Galileo Galilei. LE OPERE. Volume 10 (Parte 1)

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VOLUME X

FIRENZE

G. BARBÈRA EDITORE

1965

NUOVA RISTAMPA DELLA EDIZIONE NAZIONALE

SOTTO L’ALTO PATRONATO

DEL

PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA ITALIANA

GIUSEPPE SARAGAT

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VOLUME X

FIRENZE

G. BARBÈRA – EDITORE

1965

PROMOTORE DELLA EDIZIONE NAZIONALE

IL R. MINISTERO DELLA ISTRUZIONE PUBBLICA

DIRETTORE: ANTONIO FAVARO

COADIUTORE LETTERARIO: ISIDORO DEL LUNGO

CONSULTORI: V. CERRUTI – G. GOVI – G. V. SCHIAPARELLI

ASSISTENTE PER LA CURA DEL TESTO: UMBERTO MARCHESINI

1890 – 1909

LA RISTAMPA DELLA EDIZIONE NAZIONALE

FU PUBBLICATA SOTTO GLI AUSPICII

DEL R. MINISTERO DELLA EDUCAZIONE NAZIONALE

DELLA R. ACCADEMIA DEI LINCEI

E DEL CONSIGLIO NAZIONALE DELLE RICERCHE

DIRETTORE: GIORGIO ABETTI

COADIUTORE LETTERARIO: GUIDO MAZZONI

CONSULTORI: ANGELO BRUSCHI – ENRICO FERMI

ASSISTENTE PER LA CURA DEL TESTO: PIETRO PAGNINI

1920 – 1939

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Questa Nuova Ristampa della Edizione Nazionale

è promossa

dal Comitato Nazionale per le Manifestazioni Celebrative

del IV centenario della Nascita di Galileo Galilei

1964

CARTEGGIO.

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1574-1642

AVVERTIMENTO.

Nel por mano alla pubblicazione del Carteggio Galileiano, crediamo opportuno indicare brevemente le norme, secondo le quali abbiamo proceduto e procederemo in questa parte così grave ed ardua del nostro lavoro. Pochi altri Carteggi possono adeguarsi a questo per importanza di documenti; la quale attiene del pari e alla biografia, e alla scienza, e alle condizioni storiche dell’età vissuta e con sì durevoli conseguenze modificata da Galileo.

Le lettere, siano di Galileo, siano di altri a lui indirizzate, siano fra terzi ma concernenti Galileo, vengono distribuite in un’unica serie, secondo l’ordine cronologico delle date; e non dubitiamo, per le ragioni che altra volta abbiamo largamente esposte([1]), che questo sia il migliore partito al quale potessimo appigliarci. Chi apre il volume, distingue però subito le tre categorie: poichè alle lettere di Galileo è riserbato quel corpo di carattere maggiore col quale nei volumi precedenti abbiamo stampato gli scritti suoi, mentre le lettere dirette a Galileo sono in un carattere minore, e quelle fra terzi in altro corpo ancor più piccolo. Le lettere le quali sono state già pubblicate, o si dovranno pubblicare, in altre parti della nostra Edizione, vuoi perchè abbiano soltanto la forma di missive, ma si debbano risguardare piuttosto quali trattati scientifici, vuoi perchè facciano parte integrale di scritture dalle quali non possano distaccarsi, non si ristampano nel Carteggio, ma sono richiamate al loro luogo: così è conservata insoluta la continuità della serie. Al numero progressivo che è in capo a ogni lettera, il lettore troverà spesso apposti uno o due asterischi: con un solo asterisco indichiamo quelle lettere che non furono comprese finora nelle Edizioni delle Opere di Galileo; col doppio asterisco distinguiamo quelle che da noi per la prima volta sono date alla luce. Ognuno vedrà, a semplice aperta di libro, di quanti documenti, o sparsi fino ad oggi in pubblicazioni diverse, o assolutamente nuovi, viene ad avvantaggiarsi la nostra Edizione: sono poi molte altre le lettere di cui noi pubblichiamo brani inediti, talora assai lunghi e importanti, omessi, non sappiamo per quali motivi, da precedenti editori, che della mutilazione non fecero neppur cenno; moltissime, quelle che in uno o in altro passo erano state siffattamente alterate, spesso per difficoltà di lettura dei manoscritti, da non dar senso alcuno, o senso affatto stravolto; ben poche, le lettere nelle quali non abbiamo avuto motivo, seguendo la scorta degli originali, di introdurre numerose correzioni: così che possa dirsi, senza tema di esagerare, che la nostra Edizione, la quale conterrà circa triplo numero di lettere in confronto della più ricca tra le antecedenti([2]), sia da considerarsi, anche rispetto al Carteggio, non come riproduzione o compimento di queste, ma addirittura come opera nuova.

In testa ad ogni pagina sono indicati, per comodità di chi consulti l’opera, i termini di tempo entro cui stanno le lettere che nella pagina stessa sono, o tutte o in parte, comprese, come pure i numeri progressivi di esse.* In capo a ogni lettera è messo in evidenza il nome del mittente, quello del destinatario, il luogo dove la lettera è indirizzata, il luogo da cui fu scritta, e la data; e quelli di tali elementi che non risultano dall’originale di cui ci serviamo, ma sono aggiunti da noi per induzione, si chiudono tra parentesi quadre. A ogni lettera è premessa pure una breve informazione, che dichiara da qual fonte noi riproduciamo la lettera stessa, e quando sia da manoscritto, come avviene quasi sempre, indica con precisione bibliografica dove il manoscritto stesso oggi si trovi, se sia tutto autografo, o autografo soltanto in parte([3]),o originale, o copia, e in quest’ultimo caso determina, per quanto abbiamo potuto, l’età e l’autorità della copia([4]). Di altri particolari che possano essere presentati talora dai manoscritti, è stato pur fatto ricordo, di volta in volta, nelle informazioni.

Le lettere di Galileo e quelle a Galileo sono pubblicate, com’è naturale, integralmente, non escluse le intestature, le sottoscrizioni([5]) e gl’indirizzi interni ed esterni, che da molti dei precedenti editori sono stati omessi([6]); da quelle di terzi ci siamo limitati spesso a stralciare i tratti o capitoli che concernono Galileo: sarebbe stato infatti partito del tutto inopportuno e sconsigliato riprodurre più e più pagine, relative a materia del tutto aliena, soltanto perchè in mezzo ad esse si trovano poche righe che risguardano il Nostro. Quando omettiamo noi una parte d’una lettera, indichiamo l’omissione con tre o quattro puntolini; mentre non poniamo alcun segno, quando dalle fonti, a cui ci è dato attingere, abbiamo, e non per materiali guasti del manoscritto, incompleto quel documento.

Come abbiamo proceduto nella cura del testo in casi speciali, e soprattutto quando uno stesso documento ci era offerto da fonti diverse, è detto nelle informazioni premesse a quelle lettere: qui basterà avvertire che ci siamo attenuti alle fonti, fossero manoscritte o stampate, autografi o copie, con fedeltà anche maggiore di quella usata nei volumi precedenti delle Opere. Invero (parlando più particolarmente delle lettere scritte in italiano) non solo abbiamo rispettato, massime quando avevamo gli autografi, i periodi viziosamente costruiti, non riducibili a nessuna certa sintassi, che in questa prosa epistolare sono frequenti e che da altri editori sono stati costretti, con arbitrarie e non lievi correzioni, a diventar regolari; non solo abbiamo conservato le forme idiomatiche, siano lessicali, siano morfologiche, adoprate da ciascun corrispondente, per quanto si discostassero dall’uso che suol considerarsi più corretto; ma anche riproducemmo dalle fonti, di volta in volta, la grafia, sebbene spesso non ortografica, limitandoci soltanto a sciogliere, in generale, le abbreviazioni([7]), a distinguere gli u dai v e ad aggiungere i dopo cggl, dove fosse necessario per indicarne il suono palatino, e mantenendoci libertà nell’uso delle iniziali maiuscole o minuscole, degli apostrofi e degli accenti, nella separazione delle parole, non che nell’interpunzione, la quale, per la maggior parte, è nostra. Potrà qualcuno rimproverarci le difformità che così vengono a conservarsi, e che non sempre saranno da attribuire all’essere diversi gli autori; ma trovandoci di fronte a fonti così disparate e a scrittori così differenti, ora fiorentini, ora d’altre città della Toscana, ora d’altre parti d’Italia, ora stranieri che scrivono più o men bene l’italiano, in qual modo potevamo noi creare un’uniformità, che sarebbe stata affatto artificiale? Noi non ci credemmo lecito nè di sacrificare le native fattezze degli autografi, per conformarli alle copie manoscritte o alle stampe; nè di far riassumere a queste per forza quella veste genuina che fu loro strappata, esponendoci al pericolo di aggiungere agli altrui i nostri arbitrii.

La fedeltà, che credemmo doverosa, alle fonti, non spingemmo però fino al punto di conservare nel testo quelli che manifestamente non potevano giudicarsi altro che o trascorsi materialissimi della penna dello scrivente o errori del copista o alterazioni dell’editore o sbagli del tipografo: in questi casi pertanto abbiamo corretto il testo, e la lezione errata abbiamo registrato, quando metteva conto (cioè soprattutto quando veniva da autografi, e specialmente di Galileo), appiè di pagina([8]). Quivi sono state notate anche quelle parole o frasi (sempre che abbiano qualche importanza) che si possono leggere negli autografi sotto le cancellature, e che poi furono o cambiate con altre o del tutto omesse; e spesso è tenuto conto dell’essere un tratto, più o meno lungo, aggiunto (ben s’intende, ove non sia avvertito in contrario, dallo scrivente stesso) tra le linee o in margine**.

Le lacune, anche soltanto di parti di parole, che dipendono da guasti dei manoscritti, sono state indicate con parentesi quadre, dentro alle quali abbiamo supplito ciò che è andato perduto, e abbiamo posto dei puntolini quando non ci parve abbastanza certa la supplitura. Alle parole di dubbia lettura soggiungemmo, tra parentesi, un punto interrogativo; nei pochi luoghi poi ne’ quali non ci riuscì, nemmeno con l’aiuto di persone praticissime, d’interpretare la scrittura, ponemmo dei puntolini tra parentesi di questa forma < >. Nè ci astenemmo di notare con sic qualche parola, o qualche tratto, di lettura, per contrario, sicurissima, ma che per uno o per un altro motivo potrebbero far sorgere dubbi in chi ha dinanzi solamente lo stampato nostro.

Le collazioni delle fonti manoscritte furono fatte e ripetute con ogni diligenza da noi per tutte le lettere che si conservano nelle biblioteche e negli archivi di Firenze, e per alcune di quelle che sono in altre città d’Italia; per le lettere che non potemmo direttamente vedere, abbiamo fatto ricorso alla cooperazione di molti altri studiosi, ai quali ci è caro rendere qui pubbliche grazie. Nonostante però le cure che abbiamo usato per avere precisa cognizione delle fonti anche ne’ più minuti particolari, non ci farà maraviglia se alcuno, riscontrando quei codici che non potemmo noi stessi avere a mano, troverà che non sempre sia stato proceduto nelle collazioni con piena uniformità, o che qualche svista sia incorsa: difetti inevitabili, massime quando le collazioni non sono fatte tutte dalla stessa persona; ed errori scusabili più facilmente, quando chi collaziona nè ha speciale pratica delle abitudini grafiche dello scrivente, nè può acquistarla mediante opportuni confronti, non avendo forse a sua disposizione che o quello soltanto o pochi altri autografi della stessa mano: e questa era la condizione in cui si trovavano spesso i nostri coadiutori. Chi conosce, del resto, le difficoltà delle scritture familiari dei secoli XVI e XVII, e sa quale cumulo di cure minute e incessanti domanda una pubblicazione qual è la presente, non ci sarà avaro d’indulgenza per i difetti che potesse notare nell’opera nostra.

Diversamente dai volumi precedenti, nei quali alle scritture scientifiche o letterarie non soggiungemmo illustrazione alcuna, abbiamo apposto alle lettere brevi note; ma queste volemmo, per regola, che fossero contenute nei limiti dei dati sicuri di fatto e di ciò che fosse necessario, o almeno molto opportuno, per l’intelligenza del testo, astenendoci dal divagare con facile erudizione nel campo delle ipotesi o delle illustrazioni superflue. Perciò queste note consistono il più spesso in rimandi agli altri volumi della nostra Edizione([9]), o in citazioni di titoli di libri menzionati: dei corrispondenti e delle altre persone ricordate non è data alcuna notizia (tranne che spesso abbiamo soggiunto in nota o il cognome o il nome, dove lo scrivente dà soltanto o il nome o il cognome), poichè riserbiamo, per regola, ogni illustrazione biografica a un Onomastico che pubblicheremo alla fine dell’Edizione. E invero, poichè il nome della medesima persona ricorre spesso in lettere diverse, nè sempre vicine di data e neppure contenute in uno stesso volume, sarebbe stato poco opportuno così lo apporre l’illustrazione dove s’incontra la prima volta e a questa rimandare negli altri luoghi, come lo sparpagliare le notizie in varie note.

Alla fine di ciascun volume del Carteggio saranno l’Indice cronologico e l’Indice alfabetico, secondo i nomi dei mittenti, delle lettere in esso contenute; e un doppio Indice generale, cronologico ed alfabetico, sarà posto alla fine del Carteggio intero.

CARTEGGIO.

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1574-1610

1*.

MUZIO TEDALDI a VINCENZIO GALILEI in Firenze.

Pisa, 13 gennaio 1574.

Bibl. Naz. Fir. Appendice ai Mss. Gal., Filza Favaro A, car. 1. – Autografa.

… Ho ricevuto lo schizatoio et il pallone per Galileo, et i libri per il Corvini, che se li manderanno con la prima comodità; al quale Galileo pagai lire cinque per il mese, che li portò al maestro. Mandai, vedendo tardare il lino che aspettamo di Livorno, lib. 100 di altro lino alexandrino, bello e buono, alla vostra donna, la quale se n’è chiamata contenta, acciò che non si stessi; et non gli mancherò di quanto potrò,sempre: et se non havessi M.a Lucrezia([10]) malata, sarei stato di parere che in questi travagli la se ne fusse stata un mese in casa mia; ma non si ricerca: oltre che, la bambina([11]) è tanto fantastica, che a chi non è uso pare insopportabile. Però gli ho detto che dica se la vuol nulla, chè io non mancherò di far quanto potrò: perchè, sendo occupato sempre, non posso far di quei servizi che bisognerebbe; ma non mancherò di suplire con la borsa.

Ho saputo che havete pagato al Ciacchi lire L, che havete fatto errore, che non bisognava, sapendo massime che vi sono debitore indigrosso: pure io ve n’ho dato credito, al conto a parte. Tenete anco voi conto, chè è bene…([12])

2*.

MUZIO TEDALDI a VINCENZIO GALILEI [in Firenze].

Pisa, 9 febbraio 1574.

I capitoli di questa e della seguente lettera furono pubblicati da GIUSEPPE CAMPORI a pag. 586-587 del Carteggio Galileano inedito (nelle Memorie della R. Accademia di scienze, lettere ed arti in Modena, Tomo XX, Par. II. In Modena, 1881); e noi non abbiamo potuto riscontrarli sugli originali, non essendosi più ritrovati questi (nè quelli di alcune altre lettere pur edite per la prima volta dal CAMPORI) nella raccolta di autografi legata dal CAMPORI stesso alla Biblioteca Estense di Modena. Riproducendo la lezione del CAMPORI, la correggiamo in alcuni luoghi, che segniamo appiè di pagina.

Pisa, 9 Febbraio 1574.

Da domenica in qua, ho pagato per voi li appresso denari:

A M.a Giulia, vostra donna, lire sette………………………………………………………………..7.
Al maestro di Galileo, portò Galileo, lire cinque………………………………………….……..5.
Per un sacco di grano fatto macinare a richiesta di detta M.a Giulia, lire sette…………..7.
Per poliza e mulende………………………………………………………………………………..……1.5.
Il tutto lire 8.10 
Tutto sono lire venti, soldi 10, de’ quali mi farete creditore.([13]) 

Credo che per questa gita non harete lettere da Galileo, perché vi scrive([14]) mercoledì, atteso che domani è S. Guglielmo, festa della nostra Compagnia([15]): ma vi fo fede che son tutti sani([16]) et di buona voglia, et la bambina e tutti, eccetto vostra donna, et tutti molto vi si raccomandano. Galileo ha tramutato la maschera in un paro di pianelle, che così si è contento.

3*.

MUZIO TEDALDI a VINCENZIO GALILEI [in Firenze].

Pisa, 10 marzo 1574.

Vedi la informazione premessa alla lettera precedente.

Pisa, 10 Marzo 1574.

La vostra donna e tutti di casa stanno bene, et tutti son sani.… Vi aspettiamo con desiderio.

4*.

MUZIO TEDALDI a VINCENZIO GALILEI in Firenze.

Pisa, 4 gennaio 1575.

Bibl. Naz. Fir. Appendice ai Mss. Gal., Filza Favaro A, car. 2. – Autografa.

Molto Mag.co e Hon.do Compare,

Ricevei la vostra con una per il Rettore, la qual detti subito; et mi rallegro del sentire che la comare e voi e ‘l putto stiate tutti bene, insieme con li altri, et harò caro intender che Galileo vadi acquistando nelle virtù et nelle lettere, et che la Verginia vadi cresciendo, perchè tutti li amo come me stesso, sendo voi come un altro me medesimo….

Quanto a M.a Lucrezia, Dio gli perdoni, che è perfida donna; ma purga i suoi difetti con lo star di continuo in travagli e dolori fuori di misura: et io porto questa croce per vedere il fine di questa nostra pratica; chè se mangiai mai pesce con seco, digerisco le lische. Dio vi doni ogni bene.

Di Pisa, il dì 4 di Gennaio 1575.Vostro Compare Muzio Tedaldi.

Fuori: Al Molto Mag.co Mess. Vinc.o Galilei, Compare Osser.mo

In Fiorenza.

5*.

MUZIO TEDALDI a VINCENZIO GALILEI in Firenze.

Pisa, 29 aprile 1578.

Bibl. Naz. Fir. Appendice ai Mss. Gal., Filza Favaro A, car. 5. – Autografa.

Molto Mag.co et Hon.do Compare,

Per la vostra ho inteso quanto havete concluso con il vostro figliuolo; et come, volendo cercar di introdurlo qua in Sapienza([17]), vi ritarda il non esser la Bartolomea([18]) maritata, anzi vi guasta ogni buon pensiero; et che desiderate che la si mariti, e quanto prima.

Le considerationi vostre son buone, et io non ho mancato nè manco di far quell’opera che si ricerca; ma sino a qui son venuti tutti partiti, per non dir obbrobriosi, poco aproposito per lei; et l’ultimo fu un dipintore, che ha due figliuole, una grande, il quale qua si ha acquistato tanto nome di fracido, che non merita di parlarne. Et se non fusse per non entrare in novelle, vi direi che chi vi dice et chi vi ha detto tante cose, credete che non sia nè buono nè presso; perchè se io non vi tenessi il mio puttino e non vi fussi spesso e non vedessi, sarei forse dell’oppinion vostra: ma la mala fortuna di quella fanciulla, et la malignità delli uomini, et il poco governo, e ‘l troppo fidarsi delle donne, causa questo. So ben che la fanciulla non ha in sè se non buone parte, et per il buon governo che l’ha fatto et fa al mio puttino io li sono obbligatissimo: oltre che ne’ mia bisogni, dopo che Dio mi ha lassato di così, mi son valso sempre dell’opera loro; et hoggi, che ho maritato una balia che era rimasta a mia custodia, M.a Ermellina([19]) per sua gratia mi è venuta a custodir la mia casa; et so quanto io ho giovato a tutte, et quanto giovo, a fine non habbia a riuscire quel che le gente si promettono; et, se posso, voglio operare che in quella casa non entri huomo, sì come di già si è operato che Mess. Iacopo se n’è levato interamente; et se M.a Doratea([20]) farà a mio modo, farà sì che le lingue non habbin che dire; et se io sarò nel numero, non me ne curo, perchè so che l’andarvi per me è a buon fine, et poi sono hormai in età da dar poco sospetto di me. Et per concludere, ardisco di dire che credo che la Bartolomea sia così casta come qual si vogli pudica fanciulla; ma le lingue non si possono tenere: pure io crederrò, con l’aiuto che do loro, di levar via tutti questi romori et farli supire; per il che a quel tempo potrete facilmente mandare il vostro Galileo a studio: et se non harete la Sapienza, harete la casa mia al vostro piacere, senza spesa nessuna, et così vi offero et prometto: ricordandovi che le novelle son come le ciriegie; però è bene credere quel che si vede, e non quel che si sente, parlando di queste cose basse: perchè se io non sapessi le cose, ancor io sento dir farfalloni che si piglierebbono con le molle, come, se occorressi che io venisse una volta costì, vi farei toccar con mano, per la fede che so che è fra noi. Non mancherò, all’occasione che si porgeranno, proccurare l’utile e bene della fanciulla, come se propia sorella mi fusse. State sano, il che Dio vi conceda.

Di Pisa, il dì 29 di Aprile 79([21]).  Vostro Compare Muzio Tedaldi.

Fuori: Al molto Mag.co Mess. Vinc.o Galilei, Compare Osser.mo, in Fiorenza.

Fiorenza.

Data a Pier Francesco Lapini, di contro al monte da’ Torrigiani.

6*.

MUZIO TEDALDI a VINCENZIO GALILEI in Firenze.

Pisa, 16 luglio 1578.

Bibl. Naz. Fir. Mss. Gal., P. I, T. VI, car. 5. – Autografa.

Molto Mag.co et Hon.do Compare,

Perchè le cicalerie degli huomini, che badono a’ casi di altri, son tante che non hanno nè fine nè fondo, io non mi distenderò, per rispondere alla vostra, molto a lungo; et l’altra gita restai, sendo stato 4 giorni oppressato dal mal di fianco: et dirò solo che mi è grato di saper che haviate rihavuto Galileo, et che siate di animo di mandarlo qua a studio; ma questo anno sarà doloroso fare, mediante che siamo di ricolta et ci vale il grano lire 15 il sacco: pure Dio sa tutto, et a tutto provvede.

Quanto al ciarlare di Antonio Pellieri, non mi occorre dire altro, se non che se gli havesse tanto tenuto la moglie quanto ho fatto io Bartolomea, non harebbe tanti figliuoli, anzi nessuno. Ma perchè questo è quasi oppinione di ognuno, mediante il cattivo nome, et la continua dimesticheza mia, mi rimetto a Dio, che sa tutto; et se bene anco voi, come curioso, forse credete a vostro modo, fate quel che Dio vi spira, perchè io dirò sempre il vero.

Circa l’haverla in casa, ve l’ho schritto; e quanto all’haverla sposata, è forse tanto buono l’animo mio, et tanto vago di levarla di questi diri et de’ pericoli di perdere l’honore, come a bocca vi direi se fussimo da presso, che vi potrei dire che fusse vero, sendo che in tutte le parte sempre mi ha sattisfatto: et trovandomi io attempato, mal sano et con un sol figliuolo, conoscendo che mal sattisfarei a torre una che mi dessi buona dote, ho disegnato più in lei che in altri, et mancherei prima della vita che mancare al mio proposito; perchè sono huomo, son libero, et tanto mi è sposa una povera e senza nulla, quanto se fusse una regina, perchè tutti siamo a Dio figliuoli: sì che non vi maravigliate, et tenete in voi, perchè la gente si cheti; chè vedrete che quel che io dico, è stabilito in cielo. Dio vi doni ogni contento.

Tenete in voi; et se si dice, lasciate dire, ch’un paio di orecchi seccono cento lingue.

Di Pisa, il dì XVI di Luglio 79([22]).  Vostro Compare Muzio Tedaldi.

Fuori: Al Molto Mag.co Mess. Vinc.o Galilei, Compare Hon.do in Fiorenza.

In Fiorenza.

7*.

……………………..a……….([23])

Bologna [1588].

Bibl. Naz. Fir. Mss. Gal., P. V. T. II, car. 6. Copia sincrona, probabilmente dall’originale. A tergo, di mano di GALILEO, si legge: Giudizio sopra una mia prop.ne, fatto in Bologna.

Molto Ill.re Sig.r

Il mio amico loda infinitamente lo inventore di questa speculatione, et insieme col Sig.r Moleto lo giudica molto versato nelle matematiche. Et solo per mostrar che egli l’habbia veduta, quanto al lemma, dice che pare che gl’antecedenti et consequenti nella construttione si variino da quello che erano nella proposta. Et benchè questo lemma non sia il medesimo con la nona d’Archimede, nel 2° trattato del Tartaglia, par non di meno nato di là, et sotto la forma di quella propositione constretto, et simile ad una propositione che egli già molti anni fece, nella quale, sì come Archimede toglie i due quinti della massima et l’amico di V. S. un quarto, egli toglieva un ottavo, seguendo, ne l’altre, con simili proportionalità, nel lor genere. Et dice non esser molta fatica, seguendo la forma d’Archimede, formarsene assaissime.

Quanto al teorema, egli dubita se il centro del pezzo della piramide sia il punto o: per ciò che, stando la deffinitione del centro delle gravità de’ corpi posta da Pappo et adoprata dal Marchese Del Monte nelle Mecaniche, non segue che se per lo centro o supposto passerà un piano, quel pezzo si divida in due parti ugualmente pesanti, come dovria quando fosse veramente il centro. Et il Comandino, che la medesima materia tratta nel libro De centro gravium alla XXVI propositione, molto più s’accosta a trovar il centro, che non par che faccia questa demonstratione, quantunque da quella del Comandino non sia molto differente.

Et questo è quanto egli a bocca mi riferisce; et io le bacio la mano.

8.

GALILEO a CRISTOFORO CLAVIO in Roma.

Firenze, 8 gennaio 1588

Questa e le altre lettere di GALILEO al P. CRISTOFORO CLAVIO sono state riscontrate sugli autografi, che prima del 1870 si conservavano a Roma in una delle Case della Compagnia di Gesù. Di tale riscontro siamo debitori alla cortese mediazione del P. FRANCESCO EHRLE, Prefetto della Biblioteca Apostolica Vaticana.

Molto Mag.co et Rev.do mio S.re

Parmi hor mai tempo di rompere il silenzio sin qui usato con V. S. M. R. da che mi partii di Roma, sì per rinfrescarli nella memoria il desiderio che ho di servirla, come ancora per darle occasione di satisfare al desiderio mio, che è d’intender nuova di lei et sentire il parer suo circa alcune mie difficultà; delle quali una è questa, che con la presente gli mando, intorno alla dimostrazione dell’infrascritto lemma, la quale desidero saper da lei se interamente gli quieta l’intelletto, atteso che alcuni, a i quali qui in Firenze l’ho mostrata, dicono non ci haver l’intera satisfazione, non tollerando volentieri quel doppio modo di considerare le medesime grandezze in diverse bilancie, come benissimo V. S. M. R. nella dimostrazione scorgerà. Io ho cercato molti giorni con diligenza qualche altra dimostrazione, ma non trovo cosa alcuna, salvo che a dimostrarla per induzione, il qual modo di dimostrare a me non satisfà molto. Io sono per anteporre il parere di V. S. M. R. ad ogn’altro: et se la vi si quieta, mi vi quieterò io ancora; quanto che no, tornerò a cercare altra demostrazione: però desidero che quanto prima mi favorisca scrivermi l’opinion sua.

Io credo che nella dimostrazione di quel teorema del centro della gravezza del frustro del conoidale rettangolo, che lasciai a V. S. M. R., vi sia una scorrezione, poi che è ancora nell’originale d’onde la copiai; et dove credo che dica: Quam autem rationem habet composita ex ns et tripla sx ad compositam ex ns et dupla sxsi deve leggere: Quam autem rationem habet composita ex ns et dupla sx ad compositam ex tripla utriusque simul nssx([24]). Questa scorrezione è di poca importanza; ma se ci fossero errori di momento, desidero che la mi favorisca avvertirmene.

Credo che questo che li porgerà la presente, sarà l’Ill.re S. Cosimo Concini, mio amorevolissimo padrone, nella cui grazia desidero esser conservato con il favore di V. S. M. R., che so che in ciò varrà assaissimo; et al medesimo, volendo degnarsi di rispondermi, potrà consegnare le sue, et esso per sua cortesia si prenderà diligente cura che io le habbia. Sto aspettando intendere che il suo trattato sopra l’emendazione dell’anno sia uscito in luce([25]). Et con questo fine, pregandola ad amarmi, comandarmi et ricordarsi di me nelle sue orazioni, le bacio le mani.

Di Firenze, il dì 8 di Gennaio 1587([26]).

Di V. S. M. R.Prontissimo Servitore Galileo Galilei.

Fuori: Al molto Rev.do P.re et mio S.r Colendissimo

Il P.re Christoforo Clavio, Matematico Eccell.mo

Roma.

9.

CRISTOFORO CLAVIO a GALILEO in Firenze.

Roma, 16 gennaio 1588.

Bibl. Naz. Fir. Mss. Gal., P. VI, T. VII, car 7. – Autografa.

Molto Mag.co S.or mio Oss.o

Ho ricevuto la lettera di V. S., a me gratissima per intendere come si ricordi tanto particolarmente di me, sì come lo fo anco io di lei. Circa il suo lemma dirò brevemente quello che mi pare, benchè adesso sto molto rimoto di queste speculationi de aequiponderantibus, le quali, come V. S. sa bene, ricercono grande attuatione: ma però, per sodisfarla, dirò il mio parere.

Il supposto, adunque, mi piace: ma quanto alla dimostratione, non mi dà fastidio quel doppio modo di considerare le medesime grandezze in diverse bilancie, perchè Archimede fa quasi il medesimo nella prop. 6 del lib. 1 De aequiponderantibus; ma quando, nella libra ad([27]), nel d pende la massima et nel a la minima, suppone V. S. che al hora il medesimo punto x sia il punto dell’equilibrio di tutte, sì come il medesimo x si pone il punto dell’equilibrio quando la massima pende nel et la minima nel b, nella libra ab; il che pare che ricerca d’essere dimostrato, altrimente mi pare quod petitur principium. Se costasse che ‘l punto x fosse il punto dell’equilibrio nella libra ad, sì come gl’è nella libra ab, mi pare, secondo il mio poco giuditio (stando adesso così remoto di queste speculationi), che la sua dimostratione proceda bene.

La ringratio poi della correttione della dimostratione del centro gravitatis del frusto del conoidale rettangolo, a me mandata. Io non ho ancora havuto tempo di vedere detta dimostratione. Spetto occasione che possi un poco rinfrescare la memoria di questo studio, et gli scriverò sinceramente quello che io sentirò.

Quanto al trattato del calendario, l’ho finito, ma l’ho da rivedere co ‘l Cardinale di Mondevi, il quale è occupatissimo et trattiene questo negotio. M’avvisi con che via gli potrei mandare uno, quando sarà stampato, chè gli manderò volontieri uno([28]). Vo adesso rivedendolo, con aggiongerle qualche cosetta; et il medesimo fo nel Euclide([29]), che presto comminciarò di stamparlo.

Il S.or Cosimo Concini non ho visto: forse io non ero in casa quando portò la lettera. Quando lo vedrò, farò l’officio di buon cuore. Con questo fo fine, offerendomi in ogni sua occorrenza quanto potrò.

Di Roma, alli 16 di Gennaro del 1588.

Di V. S.Servo nel Signore Christoph.o Clavio.

Fuori: Al molto Mag.co S.or Galileo Galilei, mio Oss.o

Firenze.

10.

GUIDOBALDO DEL MONTE a GALILEO in Firenze.

Pesaro, 16 gennaio 1588.

Bibl. Naz. Fir. Mss. Gal., P. VI, T. VII, car. 9. – Autografa.

Molto Mag.co S.r mio Hon.do

Si scusa V. S. nella sua, che troppo liberamente e con troppo ardire viene con la sua lettera, a me certo gratissima, a ritrovarmi, com’ella sia per fastidirmi; ma non si avvede che con troppo ardire et troppo mi lauda, fuori di ogni mio merito. Ma in questo conosco che ha voluto notificarmi l’animo suo, certamente verso di me troppo cortese; dove io l’ho da ringratiar di due cose: l’una, dell’havermi troppo honorato et esaltato; l’altra, del favore che mi ha fatto a mandarmi il suo teorema, che veramente gliene resto obligatissimo, et a me è piaciuto assai, massime che V. S. ha voluto immitar Archimede nelle due ultime propositioni De aequeponderantibus: ilqual libro fra pochi giorni sarà mandato fuori da me comentato([30]). Che se ben il libro d’Archimede non ha troppo bisogno di comento, non ho però potuto mancare di non farlo; e perchè sarà fra pochi giorni finito di stampare, io ne mandarò uno a V. S., se però saprò dove ella sia per essere, sì che la prego ad avisarmene.

E perchè nella sua mi dice di haver altre cose sopra i centri della gravezza, a me farà sempre favor grande a farmi partecipe delle sue cose, che, per questo saggio che mi ha mandato, non possono se non essere di esquisita dottrina; dalle quali so che non potrò se non imparar assai, havendo conosciuto in questa una esquisita et profonda scienza, et un modo di trattar molto bello et assai succinto e breve.

Fra alcune lettere, che molti giorni sono occorsero fra il Padre Clavio et me, io le scrissi che l’ultima del Commandino, De centro gravitatis solidorum([31]) non era buona per non esser universale; il qual Padre mi mandò poi la sua dimostratione, assai diversa da questa di V. S. Et ho havuto caro che questa sia stata buona occasione di haver havuto a conoscere, al meno per lettere, V. S.; dove la si pò assicurare di haver uno, che in ogni sua occorrenza non lasciarà occasione di servirla. Sì che la prego con tutt’il core a non restar di comandarmi liberamente: e le bascio le mani.

Di Pesaro, alli 16 di Gennaro del 1588.

Di V. S.Ser.re Guidobaldo de’ Marchesi del Monte.

Fuori: Al molto Mag.co S.r mio Hon.do,

Il S.r Galileo Galilei

Fiorenza.

11*.

ENRICO CAETANI al SENATO DI BOLOGNA.

Roma 10 febbraio 1588.

Arch.di Stato in Bologna([32]). Archivio del Senato. Reggimento. Lettere dell’Ambasciatore al Senato, 1588. – Autografa la sottoscrizione.

Molto Ill.ri SS.ri

Tengono pensiero le, SS.rie VV., per quello che mi s’espone, di condurre un matematico alla lettura pubblica dello Studio di Bologna, et intendo che sia stato loro proposto M. Galileo Galilei, nobile fiorentino, il quale habbia grande approbatione della sua sufficienza([33]). Se le SS.rie VV. inclinaranno a condurlo, aggiongo la mia raccomandatione a beneficio suo, acciò nel concorso delli altri li giovi appresso la loro humanità l’esser raccomandato da me, che ne sentirò particolar obligo alle SS.rie VV.; alle quali mi offero con tutto l’animo.

Di Roma, a’ 10 di Febbraio 1588.

Delle SS. VV. molto Ill.riCome fratello per servirle Il Cardinale Caetano.

Alli SS.ri Quaranta del Reggimento di Bologna.

Fuori: Alli molto Ill.ri SS.ri Quaranta del Reggimento di Bologna.

a Bologna.

12.

GALILEO a CRISTOFORO CLAVIO in Roma

Firenze, 25 febbraio 1588.

Vedi l’informazione premessa al n.° 8.

Molto Rev.do mio S. Col.mo

Ricevetti, più giorni sono, una di V. S. R., a me gratissima([34]), alla quale non prima che hora ho dato risposta, sì per essermi convenuto fare alcuni viaggi, sì ancora per non l’infastidire, sapendo quanto sia di continuo occupata. La ringrazio infinitamente dell’amico affetto che mi ha dimostrato in cortesemente avvertirmi di quello che stima haver bisogno di dimostratione nel mio lemma, più giorni sono mandatoli; et perchè so che con gl’amici della verità, quale è V. S. R., si può et devesi parlare liberamente, dirò con brevità quanto in mia difesa mi sovviene.

A quello dunque che V. S. R. dice che non gli costa che quando, nella libra ad, nel d pende la massima et nell’a la minima, il punto dell’equilibrio deva essere x, sì come quando, nella libra ab, in pende la massima et in la minima et che si dà x essere il punto dell’equilibrio, anzi gli pare che ciò habbia bisogno d’essere dimostrato; rispondo, che se noi diamo che del composto di tutte le grandezze l’equilibrio sia x, quando le parti componenti sono fghkn, del medesimo composto sarà ancora il punto dell’equilibrio il medesimo x, con tutto che io lo consideri esser composto delle parti norst atteso che del medesimo composto uno è il([35]) punto dell’equilibrio, et le sue parti componenti per il diverso modo di considerarle non variano sito o grandezza. Ma forse meglio dichiarerà l’intentione mia la figura che con questa gli mando, nella quale (e tanto serve al mio bisogno) pongo le grandezze congiunte. Posto dunque che di tutto il composto il punto dell’equilibrio sia x, il medesimo indubitatamente sarà o se io considero tal composto costare delle parti fghkn, o delle parti norsatteso che, o compongasi dell’une o dell’altre parti, sempre è idem numero compositum: et quando io lo considero esser composto delle fghkn, sono le grandezze disposte ordinatamente nella libra ab; et considerandolo composto delle norst, sono le parti con ordine contrario distribuite nella libra ad: onde, per il postulato che io pongo, mi pare poter concludere l’intento mio.

Questo è quello che mi fa per ancora credere buona la mia dimostratione; il che quando non satisfaccia al molto giudizio di V. S. R., preponendolo al mio poco, mi affaticherò in qualche altra investigazione. Intanto V. S. R. per carità mi farà favore scriverne il suo parere, il quale in questo mezzo starò con desiderio attendendo, come faccio il suo trattato del calendario([36]); che volendomi favorir mandarmene uno, potrà farlo consegnare a M. Ruggiero Ruggieri, maestro delle poste del Gran Duca di Toscana, che si piglierà diligente cura di mandarmelo. Et qui con ogni reverenza baciandoli le mani, la prego ad amarmi et commandarmi, et conservarmi nella grazia del S. Cosimo Concini, al che fare sommamente varrà il mostrare, a V. S. R. ciò esser grato.

Di Firenze, il dì 25 di Febraio 1588.

DI V. S. M. R.Obbligatissimo Servitore Galileo Galilei.

Fuori: Al molto Rev.do S.re et mio Pad.ne Col.mo

Il Padre Cristoph.o Clavio.

Roma.

13.

CRISTOFORO CLAVIO a GALILEO in Firenze.

Roma, 5 marzo 1588.

Bibl. Naz. Fir. Mss. Gal., P. VI, T. VII, car. 11. – Autografa.

Molto Mag.co S.or Oss.o

Ho ricevuto la risposta alla mia scrittali, et mi dispiace di non potere, perle continue mie occupationi, attendere con più studio alla materia del centro gravitatis,per satisfare a V. S. nel suo quesito, come io desidero. Dirò pur quello che mi pare: V. S. però non pigli adesso mia risposta per oraculo, perchè, come ben sa, chi vole ben rispondere a simili dubii, bisognarebbe che fosse al hora attuato in simile studio, che adesso io non sono.

Dico adunque che mi pare ancora, che egeat demonstratione che ‘l punto x([37]) resti il punto del equilibrio nella libra ad. Il postulato suo prova bene che il punto del equilibrio nella libra ad dividerà proportionalmente la libra ad, sì come ‘l x divide la libra ab: ma dirà uno, che ‘l detto punto nella libra ad sarà un altro diverso dal x. Et volendo pur V. S. che sia ancora ‘l x, suppone adunque che sia tale proportione di ax a xb([38]), quale è da ax a xdquod est petere principium, perchè da qui procede tutta la dimostratione. Se V. S. trova che veramente ‘l punto x sia nella libra ad, servisene, perchè, come dico, io per adesso non posso meglio considerare. A me certo pare che si doverebbe provare. Perchè, dicendo l’adversario che ‘l ponto del equilibrio nella libra ad sia y, seguitarà, per il suo postulato, et bene: chè sarà bx ad xa, come ay ad yd: et così mai proverà che bx sia dupla alla xa.

V. S. mi perdoni se non lo satisfò a pieno, come desidero, per la causa sudddetta. Della promessa mi ricordarò, et sarò sempre pronto a servirlo. Nostro Signore conservi V. S. nella sua santa gratia.

Di Roma, a 5 di Marzo dell’anno 1588.

Di V. S.Servo in Christo. Christoph.o Clavio.

Fuori: Al molto Mag.co S.or Galileo Galilei

Mio Oss.o

Fiorenza.

14.

ANTONIO RICCOBONI a GALILEO in Firenze.

Padova, 11 marzo 1588.

Bibl. Naz. Fir. Mss. Gal., P. I, T. VI, car. 7. – Autografa.

M.to Mag.co S.or mio Oss.mo

Il valor di V. S., predicatomi dalle lettere dell’Ill. S.or Conte M. Antonio Bissaro, et scorto benissimo in quella sua compositione che da tanti valent’huomini è stata approvata e sottoscritta([39]), mi haveva a bastanza infiammato ad amarla e riverirla, di maniera che non pensava che niente si potesse accrescere all’affettion mia verso lei. Nondimeno per la cortesissima sua lettera confesso esser talmente accresciuta, che tra gli affettionati suoi mi pare nè ancho di dover ciedere allo stesso S.or Conte; et amo veramente occasione di fare qualche segnalata dimostratione dell’animo mio verso le sue molte virtù, affermandole in tanto che il S.or Moleto l’ama medesimamente da buon senno. Et baciandole la mano, con offerirmele per sempre et pregarle da N. S. Iddio ogni felicità,

Di Padova, a XI di Marzo MDLXXXVIII.

Di V. S. molto Mag.ca    Ant.o Riccobuono.

Fuori: Al molto Mag.co S.or mio Oss.mo

[Il S.or] Galileo Galilei, Mathematico Ecc.mo

Firenze.

15.

GUIDOBALDO DEL MONTE a GALILEO in Firenze.

Pesaro, 24 marzo 1588.

Bibl. Naz. Fir. Mss. Gal., P. VI, T. VII, car. 13. – Autografa.

Molto Mag.co Sig.r mio.

Confesso la mia negligentia in esser stato troppo a risponderle; ma mi sono lasciato trasportare dal tempo, che volevo mandargli il libro, il quale è apunto finito di stampare adesso([40]). Io conosco benissimo che V. S. non ha punto bisogno di questo comento, ma il libro è fatto per i principianti: e non so se nella praefatione del secondo libro io sarò stato troppo arrogante in esser contrario a Eutocio, a Pappo et a molti altri moderni; ma io ho voluto pigliar la parte di Archimede più che io ho potuto. Haverò caro di saper il suo giuditio, quale stimo sopra ogni altro. Poi la non mi poteva dar la miglior nuova, che di sentire che ella sia per passar di qua; che questo lo desidero infinitamente: ma non voglio che la si fermi qui da me un giorno solo, e la prego a non pentirsi di non mi far questo favore di venire, qui da me, chè la casa mia voglio che sia sempre sua.

La sua dimostratione ultima, che mi ha mandato, mi ha piaciut’assai. E le bascio le mani.

Di Pesaro, alli 24 di Marzo del 1588.

Di V. S.Ser.re Guidobaldo de’ Marchesi del Monte.

Fuori: Al molto Mag.co S.r mio Hon.do

[Il S.r] Galileo Galilei.

Fiorenza.

Con un libro.

16.

MICHELE COIGNET a GALILEO [in Firenze].

Anversa, 31 marzo 1588.

Bibl. Naz. Fir. Mss. Gal., P. VI, T. VII, car. 15. – Autografa.

Doctissime([41]) Galilee,

Tradidit nobis nuper Dominus Ortelius tuam de centro gravitatis frusti([42]) conoidis parabolici inventionem([43]), quam certe magna admiratione amplexi sumus, precipue quod hanc (absit iactantia) inventis Archimedis ea de re longe faciliorem et praxi accommodatiorem invenimus. Nobis ad perficiendum simile problema solebat hic sequens modus sufficere:

Sit frusti([44]) conoidis parabolici abcd axis ef, cuius centrum gravitatis inveniendum sit. Complementum huius frustri sit portio agb. Iam si eh sit tertia pars axis portionis eg, erit centrum gravitatis praedictae portionis: similiter si fi sit tertia pars totius axis fg, erit i centrum gravitatis conoidis dgc. Iam frustri centrum erit necessario in eadem axe infra i, nempe in m, ita quod ratio hi ad im sit ut frusti([45]) abcd ad portionem agb: quod cum ita inventum fuerit, erit m quesitum centrum gravitatis dati frustri.

Sed centrum hoc multo facilius nova tua inventione investigare doces. Quia axem frusti([46]) ef divides solummodo per signa l et o in tres partes aequales, et dicis, adminiculo tui([47]) lemmatis, quod centrum gravitatis dati frusti([48]) erit inter l et o signa, in m scilicet, ita quod quam habeat rationem um dc ad um ab, eandem habeat recta lm ad rectam mo; quod cum ita sit, invenienda erit solummodo rectis dc et ab tertia proportionalis, que sit pq. Erit ergo dc ad pq sicuti lm ad mo, vel compositum ex rectis dc et pq ad rectam dc sicut lo ad lm: facile ergo per 12am sexti Elementorum Euclidis invenies quantitatem rectae lm, qua quesitum centrum gravitatis dati frusti([49]) innotescet. Certe hic confitendum erit, doctissime Galilaee, hanc tuam inventionem dignam esse ut ea a cunctis, has artes colentibus, mira congratulatione accipiatur, et tibi pro tali benificio gratias aeternas habeamus.

Bella intestina miserabilis nostrae inferioris Germaniae adeo bonarum artium studia extinguerunt, ita quod vix apud nos aliquem invenies, qui his artibus et studiis favere videatur. Quidam Coloniensis tamen, nomine Ludolpho([50]), nuper nobis proposuit aliqua problemata geometrica, quorum non pigebit unum hic adscribere:

Sit circulus bcdh, divisus duabus diametris bd et ch, sese secantibus ad rectos angulos in centro a. Diameter bd sit 8, et secetur secundum extremam et mediam rationem in g, eritque bg  80 minus 4, gd vero 12 minus  80. Ex g enim duces rectam gf pros orthos cum diametro bd, et sit recta gf aequalis ac; punctum f autem coniunges recta centro a, quae secet([51]) circuli circumferentiam in puncto i, a quo tandem ad punctum b recta ducenda erit: haec dirimet circuli diametrum in k. Inveniendae iam sunt quantitates rectarum bkkick et kh. Hoc problema vero absolvimus adminiculo praeceptorum([52]) et regularum artis magnae, sive algebrae: quare si huius artis speculationes tibi cordi sint, poteris, si lubet, hoc praedictum problema tuo modo investigare.

His vale, doctissime Galilaee; et cum nobis plus ocii a superis concedetur, tunc aliqua nostrae inventionis tibi communicabimus([53]).

Datum Antverpiae, pridie calend. Aprilis, anno a Christo nato 1588.

Eruditioni et humanitati tuae paratissimus

 Michael Coignet matheseos studiosus.

17.

GUIDOBALDO DEL MONTE a GALILEO [in Firenze].

Pesaro, 28 maggio 1588.

Bibl. Naz. Fir. Mss. Gal., P. VI, T. VII, car. 16. – Autografa.

Molto Mag.co S.r mio.

Ho ricevuto due sue lettere, che mi hanno data grandissima satisfattione. Credo che per la sua modestia dica che gli piace il mio libro che gli ho mandato([54]); ma la prego quanto posso che mi vogli avertire qualche cosa sopra esso, perchè io ho ancora tutti i libri in mano, e mi sarà facil cosa a coreggerlo dove bisogna: e di gratia non manchi di farmi questo piacere.

Io le mando la lettera per Monsignor mio fratello([55]): la glie la dia lei medesima, e spero che per quello che toccarà a lui, non mancarà di aiutarlo, havendogl’io scritto in modo, che credo che conoscerà il suo valore et la sua dottrina, havendogli io scritto la verità([56]).

La prego a non mancar di attendere a queste cose del centro della gravità, che ha cominciato, essendo cose bellissime et sottilissime.

Ho veduto il suo lemma([57]), e per dirgli liberamente il parer mio, dubbito che petat principium, perchè nella dimostratione dove dice: Verum centrum omnium est x, quare x eadem ratione dividet ba et ad lineas([58]), pare che si possa negare questa conseguenza; perciochè si potrebbe dire forse che la libra ad sarà divisa non in x, ma in un altro punto nella proportione che ha bx a xa. La detta conseguenza sarebbe vera se, pigliato il punto dove si voglia, ne seguitasse sempre che bx a xa fusse come ax a xd; il che è falso, seben alcuna volta pò esser vero, ciò è quando bx sarà dupla di xa, perchè all’hora ax sarà dupla di xd: che se fusse ab divisa in sei part’eguali, bx saria 4, xa 2, xd 1; e però par che la sua dimostratione petat principium. Ma però mi rimetto a più prudente giuditio, e massime al suo.

Io poi desidero che mi comandi, che certo ho grandissimo desiderio di potergli far ogni servitio; e se bisognarà che io replichi altre lettere, non resti di avisarmi e di comandarmi liberamente. E le bascio le mani.

Di Pesaro, alli 28 di Maggio del 1588.

Di V. S.Ser.re Guidobaldo de’ Marchesi del Monte.

Fuori: Al molto Mag.co Sig.r mio,

[Il S.r] Galileo Galilei.

18.

GUIDOBALDO DEL MONTE a GALILEO in Firenze.

Pesaro, 17 giugno 1588.

Bibl. Naz. Fir. Mss. Gal., P. VI, T. VII, car. 18. – Autografa.

Molto Mag.co Sig.r mio Hon.do

Quand’io scrissi a V. S. intorno a quella sua dimostratione, di lì a due giorni io mi accorsi dove havevo pigliato errore. Perchè nella prima dimostratione, per esser assai succinta, mi parve che havendo havere la medesima proportione bx a xa come ax a xd, che di qui ne seguitasse che x fusse poi centro della gravità di norsappese in dicm, a: ma è al contrario, che essendo x centro delle gravità, ne séguita che bx a xa sia come ax a xd, sì come più chiaramente nella sua ultima ha mostrato: sì che a me pare che la dimostratione stia benissimo, fondata in quella suppositione, la quale si potrebbe forse dimostrare con poca cosa.

Io non mancarò di tener ricordato a Monsignor mio fratello quanto ella desidera; e se son buono a servirla in altro, mi comandi. E le bascio le mani.

Di Pesaro, alli 17 di Giugno del 1588.

Di V. S.Ser.re Guidobaldo de’ Marchesi del Monte.

Fuori: Al molto Mag.co Sig.r mio,

Il [Sig. Galileo] Galilei

Fiorenza.

19.

GALILEO a GUIDOBALDO DEL MONTE [in Pesaro].

Firenze, 16 luglio 1588.

Bibl. Naz. Fir. Mss. Gal., P. VI, T. VI, car. 7. – Copia di mano del secolo XIX, trascritta quando fu messa insieme la raccolta Palatina dei Mss. Galileiani, e derivata, come sembra probabile, direttamente o indirettamente, da copia che dall’originale aveva procurato VINCENZIO VIVIANI.

Ill.mo mio Sig.re

Ho tardato sin hora a scrivere a V. S. Ill.ma, non per mia negligenza, ma solo per non infastidirla con mie troppo frequenti. Ho havuto contento che la dimostrazione del lemma gli sia parsa buona, però che il giudizio di due uomini illustri, qual è V. S. Ill.ma et un altro([59]) che pur due volte mi ha replicato che petit principium, mi facevano assai dubitare di essere abbagliato; e l’haver ancora con gran fatica cercatane altra dimostrazione, e non l’haver trovata mi sbigottiva. Quanto al principio il quale, come V. S. Ill.ma benissimo dice, dimostrar si potrebbe, giudico che, quando ancora così paresse a lei, sia meglio il lasciarlo indimostrato, perciò che questo ancora parmi essere usato da homini([60]) grandi; dico il lasciare, e massime ne’ trattati difficili, indimostrate alcune cose di non molta difficoltà: pure quando V. S. Ill.ma giudichi altramente, io lo dimostrerò, onde la prego a dirne il suo parere, e non meno di quello quanto di questo che hora gli mando, che è l’applicazione di esso lemma, per dimostrare il centro del conoidale rettangolo. Un’altra volta gli manderò dimostrato, che in conoide obtusiangulo centrum gravitatis axem ita dividit, ut pars ad verticem ad reliquam eandem habeat rationem, quam composita ex axe et dupla ad axem adiectae habet ad compositam ex adiecta et tertia parte axis.

Il negozio che altra volta scrissi a V. S. Ill.ma per conto di Pisa non sortirà, però che intendo che un certo monaco che prima vi leggeva, e l’intermesse essendo fatto generale della sua religione, rinunzia hora il generalato per tornarvi a leggere, e che digià da S. A. ha riavuta la lettura. Ma perchè qui in Firenze per i tempi a dietro ci è stata una lezione pubblica di matematica, instituita dal G. Cosimo, essendo hora vacante e, per quanto intendo, molto da’ nobili desiderata, ho supplicato per questa, sperando ottenerla col favore di Monsig.re Ill.mo suo fratello, al quale di questo negozio ho dato il memoriale. E perchè sino ad hora non ha veduto tempo opportuno di trattarne con S. A., essendoci stati forestieri, crederò che V. S. Ill.ma potrebbe haver tempo di scriverli un’altra volta in mio favore, del che la supplico per l’osservanza che ho alle molte sue virtù, e per la ferma speranza che ho nella cortesia sua. E qui con ogni reverenza baciandoli le mani, la prego a comandarmi et amarmi.

Di Firenze, il dì 16 di Luglio 1588.

Di V. S. Ill.maUmilis.mo Serv.re Galileo Galilei.

20.

GUIDOBALDO DEL MONTE a GALILEO in Firenze.

Pesaro, 22 luglio 1588.

Bibl. Naz. Fir. Mss. Gal., P. VI, T. VII, car. 20. – Autografa.

Molto Mag.co Sig.r mio,

Non vorrei che facessi scusa di non fastidirmi per non scrivere, perchè le sue lettere le vedo così volontieri quanto altre che mi vengano, conoscendo in esse ogni dì più il suo felice ingegno. Mi è piaciut’assai le dimostrationi che mi ha mandato, et bellissima sarà quella del conoide ottusiangolo, che la vederò volontieri, come farò sempre tutte le cose sue. Et quel principio, che io le dissi che si potrebbe dimostrare, pò far ciò che vuole, per ciò che chi ha un poco di pratica del dimostrare, quasi che patet sensu, per dir così.

Io non ho mancato di scriver a Monsig.r del Monte per la sua lettura di Fiorenza, e se le mie parole haveranno credenza, lei l’ottenerà al sicuro; e mi rincresce che non habbi ottenuta quella di Pisa, come sarebbe stato suo et mio desiderio. La mi comandi pur liberamente, che la servirò sempre con tutt’il core, siccome sono obligato ai meriti suoi. E le bascio le mani.

Di Pesaro, alli 22 di Luglio del 1588.

Di V. S.Ser.re Guidobaldo de’ Marchesi del Monte.

Fuori: Al molto Mag.co Sig.r mio Hon.do

Il S.r Galileo Galilei.

Fiorenza.

21*.

GUIDOBALDO DEL MONTE a GALILEO in Firenze.

Pesaro, 16 settembre 1588.

Bibl. Naz. Fir. Mss. Gal., P. VI, T. VII, car. 22. – Autografa.

Molto Mag.co Sig.r mio Hon.do

Mi dispiace assai che ‘l suo negotio vadi così alla lunga, che quando sarà terminato in bene, io ne sentirò contento grandissimo; e se in questo mezzo le parerà che io debba far altro, mi avisi, chè non mancarò di adoperarmi caldamente, per quanto si estenderanno le mie deboli forze.

Circa il problema propostoli delli tre circoli, Pappo nel quarto libro, alla decima propositione, mi fece venir voglia di trovarlo, perchè Pappo non insegna di trovarlo([61]); e così doppo molto fantasticare lo trovai, et lo mandarò a V. S., se ben io spero di servirmene un giorno in istampa; ma lei è tanto cortese verso di me, che non voglio mancare: ma non posso adesso, perchè io l’ho fra certe mie carte, che Dio sa dove sono, per haver assai scombossolato il mio studio, essend’io stato fuori, dove mi bisognarà forse tornare. E le bascio le mani.

Di Pesaro, alli 16 di Settembre del 1588.

Di V. S.Ser.re Guidobaldo de’ Marchesi del Monte.

Fuori: Al molto Mag.co Sig.r mio Hon.do

Il S.r Galileo Galilei.

Fiorenza.

22*.

GUIDOBALDO DEL MONTE a GALILEO [in Firenze].

Pesaro, 7 ottobre 1588.

Bibl. Naz. Fir. Mss. Gal., P. VI, T. VII, car. 24. – Autografa.

Molto Mag.co Sig.r mio Hon.do

Mand’a V. S. il problema che mi adimandò, e mi escusi se sono stato troppo a mandarglielo. Se lo mandarà in Fiandra([62]), di gratia lo accomodi come gli parerà, perché glie lo mando così come io l’ho trovato fra certe mie cartaccie. Haverò caro d’intendere se le sarà piaciuto; e s’io son buono a servirla in alcuna cosa, mi comandi, desiderando anche d’intendere se il suo negotio ha per ancora havuto buon fine secondo il desiderio suo. E le bascio le mani.

Di Pesaro, alli 7 di Ottobre del 1588.

Di V. S.

Fuori: Al molto Mag.co Sig.r mio Hon.do

[Il S.r] Galileo Galilei.

23*.

GUIDOBALDO DEL MONTE a GALILEO in Pisa.

Pesaro, 30 dicembre 1588.

Bibl. Naz. Fir. Mss. Gal., P. VI, T. VII, car. 26. – Autografa.

Molto Mag.co Sig.r mio Hon.do

V. S. non lascia occasione di favorirmi, mostrandomi il suo affetto dell’allegrezza che mostra della esaltatione del S.r mio fratello al cardinalato; del che la ringratio sommamente, e glie ne bascio le mani.

Ho havuto caro che gli siano piaciuti quelli problemi; et in verità io non gli risposi, chè dubbitavo che le lettere non capitassero male. Ho anche con grandissima mia satisfattione sentito ch’ella vogli mandar fuori le sue cose del centro della gravezza, che in verità V. S. ne acquistarà molto honore.

Non sarò più lungo; e s’ella mi conosce buono a servirla, mi comandi. E le bascio le mani.

Di Pesaro, alli 30 di Decembre del 1588.

Di V. S.come fratello Guidobaldo dal Monte

Fuori: Al molto Mag.co Sig.r mio Hon.do

Il S.r Galileo Galilei.

Pisa.

24*.

GIOVANNI RICASOLI BARONI a NERI RICASOLI BARONI in Firenze.

Lucca, 11 maggio 1589.

Arch. di Stato in Firenze. Magistrato Supremo, Filza 1355. Copia sincrona, premessa questa indicazione: «Copia di una lettera scritta di Lucca e di Pescia, scritta da Mess. Giovanni Ricasoli a Mess. Neri, suo fratello, li XI di maggio 1589». – Se ne hanno due altre copie sincrone, che presentano lievissime differenze di forma, nella Filza che forma il n.° 59 dei Nuovi Acquisti Galileiani della Biblioteca Nazionale di Firenze; e una copia, pur sincrona, ma incompleta, è nella Filza 217, Inserto 15, car. 61t.-62t. dell’Archivio RICASOLI in Brolio.

…. Galileo andò cercando di noi, e tornò([63]).

Siamo all’Ascensione, adi XI maggio, e siamo in Lucca: e l’amico([64]) mi dice volere ire a Lerice domattina, e così siamo di accordo d’ire lui et io e Lorenzo, alias il Lanzi. In questo mentre si è fatto motto al Cav.re Ridolfi, et ho baciato la mano allo Ill.mo S.r Giovanbatista Dati, uno delli Anziani, e domandatoli l’arme tutti insieme, lui, Galileo, il S.r Ridolfi et io; e poi non la volse. Hoggi mi ha detto l’amico, che è 22 hore, che si vuole partire adesso, perchè dubita del Cav.re Ridolfi. Ci partiamo domani per Lerice. Galileo se ne torna, e vi porta queste lettere per aviso….

25**.

GIOVANBATISTA RICASOLI BARONI a RUBERTO PANDOLFINI in Firenze.

Genova, 25 maggio 1589.

Arch. Ricasoli in Brolio. Filza 217, Inserto 15, car. 127t. – Copia sincrona.

Hon. Cugino,

Desidero, havendo animo di fermarmi qui, d’havere de’ panni lini e delle camice, collaretti, pezzuole: però vi piacerà dirlo alla Maddalena, mia sorella, che potrà dar ordine in casa alla Dom.a, che in quel tamburo, che è in casa, vi metta queste cose; et più, se è fatto, quel vestito di bigio argentato, che sono calze intere, giubbone e colletto: chè Mess. Galileo, tornando in qua, potrà seco condurre dette robe: ancora, un breviario novo, che comprai ultimamente, et è in casa. Questo m’occorre dirvi, in quanto alle cose che mi fanno qui di bisogno….

26*.

GIOVANNI RICASOLI BARONI a FRANCESCO GUADAGNI,

NERI RICASOLI BARONI e LORENZO GIACOMINI [in Firenze].

Venezia, 15 giugno 1589.

Arch. di Stato in Firenze. Magistrato Supremo, Filza 1355. Copia sincrona, premessa quest’indicazione: «Copia di una lettera di Giovanni Ricasoli, scritta di Venetia il dì XV di giugno 1589 a Mess. Neri e altri». – Se ne hanno due altre copie sincrone, che presentano lievissime differenze di forma, nella Filza che forma il n. 59 dei Nuovi Acquisti Galileiani della Biblioteca Nazionale di Firenze; alle quali copie è premessa la seguente indicazione: «C. Lettera di Giovanni Ricasoli a Mess. Francesco Guadagni, Mess. Neri Ricasoli e Mess. Lorenzo Giacomini, de’ 15 di giugno 1589, di Venetia»: e una copia, pur sincrona, è nella Filza 217, Inserto 15, car. 64r.-65r., dell’Archivio RICASOLI in Brolio.

…. In caso che Mess. Galileo o Piero, servitore dell’amico([65]), venissino, farò che, capitando alle Zafusine([66]) o altri luoghi di Lombardia, come vi havevo scritto che qualchuno venisse, che capitino a Venetia, dove li sarà detto, o dal S.r Vinc.o ([67]) o S.r Iacopo Guadagni, dove saremo iti….

27.

GUIDOBALDO DEL MONTE a GALILEO in Firenze.

Monte Baroccio, 3 agosto 1589.

Bibl. Naz. Fir. Mss. Gal., P. VI, T. VII, car. 28. – Autografa.

Molto Mag.co S.r mio,

Con effetto V. S. non vuol lasciar complimento nessuno con me: ma credo che di già ella habbi compreso la natura mia, lontana da ogni cerimonia; e la si assicuri che vorrei poterla servir molto più di quello che ho fatto, che alli meriti suoi non mi par di haver fatto niente.

Io sono venuto a star in villa a un mio luogo, et mi ha bisognato portar molte cose, et per conseguenza metter sotto sopra il mio studio; e così mi perdoni se non gli mando quelle mie poche cosette sopra la cochlea([68]), che presto glie le mandarò, perchè mi bisogna copiarle per esserci molte rimesse, essendo questa la prima bozza. Et se altro vuol da me, mi comandi; e le bascio le mani, com’a suo padre.

Di Monte Baroccio, alli 3 di Agosto del 1589.

Di V. S.Ser.re Guidobaldo dal Monte.

Fuori: Al molto Mag.co Sig.r mio Hon.do

[Il S.r] Galileo Galilei.

Fiorenza.

28*.

GALILEO a [LORENZO GIACOMINI in Firenze].

Bonazza, 5 ottobre 1589.

Arch. di Stato in Firenze. Magistrato Supremo, Filza 1355, car. 101t. – Copia sincrona, premessavi quest’indicazione: «Copia di una lettera scritta da Galileo Galilei, di Bonazza, il dì 5 di Ottobre 1589». Altra copia, pur sincrona, a car. 74t. della Filza 217, Inserto 15, dell’Archivio RICASOLI in Brolio.

Ill.re mio Sig.re

Questa sera sono arivato insieme col S.r Giovanbatista([69]) e Giovanni al suo luogo([70]), dove l’aspetto subito veduta la presente, che spero che condurremo detto S.r Giovanbatista a Firenze. Lui sta malissimo del corpo, e peggio che mai della mente, et ha bisogno di grandissime e preste cure. La non manchi, chè ce n’è gran necessità. Nè altro.

Di Bonazza, il dì 5 di Ottobre 1589.

Di V. S. I.Prontiss.o Ser.e Galileo Galilei.

V.S. mi favorisca fare intendere a mio padre dove sono, e che tornerò quanto prima.

29*.

BENEDETTO ZORZI a BACCIO VALORI in Firenze.

Venezia, 2 dicembre 1589.

Bibl. Naz. Fir. Filza Rinuccini 27. – Autografa.

… Del Galileo intesi dal S.or Pinelli, et ho piacere che all’huomo si sia aperta la stradda di mostrare in publico Studio sua dottrina. Qui dubito che la cathedra per quest’anno ancora sarà vuota([71]), mancando massimamente questo soggetto del quale il Cl.mo Contarini et io tenivimo vivo il nome nella memoria de chi governa lo Studio; nel quale io per me vorrei vedere ad introdure la lettura di Platone, come mi do a credere che facilmente S. A. la ritornerà in Pisa; et carissimo mi sarà, come ciò segua, che V. S. si contenti farmene moto….

30.

GUIDOBALDO DEL MONTE a GALILEO in Pisa.

Monte Baroccio, 10 aprile 1590.

Bibl. Naz. Fir. Mss. Gal., P. I, T. VI, car. 9. – Autografa.

Molto Mag.co et Ecc.te Sr. mio,

Mi è sommamente caro di haver nuova di lei; ma io non resto compitamente satisfatto, perchè la vorrei veder più contenta e meglio trattata, secondo li meriti suoi. Io non ho havuto per ancora nuov’alcuna da Venetia; ma io cercarò di saper qualche cosa, e non mancarò di avisargliene. Gli dico bene, che passand’io da Bologna, domandai del Magino, il qual non viddi, se ben mi fermai in Bologna due giorni e più; e parlando con alcuni, et in particolare con un dottore che legge in Studio, com’egli si portava et come serviva bene, mi rispose che si portava male e che non sa dimostrar niente, et che quando replica qualche cosa, dice che sempre dice le medesime parole, et quelle apunto che sono in Euclide, sì che non ne restano satisfatti: et io con questo campo dissi che in Fiorenza ci era un mio amico, il qual hoggi legge in Pisa etc., dove mi slargai sopra di V. S. a mio modo. Ma intesi che la condotta del Magino dura ancor un anno e mezzo([72]), se ben mi ricordo: e non potrà far che, o per una via o per l’altra, non si facci qualche cosa.

Io ho poi trovate alcun’altre cose sopra la cochlea([73]), le quali non l’ho ancor ben scritte. Come io le haverò in esser, so che mi favorirà di vederle, perchè gliele mandarò, perchè come io havrò il suo giuditio, sarò satisfatto. Fra tanto mi comandi: e le bascio le mani.

Di Monte Baroccio, alli 10 di Aprile del 1590.

Di V. S.Ser.re Guidobaldo del Monte.

Fuori: Al molto Mag.co et Ecc.te S.r mio

[Il S.r, Ga]lileo Galilei.

Pisa.

31.

GALILEO a CAPPONE CAPPONI in Pisa.

Firenze, 2 giugno 1590.

Bibl. Naz. Fir. Mss. Gal., P. I, T. V, car. 1 e 2. – Copia di mano del sec. XVIII alla quale è premessa la seguente indicazione: «Copia di una lettera scritta dal celebre Galileo Galilei, esistente originalmente nell’Archivio del Sig.r Marchese Cav.re Vincenzio Maria Capponi da S. Fridiano.»

Al molto Ill.re et Rev.mo Mons.or

Cappone Capponi, mio S.r Col.mo

Pisa.

Mons.r Rev.mo

La cagione che mi ha trattenuto qua è stata molto diversa da quella che mi fece partir di Pisa, atteso che, sendomi io partito per servizio della S. Lucrezia Capponi, come dissi a([74]) V. S. R.ma, et havendo finito quanto per suo servizio far devea, mi è convenuto poi assister qua appresso mia madre, sopraggiunta da gravissima infirmità, et quasi che mortale: et la credenza che havevo, che in breve fosse per vedersi l’esito di tal malattia, mi ha trattenuto di giorno in giorno, senza significare a V. S. R.ma tal mio impedimento. Intendendo dal S. Giulio Angeli, che la cura, il male dovere essere per andare in lungo, et essendo noi hor mai allo scorcio dello Studio, mi tratterrò con buona grazia di V. S. R.ma appresso detta inferma, persuadendomi che la presenza mia sia per essergli di grandissimo alleviamento. Et acciò V. S. R.ma e il Sig.r Buonaventura non restino mal satisfatti, havendo io di già havuta tutta la mia provvisione, ho ordinato a M. Lionardo Pegolotti, che sarà l’apportatore di questa, che satisfaccia a, tutte l’appuntature, che per la toga e per le lezioni lasciate mi fossero occorse([75]). V. S. R.ma dunque li ordini quanto far deve, che ad ogni suo cenno sarà satisfatta. Intanto V. S. R.ma mi conservi in sua grazia et mi comandi, assicurandosi che i comandamenti suoi saranno da me stimati favori singolarissimi. Et qui con ogni debita reverenza li bacio le mani.

Di Firenze, il dì 2 di Giugno 1590.

Di V. S. R.maProntiss.o et Oblig.mo Ser.re Galileo Galilei.

32.

[GALILEO a VINCENZIO GALILEI in Firenze].

Pisa, 15 novembre 1590.

Bibl. Naz. Fir. Mss. Gal., Anteriori di Galileo, T. I, car. 34. – Autografa.

Car.mo Padre,

Ho hauto in questo punto una vostra, con la quale ditemi di mandarmi i Galeni et il vestito et la Sfera, le quali cose non ho ancora ricuperate: me le harò ancora stasera. I Galeni non hanno ad essere altro che 7 tomi([76]), sì che staranno bene. Io sto benissimo, et attendo a studiare et ad imparare dal S. Mazzoni, il quale vi saluta. E non havendo altro che dire, fo fine.

Di Pisa, il dì 15 di 9bre 1590.

Vostro Car.mo Fig.o

……………….([77])

33.

GUIDOBALDO DEL MONTE a GALILEO in Pisa.

Monte Baroccio, 8 Dicembre 1590.

Bibl. Naz. Fir. Mss. Gal., P. VI, T. VII, car. 30. – Autografa.

Molto Mag.co et Ecc.te S.r mio,

Per non haver havuto molti giorni sono sue lettere, la sua mi è stata gratissima, e mi rallegro che con il S.r Mazzone si dia bel tempo, non senza mia invidia, che vorrei esser alle volte nel mezzo a tutti due e goder de’ suoi ragionamenti; al qual S.r Mazzoni V. S. da mia parte facci un grandissimo saluto et un lunghissimo bascia mano.

Una delle cose che io desideravo di sapere è se V. S. ha mai havuto accrescimento di provisione, che questo vorrei che fusse secondo il mio desiderio et il merito suo. Mi è poi assai piaciuto di veder che ella sia tornata al centro della gravità, et ha fatto assai haver trovato quanto mi ha scritto; et io ancora ho trovato alcune cose, ma non posso finir di trovar una contingente che mi fa disperare, che mi par di haverla trovata per una certa strada, ma non la posso dimostrare e chiarirmene con la dimostratione: ma la sua lettera mi ha consolat’assai, poi che vedo che V. S. cerca, e non finisce di trovare così presto, dove io non mi maraviglio s’io non trovo. Però non si maravigli se io non gli mando ancora a mostrare quanto io gli promisi, oltre che mi bisogna copiar molte cose; ma quanto più presto potrò, glie le mandarò, chè ho più caro io di haver il suo giuditio, che altra cosa. Fra tanto se mi conosce che io la possi servire in alcuna cosa, mi comandi liberamente; e le bascio le mani.

Di Monte Baroccio, alli 8 di Decembre del 1590.

Di V. S.Ser.re Guidobaldo del Monte.

Fuori: Al molto Mag.co et Ecc.te Sig.re mio Oss.mo

[Il S.r] Galileo Galilei.

Pisa.

34.

[GALILEO a VINCENZIO GALILEI in Firenze].

Pisa, 26 dicembre 1590.

Bibl. Naz. Fir. Mss. Gal., Anteriori di Galileo, T. I,car. non numerata tra la 20 e la 21. – Autografa.

([78]) ………………………………………………………………………………………………… più che ordinaria; et in questo fatto più che ne gl’altri, forse, bisogna pregare Iddio che gli piaccia di disporlo il meglio che sia possibile. Quella cosa che serbo alla Virginia([79]), è un cortinaggio di seta, la quale comprai in Lucca; et Alimento me l’ha fatto tessere con poca spesa, tal che, ancor che il drappo sia largo un braccio et ¼mi costa circa tre([80]) carlini il braccio. Il drappo è fatto a liste, et vi piacerà assai; hora fo fare le frangie di seta per fornirlo, et facilmente farò fare la lettiera ancora: ma harò caro che non ne parliate in casa, acciò gli giunghi inaspettato; et alle vacanze del Carnovale lo porterò, et come vi ho detto, se vi piacerà, gli porterò da fare 4 o 5 veste di domasco et di vellutino a opera, che saranno cosa rara. Nè altro.

Di Pisa, il dì 26 di 10bre 1590.

Vostro Car.mo Fig.o

G. G.

35.

GUIDOBALDO DEL MONTE a GALILEO in Pisa.

Monte Baroccio, 21 febbraio 1592.

Bibl. Naz. Fir. Mss. Gal., P. I, T. VI, car. 11. – Autografa.

Molto Mag.co Sig.r mio Hon.do

Perchè era molti giorni che io non havevo havuto nuova di V. S., però feci che Horatio mio figliuolo glie ne dimandasse. A quello che vedo, trovo che V. S. mi ha scritto altre volte, et io non le ho havute, come anche non ho havuta quella che V. S. mi dice havermi scritto della morte di suo padre([81]): che in vero quando l’ho sentito, ne ho preso gran dispiacere, e per amor suo e per amor di V. S.; nè mi pareva tanto vecchio, che non havesse potuto viver ancora molti anni. Io me ne condolgo con V. S., ma bisogna contentarsi di questi disturbi che dà il mondo.

Mi dispiace ancora di veder che V. S. non sia trattata second’i meriti suoi, e molto più mi dispiace che ella non habbi buona speranza. Et s’ella vorrà andar a Venetia questa state, io l’invito a passar di qua, che non mancarò dal canto mio di far ogni opera per aiutarla e servirla; chè certo io non la posso veder in questo modo. Le mie forze sono deboli, ma, come saranno, io le spenderò tutte in suo servitio. E le bascio le mani, com’al S.r Mazzone, se si ritruova in Pisa. Che il Signor la contenti.

Di Monte Baroccio, alli 21 di Febraro del 1592.

Di V. S.Ser.re Guidobaldo dal Monte.

Fuori: Al molto Mag.co Sig.r mio Hon.

Il Sig.r [Gali]leo Galilei.

Pisa.

36*.

GIO. VINCENZO PINELLI a GALILEO in Venezia.

Padova, 3 settembre 1592.

Bibl. Estense in Modena. Raccolta Campori. Autografi. B.a XLV, n.° 5. – Autografa la sottoscrizione.

Molto Mag.co et Ecc.mo Sig.re

Le lettere di V. S. per me et per il Sig.re Bartolomeo Mainerio ci hanno trovato inchiodati: per me, per una svolta d’un piede, che non m’ha permesso poter andar attorno da domenica mattina in qua; et il Sig.re Bartolomeo, per qualche termini di febre, che l’han tenuto in letto poco poi che gli venne quell’accidente in casa mia, presente la S. V. Con tutto ciò si è cominciato a far qualche opera col Ill.mo S.re Procuratore M.([82]) per mezzo d’altri, et spero di poter seguir l’offitio io proprio, con l’aiuto di Dio, per domani, quando ne darò conto a V. S.: alla quale per hora non starò a dir altro, se non che le bacio la mano, come dico al Sig.r K.ro([83]), suo hospite. Che N. S.re la conservi et contenti.

Di Padova, alli 3 di Settembre 1592.

Di V. S. molto M. et Ecc.maAff. Ser. G. V.zo Pinello.

Fuori: Al molto Mag.co et Ecc.mo S.re mio

Il S.re Galileo Galilei.

Vene.a

A S.ta Iustina, in ca’ Gradenigo.

in casa del molt’Ill.re S.r K.ro Uguccione.

37*.

GIO. VINCENZO PINELLI a GALILEO in Venezia.

Padova, 9 settembre 1592.

L’autografo della presente fece parte, insieme con altri documenti galileiani, di un fondo del quale si servì il prof. ANGELO DE GUBERNATIS per pubblicare un «Carteggio Galileiano, Nuovi documenti inediti per servire alla biografia di Galileo Galilei» (Nuova Antologia, Seconda Serie, Vol. XVIII, 1879, pag. 7-50). Detto autografo oggi si trova nella Raccolta Lozzi in Roma.

Molto M.co et Ecc.mo S.re

Hebbi l’ultima lettera di V. S., et pensai poter esser hieri col Sig. Procuratore Michele([84]), che non mi fu lecito, per alcun travaglio di stomaco che mi sopravenne. Sono stato questa mattina, et pertanto mi ha detto, darà alla S. V. li 200 fiorini senz’altro, et serà costì per domani o l’altro senza fallo; sì che la S. V. ne potrà star sull’aviso, et subito al suo arrivo andarlo a ritrovar, per ringraziarlo del suo buon animo et così far instanza per la spedizione. Non voglio lassar di dire alla S. V. (ma ciò sia detto tra di noi), che forse per alcun di cotesti Signori s’ha la mira a qualche altro soggetto; et però non sarà se non bene ch’ella s’offerisca alla concorrenza di chi cercasse questa lettura, chè in questo modo si chiariranno le partite et la giustizia harà il suo luogo. Ma, di grazia, la S. V. non si lassi intendere di questo mio avertimento. Con che le bacio le mani, come fa il Sig. Maire, che tuttavia se la passa in letto, ben migliorando da hieri in qua. Che Dio la prosperi.

Di Padova, alli IX di Settembre 1592.

Di V. S. Ecc. maAff. Servitore G. V. Pinello.

Fuori: Al molto Mag.co et Ecc.mo S.r mio Oss.mo

il Sig.re Galileo Galilei

Vinetia.

38*.

GIOVANNI UGUCCIONI a BELISARIO VINTA in Firenze.

Padova, 21 settembre 1592.

Bibl. Naz. Fir. Mss. Gal., P. I, T. XV, car. 30. – Autografa.

Molto Ill.re S.r mio e P.ne Oss.o

Sono in Padova, e sono venutoci con Mess. Galileo Galilei, che legge la Matematica in Pisa; quale quindici giorni fa venne per vedere Venetia, et in tanto hieri in carrozza, in discorrendo meco, mi disse che in Venetia era stato ricerco di leggere in Padova, e che crede che harebbe 200 scudi in circa di salario l’anno, e che ha risposto che, sendo al servitio del Gran Duca, non può risolvere cosa nessuna, onde io credo che se ne venga a cotesta volta, per trattare di questo negotio con S. A. S.: alla quale non ho voluto scrivere, perchè mi credo che basti haverlo conferito a lei con la presente; che se sarà male scritta, mi scuserà perchè sono all’hosteria per montare in carrozza per alla volta di Vicenza et essere giovedì in Venetia….

39**.

GIO. VINCENZO PINELLI a GALILEO in Venezia.

Padova, 25 settembre 1592.

Autografoteca Morrison in Londra. – Autografi il poscritto e la sottoscrizione.

Molto M.co et Ecc.mo Sig.re

Poichè hieri io aspettai la S. V. indarno, desidero ch’almeno di lontano ella mi faccia intendere come sia rimasta con questi SS.ri Riformatori in proposito delli 180([85]); se bene, per quanto mi è occorso di ragionarne con diversi che sono stati a ragionamento co’ sud.i Sig.ri del suo particolare, non ne dovrei dubitare: tuttavia ne desidero due righe dalla S. V., alla quale dissegnava di mandare alcune lettere che le dissi per quelli miei SS.ri et amici, ma, sviato da diverse occasioni, non ho potuto; et la S. V. per sua cortesia per hora supplirà lei, che non mancarò appresso di far il resto. Et le bacio la mano: che Dio le doni ogni contento.

Di Padova, li 25 di Settembre 1592.

Di V. S. molto Mag.ca et Ecc.ma

Non voglio lassar di dire a V. S., come hieri mi trovai con un gentilissimo Mocenigo, tornato di villa; il quale ha buon gusto, et mi promise di volerlo favorire nell’occasione, di che non ci mancheranno de’ buoni aiuti alla giornata, che serviranno per allargare questa piccola strettezza. E gionta V. S. a Firenze, mi avisi di sè.

 Aff. Ser. G. Vinc.o Pinello.

Fuori: Al moltoMag.co et Ecc.mo Sig.r mio Oss.mo

Il Sig. Galileo Galilei.

Venetia.

40*.

GIOVANNI UGUCCIONI al GRANDUCA DI TOSCANA [in Firenze].

Venezia, 26 settembre 1592.

Arch. di Stato in Firenze. Filza Med. 2993, n.° 42. – Autografa.

… Sino al principio di questo mese comparse qua il Galileo, Matematico di Pisa, che è stato sempre qui in casa mia per veder la città; e domattina si parte per costà, sendo stato ricerco di legger nello Studio di Padova con 180 ducati l’anno di salario: onde ha risposto che non vuole fermar niente se prima non ne dà conto a V. S. A., come è suo debito([86])….

41.

BENEDETTO ZORZI a GALILEO in Padova.

Venezia, 12 dicembre 1592.

Bibl. Naz. Fir. Mss. Gal., P. I, T. VI, car. 13. – Autografa.

Molto M. et Ecc. S.r

Ecco finalmente la lettera([87]), la quale da me non è mancato di procurarla sino al primo giorno che V. S. me ne scrisse; ma questi secretarii et bollador sono per l’ordinario così lunghi. C’è stato di spesa lire veneziane £ 25, soldi 12, in ragion di due e mezza per cento dello stipendio, et £ 3, 2 per la bolla. Questi, o V. S. li tenga appresso di sè sino che siamo insieme, o diali a Mess. Paolo Meietto, libraro al Portico Alto, al quale scriverò poi quello che ne haverà per mio conto a fare.

Torno ad allegrarmi con V. S. dell’ottimo suo principio([88]) et a desiderarle ogni compiuta sodisfattione et felicità. Vorrei che si fosse valsa della casa; ma poi che le ha tornato([89]) in piacere favorire il S.r Pinelli, almeno V. S. si vaglia in qualche altro conto della casa nostra et cose nostre: et occorrendole alcuna cosa, se bene quel nostro di casa Maestro Mathio sa quanto io desideri di servire et gratificare V. S., tuttavia se le occorrerà alcuna cosa, potrà con esso lui valersi di questa mia lettera, ch’io di nuovo non le starò a scriver altro.

Il liuto restò nelle sue mani, et sin hora deve V. S. haverne fatto il suo volere. Et me le raccomando di tutto cuore.

Di Ven.a, li XII Decembre M. D. XCII.

Di V. S. S.r Galileo.Aff.mo per servirla Benedetto Giorgio.

Fuori: Al molto M.co et Ecc. S.r Hon.

Il S.r Galileo Galilei, Mat.co nello Studio

di Padova.

42*.

MARC’ANTONIO BISSARO a GALILEO in Padova.

Vicenza, 15 dicembre 1592.

Bibl. Naz. Fir. Mss. Gal., P. I, T. VI, car. 15. – Autografa.

Molto M.co et Ecc.te S.r mio Oss.o

Mi rallegrai summamente, quando io intesi per lettere di V. S. ch’ell’era per venire a leggere in Padova, sì perchè io giudicai luogo più degno del suo valore questo che altro, come perchè mi pareva che mi si porgesse occasione di rinovare con lei se non l’amicitia, la quale, essendovi sempre continuato l’affetto, non s’è mai tralasciata, almeno l’uso dell’amicitia, che per la distanza de’ luoghi ove l’uno et l’altro habitava, et forse per la diversità de’ studii et de’ negotii, pareva intepidito alquanto. Non feci risposta alle predette sue lettere, conciosiachè et lei scriveva di mettersi in viaggio per Pisa, et io in quello stesso tempo mi partivo per Ferrara, di dove poco fa tornai. Hora io mi rallegro maggiormente che V. S. sia in cotesta città et habbia dato principio honoratissimo alla sua lettura, come intendo. V. S. sa quanto può disporre di me, che l’amo vivamente: però faccia sì che io possa rimanere perfettamente consolato di questa nostra vicinanza, il che serà quando V. S. mi comanderà, come desidero et la prego. Et col fine le bacio le mani.

Di Vic.a, alli 15 di Decembre 1592.

Di V. S. Ecc.teSer.re M. Ant.o Bissaro.

Fuori: Al molto M.co et Ecc.te S.r mio […],

Il S.r Galileo Galilei.

Padova.

43*.

GIACOMO CONTARINI a GALILEO in Padova.

Venezia, 22 dicembre 1592.

Bibl. Naz. Fir. Mss. Gal., P. I, T. VI, car. 17. – Autografa.

Molto Mag.co et Ecc.mo S.r

La lettera di V. S. Ecc.ma m’è stata sopra modo cara; et prima havevo inteso del suo principio([90]) et della satisfattione presa da quel Studio, che me ne son consolato grandemente. Desidero d’esser commandato da lei; et però, dove vaglio, m’adoperi. Hora non posso prender forze, respetto alla staggione; ma spero, con un poco di mitigation d’aria, di poter forse arivar fin a Padova. Fra tanto N. S. Dio la conservi felice […].

Di Ven.a, a 22 X.e 1592.

Di V. S. Ecc.maAff.mo fratello per servirla sempre Giacomo Contarini.

Fuori: Al molto Mag.co et Ecc.mo Sig.r Oss.mo

Il Sig.r Galileo Galilei.

Padova.

44*.

[GELLIO SASCERIDE?] a….

Padova, 28 dicembre 1592.

Riproduciamo questo capitolo di lettera dall’opera TYCHONIS BRAHE Astronomiae instauratae Mechanica. Wandesburgi, anno CIC. D. IIC, dove si legge sul tergo della car. 35 (non numerata), premesse queste parole: «Quia adhuc aliquid superest spatii, quae sequuntur paucula, sic expetente typographo, subiungi permisi ex literis cuiusdam medicinae Doctoris, Patavii commorantis, ad quendam studiosum Danum». Che il mittente sia GELLIO SASCERIDE afferma J. L. E. DREYER, Tycho Brahe: ein Bild wissenschaftlichen Lebens und Arbeitens im sechszehnten Jahrhundert. Karlsruhe, Druck und Verlag der G. Braun’schen Hofbuchhandlung, 1894, pag. 277.

Maginus per totam ferme aestatem hic, Patavii et Venetiis, moratus est. Qua de caussa, non satis constat.

Interea Gallilaeus de Gallilaeis Florentinus professionem mathematicam hic adeptus est, qui suarum lectionum septimo Decembris initium fecit. Exordium erat splendidum, in magna auditorum frequentia. A Domino Pinello is liberaliter commendatur, quem, si posset, perlibenter in Domini Tychonis amicitiam insinuaret. Tu, qui animum Tychonis novisti, poteris, quod ex re erit, in hisce disponere.

Maginus edidit nuper librum, cui titulum fecit Tabula Tetragonica sub Tychonis patrocinio([91]). Exemplar mihi ad te mittendum dedit, quod prima occasione transmittam. Retulit etiam, Illustrissimos Venetos in consilio Rogatorum deliberasse, ut aliquis mathesevs peritus, stipendio 300 Coronatorum, in Aegyptum ablegaretur, qui pro Tychone isthic observaret([92]): tantae enim hic Tycho certe est celebritatis, quantae nemo eorum qui nunc vivunt.

Datae Patavii, 28 Decembris anni 1592.

45.

GUIDOBALDO DEL MONTE a GALILEO in Padova.

Monte Baroccio, 10 gennaio 1593.

Bibl. Naz. Fir. Mss. Gal., P. I, T. VI, car. 19. – Autografa.

Molto Mag.co et Ecc.te S.r mioHon.do

Io hebbi una lettera di V. S. quando ella era in Fiorenza per tor licentia per poter andar a legger a Padova, alla qual risposi; dove desideravo, come desidero ancora, di saper che provision gli danno, perchè io vorrei che ella fusse trattata secondo il desiderio mio et i suoi meriti. Gran contento ho poi preso in veder che habbi dei scolari assai; chè spero che con il suo valor farà di maniera che molti attenderanno a questa scienza, et glie la farà conoscere, perchè invero ella non è conosciuta se non da molti pochi.

Io non mancarò, con l’occasioni che mi presentaranno, di scrivere al S.r Gio. Battista dal Monte di quanto mi ricerca. Quanto poi che mi vogli haver obligo del luogho di Padova, io non voglio per niente che me ne habbi obligo, non havendoci io fatto niente; ma il tutto lo dia al suo valore et al suo molto sapere.

La mia Prospettiva([93]) mezzo dorme e mezzo vegghia, chè, a dir il vero, io ho tante le occupationi, che non mi lasciano respirare; e per queste cose bisognarebbe esser libero da ogni fastidio: pur la voglio finire, et hora sono atorno per accomodargli il principio, trattando dove si ha da metter l’occhio acciò le cose si possino veder secondo che vogliamo; ma non ho ancor trovato ogni cosa: e prima di ogn’altra cosa ci vorrò poi il suo giuditio. E le bascio le mani, come fa mia moglie e tutti.

Di Monte Baroccio, alli 10 di Gennaro del 1593.

Di V. S.Ser.re Guidobaldo dal Monte.

Fuori: Al molto Mag.co et Ecc.te Sig.r mio Hon.

Il Sig.r [Gali]leo Galilei.

Padua.

46*.

GIROLAMO MERCURIALE a GALILEO in Padova.

Pisa, 3 marzo 1593.

Bibl. Naz. Fir. Mss. Gal., P. I, T. VI, car. 21. – Autografa.

Ecc.mo Sig.re

Io non credevo già, che i matematici, che non si dilettano se non di certezza, attendessero poi a ingannar gli huomini colla eloquenza; ma la sua lettera, ch’io ricevetti l’altr’hieri, mi ha fatto mutare oppenione e credere che ogn’uno si diletti di acquistarsi l’amore colle lusinghe. Voglio dire che lei mi ha troppo voluto, come si dice, ongere li stivali: ma forse l’haverà fatto credendo ch’io havessi presa qualche maninconia dalla favola sparsa, secondo mi fu scritto a questi dì, in Padova, et che perciò habbia voluto consolarmi. Pure sia come si voglia, purchè io sia sicuro di essere amato dalla persona sua, tanto stimata e tanto predicata da questa mia debole lingua.

V. E. si può molto ben ricordar com’io le dissi che ‘l Studio di Padova era il proprio domicilio del suo ingegno, et che ogni giorno più havrebbe sentito utile et comodo: onde sia lodato Dio che non potrà dire di haver da me blanditie, ma pura verità; anzi tengo certo che alla giornata s’accorgerà ch’io le dissi poco.

Il S. Mazzoni([94]) se fusse così diligente in scrivere com’è in amare et stimare et predicare V. E., non havrebbe causa di dolerse di lui; ma di gratia, scusi la sua corporatura, et creda certo che tutti due facciamo a concorrenza et a gara a chi più dice le sue lodi. Ch’io habbia lasciato vestigi di me, può esser facilmente, perchè 18 anni sono stato servitore di molti ingegni et de tutti cotesti SS. Dottori leggenti; a’ quali se bacierà per me le mani in universale et in particolare, le ne resterò obligatissimo, sì come insieme con tutti i miei figliuoli le bacio caramente a lei.

Di Pisa, li 3 di Marzo 1593.

Di V. S. Ecc.maAff. Ser.re Hier. Mercuriale.

Fuori: All’Ecc.mo Sig.r mio Osser.mo

Il Sig.r Galileo Galilei Mat.co

Padova.

47*.

GALILEO a GIACOMO CONTARINI in Venezia.

Padova, 22 marzo 1593.

Arch. di Stato in Venezia. Filza intitolata sul dorso: Patroni e Provveditori all’Arsenal. Documenti antichi circa la Casa dell’Arsenale, 1515-1594, n.°… – Autografa.

Ill.mo Sig.re

Ho inteso dal Ill.re Sig.r Gianvin.o Pinelli il quesito di V. S. Ill.ma, circa il quale li dirò quello che io tengo la verità: et è questo.

Quanto al far maggiore o minor forza, nel pingere avanti il vassello, l’essere il remo posato sul vivo o fuori, non fa differenza, sendo tutte l’altre([95]) circostanze le medesime: et la ragione è, che sendo il remo quasi una leva, tutta volta che la forza, il sostegno et la resistenza la divideranno nella medesima proporzione, opererà col medesimo vigore; et questa è propositione universale et invariabile. Et io non credo che dal far le ale alla galera si cavi altra comodità, che l’haver piazza più capace per i soldati et per i forzati, i quali forzati non si potrebbono accomodare 4 o 5 per remo, et massime verso la poppa et la prua, se non vi fossero le ale: ma che quando e’ si potessero accomodare a vogare tanto nell’un modo quanto nell’altro, il posar lo schermo sul vivo o fuori facesse differenza alcuna, io non lo credo a patto alcuno, stando però il remo sempre diviso nella medesima proporzione; nè io veggo che la voga si possa impedire o agevolare da altro che dal porre lo schermo più lontano dal girone o più vicino, et quanto più sarà vicino tanto maggior forza si potrà fare: et la ragione è questa, la quale forse non è stata tocca da altri. Il remo non è una semplice leva come le altre, anzi ci è gran differenza in questo: che la leva ordinariamente deve havere mobili la forza et la resistentia, et il sostegno fermo; ma nella galera tanto si muove il sostegno, quanto la resistenza et la forza: dal che ne séguita che il medesimo sia sostegno et resistenza, per ciò che in quanto la pala del remo si appunta nell’aqqua, viene l’aqqua ad esser sostegno, et la resistenza lo schermo; ma quanto l’aqqua vien ancor essa mossa([96]) dal remo, in tal caso essa è resistenza, et lo schermo è sostegno. Et perchè quando il sostegno è immobile, tutta la forza si applica a muover la resistenza, se si accomoderà il remo tanto che l’aqqua venga quasi che immobile, all’hora la forza si impiegherà quasi tutta a muovere il vassello; et per il contrario, se il remo sarà talmente situato che l’aqqua venga facilmente mossa dalla palmula, all’hora non si potrà far forza in muovere la barca: et perchè quanto più la parte della lieva verso la forza è lunga, tanto più facilmente si muove la resistenza, quando la parte del girone sarà assai lunga, tanto più facilmente l’aqqua verrà mossa, et per ciò il suo sostegno sarà più debole, et il vassello meno si spingerà; per l’opposito, quando la medesima parte tra lo schermo et la forza sarà più corta, all’hora l’aqqua più difficilmente potrà dalla palmula esser mossa, et per conseguenza, in quanto la mi serve per sostegno, sarà più salda, et il vassello si potrà con più forza spingere. Però si conclude, che quanto lo schermo è più vicino al girone, tanto più forza si può fare in spingere il vassello, non potendo l’aqqua così facilmente esser mossa con la([97]) palmula molto lontana dallo schermo dalla forza vicina al medesimo schermo; et però in tal caso l’aqqua fa più l’offizio del sostegno, che della resistenza: et tutto questo è manifestissimo per l’esperienza. Non sendo dunque altra cosa che possa arrecar comodo o incomodo alla voga che l’essere lo schermo([98]) più lontano o più vicino alla forza, io non dubito punto che in questo il porre lo schermo sul vivo o fuori non faccia differenza alcuna.

Questo è quanto per hora mi sovviene in risposta del suo dubio, et non dubito che molto meglio circa ciò habbia discorso V. S. Ill.ma; però quando li piacesse farmi parte de i suoi pensieri circa questo particolare, le ne resterei infinitamente obbligato, assicurandomi che ne imparerei assai, et forse i suoi discorsi mi farebbono sovvenire qualche altra cosa. La pregherò che quando anderanno attorno simili dubi, si degni farmene partecipe, perchè ho grandissimo piacere in pensare([99]) a cose curiose.

Mandai la lettera di V. S. Ill.ma all’amico scultore, ma per ancora non ho hauta risposta. Con che li faccio humilissima reverenza, pregandola a comandarmi.

Di Padova, li 22 di Marzo 1593.

Di V. S. Ill.maOblig.mo Ser.re Galileo Galilei.

Fuori: All’Ill.mo Sig.re et mio Pad.n Col.mo

Il S. Iacomo Contarino.

Venezia.

48*.

GIACOMO CONTARINI a GALILEO [in Padova].

Venezia, 28 marzo 1593.

Arch. di Stato in Venezia. Filza intitolata sul dorso: Patroni e Provveditori all’Arsenal. Documenti antichi circa la casa dell’Arsenale, 1515-1594, n.°… – Autografa.

Molto Mag.co et Ecc.mo Sig.r mio,

Con mio grandissimo gusto ho veduto quanto V. S. Ecc.ma m’ha scritto in proposito delli remi delle galee: et se ben io ho il tempo molto stretto, ricercandomi ella che io le debba scrivere qualche cosa di quelle che in questo proposito mi vanno per mente, le dirò che, per le osservationi che ho fatto, li remi che tutta via si usano non sono proportionati al corpo del vassello; però bisognaria metter studio in proportionar queste due cose insieme, perchè si ottenirà quello che si desidera, che è l’agilità et velocità: et per mia opinione, detta proportione si può cavar da 3 cose; dalla larghezza del vivo del vassello, dall’altezza sopra acqua dove ripossa il remo, et dal moto che comunica loro il galeotto nel tirar il remo.

Parlando prima di questa ultima, che è la forza movente, dirò che, ponendosi il galeotto in voga, è necessario considerar che conviene fare un de’ 3 moti: o tirando il remo di sotto in su, per esser basso; o di sopra in giù, per esser alto; o dirittamente al petto, per esser posto tra questi dui estremi. Hora si può benissimo giudicare che, questi dui estremi sopradetti essendo violenti, convengono esser mancanti di forza et difficilissimi a durare; adonque bisogna situar il remo in modo, che tirandolo venga al petto quando l’huomo sta diritto, havendo poi l’avvantaggio quando il galeotto cade in bilancia, che col peso del corpo agita più facilmente il remo che con la forza ordinaria. Supposto questo, che non ha difficoltà alcuna, è necessario venir alla cognitione del proprio loco et della propria altezza che doverà esser posto il remo al schermo sopra acqua; il che si trovarà facilmente quando s’haverà in consideratione et l’altezza dell’huomo che voga et la longhezza del remo. Però bisogna situarlo tant’alto, che il remo possa toccar l’acqua quando il galeotto non cada nelli doi estremi sopradetti. A voler far questo, è necessario che il remo sii lungo et tochi l’acqua molto lontano dal navilio, che leva il deffetto al galeotto de vogar il remo con i brazzi alzati: ma si cade in un altro bisogno, che havendo il remo lungo, bisogna maggior forza a moverlo, così per vogare come per alzarlo et abbassarlo. Però in questo ponto cade la larghezza del navilio, perchè da essa si devono cavar la longhezza del ziron del remo et la larghezza della postizza, poi che quando non supplisse il navilio a capir la longhezza del ziron nel suo corpo vivo, bisogna aiutarlo colla postizza; poi che il ziron è fatto non solamente per mover l’asta del remo che sta fuori del schermo, ma anco per far contrapeso al peso de detto remo, il qual peso è tanto che, con tutto che il zirone si faccia lungo et grosso, non però basta, ma s’è in necessità d’aggiongerli 50, 60 et 100 lib. di piombo, acciò che, stando in bilancia, il galeotto non habbi altra fatica che di tirarlo. Oltra questa grossezza s’ha da considerar la forza de chi ha da mover il vassello, la qual doverà esser de molti huomini, come s’è detto, per la gravezza del navilio et per la lunghezza del remo.

Dai pratici dell’arte vien diviso il remo in tre parti: due parti si danno dal schermo alla palla, et una si risserba per zirone. Potendo questa 3a parte esser tanto lunga, per le cause dette di sopra, che non possa esser capita dentro il vivo della galea, è necessario slargar le postizze tanto che dalla corsia al schermo possa capirsi il zirone, et per necessità bisogna valersi di sito manco forte, mettendo la forza nel morto della galea. Hora, questo spacio non deve esser tutto occupato dagli huomini che tirano il remo, perchè se si metteranno 4, 6 et più huomini a questo remo, bisogna haver avertenza che l’ultimo huomo sia tanto lontano dal schermo, che possa metterli forza, et aggionger la sua appresso quella delli altri suoi compagni che sono verso la corsia; che quando fosse troppo vicino, sarebbe inutile: oltre che bisogna tra l’ultimo huomo et la postizza che possano star li huomini combattenti, senza impedir chi voga. Dalla corsia al schermo bisogna adonque che sia capita la 3a parte del remo. Questa terza parte doverà esser tanto longa che sortisca le cose dette di sopra, et da questa 3a parte intrinseca immediate si cavaranno le due estrinseche al navilio. Questo moto che fanno i galeotti è molto differente, perchè più forza mette il primo che il secondo, et più il secondo che il terzo, et così successivamente fin all’ultimo; et questa lor forza si cava teoricamente: perchè il moto che fa il remo nelle estremitadi sue è circolare, proportioninsi i circoli che fa la palla con quel del zirone, che si vedrà la forza che doveva esser movente a quella che è mossa; et proportioninsi i circoli del primo a quel del secondo, che si vedrà anco la proportione della forza tra loro. Adonque non può sucedere quello che si dice, che quanto la parte del zirone sarà più lunga, tanto più facilmente l’acqua verrà mossa, et perciò il suo sostegno sarà più debole et il vassello manco si spingerà, perchè al sicuro col zirone curto non si haverà mai forza di governar il remo, non che vogarlo. È ben vero che quando la necessità astringe a far il remo più lungo de fuori, di quello che porta la terza parte che deve star dentro, che l’huomo convien cedere; ma se vol adoprarne, è sforzato mettervi maggior forza movente, che sarà maggior quantità d’huomini, et a mettervi più huomini bisogna allargarsi fuori del vivo del navilio tanto più: il che, a mio giuditio, non è male, perchè ne nasce la ressolution del secondo dubio, qual sia maggior forza, o quella che sta sul corpo vivo del navilio, o quella che si pone sopra la postizza fuori del vivo. Quella che sta sul vivo, è più vicina al centro, et perciò move con maggior difficultà; et quella che è lontana dal centro, più facilmente sforza il navilio ad andar avanti, convenendo per necessità, quella che è vicina haver due moti contrarii, l’uno di spinger et l’altro di cacciar sotto il navilio, perché il remo convenirà esser sempre più corto, et perciò cacciarsi più presso con la palla al navilio,et volendolo sforzar convien andar più sotto all’acqua; cacciandosi mo’ sotto il navilio, viene ad haver il contrario dell’acqua, che tanto maggiormente gli resiste nel caminare. Adonque il schermo più lontano dal centro sarà più utile, se ben patiràl’imperfettione del manco forte, a che con l’arte si potrà sempre remediare dagli huomini intendenti.

Io pensava non impir meza faccia di carta, et tamen mi sonlasciato trasportar fin a questo termine, che eccedendolo sarebbe fastidirla, et mi si potrebbe opponer che io volessi instruere Minervam. V. S. Ecc.mami ami et mi commandi.

Di V.a, a 28 Marzo 1593.

Di V. S. Ecc.maAff.mo fratello per servirla sempre Giacomo Contarini.

49.

LIVIA GALILEI a GALILEO in Padova.

Firenze, 1° maggio 1593.

Bibl. Naz. Fir. Mss. Gal, P. I, T. XIII, car. 5. – Autografa.

Amantisimo fratello,Addì pimo di maggo. 1593([100]).

Venedo chostì la nostra Lena([101]), non mi sarei mai tenuta che io non v’avessi scricto questi quatro verssi, dandovi nuove di me: e se bene la Signoria Vostra non si cura di sapere di me, io mi curo di sapere di voi, che non ò altro bene che Vosignioria; e però la prego a volermi fare gratia di volermi rispondere, acò che io abia questo pocho di chonteto: e se bene Vosignioria scrive a nostra madre, lei non me le porta mai; mi dice bene: El vostro fratello vi si rachomanda: e per lei ò initeso come la Signioria Vostra manda Michelagnolo([102]) iniPolonia. Io n’ò auto grandisimo dispiacere; poi mi conforto e dico così: Se fusi lato pericoloso, voi non ve lo manderesti, perchè so che li avete affetione. E più ò inteso come ell vostro ritorno sarà presto, che mi pare mile anni; e di gratia richodatevi di recharmi da fare una vesta, che n’ò bisognio pure asai. E con questo farò fine, restando sempe al comando di Vostra Signioria. Nostra madre e la Verginia([103]) vi si racomanda, e ‘l simile fa S.a Clarice e S.a Contessa; e io senza mai fine mi vi ofero e rachomado. Adio.

 Vostra chara sorella Livia in S.o Guliano.([104])

Fuori: Alla molto Magnificoet Ecellentisimo Signiore

Dotore Galileo Galilei, frate[llo cha]risimo e onorado, in

Padova.

D’altra mano: Data al S.r Lodovico Teri.

50.

GIULIA AMMANNATI GALILEI a GALILEO in Padova.

[Firenze], 29 maggio 1593.

Bibl. Naz. Fir. Mss. Gal., P. I, T. XIII, car. 7. – Originale, non autografa.

Car.mo figliuolo .s.

Ho intenso come avete auto male, la qual cosa ne ò auto gran dispiacere; ma dopo, il contento, se ora, per Iddio gratia, state tutti beme: di tanto me ne godo ancor io. Hora non posso mancare di dirvi le cose come le vanno giornalmente: perchè, al quel che io intendo, volete venir qua quest’altro mese, harò caro e mi sarà contento grandissimo; ma venite provisto, perchè, a quel io vedo, Benedetto([105]) vole il suo, ciò quel che gli avete promisso([106]), e minaccia fortemente di farvi pigliare subito che arriverete qua. Per quel che io intendo, esendo di patti e così obbligato, debbe potere; però sarà persona per farlo: però vi fo avisato, perchè a me non sarà altro che dispiacere.

Ho auto una lettera da Michelagniolo([107]), cola qual mi pregava che io andassi a trovare il Monsù, e che lo pregassi che gli mandassi parechie sonate; però vi sono ita molte altre volte, e ànno fatto dire di non vi essere. Hora i’ ò inteso da Benedetto, che vi è stato più volte, come lui ha detto che voi havete dato certe sonate in costà a non so che signori, i quali ànno mandato qua tutti i principii col chiedergline di altre sorte che quelle havevano, per il che l’à ‘uto per male, non ne vol più dare a nessuno. In però se vi paressi di scrivere 4 versi al Sig. Cosimo Ridolfi, e vedere se per suo mezzo ne potessi aver qualcuna, sott’ombra di volere inparare lui; se no, aspettar di venir qua voi.

Detti la lettera al Saleolino: ni rispose che vi manderebe quanto li domandi. Sono anda a veder la Livia: lei sta bene, vi si raccomanda, et la Verginia ancora, e io il simile; e vi prego, per quanto posso, che di gratia mi avisiate il vostro stare, se sarete guariti, o come starete di mano a mano. Non altro: a voi mi raccomando et Michelagniolo; e alla Lena dite che attenda a ingrassare, ma non faccia crepare il suo banbino. Non altro: a rivederci alla tornata con sanità.

Da luogo solito, il dì 29 di Maggio 1593.

 Vostra aff.ma madre G. G.

Fuori: Al molto Mag.co e mio Fideliss.o Signore

Galileo Galilei, mio sempre Oss.mo, in

Padova.

51.

GUIDOBALDO DEL MONTE a GALILEO [in Padova].

Monte Baroccio, 3 settembre 1593.

Bibl. Naz. Fir. Mss. Gal., P. VI, T. VII, car. 32. – Autografa.

Molto Mag.co et Ecc.te S.r mio Hon.do

Mi saria stato carissimo che V. S. fusse passata di qua, chè, oltre al contento, gl’haverei mostrato([108]) volentieri alcune cose della mia Prospettiva, la quale in questo verno spero di finirla, et ho già dissegnato i due terzi delle figure, e vo risecando e levando via più cose che posso, perchè in vero mi riesce lunga: e circa il darla fuori, mi sarà necessario d’aspettar che le figure si finischino d’intagliare, che Francesco mio servitore non ci pò troppo attendere, sì che non credo che possino esser finite di qui a un anno. Io desidero di levarmela dinanzi, che non la posso più vedere; anzi sono di animo di mandar fuora prima la Prospettiva, e poi la Cochlea([109]).

Io scrissi a questi giorni un’altra mia a V. S., ma ella doveva esser a Fiorenza; e gli davo nuova che un dottor Adriano([110]) Romano([111]), di Lovanio, mi ha mandato a donar un libro suo, che lo chiama Ideae mathematicae, sive Methodus polygonorum, il qual tratta del descrivere le figure poligone, ma per via di calcolo, tutto per via d’approssimatione, con i numeri: e ci sono le propositioni e le praxi, ma non c’è niuna dimostratione, che me ne sono molto maravigliato.

Al S.r Pinello V. S. farà un bascia mani, ringratiandolo che tenghi memoria di me; e gli ho invidia, che vorrei esser ancor io tal volta alli loro colloqui. E le bascio le mani, e mi comandi.

Di Monte Baroccio, alli 3 di Settembre del 1593.

Di V. S.Ser.re Guidobaldo dal Monte.

52*.

ALESSANDRO SERTINI a GALILEO in Padova.

Firenze, 19 novembre 1593.

Bibl. Naz. Fir. Mss. Gal., P. I, T. VI, car. 23. – Autografa.

Molto Mag.co Sig.r mio Oss.mo

Che devo io scrivere al mio Sig.r Galileo? pregarlo per certo ch’egli mi voglia favorire di quello che io sommamente desidero e di che io sommamente conosco haver mancamento, ciò è della grazia sua, la quale posso credere che si sia dilungata da me, vedendo che egli non ha più memoria del fatto mio. Ma per vedere s’io la posso riacquistare per mezzo della poesia, come io l’acquistai primieramente per mezzo dell’istessa, vi mando, Sig.r Galileo, un sonetto composto il dì de’ Morti per memoria del mio fratello, che sia in gloria. L’ho mostrato a qualche amico, da cui mi è stato detto non esser spernendo affatto; ma che hanno che fare i giudizi degl’altri col vostro? A chi non si intende del vino, piacerà più quel di Brozzi che quel di Lucolena. Se piacerà a voi, crederrò io che vaglia qualcosa; ma poco vi può egli piacere, essendo fatto in fretta e ora ch’io sono lontano da voi, perchè chi naviga senza tramontana naviga per perduto. Ora, qualunque egli si sia, vi viene innanzi; fategli buona cera: s’egli è buono, approvatelo; se cattivo e incorrigibile, stracciatelo; se corrigibile, correggetelo, e amatemi.

Oltre i miei passati travagli, ho al presente mio padre nel letto malato. Immaginatevi il bel tempo ch’io mi debbo([112]) dare. Pure non credo che sia per esser altro.

Di Firenze, addì 19 di 9bre 1593.

È arrivato costà il Sig.r Campagni: fate conto che io sia io, Sig.r Galileo, perchè è giovane tanto meritevole quanto si possa dire. E datevi bel tempo.

Guardate se([113]) potete migliorare il 7° verso, perchè da mezzo innanzi non mi piace.

Di V. S.Ser.e Aff.mo Aless.o Sertini.

Mandatemi qualche composizione vostra o d’altri, chè tra tanta moltitudine di gente non può far che non sia una dozzina di poeti.

Occhi, fonti del cuore, occhi, piangete:
D’anime tormentate([114]) amare strida
Chieggon mercè; vostra pietà l’affida
Che degl’incendi lor pietade havrete.

Deh lagrime per loro a Dio porgete:
Forse l’alma diletta in voi confida
Trovar pietà([115]); beati voi, se guida
Con le lagrime vostre al ciel le sete.

Beato lagrimar, se degl’incendi,
Che tu per abbellirti, alma, sostieni,
Dal pianger nostro refrigerio prendi.

Ma([116]) se all’eterno Sol ti rassereni,
Deh per lagrime a Lui preghi mi rendi,
Che ‘l corso mio dal precipizio affreni.

Di grazia, avvisatemi se è arrivato costì il Sig.r Stefano Rivarola; e baciateli le mani per me, s’egli vi è.

Fuori: Al molto Mag.co Sig.r

Galileo Galilei, Sig.r mio Oss.mo, in

Padova.

53.

GALILEO ad ALVISE MOCENIGO in Venezia.

Padova, 11 gennaio 1594.

Bibl. Ambrosiana in Milano. Cod. R. 104, car. 376r. – Copia del tempo, di mano ignota: all’angolo superiore a sinistra, scritto d’altra mano, ma essa pure del tempo, si legge: «Ad Alvise Mocenigo, del D. Galilei».

Chiarissimo et molto Illustre Signore,

Dalle parole di V. S. Ch.ma et dalla fabrica assai confusa posta da Herone al n.ro 7([117]) vengo in cognitione, quella essere la lucerna della quale V. S. Ch.ma desidera la costruttione: però l’ho più volte letta, et finalmente non so da le sue parole trarne tal senso, che non mi resti qualche confusione. Ma non volendo interamente obligarci a tutte le sue parole, mi pare che voglia inferire una fabrica simile all’infrascritta:

Construatur lucerna basim habens concavam ACDB, intersectam diafragmate EF. Sit vero calathus([118]) oleum continens KL, et ex diafragmate EF procedat tubulus MN simul cum eo perforatus, distans a calathi([119]) operculo quantum sufficit ad aëris exitum: sit autem alius tubulus XO per operculum, distans a fundo calathi([120]) quantum ad olei fluxum sufficit et ex operculo paululum excedens; excessui vero aptetur alius tubulus P, habens superius osculum obstructum, cui agglutinetur alius tubulus exilis, et simul cum eo perforatus, per quem ellychnium influat; sub diafragmate vero EF conglutinetur clavicula R, deferens in locum CDEF, ita ut, si aperiatur, aqua ex loco AEFB in ipsum([121]) CDEF transeat. Sit autem in operculo AB parvum foramen Q, per quod locum AEFB implebimus([122]) aqua. Sublato itaque ellychnio, calathum([123]) oleo implebimus per tubulum XO, aëre per tubum MN excedente et adhuc per clavem apertam quae est in fundo et per foramen. Repleto autem calatho([124]) oleo, superimponemus tubulum X cum ellychnio; et clausa clavicula, aquam infundemus in locum AEFB. Quando autem opus fuerit oleum superinfundere ellychnio, aperta clavicula R, aqua in locum ECDF influet; et aër, per MN tubum impulsus, oleum elidet([125]) per tubulum OX ad ellychnium; et cum non opus fuerit amplius fluere, claudemus claviculam.

Questo è quanto per hora mi par di poter raccorre([126]) dalle parole di Herone, come ho detto di sopra, assai confuse: et l’ho voluto mandare a V. S. Ch.ma, acciò che, avvertito dal suo giuditio, possa con altra occasione cavarne forse miglior costrutto, ancor che la fabrica explicata esseguisce quanto promette la proposta.

Con che, baciandoli reverentemente le mani, li resto devotissimo servitore. N. S. la prosperi.

Di Padova, li 11 di Gennaro 1594.

Di V. S. Ch.maServ.e Pront.mo Galileo Galilei.

54*.

LUIGI ALAMANNI a GIO. BATTISTA STROZZI in Roma.

Firenze, 7 agosto 1594.

Bibl. Naz. Fir. Cod. Magl. VIII. 1399, car. 247. – Autografa.

…. Circa alla lettione del Galileo, egli è a Padova, dov’intendo la fa molto bene; et non l’ho potuta havere da lui, et consisteva in questo, che riferiva l’opinione circa il sito dell’Inferno di Dante, che lasciò([127]) scritta Antonio Manetti Fiorentino in un libretto stampato da’ Giunti, e di poi riferiva l’opinione sopra ‘l medesimo del Vellutello, comentatore di Dante, e comparandole l’una con l’altra, mostrava essere migliore quella del Manetto: della quale mando qui incluso il profilo e la pianta, intagliata in rame, ma per ancora non finita([128]); imperò a penna vi ho aggiunto alcuni caratteri per contrasegni, che dichiareranno alcune cose di esso. E chi volessi saperne il tutto, potrebbe vederlo nel libretto del detto Manetti([129])

55**.

GALILEO a…………………… [in Verona].

Padova, 14 giugno 1596.

Palazzo Martinengo Cesaresco in Salò. – Autografa. Argomentiamo che questa lettera sia stata indirizzata a Verona, leggendovisi di baciamani mandati ai «Sig.ri Nichissoli», gentiluomini veronesi; ma non sapremmo ben dire a quale dei corrispondenti veronesi di GALILEO sia stata diretta. L’autografo, piuttosto sbiadito, è scritto sopra un foglio intero di carta, e non reca alcun indirizzo, probabilmente perchè chiuso in un piego insieme con la lettera che GALILEO scrive di accompagnare.

Ill.e Sig.re

Come per altra scrissi a V. S., havevo procurato di disporre un mio amico al servizio dell’Ill.mo S.r Marchese, per insegnare alla S.ra sua figliuola([130]). Finalmente ho hauto lettere dall’amico, il quale si scusa non potere accettare tale occasione, come per la sua, la quale mando a V. S., potrà vedere([131]); talchè ne potrà dare conto all’Ill.mo S.r Marchese. Altri non mi sovvengono, che potessero essere il proposito. Ne ho scritto all’Ill.mo Sig. Guidubaldo Dal Monte, acciò vegga se in Urbino o in altra parte si trovasse persona idonea; ma dubito si sia per durar fatica. Vorrei potere essere a presso a quel Signore, chè haverei per ventura grandissima di potermi honorare di instruire un ingegno tanto raro; ma poi che non si può altro per la tanta distanza, mi quieterò in questa buona disposizione.

V. S. è aspettatissima qua: non so per qual nostro peccato voglia così lungamente tormentarci tra speranza e timore; però o venga, o almeno non tenga tanto sospesi tanti suoi servitori et amici. Mi farà grazia baciar le mani a li Sig.ri Nichissoli, et tenermi in sua grazia, favorendomi una volta di qualche suo comandamento. Nostro Signore la prosperi.

Di Padova, li 14 di Giugno 1596.

Di V. S. molto Ill.reSer.re Att.mo Galileo Galilei.

56.

GALILEO a IACOPO MAZZONI [in Pisa].

Padova, 30 maggio 1597.

Vedi Vol. II, pag. 193-202 [Edizione Nazionale].

57.

GALILEO a GIOVANNI KEPLER in Graz.

Padova, 4 agosto 1597.

Bibl. Palatina di Vienna. Cod. 10702, car. 61-62. – Autografa.

Librum tuum([132]), doctissime vir, a Paulo Ambergero ad me missum, accepi non quidem diebus, sed paucis abhinc horis: cumque idem Paulus de suo reditu in Germaniam mecum verba faceret, ingrati profecto animi futurum esse existimavi, nisi hisce literis tibi de munere accepto gratias agerem. Ago igitur, et rursus quam maximas ago, quod me tali argumento in tuam amicitiam convocare sis dignatus.

Ex libro nihil adhuc vidi nisi praefationem, ex qua tamen quantulumcunque tuam percepi intentionem: et profecto summopere gratulor, tantum me in indaganda veritate socium habere, adeoque ipsius veritatis amicum. Miserabile enim est, adeo raros esse veritatis studiosos, et qui non perversam philosophandi rationem prosequantur. At quia non deplorandi nostri saeculi miserias hic locus est, sed tecum congratulandi de pulcherrimis in veritatis confirmationem inventis, ideo hoc tantum addam, et pollicebor me aequo animo librum tuum perlecturum esse, cum certus sim me pulcherrima in ipso esse reperturum. Id autem eo libentius faciam, quod in Copernici sententiam multis abhinc annis venerim, ac ex tali positione multorum etiam naturalium effectuum caussae sint a me adinventae, quae dubio procul per comunem hypothesim inexplicabiles sunt. Multas conscripsi et rationes et argumentorum in contrarium eversiones, quas tamen in lucem hucusque proferre non sum ausus, fortuna ipsius Copernici, praeceptoris nostri, perterritus, qui, licet sibi apud aliquos immortalem famam paraverit, apud infinitos tamen (tantus enim est stultorum numerus) ridendus et explodendus prodiit. Auderem profecto meas cogitationes promere, si plures, qualis tu es, exstarent: at cum non sint, huiusmodi negotio supersedebo.

Temporis angustia et studio librum tuum legendi vexor: quare huic finem imponens, tui me amantissimum atque in omnibus pro tuo servitio paratissimum exibeo. Vale, et ad me iucundissimas tuas mittere ne graveris.

Dabam Patavii, pridie nonis Augusti 1597.

 Honoris et nominis tui amicissimus Galileus Galileus in Academia Pat.na Mat.cus

Fuori, d’altra mano: Dem ehrnuesten vnnd wolgelehrten Herrn M. Joanni Kepler Wiertenberger, Irer Fürstl. Durchl. zu Gräcz Mathematico, meinem lieben freündt.

Gräcz.

58*.

GIOVANNI KEPLER a MICHELE MAESTLIN [in Tubinga].

[Graz, settembre 1597].

R. Bibl. di Stoccarda. Cod. Math., car. 14.

…Nuper in Italiam misi 2 exemplaria mei opusculi([133]) (sive tui potius), quae gratissimo et lubentissimo animo accepit Paduanus Mathematicus, nomine Galilaeus Galilaeus, uti se subscripsit. Est enim et ipse in Copernicana haeresi inde a multis annis. Unum exemplar misit Romam, et plura habere desideravit…

59.

GIOVANNI KEPLER a GALILEO in Padova.

Graz, 13 ottobre 1597.

Bibl. Naz. Fir. Mss. Gal., P. VI, T. VII, car. 33([134]) e 34. – Autografa.

Literas tuas, vir humanissime, 4 Augusti scriptas, 1 Septembris accepi, quae quidem gemino me affecere gaudio: primum, propter amicitiam tecum Italo initam; post, propter consensum nostrum in cosmographia Copernicana. Cum igitur in calce epistolae humaniter me ad crebras epistolas invitasses, neque mihi sponte mea stimuli ad hoc deessent, facere aliter non potui, quin per hunc praesentem nobilem iuvenem ad te scriberem. Existimo namque te ab eo tempore, si ocium tibi fuit, libellum meum penitius cognovisse; inde cupido me vehemens incessit censurae tuae percipiendae: sic enim soleo ad quoscunque scribo, iudicia de meis incorrupta efflagitare; et mihi credas velim, malo unius cordati censuram, quamvis vis acrem, quam totius vulgi inconsideratos applausus. Utinam vero tibi, tali intelligentia praedito, aliud propositum esset! Nam etsi sapienter tu et occulte, proposito exemplari tuae personae, mones([135]), cedendum universali ignorantiae, nec sese temere ingerendum vel opponendum vulgi doctorum furoribus, qua in re Platonem et Pythagoram, nostros genuinos magistros, sequeris, tamen cum hoc saeculo, primum a Copernico, deinde a compluribus, et doctissimo quoque mathematicorum, immanis operis initium sit factum, neque hoc iam porro novum sit, terram movere; praestiterit fortasse, communibus suffragiis semel impulsum hunc currum continenter ad metam rapere, ut, quia rationum pondera vulgus minus librat, authoritatibus illud magis magisque obruere incipiamus, si forte per fraudem ipsum in cognitionem veritatis perducere queamus([136]): qua ratione simul laborantes tot iniquis iudiciis socios adiutares, dum illi vel solatium caperent ex tuo consensu, vel praesidium ab authoritate. Non enim tui solum Itali sunt, qui se moveri, nisi sentiant, credere non possunt; sed etiam nos hic in Germania non optimam dogmate isto gratiam inimus. Verum sunt rationes, quibus nos contra has difficultates muniamus. Primum, ab illa ingenti hominum multitudine separatus sum, nec uno actu tot clamorum strepitum haurio. Deinde, qui mihi sunt proximi, vulgus hominum est, qui cum haec abstrusa, ut aiunt, non capiant, mirantur tamen, nec, credere velint an non, unquam secum ipsi cogitant. Docti mediocriter, quo sunt prudentiores, hoc cautius sese immiscent hisce mathematicorum litibus; quinimo fascinari possunt, quod expertus loquor, authoritate matheseos peritorum: ut cum audiunt, quas iam habeamus ephemerides, ex Copernici hypothesibus extructas; quicunque hodie scribant ephemerides, Copernicum omnes sequi; et cum ab ipsis postulatur ut concedant quod non nisi in mathesi institutis demonstrari possit, phaenomena sine motu terrae consistere non posse. Nam etsi haec postulata vel pronunciata non sunt aétñpista, sunt tamen a non mathematicis concedenda; cumque sint vera, cur non pro irrefutabilibus obtruderentur? Restant igitur soli mathematici, quibuscum maiori labore agitur. Ii, cum nomen idem habeant, non concedunt postulata sine demonstratione: quorum quo imperitior quisque, hoc plus negocii facessit. Veruntamen et hic remedium adhiberi potest: solitudo. Est in quolibet loco mathematicus unus; id ubi est, optimum est. Tum si habet alibi locorum opinionis socium, literas ab ipso impetret; qua ratione, monstratis literis (quorsum etiam mihi tuae prosunt), opinionem hanc in animis doctorum excitare potest, quasi omnes ubique professores mathematum consentirent. Verum quid fraude opus est? Confide, Galilaee, et progredere. Si bene coniecto, pauci de praecipuis Europae mathematicis a nobis secedere volent: tanta vis est veritatis. Si tibi Italia minus est idonea ad publicationem, et si aliqua habiturus es impedimenta, forsan Germania nobis hanc libertatem concedet. Sed de his satis. Tu saltem scriptis mihi communica privatim, si publice non placet, si quid in Copernici commodum invenisti.

Nunc abs te placet aliquid observationum postulare: scilicet mihi, qui instrumentis careo, confugiendum est ad alios. Habes quadrantem in quo possis notare singula scrupula prima et quadrantes primorum? Observa igitur, circa 19 Decembris futurum, altitudinem eductionis caudae in Ursa maximam et minimam eadem nocte. Sic circa 26 Decembris observa similiter utramque stellae polaris altitudinem. Primam stellam observa etiam circa 19 Martii anni 98, altitudine nocturna, hora 12; alteram, circa 28 Septembris, etiam hora 12([137]). Nam si, quod opto, differentia quaedam inter binas observationes intercedet unius atque alterius scrupuli, magis si decem aut quindecim, rei per totam astronomiam latissime diffusae argumentum erit; sin autem nihil plane differentiae deprehendemus, palmam tamen demonstrati nobilissimi problematis, hactenus a nemine affectatam, communiter reportabimus. Sapienti sat dictum.

Mitto autem duo insuper exemplaria, quia Hambergerus([138]) mihi dixerat, te plura desiderare([139]). Cuicunque miseris, ille literis de libello scriptis mercedem solverit. Vale, Clarissime vir, et per epistolam longissimam mutuum mihi repende.

13 Octobris anno 97, Gratii.

Humanitati tuaeamantissimus M. Johan Kepler.

Fuori: Clarissimo viro Domino Galilaeo Galilaeo,

Paduano Mathematico, tradantur

Paduam.

60*.

GUIDOBALDO DEL MONTE a GALILEO in Padova.

Pesaro, 17 dicembre 1597.

Bibl. Naz. Fir. Mss. Gal., P. I, T. VI. car. 25. – Autografa.

Molto Mag.co et Ecc.te S.r mio Hon.do

Sono tanti giorni che io non ho havuto nuova di V. S., che ho caro questa occasione di Horatio mio figliuolo, che se ne viene per star appresso al S.r Gio. Batt.a dal Monte, di ricordarmeli che desidero di servirla, desiderando di haver nuova di lei. In un anno che Horatio è stato qua, io l’ho introdotto un poco nelle mathematiche, et desidero che V. S. l’esorti a voler attenderci, chè ha assai buono ingegno, e pò andar studiando da sè alcune cose: e gli ho detto, che come trova qualche difficoltà, se ne venghi da V. S., chè so che per amor mio lo favorirà di esser qualche volta maestro, che ogn’un di noi lo riceveremo per favore. Et io se son buono a servirla, mi comandi: e le bascio le mani.

Di Pesaro, alli 17 di Dicembre del 1597.

Di V. S.Ser.re Guidobaldo dal Monte.

Fuori: Al molto Mag.coet Ecc.te Sig.r mio Hon.

Il Sig.r Galileo Galilei.

Padova.

61*.

GIOVANNI KEPLER a GIANGIORGIO HERWART VON HOHENBURG in MONACO.

Gratz, 26 marzo 1598.

Bibl. della R. Università in Monaco. Cod. 692, pag. 278. – Autografa.

… Quod autem etiam ex ratione ventorum et motus marium deduci argumenta existimas pro motu telluris, equidem et ego nonnullas harum rerum cogitationes habeo; et cum nuper Galilaeus([140]), Patavinus Mathematicus, in literis ad me scriptis testatus esset, se plurimarum rerum naturalium causas ex hypothesibus Copernici rectissime deduxisse, quas alii reddere ex usitatis non possint, neque tamen in specie quicquam commemoraret, ego hoc de maris fluxu suspicatus sum. Sed tamen, ubi rem diligentius([141]) perpendo, non videmur a luna discedere debere, quoad rationes fluxuum ex illa deducere quimus: quod quidem fieri posse existimo. Qui enim terrae motui tribuit, motum marium mere violentum motum statuit; at qui lunae([142]) maria dicit adhaerescere, ex parte naturalem facit…

62*.

ALESSANDRO D’ESTE a GALILEO in Padova.

Modena, 20 marzo 1599.

Bibl. Naz. Fir. Mss. Gal., P. I, T. XIV, car. 5. – Autografa la sottoscrizione.

Molto M.co et Ecc.te amico car.mo

Io conservo continova et amorevole memoria della persona sua; et però èmmi stata carissima la sua, dove con tanto affetto si congratula con esso me della mia promotione. Ne la ringratio dunque; et perciochè mi pare soverchio l’offerirle l’opera mia, lascerò che se ne vaglia ove potesse giovarle. Et intanto la saluto con suo fratello: et N. S.or Dio gli conservi.

Di Modona, li 20 di Marzo 1599.

  S.or Galileo Galilei.Al piacer suo Aless.ro Car.le d’Este.

Fuori: Al molto M.co amico car.mo

Il S.or Galileo Galileo.

63*.

COSIMO PINELLI a GALILEO in Padova.

Napoli, 3 aprile 1599.

Bibl. Naz. Fir. Mss. Gal., P. I, T. XIV, car. 7. – Autografa la sottoscrizione.

Molto Mag.co et Ecc.mo Sig.re

Ho riccevuto le scritture dell’uso del Compasso([143]), mandatemi da V. S. per mezzo del S.r Gio. Vincenzo mio zio; le quali mi sono state tanto care, quanto conviene al valor di esse, che veramente è infinito, se bene V. S. si compiace di parlarne con troppo severo giudicio. Ne la ringratio dunque quanto posso; et l’assicuro che, et per questo et per le molt’altre sue meritevoli qualità, me le stimerò sempre grandemente ubligato et affettionato. Il S.r Federico accetta la ragione ch’adduce V.S. per il libro di cui gli diede intentione, et resta insieme meco desideroso di servirla. Et le bacio la mano.

Di Napoli, a 3 d’Aprile 1599.

Di V. S. S.r Galileo Galilei.per servirla Il Duca d’Acerenza.

Fuori: Al molto Mag.co et Ecc.mo S.r

Il S.r Dottor Galileo Galilei,

a Padova.

64*.

AGOSTINO DA MULA a GALILEO in Padova.

Venezia, 3 luglio 1599.

Bibl. Naz. Fir. Mss. Gal., P. I, T. VI, car. 27. – Autografa.

Molto Mag.co et Ecc.mo S.r mio,

Io haveva da esser li giorni passati a Padova, et mi sono incontrati tanti affari che mi hanno tratenuto, che non so quando che io possa venirvi. Per questo prego V.S. che mi favorisca di pigliarsi fatica di vedere quelle metope che la sa che sono da quel bocalaro; et perchè mi è stato fatto dire che le sono cotte et che io mandi a pigliarle, et da altra parte sono avvisato che le non hanno havuta cottura a bastanza, procurare che siino poste una altra fiata in fornace, acciochè, reccevendo nova cottura, possano resister alla ingiuria de i tempi, dovendo esser poste in opera al scoperto. La mi faccia gratia di operar che sia fatto questo servitio quanto prima, perchè il tempo insta, et li murari, per aspettarle, rittardano l’opera. Il scultore, che le ha fatte, ha obbligo di farle cuocer a sue spese a perfettione, et ha lasciato questo carico al bocalaro, dove sono esse metope: pur se per farle dar questa ultima cottione bisognasse spender qualche cosa, mi contenterò farlo, quando non possi far altro. La prego a perdonarmi il disturbo et commandarmi: et le bascio le mani. Il P. M. Paulo la saluta.

Da Ven.a, alli 3 di Luglio 1599.

Di V. S.Ser.re Agostino da Mulla.

Fuori: Al molto Mag.co et Ecc.mo S.r mio Osser.mo

Il S.r Galileo Galilei.

Padova,

al Santo.

65.

GIROLAMO MERCURIALE a GALILEO in Padova.

Firenze, 9 luglio 1599.

Bibl. Naz. Fir. Mss. Gal., P. I, T. VI, car. 29. – Autografa.

Ecc.mo S.re

Non potrei esprimere quanta consolatione mi habbi recata la lettera di V. E., e quanto gusto habbi sentito da Mess. Michel Angelo suo fratello, che certo, e per la sua virtù singolare e per le creanze, merita d’esser amato et favorito da ciascuno. Credo che egli medesimo scriverà quel ch’io habbi fatto con questi Prencipi e con questi musici per lui; ma non ho ancora finito di far quel ch’io desidero, che certo desidererei si fermasse in Firenze a servir le loro Altezze, come havrebbono anco caro molti di questi musici, et specialmente il S.r Emilio del Cavalliere, patrone del tutto in questo genere.

Al mio S.r Gio. Vinc.o Pinello ho scritto fra due volte dopo la ricevuta della sua lettera; ma credo non le habbi havute, perchè il gentilhuomo, al quale le drizzai in Venetia, le havrà ritenute per giusto rispetto: sì che prego V. S. a scusarmi seco, se per avventura havesse fatto di me qualche sinistro concetto. Mi è ben doluto intendere ch’egli sia in mano de’ medici, seben dall’altra banda spero che fin hora debba esserne uscito felicemente, secondo prego N. S. Dio che lo mantenghi ancora per molti anni.

Non so se il P. Palantieri([144]) sarà ancora ritornato, e per questo drizzo la lettera a lei, acciò la presenti quando vi sarà, non essendo cosa di momento.

Speravo pur di poter riveder V. S. in Firenze quest’anno, sendomene stata data gran speranza da suo cognato. Tuttavia mi andrò godendo la sua memoria, con la fiducia certa di esser amato da lei in ogni luoco, second’io e l’amo et osservo per il suo singolar valore. Et gli bacio le mani.

Di Firenze, li 9 di Luglio 1599.

Di V. S. Ecc.maAff.mo Ser.re Hier. Mercuriale.

Fuori: All’Ecc.mo Sig.re mio Oss.mo

Il Sig.re Galileo Galilei.

Padova.

66**.

GIOVANNI KEPLER a …

Graz, 18 luglio 1599.

Bibl. Naz. Fir. Mss. Gal., Par. VI, T. VII, car. 35r. e 40t. – Autografa per la maggior parte.

…. Quod nisi tua studia interrumpuntur, operam hanc amicam in te suscipias, ut ingenia virorum Italorum sollicites in subiectis materiis: nihil mihi gratius esset, quam legere scriptas his de materiis epistolas. D. Galilaeum praecipue hoc nomine saluta, a quo miror me responsum nullum accipere….

…. Tertio, vehementer cuperem a Galilaeo, post exacte constitutam lineam meridianam, observari declinationem magnetis ab illa linea meridiana, sic ut magnetica lingula([145]) libere in quadrato vase ad perpendiculum erecto, et latere ad meridianam applicato([146]), natet. Nam videtur mira polliceri magnes, modo essent diligentes observatores et varii magnetes consulerentur, nihil ne discreparent. Ego pridem in hanc ivi sententiam: quo loco iam est punctum, quorsum vergit magnes, eo loco in principio mundi fuisse polum, et hanc esse motus magnetici([147]) rationem. Videor motum illum et variationem altitudinum poli, quam Maria([148]) animadvertit, pulcherrime huc traducere posse. Mercator distantiam poli magnetici a mundano ponit 16 ½ gradus. Eam ex observatione Batavorum deprehendo non maiorem 6 ½, id quod plurimum ad hoc meum intentum facit… ([149])

67*.

ANTONIO QUIRINI a GALILEO in Padova.

Venezia, 24 agosto 1599.

Bibl. Naz. Fir. Mss. Gal., P. I, T. VI, car. 31. – Autografa.

Molto Mag.co et Ecc.mo S.r mio,

Vorrei, nell’occasione ch’io ho havuto, e tutta via ho, di adoperarmi in agiuto di V. S., esser fornito di maggior forza et di maggior autorità di quella che mi trovo, perchè procurerei di farle conoscere con veri effetti et la molta stima ch’io faccio della sua persona et del suo valore, et il capitale che tengo delli commandamenti fattimi dalli Sig.ri Giorgio, Soranzo et Pinelli, che tanto affettuosamente mi hanno raccommandato il suo honore et il suo interesse: ma, quale ella si sia, volentieri l’ho impiegata et di novo l’impiegherò in favor suo, con desiderio che l’officio mio le riesca fruttuoso et giovevole. Ho compreso un’ottima dispositione verso di lei nell’Ill.mo S.r P.r Donato([150]), la quale ho ancho tentato di accrescere; nè altro impedimento s’appone che la strettezza del danaro, nella quale convenirà cadere la cassa dello Studio, mentre si veda lo esempio della duplicatione et più che duplicatione dello stipendio nella rinovatione delle condotte. È vero che alcune volte si è fatto in alcuni; ma è ancho vero che fu stimato grande errore et di malissima consequenza. Con tutto ciò replico a V. S. ch’io tornerò a far officio, perchè possi restar sodisfatta in questa sua presente occorrenza, come farò in ogn’altra che le piacerà valersi dell’opera mia. Et con tal fine le desidero ogni vero bene, et bacio le mani al Cl.mo S.r Benedetto Giorgio.

Di Ven.a, li 24 Agosto 1599.

Di V. S.per servirla Ant.o Quirini.

Fuori: Al molto Mag.co et Ecc.mo Sig.r mio

Il Sig.r Galileo Galilei, lettor delle Mathematiche nello Studio di

Padova.

68.

GIOVANFRANCESCO SAGREDO a GALILEO in Padova.

Venezia, 1° settembre 1599.

Bibl. Naz. Fir. Mss. Gal., P. I, T. VI, car. 33 e 34. – Autografa.

Molto Mag.co et Ecc.mo S.r

Io sento grandissimo discontento, vedendomi imbarazzato in un negotio nel quale, havendo a trattare con persone di grandissima auttorità, vedo che ogni mio uffitio si può quasi assolutamente dir inutile et infruttuoso. Tre volte mi son trovato col’Ill.mo Contarini([151]), dal quale mai ho potuto trare pur una parola cortese; anzi una volta mi ha detto, che quando non si voglia aquetarsi al dovere, si farà dal loro canto altra delibe[razione…] conformità: intendo da altra parte che egli si lamenta de’ suoi nepoti([152]), perchè non facciano altro che tormentarlo in questo proposito; onde io vedo che con questo soggetto ogni uffitio è anzi dannoso che giovevole. L’Ill.mo Zane([153]), col quale ho parlato più volte, persevera nella medesima gentilezza et cortesia di prima, et concorrerà volontieri a dar a V. S. Ecc.ma ogni satisfattione. L’Ill.mo S.r P.r Donado, col quale ho parlato, mi ha corrisposo veramente con parole assai cortesi et molto honorevoli della persona di V. S.; et anco nel corso del suo ragionamento ha dimostrato far gran stima di quella lettura; et si dilatò assai in questo proposito meco, presente pur l’Ill.moContarini, il che mi persuasi anco esser fatto ad arte: et la conclusione del ragionamento fu, che il Moletti non passò il segno delli 300; che l’essempio di Bologna non haveva luogo in questo Studio, perchè vi era mancamento di danaro; che il viver della catedra solamente era quasi impossibile, e che delle lettioni private bisognava farsi pagare; ma però che, quando gl’altri si contentassero, si vederebbe arrivar alli 350, mostrando di condescender a questo per singular gratia; et in fine pregandomi et protestandomi, con maniera però assai cortese, che non volessi pretender più, perchè, mettendo questo essempio in confusione tutto lo Studio, averei procurato quello che, come gentil’huomo venetiano e di giuditio (per dir come Sua S.ria Ill.ma disse), non mi si conveniva tentare; che già havevo assai abondantemente sodisfatto all’amicitia che tengo con lei, all’obligo che asserivo haverle, et a quel favore et aiuto che i veri gentil’huomini sono tenuti prestare a virtuosi che meritano; et che, sicome fin qua restava molto ben edificato de’ buoni offitii che havevo fatto, così gli pareva che mi dovessi hormai aquietare, et procurare anco che V. S. Ecc.ma si aquetasse, et conoscesse che con lei si è fatto quello che con altri non s’haverebbe fatto; et che quando con lei si volesse passar più avanti, questo sarebbe un chiamare tutti i dottori a Venetia et nutrirli in speranze indebbite, alle quali non saria possibile dar alcuna satisfattione; che, havendomi io così ardentemente adoperato per V. S. Ecc.ma, si persuadevano che io fossi molto suo amico, et che per consequenza stimavano che, et per l’auttorità dell’amicitia et per le molte ragioni che io haverei potuto addurle, l’haverei senza dubbio fatta contentare; che le scrivessi, che haveriano attesa la risposta. Io non mancai, in quella maniera che mi fu lecita, andar rissolvendo alcuna delle cose sopradette et discorrer sopra il suo merito, il quale, sicome trappassava per molti rispetti i segni ordinarii, così ricchiedeva estraordinaria satisfattione. Pure l’Ill.mo Donado mi replicò sempre il medesimo, et sempre con maggior efficaccia; et l’Ill.mo Contarini, non attendendo a quello che ragionavimo, mai disse altra parola, se non che si maravigliava, et che non vedeva causa di così alte pretensioni, mostrando di restar pochissimo satisfatto della mia persona. Io sto aspettando risposta dal Magini, et venuta che ella sia, la darò all’Ill.mo Zane; e tra tanto aspettarò da lei risposta. Et le baccio la mano.

In V.a, il primo Settembre 1599.

Di V. S. Ecc.madesiderosissimo di servirla Gio. Fr. Sag.

Fuori: Al molto Mag.co et Ecc.mo S.r Honorat.mo

S.r Galileo Galilei, Mat.co dello Studio di

Padova.

69*.

TICONE BRAHE a GIO. VINCENZO PINELLI in Padova.

Benatek, 3 gennaio 1600.

Bibl. dell’Università di Basilea. Cod. G. I, 35, car. 8-9. – Minuta autografa.

Illustri et Clarissimo viro D.no Vincentio Pinello, Patricio Patavino,

D.no et amico suo Observandissimo.

Illustris et Magnifice vir,

S. Cum superiore anno Italiam peragrasset nobilis et eruditus adolescens Franciscus Tengnaglius, qui aliquamdiu antea, tam in Dania quam Germania, meus domesticus fuit, et Dresdae a me, in Italiam profectus, inter alia, ut, Patavium transiens, te officiose meo nomine salutaret atque de statu mearum rerum edoceret, in mandatis habuit; reversus autem nuper ad me, cum ab ipso percontarer an te allocutus esset, respondit se quum primum([154]) Patavium permeasset, saltem biduum ibi mansisse, interim te conveniendi nullam datam fuisse commoditatem. Reiecit itaque illud in reditum suum, donec, ulteriore Italia perlustrata, in Germaniam ipsi revertendum foret. At, cum rursus urbem vestram accederet([155]) et quod antea omissum erat praestare satageret, te ibi non invenit; sed in villam tuam, animi caussa, secessisse, Mathematicus vester Galilaeus de Galilaeis referebat. Re itaque hac, praeter utriusque nostrum expectationem, infecta, is ad me (uti dictum) rediit….

Vale, salutato a me peramanter ob conformia studia praestantissimo istic mathematum professore Galilaeo de Galilaeis; qui si mihi (uti constituerat) per dictam occasionem scripsisset, me in respondendo non invenisset difficilem([156]).Poterit tamen id alio fortassis tempore praestari…

70.

TICONE BRAHE a GALILEO [in Padova].

Benatek, 4 maggio 1600.

Bibl. Naz. Fir. Mss. Gal., P. VI, T. VII, car. 41. – Autografa la firma.

Clarissime et Excellentissime Vir,

Cum hisce diebus Pragae fuissem, atque ibi Serenissimi Principis Magni Ducis Hetruriae oratorem apud Sacram Caesaream Maiestatem, Illustrissimum et Generosissimum Dominum Cosmum Concinum e Comitibus Pennae, convenissem, inter alia Illustrissimae Dominationis eius humanissima mecum colloquia (uti sane est vir, eximia comitate parique doctrina, praeter generis illustrissimum splendorem, admirandus nec unquam satis laudatus), incidit etiam Excellentiae tuae honorifica mentio, ob singularem, qua, in mathematicis praesertim, plurimos alios antecellis, eruditionem; cumque a tanto viro tuas dotes etiam depraedicari audirem, stimulavit id prius de Excellentia tua animo meo conceptam sententiam, ut non potuerim non has ad ipsam scribere, atque sic amicitiae nostrae et ulterioris inter nos per literas correspondentiae fundamina ponere.

Quia vero a nobili adolescente Francisco Tengnaglio, meo domestico, ex Italia huc redeunte, percepi Excellentiam tuam primum nostrum tomum Epistolarum Astronomicarum([157]) perlustrasse, atque in eo nonnulla reperiisse de quibus mecum conferre cuperet, ego certe idipsum nullatenus detrecto; sed si quid fuerit quod Excellentia tua in disquisitionem inibi vocare velit, erit id mihi gratissimum, invenietque me ad respondendum pro meo modulo quam paratissimum. Sive de hÿpothesi nostra coelestium revolutionum, quae solem centrum facit circuitionis quinque planetarum, terram autem, et eam quiescentem, solummodo amborum luminarium, atque octavae quam vocant spherae (cui assumptioni apparentias quam optime congruere depraehendi, ut nihilominus tollantur vasti illi epicÿcli, quemadmodum apud Copernicum, et terra in centro universi, quod ille non admisit, immota maneat: sunt etiam particularia quaedam, in hac nostra inventione, quae neque iuxta Ptolemaicam neque Coperniceam speculationem tam competenter excusari possunt); sive de restitutione fixarum stellarum; sive de cometis, quos omnes in ipso coelo curricula sua absolvere, contra quam volunt Peripatetici, probo, idque in septem, a me diligenter observatis, demonstratum relinquo; sive de quacunque tandem alia re, cuius in illo libro mentio fit, mecum disserere Excellentia tua volet; faciat id ingenue pro suo arbitrio. Ego vicissim meam sententiam illi aperire, atque de rebus astronomicis cum ea iucunde conferre, non intermittam. Valeat Excellentia tua quam optime.

Dabantur ex Arce Caesarea Benatica, die 4 Maii Anni 1600.

Excellentiae tuaeStudiosissimus

Fuori: Admodum Magnifico et Excellenti Viro

D.no Galilaeo de Galilaeis,

Mathematico excellentissimo, amico honorando.

71.

GALILEO a GIULIA AMMANNATI GALILEI in Firenze.

Padova, 25 agosto 1600.

Bibl. Naz. Fir. Mss. Gal., P. I, T. IV, car. 11. – Autografa.

Car.ma et Honor.da Madre,

Da una vostra lettera et da una di Mess. Piero Sali intendo del partito che ci vien proposto per la Livia nostra; in proposito di che non veggo di potervi dar certa resoluzione, perchè, ancora che il partito detto mi venga lodato da detto Mess. Piero et che tale io lo stimi, niente di meno hora come hora non lo posso accettare: et la causa è, che quel Signore Pollacco, a presso di chi è stato Michelagnolo, ha ultimamente scritto che ei deva quanto prima andar là da lui, offerendoli partito honoratissimo, ciò è la sua tavola, vestito al pari de i primi gentil’homini([158]) di sua corte, dua servitori che lo servino et una carrozza da 4 cavalli, et di più 200 ducati ungari di provvisione l’anno, che sono circa 300 scudi, oltre a i donativi, che saranno assai; tal che lui è risoluto di andar via quanto prima, nè aspetta altro che l’occasione di buona compagnia, et credo che tra 15 giorni partirà. Onde a me bisogna di accomodarlo di danari per il viaggio; et in oltre bisogna che porti seco, ad instanza del suo Signore, alcune robe; che, tra ‘l viatico et le dette robe, non posso far di manco di non l’accomodare al meno di 200 scudi: sapete poi se ne ho spesi da un anno in qua; tal che non posso far quel che vorrei. Da l’altro canto mi viene scritto da Suor Contessa, che io deva in ogni modo levar la Livia di là([159]), perchè vi sta malissimo volentieri: et io, già che lei ha aspettato sin qui, vorrei pure che si vedesse di accomodarla bene; perchè, se bene credo alle parole di Mess. Piero et che questo Pompeo Baldi sia buona persona, pure sentendo come, tra quello che guadagna et quello che può havere di entrata, non deve arrivare a 100 Ñ, non so come si possa con questo danaro mantenere una casa. Però, quanto al mio parere, vorrei che si scorresse ancora un poco avanti, perchè Michelagnolo, arrivato che sia in Pollonia, non mancherà di mandarci una buona partita di danari, con i quali, et con quello che potrò fare io, si potrà pigliare spediente della fanciulla, già che ancora lei vuole uscire a provare le miserie di questo mondo. Però vorrei che cercassi di cavarla di là et metterla in qualche altro monasterio, sin che venga la sua ventura, persuadendogli che l’aspettare non è senza suo grande utile, et che ci sono et sono state delle regine et gran signore, che non si sono maritate se non di età, che sariano potute esser sua madre. Vedete dunque di vederla quanto prima, et date l’inclusa a Suor Contessa, la quale mi dimanda il salario per il convento: però vi farete dire quanto è, che quanto prima lo manderò. Et sopra quanto vi scrivo potrete parlare con Mess. Piero Sali, perchè, per non replicare le medesime cose, li scrivo brevemente et lo rimetto a quanto li tratterete voi. Altro non mi occorre dirvi, se non che a tutti ci raccomandiamo. N. S. vi contenti.

Di Padova, li 25 di Agosto 1600.

 Vostro A[ff.]o Fig.lo G. G.

La lettera di Suor Contessa l’ho mandata poi a suo frate[llo].

Fuori: Alla sua Car.ma et Honor.da Madre

M.a Giulia Galilei.

Firenze.

72.([160])

GALILEO a [GIO. BATTISTA STROZZI in Firenze].

Padova, 5 gennaio 1601.

L’autografo era a car. 422 del cod. Strozziano N.° 973, al quale, di mano «dell’Abbate Luigi di Carlo Strozzi. 1677», è preposto il titolo «Lettere originali di letterati, scritte a Gio. Batta Strozzi il Cieco». Detto codice ora è il Magliabechiano VIII. 2. 1399; ma quella carta 422 fu sottratta, e dell’autografo galileiano è rimasta traccia solo nell’indice iniziale. Ricomparve nella raccolta TRÉMONT et BOILLY, da questa passò nella BOVET([161]), nel catalogo della quale fu dato in facsimile: venduto all’asta per il prezzo di lire 690, pervenne alla raccolta ARRIGONI([162]), da cui passò finalmente a quella GNECCHI.

Molto Ill.re Sig.re et Pad.ne Osser.mo

La bellissima sestina et la gratissima lettera di V. S. mi sono state di doppio contento: questa, recandomi testimonianza della memoria che tiene di me; et quella, dell’opinione che ha V. S., ch’io possa gustare ancora delle poetiche bellezze. Et invero, se pari al gusto et diletto fusse in me il giudizio, già per mia sentenza haveria la sua sestina sopra ogn’altro poema di tal genere vittoria; e confesso a V. S. haver veduto quello che, o per la difficoltà del componimento, o pur([163]) per mia insatiabile ignoranza, non sperava di veder mai, cioè sestina il cui alto, vago et chiaro concetto non fusse dalla strettezza degl’oblighi superato. Ne la ringrazio dunque infinitamente, et la prego a farmi spesso di simili favori; che sarà per fine di questa, con baciarli con ogni reverenza le mani e offerirmeli servitore prontissimo. N. S. la prosperi.

Di Pad.a, li 5 di Gennaio 1601.

Di V. S. molto I.Oblig.mo Ser.re Galileo Galilei.

73.

GIROLAMO MERCURIALE a GALILEO in Padova.

Pisa, 29 maggio 1601.

Bibl. Naz. Fir. Mss. Gal, P. I, T. VI, car. 17l. – Autografa.

Ecc.mo Sig.r

Senza dubio alcuno aspettavo V. E. col S.r Cornachini([164]), e Dio sa quanta consolatione havrei sentita nel vederla et abracciarla doppo tanti anni; ma poi che non torna bene alle sue cose et ai suoi pensieri, havrò speranza al meno di rivederla quest’altr’anno: nel qual tempo l’essorto in tutt’i modi ad esporsi di venire, perchè il S.r Prencipe([165]) havrà passati gli dodici anni, et tengo certo serà capace di tutte quelle cose matematiche che V. E. gli saprà mostrare; et sappi certo che quel figliuolo ha un felicissimo ingegno e memoria, et sopra il tutto è il più curioso cervello che si possa immaginare: onde credo havrà occasione V. E. di essercitare il suo talento, et chi sa anco che non possa essere qualche sua buona fortuna. Però torno a dirgli che in tutt’i modi veda di finire quel suo instrumento geometrico e militare, acciò possa lei medesima portarlo il seguente anno per San Gioanni a Firenze, dove serò ancor io: et fra tanto con la prima occasione farò quel’ufficio che si deve con le loro AA. SS.me; et se V. E. volesse mandarmi un breve ritratto di quello che fa per il S.r Prencipe, con l’uso et utilità sue, lo mostrarei alle loro AA., et so certo che ‘l Prencipe ne prenderebbe diletation. Che è per fine: et gli bascio le mani.

Di Pisa, li 29 Maggio([166]) 1601.

Di V. E. Ecc.ma S.r Galileo Galilei.Aff.mo Ser.re Hier.o Mercuriale.

Fuori: All’Ecc.mo S.r mio Oss.mo

Il S.r Galileo Galilei.

Venetia per Padova.

74.

GALILEO a MICHELANGELO GALILEI in Vilna.

Padova, 20 novembre 1601.

Museo Britannico in Londra. Egerton Mss. 48, car. 2. – Autografa.

Car.mo et Honor.do Fratello,

Ancor che io non habbia mai hauta risposta ad alcuna delle mie 4 lettere scrittevi da 10 mesi in qua in diversi tempi, pur torno a replicarvi l’istesso con la presente; et voglio più presto credere che siano andate mal tutte, et ogn’altra cosa meno verisimile, che dubitare che voi fussi per mancare di tanto all’obligo vostro, non solamente del rispondere con lettere alle mie, ma con effetti al debito che haviamo con diverse persone, et in particolare col S. Taddeo Galletti nostro cognato, al quale, come più volte vi ho scritto, maritai la Livia nostra sorella con dote di ducati 1800([167]): de i quali 800 si pagorno subito, et mi fu forza pigliarne 600 in presto, confidando che al vostro arrivo in Lituania voi fussi per mandarmi se non tutta questa somma al meno la maggior parte, et per contribuire poi del restante di anno in anno sino all’intero pagamento, conforme all’obligo che ho fatto sopra tale speranza; che quando io havessi creduto che il successo havesse ad essere altrimenti, o non haverei maritata la fanciulla, o l’haverei accomodata con dote tale che io solo fussi stato bastante a satisfarla, già che la mia sorte porta che tutti i carichi si habbino a posare sopra di me. Io vi pregavo in oltre che dovessi mandare una carta di obligazione per darla al S. Taddeo, nella quale vi obligassi in solidum alla detta dote insieme meco, et che tale scrittura fusse autenticata per publico notaio. Però torno a ripregarvi che non vogliate mancare di eseguire tutto questo quanto prima: et sopra ‘l tutto non mancate di darci avviso dell’esser vostro, perchè ne stiamo tutti con gran pensiero, non havendo mai intesa cosa alcuna di voi da che vi partisti di Cracovia, eccetto che circa un mese fa dal S. Carlo Segni, il quale per sua cortesia mi scriveva haver ricevute lettere da voi di Lublino, et che stavi in procinto di ritornare in Vilna, ma che per me non havevi mandato nè letterenè altro. Circa ‘l resto noi stiamo, per grazia di Dio, tutti bene, et si aspetta di giorno in giorno il parto della Livia, la quale insieme con suo marito vi si raccomanda infinitamente, come fo io con nostra madre. Di grazia, non mancate avvisarci dell’esser vostro quanto prima. Et baciate le mani al Sig.re([168]) per mia parte.

Di Padova, li 20 di 9mbre 1601.

 Vostro Aff.mo fratello Galileo Galilei.

Fuori: Al molto Mag.co et Honor.do

S. Michelagnolo Galilei.

Vilna.

75*.

GIOVANFRANCESCO SAGREDO a GALILEO in Padova.

Venezia, 17 gennaio 1602.

Dobbiamo riprodurre anche questa lettera (vedi l’informazione premessa al n. 2) dall’edizione del CAMPORI, che per primo la pubblicò a pag. 2-3 del citato Carteggio Galileano inedito, non avendo potuto ritrovarne l’originale.

Io mando a V. S. Ecc.ma due stromenti da far viti, che hanno bisogno di accommodamento. La picciola l’ho fatta io stesso già alcuni mesi; ma perchè parmi che non abbia tutta quella bona grazia che vorrei, volevo accomodarla, il che poi non ho voluto tentare, perchè in vero mi è passata la voglia di lavorare: onde volendo far una macchinetta picciolissima, prego V. S. Ecc.ma operar che M.o Fait me la accommodi subito, siccome anco desidererei che accommodasse anco quell’altra, sì che lavorasse politamente. E mi perdoni della briga.

Ho fatta fare una macchinetta, con una ruota d’avolio, con la vite perpetua incavata, come quelle di M.o Fait, ma però senza torno, col semplice scarpello: riescì assai bella, per esser fatta da maestro novello. Ne ho anco fatto principiar una quasi tutta di ferro, in forma di quelle di M.o Fait, da strassinare, ma con una ruota di più: non so come riuscirà ben fatta, poichè il marangone fa l’uffizio del fabro e non vuole ubedire; e servendo cotali cose più per galanteria che per altro, mi rincresce che l’ostinazione di costui le tolga quel poco di gentile che se gli potrebbe dare con qualche ornamento. E per fine me le raccomando.

In Venezia, a XVII Genaro 1602.

76.

GALILEO a BACCIO VALORI in Firenze.

Padova, 13 marzo 1602.

Scrive il NELLI, Vita e Commercio letterario di Galileo Galilei ecc. Vol. I, Losanna, 1793, pag. 138, nota 1, che l’originale di questa lettera era nella libreria RINUCCINI in Firenze: ma le ricerche da noi fattene sono state inutili: e dobbiamo valerci d’una copia del secolo XIX, che è nella Biblioteca Nazionale di Firenze. Mss. Gal., P. I, T. V, car. 3, copia trascritta quando fu messa insieme la raccolta Palatina dei Mss. stessi.

Molto Ill.re Sig.re et Padron Col.mo

Dal Sig. Michele Saladini mi sono state mandate, conforme all’ordine di V. S. molto Ill.re, 10 copie del discorso del Sig.r Mei sopra l’antica et la moderna musica([169]); il quale mi è stato sommamente grato, sì per la cosa in sè stessa, degna veramente dell’erudizione singolare dell’autore, sì ancora per venirmi mandata da V. S., segno che tien memoria grata di un suo devotissimo servitore, cosa da me sopra modo ambita et della quale mi pregio assai: et così si assicuri V. S. che sono desideroso di servirla, come obbligato a farlo. Ho letto il discorso, al quale non saprei dar lode maggiore che il dire che sono persuaso et credo che dica il vero, che deve essere l’ultimo scopo di ogni speculatore. Lo participerò con quelli di questo Studio che mi parranno più atti a intenderlo; et a V. S. molto Ill.re renderò infinite grazie dell’amorevole affetto, e con farli le debite reverenze finirò. N. S. la conservi.

Di Padova, li 13 di Marzo 1602.

Di V. S. molto Ill.reServ.re Obbligat.mo Galileo Galilei.

Fuori: Al molto Ill.re Sig.re et Pad.ne Col.mo

Il Sig. Baccio Valori.

Firenze.

77.

GALILEO a BACCIO VALORI in Firenze.

Padova, 26 aprile 1602.

Bibl. Naz. Fir. Mss. Gal., P. VI, T. VI, car. 9. – Copia della stessa mano del n.° 76.

Molto Ill.re Sig.re e Pad.ne Col.mo

Io non mi trovo disegno buono per spiegar la fabbrica et l’applicazione della mia macchina per cavar acqua([170]): però non ubbidisco al comandamento di V. S. molto Ill.tre; ma non però li nego la dimanda, ma solo differisco il servirla sino alla mia venuta costà, la quale, se grande impedimento non mi si interpone, ho disegnato che sia in questa state, dove, con la viva voce e con un modello materiale, li potrò dare migliore satisfazione: se bene in effetto la cosa in sè non è da essere molto stimata, et massime dal purgatissimo giudizio di V. S. molto Ill.tre Alla quale intanto mi ricordo per servitore devotissimo et obbligatissimo; et baciandoli con ogni reverenza le mani, le prego da Dio compita felicità.

Di V. S. molto Ill.tre

Padova, 26 di Aprile 1602.Servitore Obb.mo Galileo Galilei.

Fuori: Al molto Ill.tre Sig.re et Pad.ne Col.mo

Il Sig.re Baccio Valori.

Firenze.

78*.

GALILEO ai RIFORMATORI DELLO STUDIO DI PADOVA in Venezia.

[Padova, maggio 1602].

Arch. di Stato in Venezia. Filza intitolata sul dorso: Atti 1, 1597-1609, Riformatori dello Studio di Padova, n° 419. – Autografa.

Ill.mi et Ecc.mi Sig.ri Rifor.ri

Galileo Galilei, Lettor delle Mat.che nello Studio di Padova et humiliss.o servo delle S. V. Ill.me et Ecc.me, trovandosi, come ad alcuna delle S.e loro è più particolarmente manifesto, aggravato da un debito([171]), il quale, oltre al suo peso, lo va con interessi consumando, nè potendo da quello alleggerirsi senza il loro sussidio et favore; con ogni humiltà le supplica a volere esser favorite di compassionare allo stato suo, et sovvenirlo in questa sua necessità col prestargli del publico stipendio la provisione di anni due anticipatamente, per scontarla esso supplicante in anni quattro che li restano a finire la sua condotta, con dare idonea sicurtà della vita, assicurando le S. V. Ill.me et Ecc.me che quando non fusse da estrema necessità astretto, non haveria ardito di molestarle. Et quando sia di tal grazia favorito, oltre al restargnene con obligo perpetuo, pregherà sempre il S. D. che loro conceda il colmo di felicità.

79*.

I RIFORMATORI DELLO STUDIO ai RETTORI DI PADOVA.

Venezia, 9 maggio 1602.

Arch. di Stato in Venezia. Filza intitolata sul dorso: N° = (sic). Lettere dalli Ecc.mi Sig.ri Riform.ri dello Studio scritte ai diversi Ill.mi Rettori ed altri, 1601 al 1622. Riformatori dello Studio di Padova, n° 64. – Originale.

1602. 9 Maggio.

Alli Rettori di Padova.

È così pia la occasione che ci fa supplicare da D. Galileo Galilei, Lettor delle Mathematiche in quel Studio, di aiuto di qualche somma di denaro del salario suo, che tiene a quella Camera per il servitio che presta, sendo egli per collocar in matrimonio una sua figliuola nubile([172]) et trovandosi in molto stretta fortuna, che ci ha fatti risolvere di accomodarlo di quel danaro anticipato che per l’ultima sua condotta gli può aspettar in tempo di un anno; con condizione però, che dia sufficiente pieggieria di vita et ogni caso che non fusse col servitio scontato il danaro che riceverà, come si è osservato in altri: di che habbiamo voluto dar a V. S. Ill.me notitia, acciocchè così faccino essequire.

80*.

GIOVANFRANCESCO SAGREDO a GALILEO in Padova.

Venezia, 8 agosto 1602.

Bibl. Est. in Modena. Raccolta Campori. Autografi, B.a LXXXVIII, n.° 31. – Autografa.

Molto Mag.co et Ecc.mo Sig.r mio Hon.mo

Hor hora ho ricevuto le calamite, benissimo condittionate, et l’altr’hieri ebbi l’anello, il quale, così armato, certo è un Rodomonte. Il nasetto della grande io non so accomodarlo così, al presente, che faccia maggior riuscita di quello che mi soleva fare una brocca che le soleva applicar per armatura; onde haverò bisogno della presenza di V. S. Ecc.ma, che haverò con occasione o della mia venuta costì o della sua in questa città. Tra tanto la prego conservarmi suo; et le bacio la mano.

Di V.a, a 8 Agosto 1602.

Di V. S. Ecc.Aff.mo per serv.la Gio. Fr. Sagr.

Fuori: Al Molto Mag.co et Ecc.mo S.r

Il Sig. Galileo Galilei, Mathem.co di

Padova.

81*.

EDMONDO BRUCE a GIOVANNI KEPLER in Praga.

Firenze, 15 agosto 1602.

Bibl. Palatina di Vienna. Mss. 10702, car. 218. – Autografa.

Spero, mi Eccellentissime Keplere, te meas accepisse literas, Patavii datas: nunc tibi has a Florentia mitto, quibus te certum facio, quod mea sors fuit cum Magino concurrere in eodem curru a Patavio usque ad Bononiam, in cuius domo, amice acceptus, per diem noctemque mansi; quo temporis curriculo honorifice de te locuti sumus. Prodromum([173]) tuum ei ostendi, dixique te summopere admirare, eum nunquam tuis literis respondisse: ast ipse mihi iuravit, se nunquam antea tuum Prodromum vidisse, sed eius adventum quotidie dilligenter expectasse, mihique fidelliter promisit, se suas ad te literas breve mittere velle; teque non solum amare, sed etiam pro tuis inventis admirare, confessus est. Galeleus autem mihi dixit, se ad te scripsisse, tuumque librum accepisse, quae tamen Magino negavit; eumque, te nimis leniter laudando, vituperavi. Nam hoc pro certo scio, se tua ut sua inventa suis auditoribus et aliis promsisse. Sed ita feci, et faciam, ut ea omnia non ad suum, sed ad tuum, honorem magis redundabunt.

Florentiae, 15 Augusti 1602.Tuus ut suus Edmundus Brutius.

Fuori: Ecc.mo D. D. Ioanni Keplero,

Mathematico M. C.

Pragae.

82*.

GIOVANFRANCESCO SAGREDO a GALILEO in Padova.

Venezia, 23 agosto 1602.

Bibl. Est. in Modena. Raccolta Campori. Autografi, B.a LXXXVIII, n.° 33. – Autografa.

Molto Mag.co et Ecc.mo Sig.r mio Oss.mo

Da M. Gasparo([174]) haverà V. S. Ecc.ma inteso la monitione che ho fatta di machine, et il desiderio ch’io ho di cavar dalle mani di M.o Fait uno di quelli trapani con li quali incava li denti delle ruote per le viti perpetue; il che non so se così facilmente si potrà ottenire, quando egli sappia che debba capitar nelle mie mani, havendosi egli grandemente doluto che io habbia insegnato al mio marangone far le sue machine: però la prego veder, per quella via che le parerà più riuscibile, di far questo servitio.

La miavenuta costì voglio certo che sia a qualche tempo. Il Sig. Veniero nostro et io desideriamo questo ottobre far un viaggietto in Cadore([175])et in alcun altro luogo circonvicino, questo mese di Ottobre; ma perchè senza la compagnia di V. S. Ecc.ma riuscirebbe questo nostro viaggio per luoghi fantastichi molto insipido, ho voluto darlene aviso per tempo, acciò, per favorire l’uno et l’altro di noi, si disponga a farci questa gratia: che quanto incommodo ella prendesse per così fatta cagione, altrettanta fatica noi ci oblighiamo far per lei al tempo della sua ricondotta, il qual desidero saper quando sarà. Che sarà fine di questa, pregandoli da N. S. ogni felicità.

In V.a, a 23 Agosto 1602.

Di V. S. Ecc.ma S.r Galileo.Aff. mo per serv.la G. F. Sag.do

Fuori: Al molto Mag.co et Ecc.mo S. Hon.mo

Il S.r Galileo Galilei, Mathem.

Padova.

83*.

PAOLO SARPI a GALILEO in Padova.

Venezia, 2 settembre 1602.

Bibl. Naz. Fir. Mss. Gal., P. VI, T. VII, car. 43.– Autografa.

Ecc.mo Sig.re P.rone mio Colen.o

Poichè li 25 miglia, per quanto siamo distanti, m’impedisce il discorrere con V. S., cosa che desidero sopra tutte le altre, voglio tentare di farlo con intermedio delle lettere, et al presente nel proposito ch’incominciai trattare con esso lei quando l’altro giorno fummo insieme, della inclinatione della calamita con l’orizonte. Il nostro auttore([176]) molto raggionevolmente dice, quella non essere una attrattione, ma conversione più tosto, nascendo dalla virtù d’una et dell’altra, che vogliono essere situate in un certo muodo insieme, perilchè il più desiderato muodo di situarsi è quello quando per li poli: imperochè fa l’asse uno, et se ci è moto, ancora tutte le parti participano del moto non solo circa l’asse della grande, ma anco circa il suo; anzi forse si fa talmente uno, che perde il suo equinotiale, et fa accostare quello della grande, perdendo ambi dua li poli in che si congiongano, et facendo come d’un corpo li dua poli estremi. Ma se sono situate per li equinotiali, si vede anco la unione, havendo li assi paralelli et l’equinotiali in un piano, et participando il moto sopra quelli. Hora, nelle altre situationi io non so vedere che cosa voglino fare. Andava pensando che accomodassero in qualche maniera insieme il cerchio d’ambe due paralello all’equinottiale([177]) et per il vertice della reggione: ma non è così. È ben forza che voglino accomodarsi in qualche maniera, pertenente alle sue parti, et che da quelle venga regolata, et denominate le parti: non sono se non poli, asse et cerchi parallelli; come adonque? Forse come il nostro auttore dice? che però non veggo come et a che fine, nè qual parti a quale vogli situare. Ma egli come ha truovato il suo muodo? per esperienze o per raggione? Non per esperienze: perchè, o con la terra, et questo ricercherrebbe viaggio regolato per una quarta; non con la terrella, perchè si ricerca che il versorio non habbia sensibile proportione con la terrella, acciò nell’istesso luoco sii il centro et la cuspide, altrimenti non è fatto niente. Non mi par manco che per raggione: imperochè bisogna render causse della descrittione de que’ cerchi che lui chiama conversionis, che nella piciola dimostratione ne descrive 3: BCL sotto l’equinotiale; ODL di 45; GL di 90([178]). Essendo tutti li tali, come si vede nella figura grande([179]), descritti sopra il ponto della reggione come centro, intervallo una retta da esso centro al polo opposito, cerco prima la raggione di questo intervallo; poi, perchè questi cerchi conversionis non sono simili, ma quello del 45 è un quarto, li precedenti più, li seguenti meno. Al che si dà per regola che siino tra il polo opposito L et il cerchio BOG, quale è descritto sopra il centro della balla, intervallo quella che può quanto il semidiametro et il lato del quadrato([180]). Quale è la raggione di pore questo centro et tanto intervallo? poi, perchè debbono essere divisi in tante parti come un quadrante così li grandi come li picioli?

Queste sono le difficoltà. Della spirale non ho difficoltà alcuna, ma è un bel genere di elica, generandosi di dua moti circolari. Prego V. S. che habbia un poco di consideratione sopra le mie difficoltà, et sopplisca al mancamento del nostro auttore, il quale ha taciuto le causse delle più oscure cose che siano: almeno havesse detto come ne è venuto in cognitione. Appresso, perchè desidero far esperienza di questa inclinatione, per levarmi la fatica prego V. S. scrivermi il muodo tenuto in far il versorio, con che li applica li perni, se con fuoco o con cola o come, et di che materia li fa, et sopra che li appoggia, et in soma ogni particolare, perchè non vorrei consumar tempo in esperimentar molte cose, poichè ella ha fatto la fatica. Qui farò fine, pregando V. S. scusare la mia importunità et non curare di rispondermi se non con suo commodo, sichè non venga impedita nè da’ suoi negotii nè dalli studii. Però li bascio la mano.

Di Vinetia, il dì ij Settembre 1602.

Di V. S. Ecc.ma

Fuori: All’Ecc.mo Sig.re mio P.rone Osservan.o

Il S.r Galileo Galilei, Math.co Publico, in

Padova,

appresso il Santo.

84*.

PAOLO POZZOBONELLI a GALILEO in Padova.

Savona, 12 settembre 1602.

Bibl. Est. in Modena. Raccolta Campori. Autografi, B.a LXXXV, n.° 123. – Autografa.

Ill.re et Ecc.mo Sig.re Oss.mo

Due di V. S. Ecc.ma quasi in un tempo mi son state rese la settimana passata, la prima de’ 22 Maggio, e l’altra de’ 16 Agosto, quali mi son state carissime, perchè mi arrecano bonissime nove di V. S., di cui per tanto tempo già stavo in ansietà; et con la più vecchia ho havuto la scatola di occhiali, quali son stati a sodisfatione de’ parenti, et ringratio V. S. della briga presasi in farmeli haver boni et del presente che V. S. mi fa del prezzo di essi: del quale, per esser cosa da me richiesta, desideravo di far mio debito, et che il prezzo fusse pagato da me et restarli in obligo solo della fatica; ma già che V. S. così vole, non voglio far torto alla sua amorevolezza, ma pregarla a porgermi occasione ch’io possa far la mia parte ancor io. Quanto a che lo instrumento di V. S. fusse riuscito([181]), se ben in mente mia già ne sapevo l’esito et me lo teneva per certo, come V. S. lo avisa pure, per il suo aviso seco me ne rallegro, et prego Dio li porga maggior occasione di palesar il suo valore.

Quanto a’ miei studii, io son disperato; chè da che son qui, non ho havuto tanto agio di aprir pur un libro. Vi causa ben in parte la mia natura, che per ogni poco di occasione mi disvio di sorte da camino, che no fo più cosa bona: ma che direbbe V. S. s’io li dicessi che voglio far come colui che buttando la berretta in terra maledisse il suo troppo senno, già che ogn’uno mi vol dar delle brighe e delle comissioni, talchè io, che fuggo la fatica, non mi par di haverne sì poca in levarmi da torno le cure et molestie d’altri? senza che le mie proprie non mi dan sì poca occupatione; talchè io credo di voler andar disponendo le cose in maniera che me ne vorrò fuggire, per poter goder de l’otio et della consolatione di continuare nel mio studio. Però quando sarà a tempo, V. S. sarà avisata di tutto. Intanto non posso salvo dirli, che de’ tanti fatti ch’io pretendevo di far a casa mia, non ho fatto altro che attendere al palazzo; et della mia carissima matematica nè de l’altra arte spagirica non ho fatto cosa alcuna, giachè di quella son([182]) fornito di stromenti a compimento, et di quest’altra non ho tanto vedro che le donne potessero farne la punta a soi fusi, nè tanto carbone che potesse dissegnare un di quegli animali che eran dipinti nella mia camera della contrada de’ Vignali([183]).

Ho nove dal S.or Conte Persico di Fiandra, che presto se ne tornerà in Italia. Sta bene di salute, et di là è gionto qui un corriero, che rifferisce, in Ostenden a quello assedio li ingegneri del’Arciduca haver fatto certi loro artifici per serrar quelli canali, che hanno nominati salsiccie; et che mentre si stava accomodando alquante di queste salsiccie, alcune cannonate della fortezza han portati a volo 14 delli assistenti([184]): di qui io scrivo al S.or Conte, che se ne venga a mangiarsele qui, dove si mangian senza dubio di esser fatto volare come Icaro. V. S. attenda a governarsi et godersi alle volte col S.or Paolo Gualdo gentilissimo; di cui non havendo nova poi della mia partenza, desidero intenderne alcuna, et che mi porgesse occasione ch’io lo servisse. Li scrissi al mio arrivo qui, ma non hebbi risposta: ne do colpa alle sue occupationi. Per fine a V. S. bacio le mani, e prego dal cielo ogni bene.

Di Savona, a 12 di Settembre 1602.

Di V. S. Ill.re et Ecc.maAff.mo Ser.re Paolo Pozzobonelli.

Poco manco ch’io mi scordavo il meglio. S’io fussi pedante, haverei qui tanto più da fare a veder versi et scritti; et presto, se V. S. fusse de l’istesso humore, li manderei di qui un’opera contra del Lipsio. Credo che V. S. non farebbe come il S.or Gio. Vinc.o([185]), che voleva ancora i ritratti delli autori, ma si contenterebbe de l’opera: et quello Ill.mo che ha fatto mendace l’Ingegnieri, bisogna ch’ei sia grand’huomo, perchè farà restar bugiardi altri ingegni che l’Ingengnieri. La sua fama per qua vola gloriosa, et le operationi sono stupende; et quella di far una animetta sottilissima di ferro, che resiste([186]) a botta di qualunque grosso moschettone, etiam da cavaletto, è delle minori.

Fuori: All’Ill.e et Ecc.mo Sig.or Oss.mo

Il S.r [Galileo] Galilei, Lettor dig.mo, in

Venetia per Padova,

al Santo.

85*.

GIOVANFRANCESCO SAGREDO a GALILEO in Padova.

Venezia, 28 settembre 1602.

Bibl. Naz. Fir. Mss. Gal., P. I, T. VI, car. 165. – Autografa.

Molto Mag.co et Ecc.mo S.r Hon.mo

Il nostro viaggio in Cadore([187]) per necessità deve prolungarsi alla metà del mese venturo, rispetto che, sentendomi aggravate le reni oltre modo, dal cavalcare ne riceverei notabilissimo danno: anzi, dovendo io, di consiglio del P.e M.o P.lo de’ Servi, prender l’acqua della Vergine da Monte Artone([188]), ho dato ordine che sia mandata a V. S. Ecc.ma una quarta nuova, acciò veda di farmela subito empire della detta acqua et mandarmela con diligenza.

Scrissi, sono molti giorni, al S.r Cortuso semplicista, pregandolo che fosse contento mandarmi qualche semenza di alcun semplice degno per il nostro giardino, et di questo gli ho fatto anco far instanza dall’Ecc.mo S.r D. Benedetto Benedetti; nè solo non ho potuto haver le semenze, ma neanco due sue righe: di che certo ne ho preso qualche disgusto, onde mi sono rissoluto scrivergli la seconda volta, non già per replicargli la instanza, ma bene più tosto per pungerlo del torto che m’ha fatto; ma però non ho voluto essequire questa mia intentione, se prima V. S. Ecc.ma, con sua commodità, non trovi occasione di parlargli in questo proposito, et mi dia aviso di quello che egli sappia dire, perchè certo n’ho preso molto disgusto. Et per fine a V. S. E[cc.ma] mi raccomando.

In V.a, 28 Settembre 1602.

Di V. S. Ecc.maSer. G. F. S.

Fuori: All’Ecc.mo S.r Hon.mo

Il S.r Galileo Galilei, Mathematico di

Padova.

86**.

LORENZO PIGNORIA a PAOLO GUALDO [in Venezia].

Padova, 8 ottobre 1602.

Bibl. Marc. di Venezia. Cod. LXVI della Cl. X (Ital.), car. l. – Autografa.

…. Sono stato a casa del S.r Galileo per rihavere lo scrittorio del S.r Duca, ma ho trovato che un staffiere è venuto per esso([189]).

87*.

GIOVANFRANCESCO SAGREDO a GALILEO in Padova.

Venezia, 18 ottobre 1602.

Bibl. Est. in Modena. Raccolta Campori. Autografi, B.a LXXXVIII, n.° 34. – Autografa.

Molto Mag.co et Ecc.mo Sig.r Hon.mo

Ringratio V. S. Ec.ma de’ ferri. Darò al P.re M.o Paolo il declinatorio, et farò l’ambasciata come ella mi comanda. Ho provato il declinatorio al modo che ella già mi mostrò costì. L’effetto di star perpendicolare, posto il suo assetto sotto la meridiana, mi è riuscito molto bene; et situato sotto il parallelo, ho veduto la declinatione: ma sopra il più et meno, a me pare che vi sia materia da filosofare.

Ho detto a quel gentil’huomo dalla natività quello che V. S. Ecc.ma mi scrive: lascierò a lui la cura di sollecitarmi; della mia([190]) prenderò la sua commodità.

Il punto del nascimento del Moresini, che cadè giù del campanile, è l’anno 1586, a 28 Luglio, ad hora di sesta che si sona alli Frari, che suole essere tra terza et nona. Il giorno de 28 è così notato nell’Avogaria et nel libro di suo padre. Sua madre nondimeno afferma essere lui nato a 27([191]), di mercordì, due giorni avanti Santa Marta. Il figliuolo è sano, fortunato nella robba, poichè già cinque anni un suo cio gli ha lasciato 3000 ducati di entrata a lui solo, et non agli altri fratelli, se ben maggiori di età. Scritto fin qui, mi è venuto voglia di vedere sopra le efemeride per ritrovar il giorno, et ho veduto che a 27 era domenica, et per consequenza considero la mattina: onde non è da credere, come dice la madre, che il padre arrivasse a casa a sesta([192]); et essendo anco non mercore, ma domenica, credo che, ingannandosi in un conto, s’inganni anco nel resto.

Habbiamo qui nuova certa della presa di Buda col castello, con bottino inestimabile, ricuperatione del governatore et altri schiavi fatti ad Alba Regale: nuova che ha fatto stupir ogn’uno, poichè s’accamparono gli Imperiali a 2, et a 9 hanno preso ogni cosa, dicesi con vie sotteranee.

Il Cl.mo Veniero è fuori; al suo ritorno si farà il servitio: ma ad un modo all’altro, V. S. Ecc.ma stia sicura. E per fine li baccio la mano.

In V.a, a 18 Ottobre 1602.

Di V. S. Ecc.maDesid.mo di servirla Gio. F. Sag.

Fuori: Al molto Mag.co et Ecc.mo S.r

Il S.r Galileo Galilei.

Pad.a

88.

GALILEO a GUIDOBALDO DEL MONTE [in Montebaroccio].

Padova, 29 novembre 1602.

Bibl. Naz. Fir. Mss. Gal., P. VI, T. VI, car. 10. – Copia di mano del secolo XIX, trascritta quando fu messa insieme la raccolta Palatina dei Mss. Galileiani, e derivata da copia che dall’originale aveva tratto di sua mano VINCENZIO VIVIANI. Alla copia moderna è premessa la seguente indicazione, che certamente fu riprodotta dalla copia di pugno del VIVIANI: «Copia di lettera del Sig.r Galileo, da Padova li 29 Novembre 1602, al Sig.r Marchese Guid’Ubaldo dal Monte, a Monto Baroccio, cavata da me dall’originale mandatomi da Pesaro dal Sig.r Dottor Costanzo Pompei con sua lettera del primo Gennaio 1661 ab Inc.ne e da esso trovata in un sacco di varie scritture attenenti all’eredità di detto Sig.r Guid’Ubaldo, esistente oggi in Pesaro appresso…».

Ill.mo Sig.e e P.ron Col.mo

V. S. Ill.ma scusi la mia importunità, se persisto in voler persuaderle vera la proposizione de i moti fatti in tempi uguali nella medesima quarta del cerchio([193]); perchè, essendomi parsa sempre mirabile, hora viepiù mi pare, che da V. S. Ill.ma vien reputata come impossibile: onde io stimerei grand’errore e mancamento il mio, s’io permettessi che essa venisse repudiata dalla di lei speculazione, come quella che fusse falsa, non meritando lei questa nota, nè tampoco d’esser bandita dall’intelletto di V. S. Ill.ma, che più d’ogn’altro la potrà più presto ritrarre dall’esilio delle nostre menti. E perchè l’esperienza, con che mi sono principalmente chiarito di tal verità, è tanto certa, quanto da me confusamente stata esplicata nell’altra mia, la replicherò più apertamente, onde ancora lei, facendola, possa accertarsi di questa verità.

Piglio dunque due fili sottili, lunghi ugualmente due o tre braccia l’uno, e siano AB, EF, e gli appicco a due chiodetti A, E, e nell’altre estremità B, F lego due palle di piombo uguali (se ben niente importa se fussero disuguali), rimuovendo poi ciascuno de’ detti fili dal suo perpendicolo, ma uno assai, come saria per l’arco CB, e l’altro pochissimo, come saria secondo l’arco IF; gli lascio poi nell’istesso momento di tempo andar liberamente, e l’uno comincia a descrivere archi grandi, simili al BCD, e l’altro ne descrive de’ piccoli, simili all’FIG; ma non però consuma più tempo il mobile B a passare tutto l’arco BCD, che si faccia l’altro mobile F a passare l’arco FIG. Di che mi rendo sicurissimo così:

Il mobile B passa per il grand’arco BCD, e ritorna per lo medesimo DCB, e poi ritorna verso D, e va per 500 e 1000 volte reiterando le sue reciprocazioni; l’altro parimente va da F in G, e di qui torna in F, e parimente farà molte reciprocazioni; e nel tempo ch’io numero, verbi grazia, le prime cento grandi reciprocazioni BCD, DCB etc., un altro osservatore numera cento altre reciprocazioni per FIG piccolissime, e non ne numera pure una sola di più: segno evidentissimo che ciascheduna particolare di esse grandissime BCD consuma tanto tempo, quanto ogni una delle minime particolari FIG. Or se tutta([194]) la BCD vien passata in tanto tempo in quanto la FIG, ancora le loro metà, che sono le cadute per gli archi disuguali della medesima quarta, saranno fatte in tempi uguali. Ma anco senza stare a numerar altro, V. S. Ill.ma vedrà che il mobile F non farà le sue piccolissime reciprocazioni più frequenti che il mobile B le sue grandissime, ma sempre anderanno insieme.

L’esperienza, ch’ella mi dice aver fatta nello scatolone, può essere assai incerta, sì per non esser forse la sua superficie ben pulita, sì forse per non esser perfettamente circolare, sì ancora per non si potere in un solo passaggio così bene osservare il momento stesso sul principio del moto: ma se V. S. Ill.ma pur vuol pigliare questa superficie incavata, lasci andar da gran distanza, come saria dal punto B, liberamente la palla B, la quale passerà in D, e farà nel principio le sue reciprocazioni grandi d’intervallo, e nel fine piccole, ma non però queste più frequenti di tempo di quelle.

Quanto poi al parere irragionevole che, pigliandosi una quarta lunga 100 miglia, due mobili uguali possino passarla, uno tutta, e l’altro([195]) un palmo solo, in tempi uguali, dico esser vero che ha dell’ammirando; ma se consideriamo che può esser un piano tanto poco declive, qual saria quello della superficie di un fiume che lentissimamente si muovesse, che in esso non haverà camminato un mobile naturalmente più d’un palmo nel tempo che un altro sopra un piano molto inclinato (ovvero congiunto con grandissimo impeto ricevuto, anco sopra una piccola inclinazione) haverà passato cento miglia: nè questa proposizione ha seco per avventura più inverisimilitudine di quello che si habbia che i triangoli tra le medesime parallele et in basi uguali siano sempre uguali, potendone fare uno brevissimo e l’altro lungo mille miglia. Ma restando nella medesima materia, io credo haver dimostrato questa conclusione, non meno dell’altra inopinabile.

Sia del cerchio BDA il diametro BA eretto all’orizzonte, e dal punto A sino alla circonferenza tirate linee utcumque AF([196]), AE, AD, AC: dimostro, mobili uguali cadere in tempi uguali e per la perpendicolare BA e per piani inclinati secondo le linee CA, DA, EA, FA; sicchè, partendosi nell’istesso momento dalli punti B, C, D, E, F, arriveranno in uno stesso momento al termine A, e sia la linea FA piccola quant’esser si voglia.

E forse anco più inopinabile parerà questo, pur da me dimostrato, che essendo la linea SA non maggiore della corda d’una quarta, e le linee SI, IA utcumque([197]), più presto fa il medesimo mobile il viaggio SIA, partendosi da S, che il viaggio solo IA, partendosi da I.

Sin qui ho dimostrato senza trasgredire i termini mecanici; ma non posso spuntare a dimostrare come gli archi SIA et IA siano passati in tempi uguali: che è quello che cerco([198]).

Al Sig.r Francesco mi farà grazia rendere il baciamano, dicendogli che con un poco d’ozio gli scriverò una esperienza, che già mi venne in fantasia, per misurare il momento della percossa([199]): perquanto al suo quesito, stimo benissimo detto quanto ne dice V. S. Ill.ma, e che quando cominciamo a concernere la materia, per la sua contingenza si cominciano ad alterare le proposizioni in astratto dal geometra considerate; delle quali così perturbate siccome non si può assegnare certa scienza, così dalla loro speculazione è assoluto il matematico.

Sono stato troppo lungo e tedioso con V. S. Ill.ma: mi perdoni in grazia, e mi ami come suo devotissimo servitore. E le bacio le mani con ogni reverenza.

Di Padova, li 29 Novembre 1602.

Di V. S. Ill.maServ.re Obblig.mo Galileo Galilei.

89*.

GIOVANFRANCESCO SAGREDO a GALILEO in Padova.

Venezia, 20 dicembre 1602.

Bibl. Est. in Modena. Raccolta Campori. Autografi, B.a LXXXVIII, n.° 35. – Autografa.

Molto Mag.co et Ecc.mo S.r Hon.mo

Sebene V. S. Ecc.ma per l’accidente della mia morte haveva sospeso il mandarmi il declinatorio, non voglio però tanto risentirmene, che anco doppo morte non vogli adoperarmi per lei, come ho sempre desiderato di poter fare. Onde, havendo havuto gagliarda batteria dal Cl.mo Giustiniano per la sodisfattione della sua lettera di cambio, per non lasciarlo mal sodisfatto et di lei et di me, mi sono dato a cercare li danari: et così con grandissima fatica ho trovato Z. 30, che sono d.ti 300, sopra il Cl.mo S.r Sebastiano Veniero et me; spero con tale avantaggio, che V. S. Ecc.ma haverà isparmiati incirca 11 d.ti di interesse, i quali sono scorsi in questi 20 giorni doppo li pagamenti, perchè dove al principio del mese si cambiava a d.ti 129 per Ddi 100, spero che dimani haveremo in ragion di d.ti 133 3/4. È vero che il Cl.mo Giustiniano pretendeva haver egli questo utile, dicendo che non è il dovere, che havendo indugiato a ricever il pagamento, altri havesse il benefitio del tempo. Quello che mi contarà li danari, non mi ha ancora parlato; ma di ragione doverà cambiare secondo il corso della piazza. Il sensale anch’esso m’ha detto, che dipendendo questo avantaggio dalla sua trattatione, ne dovrebbe haver buona parte. Io però credo non voler ceder ad alcuno. La lettera è di d.ti 287, s. 10, et non ho trovato alcuno che m’habbia voluto servire di minor suma; onde mi son contentato pigliar li 300 intieri, et così le invierò il rimanente. Tra tanto V. S. Ecc.ma potrà scriver ringratiando il Cl.mo Veniero, il quale in questo servitio ne ha havuta tanta parte quanta io stesso, e piezò meco in solidum. Et se in altro posso servirla, la mi comandi.

Le rendo molte grazie del declinatorio, il quale non ho per ancora posto in opera.

L’Ecc.mo Senato manda un suo secretario in Inghilterra([200]), per negotio di particolari mercanti. Con questa occasione mi sono rissoluto scrivere all’autore del magnete([201]), per avere la sua amicitia. Mi farà gratia V. S. Ecc.ma scrivermi alcuna cosa che ella si compiacesse che gli conferissimo, perchè per ora io non ho molte cose degne, non havendo ben letto il suo libro; ma non mi partirò da alcuni generali et dalle cose contenute nel primo libro, delle quali parmi havere qualche cognitione. Et avendo hora molta fretta per esser notte, faccio fine et me le raccomando.

In V.a, a XX Decembre 1602.

Di V. S. Ecc.maDesid.mo di servirla Gio. Fr. Sag.

Fuori: Al molto Mag.co et Ecc.mo S.r Hon.mo

Il S.r Galileo Galilei, mathem.co

Padova.

90*.

FRANCESCO MOROSINI a GALILEO in Padova.

Venezia, 10 gennaio 1603.

Bibl Naz. Fir. Mss. Gal., P. I, T. VI, car. 159. – Autografa.

Molto Mag.co et Ecc.mo S.r mio,

Conoscendo io l’amor che per sua gratia mi porta, era ben sicuro che per l’elettione mia al Saviato di Terra Ferma ella fosse per sentire consolatione grande; ma l’agionger il testimonio cortese delle sue littere mi ha altre tanto obligato, quanto io mi sento desideroso di servirla in ogni occasione maggiore. La prego ad amarmi al solito e a comandarmi, che mi rittroverà senpre pronto a i suoi servigi. E le bacio le mani.

Di V.a, li 10 Gen.o 1602([202]).

Di V. S. Ecc.ma Ecc.mo GalileiSer.r Oblig.mo Fran.o Morosini.

Fuori: All’Ecc.mo S.r mio Oss.mo

Il S.r Galileo Galilei.

Padova.

91*.

SEBASTIANO VENIER a GALILEO in Padova.

Venezia, 23 gennaio 1603.

Bibl. Naz. Fir. Mss. Gal., P. I, T. VI, car. 161. – Autografa la sottoscrizione.

Ill.re et Ecc.mo S.r Honor.do

Sono così singolari li meriti dell’Ecc.za Vostra, che doverebbe ogn’uno incontrar occasione di far per lei cosa che le fosse di sodisfattione et gusto: onde se io, col Cl.o S.r Sagredo, ho in alcuna parte servito al suo desiderio([203]), piacemi che la cosa sia riuscita conforme al suo volere; et se nelle future sue occorenze ella conoscerà che l’opera mia sia per esserle giovevole, la prego a valersene, poi che mi troverà non men pronto che affettuoso in ogni sua dimanda. La ringratio quanto debbo dell’uffitio che l’è piacciuto far meco, rallegrandosi di questa elettione mia in Savio di Terra Ferma, il qual grado mi sarà tanto caro, quanto che potrò per esso coadiuvare li pensieri degli amici miei; et se Vostra Ecc.za si compiacerà valersi di me, conoscerà da nuovi effetti quanto in me sia ardente l’affetto nell’adoperarmi nei suoi comodi. Et con questo fine a V. S. Ill.re et Ecc.ma prego da Dio, nostro Signore, ogni maggior consolatione.

In Venetia, alli 23 di Gennaro 1602([204]).

Di V. S. Ill.re et Ecc.ma S.r Galileo([205]) Galilei.Ser.re di core Sebastiano Veniero.

Fuori: All’Ill.re et Ecc.mo S.r Honor.do

Il S.r Galileo Galilei, Lettor delle Matematiche in

Padoa.

92*.

GALILEO ai RIFORMATORI DELLO STUDIO DI PADOVA in Venezia.

Padova, 12 febbraio 1603.

Arch. di Stato in Venezia. Filza intitolata sul dorso: N.° = (sic). Lettere dalli Ecc.mi Sig.ri Riform.ri dello Studio scritte ai diversi Ill.mi Rettori ed altri. 1601 al 1622. Riformatori dello Studio di Padova, n° 64. – Originale.

Ill.mi et Ecc.mi Sig.ri Reformatori,

La benignità di VV. SS. Ill.me, dimostratami nel concedermi gratiosamente l’anno passato([206]) una paga di un anno anticipatamente per sodisfare a parte di un mio debbito che mi dava molto impaccio, mi dà ardire al presente, che io sono molestato del resto, a venire, sicome faccio, a supplicarle da nuovo dar ordine che hora me ne sia data un’altra anticipata di un anno; che sicome per questa gratia io sarò sollevato da peso che oltremodo mi aggrava, così resterò per sempre obligatissimo a VV. SS. Ecc.me alle quali prego da N. S. ogni felicità.

In Pad.a, a 12 Feb.o 1602([207]).

Di VV. SS. Ill.meDevot.mo S.e Galileo Galilei, Lettore delle Mathematiche.

93*.

I RIFORMATORI DELLO STUDIO AI RETTORI DI PADOVA.

[Venezia], 20 febbraio 1603.

Arch. di Stato in Venezia. Filza intitolata sul dorso: N.° = (sic). Lettere dalli Ecc.mi Sig.ri Riform.ri dello Studio scritte ai diversi Ill.mi Rettori ed altri. 1601 al 1622. Riformatori dello Studio di Padova, n° 64. – Originale.

1602([208]), a’ 20 Feb.o

Alli Rettori di Padoa.

Instandoci con grande affetto D. Galileo Galilei, Lettor delle Mathematiche in quel Studio, di esser accommodato del salario suo di un anno anticipato, oltre quello che un anno fa gli fu da’ precessori nostri fatto accommodare per suo urgentissimo bisogno, habbiamo stimato bene essaudirlo, come facciamo scrivendo alle VV. SS.rie Illust.me che, data per lui fideiussione di vita a piaccimento loro, lo faccino accommodare di detto suo salario; con espressa obligatione di haverlo intieramente a scontare, prima che possi essergli sborsata alcuna cosa. Come è conveniente; e però così esseguiranno.

Marc’Antonio Memmo, Proc.r Reformator.

Francesco Molin, Reformator.

Antonio Priuli, K.r Reformator.

94*.

EDMONDO BRUCE a GIOVANNI KEPLER in Praga.

Padova, 21 agosto 1603.

Bibl. Palatina di Vienna. Mss. 10702, c. 219. – Autografa.

…Maginus ultra septimanam hic fuit, tuumque Prodromum([209]) a quodam nobile veneto pro dono nuperrime accepit. Galeleus tuum librum habet, tuaque inventa tanquam sua suis auditoribus proponit. Multa alia tibi scriberem, si mihi tempus daretur.

Raptim Patavii, 21 Augusti 1603.

Tuae EccellentiaeAmicissimus Edmundus Brutius Anglus.

Fuori: Ad Excell.m Virum

D. D. Iohannem Keplerum, Mathematicum C. M.

Pragae.

95*.

FRANCESCO TENGNAGEL a GIO. ANTONIO MAGINI in Bologna.

[Praga, 1603].

Arch. Malvezzi de’ Medici in Bologna. Carteggio di G. A. Magini. – Autografa.

…. Promissi fidem liberaturo, Clarissime et Excellentissime Domine Magine, visum fuit ea, quae a Dominatione Vestra et praestantissimo Patre Clavio circa lunaria soceri mei Domini Tychonis laudatissimae memoriae mota sunt dubia, paulo accuratius expendere, iisque omnem scrupulum (si quis, fatear, in eorum animis adhuc resederit), quantum prae otii penuria et innumeris tum politicis tum mathematicis curis in praesentia licuerit, quadantenus eximere. Nam quod ad aemulos Domini Tychonis et calumniatores attinet, equidem illos adhuc isthoc honore dignabor, ut obscuri isti homunciones, in pulpitis duntaxat Patavinis([210]) ac privatim pro libidine in quemvis apud rudem plebeculam debacchantes, ex Tychoni eiusque aeterni nominis splendore per me Reipublicae literariae innotescant. Veritas enim ab his noctuis in tenebris delitescentibus (protomathematicos istos intelligo, insignem illum (si Diis placet) Mathematum Professorem, alterumque ipsius asseclam fratrem ignorantiae Venetum([211])) ne premi quidem, nedum opprimi, potest, qui, cum prae imperitia nihil ipsimet in publicum ediderint, aliorum nunquam intermorituris et plus quam herculeis laboribus invident, ac mordacibus insultant verborum aculeis. Quamobrem, omissis his Zoilis et Aristippis, ad reliqua literarum Dominationis Vestrae contexta transgressus, paucis ad singula eorum capita respondebo….

96*.

GIOVANFRANCESCO SAGREDO a GALILEO in Padova.

Venezia, 12 aprile 1604.

Bibl. Naz. Fir. Mss. Gal., P. I, T. VI, car. 152. – Autografe le lin. 14-15 [Edizione Nazionale].

Ecc.mo Sig.r Honorat.mo

Dal Sig. Veniero e da me si sono fatti l’offitii efficacissimi per la ricondota di V. S. Ecc.ma e per l’augumento dessiderato da lei; ma in fatti la strettezza che dicono havere de’ danari, e la poca voglia che hanno di espedire questo negotio sotto il loro magistrato, si toglie la speranza di poter concludere nella maniera dessiderata da lei e procurata da noi. Pure non si farà notar cosa alcuna senza darci prima la risolutione in voce, della quale ne daremo a lei aviso per sapere s’habbia a prestare l’assenso([212]).

Mando a V. S. Ecc.ma la polizza di Coleggi di Padoa che mi prestò; et me le raccomando, invitandola doppo le feste in Cadore([213]), acciò almeno in questi giorni santi io mi acorga che habbia pur una volta d’atendermi quello che tanto mi ha promesso. Et a V. S. Ecc.ma mi raccomando.

In Venetia, a 12 Aprile 1604.

Di V. S. Ecc.maAff.mo come Fratello Gio. F.co Sag.

Fuori: All’Ecc.mo Sig.r Honorat.mo

Il Sig.r Galileo Galilei, Matematico di

Padova.

97*.

GALILEO GALILEI [a VINCENZO GONZAGA in Mantova.]

Padova, 22 maggio 1604.

Arch. storico Gonzaga in Mantova. Raccolta di autografi.

Ser.mo Sig.re

Se quella persona della quale l’A. V. S.ma m[i] domandò, quando presi da lei licenza, fusse sta[ta] così per il cognome da me, come per il nome propr[io], conosciuta, le ne haverei potuta dare quella informatione a bocca, che hora li do per lettere.

Questo dunque è il S. Aurelio Capra, Milanese, il quale sono molti anni che si ridusse in questa città con un suo figlio giovanetto([214]), per occasione di farlo studiare, come ha fatto; et per assisterli et far minore spesa fece resolutione di trasferir qua sè et il resto della famiglia. Si andava ne’ primi tempi trattenendo con dar letione di giocar di spada, sin che fece amicitia col Clar.mo S. Iacomo Alvigi Cornaro et col S. Grosso, da i quali havendo appreso alcuni segreti di medicina, si va di presente trattenendo col far qualche esperienza di essa facoltà, et da diversi vien tenuto in qualche stima; ma più da molti vien predicato come quello che havendo nelli ultimi tempi hauto per più anni strettissima amicitia del Grosso, habbia da esso hauti, se non tutti, al meno i maggiori et la maggior parte de suoi segreti: nè mancano di quelli che credono, esso possedere et di presente lavorare intorno al gran magistero (che così lo dicono). Intendo in oltre che adesso ha strettissima pratica con un Tedesco, il quale professa gran segreti, et in particolare afferma havere una pillola, et il modo del comporla, che non essendo maggiore di una veccia, presa per bocca mantiene uno sano et gagliardo per 40 giorni, senza che pigli altro cibo o bevanda. Circa simili esercizii et pratiche si occupa il detto S. Capra. Il figliuolo, che già è di 24 anni circa, oltre a i paterni studii attende anco alla medicina secondo la via di Galeno, per mescolarla con l’altra empirica et farne un composto perfetto; et oltre a ciò ha fatto, et tuttavia fa, studio nelle cose di astronomia et di astrologia giudiciaria, nella quale da mo[lti] è tenuto che habbia et prattica et giudizi[o es]quisito. Questa è quanta relatione posso di pr[esente] dare all’A. V. S.ma; la quale se comanderà [che] più particolarmente proccuri di penetrare, ob[bedi]rò ogni suo cenno.

Perchè alla mia partita di costà da una persona di corte mi fu detto che V. S. A. era restata non be[n] satisfatta del trattar mio circa ‘l mio negozio, et che meglio saria stato con qualche finta scusa licentiarmi da lei, che farle proporre altre conditioni che quelle che di prima offerta mi haveva l’A. V. S. fatte esibire, io, non stimando che per occasione alcuna deva mai la bugia essere alla verità preposta, narrerò con laconica brevità all’A. V. quanto mi è stato proposto, et quanto è stato da me semplicissimamente risposto.

Venni la prima volta al suo comandamento in Corte, dove improvvisantente mi fu esposta la volontà di V. A. S., che era di havermi al suo servizio; domandai un poco di dilatione di tempo, sin che tornassi qua et pensassi et parlassi con i miei, con promessa di risolvere l’animo mio a V. A. S. al ritorno per la comedia. Venni, pensai, parlai et tornai; et dissi al S. Giulio Cesare([215]) che rispondesse all’A. V. S., che havendo io esaminate le mie necessità et lo stato mio, non potevo per li ducati 300 et spesa per me et per un servitore offertami partirmi di qua, et che però mi scusasse apresso V. A. S. etc., soggiungendoli che caso che V. A. S. li havesse domandato quali fussero state le mie pretensioni, li dicesse ducati 500 et 3 spese. Questa è la somma schiettissima di quanto è stato proposto et risposto: nel che, sì come non ho hauto mai altro scopo che di reverire l’A. V. et con ogni possibil modo compiacerla, ubidirla et servirla, così, se si riguarderà l’integrità dell’animo mio, credo che niuno potrà riconoscervi altro che purissima sincerità; ma pure, quando per mia cecità io non ci scorgessi quei falli che altri di vista più purgata vi scuopre, perdoni l’A. V. S. et scusi la mia debolezza, se dall’insolito splendore abbagliata ha in qualche cosa inciampato, et sia certa che non meno in assenza che in presenza gli sarò sempre humilissimo et devotissimo servo. Et qui con ogn[i] maggior reverenza inchinandomeli, della [sua] gratia la supplico, et da Dio li prego il colm[o] di felicità.

Di Padova, li 22 di Maggio 1604.

Di V. A. S.maHumiliss.o et Oblig.mo Servo Galileo Galilei.

Fuori: Al Ser.mo S. Duca di Mantova,

Sig.re e Pad.ne Col.mo

98*.

COSTANZO DA CASCIO a GALILEO in Padova.

Napoli, 24 maggio 1604.

Bibl. Naz. Fir. Mss. Gal., P. VI, T. VII, car. 47. – Autografa.

Molto Mag.co Sig.r mio P.rone Oss.mo

Doppo che io ultimamente fui in Padova per visitare il Santo e V. S. ancora, subito ritornato in Ferrara, fui spedito per Napoli dalla felice memoria del Card. Matthei, nostro Protettore in quel tempo, per ordine di N. S., con occasione assai honorata; et fatto quanto havevo ordine di fare, supplicai di restarmene qua per alcun tempo, dove anco mi ritrovo al presente con molta mia sodisfatione, havendoci imparticolar ritrovatoci il Sig.r Giovan Camillo Gloriosi, Dottore di Filosofia et Theologia et sopra tutto eccellentissimo in qualsivoglia genere di mathematiche, col quale ho hauto tutto questo tempo strettissima conversatione. Hora detto Signore ha fatto ferma resolutione di voler partirsi di questo Regno, e desidera di ritirarsi in qualche parte dove potesse manifestare la virtù e valor suo: et io, perchè so quanto V. S. ama la virtù et imparticolare quella delle mathematiche, e quanto desidera giovare a quelli che in esse hanno fatto ragionevol frutto, ho preso sicurtà con lei di raccomandarnelo con tutto il core, caso che costà in quelle parti di Lombardia ci fusse qualche occasione o di lettura ordinaria o di qualch’Achademia e d’insegnare a particolari in Venetia o altrove; perchè l’assicuro io che è huomo per dar conto di sè, e far honore a V. S., se lo promoverà, et utile a quelli ch’insegnerà. L’havevo raccomandato alli giorni passati al Sig.r Christoforo Papponi per lo Studio di Pisa; ma habbiamo trovato il luogo occupato da uno che si domanda il Pomarance, favorito dalla Gran Duchessa. Se questo si partisse, serebbe facil cosa che, col favor di detto Sig.r Christoforo, ottenesse quella lettura: fra tanto se a lei li venisse occasione alcuna, di novo la supplico si degni di favorire questo così virtuoso giovane, che riceverà il merito da Idio e laude da gli huomini. Altro non li dirò in questo fatto, sapendo che con lei non occorre fare molte cerimonie.

Dipoi, quando fui costà in Padova, mi ricordo che li domandai come si poteva dimostrare che dui corpi d’una medesima specie et figura, equali o vero inequali, per il medesimo mezzo havessero la([216]) medesima velocità di moto; et lei mi assegnò dui ragioni, per le quali si conduceva l’aversario a dui inconvenienti. Hora, per essere già tanto tempo che fu questo, me le sono scordate, e perchè me ne fa bisogno a un certo mio proposito, la prego si degni di novo accennarmele; et se altra demonstratione mathematica havesse intorno a questa propositione, mi farebbe favor grandissimo mandandomela: e conumererò questo con infiniti altri beneficii da lei riceuti, et inparticolare che m’habbi insegnato quanto so di mathematica; che se bene per mio diffetto ne so poco, tutta via mi serve per ragionarne con quelli che ne sanno a sai, et a lodare il non mai lodato a bastanza maestro, che m’ha insegnato. Et per non fastidirla più, pregarò Nostro Signore che ogni suo honorato desiderio a lieto fine conduca.

Di Santa Chiara di Napoli, li 24 di Maggio 1604.

Di V. S.Obligatiss.mo Servo Fra Constanzo da Cascio, de’ Minori Osservanti Riformato.

Fuori: Al molto Mag.co et Ecc.mo Sig.r mio P.rone Oss.mo

il Sig.r Galileo Galilei, Mathematico ordinario dello Studio di Padova.

Padova.([217])

99.

VINCENZO GONZAGA a GALILEO in Padova.

Mantova, 26 maggio 1604.

Bibl. Naz. Fir. Mss. Gal., P. I, T. XIV, car. 11. – Autografa la firma.

Molto Mag.co Sig.r

Ho veduta la lettera di V. S.([218]); et la relatione che mi fa della persona, che le nominai qui, è così compita, che non m’occorre per hora des[i]derar di più, ringratiandola della fatica che se n’ha preso. Quanto poi alla scu[sa] che passa meco, questa non era punto necessaria, tanto più concordando mol[to] bene ciò ch’ella stessa scrive con quello che da altri mi fu riferto nel medesimo fatto: et se a V. S. non è tornato bene di fermarsi qui, non però mi resta occasione alcuna di mala sodisfattione, essendo giusto ch’ella goda di quella libertà che ha di procurar il suo commodo, al qual troverà me sempre ancora prontissimo. Che resto intanto raccommandandomele caramente, et pregandole felicità.

Di Mantova, li 26 di Maggio 1604. S.r Gallileo Gallilei.Per far piacer a V. S. Il Duca di Mant.

Fuori: Al molto Mag.co Sig.r

Il Sig.r Gallileo Gallilei.

Padova.

100.

GIOVANNI CAMILLO GLORIOSI a GALILEO [in Padova.]

Napoli, 27 maggio 1604

Bibl. Naz. Fir. Mss. Gal., P. I, T. VI, car. 154. – Autografa.

Il Padre Fra Costanzo da Cascio me ha talmente invaghito delle virtù di V. S., che io sono costretto venire a vederla et ad offerirmegli per servitore con la presenza, sì come hora faccio con le carte. Io, Sig.r Galilei, ho sempre desiderato uscir di Regno, et occuparmi nell’essercitio delle mathematiche, ov’io ci trovo una felicissima sodisfattione, e con quelle ho fatto pensiero trattener la mia vita: in queste nostre parti si tengono a baie, ond’io sempre sto in continui rammarichi. Ho preso grandissimo contento in haver conosciuto il Padre Fra Costanzo, col quale discorrendo qualche volta, vengo ad alleviare in parte la noia de’ miei disgusti; il quale m’ha dato ferma speranza ch’io, col mezo di V. S., possi dar sodisfattione a questo mio pensiero.

La priego dunque a ricevermi tra’ suoi affettionati e far grata accoglienza alla mia servitù, che, innamorata del valor suo, le viene innanzi con ogni debita reverenza, supplicandola se in coteste parti di Venetia o altri luoghi le venisse qualche occasione di lettura publica o privata, ov’io honoratamente mi potesse trattenere; chè non la farei restar defraudata del’honor suo. Ho preso questo ardire di pregarla sopra di ciò, sapendo di certo che ama e favorisce tutti coloro che se gli danno per devoti, e particolarmente quelli che col mezo delle virtuose attioni cercano honorarla et essaltarla. E le bacio le mani.

Da Napoli, a 27 di Maggio 1604.

Di V. S. Ecc.ma S.r Galilei.Ser.re Aff.mo Gio. Camillo Gloriosi.

101*.

ANTONIO DE’ MEDICI a GALILEO in Padova.

Firenze, 28 giugno 1604.

Bibl. Naz. Fir. Mss. Gal., P. I, T. XIV, car. 13. – Autografa.

Molto Mag.co et Ecc.te Sig.r

Intendendo che V. S. ha una palla che gettandola nell’acqua sta fra le due acque, vengo con la presente a pregarla vivamente di voler favorirme, et consegnarla al Padre D. Antonio Cerrato, che le porgerà la presente; certa, che me ne farà favor segnalato, et che da me sarà contracambiata([219]) questa sua cortesia. Et me le raccomando.

Di Fiorenza, li 28 Giugno 1604.

Di V. S. S.r Galileo Galilei.Per farle serv.o Don Ant.o Medici.

Fuori: Al molto Mag.co et Ecc.te

S.r Galileo Galilei.

Padova.

102*.

MARCO LENTOWICZ a GALILEO in Padova.

Cracovia, 13 agosto 1604.

Bibl. Naz. Fir. Mss. Gal., P. I, T. VI, car. 155. – Autografa.

Nobilissime et Excellentissime Doctor, Professor et amice incomparabilis,

Et institutionis ratio, et aliquot mensium domestica conversatio, et multis in rebus cognitus atque perspectus amor ac benevolentia D. T. erga me, mei, mecumque, faciunt et merito efficiunt, ut omni paene loco et momento in ipsius dulcissima verser recordatione, laude, stupore. Quotiescunque etenim cum quopiam nostratium ago, quod non ita infrequenter hisce 3 post reditum meum e patria contigit mensibus, absente nae nunquam contingit mayematico. Faxint caelites ut hic noster septentrio eius viri vultum videat, cuius famam et virtutem iamdudum stupet et admiratur. Ego certe, si quidpiam unquam potero, in hoc, ut possim, vel unice contendam et elaborabo.

Nostri Angeli, per inferiores sphaeras hinc inde dispersi, in aula summi Iovis non comparent: quamprimum tamen comparuerint, ut et Excellentissimae D. T. appareant, nîl non faciemus, dummodo tamen et nos in aliquem istorum orbium ab E. D. T. referamur, cuius in gratia, moveantur licet reliqua omnia, ut a discreta D. T. conservemur benevolentia, etiam atque etiam oramus. Vale, honor Maθέσεων, vir praestantissime, tuumque Marcum, quamvis iam alienum, tuum esse arbitreris velim.

Cracoviae, Idibus Augusti anno Salutis 1604.

E. D. T.Servitor Marcus Lentovics, Regiae Maiestatis Secretarius.

Fuori: Nobilissimo Excellentissimoque Viro

D. Galileo Galilei, in celeberrima Universitate

Patavina Mathesevû Professori dignissimo [… ]issimo.

103*.

DAVIDE RICQUES a GALILEO in Padova.

Costantinopoli, 6 settembre 1604.

Bibl. Naz. Fir. Mss. Gal., P. I, T. VI, car. 157. – Autografa.

Mag.co mio Sig.r Hon.do

Ben che tardi, io non ho volsuto di tutto manchare, et per la promessa et per l’obligo mio, di scriverli, acciò che la fusse certa che ricognosco li suoi boni meriti verso di me et che sarò sempre prompto a riservirla et honorarla. Mi son arricordato spesse volte della sua gratissima conversatione, et principalmente della consultatione, che ho fatto con essa, de quel mio viagio: però mi trovo quasi sforzato de dirli dei suoi evenementi.

Trovandomi fra le do elementi, del peso distinti, ligato, et però volitando, et più travaigliato della memoria del bene che haveva havuto inanzi che del male presente, facieva diversissimi voti, piangendo hora la perdita del tempo et de tante bone vertù, hora delle bone vivande, hora de quel mio bon letto: ma tutto quel che facieva, non ci era rimedio; pure nissun bon genio me venne levare. Così restò, havendo però questa gratia de Dio, che siamo ionti a buon salvamento; a Chi gliene sia laude.

Venendo qua, miraviglia è come ho perduto quasi in un momento tutta la memoria delli havuti fastidii, i quali mi parevano inanzi tanti, che tutto il bene del mondo non sarebbe stato bastante per farmili dismenticare. Ma a qui non piacerebbe un cossì bel paëse, nella formation del quale la natura ha collocata il suo più raro artificio per farlo perfetto de toutto che se può desiderare et per monstra di quello che la ha operata maij? Non li dirò per quel pulcherrimo sito, non per li miraculosi effetti de questi do mari, i quali qui se coniungano, non per il nobilissimo porto che fanno; la sua professione luij suppedita di quelle cose (come da seno sono summe) melior contemplatione et più perfetta che io non potrò fare per il mio mal dire: luij dirò per quelle cose istesse le quale parevano a la Vostra S. contrarie a oigni delettatione. Se pigliamo li custumi, che è più delettevole che de vedere queste variationi Turcheschi et Asiatichi? quelle ceremonie, quelle feste, queste pompe, quelli canti, quelli balli? i quale, secondo il paëse, paiano certe perfecti. Il vestire ipso è et lascivo et piacevole, li ornamenti vagi et pretiosi, et ha una certa maiestà nelle persone alte, donde se possano contemplare et li antiqui custumi dei Greci, et anche quelli delle antique monarchie. Se artificiose opere et necessarie risguardiamo, che pò esser visto più piacevole che queste di qua? che hanno […] una certa vagezza per excitar et allegrar li spiriti visitivi. È cosa chiara che niente contenta più l’occhio che un bel fiore: qua tutte le robbe, in summa tutte, se ne pinguano, et con sì vagi, freschi et belli colori, che paiano vivi fiori di sopra. Non voiglio dire dei labori, chi vengano principalmente di Persia, del Cairo et altri logui, donde non si può veder niente più bello; et questo in tutto, fin a li utensili. Se la mi proporrà li spassi et piaceri, lui dirò che non guene sono in nissun loco, se li non sono qua. Qua se veddano quelli belli giardini, quelli frutti orientali, quelli fiori Asiatichi, quelle fontane; qua è questa antiqua sedia imperiale, qua un presente monarcha, qua quelle belle colomne, quelle antiquità, quelle richezze de tanti imperij subiugati. Se la mi dirà delle donne, queste ancora di qua passano tutte, in tutte le proprietè che hanno da haver donne belle; perchè loro sono le più nette et le più bianche et le più gratiose che esser possano, et per loro transparente braguessine et belle camise monstrando delle volte et le guambinette et delle volte il loco dove è il domicilio del dolce che amore ha. Così la vedderà che la sua disuasiasione habbia havuto in parte l’effetto, in parte non. Et per questo la mi scuserà se hora li dico che per guoderguene alquanto de tante belle et rare cose et per riportarguene, oltra questo, il frutto di questa lingua (della bellezza et perfettione della quale si potessi dire asaiij), mi sia mosso a restarne qua fin a la prima vera. Verso quel tempo spero di rivederla et servirla, mentre la prego che la mi mantenga nella sua bona gratia, et mi honori di ricordarsene alcune volte del servitor suo, chi ne li faria vedere li effetti, se possibel cosa fusse esser commendata da lei.

La mi scuserà verso la sua chara madre del suo forziero, chi per grando mio fallo è restato a Venetia: nientedemeno non li sarà perso, ni guasto in nissun modo. La luij bascia la sua honorata mano de parte mia, comme a tutta la nation nostra et principalmente a quelli chi haveranno charo il mio ricordo. De le lettere inciuse la prego che la mi facia il favore che de far loro havere buono ricapito. Rispetto di quella che è al Illustrissimo Buczackij, mi arricordo che luij sta al traietto di S. Moijsè a Venetia; ma del nome della casa non mi posso ricordare. Il S. Stanislao([220]) overo alteri della nation Polaca lo saperanno. Con questo me li recommando, espettando nuova da lei, se esser può, et de tutto quello que passa nella vostra buona terra, per via del Sig.or Christoforo Helbig, mercante del fondego in Venetia. Et pregando Iddio che ci faccia la gratia de revederci in sanità et allegrezza.

Di Constantinopoli, ali 6 del Septembre A.o 1604, in fretta.

Alli Mag.ci Sig.ri il Sig.or Garbetti et il Sig.or Hanniballe([221]), mie magistri honorandi, mi facia favore di ricommandarmi.

Di V. S. molto M.caAffettionatiss.o Servitore David Ricques.

Fuori: Al molto Mag.co et mio Oss.mo Sig.re

Il Sig.re Galilaeo Galilaei, Mathematico digniss.mo, in

Padoa.

104.

PAOLO SARPI a GALILEO in Padova.

Venezia, 9 ottobre 1604.

Bibl. Naz. Fir. Mss. Gal., P. VI, T. VII, car. 103. – Autografa.

Ecc.mo Sig.re P.rone mio Oss.mo

Con occasione d’inviarli l’allegata, m’è venuto pensiero di proporli un argomento da risolvere, et un problema che mi tiene ambiguo.

Già habbiamo concluso, che nessun grave può essere tirrato all’istesso termine in su se non con una forza, et per consequente con una velocità. Siamo passati (così V. S. ultimamente affermò et inventò ella) che per li stessi termini tornerà in giù, per quali andò in su. Fu non so che obietione della palla dell’archibuggio: il fuoco qui intorbida la forza dell’istanza. Ma diciamo: un buon bracio, che tira una frecia con un arco turchesco, passa via totalmente una tavola; et se la freccia discenderà da quella altezza dove il braccio con l’arco la può trarre, farrà pochissima passata. Credo che l’instanza sii forse leggiera, ma non so che ci dire.

Il problema: se saranno doi mobili di disugual specie, et una virtù minore di quello che sii capace, riceverà qual si voglia di loro; se comunicandosi la virtù a ambi dua, ne riceveranno ugualmente: come se l’oro fosse atto di ricevere dalla somma virtù 20 et non più, et l’argento 19 et non più,se sarrano mossi da virtù 12, se ambi dua riceveranno 12. Par di sì; perchè la virtù si comunica tutta, il mobile è capace, adonque l’effetto l’istesso. Par di no; perchè, adonque doi mobili di specie diversa, da ugual forza spenti, anderanno all’istesso termine con l’istessa velocità. Se un dicesse: La forza 12 muoverà l’argento et l’oro all’istesso termine non con la stessa velocità; perchè no? se ambi dua sono capaci anco di maggiore che quella qual 12 li può comunicare?

Non obligo V. S. a risposta: solo per non mandar questa carta bianca, la quale haveva già appetito peripatetico d’essere impita di questi carateri, l’ho voluta contentare, come l’agente fa alla materia prima. Adonque qui farò fine: et li bascio la mano.

Di Vinetia, il 9 Ottobre 1604.

Di V. S. Ecc.maAff.mo Ser.re F. Paulo di Vinetia.

Fuori: All’Ecc.mo Sig.re mio P.rone Osservan.o

Il S.re Galileo Galilei, Matematico.

Padova,

alli Vignali del Santo.

105.

GALILEO a PAOLO SARPI in Venezia.

Padova, 16 ottobre 1604.

Bibl.Universitaria di Pisa, nella Sala di Lettura. – Autografa.

Molto Rev.do Sig.re et Pad.ne Col.mo

Ripensando circa le cose del moto, nelle quali, per dimostrare li accidenti da me osservati, mi mancava principio totalmente indubitabile da poter porlo per assioma, mi son ridotto ad una proposizione la quale ha molto del naturale et dell’evidente; et questa supposta, dimostro poi il resto, cioè gli spazzii passati dal moto naturale esser in proporzione doppia dei tempi, et per conseguenza gli spazii passati in tempi eguali esser come i numeri impari ab unitate, et le altre cose. Et il principio è questo: che il mobile naturale vadia crescendo di velocità con quella proportione che si discosta dal principio del suo moto; come, v. g., cadendo il grave dal termine per la linea abcd, suppongo che il grado di velocità che ha in c al grado di velocità che hebbe in esser come la distanza ca alla distanza ba, et così conseguentemente in d haver grado di velocità maggiore che in c secondo che la distanza da èmaggiore della ca([222]).

Haverò caro che V. S. molto R.da lo consideri un poco, et me ne dica il suo parere. Et se accettiamo questo principio, non pur dimostriamo, come ho detto, le altre conclusioni, ma credo che haviamo anco assai in mano per mostrare che il cadente naturale et il proietto violento passino per le medesime proporzioni di velocità. Imperò che se il proietto vien gettato dal termine d al termine a, è manifesto che nel punto d ha grado di impeto potente a spingerlo sino al termine a, et non più; et quando il medesimo proietto è in c, è chiaro che è congiunto con grado di impeto potente a spingerlo sino al medesimo termine a; et parimente il grado d’impeto in basta per spingerlo in a: onde è manifesto, l’impeto nei punti dcandar decrescendo secondo le proporzioni delle linee dacaba; onde, se secondo le medesime va nella caduta naturale aqquistando gradi di velocità, è vero quanto ho detto et creduto sin qui.

Quanto all’esperienza della freccia([223]), credo che nel cadere aqquisterà pari forza a quella con che fu spinta, come con altri esempi parleremo a bocca, bisognandomi esser costà avanti Ognisanti. Intanto la prego a pensare un poco sopra il predetto principio.

Quanto all’altro problema proposto da lei, credo che i medesimi mobili riceveranno ambedue la medesima virtù, la quale però non opererà in ambedue il medesimo effetto: come, v. g., il medesimo huomo, vogando, communica la sua virtù ad una gondola et ad una peotta, sendo l’una et l’altra capace anco di maggiore; ma non segue nell’una et nell’altra il medesimo effetto circa la velocità o distanza d’intervallo per lo quale si muovino.

Scrivo al scuro: questo poco basti più per satisfare al debito della risposta che al debito della soluzione, rimettendomi a parlarne a bocca in breve. Et con ogni reverenza li bacio le mani.

Di Padova, li 16 di Ottobre 1604.

Di V. S. molto R.daSer.re Oblig.mo Galileo Galilei.

Fuori: Al molto R.do Sig.re et Pad.ne Col.mo

Il Padre M.ro Paolo da Venezia.

Venezia,

ne’ Servi.

106*.

ILARIO ALTOBELLI a GALILEO in Padova.

Verona, 3 novembre 1604.

Bibl. Naz. Fir. Mss. Gal., P. VI, T. VII, car. 49. – Autografa.

Molto Ill.re et Ecc.mo S.r P.ron Col.mo

Havendo veduto la lettera che V. S. scrive al S.r Fontanella, nella quale m’honora oltre ogni mio merito, mi par debito di ringratiarla di tutto cuore, come faccio, et offerirmele prontissimo servitore, come già molti anni son stato divoto del suo nome e bramoso della sua servitù: tanto possono appresso di me gl’ingegni sublimi. E tanto basti per hora in materia politica. Ma mi dispiace che il S.r Fontanella mandasse a V. S. quel foglio, che non credo fusse corretto, havendol’io detto che dovesse venir a pigliarne un altro per V. S. Ecc.ma, poi che quello era consignato all’istesso Fontanella. Però le rimando l’alligato([224]). È calcolo d’infinita patientia: credo che sia venuto bene, e che poco o nulla s’errerà, poi che in quella del 1601 si comisse error solo di doi o tre minuti in circa. Il calcolo di Cipriano Leovitio mi son maravigliato che produca l’istesso momento ad unguem, ciò hor. 2. 16′ in dimidia duratione. È ben vero che il luogo del sole Alfonsino, ch’egli ha usato, non è differente da questo del Ticone più che doi minuti al più, anzi manco: tanto che è molto più vero il luogo del Sole con l’Alfonsine che con le Pruteniche, se bene in gli altri quelle si deve sprezzare e queste ricevere, fintanto che siano finite le Rudolfee, ciò è Ticoniche, delle quali tratteremo altre volte.

In tanto mi piace che V. S. si sia accorta di questo nuovo mostro del cielo, da far impazzir i Peripatetici, ch’hanno creduto sin hora tante bugie in quella stella nova e miracolosa del 1572, priva di moto e di parallasse. Come semifilosofi, potriano protervire che pur era fuor del zodiaco et in parte boreale; ma in questa, quo se vertant, nescient: poi che, se non intendono le parallasse, non potranno negare che non sia in parte australe nel Zodiaco, vicino alla eclittica, in segno igneo, appresso Giove calido, et hora poco lontana si può dir dal sole([225]), e più bella che mai, nata nella di  et  calidissimo, alli 9 d’Ottobre e non prima, perchè io osservando la di  et  se rispondeva al calcolo Prutenico alli 8 d’Ottobre, intento tutto e per lungo spatio in quella parte del cielo, con un compagno, non si vedeva altra stella nè vicina nè lontana che gli tre superiori, per esser l’aria molto chiara. Ma perchè io ne scrivo per hora una breve indicatione, che fra 8 giorni forsi sarà finita, per servire tanti che mi fanno instanza, non ne dirò altro per hora a V. S.; ma la prego sì bene instantissimamente a farmi gratia di osservar se facci diversità d’aspetto et quanta, come anco la lunghezza et larghezza precisamente, perchè io non ho altro instrumento che un astrolabio d’un piede di diametro e manco, sì che non posso scapricciarmi bene. Et del tutto mi farà gratia, come ne la prego grandemente, avisarmi. Con che fine torno a dedicarmele servitore et l’abbraccio strettissimamente.

Di Verona, li 3 Novembre 1604.

Di V. S. molto Ill.re et Ecc.maDeditiss.o Serv.re F. Ilario Altobelli.

Fuori: Al molto Ill.re et Ecc.mo S.r P.ron Oss.mo

Il S.r Galileo Galilei, Matem.co di

Padova.

107*.

ILARIO ALTOBELLI a GALILEO in Padova.

Verona, 25 novembre 1604.

Bibl. Naz. Fir. Mss. Gal., P. VI, T. VII, car. 51. – Autografa.

Molto Ill.re et Ecc.mo S.r P.ron Col.mo

Tengo molto cara la risposta di V. S. gentilissima, godendo insieme l’amore che scuopre verso di me, e che così presto l’habbi accecata per mio gusto, e che l’occasione di questa maravigliosissima maraviglia del cielo, donata per ultima luce all’ultimo della penultima età del mondo, facci conoscere gl’ingegni e la verità della natura celeste, nei secoli precedenti sin alla prima origine d’ogni cosa non mai più così chiaramente testificata. Questo è impossibile che sia globo sospeso nell’aria elementare per cagion di freddo et humido, pasto del foco celeste, mentre vediamo che non ha nessun moto proprio, nè retto nè obliquo nè confuso, che saria impossibile ad intenderlo, stante la liquidezza e continua concitatione varia dell’aria. Non è dissimile dall’altre dell’ottava sfera, non ha mut[ato] mai colore, scintilla più d’ogni altra fissa a quali solo e per natura propria, et il suo sito rende possibile ogni impossibilità conietturata di Aristotile, distrugendo ogni sua imaginatione, poi che è in parte australe nel zodiaco, vicino all’eclittica, in segno igneo e fra pianeti calidissimi nata, nè teme la faccia del sole che già l’asconde, sì che è cosa manifesta ch’ella habbi ottenuto il suo trono infra le fiamme ardenti. Ma se questi Peripatetici, o, per dir meglio, semifilosofi, non intendono la dimostratione insuperabile della diversità dell’aspetto, per toccar con mano ch’ella risiede insin lasù nel ciel stellato, e che perciò eccede intorno a trecento volte di grandezza la terra e ‘l mare, come si potrà convincere la pertinacia loro? È cosa improba o simile, dice Galeno nel 3° De diebus decretoriis, il non voler far esperienza et non voler credere a chi la fa, et che è cosa soffistica il voler negar la manifesta esperienza. In fine, l’educatione è troppo potente in tutte le cose, poi che vediamo che l’esser nodrito in una imaginata opinione cagiona tal ostinatione, che la verità lucente non può rimoverla. Io credo certo, che se l’istesso Autor vivesse, si renderebe a tanta forza. Ma, in ogni modo, l’istessa stella, emula di Giove, et opposta al tempio di Mercurio, doppio non men di figura che di natura, distrugerà il falso e parturirà il vero, e finalmente si caminerà per la luce et non per le tenebre.

Io credo esser stato un de’ primi, e forsi solo primo, a conoscere et veder la sua prima apparitione in Europa, che fu li 9 d’Ottobre, quasi nel tramortar del sole, nella di  et ; et certo che all’occhio pareva che havesse l’istessa lunghezza che havevano questi doi, poi che si vedeva in sito consimile:

Ma scrivendo V. S. le sue osservationi, le credo, sì perchè l’occhio poteva errare qualche poco, sì anco per qualche varietà che vi poteva intervenire per le rifrattioni, e tanto più che il P. D. Mordano teologo mi scrive con maggior precisione l’osservationi fatte da un discepolo del Ticone con instromento ritrovato dal Ticone istesso, che sono gr. 17. 51′  con latitudine di gr. 1. 41′, che son quasi conformi, pur senza parallasse e senza moto. D’Augusta di Germania mi si scrive gr. 21 ; di Roma gr. 14, osservata forsi con gli quadranti o instrumenti da falegnami. Aspetto di giorno in giorno l’osservationi del S.r Magino, de’ quali ne farò parte a V. S.

Ho abbozzato sopra di essa 8 capitoli, ma non ho tempo per hora di ponerli a sesto, per esser occupato troppo nel mio proprio studio per servire al carico mio, onde, essend’io forastiero all’astronomia e quasi di furto pigliando tal hor qualche cosa, non ho potuto sin hora farci riflession propria più che tanto; havendo tolto quello che ho scritto là e quà in buona parte, essendoci del mio tutto un capitolo della contestatione della sua prima apparitione, poi che in quei giorni ero vigilante in censurar il calcolo Prutenico con l’occasione della di  et , et la sera delli 8 d’Ottobre particolarmente, sul traboccar del sole, trovai gli tre superiori soli, in questa forma di trigono equicrurio giusto:

nè si vedeva altra stella per tutto il cielo, con particolare maraviglia d’un Padre qui secondo lettore, instrutto così da me alla cognitione oculare degli stessi pianeti più volte: e la sera delli 9 Ottobre, tornando al medesimo luogo, vedessimo gli istessi con la positura visuale antescritta, sì che non v’è dubio alcuno. E vi sono del mio alcuni capitoli de significati in qualità et quantità iuxta loca et tempora. Nel resto mi vaglio molto del Ticone, che tanto e così egregiamente ha scritto sopra quella del 1572 nella prima parte de’ Proginasmi([226]), della dignità a carte 320 avanti e dopo, dell’altezza a carte 398 e seguenti, della materia a car. 794 nella conclusione, dove anco dilucida la vera dottrina della Via Lattea contro Aristotile: e per tutto ci sono ragioni comuni a periti et imperiti. Ma se questi Peripatetici volessero supplire al mancamento della lor filosofia, si doveria far due cose per sapere il vero: la prima, che loro prestassero gli orecchi e la mente con patienza; la seconda, che V. S. Ecc.ma gli mostrasse e con dottrina e con essempi la necessità delle parallassi, insin con l’esperienza fatta in terra, acciò, a guisa de’ filosofi o soffisti antichi che negavano ogni scienza, ma che, convinti dalle matematiche, dissero pur trovarsi il sapere, così loro fussero costretti a confessar il vero. Ma se sin hora non intendono che purus in una scientia est asinus, come sarà mai possibile piegarli a questo? Hor facia Dio, che ad altri si fa chiaro, ad altri oscuro. Io ho detto abastanza. Mi duole non esser in Padova in questi tempi, sì per goder le sue lettioni, sì per sentire l’infinite confabulationi e farmi scoglio di contraditioni ancor io, ma da scherzo e per burlare. E con questo le bacio la mano, e da N. S. Dio le prego ver’allegrezza.

Di Verona, li 25 Novembre 1604.

Di V. S. molto Ill.re et Ecc.maDeditiss.o Ser.re F. Ilario Altobelli.

Fuori: Al molto Ill.re et Ecc.mo S.r P.ron Col.mo

Il S.r Galileo Galilei, Matematico di

Padova.

108.

ANTONIO ALBERTI a GIOVANNI MALIPIERO [in Venezia].

Abano, 17 dicembre 1604.

Cfr. Vol. II, pag. 528 [Edizione Nazionale].

109*.

CRISTOFORO CLAVIO a GALILEO in Padova.

Roma, 18 dicembre 1604.

Bibl. Naz. Fir. Mss. Gal., P. VI, T. VII. car. 54. – Autografa.

Molto Mag.co S.or mio Oss.mo

Mi vergogno quasi della mia negligentia, in fare a saper V. S. come molti anni sono, almeno 11, che finito di stampare il mio Astrolabio, l’anno 1593([227]), mandai subito uno a lei, et indrizzai al S.orBalì di Siena; et andando io l’anno 1600 a i bagni di S. Casciano et a Siena, trovai che ‘l libro non era mandato a V. S., perchè s’era partito da Pisa senza sapere io niente di questo; et un gentilhuomo Sanese s’ l’haveva usurpato per sè, et pregandomi gli lo donai. Hora, perchè mi pare molto probabile che già V. S. l’haverà visto; et se non, m’avisi, che gli manderò uno, che a punto mi restò. Interim gli mando la Geometria Prattica, stampato adesso([228]), benchè non è degna di lei; ma lo fo per continuare l’amicitia tra noi.

Sono parecchi mesi, mandai a Padova per informarmi quanto valeva quel suo compasso,e mi fu risposto che V. S. mi volevo mandare uno, il qual dono mi sarebbe gratissimo, se però V. S. mi lo potrà mandare senza suo scommodo; perchè, ancorchè in questo Geometria Prattica pongo una cosa simile mostratomi d’un certo Tedescho, stimo pur molto più il suo, per la varietà delli usi. Però in questo mi rimetto alla liberalità di V. S. Intendo che il S.or Albertino Barisoni ha procurato di fare far uno, et che V. S. dubitava che era per me: sappi che non è per me, nè manco ho saputo niente.

Qui è stato un gran bisbiglio della stella nova, la quale habbiamo trovata nel 17 grado di , con latitudine borea di gradi 1 1/2 in circa. Se V. S. ha fatto qualche osservatione, mi farà piacere d’avisarmi. Il Magino mi scrive d’haverla anco lui osservata nel medesimo grado; et così anco scrivono di Germania e Calabria.

Vegga V. S. se posso niente per lei; et se non havesse havuta il libro della nova descrittione d’horivoli per via delle tangenti([229]), insieme con un compendio brevissimo([230]), me lo significhi, che non mancarò di mandargli lo. Et con questo fo fine, pregandogli da Dio ogni bene. Et li baccio le mani.

Da Roma, alli 18 di Xbre del 1604.

Di V. S.Servo nel S.re Affett.mo Christoforo Clavio.

Il libro verrà con la prima commodità, che speriamo debba essere per il Clar.mo Sig.r Giorgio Cornaro; et li sarà consegnato dal Sig.r Marcello Barisone.

Fuori: Al molto Mag.co S.or

Il Signor Galileo Galilei, Mathem.co Excellentissimo, mio Oss.mo

Padova.

110*.

LEONARDO TEDESCHI a [GALILEO in Padova].

Verona, 22 dicembre 1604.

Bibl. Naz.Fir. Mss. Gal., P. VI, T. VII, car. 56-65. – Autografa, cominciando dalle parole «perchè il sole non può luminar»; originale, di mano d’amanuense, nella parte precedente.

Molt’Ill.re et Ecc.mo mio Sig.re Col.mo

Non posso far ch’io non le mantenga la promessa; ma credami che non vorrei esser trascorso tant’oltre, promettendole de dir il mio parer intorno a cosa tanto dificile, per non dire impossibile a sapersi da qual si voglia ingegno, benchè sottilissimo, che humano sia; sì che se mai ho provato esser vera quella propositione d’Aristotile: Sicut se habet oculus noctuae ad lumen solis, ita se habet intellectus noster ad ea quae sunt manifestissima in natura, in questo chiarissima la mi si scopre. Tuttavia, perchè dal’altro canto l’istesso filosofo in altro loco m’inanima, dicendo che è meglio et più dilettevol cosa haver cognitione, benchè lieve, superficiale et non certa, delle cose superiori et più nobili, che haver una piena et sicura scientia di queste inferiori, voglio pur sodisfar all’obligo nel quale spontaneamente mi son posto, et scriverle quello ch’io ne senta, persuadendomi che lei non debba già, attribuendo questo a tropp’ardir et temerità, burlarsi di me come che, quasi nuovo Icaro, Fetonte o Prometeo, tenti salir al Cielo, donde poi non ne riporti altro che, o come doi, morti nell’acque o nel foco, o, come l’altro, perpetua pena nell’esser lacerato da un rostro d’avoltoio; perchè, se bene il parer, ch’io son per apportare, queste pene meritasse, confido che o lo tenerà così fattamente secreto che non gli potrà occorrer alcuno di questi incontri, o che si degnarà o con ragioni o con la sua autorità talmente proteggerlo, che sarà sicuro da ogni sinistro accidente in cui per sè stesso potesse incorrere. Scriverò dunque; et scrivendo imitarò il nostro Peripatetico, il quale delle cose dificili ha sempre più tosto voluto scriver il quid non sit, che il quid sit, fossero mo’ tali o perchè infra sensum, com’è la materia prima, o perchè supra sensum, come sono tutte le inteligentie astratte e da ogni materia sensibi[le] realmente separate.

Et per cominciar hor mai, io dico che, essendo la questione che cosa sia questa luce nuovamente alli X 8bre del presente anno apparsa nel Saggittario, vicino a Giove che si era per congionger insieme con Marte, bisogna che sia luce fondata o in un corpo, et così sia reale et radicata in un soggetto solo, o in due corpi, et così sia più tosto luce intentionale et spirituale, cioè dependente dal suo producente et efficiente. Se è d’un corpo solo, o che è elementare et corruttibile, o celeste et immortale; se è di doi, o che ambidui sono elementari, o ambidoi celesti, o l’uno elementare([231]) e l’altro celeste. Ritorno al primo, et mostro che non poss’esser elementare: perchè se tale fosse, essendo in regione alta, sarebbe corpo meteorologico, et per consequenza, havendo gran duratione et moto verso l’occaso, saria del genere delle comete: ma come[ta] non è, come son per provare; adonque non può esser questa luce, luce di corpo elementare. Le ragioni mo’ sono altre naturali, altre più tosto matematiche. Et per cominciar dalle naturali, la prima sarà tolta dalla chiarezza, limpidezza e splendor suo incomparabile, che di gran lunga avanza ogni stella et qual si voglia altra celeste luce, dalla solare in poi, non cheluce o di foco che sia qui tra noi, o di vapore ignito et cometa. Se dunque supera di splendore tutte le stelle, et Venere et Giove istesso, le quali hanno la sua luce dalla sola densità del loro orbe, senza admistioni d’alcuna sostanza opaca, chi non dirà che questa non sia luce di foco? o elementare, la quale non si puol produrre se non col mezo di qualche parte di corpo opaco; o terrestre, o sia grosso et corpulento come ne’ carboni accesi, o sia vaporoso et fumoso come nella fiamma comete et altre impressioni ignite; per l’opacità del quale è necessario che perdi di chiarezza, come acquista il termino et sodezza terminante il nostro vedere, che vol dire l’esser di luce elementare. Oltre che è pur vero che i corpi elementari sono più impuri et meno trasparenti de’ celesti, et che per ciò se anco quella luce fosse di foco puro elementare condensato, non potrebb’haver in sè stessa tanta chiarezza, che ogni più lucida stella sopravanzi.

La seconda si trahe dalla uniformità del suo lume in tutte le parti, che ha sempre conservata: poi che se fusse elementare, sarebbe simile alle fiamme che qui s’accendono ne’ legni o in altra combustibile materia, le quali pur in altre parti più, in altre meno, lucide sono; dovendo ancora questa havere l’istesse cause di diversità di lume, così nella materia come nell’efficiente, come hanno quelle. Nell’efficiente: perchè, quanto alla parte più alta, sarebbe in loco tanto più caldo, per la vicinanza della sfera del foco; et così nelle parti superiori dovrebbe esser più lucida et infiammata, al contrario delle nostre fiamme, le quali, per haver il fomite a basso, sono più lucide nelle parti inferiori: oltre che nelle parti superiori ancora havrebbe l’essalatione più sottile et più atta ad infocarsi; così all’incontro nelle parti inferiori sarebbe men lucida et più impura. Nella materia poi, è cosa chiarissima che non può esser sempre dell’istessa conditione, non altrimenti di che occorre nel nostro foco, il quale nel principio non può esser così chiaro come nel mezo e fine, havendo la materia fumosa manco secca et vaporosa: il che dovrebb’accader ancora in questa luce, essendo che, se si è conservata longo tempo, ha ricevuto nutrimento da nova essalatione tirata da’ raggi solari o altra stella, la quale in principio più humida, poi, continuamente imprimendo il sole maggior siccità, più pura et meno vaporosa le sarebbe stata somministrata da questi elementi inferiori; tanto più che non si ritrovando sempre il sole nell’istesso sito, hora più hora meno scalda, onde hora più hora meno sottile et secca essalatione può dalla terra cavare: sì che dovrebb’esser stata di lume hora più hora meno lucida, il che non è però occorso. Ma che? non è ogni corpo meteorologico misto imperfetto? et se tale, non è egli necessario che non sia similare et homogeneo? Questo si vede ne’ sassi et ne’ metalli, tra’ corpi fatti da’ vapori et essalatione perfettissimi: quanto dunque più s’ha da credere che tali debbono esser le comete? et se tali, devono per consequenza haver ancora il lume suo di dissimile qualità et conditione: oltre che non è da creder che nel mondo elementare sia alcuna luce più perfetta di qual si voglia più imperfetta celeste; e pur nella Luna appaiono macchie e diversità di luce, il che si scorge ancora in alcune stelle, che perciò nuvolose s’addimandano. Per tutte, dunque, queste ragioni è da credere che ogni luce elementare rinchiuda in sè qualche varietà, nè possi esser uniforme, come è stata questa.

La terza si può raccorre dalla scintillatione di questa luce, la quale è tanto grande, quanto ogn’uno che l’ha mirata può far fede: e pur non mai si viddero comete scintillare; che se tali fossero osservate, senza dubbio, sì come le loro altre affettioni et qualità non furono taciute, così nè anco questa, come principalissima et molto conspicua, sarebbe passata sotto silentio: tanto più che è pur parer d’Aristotile che solo le stelle del firmamento inerranti et lontanissime siano dotate di questa passione del scintillare, per la loro distanza dalla nostra vista, volendo forse che la scintillatione non sia qualità reale nelle stelle, ma a loro attribuita da noi, o dal nostro imperfetto senzo del vedere, o per la lontananza dell’oggetto, per la quale si vadi continuamente attenuando la sua specie visibile, sì che non poss’esser atta a mover il nostro senso perfettamente et lo facci, nel veder, vaccillare. Ma sia come si voglia, si può ragionevolmente concludere che non possi esser cometa, poi che queste, per la sua vicinanza, non possono scintillare.

La quarta si cava dalla sua figura rotonda, figura non conveniente alle comete, se vogliamo haver riguardo al nome loro, chiamandosi comete, quasi comate. Et, per il vero dire, non si legge([232]) appresso autore alcuno altra distintione([233]) nella figura delle comete, che o che siano crinite, o barbute, o codate: il che a punto la ragione ci persuade. La quale è, che essendo la cometa essalatione ignita, necessariamente, sì come l’altre fiamme, deve haver la figura piramidale, la quale, se bene stando la fiamma immobile va all’in su, niente di meno ogni volta che è girata, si fa laterale et pendente verso la parte di dove viene aggirata; come si può far prova in fiamma che in candela, legno o altra materia accesa sia, la quale se accade che sia voltata in giro, lascia a dietro, in foggia di coda, la parte acuta della piramide, che mentre stava immota andava all’in su. Così dunque occorre nelle comete, che essendo, per rivolutione del primo mobile, aruotate, lasciano a dietro la coda o altra parte che habbi del’acuto, la quale li dia figura hora di chioma, hora di barba, hora di coda. Et ciò deve avenire alle comete con ragione, essendo, con quel moto circolare, girate non secondo la natura loro, conforme alla quale dovrebbonsi mover con moto diretto all’in su; perilchè ne segue, che violentemente essendo con gran velocità mosse, non possino conservar la figura rotonda, ma che disgregate, e per così dire dissipate, mentre tentano di resistere a tal moto, ci appaiono di figura non altrimenti circulare et di globosa, come che questa sia figura di perfetta unione et sicura quiete. Non starò anco di dire che debbono mostrar la coda o altra figura oblunga per un’altra ragione: la quale è, che ascendendo nuova essalatione al corpo della cometa infocato dalle parti da basso, può occorrere che hora verso una parte hora verso l’altra s’accosti al detto corpo; et così mentre s’avicina s’infiamma, la quale, per esser longa di figura, come dal suo ascendere si può raccorre, ci rappresenti nel corpo della cometa, o coda o altra figura che habbi del longo. Con la qual ragione anco si può rispondere a chi m’opponesse alla prima ragione, dicendo che seguirebbe, conforme a quella, che la cometa havesse la coda pendente sempre verso l’oriente, essendo verso l’occidente dal primo mobile rapita; con tutto che se ne siano osservate molte haver la coda hora verso occidente, hora verso il mezo dì et hora verso il settentrione. Sia dunque a bastanza detto per mostrare, che essendo questa luce di figura rotonda, non può altrimenti esser cometa.

La quinta è tolta dal suo moto che, doppo che fu avertita, sin che s’è potuta vedere fuori de’ raggi del sole, ha havuto per spatio d’un mese e mezo, non havendo havuto altro moto che quel del primo mobile, per quanto s’è potuto alla grossa osservare: et pur le comete si sono osservate haver almeno dui moti, uno verso l’occidente, l’altro, a questo contrario, verso l’oriente, oltre molti altri moti, come sono all’in su et al’in giù, da un lato all’altro, et altri ancora molto irregolari et difformi, la causa de’ quali si può facilmente esplicare con l’ultima ragione da me di sopra addotta per mostrar che le comete habbino la coda o altra figura oblonga; poi che, ascendendo da diverse parti della terra alla cometa nuova essalatione, ne segue che, estinta la fiamma nella prima essalatione per difetto di nutrimento, s’accendi nella nova dalla terra sumministratale, et così al nostro senso pare che la cometa prima si mova, con tutto che sia un’altra fiamma che in altro loco di parte in parte in altra materia si va accendendo: non altrimenti di quello che occorre se il foco s’accende in materia longa combustibile che di lontano sia dalla nostra vista; imperochè all’hora ci pare che quella fiamma si mova, con tutto che non sia quella prima, ma nova continuamente in quella materia generata. Non havend’ella dunque più d’un moto sensibile, non può già esser cometa, dovendo loro necessariamente, oltre quel del primo mobile, haverne un altro verso oriente, rispetto la tardanza che fanno mentre al detto primo mobile resistono; il quale se bene realmente non fosse vero e real moto, niente di meno a noi tale ci appare.

La sesta ragione, assai efficace, si può trarre dal sito suo che ha verso il sole: poi che, quando apparve, era o nella linea eclitica, per la quale scorre il sole, o da quella non molto lontana, e dal sole distante solo per due segni del zodiaco, cioè intorno a sessanta gradi, sempre nell’istessa grandezza conservandosi sintanto che si è potuta vedere. Da questo suo sito adunque io ne cavo argomento certo et infallibile che non sia cometa: poi che, s’Aristotile dice, nelle Meteore, che rare volte tra li segni tropici se ne producono, per la calidità di quel sito, causata dalla vicinanza del sole, che continuamente per quel spatio delli tropici contenuto vien aggirato (et questo perchè detto calore, dalla reflessione de’ suoi raggi ad anguli retti prodotto, quella essalatione o vogliamo dir fumo che quindi trahe, inanzi che possi ascender alla regione superiore del’aria et quivi, unita et ammassata insieme, formar una cometa, per l’accessione sua disperde, dissipa, et per dir in una parola risolve), potrò io ragionevolmente dire che mai se ne possino generar tanto vicine al sole, et generate conservarvisi tanto tempo, per le sopradette cause, le quali sono molto più efficaci se sotto il sole direttamente si considereranno che tra li tropici, mentre il sole sia dal loco della cometa, tra quelli generata, molto più lontano che non fu et sia da questa, nel Saggittario prodotta. Onde si può respondere a chi volesse opponere che Aristotile dice esser apparsa una cometa circa il circolo equinottiale, il quale pur in due parti eguali divide il spatio che è tra’ tropici contenuto: chè può ben esser che ivi comparisse questa cometa, et che il sole e nella longhezza e nella declinatione fosse da quella molto più lontano che da questa non è; tanto più che l’istesso dice che durò paucis diebus, pochissimo. Questa, donque, conservandosi tanto tempo, et così vicina al sole, è impossibile che cometa sia, non potendosi, per mio sentimento, in loco così al sole vicino traher sino alla più alta regione dell’aria tanta copia d’esalatione secca, che generi una cometa et che continuamente la vadi conservando, prima che si risolva e svanisca.

Potrei, per settima raggione, addurne un’altra, la qual pur non voglio tacere: et è che Tolomeo, nel secondo del Quadripartito, non per altro vole che le comete siano di natura di Marte et Mercurio insieme, nella diversità et diformità de’ moti l’uno, e l’altro nelli effetti, che producono, quali sono guerre, uccisioni, pesti, carestie, venti horribili et terremoti. Hora veggiamo che questa luce non è rossegiante, quale è Marte; non ha varietà de’ moti, come Mercurio; et sin qui effetti in tutto contrarii all’altre comete ha causato, cioè una continua serenità tranquillissima d’aria, senza venti, et, quanto comporta la stagione, temperatissima, dalla quale non si può sperar se non effetti bonissimi. Si può dunque di qui verisimilmente concludere, questa non esser cometa. Et tanto basti delle ragioni naturali, dalle quali farò passaggio alle mathematiche.

Peritissimo dice, che se le comete fossero nell’aria, quella cometa che si generasse sotto l’equinottiale, da noi per la sua bassezza non potrebb’esser veduta, avanzando la gibbosità della terra quel sito: quanto più ragionevolmente si può dire, che da noi non potrebb’esser scoperta quella che si aggirasse sotto il Saggittario, segno della maggior declinatione del sole australe, et perciò da noi più lontano che sia l’equinottiale intorno vintidoi gradi? L’autorità del quale si può confirmar con dui altre ragioni: l’una, perchè se da noi non ponno esser vedute quelle stelle che hanno maggior declinatione australe de 45 gradi, con tutto che siano altissime et nel supremo stellato cielo, quanto meno si potrebbe manifestarci questa, la quale, se bene ha la mettà minor declinatione, è poi sproportionatamente, et per dir così d’infinito spatio, più bassa? L’altra è, che se il semidiametro della terra è 3035 millia, come si legge appresso li più approvati autori, et la maggior altezza dell’aria, dalla superficie della terra misurata, è solamente millia 52, come si mostra per la distantia delle comete, che pur si trovano nell’altissima regione dell’aria, et noi, in questo sito collocati, siamo distanti dal raggio perpendicolare della nova luce 67 in 68 gradi, che è la terza parte et più della mettà della terra, bisogna concludere che in questo spatio il globbo della terra s’inalsi il terzo del suo semidiametro, et che se il tutto([234]) è 3035 millia, il terzo sia mille e XI miglia poco più; onde è necessario dire che l’altezza del globbo terrestre ne debba occupare et molto d’avantaggio superare le 52 millia della profondità di tutta l’aria, loco a tutte le comete sin hora vedute conveniente: sì che, per conseguenza, non potrebbe questa luce esser da noi veduta, se fosse cometa. Nè mi si deve opporre che la quantità de’ vapori, che sono in queste parti occidentali, dove questa luce si scorge, tra quella e la nostra vista interposti, con tutto che sia sotto l’oriente, la possino far parer tant’alta che la vediamo, come si può far la prova con una moneta posta in un vaso prima voto, poi pieno d’acqua: poi che risponderò che l’esempio è diverso in quanto alla grossezza del mezo, non essendo proportione ragionevole tra la densità de’ vapori e dell’acqua, et quanto ancora alla distanza, parendone questa luce molto sopra terra; il che non appare nella moneta, la qual, se ben nel vaso pieno d’acqua si potesse scorgere, stando et noi et il vaso nel’istesso sito che prima non si scopriva nel vaso voto, non si scorge però se non molto vicino al’orlo del vaso. Oltre che io credo solo che la densità de’ vapori possi ben farci parer il corpo lucido più grande e più vicino di quello che realmente è, ma non già, se sotto la terra si ritrova, possa farlo apparir sopra, et tutto spiccato dal’orizonte tant’alto mostrarcelo, come ci appare questa luce. Di più, se ciò fusse vero, non potrebb’apparire così lucida, perchè senza dubio dalla densità de’ vapori fraposti sarebbe rimessa in gran parte la sua chiarezza; non altrimenti di quello che si scopre nel sole, il quale mentre sorge dal’orizonte è sempre men lucido che quando risplende nel mezo cielo. Di più, la notte non ponno esser molti vapori nell’aria, essendo remoto il sole che dalla terra li leva, massime in queste notti passate, che sono state chiarissime e limpidissime; et poi saria necessario che hora più alta hora più bassa ci fosse apparsa, perchè l’aria non è sempre nè dall’istessa copia nè da l’istessa qualità di vapori ingombrata.

La seconda ragione è, che da uno ingegnosissimo et acutissimo spirito, molto erudito nell’astronomia, è stata osservata che nel discendere sempre più s’avicinava a Marte, chiaro segno che a Marte è superiore: imperochè se fosse più bassa, nel discendere, sempre più da Marte lontana sarebbe parsa di quello che fusse mentre era alta dall’orizonte, come chiaramente si può comprendere dal tipo et figura mathematica.

La terza è, che se fosse nella sommità dell’aria, causarebbe diversità d’aspetto anco a paesi vicini, ad altri parendo in un sito rispetto a qualche stella del firmamento, ad altri parendo in un altro; la qual diversità d’aspetto tra Verona e Padova pure sarebbe anco grandissima, se fusse questa luce lontana solo 52 millia come l’altre comete, con tutto che([235]) venga scritto da paesi lontani esser vista nel’istesso sito che noi ancora l’osserviamo, et per consequenza non causi diversità d’aspetto sensibile: argomento certissimo che sia nell’ottavo ciel stellato; imperochè con questo, cioè con le paralassi, et con null’altro mezo più sicuro si suol venir dalli astronomi in cognitione dell’altezza de’ pianeti et altre luci. Et questo basti per provare che non sia luce di corpo elementare.

Che mo’ non sia di corpo celeste, si può agevolmente provare: perciochè, essendo nova, bisogna che sia nuovamente generata; o per moto dunque d’alteratione, o per moto locale. Per moto d’alteratione, no: poichè Aristotile, nel primo del Cielo, con molte ragioni prova che il ciel non sia alterabile, nè soggetto ad altro moto che locale; oltre che nè efficiente nè materia si può ritrovare in cielo per produr nove stelle. Non materia: perchè, o che sarebbe stata sempre informe, et così si concederia il vacuo; o che sarebbe stata formata, et così si dovrebbe prima corromper quella prima forma, acciochè potesse ricever questa nuova: ma non s’è veduta in cielo tal corruttione; adunque ciò esser non può. Non efficiente: perchè non puol esser quell’elemento nè altro cielo. Non elemento: perchè seguirebbe che il corpo più ignobile et inferiore superaria il maggiore et più degno; oltre che si darebbe attione dalli elementi nel cielo, il che è contrario alla filosophia d’Aristotile. Non altro cielo: perchè seguirebbe che uno fosse all’altro contrario, et simili effetti molto più frequenti si vedriano. Non per moto locale: poichè, essendo la luce ne’ cieli causata dalla parte più densa delli suoi orbi, non posso comprendere come il moto locale possi causare densità maggiore, se li cieli sono, come sono realmente, sodi et duri, sì come si cava d’Aristotele nelle sue Metheore, il qual vuole che i cieli causino calore per l’attritione dell’aria, il che non potrebb’essere se i cieli non fossero sodi et densi, come benissimo nota Alessandro Afrodiseo in quel loco. Di più, non potrian le stelle fisse tra loro sempre conservar l’istesse distanze in un moto così rapido com’è il diurno, dovendosi massimamente mover per altri moti ancora. Ma che? non saria necessario che se per la generatione di questa nova luce il cielo in altra parte si fosse fatto più denso, che in altra parte poi fosse divenuto più raro? et così qualch’altra stella fusse smarrita, per esser divenuto più raro il cielo in quella parte? Di più, se per condensatione si fosse generata, seguirebbe pure che nel principio fusse apparsa manco lucida, et che a poco a poco havesse aquistato la sua maggior chiarezza, procedendo la condensatione per moto, che non si fa in instanti: ilche però non c’è occorso vedere.

Resta dunque concluder che non sia luce in un solo corpo celeste fundata; sì come nè anco in doi, che tutti elementari siano, se si hanno a memoria le ragioni mathematiche con le quali ho provato che non possi esser elementare. Hor mi bisogna mostrare che non sia parte celeste, parte elementare: il che non mi sarà dificile. Perchè, o che il corpo di questa luce sarebbe, efficiente il celeste, et il recipiente elementare, o il contrario: il che non può essere, perchè seguirebbe che se la luce è perfettione, li elementi potessero a i cieli dar perfettione, et così haver in loro attione, cosa molto assurda da dirsi; sì come nè anco può il contrario avenire, massime in questa luce, cioè che il corpo celeste sia l’efficiente, che nella elementare essalatione co i suoi raggi perquotendo, a quella comunichi la sua luce, cioè che il corpo celeste sia l’efficiente per refrattione di quelli. Imperochè l’istessi inconvenienti([236]) occorreriano, che ho mostrato occorrere se si dicesse questa esser luce in un solo corpo elementare fundata: poi che nè da noi si potrebbe vedere, nè così lucida apparirebbe, et gran diversità d’aspetto ci mostrarebbe, aggiungendovi anco che detta essalatione sarebbe o poca o assai: se poca, non sarebbe veduta da paesi non molto anco lontani; se assai, molte luci a questa simili ci farebbe apparire, et di più ci nasconderebbe quella stella che percotendo in detta essalatione sopra lei diretta ci causasse quest’altra nova luce; il che però non occorre, numerandosi oltre questa nel cielo tutte quelle stelle che per l’adietro sono state osservate.

Hora bisogna vedere se possi haver origine questa luce da dui corpi che ambidui celesti siano: nel che è necessario distinguere, perchè, o che saria luce per reflessione del sole o d’altre stelle; se per unione, o per unione de più corpi lucidi, o per unione di duoi corpi densi sì, ma non lucidi, o per unione di duo corpi, l’uno de’ quali sia lucido, l’altro no.

Il primo esser non può, cioè che questa sia luce di reflessione di corpo lucido, o non lucido. Imperochè, o che saria il corpo lucido qualche pianeta o stella fissa: et così ne seguirebbe che, essendo la luce di reflessione molto men([237]) chiara di quello che è la luce del corpo d’onde è causata, non potrebb’esser così chiara et risplendente che ogn’altra stella di splendore avanzi; tanto più che molto più frequentemente si sarebbe veduta questa luce, ritrovandosi li pianeti nell’istesso sito del cielo in non longo spatio di tempo. O che sarebbe causata dal sole: il che non si può dire, prima perchè il sole non può luminar co i suoi raggi parte densa del cielo che luce rotonda ci mostri, che sia tanto a lui vicina come è et è stata sempre questa luce; il che si può agevolmente comprendere nella luce della luna, la quale, per haver il suo lume dal sole, quanto più a quello s’accosta, tanto minor parte di lei riceve lume, et solo quando è lontanissima al sole, di luce rotonda a noi si mostra. Sì come nè anco il secondo: poi che le congiuntioni di pianeti non durano tanto quanto ha durato questa luce; et pur allora quando questa luce apparve, non v’era altra congiuntione che quella di Giove et Marte, dalla quale però questa distinta et alquanto lontana si scorgeva; oltre che il pianeta inferiore dal superiore si può facilmente, benchè congionto, apparere diverso. Sì che è impossibbile che questa luce possi esser causata per unione di più corpi celesti per sè stessi lucidi. Il terzo modo poi a doi oppositioni è soggetto: l’una delle quali è che la parte densa, ma non lucida, di sotto alla lucida posta, ci coprirebbe la stella et parte lucida, sì che una stella manco si osserverebbe nel cielo, il che non è; l’altra, che non così chiara ci potrebbe apparere, perchè la densità, se ben ci facesse parere più grande la stella sopraposta, la farebbe parer poi meno chiara.

Resta dunque che se questa è luce celeste, non possi esser prodotta in altra maniera che per unione di doi parti di doi diversi cieli, che per una certa mediocre densità non possino esser atte, mentre separate sono, a mandar luce, come sono quando siano([238]) insieme una sopra l’altra unite. Havendo io donque sin qui mostrato quid non sit, è ben ragione che hor mai, lasciando intendere il mio parere, se ben forse manco de gli altri conforme al vero, mostri quid sit: il che però protesto di voler fare non perchè creda io solo di toccar, come si suol dir, la brocca, ma per farle parer più vero quel proverbio Quot homines, tot sententiae.

Il mio parer donque è questo: che, essendo questa luce nel cielo (tralasciando hora il miracoloso oprar d’Iddio, et parlando co i mezi naturali), da altro esser cagionata non possi che da doi parti di cielo di tal densità, che, separate, non siano atte a produr luce, ma congionte insieme, et di doi densità fattane una sola molto densa, sia atta risplender et mandar da sè nuova luce, la quale, separandosi ancora queste due densità da sieme, per il diverso moto de’ cieli nelli quali sono, si corrompi (come forse si vedrà); et di tal natura direi che fosse ancora quella che nell’anno 1572 apparve nella costellatione di Cassiopea, nel circulo artico, dove vien intersecato dal coluro equinotiale: sì che non credo che l’oppinione del Valesio([239]) sia in tutto vera di quella stella, dicendo egli che fosse prodotta nel cielo di Saturno, riverberando in una parte di mediocre densità di quello qualche stella delle fisse, direttamente a quella parte sopraposta, la quale per quella sua densità facendola apparer più grande, la credessimo nuova stella; poi che, com’io nel terzo modo da me ributtato([240]) ho mostrato, seguirebbe che quella densità, se ben più grande, non però più lucida ce l’havrebbe mostrata, et pur lucidissima più di Giove et Venere ancora ci apparve; et di più quella stella da quella densità, o vogliam dire nuova luce, ci sarebbe stata celata, et così non sariano state osservate in cielo, come furono, tutte le prime et antique stelle. Hora, per tornar alla mia oppinione, et meglio dichiararmi, io dico che ciò può benissimo essere: cioè che nel ciel stellato et nell’orbe deferente dell’apogeo di Saturno siano densità della natura già descritta, le quali doppo longhissimo girar d’anni, per esser l’un e l’altro di questi cieli di moto tardissimo, si possino una sopra l’altra unire, et così produr una sola densità, la quale sia simile a quelle dove sono l’altre stelle che sono atte per sè stesse a mandar luce. Che tali densità ne’ cieli si ritrovino, lo manifesta il circulo latteo, il quale non è atto a mandar luce, ma solo a biancheggiare, per esser d’una mediocre densità, come attestano tutti li astrologhi et la maggior parte de’ Peripatetici ancora. Che la luce ne’ cieli habbia origgine dalla sola densità de’ loro orbi, manifestamente lo dice Aristotile et niuno il nega. Che doi densità mediocri et, separate, non atte a mandar luce, possino, insieme unite, acquistar luce et splendore, credo che sia chiarissimo a chi sa quell’assioma che virtus unita fortior est se ipsa dispersa. Che questi cieli siano di moto tardissimo, et che perciò rarissime volte, anzi, doppo la creation del mondo sin a questo tempo presente, rispetto l’istesse parti di loro non si siano mai congiunti, non occorre provare a chi ha qualche cognitione di moti celesti. Sì che io non credo, per queste ragioni, che questa mia oppinione possi parer del tutto fuori fuori di ragione, ma che sia assai vicina al vero; tanto più che non è contraria alla fondatissima filosofia d’Aristotile, perchè da questa si vede come, senza alterationi et corruttione ne’ cieli, si possi, col simplice moto locale, produrre in loro nuove luci.

Due sono le oppositioni che se li potrebbono fare: una, che la parte densa inferiore verso la superiore, se ben a quella unita, ci causarebbe qualche diversità d’aspetto; l’altra, che in instanti non sarebbe stata osservata così grande come è, ma che a poco a poco si sarebbe generata, nell’applicarsi insieme queste due densità. Alle quali però facilmente io posso rispondere, dicendo, alla seconda, che da chi bene è stata osservata, fu prima scorta più picciola, poi si è a poco a poco aggrandita, maggior lume di giorno in giorno acquistando. Potrei risponder ancora che li molti vapori, per le precedenti piogge, s’erano tra quella luce e la nostra vista nell’aria frapposti; nel principio del suo apparere la facessero parer tale et di tanta grandezza, con tutto che fosse d’assai minor mole. Si potrebbe anco dire che forse non fu osservata prima che havesse([241]) notabile quantità, perchè (da chi non l’havesse osservata a bella posta, il che non è da dirsi, non potendo saper alcuno che ci dovesse tal luce in quei tempi apparere) non sarebbe forsi fuori di ragione pensare che da niuno fosse avvertita nel suo primo principio visibile, sì come anco è da credere di quella stella che apparve del 1572, che sì come a poco a poco svanì, come nota il Clavio, così anco a poco a poco si generasse, se ben non fu prima osservata che fosse grandissima. Alla prima poi, dicendo che il cielo di Saturno rispetto il firmamento non può causare notabile diversità d’aspetto, tanto meno che io suppongo le due densità connesse et unite una sopra l’altra, sì che tra esse non vi si frapponga altro corpo; poi che ponendo la densità di sotto nell’orbe deferente l’apogeo di Saturno et quella di sopra nel ciel stellato, senza dubbio la densità di sotto rispetto quella di sopra non può causare paralasse alcuna, se ben fosse alquanto inferiore dell’altre stelle fisse.

Et tanto basti circa la mia oppinione: la quale se da lei sarà stimata vera o, per quanto di queste cose si può sapere, dal vero non molto lontana, ne sentirò consolatione grandissima di tal giuditio; se anco no, non mi si potrà attribuire ad ignoranza o a temerità, havendole protestato di volerla scrivere per non parer mancator di parola et poco desideroso di servirla. Al quale, per non esserle hormai più tedioso, facendo fine, faccio humilissima reverenza.

Da Verona, a 22 di Xbre 1604.

Di V. S. molto Ill.re et Ecc.maAff.mo Ser.re Lonardo Todeschi.

Di fuori si legge, di mano di Galileo:

LeonardoTedeschi, della Stella nuova del 604.

111*.

ILARIO ALTOBELLI a GALILEO in Padova.

Verona, 30 dicembre 1604.

Bibl. Naz. Fir. Mss. Gal., P. VI, T. VII, car. 66. – Autografa.

Molto Ill.re et Ecc.mo S.r Oss.mo

Per servir V. S. Ecc.ma, le significo della nuova stella che già doi giorni sono un mio amico qua intendente l’ha veduta; ma io, non havend’orizzonte commodo in questi tempi così rigidi, massime la matina, non ho animo di vederla per hora.

Ho aviso dal S.r Pirro Colutii, mio paesano et peritissimo nella professione, che scrive a lui l’Ill.mo S.r Bardi, haver veduto la sua prima apparitione li 27 Settembre et osservatala più sere, ch’è cosa alienissima dal vero; poi che io avanti li 9 Ottobre più giorni hebbi l’occhio in quella parte del cielo, intentissimo al moto di Marte, che andava a , con testimonio intendente, nè mai fu veduta, ma solo li 9 Ottobre, che ci fece grandemente maravegliare, et era quasi un narancio mezzo maturo. L’istesso scrive un medico da Cosenza, di Calabria, matematico, ciò è che non prima delli 9 Ottobre apparve, intento ancor lui in quei giorni pur là su. Io stupisco dunque di quella relatione delli 27.

Il P. Clavio scrive al S.r Magino([242]), il quale mi manda la copia della lettera, che l’ha osservata in Roma con i stromenti, e l’ha trovata sempre immota et equidistante da molte fisse, e la conclude nell’ottava sfera. Ch’è quanto mi occorre per hora, abbracciandola per fine, sperando un giorno, e presto, di farlo in persona.

Di Verona, li 30 Decembre 1604.

Di V. S. molto Ill.re et Ecc.maDeditiss.o Ser.re F. Ilario Altobelli.

Fuori: Al molto Ill.re et Ecc.mo S.r Col.mo

Il S.r Galileo Galilei, Matem.co di

Padova.

112*.

ONOFRIO CASTELLI a GALILEO [in Padova].

Roma, 1° gennaio 1605.

Bibl. Naz. Fir. Mss. Gal., P. I, T. VI, car. 143([243]). – Autografa la sottoscrizione.

Molto Ill.re Sig.r mio Oss.mo

Sì come l’obligatione che tengo a V. S. è grande, così vengo ad esser in debito di augurarle, come faccio, il buon Capo d’Anno; ricordandoli appresso, che mi farà molta gratia mentre mi favorirà di qualche commandamento, et parimente a dirmi due parole del suo giuditio circa questa nuova stella. Et non essendo questa per altro, a V. S. bacio le mani.

Roma, primo Genn.o 1605.

Di V. S. molto Ill.re   S.r Galilei.Aff.mo Ser.e Onofrio Castelli.

113.

GALILEO GALILEI a [ONOFRIO CASTELLI in Roma?].

[Padova, gennaio 1605].

Bibl. Naz. Fir. Mss. Gal., P. VI, T. V, car. 63. – Autografa.

Molto Ill.re et Ecc.mo Sig.re et P. Col.mo

Mi è più di una volta stata fatta instanza dal nostro gentilissimo S. Orazio Cornacchini, che io dovessi mandare a V. S. Ecc.ma copia di tre letioni fatte da me in publico([244]) sopra il lume apparso circa([245]) li 9 di Ottobre in cielo, il quale sotto nome di stella nuova viene addimandato, affermandomi ciò esser da lei molto desiderato. Io mi sono sin qui scusato con detto Signore, sì perchè conosco la debolezza de i miei discorsi et quanto siano indegni di comparire nelle mani di V. S. Ecc.ma, sì ancora perchè, sendo quasi che stato messo in necessità di publicare le dette lezioni, potevo allora occupar V. S. E. per un’hora in leggerle, prorogando intanto il tempo di farla più certa, di quello che è, del mio poco avvedimento. Sono poi andato differendo tal publicazione, et sono anco per differirla per qualche giorno, perchè il fermarmi solamente nel dimostrare, il sito della nuova stella essere et esser sempre stato molto superiore all’orbe lunare, che fu il principale scopo delle mie letioni, è cosa per sè stessa così facile, manifesta et comune, che al parer mio non merita di slontanarsi dalla catedra; dove bisognò che io ne trattassi in grazia de i giovani scolari et della moltitudine bisognosa di intendere le demostrazioni geometriche, ben che apresso li esercitati nelli studii di astronomia trite et domestichissime. Ma perchè ho hauto pensiero di esporre ancora io, tra tanti altri, alla censura del mondo quel che io senta non solo circa il luogo et moto di questo lume, ma circa la sua sustanza et generatione ancora, et credendo di havere incontrato in opinione che non habbia evidenti contradizioni, et che per ciò possa esser vera, mi è bisognato per mia assicuratione andar a passo lento, et aspettare il ritorno di essa stella in oriente dopo la separatione del sole, et di nuovo osservare con gran diligenza quali mutationi habbia fatto sì nel sito come nella visibile grandezza et qualità di lume: et continuando la speculazione sopra questa meraviglia, sono finalmente venuto in credenza di poterne sapere qualche cosa di più di quello in che la semplice coniettura finisce. Et perchè questa mia fantasia si tira dietro, o più tosto si mette avanti, grandissime conseguenze et conclusioni, però ho risoluto di mutar le letioni in una parte di discorso, che intorno a questa materia vo distendendo: et in tanto che la publicatione si andrà differendo, per mostrare a V. S. E.a che non per indiligenza, o perchè io non preponga i suoi cenni ad ogn’altra cosa, sono stato ritirato dal mandarli le mie letioni, ma solo, come ho detto, da l’essere stata la mia prima intentione di publicarle in breve, hora che ho resoluto di mutarle in discorso et aggiugnervi circa la sustanza et generatione, et che per ciò ho bisogno di più tempo, ecco che io, con quella confidenza che so che posso prendere di lei, gli scoprirò succintamente tutta la machina che ho nella fantasia, fermandomi però nelle sole conclusioni et riserbando al trattato le confirmationi et dimostrationi di esse([246])….

114*.

ILARIO ALTOBELLI a GALILEO in Padova.

Verona, 10 gennaio 1605.

Bibl. Naz. Fir. Mss. Gal., P. VI, T. VII, car. 68. – Autografa.

Molto Ill.re et Ecc.mo S.r P.ron Oss.mo

Non occorre usar quella forma di scrivere, toccando il sospetto dell’amor mio verso V. S. Ecc.ma, reputando io a mio favore di poterla sempre servire: del che e questa e le passate vaglino per tanti instrumenti, fatti in forma Camerae et omni meliori modo etc.

Ho veduto quella buffoneria o temerità del Discorso della Nuova Stella([247]), in disterminatione dell’autore, non de’ matematici; et perchè incidit in foveam quam fecit, non occorre risponder altro: vilesceret animus etc.

La stella poi, quando fu veduta da me e da quelli ch’eran con me, alli 9 Ottobre, e non prima, ancor che fussimo pur intenti a rimirar quella parte del cielo più giorni prima, et massime la sera delli 8, e c’intervennero, per maggior giustificatione, queste parole: Com’è possibile che non si vedano altre stelle che quelle tre?, vedendosi ,  et  soli: et la sera delli 9 alla prima vista apparve con le tre la nuova, e disse quell’istesso: O là, che stell’è quella? hier sera non v’era già? Et era grande, al mio parere, quanto , et di colore come un narancio mezzo giallo e mezzo verde, o pur misto di giallo et verde. Dopo non la potei vedere, per turbarsi il tempo, sino la sera delli 15 Ottobre, et appareva assai più grande di : anzi quella fu la maggior grandezza ch’io habbi osservato nella stella nuova, e credo che più tosto gli giorni seguenti sia decresciuta che altrimente; ma poco però in quei primi giorni potea andar mancando, havendo continuato d’osservarla per molti giorni seguenti sempre maggior di . Scrive l’istesso al P. Clavio un medico matematico di Calabria, ciò è che non è stata veduta prima delli 9 Ottobre, ancorachè egli havesse intentamente più giorni prima rimirato quella parte del cielo, et massime la sera delli 8, et che nella prima apparitione era come , e poi si fece presto assai maggior di : et io ho la copia della sua lettera, mandata dal P. Clavio al S.r Magino et dal S.r Magino a me etc.([248]). Et questo basti della grandezza, che hora deve esser di seconda in circa.

Del sito astronomico, per osservanza d’instrumenti io non le posso dir niente di certo, ciò è con ogni precisione, non havendo instrumenti idonei; nè ho hauto orizzonte commodo a formar triangoli sferici, onde havesse potuto limitarla essattissimamente; nè meno s’è fatta per ancora vedere nell’altezza somma, che basteria per haver il longo et il largo giustissimamente, come si vedrà bene nel principio di Marzo: però non le posso dir altro, se non che aspettiamo quel tempo. Ma parlando per aviso d’un Ticonico, fu trovata, come già le scrissi, alli gr. 17. 51′ , con un grado et 41′ m. di larghezza boreale: onde la declinatione era gr. 20. 16′. 51″ australe; l’ascensione retta, 257. 0′, 47″; l’altezza meridiana nel’elevatione del polo 45 doverà esser gr. 24. 43′.

Ma parlando dell’osservanza fatta già col quadrante, le dico che la trovai per molte settimane equidistante dall’altre fisse ad unguem: poiche alli 16 Ottobre, all’altezza dell’Aquila gr. 50, la nuova era alta gr. 9 1/2, dico sopra l’orizzonte; et alli 31 d’Ottobre trovai il medesimo, ciò è l’Aquila 50, e la nuova 9 1/2; et alli 17 d’Ottobre, all’altezza dell’Aquila gr. 51, la nuova era alta 10 1/2; et il medesimo trovai alli 2 Novembre, ciò è all’altezza dell’Aquila 51, la nuova era alta 10 1/2; et così altre volte. Sì che io non posso comprender ch’ella si sia mossa altrimente, et tanto più che osservando il passaggio di , che fece per quel grado delli 18 alli 20 et 21 di Gennaro, viddi che stava nell’istesso luogo, essendo distante dalla stella alli 20 quattro dita in antecedentia per lunghezza et per larghezza([249]), et alli 21 s’era fatta in consequentia distante dalla stella un palmo incirca. Ma con l’occhio non si può dar conto de’ minuti: il meglio sarà chiarirsi quando si farà vedere nel meridiano, per non far tanti imbrogli et passar per tanti dubi.

Et questo è quanto le posso dir per servirla pro nunc, alias, ubique et semper. Dio la conservi sana, et mi ami come ha cominciato.

Di Verona, li 10 Genn.o 1605.

Di V. S. molto Ill.re et Ecc.maAff.mo Ser.re F. Ilario Altobelli.

Fuori: Al molto Ill.re et Ecc.mo S.r Oss.mo

Il S.r Galileo Galilei, Mat.co di

Padova.

115*.

OTTAVIO BRENZONI [a GALILEO in Padova].

Verona, 15 gennaio 1605.

Bibl. Naz. Fir. Mss. Gal., P. VI, T. VII, car. 70-73. – Autografa.

Ill.re et Ecc.mo Sig.r mio Oss.mo

Di raro sogetto, d’altissima impresa, da et ordinario ingegno et picciole forze, chiede V. S. Ill.re et Ecc.ma il parere. Sogetto degno di lei, impresa già sufficientemente da grand’huomini discussa, può malagevolmente far apparer i pensieri miei allevati d’industria, non che d’ingegno et forti raggioni ripieni. Io nondimeno devo haver solo riguardo a i commodi suoi, et forse, come che altre volte m’ha fatto degno de’ suoi famigliari([250]) et frequenti raggionamenti, nè anco a questa volta li rincrescerà legger un foglio scritto, che rappresenta l’affettione e ‘l desiderio mio di servirla. Nè in scriver di questo soggetto prendo maggior baldanza, perchè sin hora sii, hormai per il valor de’ grand’huomini, sufficientemente dicchiarito; poi che dal solo consiglio de’ suoi commandi, quanto più brevemente potrò, farò compendio di quanto altrevolte, per mio solo creder, ho raggionato et per lettere più difusamente scritto.

Circa li 15 d’Ottobre 1604, nell’occultarsi del sole, vidi improviso una nova luce, che rassembrava stella <…> a Giove, di equale a lui o di maggior grandezza, quasi con l’istesso colore, ma scintillante. Sarei stato all’hora (lo confesso), per la meraviglia, incredulo a me stesso, se ciò non havessi creduto esser fiamma altamente acesa, che comunemente si dice cometa; et forse <…> maggiormente la meraviglia, quando anco così fatto splendore potevo dubbitare che fosse novamente apparso in cielo, poi che ramentomi d’haver letto che ne l’anno 1572 un simile n’apparve in Cassiopeia. All’hora, per trovar argomento di levarmi di dubio et farmi, se non chiaro, almeno men confuso, osservai con un instromento, in ciò mediocremente opportuno, una distanza tra Marte et questa nova luce, et la vidi se non maggiore, almeno equale, quando era alta da terra, a quella distanza che presi per due hore doppo, ciò è nel tramontar di quella: assai chiaro argomento, per il creder mio (s’altra condittion materiale non s’interpose), ch’ella non fosse sotto il cerchio della luna, perchè in questo caso sarebbe stata maggiore la distanza ultimamente presa della prima, come dalla occlusa figura potrà osservare([251]). Nella quale io suppongo, come è in vero, che Marte non habbi alcuna diversità d’aspetto, ciò è che nell’istesso loco si vegga stando nella superficie della terra come nel centro: ma qual si voglia reggion dell’aria o del foco non può haver questo, per la vicinanza sua: sì che se fosse stata nell’aria, si sarebbe veduta maggiore la distanza, et tramontar più tosto del dovere, per mio creder, per lo spacio quasi di doi gradi, ancorchè fosse stata quasi immediatamente sotto la luna, come dalle linee secanti et tangenti penso che si possi sottrare. Dovendo donque essere, per la detta raggione, sopra della luna, mi fu forza di creder ch’ella fosse nell’8° cielo; poi che se fosse stata in un cielo de’ pianeti, havrebbe forse havuto uno de’ moti loro, il che però non vidi mai per più giorni che l’hebbi osservata. Ma se piacesse di dire che potrebbe anco esser in un deferente degli apogei de’ tre superiori, di ciò non contendo, perchè in ogni modo il fatto sta a persuadere come la materia celeste possi mostrare di queste nove apparenze.

Ma se il Peripatetico mi rimproverasse troppa fede nell’apparenza et poca solertia nel contemplare, li rispondo che non fui lento sempre a rispondere ch’era un vapor lento e tenace aceso nell’altissima sede degli elementi, ove nondimeno più rade volte sogliono ascender così fatti vapori; et che s’a l’Italia come all’Alemagna mostrava l’istessa distanza da un’altra stella a proporzionata altezza dall’orizonte come l’altre stelle fisse, io li dissi che come quell’humore sol far apparer quel denaro, posto in fondo del vaso, più alto del suo sito reale, così questa, quanto più s’avicina all’orizonte, o per il moto del cielo o per il diverso sito degli habitanti, tanto più s’erge et s’inalza da quello per caggione de’ vapori fraposti: nè bisogna dire che ci vogli grand’elevatione per beneficio de’ vapori, perchè pochissima basta, come ho detto di sopra, sendo così lontana dalla terra, ciò è per 30 volte in circa come è il semidiametro della terra. Questa elevatione si può veder anco nel sole vicino all’orizonte, ma non però tale nè tanta, perchè molto più lontano, anzi lontanissimo, si ritrova; il che è caggione che se non pochissimo più dell’esser suo si mostri elevato, come esperimentando si può investigare. Non mi affaticcarò a dissolver varie apparenti raggioni in contrario, perchè so che a lei sarebbe superfluo, et considerarà la grandissima distanza che non li lascia mostrar tutti gli effetti di cometa; et può anco apparer visibile et grande, perchè l’aggrandiscono i vapori.

Con tutto ciò che questo habbi potuto sostenere, nondimeno quel stimolo della verità mi ha fatto prender il primo partito, et conchiuder che assolutamente stii nel cielo: et a questo tanto maggiormente mi son apigliato, sentendo che da molti luoghi lontani et per latitudine et per longitudine vien osservata in un luogo istesso. Et di questo parere sendo ogni diligente osservatore, resta solo il provare come ella sii prodotta nell’8° cielo.

Fu eccellentissimo et elevatissimo spirito, gentil’huomo di questa citta([252]), che asseriva che ad una parte densa dell’8° cielo vi s’è congionta un’altra parte densa d’inferior cielo, et quella luce che per sè niuna poteva render, adesso ambi unite la dimostrano, opinione veramente sotile, ma, per mio gusto, poco dimostrativa. Poi che (lasciando da parte molti altri argomenti) questo cielo inferiore non può esser di , nè meno d’altro pianeta, perchè nello spacio di mill’anni sarebbe passato più di trenta volte a far apparer questa nova luce, et nondimeno non s’è più veduta; et se è d’un altro cielo, per questo effetto novamente dal nostro volere posto in cielo, che in mill’anni non habbi fatto una revolutione, sarebbe stato necessario, movendosi così lentamente, che a poco a poco fosse cresciuta la nominata stella, come veggiamo farsi dell’ecclissi, et così lentamente, che a gionger a tal grandezza dovrebbe esser stata gli anni interi, massime se vogliono admetter che quel cielo inferiore sii uno degli apogei di . Sì che per sodisfarci meglio, altrimenti bisogna dire; et perciò se diremo che sii prodotta nell’8° cielo, si dee anco avertire che non paia cosa strana nella scola dei Peripatetici. Onde io dico prima, che sebene Aristotile disse ch ‘l cielo è ingenerabile e incorottibile, nondimeno non dice, nè da lui si cava, che non si possi produrre nova stella; anzi che delle sue conchiusioni si deve dire, che sendo le stelle più dense parti degli orbi suoi, questa altro non sii che una densata parte dell’orbe suo. Ma s’alcuno mi ricchiamasse, con dire: La materia del cielo è soda, e non flussile, nè da agente alcuno possi condensarsi, io son tenuto, per il mio potere, di ritrovar il vero.

Dunque, primieramente, a chi considera l’opere di natura è manifesto che il corpo denso più s’avicina all’opaco che non fa il flussile e liquido, come si può vedere dalla natura terrestre, la quale, come densissima, è anco di tutti gl’elementi et elementali corpi opacissima, dalla quale quanto più si scostiamo, trovamo elementi et meno densi et in tutto flussili. Dunque, sendo il cielo lontanissimo dalla terra, deve essere non opaco come quella, nè meno denso, come che non habbi per niente dell’opaco; anzi che, sendo sopra il foco, deve tanto più superarlo con la rarità sua, A questa aggiongo la seconda raggione. Il cielo della luna ha questa natura (secondo la premessa d’Aristotile), che densandosi produce corpo opaco, come si vede nella luna istessa: se donque fosse di materia soda, inclinarebbe alla densità, et così a poco a poco s’avicinarebbe alla natura dell’opaco; il che sendo gravemente fuggito da natura, qual intende illuminar le cose sublunari, non oscurarle, si deve per consequenza dire che non è quel cielo materia soda, ma flussile et propriamente eterea, ma senza comparatione molto più degna del foco elementare: da questo caverano i Peripatetici una consimil natura degli altri cieli. Al terzo loco pongo altresì chiara et, per mio creder, efficace raggione. Se la materia degli orbi celesti fosse soda, come non veggiamo noi che evidentemente sarebbero impediti i raggi de’ pianeti et dell’inerranti stelle? sì che non si potrebbero liberamente trasmetter in questi elementi inferiori? Questo si può sufficientemente osservare in lucidissimi cristalli o altra materia più trasparente, ma soda in sè stessa.

Da queste raggioni si può facilmente credere che la materia del cielo sii atta per condensarsi: et se si può condensare, di gracia non dubbiti alcuno ch’ella sii alterabile et corrottibile, perchè questa, se la vogliamo dire alteratione, non è destruttiva, ma perfettiva. Et per darli compita sodisfattione, io dico: O vero quella varietà tra le stelle et l’altre parti del cielo importa propria alteratione e contrarietà; o non. Si deve dire che no, perchè è varietà perfettiva. Così donque, che si formi nova stella per condensatione delle parti del cielo, non importa contrarietà o varietà destruttiva, ma perfettiva. Se donque non repugna alla materia celeste condensarsi et far apparere nova stella, non è da creder che non vi si trovi agente proportionato per effettuar questo, per non haver questa potenza in vano. Questo naturale agente potrà facilmente esser creduto il lume de’ pianeti, et a gran raggione; poi che operando questo istesso nelle cose inferiori, mediante però il calore prodotto dalla reflessione de’ raggi loro, si deve inferire che il lume istesso servi natura di operare; et sì come deriva da materia celeste, così quella a punto può esser disposta materia all’immediata operatione sua; et sì come qui a basso con il calore congrega et adduna le cose consimili et separa le dissimili, così nell’8° cielo deve congregare et condensare quella materia in sè stessa consimilissima, et deve congregare come si è detto, perchè opera secondo il suo principio, che è corpo delle stelle et luminari denso et congregato. Ma se non operasse quel lume de’ pianeti nell’8° cielo, in vano la natura gl’havrebbe fatti corpi rottondi, et dalla parte superiore parimente luminosi. Aggiongo che se non occoressero alle volte di queste apparenze et nove stelle, potressimo facilmente negare che nel cielo vi fosse altra materia fuor che i soli corpi de’ pianeti et stelle. Ingratitudine sarà donque il rifiutar queste apparenze che ci vogliono insegnare et farne certi di cose tanto sublimi.

Restarà forse un poco di meraviglia, perchè così rade volte si veggano tal’apparenze. Si deve dire che rare volte ancora occorrono di così fatti concorsi et unioni de pianeti come questa fatta nel segno di Sagittario, nel cui trigono si può calcolare che per lo spatio di 900 anni non sii fatta un’altra congiontione di Giove et di Saturno, alla quale vi s’è aggionto Marte, pur grave et pianeta superiore. Ma perchè occorrono constitutioni più frequentemente, ma di minor valore, perciò se ne producono ancora de così fatte stelle, ma molto minori di grandezza, sì come tre anni sono una, ma picola, apparve nel Cigno, et il Sig.r Tycone, solertissimo osservatore, ne trovò tal volta più di dieci o dodeci oltre al numero prefinito di Tolomeo; ma non sono di tal meraviglia, perchè così da ogn’uno non si pono osservare, per la picola quantità loro.

Hora per le cose dette non credo ch’a V. S. Ill.re et Ecc.ma debbi restar scropolo di sorte alcuna: et se volessimo anco congietturare se può esser durabile questa stella, potremo saperlo in questa maniera. Ella ha havuto l’esser da caggione non permanente, come è il concorso de pianeti; adonque non può ella esser senza fine, poichè l’effetto partecipa solo la natura della causa, non più oltre. Così l’ho vedut’io nei giorni passati, poi che è fatta orientale, sminuita in gran parte.

Non ho potuto esser più breve, in materia non così chiara: però lei mi perdoni s’ho trapassato il foglio. Che per fine li baccio le mani.

Di Verona, a 15 di Gen.o 1605.

Di V. S. Ill.re et Ecc.maAffett.mo Servitor Ottavio Brenzoni.

116.

BALDASSARE CAPRA a GIO. ANTONIO DELLA CROCE.

Padova, 16 febbraio 1605.

Cfr. Vol. II, pag. 289 [Edizione Nazionale].

117*.

[GIROLAMO SPINELLI] ad ANTONIO QUERENGO [in Padova].

Padova, 28 febbraio 1605.

Cfr. Vol. II, pag. 311 [Edizione Nazionale].

118*.

GIOVAN FRANCESCO SAGREDO a GALILEO in Padova.

Venezia, 12 marzo 1605

Bibl. Est. in Modena. Raccolta Campori. Autografi, B.a LXXXVIII, n.° 36. – Autografa.

Ecc.mo S.r Hon.mo

Ho havuto tanto tardi la lettera di V. S. Ecc.ma, che non si è potuto preparar alcuna cosa per sollevarla dal travaglio che ella mi scrive([253]); ma dimattina si farà([254]) ogni possibile, e se le manderanno anco lettere di favor per l’Ill.mo S.r Podestà.

Hebbi le sue scritte dal P. M.ro Paolo, insieme con li cecchini quattro; il che credo che ella habbia fatto per darmi essempio di quello che io ho a fare quanto le scrivo per baretti o altro. Mi spiace della sua infirmità, e prego N. S.re che al gionger di questa ella habbia recuperata la sua sanità. E me le raccomando.

In V.a, a 12 Marzo 1605.

Di V. S. Ecc.maAff.mo per serv.la Gio. Fran. Sag. in fretta.

Fuori: All’Ecc.mo S.r Hon.mo

Il S.r Galileo Galilei, Mathem. di

Padova.

119*.

ALESSANDRO SERTINI a GALILEO in Padova.

Firenze, 16 aprile 1605.

Bibl. Est. in Modena. Raccolta Campori. Autografi, B.a LXXXIX, n.° 110. – Autografa.

Ill.re ed Ecc.mo Sig.r mio,

Io ho havuto carissimo d’intender da V. S. che la mia lettera non ha trovato luogo o possibilità di operare effetto alcuno appresso di lei in raccomandazione del Sig. abate Giugni([255]), già che V. S. dice che la gentilezza e i meriti di lui havevano di maniera occupata la grazia e l’animo di V. S. per prima, che ogni augumento rimaneva impossibile. Nè meno caro lo ha havuto il Sig. Cav.re, padre([256]) del Sig. abate, il quale con grandissimo gusto ha veduto la lettera che V. S. mi scrive. E benchè da quello che ella mi dice io vegga che Firenze non può sperare di haverla a rihavere, tutta volta non voglio già perder la speranza che noi ci habbiamo a riveder quando che sia, o per la venuta sua qua, o per la mia in codesti paesi.

Il mio fratello bacia le mani a V. S. infinitamente, e desidera ch’ella lo consigli a che parte delle mathematiche si debbe appigliare, presuposto, come io le scrissi già, ch’egli abbia veduto Euclide. Dico questo, massimamente perchè V. S. scrive che, havendo questa scienza molte parti, vorrebbe sapere che qualità di libri il mio fratello desidera, per poterli provvedere. Le dico per tanto ch’e’ si rimette a lei, la quale sa benissimo quali sia meglio ch’e’ pigli a vedere prima, e quali poi.

Saprà V. S. di più, ch’io sono stato pregato, da tali amici miei che io non ho potuto per alcun modo disdir loro, di chiederle un favore: e questo è, che qua sono stati veduti alcuni strumenti geometrici inventati da V. S., uno in mano al Sig. Orazio dal Monte, un altro in mano ad altri, il nome del quale non ho in memoria. Ora io sono stato pregato strettamente di voler pregar lei che voglia mandarne due, inviandoli a me, e mandare insieme la regola e il modo di usarli; per la qual cosa io chieggo grazia a V. S., poichè questi amici miei mi honorano credendo che io possa qualcosa appresso la cortesia sua, ch’ella non voglia render vana questa loro credenza, ma favorir me e loro. Bene è vero che, non sapendo io quanto questa richiesta importi e vaglia appresso di lei, io non vorrei parerle nè indiscreto nè prosontuoso: però voglio che il tutto si intenda, se quello che io le chieggo è cosa ch’ella possa fare senza suo disgusto e pregiudizio. Se mi potrà favorire, io stimerò il favore infinitamente; potrà insieme avvisare che spesa ci sia stata di manifattura, e dove voglia che sieno rifatti i danari, o qui o in Venezia: e ‘l medesimo le dico de’ libri che desidera il mio fratello. L’instrumento mi dicono che si chiami instrumento geometrico: questo è quanto io ne so. Presupongo che V. S. abbia inteso che cosa sia: e perchè io l’ho abbastanza tediata, farò fine, baciandole le mani e pregandole ogni contentezza.

Di Firenze, addì 16 di Aprile 1605.

Di V. S. Illustre et Ecc.aSer. Aff.mo Alessandro Sertini.

Se quello ch’ella ha scritto intorno alla stella([257]) si è stampato, come mi scrisse che seguirebbe, favoriscaci di mandarcelo; perchè di qua non si è visto, e mi immagino che non sia gran volume.

Fuori: All’Ill.re et Ecc.mo Sig. mio Oss.mo

Il Sig.r Galileo Galilei, in

Padova.

120.

VINCENZO GIUGNI a GALILEO in Padova.

Firenze, 4 giugno 1605.

Bibl. Naz. Fir. Mss. Gal., P. I, T. VI, car. 144. – Autografa la sottoscrizione.

Ill.re et molto Ecc.te S.r mio,

In risposta della vostra, se ben lunga, breve sarò io di risposta: et non li risposi la settimana passata per non essere comparso l’abate, mio figliuolo; di poi, sendo venuto, et sentito in voce da lui le carezze et gl’onori che gl’havete fatto in accarezzarlo et insegnarli, mi è parso significandogliene ringratiarla. Et havendo inteso da lui di vostri disagi et travagli, et sentendoli lodare il vostro instrumento, et con quanta prestezza e’ si può rendere utile a’ principi et a’ particolari, mi è parso farne passata con Madama Ser.ma nostra Padrona, dicendoli, nel meglio modo che ho saputo, la volontà di V. S. essere d’indirizzare detto instrumento et ragion d’esso all’Altezza del Principe nostro; et ho ancora detto di più, che potrebbe fare risolutione di passare qua per questa state, per passare le vacanze et fuggire i caldi et rendersi pronto a mostrare al Gran Principe di quant’utilità sia il suo instrumento: la qual Madama m’ha risposto che sia indiritto al Gran Principe, et che passando qua sarà visto come meritano le sue virtù. Però venga allegramente, chè sarà ben vista.

Quanto alla causa sua che verte a’ Consiglieri([258]), sentirete il successo dal vostro procuratore, che altro sopra ciò non dirò, restando al vostro servitio, me li raccomando.

Di Fiorenza, li 4 di Giugno 1605.

Di V. S. Ill.re et Ecc.te S.r Galilei.Aff.mo per servilla Vinc.o Giugni.

Fuori: All’Ill.re et Ecc.te S.r mio Oss.mo

Il S.re Galileo Galilei, leggente in

Padova.

121.

GALILEO a NICCOLÒ GIUGNI in Firenze.

Venezia, 11 giuguo 1605.

Autografoteca Azzolini in Roma.–A LUIGI AZZOLINI la presente lettera fu ceduta da EMILIO SANTARELLI, che l’aveva avuta da FRANCESCO TASSI, il quale l’aveva tratta dall’Archivio GIUGNI.

Molto Ill.re et Rev.mo Sig.re Cole.mo

Per una affettuosissima lettera dell’Ill.mo Signor padre di V. S. Rev.ma ho compresa la relazione fatta da V. S., proporzionata più alla bontà et nobiltà dell’animo di V. S. che al mio merito: ma non si comprenderia l’eccesso della sua bontà, se i suoi offizii pareggiassino solamente, e non sopravanzassino, gl’altrui meriti. Ho anco inteso quanto è stato trattato con coteste A. S.me, che sarà causa di farmi rivedere in breve V. S. R.ma e ricompensare in parte i miei mancamenti, tuttavolta che avanzi a V. S. tempo di prevalersi della mia servitù.

Io sono ancora in Venezia; ma spero domani tornarmene a Padova, essendosi terminata la mia lite([259]) nel modo che più diffusamente scrivo all’Ill.mo Signor suo padre. Di Padova mi partirò quanto prima habbia regolate le cose mie, e sarò a riveder V. S. R.: alla quale in tanto mi ricordo servitore devotissimo, e con ogni reverenza bacio le mani. Il Signore la colmi di felicità.

Di Ve.a, li 11 di Giugno 1605.

Di V. S. molto Ill.re et Rev.maSer.re Oblig.mo Galileo Galilei.

Fuori: Al molto Ill.re et R.mo Sig.re et Pad.ne Cole.mo

Il S. Abate Giugni.

Firenze,

San Salvi.

122.

GIOVANNI DEL MAESTRO a GALILEO in Firenze.

Pratolino, 15 agosto 1605.

Bibl. Naz. Fir. Mss. Gal., P. I, T. VI, car. 146. – Autografi la sottoscrizione e l’indirizzo.

Molto Ill.re Sig.r mio,

Desidera Madama Ser.ma la venuta di V. S. qua, sì per il virtuoso trattenimento del Ser.mo Principe, come anco per l’acquisto della sanità di lei in questa felicissima aria di Pratolino, che gliela spera molto giovevole, trasportandosi da cotesto catino a questa eminenza, dove se li conserva buona camera, modesta tavola, buon letto e grata cera. Se verrà stasera, o vorrà indugiare a domattina, in ogni tempo Mess. Leonido aportatore li farà dare una buona lettiga. Et io senza più me li offero servitore, e li prego da Dio contento.

Di Pratolino, li 15 d’Agosto 1605.

Di V. S. molto Ill.reSer.re Aff.mo. Gio. Del Maestro

Fuori: Al molto Ill.re Sig.re

Il Sig.e Dottore Ghalilei, mio Sig.re Oss.mo

Firenze,

dal Carmine, subito.

123*.

CRISTINA DI LORENA a GALILEO in Padova.

Firenze, 25 ottobre 1605.

Bibl. Naz. Fir. Mss. Gal., P. I, T. XIV, car. 9. – Autografa lafirma.

Mag.co nostro Dilettiss.mo

Si trova, come sapete, in Padova Matteo Giusti, che attende allo studio delle leggi: et intendendo Noi che egli si diletta anche delle matematiche et che ne ha buonissimi principii, desideriamo che l’habbiate per raccomandato et che siate contento d’insegnarli con la vostra solita diligenza et amorevolezza; perchè, essendo egli nipote d’un nostro accettissimo servitore, ne farete particolar piacere a Noi ancora. Et Nostro Sig.r Dio vi conservi et contenti.

Di Fiorenza, li 25 di Ottobre 1605.

il Galilei.Chrest.na G. D.sa

Fuori: Al Mag.co Mess. Galileo Galilei,

Nostro Dilett.mo

Padova.

124**.

ASDRUBALE BARBOLANI DA MONTAUTO a BELISARIO VINTA in Firenze.

Venezia, 29 ottobre 1605.

Arch. di Stato in Firenze. Filza Medicea 2999, n.° 118. – La lettera è per circa la prima metà di mano d’un segretario, e poi autografa, e autografa è pure la sottoscrizione. Il capitolo che riproduciamo è nella parte di mano del segretario.

Molto Ill.re S.re P.ron mio Oss.mo

È stato da me il S.re Matematico Galilei, et rimasto interamente sodisfatto per i commandamenti venutimi di costì et per quel che gli ho promesso et posso fare a suo servitio, come vedrà V. S. nella Publica([260]), nella quale ella mi ordina ch’io ne dia conto….

125**.

ASDRUBALE BARBOLANI DA MONTAUTO

a FERDINANDO I, Granduca di Toscana, in Firenze.

Venezia, 29 ottobre 1605.

Arch. di Stato in Firenze. Filza Medicea 2999, n.° 117. – Originale con sottoscrizione autografa.

Ser.mo S.re

Di commandamento di V. A. m’ordina, il Cav.r Vinta ch’io raccomandi il S.re Galileo, Matematico di Padova, et gli interessi suoi con occasione et vivezza al Proc.re Donato; et per tale effetto è stato da me il medesimo Galileo, il quale è restato pienamente sodisfatto, quando m’ha ritrovato prontissimo essecutor del commandamento, et che insieme gli ho accennato che una parola di V. A., o di suo ordine, detta al Lio([261]), che viene hora a risiedere appresso di quella, come a huomo intrinsechissimo del S.r Donato et che l’ha servito di secretario nelle sue cariche, farà grandissimo effetto, et che io lo servirò in oltre, con ogni vivezza et con maggior certezza di vero effetto, con il S.re Girolamo Capello, tanto devoto et affettionato all’A. V., che è compagno et nella medesima carica del Proc.re Donato. E non posso restare di dire, che, per molto ben disposto et affetto che sia il Proc.re Donato, egli ha sempre nome d’esser parchissimo et strettissimo nel dar provisioni et accrescimenti, che è quel che desidera il Galilei. Di presente non sono questi SS.ri in Venetia, nè si deve trattare. A suo tempo saran ritornati loro, verrà il Galilei qui, et io lo servirò vivamente….

126.

VINCENZO GIUGNI a GALILEO in Padova.

Firenze, 5 novembre 1605.

Bibl. Naz. Fir. Mss. Gal., P. I, T. VI, car. 148. – Autografi il poscritto e la sottoscrizione.

Ill.re et Ecc.mo Sig.r mio,

Di poi la sua partita non li ho scritto per carestia di tempo: tengo ben nuova dal S.re Residente di costà per S. A., che era arrivata con buona salute, et da esso gl’era stato detto quanto S. A. haveva fatto ordinare che a favor di V. S. parlassi al Clar.mo Procuratore Donato; et quando io lo dissi a S. A., mi disse: Molto volentieri vogliamo aiutare il Galileo, perchè è virtuoso; però di’ al Vinta, che in su la lettera che noi scriviamo al Residente, dica che lo raccomandi efficacissimamente. Mi è parso dargliene avviso, et in tanto ricordarmegli per qualche suo servitio, et ricordarmegli nella memoria che la mi dette una lettione e mezzo sopra il regolo, che per la mia poca capacità([262]) non ritenni troppo; se gli paressi ch’io meritassi ricevere la sua grazia di qualche suo scritto, acciò io potessi diventar capace di quelli conti, che, con brevità ben distillati da lei, rendono agevolezza a qual si voglia rozzo intelletto. La supplico in ciò, et me li rendo affezionatissimo: et li bacio la mano, pregando il Signore Iddio che li dia il colmo di ogni suo desiderio.

Di Fiorenza, li 5 di Novembre 1605.

Di V. S. Ill.re et Ecc.ma

Le parole di S. A. funno queste: Vinc.o, questi Clar.mi ([263]) ànno per male le lettere de’ Principi; però io voglio che lo faccia il mio Residente: serva per suo aviso, quanto basta, et non altro; et al suo tempo soleciti il Residente, chè farà più che la lettera, dicendo da parte di S. A.

Aff.mo et per s.lla

Vinc.o Giugni.

Fuori: All’Ill.re et Ecc.mo Sig.r mio Oss.mo

Il S. Galileo Galilei, in

Padova.

127.

GALILEO a [CRISTINA DI LORENA in Firenze].

Padova, 11 novembre 1605.

Bibl. Naz. Fir. Mss. Gal., P. I., T. IV, car. 18. – Autografa.

Ser.ma Mad.ma et mia Sig.ra Col.ma

Haverei, per mia naturale disposizione et per l’amicizia che ho antiquata col S. Camillo Giusti, procurato sempre che l’opera mia dovesse esser al S. Matteo Giusti di aiuto nelli studii delle matematiche. Hora che ci si aggiugne il comandamento di V. A. S.ma ([264]) l’haverò per mia impresa principale, sì come sono per antepor sempre i suoi cenni ad ogn’altro mio affare, reputandomi allora haver segno di participare della grazia di V. A. S., della quale vivo sommamente avido, quando mi darà occasione di ubidire a i sui comandi.

Io sto aspettando che mi siano mandati li due strumenti d’argento, per poterli segnare et rimandare perfetti. In Venezia ho fatto dar principio ad intagliare le figure che vanno nel discorso circa l’uso di esso mio strumento; et intagliate che siano, farò subito stampar l’opera([265]), consecrandola al nome immortale del mio Ser.mo et Humaniss.o Principe. Al quale intanto con ogni maggiore humiltà m’inchino, dopo l’havere al Ser.mo G. D. et a l’Altezza Vostra con infinita reverenza baciata la vesta, con pregargli da S. Divina Maestà il colmo di felicità.

Di Padova, li 11 di Novembre 1605.

Di V. A. S.Humil.o et Oblig.mo Servo Galileo Galilei.

128.

GALILEO a [COSIMO DE’ MEDICI in Firenze].

Padova, 18 novembre 1605.

Bibl. Naz. Fir. Mss. Gal., P. I, T. IV, car. 14. – Autografa.

Ser.mo Sig.re mio Pad.ne Col.mo

Havevo speranza di potere a quest’hora rendere a V. A. S. quelle grazie che devo, per havere ella fatto con tanta efficacia raccomandare il mio negozio all’Ill.mo S. Proc.or Donato, et insieme darli conto del successo di esso; ma già che per la lunga assenzia da Venezia dell’Ill.mo S. Girolamo Cappello, che è uno de i Riformatori, non si è per ancora spedita cosa alcuna, et forse non si spedirà così presto, non mi è parso di dover differir più questo mio debito, e tanto più quanto dal Sig.or Residente di V. A. S. ho hauto avviso come ha già trattato col S. Donato et hauto bonissime promesse. Io dunque, con quella infinita humiltà che devo, rendo grazie all’ A. V. di essersi compiaciuta di favorire et honorar tanto un suo minimo servo, il quale, altro non potendo, terrà in perpetuo scolpito nell’anima un tanto debito, et in compensa gliene pregherà da S. D. M. il colmo di felicità. Et qui con ogni humiltà la inchino.

Di Padova, li 18 di 9mbre 1605.

Di V.A.S.Hum.mo et Obed.mo Servo Galileo Galilei.

129.

CIPRIANO SARACINELLI a GALILEO in Padova.

Villa dell’Ambrogiana, 5 dicembre 1605.

Bibl. Naz. Fir. Mss. Gal., P. I, T. VI, car. 150. – Autografa la sottoscrizione.

Molto Mag.co et molto Ecc.te S.r mio,

Hebhi a’ dì passati nella Villa del Poggio una lettera del cognato di V. S.([266]), con la quale mi dava nuova dell’arrivo di lei a Padova, che mi sarebbe piaciuto assai senza l’agiunta della sua indispositione; et perchè eravamo sul ritornare a Fiorenza, non gli risposi subito, sperando quivi di vederlo et parlargli; il che però non mi venne mai fatto, onde la lettera di V. S. de’ 25 del passato è giunta aspettatissima et gratissima, havendo inteso, oltra il resto et che importava il tutto, ch’ella si trovasse di già con buona salute. Quanto alla dispositione et affezzion mia verso la persona di V. S., deve credere che sia ferma et costante, perchè io non cominciai ad amarla et honorarla subito che la viddi et ragionai seco una volta, ma doppo haver conversato seco intrinsecamente qualche tempo; onde quella benevolenza alla quale è preceduta la cognizione, non si può pensar che sia si non salda et immutabile. Ma senza tanta pratica haverei anche fatto il medesimo, poi che il bello et il buono, cioè la virtù, ha forza di tirare a sè l’ animo et la volontà di chi la può, anche mediocremente et quasi da lontano, conoscere et considerare; nel qual caso appena ardisco io di collocarmi non havendo notitia alcuna della nobile et principal professione di V. S. Ma ella è accompagnata da tante altre virtù, che garreggiano tra loro del primo luogo, che sarei bene in tutto rozo et ingnorante, se non sapessi fare una induzzione, permezzo della quale possa arrivare a sapere et intendere che io amo et osservo V. S. con molta ragione. Et di questo fin qui.

Circa i studii del Ser.mo Principe nostro, de’ quali desidera([267]) che io le dia conto, se ella intende delle mattematiche, posso dirle assulutamente che dalla partita di V. S. di Fiorenza in qua, non ha pur visto, non che operato, mai l’Istrumento([268]), non perchè la scienza non piaccia molto a S. Altezza, ma parte perchè non vi è chi si ricordi così bene le operationi, et parte perchè la Corte è andata continuvamente innanzi et indietro, senza altri diversi impedimenti che vi sono stati; ma come saremo in Pisa, si farà intorno a ciò, al sicuro, qualche cosa. Intanto ella mettarà mano, et forse finirà di stampare il libro, che servirà al Sig.r Principe per un gran stimolo, non che per memoriale.

Sono appunto dua giorni che qui fu detto che quel giovine del S.r Don Antonio([269]) haveva una volta finiti quegli istrumenti d’argento; che quando sia vero, V. S. li potrebbe havere con il prossimo ordinario, perchè Madama Ser.ma ha ordinato([270]) al guardarobba che se gli faccia dare et glie ne mandi. Ho quasi voglia di aggiugner V. S. per un essempio in quel’opuscolo che fa Plutarco De vitiosa verecundia, poi che la dice di non haver havuto ardire di scrivere al Ser.mo Sig.r Principe; poi che ella si può ricordare che l’ha vista sempre volentieri, et io le fo fede che l’ama et la stima assai, et la saluta ancora molto affezzionatamente.

Il Caval.r Ferdinando([271]), mio nipote, li è altrettanto servitore quanto le son io, et se potessi dir più, lo direi, perchè esso spera d’imparar da V. S. qualche cosa, dove io non son più a tempo, nè buono ad alcun mestiero. Il S.r Coloreto([272]) si trova a Livorno con il Granduca. dove S. Altezza è andata per stare otto o dieci giorni; ma subito che torna, farò l’offitio, et so certo che le sarà molto grato. Al S.r Silvio([273]), che è restato qui con il Sig.r Principe, ho detto quanto V. S. mi scrive di quel libro che gli vuol mandare([274]); di che è restato sodisfattissimo, et si raccomanda a V. S. con molto affetto. Et io insieme con il Caval.r Ferdinando le bacio le mani, et prego il Signore Dio che le doni, con la sanità, tutte le cose che lei desidera.

Dalla Villa dell’Ambrogiana([275]), il dì 5 di Decembre 1605.

Di V. S. molto Mag.caAff.mo et Certiss.o Ser.re Cipriano Saracinello.

Fuori : Al molto Mag.co et molto Ecc.te S.r mio Oss.mo

Il S.r Galileo Galilei, professore di Mathemmatica in

Padova.

130*.

OTTAVIO BRENZONI a GALILEO in Padova.

Verona, 19 dicembre 1605.

Bibl. Naz. Fir. Mss. Gal., P. VI, T. VII, car. 76. – Autografa.

Molto Ill.re et Ecc.mo Sig.r mio Oss.mo

Il contento ch’ho havuto nel sentir nova di V. S.a Ecc.ma, il desiderio ch’ho di servirli, la pressa, una sol hora di tempo o poco più datami dal Sig.r Bastiano per la risposta ch’attende, finalmente lo smassellarmi quasi dalle risa per la nova logica dal mio carattere messa in campo, mi ha posto tal confusione nel capo, che non so se il prognostico potrà riuscire per tacuino ordinario. Così mi ha detto di voler partir hoggi il Sig.r Bastiano; il che se non fosse, come dalla sua mi par di scorgere, mi farebbe torto, come gli ho detto, a non servirsi della casa nostra, che è obligata a V. S. Ecc.ma In questo mentre, per non mi sfredir la mano et pria che mi si spunti la pena, cominciarò a stender dieci parole circa la formata figura: nella quale avertirò prima, che sendo secondo l’Efemeridi del Carelli([276]), può esser facilmente piena d’errori, come sarebbe tal volta di dieci gradi in ; ma se però svariasse poco dallo Stadio([277]) (il che non ho potuto vedere, per haverlo fuori di casa, nè meno dalli secondi mobili, per l’angustia del tempo), potressimo andar congietturando, come dirò per piacere a V. S. Ecc.ma Il qual raggionamento sendo come di cose vane, pregaròla farsene, et di tutta la lettera insieme, un paio di stecchi per adoprar nei necessarii bisogni: havrò anco a favore se tacerà il mio nome et quelle cose che li parerano di silentio degne, poichè potrei scriverli più liberamente di quello forse ch’è espediente.

Il temperamento donque di questo Signore li dà che sii sottoposto ad un poco di catarro dalla testa, caggionato prima da indispositione di stomaco: questo è poi caggione di qualche ombra di vertigine, poi che non sono molto ben disposti gli occhi, così per certe offuscationi come per altro, come son per dire. Può ancora patire alcun flusso di sangue dal naso, forse dalla parte sinistra, per il consenso della milza, dalla quale può sentir alle volte alcun travaglio: è anco atto a ricevere qualche ulcereta di mal francese, così nelle parti obscene come che scaturischi circa il colo et le gambe (facio assai se la pena mi serve sino in fine). Questa costitutione non è molto lontana dal significato di un poco di sciatica: finalmente non è senza raggione se provasse alcun flusso di corpo, come diarea et disenteria. Il fine dello stame non è violento, ma naturale: èvi però di violento alcuna calciata di quadrupede, caduta da cavallo con pericolo di rompersi una gamba et ricever percossa nella testa. In un occhio ancora può patir qualche sinistro, ma, come spero, senza pericolo di perderlo. La  è forse dubia se caschi in o non: però se fosse in , sarebbe contrario significatore; stando così, è buona per molta successione di robba, ma con molto dispendio, così per piezarie come per causa di governatori et per condane, poi che se non vi è significato di bando, manca poco. La maggior causa del male sono così fatti amici et compagni. Così gli honori sarebbero grandi, se quel concubinario di non inducesse a concubine frequentemente con gli amici; et per ciò par che così un poco caschi la riputatione. Si potrebbe aggiustare per l’ascendente all’antiscio di  se fu circa li 29 anni, caduta, pericolo d’animali, di morsicatura et di foco ancora, con melancolica infirmità; poi per il mezo cielo a circa li anni 23, se fu rissa, questione con un poco di dishonore, forse per fugire, lasciando gli amici; et di qui aggiustata che fosse, si potrà far facilmente giuste le dirrettioni.

La pressa mi fa finire: promettoli però di scriverli più spesso, perchè lei non si scordi l’osservacioni per intender il mio carattere. Mi rallegro molto del bene del Sig.r Bronziero([278]); et a V. S. Ecc.ma riverente baccio le mani.

Di Verona, alli 19 Dicembre 605.

Di V. S. molto Ill.re et Ecc.maAffett.mo Servitor Ottavio Brenzoni.

Fuori: Al molto Ill.re et Ecc.mo Sig.r mio Oss.mo

Il Sig.r Galileo Galilei, Matematico di

Padoa.



Categorie:Galileo Galilei

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