a fianco delle correnti macroscopiche che si muovono perpendicolarmente su linee chiuse intorno all’asse del magnete, l’ipotesi delle correnti particellari (50). Ecco quello che Ampère testualmente sostenne (51);

« … Si tratta di sapere se le curve chiuse secondo le quali hanno luogo le correnti elettriche che forniscono all’acciaio magnetizzato le proprietà che lo caratterizzano, sono situate concentricamente intorno alla linea che unisce i due poli del magnete, o se queste correnti sono ripartite in tutta la sua massa intorno a ciascuna delle sue particelle, sempre nei piani perpendicolari a questa linea… ».

C’era dunque da decidere quale di queste due ipotesi fosse quella esatta. Lo stesso Ampère disse che per fare ciò occorreva attendere « finché dei nuovi calcoli e delle nuove esperienze abbiano fornito tutti i dati necessari alla sua soluzione » (51).

A questo punto interviene Fresnel con due lettere private (52) ad Ampère per suggerire la soluzione al problema. Fresnel nella prima lettera confronta, su base sperimentale, le due ipotesi di correnti intorno all’asse del magnete e di correnti intorno a ciascuna molecola ed arriva alla conclusione che è più verosimile quest’ultima ipotesi. Nella seconda lettera precisa ulteriormente questo concetto sostenendo (52):

« … è facile vedere che, supponendo le correnti di uguale intensità intorno a tutte le particelle che si trovano lungo una barra magnetizzata, l’azione dovrà emanare solo dalla superficie che delimita la barra a ciascuna delle sue estremità, perché le azioni laterali di tutte le particelle costituenti la barra si neutralizzeranno dappertutto tranne che nei lati esterni delle particelle che si trovano alla estremità… ».

Da questo punto in poi Ampère userà sempre l’ipotesi di molecola circondata da una corrente elettrica. Questa molecola elettrodinamica di Ampère è d’importanza fondamentale: è la prima volta che si passa dalla concezione di correnti infinitesime, senza realtà fisica, che servono solo per ricavare relazioni matematiche, a correnti reali, anche se ipotetiche, che circondano le molecole costituenti il magnete. Questa concezione riduzionista di Ampère è in linea con i tempi e risulterà di estrema importanza per gli sviluppi futuri delle teorie sulla costituzione degli atomi e dei magneti.

8 – LA CRITICA DI FARADAY E LA CRISI DEL MECCANICISMO

        Ampère ritornerà spesso a difendere la sua teoria della molecola elettrodinamica da contestazioni che gli venivano mosse da più parti. Ogni volta discuteva risultati di nuove esperienze o ideate da lui stesso o da altri. Nel settembre 1821 Michael Faraday (1791 – 1867) in una sua nota (53), negò l’esistenza delle correnti molecolari (54) considerandole alla stregua delle ipotesi « ad hoc »:

« … M. Ampère non ha una opinione definita sulla grandezza delle correnti elettriche che egli suppone esistere nei magneti perpendicolarmente ai loro assi. In un passaggio della sua Memoria, egli le considera, mi sembra, come aventi i loro centri sull’asse stesso del magnete; ma ciò non può non aver luogo in un magnete cilindrico cavo, a meno che uno non supponga due direzioni opposte (per le correnti), una sulla superficie interna, l’altra sulla superficie esterna. Egli in altra parte avanza (l’ipotesi), io credo, che queste correnti siano infinitamente piccole; sarebbe probabilmente possibile spiegare il caso del più irregolare magnete dando a ciascuna di queste piccole correnti la direzione richiesta dalla teoria…».

A queste obiezioni di Faraday Ampère risponde indirettamente in una lettera al Sig. Van Beck (56) riaffermando la sua teoria della molecola elettrodinamica ed arricchendola di interessanti considerazioni teoriche. In questa lettera Ampère sostiene:

« … Ho trovato… molte altre prove della disposizione delle correnti elettriche intorno a tutte le particelle dei magneti; diverse circostanze si spiegano meglio quando si considerino le cose in questo modo e si ammetta che le correnti esistono nei metalli suscettibili di magnetismo prima della magnetizzazione, e forse in tutti gli altri corpi, ma che esse non possono esercitare azione, se non ricevono una direzione determinata sia da un altro magnete, sia da una corrente voltaica…».

Nel febbraio del 1822 Faraday, in una lettera ad Ampère (56) scrive:

« … Mi dispiace che la mia carenza nella conoscenza matematica mi renda tardo nel comprendere queste argomentazioni (57). Sono per natura scettico in materia di teorie e quindi lei non deve essere adirato con me perché io non ammetto quella che lei ha avanzato immediatamente con la sua ingegnosità e le cui applicazioni sono stupefacenti ed esatte, ma non riesco a comprendere come le correnti si producano e particolarmente se si suppone che esse esistano intorno a ciascun atomo o particella ed attendo ulteriori prove della loro esistenza prima di ammetterle definitivamente… ».

        La corrispondenza Faraday-Ampère andrà avanti ancora per una decina di anni: anni cruciali che vedranno nascere ed affermarsi, ad opera di Faraday, la teoria di campo. Mentre i fisici erano impegnati in controversie del tipo di quelle viste, la chimica aveva già risolto il problema continuità-discontinuità della materia con la teoria atomica proposta da Dalton (1766-1844) (58) nel 1808 ed estesa da Berzelius (1779-1848) (59) negli anni successivi (60).

        Nel 1814, indipendentemente, A. Avogadro (1776-1856) (61) e A.M. Ampère (62) ampliarono ulteriormente le concezioni precedenti introducendo l’idea di molecola ( e non solo di molecola costituita da atomi diversi ma anche di molecola costituita da atomi dello stesso elemento). La teoria atomica che prese le mosse da Dalton riuscì subito a spiegare tutte le leggi conosciute della combinazione chimica e questa circostanza le assicurò subito il successo. Nonostante ciò gli stessi chimici ritenevano l’ipotesi dell’atomo come molto utile e proficua ma non si sentivano per questo obbligati ad ammetterne la effettiva esistenza. La teoria atomica, infatti, poiché è funzionale alla spiegazione delle leggi chimiche può non tener conto della dimensione effettiva degli atomi: possiamo rimpicciolire col pensiero questi ultimi fino a ridurli a meri punti matematici, le leggi chimiche non cambiano ma, nel contempo, il discontinuo si avvicina vieppiù al continuo e l’atomo, pur mantenendo la sua esistenza per la sua funzionalità, in pratica non esiste più.

        In quegli stessi anni c’erano altri lavori di ricerca, altri risultati che ponevano ulteriormente in crisi il meccanicismo newtoniano. Negli anni tra il 1801 ed il 1803 il fisico inglese Thomas Young (1773 – 1829) scopre, in ottica, il fenomeno dell’interferenza (63). Malgrado gli sforzi di Biot e Poisson (1781 – 1840) non si riesce a ricondurre questo fenomeno alla teoria corpuscolare della luce di Newton. La spiegazione dell’interferenza risulta però spontaneamente assumendo la teoria ondulatoria della luce introdotta da Huygens (che a sua volta l’aveva, in qualche modo, derivata da Cartesio) nel 1690 (64) e così farà Young appunto nel 1802.

        Non varrà a riportare in auge la teoria corpuscolare neanche la scoperta, e la conseguente spiegazione in termini corpuscolari dei fenomeni di polarizzazione fatta tra il 1808 ed il 1815 dai fisici francesi Malus, Biot e Arago. Infatti tra il 1815 ed il 1823 (65), Augustine Fresnel (1788 – 1827) darà nuovo impulso alla teoria ondulatoria con la spiegazione completa, sia analitica che sperimentale, di tutti i fenomeni di ottica allora conosciuti tra cui quelli della diffrazione, della polarizzazione e dell’interferenza ammettendo inoltre la propagazione della luce per onde trasversali (l’ammettere questo fatto suonava come una eresia) nell’etere e conciliando la teoria ondulatoria con la propagazione rettilinea della luce stessa. La spiegazione della luce in termini ondulatori oltre a soppiantare, almeno per qualche tempo, il corpuscolarismo newtoniano, risolveva alcuni problemi che non avevano trovato soluzione nell’ambito di detta teoria: il Sole ha inviato sulla Terra per molte migliaia di anni sia luce che calore senza una sensibile diminuzione in grandezza e peso; così la luce ed il calore che penetrano i corpi non debbono farli aumentare di peso; di conseguenza, insieme alla materia ponderabile che costituisce gli oggetti che sono intorno a noi, vi deve essere una materia di qualità diversa, più leggera e sottile di qualsiasi altra entità leggera e sottile (l’etere) (66).

        L’edificio della fisica newtoniana presentava, così, varie brecce e nelle varie incrinature si era lasciato spazio ad una quantità di ricerche teoriche e sperimentali che avrebbero trovato in Michael Faraday il più fecondo interprete.

NOTA BIBLIOGRAFICA

La bibliografia qui riportata è quella di carattere generale, delle opere da me lette o consultate per la stesura dell’articolo che non compaiono mai citate.

1) L. Geymonat: Storia del pensiero filosofico e scientifico, Garzanti 1970-72.

2) G. Me Colley:  Sull’atomismo in Inghilterra prima di Dalton, Ami. Sci. 4, 390, 1939 

3) L. Halliday: Le prime idee sulle forze interatomiche, Le Scienze n. 26, ottobre 1970.

4) Descartes: II mondo. L’uomo, Laterza 1969.

5) D. Mc. Kie: Su alcuni punti delle concezioni di Newton, Phil. Mag., 33, 847, 1942.

6) Voltaire: La filosofia di Newton, Laterza 1968.

7) Roger “Joseph Boscovich S.J., F.R.S., 1711-1787: Studies of his Life and Work on the 250th Anniversary of his Birth, Allen e Unwin 1961.

8) L. Rosenfeld: The Velocity of Light and the Evolution of Electrodynamics, Supplemento al volume 4, serie X del Nuovo Cimento, 1630, 1957.

NOTE

(*) Ho già avuto modo di occuparmi di questa questione. Allo scopo vedi: R. Renzetti, La storia della fisica nella scuola secondaria: un esperimento positivo, in La Fisica nella Scuola, anno VII, n. 4; 1974.

(1) Zenone (490-430 a.C.); Democrito (460-360 a.C.); Aristotele (384-322 a.C.); Epicuro (341-270 a.C.); Lucrezio (98-55 a.C.).

(2) Per un’altra argomentazione contro gli atomisti vedi p. 25 e 26 di: Aristotele, Generazione e Corruzione, Boringhieri, 1968.

(3) L’opera che Hill pubblicò nel 1601 è: Philosophia Epicurea, Democritiana, Theophrastica proposita simpliciter, non edocta, Parigi, 1601.

(4) Si tenga conto che il primo manoscritto del De Rerum Natura di Lucrezio fu ritrovato nei primi anni del XV secolo in un monastero in Germania. Lo studioso italiano che lo ritrovò, Poggio Braccioloni, lo riportò in Italia nel 1414. La prima edizione a stampa fu fatta a Brescia nel 1473. L’opera fu tradotta in francese nel 1677 ed in inglese nel 1683.

(5) Nell’opera: Animadversiones in decimum librum Diogenis Laertii – Lione. Si tenga conto che un notevole sostegno all’atomismo di Gassendi derivò dagli studi con il microscopio che si cominciarono a fare in quell’epoca.

(6) Nell’opera: Physiologia Epicuro – Gassendo – Charltoniana: or a Fabrick of Science Natural, upon the Hypothesis of Atoms, founded by Epicurus, repaired by Petrus Gassendus, augmented by Walter Charleton, Londra, 1654.

(7) II nome completo di questa Accademia è: « Royal Society for the Advancement of Learning ». Fu fondata nel 1644 da Boyle ad imitazione dell’Accademia dei Lincei che egli ebbe modo di frequentare in occasione di un suo viaggio in Italia. La Royal Society iniziò i suoi lavori a Londra ed Oxford nel 1645; fu ufficialmente riconosciuta da Carlo II nel 1660.

(8) Nell’opera: Principes de Physique, Leida, 1696.

(9) Principia Philosophiae, Amsterdam 1644.

(10) Questa identificazione dell’estensione con la sostanza sarà uno dei cardini della filosofia di Spinoza.

(11) In qualche modo Cartesio mostra di preoccuparsi anche se indirettamente di rispondere ai problemi della « Generazione e Corruzione » di Aristotele.

(12) Vedi l’ultima parte (Sez. IX), del secondo libro dei Principi matematici di filosofia naturale, (UTET) nella traduzione di A. Pala.

(13) Da: Opticks, nella edizione americana « Dover pubblications » – New York – 1952, questione 31, p. 400.

(14) Laddove si toccano, evidentemente, l’attrazione è più forte, secondo Newton.

(15) Si osservi che Newton rifiuta la parola « diffrazione ». Il fenomeno era stato scoperto e chiamato diffrazione da Padre Grimaldi nel 1665, ma Newton non credeva si trattasse di un fenomeno « nuovo ».

(16) Opticks, Dover Publications, New York – 1952: questione 29, pag. 372.

(17) La macchina pneumatica era stata inventata intorno al 1650 da Otto von Guericke. Lo stesso Guericke pubblicò i suoi lavori solo nel 1672.

(18) Opticks, Dover Publications, New York – 1952; questione 18, pag. 349.

(19) Opticks, Dover Publications, New York – 1952; questione 19, pag. 349.

(20) A treatise concerning the principles of human knowledge, Dublino, 1710.

(21) Alciphron, Dublino, 1732.

(22) Iniziarono i grossi lavori enciclopedici tra cui la famosa Encyclopédie, ou dictionnaire raisonné des sciences, des arts et des métiers – 1749/1772.

(23) Watt (1736-1819); Black (1728-1799); Beccaria (1716-1781); Cavendish (1731-1810); Franklin (1706-1790); Coulomb (1736-1806); Lavoisier (1743-1794).

(24) « Hydrodynamica ».

(25) A Compleat System of Opticks in Four Books – Vedi in proposito: P. Williams, The origins of field theory, Random House, Londra, 1966; pagg. 14 e seguenti.

(26) Philosophiae Naturalis theoria redacta ad unicam legem virium in Natura existentium – 1758.

(27) Maxwell criticherà in seguito questa affermazione (vedi: Collected Papers – Maxwell – Vol. II – Da « Enciclopedia Britannica », voce Atomo pag. 448 ): « Questa sembra essere una non giustificata concessione all’opinione comune che due corpi non possono coesistere nello stesso luogo. Questa opinione è dedotta dalla nostra esperienza sul comportamento dei corpi di apprezzabili dimensioni, ma noi non abbiamo alcuna evidenza sperimentale che due atomi non possano qualche volta coincidere ». D’altra parte Maxwell aveva un autorevole predecessore che aveva sostenuto la compenetrabilità atomica: Michael Faraday (vedi più avanti).

(28) La teoria di Boscovich fu perfezionata, da un punto di vista matematico, da Laplace nel 1796 (Exposition du Système du Monde).

(29) Nell’opera: Storia naturale generale e teoria del cielo, o ricerca intorno alla costituzione e all’origine meccanica dell’intero sistema del mondo condotta secondo i principi di Newton, 1755.

(30) La stessa ipotesi verrà ripresa e sviluppata da Laplace nel 1796 nell’opera: Exposition du système du monde, anche se sembra che Laplace non fosse a conoscenza del lavoro di Kant.

(31) Quando ancora la lettura di Hume non aveva scosso in Kant la fiducia nella validità delle scienze fisico-matematiche. A partire dal 1769 Kant si dedicò allo studio delle facoltà conoscitive dell’uomo iniziando la parte più importante dei suoi lavori speculativi ed arrivando a rimettere in discussione alcuni concetti ormai consolidati nella tradizione fisica.

(32) Nell’opera: Primi principi metafici della scienza della natura.

(33) La critica della ragion pura, che è del 1781.

(34) Anche la «forza vitale»  chiamata da Blumenback « vita propria» si origina secondo Kant come modificazione delle forze attrattive e repulsive.

(35) Verso la fine de1 secolo a Kant si richiamerà Schelling con il suo dinamismo fisico.

(36) Nelle opere: Idee per una filosofia della natura, 1977; Sull’anima del mondo, 1798; Primo abbozzo per un sistema di filosofia della natura, 1799.

(37) Brewster (1781 -1863); Malus (1775-1812); Ampère (1775-1836); Biot (1774-1862); Mossotti (1791 -1863); Arago (1786 -1853).

(38) Galvani (1737-1798); Volta (1745-1827).

(39) Nell’opera: Esperimenta, circa effectum conflictus electrici in acum magneticam, Copenaghen, Luglio 1820.

(40) Le note furono lette nei giorni: 18 e 25 settembre; 9, 16 e 30 ottobre; 6 novembre. Il sunto di queste note fu pubblicato negli “Annales de Chimie et de Physique” (2), t. XV, p. 59/76 e 170/218 nell’anno 1820 sotto il titolo “De l’action excercée sur un courant électrique par un autre courant, le globe terrestre ou un aimant”. C’è da notare che tutte le memorie di Ampère dal 1820 al 1825 furono raccolte in volume nel 1827 sotto il titolo: “Memoire sur la théorie matematique des phénomènes électrodynamiques uniquement deduit de l’expérience.”

(41) Le memorie furono lette il 30 ottobre ed il 18 dicembre e non furono mai pubblicate (a parte un brevissimo sunto negli Annales de Chimie et de Physique (2) t. XV, p. 222 ed il resoconto di una dissertazione tenuta in una seduta pubblica dell’Académie pubblicato sul Journal des Savants del 1821 alla pag. 221). Una esposizione dettagliata dei lavori di Biot e Savart fu da loro eseguita nella terza edizione del Précis élémentaire de Physique, t.II, p. 704 e segg; 1823 (una esposizione più breve si trova sulla seconda edizione della stessa opera, t. II, p. 117 e segg; 1821).

(42) Vedi Précis élémentaire de Physique, già citata, p. 737 e segg.

(43) Il fenomeno fu scoperto appunto da Ampère nel settembre 1820.

(44) Vedi: Annales de Chimie et de Physique (2), t. XV, p. 71; 1820; (confronta anche con la nota 41).

(45) Pila cortocircuitata.

(46) Dal ragionamento portato avanti da Ampère è implicito che si tratta di elettricità in movimento. È interessante a questo punto fare un’osservazione. Nella seduta dell’Académie des Sciences del 25 settembre 1820, insieme alla seconda comunicazione di Ampère sulle azioni ponderomotrici tra correnti elettriche, Arago fece una comunicazione (vedi: Annales de Chimie et Phisyque (2), t. XV, p. 93-102. 1820) relativa ad alcune esperienze da lui fatte che dimostravano la proprietà della corrente voltaica di magnetizzare barre di ferro e di acciaio. Fra le altre cose egli sostenne (vedi articolo citato pag. 93-94):

…«Avendo adattato un filo cilindrico di rame abbastanza sottile, ad uno dei poli della pila voltaica, ho osservato che all’istante in cui questo filo era in comunicazione con il polo opposto esso attirava la limatura di ferro dolce come avrebbe fatto un vero magnete. Il filo, immerso nella limatura, se ne ricopriva egualmente tutto intorno, e acquistava, a causa di questa aggiunta, un diametro quasi uguale a quello di un calamo di penna ordinaria. L’azione del filo, congiungente i poli, sul ferro si esercita a distanza: è facile vedere in effetti che la limatura si solleva molto prima che il filo sia in contatto con essa …»

Ecco allora che da questa esperienza Arago ricaverà conferma della validità dell’azione a distanza. Dallo stesso tipo di esperienza ben altre informazioni (spettro magnetico: limatura di ferro in cerchi concentrici al filo) e conclusioni ricaverà Faraday negli anni successivi: informazioni e conclusioni che lo porteranno a negare l’esistenza di « forze centrali » (azione a distanza) e ad affermare quella di forze circolari » (azione a contatto). Dalla medesima esperienza ognuno ha trovato ciò che cercava.

(48) Vedi la figura 3.

(49) In una memoria letta all’Académie des Sciences l’8 ed il 15 gennaio 1821 ed inedita. Un resoconto di quanto Ampère aveva letto all’Académie, in questa seduta ed in altre precedenti, fu pubblicato in un articolo inserito negli Annales des Mines, t. V, p. 535-558 e riprodotto nella Recueil d’Observations électrodynamiques, p. 69-70.

(50) Su suggerimento di Fresnel, come lo stesso Ampère sostiene, su un frammento di Memoria (Théorie du Magnétisme) mai terminata e pubblicata a causa del cattivo stato della sua salute.

(51) Vedi: Annales des Mines, t. V, p. 557-558.

(52) Le due lettere inedite sono state ritrovate tra le carte di Ampère appartenenti all’Académie des Sciences. La prima lettera non reca alcuna data, mentre la seconda reca la data del 5 giugno 1821. Per il contenuto delle lettere vedi: Collection de Mémoires relatifs a la Physique, pubblicate dalla Società Francese di Fisica – TOMO II – Parigi 1885.

(53) Memoria sui moti elettromagnetici e la teoria del magnetismo – Quaterly Journal of Science, etc t. XII, Londra, 1822. p. 76 ( la nota porta la data dell’11 settembre 1821).

(54) In base a considerazioni su esperienze che dimostravano alcune differenze tra un magnete ed un solenoide percorso da corrente (nel magnete i poli non sono esattamente alle estremità come nel solenoide; il polo di un magnete attira il polo opposto di un ago magnetico in tutte le posizioni e direzioni mentre per un solenoide ed un ago vi sono delle deviazioni essendovi repulsione per una particolare posizione relativa di solenoide ed ago nella quale il polo dell’ago sarebbe invece attratto da un magnete; i poli dello stesso tipo di un magnete, pur respingendosi a distanza, si attirano quando sono a contatto fatto questo che non si verifica per i solenoidi in cui c’è sempre repulsione tra poli dello stesso tipo).

(55) Réponse a la lettre de M. Von Beck, sur une nouvelle expérience électromagnetique, Journal de Physique, t. XCIII, p. 447 – Ottobre 1821.

(56) Vedi: The Selected Correspondence of Michael Faraday a cura di Pearcy Williams – 1971 – Cambridge University Press – Volume 1: 1812-1848, pag. 130.

(57) Di carattere matematico e relative alla spiegazione teorica che Ampère dava dell’esperimento della rotazione del magnete in sostegno alla sua teoria della molecola elettrodinamica.

(58) Sembra che Dalton abbia per la prima volta esposto la sua teoria in alcune conferenze tenute alla Royal Institution nel 1803-1804. Tuttavia la teoria trovò posto in un’opera in due volumi (pubblicati in epoche successive, 1808 e 1827): Dalton – New System of Chemical Philosophy.

(59) Vedi: Berzelius – Ricerche sulla teoria delle proposizioni chimiche e sulle azioni chimiche dell’elettricità – pubbicate nel 1818 in svedese e tradotte in francese nel 1819. Vedi anche: Berzelius, Trattato di Chimica – la cui prima edizione è del 1808-1818 mentre la quinta ed ultima (molto ampliata) è del 1843-48.

(60) Dalton diede una base scientifica alla teoria atomistica affermando che atomi di diversi elementi dovevano avere pesi diversi e che i composti dovevano essere originati da una combinazione ben determinata degli atomi componenti. Berzelius estese le idee di Dalton introducendo le polarità (positive e negative) degli atomi per spiegare le forze chimiche (con Berzelius si comincia a parlare di teoria della valenza: i composti sono originati dall’unione di atomi di opposte polarità).

(61) A. Avogadro: Mémoires sur les masses relatives des molécules des corps simples, etc (seguito della memoria pubblicata sul Journal de Physique nel 1811), Joumal de Physique, de Chimie et d’Histoire naturelle – t. LXXVIII, p. 131, 1814.

(62) A.M. Ampère: Lettre de M. Ampère a M. le comte Berthollet, sur la determination des proportions dans lesquelles les corps se combinent d’après le nombre et la disposition respective des molécules dont leurs particules intégrantes sont compossées, Annales de Chimie – t. XC, pagg. 43-86, 30 Aprile 1814.

(63) I lavori di Young tra il 1801 ed il 1803 consistono di quattro memorie lette alla Royal Society e raccolte e pubblicate successivamente nell’opera dal titolo: A course of lectures on natural philosophy and the mechanical arts, Londra, 1897.

(64) Nell’opera: Traité de la lumière. Tra le altre cose c’è da osservare che in questa opera Huyghens introdusse l’etere nella fisica come mezzo di sostegno delle onde luminose. Huyghens (1629-1695).

(65) Vedi: A. Fresnel: Oeuvres Complètes, Ed. Verdet, Paris, 1866.

(66) Si osservi che gli stessi ragionamenti sono applicabili anche all’elettricità ed al magnetismo.



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