LA FISICA NELL’OTTOCENTO. PARTE X: RAYLEIGH, PLANCK

  di Roberto Renzetti

INTRODUZIONE

    Avverto che l’aver citato Planck nel titolo non significa che tratterò qui dei suoi lavori che, come già detto nel precedente articolo, ho già trattato nell’altro mio lavoro La nascita della teoria dei “quanti”. I lavori di Planck. Tratterò qui invece alcuni aspetti dei lavori di Planck precedenti al suo lavoro del 1900, quelli che mi saranno utili per parlare dei lavori di Rayleigh e Jeans, rimandando per quanto già sviluppato all’articolo su Planck appena citato.

    Come si deve essere capito dall’articolo precedente, quello su Stefan-Boltzmann e Wien, si entra in argomenti molto tecnici e delicati. Vi è il modo solito di trattare queste cose facendo apparire tutto facile affermando che tale scienziato a trovato tale formula. Le cose non stanno così perché dietro ogni lavoro vi è una dura elaborazione che solo dopo errori e tentativi diversi arriva a duna qualche conclusione. Io preferisco dare il massimo delle elaborazioni che stanno dietro ad un traguardo scientifico. Mi rendo conto che molte persone sono escluse dalla lettura di una matematica abbastanza avanzata ma queste persone possono passare alla conclusione supponendo che io abbia dato direttamente quella. Gli altri, quelli in grado di seguire gli sviluppi analitici, avranno un qualcosa in più senza sottrarre nulla ai primi.

    Quanto dirò su Rayleigh e Jeans si inserisce nel filone di quanto ho scritto su Wien. Ma Rayleigh è un personaggio davvero enciclopedico che permetterà incursioni in vari campi della fisica come accadrà in altri lavori, quando tratterò di alcuni risultati sperimentali di fine Ottocento (raggi X, scariche nei gas rarefatti, tubi a vuoto, scoperta dell’elettrone, …) e riconquisteremo una discorsività analoga ai primi articoli che ho realizzato.

    A margine è doveroso far notare che, da Volta, a parte fugaci apparizioni (Melloni, Matteucci, Bartoli e Mossotti), la fisica italiana non c’è. A oltre 250 anni dal processo a Galileo non c’è modo di riprendersi.

BIOGRAFIA SCIENTIFICA DI RAYLEIGH

   John William Strutt, Lord Rayleigh, nacque  nel 1842 a Langford Grove, una cittadina dell’Essex (contea ad est dell’Inghilterra) da John James e Clara Elizabeth La Touche. La sua famiglia era dell’alta nobiltà e William fu uno dei pochissimi rampolli di tale discendenza che abbia mai pensato di dedicare la sua vita alla scienza. In genere, dopo una formazione culturale generale, la vita di queste persone passava nella gestione delle loro immense proprietà terriere. I primi anni di William furono caratterizzati da una salute molto cagionevole tanto che in famiglia si pensava che il piccolo non ce l’avrebbe fatta a diventare adulto. Ciò lo costrinse ad un’educazione disordinata e spesso interrotta. Già all’età di 10 anni ne aveva passati vari nella scuola del sanatorio, quindi, dopo un breve periodo ad Eton, aveva studiato 3 anni presso una scuola privata a Wimbledon. Aveva poi trascorso un breve periodo alla scuola di Harrow prima di iniziare, nel 1857, gli ultima 4 anni della sua educazione superiore al Collegio del  Reverendo George Townsend Warner di Torquay con un tutore che lo seguiva da vicino ed al quale mostrò di avere abilità matematiche.

    Nel 1861 entrò al Trinity College di Cambridge per studiare matematica. Non era tra i migliori studenti per preparazione avuta in passato ma, con il suo tutore, Edward Routh, un matematico di rilievo e tra i migliori tutori di Cambridge al quale vanno ascritti moltissimi meriti per la crescita scientifica del giovane John, iniziò a mostrare eccezionali capacità di recupero che gli permisero, nel 1865, di essere Senior Wrangler ai Mathematical Tripos ed anche vincitore del Premio Smith. Grande importanza nella formazione di William la ebbe il professore di Matematica a Cambridge, Stokes. Questi utilizzava una notevole novità didattica perché usava fare le sue lezioni accompagnandole con esperienze che eccitavano molto la fantasia degli studenti.

    Al 1865, quindi, risale la laurea di William Strutt (Bachelor of Arts o BA); il suo master (Master of Arts o MA) è invece del 1868 mentre nel 1866 era già stato eletto Fellowship al Trinity, posto che mantenne fino al 1871 quando si sposò con Evelyn Balfour, figlia dell’influente politico James e sorella di Arthur che sarà primo ministro e ministro degli esteri britannico (è sua la Dichiarazione Balfour del 1917 sulla sistemazione ebraica in Palestina), dalla quale ebbe tre figli. Appena terminati gli studi (BA) William fece un viaggio negli USA dove comprò strumenti scientifici con i quali, tornato in Inghilterra, fece esperienze in casa. Nel 1872, a seguito di attacchi di febbri reumatiche, fu costretto a passare l’inverno tra Egitto e Grecia. Il viaggio, fatto con la moglie, fu lungo e terminò nella primavera del 1873. Appena tornato morì il padre e William Strutt divenne Barone di Rayleigh, cioè Lord Rayleigh, e si dovette trasferire nella dimora del padre Terling Place, a Witham (Essex), che divenne la sua residenza con la conseguenza di dover iniziare ad occuparsi dell’enorme proprietà (circa 3000 ettari). Mostrò di essere capace di

Terling Place

amministrare le terre con un misto di conoscenze scientifiche che aveva e con quelle agricole che si fece sul campo. Nonostante ciò, nel 1876, passò la gestione di tutti i beni al suo fratello più giovane per potersi dedicare completamente alle sue ricerche scientifiche la cui parte sperimentale la realizzava nella sua dimora nella quale aveva attrezzato un importante laboratorio scientifico ma con strumenti e materiali economici per la non brillante situazione economica in cui venne a trovarsi dopo l’abbandono dell’amministrazione delle proprietà. particolarmente per la crisi in cui versava l’agricoltura inglese.

UNA DIGRESSIONE

    La circostanza dell’acquisto di strumenti scientifici in USA merita una riflessione. E’ un fatto noto che dall’ultimo quarto dell’Ottocento la scienza britannica passò in secondo piano, così come era accaduto cinquanta anni prima alla scienza francese. La potenza emergente era, fuor di ogni dubbio, la Germania soprattutto dopo l’unificazione del 1870. I motivi di questo passaggio di consegne sono molteplici ma alcune cause si possono individuare.

     A partire dalla metà del secolo inizia ad emergere con chiarezza lo stretto legame che l’industria instaura con la ricerca da cui attinge a piene mani. D’altra parte lo stesso mondo scientifico, almeno quello più intraprendente, lavorava direttamente per l’industria (Weber, Kohlraush, Kirchhoff, Kelvin,…)

       Per dare solo un indice di come tutto ciò  rivoluzionò l’intero modo di  produzione  industriale,  si  pensi  che  alla  fine  del  Settecento  (1787) il lavoro nei campi di 19 contadini riusciva a produrre un surplus sufficiente ad alimentare una persona che viveva in città, mentre agli inizi del Novecento (1935) gli stessi 19 contadini riuscivano a produrre un surplus sufficiente ad. alimentare 66 persone che vivevano in città (i dati sono riferiti agli Stati Uniti). Si può quindi ben capire come industrializzazione e meccanizzazione dell’agricoltura dovessero andare di pari passo: sarebbe stato altrimenti impossibile distogliere mano d’opera dai campi per servire alla produzione nell’industria.

    A partire dalla metà dell’Ottocento, in connessione con grandi ristrutturazioni industriali che da una parte prevedevano licenziamenti e dall’altra cambi radicali di sistemi di produzione, iniziarono poi conflitti sempre più estesi tra padroni dell’industria e operai in essa occupati, soprattutto a partire dall’inizio degli anni ’70  quando una profonda crisi economica, che avrà il suo culmine nel crack del 1873 e sarà superata solo nel 1896, si abbatté su tutta l’Europa. 

    Le ristrutturazioni alle quali accennavo erano in stretta connessione con i ritrovati tecnici sempre più indispensabili per mantenere la concorrenza ed i mercati. E’ l’epoca in cui si introducono piccole macchine utensili e, soprattutto, una produzione in serie di alta precisione per permettere l’inizio dell’uso dei pezzi di ricambio.Ma per lo sviluppo di tutti i ritrovati tecnici che si andavano accumulando era indispensabile una enorme disponibilità di capitali. Ma con la crisi, alla quale accennavo, che graverà su tutta l’Europa a partire dal 1873 fino al 1896 (grande depressione economica dalla quale solo la Germania riuscì ad uscire quasi indenne). Come scrivono Baracca, Russo e Ruffo: Il sistema bancario e finanziario subisce trasformazioni profonde per rispondere alle nuove esigenze: da un lato la domanda di capitali per il dilatarsi delle imprese industriali con ritmi crescenti di innovazione tecnologica, dall’altro la quota, sempre più elevata di investimenti all’estero. Il capitale si dà così forme nuove: nascono società finanziarie per azioni i cui rappresentanti siedono nei consigli di amministrazione delle aziende ed il cui potere di controllo si esercita a tutti i livelli della vita economica, politica e sociale.     

    Ma siamo anche nell’epoca dell’espansione, aggressione coloniale ed imperialismo, e ciò unito alle suddette necessità di riconversione  porta alla fine di tutte le imprese più deboli e ad una grossa espulsione di operai dalle fabbriche. La strada che si imboccò, da parte delle neonate grosse concentrazioni industriali sotto forma di società per azioni, cartelli e trusts che ben presto assunsero il ruolo di multinazionali, fu quella dell’ulteriore automazione che porterà alle teorizzazioni e realizzazioni dello statunitense F.W. Taylor (1856-1915), fondatore del metodo dell’organizzazione scientifica del lavoro (parcellizzazione), all’introduzione delle catene di montaggio e ad un grosso aumento di produzione.

    Nel processo di ristrutturazione, a partire dalla crisi de ’73, la Gran Bretagna e la Francia persero il loro primato produttivo, economico, industriale, commerciale e scientifico-tecnologico. Questo primato passò alla Germania ed agli Stati Uniti.

      Indagare con una qualche pretesa di completezza questo passaggio di primato ci porterebbe troppo lontano, ma alcuni elementi per comprenderlo possono essere delineati.

      Certamente la struttura produttiva della Gran Bretagna era, ancora alla metà del secolo, di gran lunga la più possente tra tutte le altre; e qui già  si può cogliere un primo  elemento del declino di questa potenza (che per molti versi è simile a quello della Francia): una struttura solida, che ha dei processi produttivi consolidati già da anni, presenta molto maggiori difficoltà alla riconversione industriale e tecnologica (a meno che si rinunci a gran parte del profitto per le cicliche indispensabili innovazioni).  Altro elemento fondamentale, alla base della perdita del primato britannico,  fu la struttura scolastica ed educativa. Questa difficoltà non si presentò invece alla Germania (ed agli Stati Uniti) che paradossalmente risultò avvantaggiata dalla sua preesistente arretratezza.

      Mentre la Gran Bretagna, manteneva ancora una scuola profondamente classista in cui solo chi aveva soldi poteva andare avanti e non c’era alcun incentivo statale alla pubblica istruzione, mentre in questo paese l’istruzione non aveva alcun legame con il mondo della produzione e forniva una preparazione rigida e poco flessibile, al contrario, in Germania, c’era una grossa promozione statale alla pubblica istruzione, che era obbligatoria a livello primario, non c’era selezione sul censo, c’era una grossa selezione ma solo sulle capacità e la preparazione, c’era una scuola strettamente legata alle esigenze produttive, una scuola molto elastica e flessibile che preparava personale disciplinato ed altamente qualificato, in grado di poter cambiare mansione in caso di necessità; oltre a ciò vi erano anche moltissime scuole per adulti ed in particolare per operai che erano facilitati a frequentarle per il fatto che la legislazione dello Stato faceva obbligo agli industriali di lasciar loro del tempo libero per poter accedere ad esse.

    Per quanto riguarda poi l’istruzione tecnico-scientifica a livello superiore, essa lasciava molto a desiderare in Gran Bretagna, pochi erano gli istituti che vi si dedicavano, pochi coloro che li frequentavano (soltanto nel 1880 l’istruzione primaria venne resa obbligatoria ma con scuole che davano un’istruzione inferiore alle classi inferiori). La stessa struttura rigida della produzione che aveva creato il miracolo britannico ora diventava un ostacolo  alla successiva espansione, non richiedendo il contributo di nuovi tecnici e scienziati.

       In Germania, invece, le scuole tecniche prolificavano. Vi erano una quantità di istituti di ricerca altamente specializzati, gli studenti potevano preparare liberamente piani di studio, i laboratori erano attrezzatissimi, vi si faceva molta ricerca alla quale erano avviati anche gli studenti, vi erano borse di studio vere per studenti meno abbienti, vi si sviluppava, una grande sensibilità ai problemi della produzione. Oltre a ciò, come già accennato, era la stessa industria che da una parte si legava strettamente a questi centri di ricerca (soprattutto per la chimica) e dall’altra manteneva propri laboratori con molti ricercatori al lavoro.

     Ed a proposito del declino della Gran Bretagna, Cardwell osserva che il  fallimento  non  fu  affatto,   in  quel   periodo,   un  fallimento   economico;   fu, invece, sostanzialmente un fallimento scientifico e tecnologico.

     E’ quindi interessante notare che questo fallimento sul piano scientifico e tecnologico è riferito essenzialmente a quanto sia la scienza che la tecnica potevano fare per lo sviluppo dei processi produttivi, infatti non è per nulla vero che in Gran Bretagna non si facesse più scienza, anzi se ne faceva e molto sofisticata (Maxwell, Rayleigh, J.J. Thomson, Rutherford,…), ma non era la scienza che serviva per i settori trainanti dal punto di vista produttivo, non era scienza applicata e non fu in grado di inserirsi nei rivolgimenti scientifici di fine secolo e degli inizi del novecento. Come osservano Baracca e Livi tutto ciò mostra ancora una volta che l’evoluzione della scienza non dipende solo dalla pura rilevanza fisica dei risultati, ma dal modo in cui essi si inseriscono in un processo più complesso, caratterizzato dai livelli di integrazione della scienza nel sistema produttivo e dalla capacità di quest’ultimo di valorizzarne nel modo più completo la ricaduta tecnologica.

    Il fatto che un ricco rampollo della nobiltà inglese debba comprare strumenti negli USA, strumenti che non trova nel suo Paese, la dice lunga sui cambiamenti radicali in corso.

PRIMI LAVORI DI RAYLEIGH

   Rayleigh si occupò di quasi tutta la fisica ed anche di matematica applicata (funzioni di Bessel, funzioni di Legendre, relazioni tra le funzioni di Bessel e quelle di Laplace). Scrisse anche su: Insetti e  colore dei fiori (1874), Il volo irregolare di una palla da tennis (1877), Il levarsi in volo degli uccelli (1883), Il volo facile dell’albatros (1889), Il problema della Whispering Gallery (1910) a proposito degli effetti sonori nelle navate della cattedrale St Paul di Londra. Le prime ricerche ebbero carattere essenzialmente matematico e riguardarono elettromagnetismo, ottica, acustica ed in genere ogni sistema vibrante. In seguito i suoi lavori ebbero anche carattere sperimentale e riguardarono la teoria delle onde, la visione dei colori, lo scattering della luce, il moto dei liquidi, l’idrodinamica, la densità dei gas, la viscosità, la capillarità, l’elasticità, la fotografia. I suoi esperimenti erano estremamente accurati, tanto che lo portarono a stabilire alcuni campioni per le unità elettriche (ampere per la corrente, ohm per la resistenza e volt per la forza elettromotrice).

    Il primo lavoro di Rayleigh è del 1865 all’epoca del suo BA. Esso, di carattere eminentemente matematico, era ispirato dalle 3 memorie elettromagnetiche di Maxwell, On Faraday’s Lines of Force  (Trans. Cambr. Phil. Soc., 10, 1856), On Physical Lines of Force (Phil. Mag., 21, 23, 1861 e 1862), A Dynamical Theory of the Electromagnetic Field (Roy. Soc. Trans., 155, 1864), particolarmente dall’ultima del finire del 1864. Un altro scienziato che ebbe in quell’epoca grande influenza su Rayleigh fu Helmholtz, particolarmente per le sue ricerche di acustica e per il risonatore che aveva realizzato nel 1860. Altri lavori di Rayleigh furono esperienze con il galvanometro che aveva realizzato nel  laboratorio che si era costruito a Terling Place. Presentò tali lavori ad una riunione della British Association del 1868.

    Le prime memorie  di rilievo erano del 1871 e trattavano dello scattering della luce da parte delle molecole d’aria, scattering responsabile dell’azzurro del cielo, prima corretta spiegazione di tale fenomeno (On the light from the sky, its polarisation and colour, Phil. Mag. 41, 107-120; 274-279; 1871 ed anche On the scattering of light by small particles,  Phil. Mag. 41, 447-454). 

    La storia dei tentativi di spiegazione del fenomeno della colorazione del cielo è molto lunga ma costellata di fallimenti. In particolare gli ultimi lavori sull’argomento ruotavano intorno ad un’ipotesi poi dimostratasi falsa, quella che supponeva il fenomeno della colorazione del cielo dovuto a particelle in sospensione nell’alta atmosfera. Rayleigh, come accennato, fu il primo ad incamminare il problema a soluzione a partire da un lavoro di Tyndall del 1869 (On the blue color of the sky, the polarization of sky light, and on the polarization by cloudy matter in general, Proc. Roy. Soc., 17, p. 223) che continuava nell’errore menzionato. Rayleigh riuscì ad aprire la strada ai lavori di Smoluchowski (1872-1917) ed Einstein che iniziarono nel 1904 (fluttuazioni) ed andarono avanti fino al 1910 (con la pubblicazione della memoria di Einstein sulla teoria dell’opalescenza critica).

    Rayleigh trattò il problema mediante la teoria elastica dell’ottica secondo la quale la luce si propaga nell’etere mediante onde, allo stesso modo del suono nell’aria. Facendo l’ipotesi che nell’atmosfera vi siano piccole particelle distribuite in modo discreto, riuscì a ricavare una relazione in grado di descrivere il fenomeno della diffusione della radiazione da parte di queste particelle. Occorre notare che in questi primi lavori Rayleigh non specificava la natura di tali particelle affermando solo che dovevano essere molto più piccole della lunghezza d’onda della luce che le investiva. La cosa sarà ripresa, stimolato da alcune conversazioni avute con Maxwell e da una sua lettera del 1873,  in un lavoro del 1899, On the transmission of light through an atmosphere containing small particles in suspension and the origin of the blue of the sky (Phil. Mag., 47, pp. 375-384), quando affermerà che il fenomeno del cielo azzurro può essere generato dalle molecole d’aria stesse, indipendentemente dalla presenza di altre particelle (anche in assenza di particelle estranee si avrebbe ancora un cielo blu). La relazione trovata da Rayleigh è la seguente:

dove:

I   è l’irradianza cioè l’energia che viene diffusa nell’unità di tempo per unità di area;

I0   è l’irradianza che incide;

(1 + cos2θ)   regola la distribuzione angolare dell’irradianza diffusa;

ε   è la costante dielettrica della particella ed il quoziente in cui compare ε elevato al quadrato rappresenta la polarizzabilità della particella;

V   è il volume della particella;

R   è la distanza della particella dall’osservatore;

n   è il numero di particelle che diffondono;

λ   è la lunghezza d’onda della radiazione incidente.

    La parte d’interesse nella formula è la dipendenza dell’irradianza diffusa dalla quarta potenza di λ. Infatti la luce proveniente dal Sole è composta da differenti lunghezze d’onda. Il rosso ha una lunghezza d’onda pari a 700 nm mentre il blu pari a 400 nm. Ciò vuol dire che la lunghezza d’onda del rosso è circa il doppio (1,75) del blu. L’irradianza dipende dall’inverso della quarta potenza della lunghezza d’onda e ciò vuol dire che l’irradianza del blu è circa 10 volte maggiore di quella del rosso.

Cielo azzurro e luce bianca diretta per un osservatore

A causa di ulteriori scattering a volte vediamo l’orizzonte di un colore pallido o bianco

Al tramonto, in direzione del Sole, la luce fa un lungo tragitto nell’atmosfera e la luce blu, prodottasi all’inizio, subisce ulteriori scattering

In mancanza di particelle diffuse il cielo è nero

    Vi furono difficoltà nell’accettare la teoria di Rayleigh per due motivi principali. Da una parte vi era una forte resistenza da parte del mondo scientifico ad accettare la costituzione corpuscolare della materia e dall’altra vi erano le ipotesi troppo semplicistiche di Rayleigh (particelle sferiche, la costante dielettrica ε varia con  λ  e quindi non è costante, …).

    I primi anni di lavoro di Rayleigh furono però assorbiti da una grande opera, ancora oggi un classico, che lo impegnò a partire dal 1872 e che si portò dietro anche nei suoi viaggi (Egitto, Grecia). Si tratta della The Theory of Sound (Macmillan) che vide la luce in due volumi: nel 1877 il primo, quello che si occupa della meccanica dei mezzi vibranti che producono suono, e nel 1878 quello che tratta la propagazione delle onde acustiche.

    Nel 1879 Rayleigh fu chiamato a succedere a Maxwell nella cattedra Cavendish presso l’Università di Cambridge, dove rimase fino al 1884 quando si dimise per tornare a dedicarsi alla sola ricerca a Terling(2). Chi occupava la cattedra Cavendish, e Rayleigh era il secondo, aveva il compito di occuparsi dei laboratori Cavendish annessi all’Università. Rayleigh li organizzò in modo brillante trasformandoli in centro didattico e di ricerca. Inaugurò corsi di laboratorio sul calore, sull’ottica, sull’acustica, sull’elettricità ed il magnetismo, sulle proprietà della materia. 

    In quegli anni, ed anche dopo le dimissioni, Rayleigh ebbe innumerevoli onori e cariche oltre ad essere fatto socio di molte società scientifiche. Questo insieme di attività, oltre alla corrispondenza, permise a Rayleigh di mantenersi a contatto diretto e aggiornato con il mondo scientifico.

      Egli applicò la teoria ondulatoria della luce allo studio matematico del potere risolvente dei prismi e dei reticoli di diffrazione. Egli mostrò che il potere risolvente di un reticolo è determinato oltre che dal numero totale delle linee anche dall’ordine dello spettro (il numero egli spettri che un reticolo genera) e non dalla sottigliezza delle linee medesime (come si pensava). Usò lo sviluppo in serie di Fourier per analizzare gli impulsi luminosi: la luce bianca é rappresentabile da una serie di gruppi d’onda e non da treni d’onda di lunghezza infinita. Trattò l’aberrazione da sfericità (1879). Affrontò il problema della risoluzione di un obiettivo (1896) sfruttando l’analisi della diffrazione da parte di fenditure circolari eseguita da J.B. Airy ( 1801-1892). Scoprì con la collaborazione del chimico William Ramsay (1852-1916) il gas inerte argon (1895) scoperta che, insieme ai suoi studi  sulle densità di vari gas, gli valse il Nobel per la fisica del 1904. Iniziò a discutere con sorprendente anticipo dei principi meccanici del volo (1900). Si occupò di ricercare la dimensione delle molecole studiando le lamine sottili. E fece molto altro.

L’INTERVENTO DI PLANCK SUL CORPO NERO

    Abbiamo visto nel precedente lavoro su Wien a che punto era arrivata la discussione sul corpo nero. In quegli anni un altro fisico si stava occupando del problema, Max Planck che dava i suoi primi importanti contributi a questo complesso problema.

     La questione a questo punto dalla teoria era passata alle misure, misure che  continuavano, soprattutto nell’Istituto di Fisica Tecnica di Charlottenburg di Berlino dove aveva  insegnato Kirchhoff e dove Planck, prima allievo dello stesso Kirchhoff, aveva conseguito la cattedra di Fisica Teorica. Planck era un teorico

Uno dei grafici sulle misure che si susseguivano sul finire del secolo. Questo fu pubblicato da Lummer e Pringsheim nel 1899 e mostra gli andamenti sperimentalmente misurati con le differenti elaborazioni teoriche. Il grafico ha in ascisse la lunghezza d’onda ed in ordinata l’energia. (Da Bellone).

fortemente indirizzato alla ricerca di principi unificanti nella fisica e, tra questi, l’entropia assumeva, nel suo programma, un ruolo preminente. I suoi studi erano essenzialmente indirizzati verso la termodinamica ma, certamente, quel carattere universale della funzione di distribuzione della radiazione presente nella teoria di Kirchhoff doveva averlo colpito e fatto pensare di poter avanzare sulla strada dell’unificazione dei principi della fisica mettendo in relazione termodinamica (nella sua formulazione classica e non statistica) ed elettrodinamica. Le due tradizioni erano ben presenti nella Mittle-Europa di fine Ottocento dove emergevano i lavori di Clausius ed Hertz (mentre faticava a farsi strada la visione statistica di Boltzmann). Con questa tradizione culturale alle spalle, Planck tentò la strada della determinazione della funzione universale di distribuzione della radiazione.
    Senza entrare nei dettagli del dibattito che in quegli anni diventava sempre più fitto, basti ricordare che Planck dedicò una gran mole di lavoro al problema del corpo nero ed i suoi primi contributi sono contenuti in cinque memorie pubblicate tra il 1897 ed il 1899 tutte con il titolo Über irreversible Strahlungsvorgänge (Berl. Ber.) tutte pubblicate nella rivista Sitzungberichte dell’Accademia delle Scienze di Berlino non troppo diffusa e comunque non come gli Annalen der Physik. In esse l’approccio di Planck al problema va pian piano modificandosi, anche per interventi esterni (Boltzmann) che gli faranno notare gli ‘errori’ nell’impostazione. Non svilupperò il calcolo nei dettagli ma tenterò di far comprendere il cammino del pensiero che via via va rettificandosi.


    Planck, come già altri suoi autorevoli predecessori, iniziò con il considerare una radiazione racchiusa in una cavità. Si dovrà considerare, per via puramente elettrodinamica, un certo equilibrio che si realizzerà tra l’assorbimento e la riemissione della medesima radiazione da parte delle pareti della cavità. Queste pareti sono considerate come costituite da oscillatori armonici hertziani che, per loro natura, assorbono le onde elettromagnetiche ed in modo irreversibile le riemettono. Questo è l’aspetto che lega, per Planck, l’elettrodinamica alla termodinamica: l’irreversibilità insita nel 2º principio.
    Fu Boltzmann che invitò Planck a rivedere questa impostazione: nulla, all’interno delle equazioni dell’elettrodinamica, autorizza a pensare che esse non siano reversibili; piuttosto c’è il problema di introdurre metodi statistici e quindi il concetto di stato più probabile. L’aspetto statistico non era molto amato da Planck però, dopo svariati tentativi per non entrarvi, dovette riconoscere che Boltzmann aveva ragione.
    Planck assunse allora che non vi è così stretto rapporto causale tra la radiazione che viene assorbita dagli oscillatori e la sua riemissione da parte dei medesimi. È un fatto naturale che in questo fenomeno, nel suo complesso, si debba considerare
l’irreversibilità. Dal punto di vista del calcolo rimaneva però l’idea che, all’equilibrio, emissione ed assorbimento da parte degli oscillatori costituenti le pareti della cavità debbono essere uguali. Mediante l’elettrodinamica egli si calcolò i valori medi dell’emissione e dell’assorbimento di un oscillatore di data frequenza ν , immerso in una data radiazione ed in equilibrio statistico con essa, e trovò che la funzione di distribuzione dell’energia della radiazione è data da:
 

(1)                                         

dove c è la velocità della luce ed U barrato è l’energia media dell’oscillatore (per ragioni di semplicità, da qui in avanti, userò U senza barra). Restava il problema del calcolo di U. Ma è a questo punto che subentra la termodinamica e l’approccio originale di Planck che affronta il calcolo di U legando questa grandezza all’entropia S del sistema piuttosto che alla sua temperatura T. Qui si può anche intravedere l’avversione che Planck, all’epoca, aveva verso metodi eminentemente statistici e, particolarmente, verso il teorema di equipartizione dell’energia, stabilito da Boltzmann fin dal 1868 e rielaborato nel 1896, teorema che gli avrebbe facilmente permesso di trovare una semplice dipendenza di U da T. Il perché Planck scelse un’altra strada non lo sappiamo, anche se vari storici hanno costruito differenti ipotesi. Resta il fatto che nell’ultima delle cinque memorie citate, senza giustificazione analitica (solo nel 1920, in occasione della Nobel lecture per il conferimento del Nobel, Planck spiegò di aver seguito un cammino che prendeva le mosse dall’unica legge che, all’epoca, sembrava attendibile, quella di Wien), Planck fornisce per l’entropia S dell’oscillatore la seguente espressione:

(2) 

                                          
dove e è la base dei logaritmi naturali ed A e D sono due costanti da determinare, che Planck chiama ‘universali’. Secondo quanto Planck disse successivamente, in occasione della sua Nobel Lecture, è possibile risalire alla (2) dal confronto della  della (1) e  della legge di Wien (la 27 dell’articolo su Wien)(3) scritta però in funzione della frequenza in luogo della lunghezza d’onda, come riportata nella (3):

(3)                                 

    Si ha successivamente:
 

da cui, ricavando U, passando ai logaritmi dei due membri e ponendo

si trova:

 (4)                                      

    Ricordando: la definizione di entropia dS = δQ/T, il 1º principio δQ = dU – pdV e che la trasformazione è a volume constante, si ha dS = dU/T da cui:
 

(5)                                               
 

    Segue allora:



che è proprio la (4)(4).

    Una tale definizione dell’entropia elettrica totale del sistema (intesa come somma dell’entropia degli oscillatori e della radiazione) è in accordo con il 2º principio poiché S è funzione della sola U che a sua volta è funzione della sola T. Siamo quindi di fronte ad una funzione di stato che, inoltre, cresce sempre fino ad un massimo che si ha quando si raggiunge l’equilibrio. Ma questo valore dell’entropia era determinato univocamente a priori dall’avere uguagliato la legge (3) di Wien con l’espressione (1) che Planck medesimo aveva trovato per la funzione di distribuzione dell’energia della radiazione. È quindi l’ammissione della correttezza della (3) che fa ricavare la (4).

Planck ed Einstein


    Ma, sul finire del 1899, alcune misure nella regione delle grandi lunghezze d’onda fatte da due suoi colleghi all’Istituto di Fisica Tecnica di Charlottenburg, Lummer e Pringsheim e comunicategli in anteprima, iniziarono a mettere in discussione la validità della legge di Wien. Fu allora che Planck, già dubbioso dell’operazione fatta, tentò di ricavare S non più a partire dalla (3) ma per altra via. La cosa gli risultò oltremodo difficile perché l’intera operazione implicava la rinuncia ad alcune sue convinzioni di fondo e, particolarmente, alla sua visione determinista e macroscopica della termodinamica. Si trattava di mettersi sulla via aperta da Boltzmann: introdurre il microscopico, la statistica e la probabilità   all’interno della trattazione termodinamica della radiazione. Su questa strada Planck inizierà ad incamminarsi non riuscendo più con la termodinamica del macroscopico a risolvere alcunché (anch’egli quindi si scontrò con le stesse difficoltà che aveva incontrato Wien)(5).


LA LEGGE DELL’IRRAGGIAMENTO DI RAYLEIGH


    Nel giugno del 1900 intervenne sull’argomento ‘corpo nero’ Rayleigh(6) con la sua breve memoria Remarks upon the Law of Complete Radiation (Phil. Mag., 49, pp. 539-540, 1900). Il fisico britannico era, come visto, un esperto di fenomeni vibratori e, sotto questo punto di vista, affrontò il problema intervenendo su alcune incongruenze della legge di Wien. Secondo quest’ultima, per λT grande rispetto alla constante a, che compare nell’esponenziale della legge dell’irraggiamento di Wien (vedi la relazione 27 di nota 3), all’aumentare della temperatura, l’energia dovrebbe smettere di aumentare. Questa inversione nell’andamento della funzione dovrebbe avvenire a lunghezze d’onda misurabili e, proprio alcune misure di Rubens, indicavano la non correttezza di quanto ora  detto ed  implicato  nella legge di Wien. Se in quest’ultima, anziché 1/λ5, comparisse T/λ4 le cose tornerebbero al loro posto (almeno a livello delle lunghezze d’onda considerate). Pertanto Rayleigh si mosse, per ricavare la sua legge, in parte guidato da considerazioni teoriche ed in parte condizionato dal risultato che doveva ottenere. E come conseguenza di ragionamenti non troppo compre

nsibili presentò per la funzione di distribuzione dell’energia, una formula del tipo:


 (6)                                        

    Solo nel 1905, nella memoria The Dynamical Theory of Gases and Radiation (Nature, 72, pp. 54-55), e proprio nell’anno in cui James Jeans (1877-1946) rielaborò il suo metodo, Rayleigh specificò meglio gli sviluppi del calcolo che conducevano alla (6), in una successiva memoria. Il campo elettromagnetico che costituisce la radiazione in una cavità(7) viene schematizzato da Rayleigh come un sistema di vibrazioni di un mezzo elastico che, in primissima approssimazione, è inteso essere una corda vibrante con estremi fissi. Ora, le lunghezze d’onda delle oscillazioni stazionarie che possono costruirsi su una corda di lunghezza L possono solo ubbidire alla legge elementare:


dove k = 1,2,… Passando alla frequenza si avrà:

 


dove v è la velocità di propagazione dell’oscillazione lungo la corda. Se invece di oscillazioni su una corda si considerano onde elettromagnetiche nell’etere contenuto in una cavità schematizzata per semplicità come un cubo di spigolo L e di volume V = L3, tutto va allo stesso modo, con il patto di sostituire v con c e di pensare le onde come stazionarie con nodi sulle pareti della cavità (è un caso particolare da considerarsi come prima semplice approssimazione). In questo caso, infine, si deve tenere conto che tre sono le direzioni dello spazio lungo le quali possono costruirsi onde stazionarie con piani di fase uguali e con normali comunque dirette rispetto agli assi coordinati. Allora, anziché il solo k, occorrerà introdurre tre numeri interi k = 1,2,…; l = 1,2,… ; m = 1,2,…  (che ci forniscono le condizioni di esistenza di un’onda in ciascuna delle direzioni dello spazio) e tre angoli α, β, γ che danno l’inclinazione delle normali all’onda stazionaria rispetto agli assi coordinati (la figura seguente mostra la situazione nel caso

bidimensionale) e le condizioni di esistenza di un’onda (da essere simultaneamente soddisfatte) sono:
 

Elevando al quadrato, sommando e semplificando si trova:

                              
da cui:

                                               

e, considerando k, l, m come le coordinate spaziali di un dato punto, possiamo pensare che questo punto si trovi su di una sfera di raggio

    Dalla penultima relazione scritta si ricava:

    Allora il numero di modi normali di vibrazione dN è dato dal numero dei punti compreso nel primo ottante (occorre considerare il primo ottante perché per loro definizione k, l, m devono essere tutti e tre positivi) della corona sferica di raggi R ed R + dR che ha volume:
 

ma poiché risulta  λ = 2L/R si ha in modulo λ(8):

Se si tiene poi conto dei due possibili stati di polarizzazione della radiazione occorrerà moltiplicare per 2 il secondo membro, di modo che per il numero di modi di vibrazione per unità di volume si ha:
 

La funzione di distribuzione dell’energia, f(λ ,T), si ottiene moltiplicando il numero di modi di vibrazione (per unità di volume) per il valor medio dell’energia di un modo di vibrazione all’equilibrio termico alla temperatura T, cioè per U:


(7)                                

E qui Rayleigh si trova di fronte allo stesso problema che aveva avuto Planck: quale valore assegnare ad U. Egli non esita però ad utilizzare l’equipartizione dell’energia assegnando all’energia totale media il valore(9):
 

Per cui:

(8)                

oppure      

(avendo fornito anche la funzione di distribuzione per la frequenza) e questa è la legge di Rayleigh (nota, dopo il 1905, come legge di Rayleigh – Jeans)(10). Resta solo da osservare che nel 1900 la legge di Rayleigh aveva la forma (6). Rayleygh, infatti, per formulare una legge che fosse più simile a quella di Wien che all’epoca, ricordiamolo, era la più vicina ai dati sperimentali, propose di moltiplicare la (8) per un fattore correttivo che era proprio l’esponenziale e elevato a – a/λT che figurava nella legge di Wien. Sarebbero stati poi gli sperimentatori a dirimere la questione e a sciogliere il problema di questa ipotesi ad hoc che rendeva conto dei dati sperimentali allora noti. Si vede facilmente comunque che questa legge funziona bene solo per lunghezze d’onda molto grandi mentre, al diminuire della lunghezza d’onda, lo scostamento dalla curva sperimentale è sempre maggiore.

James Jeans

 
    Se si considera ora la (8) e si moltiplica numeratore e denominatore del secondo membro per λ, si vede subito che f (λ,T) = 0 per T = 0 e ciò è in disaccordo con la legge dello spostamento di Wien che è invece in accordo con i dati sperimentali. Inoltre, secondo la legge di Rayleigh, l’energia emessa da un

Confronto tra dati sperimentali e teorie del corpo nero. L’emissione di energia secondo la legge di Rayleigh aumenta continuamente al diminuire della lunghezza d’onda (o aumenta continuamente all’aumentare della frequenza) mentre, secondo l’esperienza essa è massima, per una data temperatura, in corrispondenza ad una determinata frequenza.

corpo nero deve crescere sempre al diminuire di λ. E ciò significa che la costante della legge di Stefan – Boltzmann deve avere un valore infinito. Anche questa conclusione è in contrasto con l’esperienza. Insomma siamo in una crisi profonda della fisica classica che non riesce in alcun modo a spiegare dei fatti sperimentali. Il seguito di questa storia è, come già detto, trattato in La nascita della teoria dei “quanti”. I lavori di Planck.

ULTIMI ANNI

     Rayleigh dedicò tutta la sua vita alla ricerca scientifica ed ebbe grandi meriti nel divulgare e diffondere la scienza oltre che a dare ulteriore prestigio al suo Paese. Egli era diventato Fellow della Royal Society nel 1873, fu poi segretario della Society dal 1885 al 1896, e ne divenne Presidente dal 1905 al 1908. Fu anche Presidente della Society for Psychical Research da dove potè diffondere l’interesse per la fisica. Intanto nel 1902 aveva ricevuto l’Ordine al Merito dal re Edoardo VII.

    Nonostante fama ed onori, Rayleigh restò sempre una persona modesta e generosa. Basti dire che il premio che ottenne dal Nobel del 1904 lo donò all’Università di Cambridge perché procedesse all’ampliamento dei laboratori Cavendish. Nel 1902 bbe a dire di sé:

il solo merito di cui io personalmente sono cosciente è quello di aver provato piacere nei miei studi ed ogni risultato che possa discendere dalle mie ricerche è dovuto al fatto che è stato un piacere per me diventare un fisico.

     Si spense il 30 giugno del 1919 nella sua residenza di Terling Place.


NOTE

 (1) La situazione degli Stati Uniti era in parte simile ed in parte radicalmente diversa da quella della Germania. Questo paese era di relativamente recente costituzione. Negli anni che vanno dal 1861 al 1865 esso aveva dovuto affrontare la sanguinosissima guerra di secessione degli Stati del Sud che, per altri versi, segnò un grosso sforzo produttivo a sostegno delle esigenze belliche, che comportò anche un grosso sforzo tecnologico sia per le stesse esigenze belliche in senso stretto sia per sopperire alla mancanza di mano d’opera, principalmente nei campi, proprio per effetto della guerra. E’ dalla fine di questa guerra che gli Stati Uniti iniziarono la lunga marcia verso il primato produttivo, scientifico e tecnologico a livello mondiale.
    Le enormi distanze nel territorio, la scarsità di mano d’opera, le enormi ricchezze della terra sia per usi agricoli che estrattivi, furono da stimolo ad uno sviluppo che si differenziava da quello europeo. In questo Paese la necessità imponeva soprattutto di occuparsi di trasporti, comunicazioni (la conquista del West) ed automazione (per sopperire alla scarsità di mano d’opera che era invece abbondante in Gran Bretagna e Germania. Tra l’altro la forza lavoro negli Stati Uniti costava di più di quanto non costasse nei paesi citati, proprio per la sua scarsità. Questo fu un ulteriore incentivo allo sviluppo, negli Stati Uniti, di macchine sostitutive del lavoro umano) sulla base, soprattutto, di una notevole mole di tecnologia empirica e su  una legislazione tra le più avanzate del mondo per i brevetti (essa risaliva al 1691 e fu poi perfezionata nel 1790). D’altra parte anche le prestazioni operaie erano scarsamente qualificate a causa della inesistente tradizione culturale e quindi educativa di quel Paese. Pertanto gli Stati Uniti puntarono essenzialmente sulla quantità di prodotto e sulle industrie di assemblaggio, al contrario di quel che faceva la Germania che puntava sulla qualità del prodotto e sulle industrie di trasformazione ad alta tecnologia. Tutto ciò comunque portò gli Stati Uniti al primato che condivise con la Germania alla fine del secolo. La Gran Bretagna  invece, alla fine del secolo, pur mantenendo ancora un certo primato in alcuni settori produttivi, che erano stati quelli che avevano fatto la sua fortuna all’epoca della prima rivoluzione industriale (industrie tessili e minerarie), si trovava nella situazione in cui il resto delle sue industrie erano per lo più filiali di ditte americane e tedesche o erano state impiantate da stranieri naturalizzati.

(2) La cattedra, nonostante fosse prestigiosa, fu accettata da Rayleigh per lr ragioni economiche alle quali ho accennato. Quando la lascerà tali questioni non erano state risolte ma Rayleigh aveva trovato il modo di avere ingressi economici corrispondenti alla cattedra tramite periodici viaggi a Londra per dare consulenze a società scientifiche o d’altro tipo a pagamento.

(3) La 27 dell’articolo su Wien era:

(27)                                      

per scriverla come la (3) del testo si tenga conto che nel passaggio dalla λ alla ν occorre passare anche dalla  alla . Si

da cui:

e quindi la (3), discendente dalla (27), si scrive:

(3)                                    

(4) Occorre a questo punto osservare che, come abbiamo già visto, valgono le relazioni seguenti ricavate a partire dall’eguagliare la (4) e la (5):

da cui segue:

(5′)                                             

(5) Si deve tenere conto che nell’anno 1900 nella fisica ancora non erano entrati concetti e metodi di meccanica e termodinamica statistica (il lavoro fondamentale di Gibbs è del 1902). Si lavorava intorno alla teoria cinetica dei gas e qualche volta si faceva irrompere questa nella termodinamica. La stessa relazione di Boltzmann S = k·log W del 1877 restò dormiente fino a quando lo stesso Planck non la riprese nei suoi lavori del 1900.

(6) Le elaborazioni di Rayleigh ebbero un seguito in una memoria del 1905. Nello stesso anno Jeans rielaborò il metodo suggerito da Rayleigh per calcolare il numero dei modi di vibrazione.

(7)  L’etere è il mezzo elastico contenuto nella cavità. Esso è per sua natura un mezzo continuo e come tale ha un infinito numero di gradi di libertà. La cavità deve essere intesa con pareti perfettamente riflettenti e messa alla temperatura T. La radiazione elettromagnetica contenuta nella cavità è la radiazione infrarossa emessa dalle pareti a temperatura T.

(8) Si ha:

da cui le conclusioni.

(9)  L’energia media totale (potenziale + cinetica) per un oscillatore armonico in 3 dimensioni è data da U = 3kT (ogni grado di libertà fornisce un contributo di kT). Si deve però tener conto che a frequenze elevate questo risultato, che non fornisce dipendenza dalla frequenza, non ha significato. In tal caso varrebbero le leggi di Rayleigh-Jeans e Wien che forniscono emissione infinita a tali frequenze, fatto decisamente negato dall’esperienza. È utile osservare che, dato un oscillatore armonico di qualunque tipo, del quale non si conosce la natura, vale sempre una relazione del tipo: 2πν = √k/L dove k ed L sono costanti positive che dipendono dalla natura dell’oscillatore.

(10) Occorre notare che il lavoro di Rayleigh del 1900 era del tutto differente da quello qui presentato. In tale lavoro egli era mosso da una completa sfiducia sull’equipartizione dell’energia e si muoveva cercando la legge attraverso analogie con i modi di vibrazione dell’acustica.  Egli scriveva: 

 Speculation upon this subject is hampered by the difficulties which attend the Boltzmann-Maxwell doctrine of the partition of energy. According to this doctrine every mode of vibration should be alike favoured; and although for some reason not yet explained the doctrine fails in general, it seems possible that it may apply to the graver modes.  Let us consider in illustration the case of a stretched string vibrating transversely. According to the Boltzmann-Maxwell law the energy should be equally divided among all the modes, whose frequencies are as 1, 2, 3, …. Hence if k be the reciprocal of X, representing the frequency, the energy between the limits k and k + dk is (when k is large enough) represented by dk simply.

    La relazione fornita da Rayleigh nel 1900, in modo non troppo comprensibile ed incompleto, era la (6) del testo che è ben diversa dalla (8). Come accennato, il suo tentativo era di rispondere ai dati sperimentali e ciò lo indusse ad introdurre senza una completa giustificazioni teorica il fattore λ-4T in luogo di λ-5 presente nella legge di Wien. Alla fine della sua memoria Rayleigh auspicava che i distinti sperimentatori avrebbero verificato la validità della sua relazione. Immediatamente dopo Rubens fece sapere che la legge era in accordo con l’esperienza per grandi valori di λT e subito dopo Rubens e Kurlbaum provarono sperimentalmente che per valori piccoli di λT  la legge di Rayleigh funzionava come quella di Planck che abbiamo discusso: completo disaccordo.

Nel 1905 Jeans che, oltre a scrivere un libro sui gas (Teoria dinamica dei gas, 1904), già dal 1901 si era occupato in varie occasioni del problema della distribuzione dell’energia tra molecole utilizzando l’equipartizione, scrisse vari articoli sull’argomento, due dei quali relativi al lavcoro di Rayleigh del 1900: On the Partition of Energy between Matter and Aether (Phil. Mag., 10, pp. 91-98) e On the Application of Statistical Mechanics to the General Dynamics of Matter and Aether (Proc. Roy. Soc. London76, pp. 296-311).


BIBLIOGRAFIA

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(4) Articoli di Enrico Bellone in: Paolo Rossi (diretta da) – Storia della scienza – UTET 1988

(5) Max Born – Atomic Physics – Blackie & Son, London 1962

(6) Friedrich Hund – Storia della teoria dei quanti – Boringhieri 1980

(7) Guido Tagliaferri – Storia della fisica quantistica – Franco Angeli 1985

(8) Mario Gliozzi – Storia della fisica – in: N. Abbagnano (diretta da) – Storia delle Scienze, UTET 1965

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(11) Piero Caldirola – Lezioni di fisica teorica – Viscontea, Milano, dopo 1950

(12) Samuel Tolansky – Introduzione alla fisica atomica – Boringhieri 1966

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(23) William Berkson – Fields of Force: The development of a World View from Faraday to Einstein – Routledge e Kegan 1981



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