DARWIN, IL BUON SENSO, l’IMMAGINAZIONE.

Roberto Renzetti

(Questo lavoro era stato scritto per la rivista del CIDI, Insegnare, prima che si scatenassero le reazioni al mio precedente articolo che Insegnare aveva pubblicato nel numero di Giugno 2004, Le mani sulla scuola che si trova in http://www.fisicamente.net/index-521.htm. Da quel momento questo ed altri articoli che avevo scritto per la rivista, nel completo silenzio della redazione, sono morti).

“Signore, io posso spiegarle

ma non posso capire per lei”

Samuel Johnson

ABBIAMO INIZIATO COSI’

            Alla fine del Cinquecento, all’incirca da 2000 anni, il sistema del mondo era in gran parte quello aristotelico-tolemaico. L’osservazione empirica della realtà circostante offriva quel mondo e non un altro. Oggi continuiamo allo stesso modo e non ci soffermiamo a pensare su ciò che vediamo istante per istante e neppure mettiamo in relazione il linguaggio che usiamo con una rappresentazione del mondo. Tutti noi diciamo che “il Sole sorge …”, “il Sole tramonta …” e vediamo il Sole “camminare nel cielo” nel corso della giornata. Le stelle sono fisse tra loro ma, anch’esse, si fanno belle passeggiate nel corso delle 24 ore. Ma poi diciamo “la sfera d’influenza”, “la furia degli elementi”, “ti tengo nel cuore”, …  Anche nel Duecento si viveva una stessa situazione se San Tommaso si chiedeva, con una certa disperazione, come poteva il corpo di Gesù essere asceso al cielo se non si vedevano buchi nelle sfere cristalline dei vari cieli. Siamo ancora dentro Aristotele ma facciamo finta di niente. Se non credete a quanto dico, fate un piccolissimo esperimento: chiedete ai vostri ragazzi, anche i più avanti nel corso di studi, che vi diano una prova, una sola, della Terra che ruota intorno al Sole. Non credo che le cose si allontanino troppo da un nuovo fideismo: ora è la Terra che ruota intorno al Sole perché ce lo hanno detto e se qualcuno dice il contrario dice il falso.

            In definitiva, si afferma oggi l’eliocentrismo per convenzione, in barba ad ogni esperienza sensibile che pure facciamo tutti i giorni! Povero Copernico … ma, soprattutto, povero Galileo! Si perché Copernico aveva fatto una strana operazione, aveva mescolato Aristotele con la grande novità eliocentrica che egli stesso aveva introdotto. Ne veniva fuori una vera confusione. Il compito di riscrivere il “comportamento” di tutte le cose, intorno a questo fatto clamoroso, fu di Galileo che, casualmente ebbe un qualche problema con le Moratti ed i Bertagna del suo tempo (i: modestia a parte).

            Alcune vicende dovevano essere indagate e Galileo fece ciò con un pre-giudizio, egli credeva che Copernico avesse ragione. Quindi ha indagato su una idea preesistente. Nessuno sciocco è mai entrato in un laboratorio aspettando che gli strumenti gli fornissero idee. Data la teoria a priori si cerca di vedere se è ragionevole, se è affidabile, se funziona. Ma, senza questa seconda parte, la teoria resta tale. Ed è stato proprio Galileo ad introdurre questo metodo del continuo confronto delle idee con i fatti sperimentali, anche se oggi questa cosa risulta molto più mediata e non certamente come la racconta un signore che continua a parlare di fisica a sproposito in TV. Galileo è stato il primo a dare un sistema epistemologico di momentanea validazione di una teoria; egli dice: data una teoria, “una sola esperienza o concludente dimostrazione che si avesse in contrario, basta a battere in terra questi ed altri centomila argomenti probabili” (Galileo per bocca di Salviati nel Dialogo sui Massimi Sistemi, giornata seconda). E’ utile  notare che questa cosa è stata ripresa pari pari da Popper e, alcuni  modestia a parte, sanno che l’idea è di Popper quando è di solo 300 anni prima.

            Ma cosa doveva fare Galileo per dar sostegno al suo pregiudizio, alla Terra che ruota su se stessa ed intorno al Sole? Sembra semplice ma doveva sfatare alcune radicatissime credenze che nascevano dall’osservazione empirica. Doveva cioè violentare il senso comune. Egli dice: “… io stupisco come non si sia mai trovato alcuno che abbia abbracciata  e seguita  [la teoria copernicana], né posso a bastanza ammirare l’eminenza dell’ingegno di quelli che l’anno ricevuta e stimata vera, ed hanno con la vivacità dell’intelletto loro fatto forza tale a i proprii sensi, che abbiano potuto antepor quello che il discorso gli dettava, a quello che le sensate esperienze gli mostravano apertissimamente in contrario. Che le ragioni contro alla vertigine diurna della Terra … abbiano grandissima apparenza, già l’abbiamo veduto, e l’averle ricevute per concludentissime i Tolemaici, gli Aristotelici e tutti i lor seguaci, è ben grandissimo argomento della loro efficacia; ma quelle esperienze che apertamente contrariano al movimento annuo, son ben di tanto più apparente repugnanza, che … non posso trovar termine all’ammirazion mia, come abbia possuto in Aristarco e nel Copernico far la ragione tanta violenza al senso, che contra a questo ella si sia fatta padrona della loro credulità”. (Ibidem)

Vedremo ancora che è sempre la violazione del senso comune che permette balzi in avanti nell’invenzione (insieme ad altre condizioni tecnico-economico-politiche). Tralasciando i motivi di fondo della ricerca galileiana, vediamone qualche dettaglio.

IL PIANO INCLINATO

            Vi prego di stare tranquilli qui non si parla di quella cosa oscena ma del vero significato da assegnare ad essa. Una delle cose che Galileo doveva sottoporre ad esperienza era il fatto che un dato oggetto cadesse non a velocità costante (Aristotele) ma “a diversi gradi di velocità”, cioè accelerando. Se provate a misurare i tempi impiegati per dati spazi in un oggetto in caduta con il vostro cronometro resterete delusi. Non misurate nulla! I tempi sono piccolissimi, i traguardi delicatissimi, le sincronizzazioni impossibili. E stiamo riferendoci ad oggi, non a quasi 400 anni fa. Il povero Galileo doveva arrangiarsi con i battiti del polso o con gli orologi ad acqua. Niente cronometri, niente pulsanti di sincronizzazione, nessun elettromagnete collegato con lo start dell’orologio, nessuna fotoelettrica, … Si provi a misurare il tempo di caduta di un libro dall’alto di una libreria … Impossibile. Come fare?

            Qui viene fuori l’immaginazione, la capacità di inventare, di astrarre. Galileo non può inventare un cronometro perché la tecnologia del suo tempo non glielo permette, non può far altro che affidarsi alla sola sua mente. E qui viene il colpo di  genio che, nei libri di scuola, è diventata l’oscenità di cui all’inizio: il piano inclinato. Galileo capisce che la legge del moto per un oggetto in caduta libera e per un oggetto su di un piano inclinato è la stessa. Ed allora usa il piano inclinato per … rallentare il moto, in modo che lo stesso tipo di moto avvenga in maggior tempo e quindi misurabile! Usa dei campanellini a distanze regolari; i suoi artigiani gli sanno costruire piani inclinati eccellenti lunghi anche 4 metri (è evidente che se la tecnologia non è al passo non vi sono invenzioni possibili), … e qui trova conferma sperimentale al suo pregiudizio.

            Ma solo chi si sofferma a pensare seriamente può capire fino in fondo quanto si riesca ad inventare immaginando! Chi può pensare al tempo di Galileo a spazi infiniti (oltre a Giordano Bruno) ? Chi può legare l’osservazione del mondo circostante con la geometria, si proprio quella cosa di Euclide che era stata da poco riscoperta? Egli fa tante cose insieme da lasciare davvero incantati. A Galileo serviva la scoperta di quello che oggi è noto come principio d’inerzia. C’era da rendere conto di gravissime obiezioni a Copernico. Innanzitutto proprio lo sfatare il dato empirico. Come interpretare il fatto che vediamo il Sole muoversi e non percepiamo il moto della Terra? Le due cose si risolvono con la relatività di Galileo: guardando da qui vediamo ciò che vediamo ma se guardassimo dal Sole vedremmo come stanno davvero le cose, inoltre se uno è in moto su un dato oggetto (Terra) che si muove a velocità costante (la Terra si può approssimare a questo) non percepisce il moto (qui nasce una delle più splendide pagine di Galileo, quando invita a rinchiudersi in una stiva di una nave per rendersi conto che non si sa se si muove o no a meno che non freni, acceleri o faccia gl’inchini). E, contro ogni buon senso, mostra che la quiete ed il moto uniforme sono la stessa cosa!  Ma perché se la Terra corre veloce nello spazio le nuvole restano legate ad essa? Perché, se la Terra gira su se stessa e noi facciamo un salto, ci ritroviamo sempre nello stesso luogo ? E perché un passerotto che vede un gustoso verme dall’alto di un  albero, quando lo va a prendere, lo trova ancora lì e non spostato del tragitto che nel frattempo ha percorso la terra? Mancava ciò che Galileo stabilisce, il principio di inerzia generalizzato e cioè il fatto che tutte le cose che si muovono con un oggetto in moto, hanno lo stesso suo moto (un autobus ed i suoi passeggeri hanno stesso movimento). E ciò avviene sempre ogni volta si abbia che fare con un moto rettilineo a velocità costante. Inoltre questo moto si mantiene se non vi sono interventi esterni. Ma si mantiene un moto rettilineo a velocità costante? E qui arriviamo al piano inclinato.

            Galileo inizia a far vedere che il movimento si conserva nei limiti delle approssimazioni. Se si mettono due piani inclinati uguali uno di fronte all’altro, una pallina che scenda da una data quota dal primo risalirà sul secondo alla stessa quota (Galileo capisce che il quasi è dovuto ad impedimenti vari che oggi chiameremmo attrito e resistenza dell’aria). Se il piano inclinato contrapposto ha minore pendenza la pallina lo risalirà per una lunghezza maggiore ma restando sempre alla quota quasi. Ciò vuol dire che la pallina tende a raggiungere quella quota mantenendo il suo movimento. Se alla pallina togliamo il piano inclinato contrapposto, gli togliamo cioè la necessità di raggiungere una certa quota, non vi è nulla che fermi la pallina la quale continuerà indefinitamente nel suo moto. Questo è il concatenarsi dei ragionamenti di Galileo per quel che si può capire. Si capisce bene invece a quali esigenze rispondeva il piano inclinato e come è solo il teorico che in contatto con degli strumenti riesce a ricavarne qualcosa.

            Ma c’è di più sull’esperienza che verrebbe prima di quanto poi si trova. Lo stesso Galileo parla tranquillamente di esperienze che non ha fatto e che sfida altri a fare convinto del loro risultato. Allora non scherziamo oppure studiamo.

  Hypotheses NON FINGO

            Anche Newton costruisce mondi assolutamente al di fuori di ogni esperienza possibile. Qui paradossalmente si entra in ipotesi metafisiche che fanno rientrare dalla finestra ciò che Galileo aveva cacciato dalla porta. Nonostante i buoni propositi di non inventare ipotesi, Newton inventa spazi assoluti, moti assoluti oltre ad un Dio che interviene nel mondo per riaggiustare le cose qua e là, dove non andassero. D’altra parte Cartesio era già stato maestro in operazioni straordinarie. Egli aveva stabilito che il movimento si conserva. La giustificazione che ne dava era assolutamente insoddisfacente ed appartenente, anche qui, alla metafisica. Dice Cartesio che il movimento si conserva perché Dio mai toglie ciò che ha dato! Ed ancora: povero Galileo!

            E’ di grande interesse vedere, ancora in relazione a Newton, come l’immaginazione scientifica possa creare arte. Qui vi è un esempio clamoroso del dove si può arrivare immaginando anche senza sperimentazione, un poco come Galileo che si diceva certo che anche senza esperienze le cose sarebbero andate in quel modo. Newton sta discutendo dei satelliti. Ed immagina un satellite artificiale per la Terra. Come metterlo in orbita? La figura che Newton ci offre spiega benissimo cosa egli pensi. 

Ci si deve sistemare sulla cime V di una alta montagna muniti di un cannone. Si deve cambiare l’alzo e quindi la gittata successivamente, finché non si raggiunge lo scopo. Con piccole e via via crescenti gittate la palla di cannone andrà in D, in E, in F , in G, in B e fino in A. E queste gittate si concludono nei punti suddetti perché, ad un certo punto, la gravità ha il sopravvento sulla spinta iniziale che si mantiene per inerzia. Ma se aumentiamo ancora la gittata, il proiettile, nel ricadere per gravità, non incontrerà più la terra e, non sapendo cosa fare, continuerà a cadere indefinitamente. Questa caduta indefinita è la messa in orbita! Ora, credo, grandissima parte dei cittadini colti del 2000 avrebbero difficoltà a cogliere questa idea, la potenza di questa poesia.

Di esempi in cui il pregiudizio è la guida dello scienziato ne è piena la storia della scienza. Ma, da Galileo, questo scienziato che fa ipotesi non può sostenerle come un dogma. Le deve sperimentare in tutti i modi che riesce a pensare ma poi deve essere disponibile ad abbandonarle. Ciò vuol dire che vale un principio che possiamo chiamare d’induzione (anche se questa cosa ha fatto e farà molto discutere a partire, essenzialmente dal proprio Popper. Il problema è essenzialmente filosofico: se la verità filosofica è frutto di approssimazioni successive, non esiste più in quanto verità. Ma, e questo è il punto, la verità filosofica è solo esigenza dei filosofi e non ha nulla a che vedere con la scienza). A partire da una prima idea si continuano ad accumulare dati finché ciò è possibile. E’ il dove nasce la prima idea che sfugge e che è difficilmente razionalizzabile. Il resto è sufficientemente chiaro e si riescono a seguire le tappe successive.

            Dovrebbe essere chiaro che maggiore è la preparazione di base dello studioso, maggiore è la possibilità di estrarre idee. Ma serve una preparazione scientifica per avvicinarsi alla scienza? Non è indispensabile. Direi anzi che una preparazione ad ampio raggio con molti spazi per fantasia ed educazione all’impegno ed alla fatica vanno benissimo. Se poi si vuol tentare di entrare a costruire scienza, occorre sapere dove è la frontiera per sapere dove e come valicarla.

            Data questa prima idea, quali sono gli strumenti che si hanno a disposizione? Ecco, a questo punto serve la matematica. Conosco un solo scienziato che era assolutamente digiuno di matematica, pur essendo un vero gigante, Faraday, il quale però aveva un caro amico, Babbage, a cui chiedeva continuamente pareri sulla matematica che altri scrivevano. Vi è poi un tecnologo di rilievo che non conosceva la matematica, Marconi. Poi basta. La matematica mi fa venire in mente una piccola cosa che chiunque ha tentato di dipingere su tela ha vissuto. Vi sono dei momenti di grande ispirazione , momenti in cui si hanno idee importanti. Cosa manca per realizzarle? La capacità di disegnare, di saper usare i colori e di saper usare i pennelli. Le prime due cose si imparano in una scuola anche in tempi rapidi. L’uso dei pennelli, la pratica con loro è altra cosa e spesso accade che, pur avendo l’idea, la mano non riesce a seguire la mente. Ecco, la matematica è indispensabile perché l’idea acquisti corpo. Questa vicenda della matematica non deve spaventare nessuno. Un concetto scientifico è cosa lunga da raccontare e descrivere. Occorre una precisione nell’uso del linguaggio che, a volte, il linguaggio stesso non ha. E’ come voler raccontare un brano musicale, anziché scriverlo su un pentagramma. E la matematica, come il pentagramma per la musica, è il linguaggio di molte scienze. Credo si possa capire che senza questo linguaggio si è muti o al massimo si balbetta.

            Riguardo poi a quale matematica serve e quanta ne serve … beh, qui sono incapace di dire qualcosa. William Thomson, il futuro Lord Kelvin, quando aveva 17 anni (circa la metà dell’Ottocento) scriveva che è troppa la matematica che esiste e se uno dovesse impararla tutta prima di fare della fisica, non farebbe mai della fisica. Egli risolse il problema con un metodo che si impose, quello delle analogie. Fenomeni diversi li associava ad altri in modo che una sola matematica potesse descriverli tutti. Va bene? Si, con Kelvin ha funzionato in modo eccelso. Ma anche quella abilità, quella delle analogie richiederebbe il capire da dove nasce. E’ anch’essa una idea!

IL LINGUAGGIO MATEMATICO

            La matematica ha vita propria. Ha elaborazioni infinite, sofisticatissime che richiedono tempo ed impegno. Ma anche i matematici non sanno tutta la matematica. E poi i matematici usano scrivere le loro elaborazioni. Ecco, ciò che serve allo scienziato è almeno la capacità di leggere l’indice delle elaborazioni. A quel punto saprà dove andare a pescare per la risoluzione del suo problema. E generalmente è così, generalmente gli scienziati in altre discipline, utilizzano matematiche elaborate 20 o 30 anni prima dai matematici. Altre volte le sistemano e modificano come uno strumento per le loro necessità.

            Lo stesso Galileo aveva parlato della necessità di conoscere la matematica per conoscere il mondo naturale (da Il Saggiatore):

“La filosofia è scritta in questo grandissimo libro che continuamente ci sta aperto innanzi agli occhi (io dico l’universo), ma non si può intendere se prima non s’impara a intendere la lingua e conoscere i caratteri ne’ quali è scritta. Egli è scritta in lingua matematica, e i caratteri son triangoli, cerchi ed altre figure geometriche, senza i quali mezzi è impossibile a intenderne umanamente parola; senza questi è un aggirarsi vanamente per un oscuro labirinto”.

            Questa affermazione di Galileo è fondamentale. Non credo che tutti sappiano che proprio dall’intersezione tra descrizione matematica (Platone) e osservazione sperimentale (Aristotele)  nacque la scienza moderna ed il suo manifesto è scritto in queste parole di Galileo. Il Galileo che tutti conosciamo è quello della stupenda letteratura del Dialogo ma il Galileo più profondo, più scienziato, è nei Discorsi e dimostrazioni matematiche.

Galileo dice in pratica che occorre semplificare un fenomeno per renderlo misurabile  e quindi matematizzabile. Che vuol dire? Un fenomeno naturale, anche il più semplice, è ultracomplicato da tantissimi elementi, spesso inessenziali ma strettamente connessi con il fenomeno medesimo, tanto che sembra una grande impresa il doverlo studiare. Tutto nasce dal fatto che le nostre capacità di buon senso sono limitatissime. Se dobbiamo studiare il moto di un bambino che si dondola su una altalena, da dove cominciamo? Che facciamo, lo trascuriamo il vento? E fino a che punto? Se poi c’è il sole o la pioggia le cose vanno allo stesso modo? Ha influenza la temperatura? L’età del bambino ha a che vedere? E la temperatura dell’ambiente? E se stiamo al mare o in montagna? … Si potrebbe  continuare ma mi pare si sia capito che le domande possibili sono molte. Occorre quindi fare una cernita legata al nostro pregiudizio e vedere se funziona. Sempreché le cose che poi andremo a studiare riguardino solo due grandezze variabili l’una rispetto all’altra. Ma come, non possono variare anche tre grandezze alla volta? Si, si, … è che è molto più difficile studiarle e, ai tempi di Galileo, quasi impossibile. Insomma io posso studiare agevolmente come varia la velocità di una pallina lungo un piano inclinato al passare del tempo (variabili tempo e velocità). Devo però mantenere costante l’inclinazione del piano inclinato. O perlomeno posso scoprire come varia la velocità rispetto al tempo per una data inclinazione, poi per un’altra inclinazione, … e così via. Ma potrei anche pensare i studiare come varia la velocità della pallina al variare dell’inclinazione. In tal caso che ci faccio del tempo? Beh, dovrò dire che studio la variazione detta in un secondo. Poi la studierò in due secondi, … e così via. Devo, in definitiva, individuare due variabili che mi interessano e le altre eventuali variabili ridurle a costanti. Basta? No. Se ad esempio devo studiare la caduta di un oggetto, non prenderò un libro per fare l’esperienza. Le cose mi si complicano inutilmente. Devo immaginare che il libro divenga una sferetta di acciaio del peso del libro. In tal caso tutto mi diventa più semplice. Ma il libro in caduta non lo studierò mai? Si, solo che prima mi interessa una legge generale e poi tenterò lo studio di ogni caso particolare. Insomma un fenomeno naturale è problema complesso. Lo debbo sterilizzare e ridurre ai suoi aspetti fondamentali. Devo studiare ogni aspetto singolarmente e POI ricomporre la situazione reale, il problema che mi proponevo di studiare. Chi sa di matematica, sa che si procede allo stesso modo in un problema complesso. Si tenta, prima di operare, la comprensione delle parti di cui il problema è composto.  Si coglierà il fatto che qui servirà della geometria dello spazio, qui serve applicare della trigonometria, qui basta della normale algebra, … , a questo punto servirà l’analisi. Avremo risolto i singoli sottoproblemi e ci troveremo alla fine con la soluzione del Problema. La cosa è abbastanza semplice purché si decida di farla e di soffermarcisi.

Lawrence Krauss in Paura della Fisica (Raffaello Cortina 1994) esemplifica quanto detto molto bene. Di fronte alla scarsa produzione di latte di un  allevamento di mucche, il proprietario consultò un ingegnere, uno psicologo ed un fisico. L’ingegnere sentenziò che occorreva ridurre lo spazio disponibile per i bovini fino a 7,5 metri cubi ad animale ed occorreva aumentare il diametro delle tubature del trasporto latte del 4%. Lo psicologo disse che occorreva tinteggiare di verde la stalla, far sentire musica ai bovini e piantare alberi decorativi intorno alla stalla. Il fisico iniziò la sua analisi così: “Assumiamo che la mucca sia una sfera …”. Una semplificazione estrema che deve portarmi all’origine del problema. Se poi occorre, a questa sfera collegherò un tubo che mi collega ad un’altra sfera (collo a testa). E via via elaborerò per ciò che serve al minimo degli ingombri.

Il modo di conoscere scientifico è quindi una sintesi tra l’immaginazione che fornisce una idea, una conoscenza preliminare che deve comprendere la matematica, le “sensate esperienze” e “certe dimostrazioni”. L’esperienza (meglio dire esperimento) deve mostrare l’eventuale corrispondenza (almeno provvisoria) tra la prima grossolana teoria che uno si è costruito ed i dati empirici. Ma poi si ritorna ancora all’elaborazione dei dati dell’esperienza con la matematica. Occorre passare dal qualitativo (questo più di quello) al quantitativo (questo 3 volte più di quello). Quanto si è fatto fin qui è solo il primissimo passo. Se la relazione matematica che ci descrive il fenomeno non è casuale, deve poter funzionare in altre situazioni che riguardino lo stesso fenomeno. Quindi, l’eventuale legge non scaturisce dallo studio di un fenomeno ma da una classe di fenomeni. Inoltre se ciò che si trova non è anche predittivo di altro è sterile e poco significativo. In ogni caso è l’esperimento che è giudice di qualunque teoria. In proposito dice Galileo:

“… non è che realmente noi intendiamo più, che principio o che virtù sia quella che muove la pietra in giù … o che muove la Luna in giro, eccettoché il nome che più singolare e proprio gli abbiamo assegnato di gravità

facendo la grande sintesi che mette insieme due cose apparentemente lontane, la caduta di una pietra e la gravitazione della Luna intorno alla Terra! Ecco, la matematica che tratta i due fenomeni è sostanzialmente la stessa, grazie al fatto che si è capito che i fenomeni erano gli stessi.

Oggi le cose sono cambiate considerevolmente se non altro rispetto ai tempi. Una volta teorizzare e sperimentare era un tutt’uno nel tempo e nella persona. A partire dalla metà dell’Ottocento le cose sono cambiate. Da allora è nato il teorico colui che, elaborando matematicamente idee, propone nuove teorie. Il fatto è che la messa in opera degli esperimenti che dovrebbero confermare o negare tale teoria è cosa complicata e tecnologicamente ed economicamente. La scienza è diventata un affare sociale e non è più libera, nel senso del singolo personaggio che è il solo giudice di se stesso. Oggi si dipende dai soldi non tanto di privati (in Italia i privati non spendono per queste sciocchezze) quanto dello Stato. A volte, addirittura, uno Stato non ce la fa (in Italia, visto che uno Stato non ce la può fare, Berlusconi ha deciso che neanche ci deve provare) ed occorre che più Stati si consorzino.

OËRSTED

            Un professore di liceo danese degli inizi dell’Ottocento è altro esempio emblematico del pregiudizio. Il professor Oërsted si era entusiasmato dalle cose che scriveva Schelling. Basta con un mondo rigido, ordinato, determinista come quello che sembra derivare dalla fisica di Newton. Il mondo è differente, gli scambi di forze tra oggetti non è necessario che avvengano lungo linee rette, istantaneamente, anche se i due oggetti sono tra loro distanti. Questi scambi di forze possono essere completamente disordinati ed avvenire lungo linee curve (il fatto che questi scambi avvengano con l’intermediazione di una qualche sostanza e richiedano tempo sarà affrontato subito dopo da Faraday). Il pregiudizio c’è tutto. Come evidenziare le supposte azioni lungo linee curve? Sembra facile … tanto che Oërsted impiegò nove anni per trovare una esperienza che evidenziasse il suo fermo convincimento in linea con la Naturphilosophie di Schelling. Sarà qualcosa di molto complesso! Assolutamente semplice, invece, come ogni cosa che ha sconvolto il senso comune. Facendo passare della corrente generata da una pila, attraverso un filo che passava vicino ad un ago magnetico, quest’ultimo ruotava. Ebbene? Il fatto è che, per la prima volta si intravede una reazione ad una sollecitazione, assolutamente non in linea con tutta la fisica di Newton. Una rotazione dell’ago che avviene su un piano parallelo la congiungente filo-ago? Mai vista una cosa del genere. Newtonianamente si sarebbe dovuto avere una sorta di avvicinamento del filo all’ago (o viceversa) lungo la congiungente i due oggetti. Pare incredibile ma la fisica fornisce una base sperimentale al Romanticismo che negava proprio il metodo con il quale la fisica si realizzava.

E a partire da qui la crescita delle scoperte fu davvero impetuosa. Le forze romantiche, disordinate, circolari e non rettilinee vennero trovate in molti altri fenomeni. La storia la continuò Faraday che, insistendo sulle azioni circolari, realizzò (come prodotto di ricaduta) i motori elettrici. Ma le cose che fece Faraday sono una vera mole. In  particolare si mise in testa di mostrare che quelle azioni impiegavano tempo a propagarsi e si sarebbero potute propagare solo attraverso una qualche sostanza. Si ebbero due ricadute importanti: da una parte si iniziò la ricerca di tale sostanza (l’etere) che fu un vero tormento per la fisica (ed alla quale Faraday non credette mai) e, dall’altra, si aprì la strada alla ricerca della velocità di propagazione di tali azioni. L’immaginazione di Faraday era tale da sconcertare i suoi contemporanei. Scriveva lavori dal titolo seguente: On the Magnetization of Light and the Illumination of Magnetic Lines of Force, cioè: La magnetizzazione della luce e l’illuminazione delle linee di forza magnetiche, che è un vero programma che per di più ha conferme sperimentali (effetto Faraday ed effetto Kerr). Anche qui il pregiudizio di un’origine unica, di un principio unificatore che, ad esempio, gli fa dedicare dieci anni alla conferma del pregiudizio  che il magnetismo non è altro che elettricità. La sua idea si spingeva anche ad associare elettricità con la gravitazione. Tentò molte esperienze. Niente. Non contento scrisse sul suo diario: “I risultati sono negativi. Ma per quanto io non possa trarre da loro alcuna dimostrazione per tale relazione, quei risultati non scuotono il forte sentimento che nutro per l’esistenza di un tale legame tra gravitazione ed elettricità”.

L’ULTIMA PAROLA E’ DELLA MATEMATICA

            Diceva Feynman che la fisica sta alla matematica come il sesso sta alla masturbazione. La matematica è di una potenza incredibile perché, ad esempio, noi possiamo scrivere una qualche relazione semplice che descrive un pezzo di mondo naturale la cui descrizione avrebbe richiesto moltissime pagine. A questo punto immaginare ancora risulterebbe complicato. Ma la matematica permette di lavorare indipendentemente dal partner e, ad esempio, permette di elaborare quella relazione, farne l’inversa, semplificarla, moltiplicare ambedue i membri, dividerla per, elevarla al, ed ecco che quella relazione acquista vita propria e, lungo la strada, ci fornisce tante nuove informazioni. Sono corrette, affidabili? Lo si vedrà con l’esperimento. Piuttosto, questo acquistare vita propria con la matematica è quanto Snow poneva alla base del problema delle due culture. Da qui l’antipatia per la scienza dura (e non per l’evoluzione, come qualche modestia a parte può pensare) e da qui la necessità non della scienza ma dell’altra cultura di recuperare la prima, pena la sua esclusione definitiva dalla comprensione di cosa si va facendo e di cosa si deve fare per continuare a sopravvivere. Certo che se si potessero incontrare un matematico ed un fisico, fuor di ipocrisia, si picchierebbero. Sarebbe il matematico ad iniziare con un colpo in testa per “tentato stupro”. Ed il matematico non si è neppure accorto che tale stupro è riuscito ed è in atto quotidianamente. Dico questo perché gli spettatori sappiano che la guerra con la matematica è stata di tutti (meno che dei matematici). I fisici (e non solo) hanno preso quella povera matematica e l’ hanno sottomessa ai loro voleri. Provo a dire una cosetta banale che mi è accaduta anni indietro. Mi telefona il papà di un bambino delle elementari. Lavora con il suo piccolo da ore su un problema: “Se un commerciante vende un certo numero di metri di stoffa ad un certo numero di lire, e se egli ha pagato tanto ed ha ricavato tanto, quanta stoffa aveva?” Problema standard. Apparentemente semplice, solo che il risultato del libro era un certo numero di metri seguito da una virgola con tre cifre dopo di essa. Il papà mi chiedeva di rifare i conti perché quel numero non gli tornava, gli veniva invece quel numero con una sola cifra dopo la virgola. Rifaccio rapidamente il conto per vedere se ci fossero errori materiali, tanto per tranquillizzare il papà ma poi gli osservo che la bestialità (ammesso un errore di calcolo) è comunque di chi ha scritto quel risultato. Quale commerciante compra la stoffa tenendo conto anche dei millimetri di essa? E’ la follia! Queste controversie le può dirimere solo il fisico che, questa volta, rispetto a problemi più gravi, deve lui richiamare il buon senso. Lawrence Krauss racconta di episodi clamorosi accadutigli nella sua esperienza. Insegnare fisica per non fisici al primo anno di università a Yale lo portò a scoprire che il 35% dei suoi alunni, con una formazione in storia americana, affermavano che la popolazione degli Stati Uniti era compresa tra 1 e 10 milioni, cifra inferiore a quella della sola New York che dista da Yale solo 200 km. Questa cosa non è da trascurare ma mostra quanto sia indispensabile prendere in molta confidenza almeno la matematica degli ordini di grandezza ed in questo la fisica insegna molto. Spesso i fisici fanno rapidi calcoli (e non perché siano dei mostri) e dicono se una certa cosa ha un senso o no rapidamente. Non conteranno mai in  questo virgole o altre banalità. Si preoccuperanno di cogliere l’essenza dei numeri e di ricavare un ordine di grandezza (1, 10, 100, 1000, …). Se viene fuori che per far funzionare un motore occorrono 2000 gradi centigradi di temperatura della sorgente calda, il fisico dice subito che questo progetto non ha senso. Ed è inutile insistere perché si capisce subito che vi sono delle compatibilità tecnologiche che si scontrano con ogni migliore volontà: a quella temperatura quasi ogni metallo con il quale io pensassi di realizzare il motore fonderebbe. E’ quindi inutile mettersi lì a cincischiare su cose che non hanno senso. Qui miracoli non si possono fare: occorre che chi desideri avvicinarsi alla comprensione del mondo scientifico impari la sua lingua. Le scorciatoie non esistono. Ed è inutile incolpare gli addetti alle scienze. Come incolpare Verdi di una partitura non compresa. Se la cosa interessa la si studi, oggi non siamo più alle pratiche magiche che non dovevano essere comunicate. Gli addetti ai lavori sono ben felici di aiutare a capire (si veda all’inizio, ciò che diceva Samuel Johnson).

DARWIN

Dicevo prima che ciò che permette grossi cambiamenti concettuali e rivoluzioni è che, ad un dato momento, data la compatibilità economica e tecnologica, vi sia un ribaltamento del buon senso. Nel 1859 Darwin pubblicava “On the Origin of Species by Means of Natural Selection” cioè Sull’origine della specie attraverso la selezione naturale. A quell’epoca su ogni Bibbia era addirittura appuntata l’ora della Creazione, 23 ottobre del 4004 alle ore 9 del mattino (un Dio inglese!), ed il cristiano Darwin, dopo il suo giro per il mondo che lo portò all’elaborazione della sua teoria, capì che era necessario fare  a meno di quella Bibbia, anche se ciò iniziò a procurargli vari disturbi fisici ad iniziare da quelli gastrici. Eppure Darwin aveva iniziato con il parlare di fissità della specie a seguito del dogma cristiano ma poi, a seguito delle osservazioni empiriche del tipo “modestia a parte”, si era convinto di una evoluzione in modo contorto (dopo quello che aveva visto occorreva ammettere che alcune specie create fossero morte ed a questa morte era forse preferibile una evoluzione, anche se il pregiudizio di poco tempo per permetterla dalla data della creazione impediva l’affermazione definitiva) che tentava emulazioni filosofiche. Sta di fatto che egli fino al 1871 non parlò mai di evoluzione quando invece il termine già circolava (1826) a seguito dei lavori di Lamarck (1809).

Ma spieghiamo in linguaggio semplice (del biologo Ernst Mayr) ai “modestia a parte” le idee di Darwin:

         Ogni specie è in grado di riprodursi in modo indefinito se non nascono impedimenti.

         Ogni popolazione di una data specie si dimostra stabile nell’ambito di normali oscillazioni.

         Se l’ambiente resta stabile le risorse disponibili restano stabili e non sono illimitate.

         Se una qualche specie dovesse prendere il sopravvento potrebbe accadere che le risorse non risultino più sufficienti ed in tal caso si darebbe una lotta per la sopravvivenza che solo alcuni individui riuscirebbero a superare.

         Ogni specie ha diverse varianti essendo l’identità esclusa.

         Le variazioni si trasmettono ereditariamente.

         Per sopravvivere non basta la volontà ma occorre una costituzione genetica.

         La sopravvivenza è quindi un processo di selezione che origina nuove specie.

Ora, a tavolino, un integralista cattolico dovrebbe spiegare al mondo cosa di questo sunto non funziona o è difficile da far intendere a dei bambini ed adolescenti. Lo stesso Darwin, imbevuto di integralismo protestante, faticò 20 anni per riuscire a parlare di darwinismo. A 150 anni di distanza abbiamo pretesi acculturati che furbescamente ci dicono che “su Darwin, come su De Rica, non si può scherzare”. Ancora: ci spiegano i modestia a parte dove è la matematica?  Cosa voleva dire Bertagna quando diceva (a Repubblica):

“Il principio è che se io devo cimentarmi in complesse equazioni matematiche ho bisogno prima di sensate esperienze, perché la scienza ha come fondamento proprio l’esperienza. Così è più sensato che nel primo ciclo d’istruzione bisogna riflettere sulle esperienze che i ragazzi hanno del mondo biologico, geologico, per tirar fuori teorie e leggi empiriche. Per i primi otto anni è necessario riflettere sull’esperienza, perché la scienza non è immaginazione [sottolineatura mia, ndr], ma verifica delle teorie. E solo dopo i primi otto anni è possibile affrontare in modo adeguato le teorie sull’evoluzione della specie umana, solo allora i giovani sono in grado di apprendere con una complessità e comparazione diverse”.

A parte le sciocchezze epistemologiche, ci spiega perché il racconto evoluzionista, che può iniziare dall’affascinante viaggio del Beagle (corredato di ogni audiovisivo possibile), non può essere trasmesso a giovani fanciulli? Un saggio conservatore avrebbe potuto dire che il darwinismo poteva essere un ottimo riferimento generale dentro cui inserire ogni cosa, anche la creazione (il racconto della Bibbia della creazione in 7 giorni inteso come una metafora di un evento che si svolgeva invece in un tempo non definito). Ed anche lo sviluppo civile e sociale. Tralascio, per ragioni epatiche, la cosa che ho sottolineato (ma a che livelli siamo arrivati? Chi sono questi personaggi? Che vogliono?).

            Ma dov’è la creazione scientifica di Darwin? Anche qui l’aver abbandonato il senso comune. Ammettere che un uomo ha gli stessi caratteri di un serpente peccatore è dura. Ma la cosa risultò più facile a Darwin alla fine, quando si accorse che in fondo le scimmie e le capre erano ancora come caratteri regressivi nei suoi accusatori. I  modestia a parte sono avvertiti.

Roberto Renzetti



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