Galileo Galilei. LE OPERE. Volume 10 (Parte 2)

131.

GALILEO a COSIMO DE’ MEDICI [in Firenze].

Padova, 29 dicembre 1605.

Bibl. Naz. Fir. Mss. Gal., P. I, T. IV, car. 15-16. – Autografa.

Ser.mo Principe et mio Sig.re Col.mo

Io ho tardato sin’hora a scrivere a V. A. S.ma, ritenuto da un timido rispetto di non mi esporre ad una nota di temerità o arroganza; et prima ho voluto per via di confidentissimi amici e padroni inviarli dovuti segni di reverenza, che direttamente comparirgli avanti, parendomi di non dovere, lasciando le tenebre della notte, assicurarmi di fissare immediatamente gl’occhi nella serenissima luce del sole oriente, ma di andargli prima assicurando et fortificando con lumi secondarii et reflessi. Hora, che ho sentito haver V. A. S. ricevuti i miei humilissimi segni di devozione con quell’istessa benignità di aspetto con la quale si degnò sempre di aggradire la mia presenzial servitù, vengo con sicurezza maggiore ad inchinarmeli et ricordarmeli per uno di quei fedelissimi et devotissimi servi, che a somma grazia et gloria si reputano di essergli nati sudditi; se non inquanto questo mio debito naturale precide la strada alla mia volontaria elezione di poter mostrare all’Altezza Vostra di quanto lunga mano io anteporrei il giogo suo a quello di ogn’altro Signore, parendomi che la soavità delle sue maniere et la humanità della sua natura siano potenti a far che ciascheduno brami di essergli schiavo. Questa mia naturale disposizione fa che io non pensi ad altro che a quello che potesse esser di servizio di V. A. S.; ma dubito molto di non gli havere a restare servo in tutto inutile, poi che i maneggi et l’imprese grandi non sono da me, et sono le basse aliene da l’Altezza Vostra. Supplisca dunque al difetto delle mie forze l’eccesso della sua benignità, et si appaghi di quello che, mancando negli effetti, soprabbonda nel mio animo.

Al Ser.mo Gran Duca et a Madama Ser.ma desidero esser ricordato per devotissimo servo per bocca di V. A. S.; anzi, desiderando ricordarmi tale all’Ill.mo et Ecc.mo S. D. Ferdinando Gonzaga et a gl’Ill.mi et Ecc.mi Sig.ri Orsini([279]), ho concluso che questo mio affetto, passando per la lingua di V. A. S., aqquisti tanto di efficacia et valore, che il dir lei a quelli Ecc.mi Signori solamente: Il Galilei vive vostro devotissimo servo, possa eccedere qualunque più culta et efficace orazione, che per persuadere questa verità io potessi imaginarmi. La supplico pertanto ad esser servita di farmi tal grazia; et a Lei stessa con ogni humiltà inchinandomi, prego da Dio il colmo di felicità.

Di Padova, li 29 di Xmbre 1605.

Di V. A. S.maDev.mo et Hum.mo Servo.

Fuori: Al Ser.mo Principe di Toscana etc.

mio Sig.re Colend.mo

132.

COSIMO DE’ MEDICI a GALILEO in Padova.

Cerreto, 9 gennaio 1606.

Bibl Naz. Fir. Mss. Gal., P. I, T. XIV, car. 15. – Autografe la lin. 20 [Edizione Nazionale] e la sottoscrizione.

Molto Mag.co mio Dilett.mo

Ho riconosciuto nella lettera di V. S. de’ 29 del passato la molta modestia che conobbi in lei continuamente mentre l’estate passata si lasciò godere in queste bande, ma non vi harei già voluto vedere quel timido rispetto o dubbio d’esser notato di temerità, se senza altri internuntii m’havesse scritto: perchè in questo modo, o V. S. dissimula di conoscere i proprii meriti, o crede che non sieno ben conosciuti da me. Dell’eccellenti virtù sue ho veduto saggio tale in me stesso, che deve credere che ne conservi et continua et viva memoria: et se bene quel virtuoso seme che V. S. s’ingegnò di spargere nell’intelletto mio, per varii accidenti non ha fruttificato, come forse poteva et doveva, tuttavia spero in Dio che se occorrerà che ella torni a rivederlo, non lo troverà forse tanto soffogato, che la buona cultura sua non possa germogliare. Et quando ritorneranno in qua gli istrumenti d’argento, segnati et accomodati da lei, mi saranno facilmente et di ricordo et di stimolo a ripigliarli et essercitarli un poco.

Non deve dubitar V. S. che appresso il Granduca et Madama, miei Signori, si perda la memoria di lei; et io glie ne ho rinfrescata con l’occasione della sua lettera. Con che m’offero prontissimo a ogni suo commodo, et prego Dio che la contenti sempre.

Di Cerreto, il dì VIIII di Gennaro 1606.

S.or Galileo, io son tutto di V. S. S.r Galileo Galilei.Al piacer suo Don Cosimo P.e di Tosc.

Fuori: Al molto Mag.co mio Dilettiss.o

Il Sig.r Galileo Galilei, a

Padova.

133*.

FERDINANDO SARACINELLI a GALILEO in Padova.

Cerreto, 12 gennaio 1606.

Bibl Est. in Modena. Raccolta Campori. Autografi, Ba. LXXXVIII, n.° 170. – Autografa.

Molto Ecc.te et molto Mag.co S.r mio Oss.mo

Il Sig. mio zio([280]) è di([281]) natura molto sincera, e con gli amici suoi (nel numero de’ quali son certo che tien V. S.) procede con semplicità et schiettezza et senza alcuna sorte di cerimonia, come presuppongo che non l’usasse con V. S. quando rispose alla gentilissima lettera che haveva ricevuta da lei; onde, havendo S. S.ria veduto quello ch’ella scrive a me, si è maravigliato che V. S. pensi che la lettera di lui habbia bisogno di ringraziamenti, o ch’ella s’astenghi di scrivergli per dubio di non fastidirlo con obligarlo alle risposte. Ma sappia V. S., che lo scrivere non gli è d’una briga al mondo, salvo che, rispetto a un poco di catarro che gli scorre per tutto il braccio dritto, non può far questo mestiero di sua mano, come vorrebbe. A me, che non ho questo impedimento, e che son giovine et obligato alle virtù et amorevolezza di V. S., pare di ricevere un poco di torto scrivendomi che le basti di sentir per terza persona ch’io habbia ricevuto la sua lettera, dovendo pur creder ch’io conosca d’esser obligato non solo di risponder io medesimo, ma, anche senza lo stimolo delle sue lettere, scriverò talvolta a lei, per ricordarmele affezzionato et servitore.

I studii miei caminano secondo la qualità della stagione, cioè addiacciati, nonchè freddi, massime che la spessa mutatione delle ville et le continue caccie ci rubbano quella parte del tempo che sarebbe più proportionata a gli studii. Pure il Ser.mo Sig. Principe, mio Signore([282]), dice che quando la Corte sarà a Pisa, vuol far prova di ricordarsi, si non tutto, almeno qualche parte di quello che apprese da V. S. l’estate passata; et io m’ingegnarò di valermi dell’occasione. Intanto piaccia a lei di conservarmi nella memoria sua, assicurandosi ch’io le sono affezzionatissimo, sì come le è anche affezzionatissimo et desideroso di farle servizio il mio S.r zio. Dalla risposta del Ser.mo Principe potrà V. S. vedere ch’io non ho mancato di obbedirla, in presentare all’A. S. la sua lettera. Ho complito alcuni di questi SS.ri in nome di V. S., com’ella mi comanda, et tutti le baciano le mani. Il che fo anc’io con il maggiore affetto che posso.

Di Cerreto, il dì 12 di Gennaro 1606.

Di V. S. molto Ecc.te et molto Mag.ca Al S.r Galileo.Aff.mo Ser.re Ferdinando Sarac.llo

Fuori: Al molto Ecc.te et Ill.re S.r mio Oss.mo

Il S.r Galileo Galilei.

134*

VINCENZO GIUGNI a GALILEO in Padova.

Firenze, 21 gennaio 1606.

Bibl. Naz. Fir. Mss. Gal., P. I, T. VI, car. 169. – Autografa la sottoscrizione.

Ill.re et Ecc.te S.r mio,

Rispondendo alla sua de’ 6, gli dico haver ricevuto li compassi con tutte le sue appartenenze([283]) et la poca punta rotta, la quale ho consegnata, insieme con l’altre, a Maestro Raffaello, acciò li segni; et io gli darò vista di quello lasciasti a Niccolò, mio figliuolo, acciò che con tal essempio possa manco errare.

Mi incresce infinitamente che e’ si interponga tante cose per allungare quello che io speravo che a quest’hora dovessi esser fatto nella persona vostra, l’augumento: pure voglio sperare che, con questo nuovo Principe([284]) che haranno, s’habbia a risolvere in bene il tutto; et lei non mancherà di tenerlo ricordato al S.r Residente. Et io restando per sempre farli servitio, li bacio le mani: e Dio la guardi.

Di Fiorenza, li XXI di Gen.o 1606, ab Inc.ne

Di V. S. Ill.re S.r Galileo.Aff.mo Ser.re Vinc.o Giugni

Fuori: All’Ill.re et Ecc.te S.r mio Oss.mo

Il S.r Galileo Galilei, in

Padova.

135.

GALILEO a MICHELANGELO GALILEI in Padova.

Venezia, 11 maggio 1606

Bibl. Naz. Fir. Mss. Gal., P. I, T. IV, car. 17. – Autografa.

Car.mo et Honor.do Fratello,

Ho inteso quanto per la vostra mi scrivete, et mi dispiace infinitamente non solo di non poter venir costà subito, ma di non esser venuto 10 giorni sono, rincrescendomi infinitamente questa stanza di Venezia; ma già che sono qui, voglio pur vedere se posso cavar qualche resoluzione del mio negozio, dandomi questi Signori speranza di esser per ridursi il giorno di Pasqua([285]), et si scusano di non poter attendere a questo negozio nè ad alcuno altro, eccettuatone quei di Roma, che li tengono impediti giorno e notte. Però potrete dire all’amico che vi ha parlato per quel Signore todesco, che io sarò costà alla più lunga l’ultima festa di Pasqua, dopo il qual tempo potrò attendere a quel Signore, et che fra tanto me li offerisca et vegga di trattenerlo.

Iersera a due hore di notte furono mandati via li Padri Giesuiti con due barche, le quali dovevano quella notte condurli fuori dello stato. Sono partiti tutti con un Crocifisso appiccato al collo et con una candeletta accesa in mano; et ieri dopo desinare furno serrati in casa, et messovi due bargelli alla guardia delle porte, acciò nessuno entrassi o uscisse del convento. Credo che si saranno partiti anco di Padova et di tutto il resto dello stato, con gran pianto e dolore di molte donne loro devote.

Questo è quanto mi occorre dirvi. Fate reverenza al Clar.mo S. Foscari([286]) et datemi nuove di lui, et baciate le mani a i Clar.mi S.ri Cocchi: et state sano.

Di Venezia, li 11 di Maggio 1606.

 Vostro Aff.mo fratello G. G.

Fuori: Al molto Mag.co et Osser.mo

Sig. Michelagnolo Galilei

 Padova, ne’ Vignali.

136*.

CIPRIANO SARACINELLI a GALILEO in Padova.

Firenze, 26 maggio 1606.

Bibl. Naz. Fir. Mss. Gal., P. I, T. VI, car. 139. – Autografa la sottoscrizione.

Molto Mag.co et Ecc.te S.r mio Oss.mo

Domandai di V. S. a’ dì passati al Sig.r suo cugnato, il quale mi disse che presto l’haremmo havuto in queste bande, sì che io credevo di veder più presto la persona di lei che una sua lettera: et questa nondimeno, che ho ricevuta, mi è stata molto grata, et le rendo infinite gratie della viva et cortese memoria che tiene di me et del Caval.r Ferdinando, mio nipote, l’uno et l’altro de’ quali ci conosciamo inhabili a servirla, per la debolezza delle nostre forze, ma molto desiderosi di poterlo fare.

Mi duole che la ricondotta di V. S. con cotesti Ecc.mi Signori sia caduta in tempo così difficile et importuno, quanto è quello che hoggi corre per le differenze che sono fra Sua Santità et la Rep.a di Venetia: tuttavia spero in Dio che nel negotio suo si saranno superate tutte le difficultà; et confermata la sua lettura di Padova, che è quello che importa principalmente, se ne potrà venire con l’animo quieto: et io l’assicuro che verrà desiderata et aspettata da’ Ser.mi Principi, et poi da tutti noi altri. Il male è che troverà che non solamente non si è fatto alcun profitto nella institutione del S.r Principe in materia delle mattemmatiche, ma piaccia a Dio che S. A. non si sia dimenticata di molte regole che V. S. le diede l’anno passato: tuttavia sarà almeno diventato più abile a poter confermare quello che imparò l’anno passato et ad intendere l’altre cose che restano.

Ho fatto reverenza a Madama Ser.ma in suo nome, alla quale questo offitio è stato gratissimo, sì come è stato ancora al Ser.mo Principe; et l’uno et l’altro mi hanno commesso che io lo risaluti da parte loro. Che è quanto m’occorre per risposta della sua, data di Padova li 19 d’Aprile, se ben credo che voglia dir di Maggio: doppo haverle baciate le mani insieme con il Caval.r Ferdinando, mio nipote, et pregato il Signore Dio che le conceda la gratia sua et ogni contento.

Di Fiorenza, il dì 26 di Maggio 1606.

Di V. S. molto Mag.ca et Ecc.teSer.re Aff.mo Cipriano Sarac.llo

Fuori: Al molto Mag.co et molto Ecc.te Sig.r mio Oss.mo

Il S.r Galileo Galilei, a

Padova.

137**.

ASDRUBALE BARBOLANI DA MONTAUTO

a FERDINANDO I, Granduca di Toscana, in Firenze.

Venezia, 10 giugno 1606.

Arch. di Stato in Firenze. Filza Medicea 2999, n.° 198. – Originale, con sottoscrizione autografa.

….Il Galilei, Mathematico di Padova, favorito a nome di V. A., ha ottenuto la rafferma nella sua lettura con augmento di ducati 200 alli 320 che ne havea([287]), et ha causa di restar sodisfattissimo….

138*.

VINCENZO GIUGNI a GALILEO in Padova.

Firenze, 20 giugno 1606.

Bibl. Naz. Fir. Mss. Gal., P. I, T. VI, car. 141.– Autografa.

Ill.re et Ecc.te Sig.r mio Oss.mo

Io mi ralegro che li sua molti meriti in qualche parte sono ricognosciuti, poi che a lei sola è stato fatto l’aumento delli 200 fiorini. Voglio sperare che se Dio gli dà vita, che habbia di nuovo ad avere di questi bene meriti. Spero d’avere presto comodità con la viva voscie di ralegrarmi di presentia con lei. Io scrissi alla Corte, per vedere come trovavo il desiderio di questi Ser.mi Padroni. Madama Ser.ma mi rispose queste parole: Noi aspettiamo([288]) qua il Galilei come l’anno passato. Però io credo che, sempre che voglia et possa venire, sarà di gusto a li Padroni; et io con li mia figlioli saremo pronti a farli qualsivoglia servitio, sempre che se ne dia et vengha l’occasione. Et le bacio la mano. Che il Signore le dia ogni suo maggiore contento.

Di Fiorenza, il dì 20 di Giugno 1606.

Di V. S. Ill.re et Ecc.te al S.r Galileo.Aff.mo per ser.lla Vinc.o Giugni.

Fuori: All’Ill.re et Ecc.te Sig.r mio Oss.mo

Il Sig.r Galileo Galilei, leggente in Padova.

A Padova.

139.

GALILEO a COSIMO DE’ MEDICI [in Firenze].

Padova, 10 luglio 1606.

Cfr. Vol. II, pag. 367 [Edizione Nazionale].

140*.

ASDRUBALE BARBOLANI DA MONTAUTO a BELISARIO VINTA in Firenze.

Venezia, 12 agosto 1606.

Bibl. Naz. Fir. Mss. Gal., P. I, T. XV, car. 33. – Originale con sottoscrizione autografa.

…. Il S.re Galileo Galilei. è stato spedito conforme al suo gusto molto favorevolmente circa la sua ricondotta; et tanto più è stata segnalata la gratia, quanto si è effettuato in Collegio et Pregadi adesso, in mezzo a tanti affari, per opera del S.re Girolamo Capello, che, sentendo il desiderio che si havea costì del Galileo dal S.r Principe nostro, ha superato ogni difficultà. Et io certo credo almeno che resterà sodisfattoil Galileo della mia buona volontà….

141**.

ASDRUBALE BARBOLANI DA MONTAUTO a BELISARIO VINTA in Firenze.

Venezia, 26 agosto 1606.

Arch. di Stato in Firenze. Filza Medicea 2999, n° 222. – Originale, con sottoscrizione autografa.

…. Il S.r Galileo sarà comparso et da per sè stesso dato conto de’ suoi affari a loro A. A….

142*.

…………… a VINCENZIO GIUGNI in Firenze.

Pratolino, 23 settembre 1606.

Arch. di Stato in Firenze. Guardaroba Medicea, filza 263, n° 792. – Originale: è autografa la sottoscrizione del granduca.

Cavalier Giugni,

S. A. comanda che voi diate tanto raso nero al Galileo, da parte del Principe, per farsi una zimarra. Et il S.r Dio vi guardi.

Di Pratolino, li 23 di settembre 1606.

Fer.([289])

Fuori: Al molto Mag.co Cav.r Vincentio Giugni

Guard.a Generale nostro dilett.mo

Fiorenza.

143*.

CIPRIANO SARACINELLI a GALILEO [in Padova].

Orvieto, 30 settembre 1606.

Bibl. Est. in Modena. Raccolta Campori. Autografi, B.a LXXXVIII, n.° 166. – Autografa la sottoscrizione.

Molto Mag.co et molto Ecc.te mio S.r Oss.mo

Quando io partii ultimamente dalla Corte, la venuta di V. S., desiderata et aspettata da molti, et da me et da mio nipote([290]) in particolare, l’havevo già come disperata per quest’anno, parendomi che la stagione fosse hormai tant’oltra, che la richiamasse più tosto alle solite fatighe dello Studio, che l’invitasse a godere il privilegio delle vacanze. Ma poi che l’arrivo suo a Fiorenza s’è quasi congiunto con la partita mia senza che ci siamo possuti vedere, il dispiacere che mio nipote et io ne habbiamo sentito è sopra a quello che si possa credere. È vero che mi sarebbe stato senza dubio più molesto il partire, poi che mi toglieva il poterla et servire come meritano le rarissime virtù sue et l’affezzione che V. S. mostra di portarmi. Mi duol bene infinitamente, per servitio del Ser.mo Sig. Principe([291]), ch’ella fosse necessitata d’andarsene così presto, già che in sì pochi giorni a pena il tempo sarà stato a bastanza per rivedere et rinfrescare nella memoria di S. Al.za le cose passate. Pur conviene aver pazienza; et se a Dio piacerà di concederci vita et sanità, si potrà supplire a questo mancamento un’altra volta. Io, et presente et assente, l’amarò et osservarò sempre, con desiderio di servirla: et quello che dico di me, dico medesimamente del Caval.r mio nipote. Et l’uno et l’altro insieme le baciamo le mani con ogni affetto.

D’Orvieto, il dì ultimo di Settembre l606.

Di V. S. molto Mag.ca et molto Ecc.teAff.mo Ser.re Cipriano Sarac.llo

144.

GALILEO GALILEI a………………….

Padova, 27 ottobre 1606.

Bibl. Naz. Fir. Mss. Gal., P. I, T. V, car. 4 e 5. – Copia di mano del secolo XVIII.

Ill.mo Sig.r e P.ron Col.mo

Tornai di Firenze dieci giorni sono, e trovai tre lettere di V. S. Ill.ma e due compassi inviatimi, le quali lettere da’ miei di casa erano state trattenute, perchè per tre settimane innanzi li avevo scritto che non mi scrivessero più, perchè ero per partirmi; e perchè la partita mia si prolungò 15 giorni di più, nè io ebbi le sue lettere, nè ella nè gli amici suoi sono prima restati serviti. Ma più, la mia cattiva fortuna ha voluto, che a pena ritornato a Padova, sia stato assalito da una malattia grave e pericolosa, la quale mi ha tenuto e tiene tuttavia nelle sue forze, sì che il servire V. S. Ill.ma è stato per necessità ritardato; nè potrò rimandarli gli strumenti prima che la prossima settimana, al qual tempo senz’altro glie le manderò([292]) insieme con due copie degl’usi loro, dalle quali resterà([293]) l’amico di V. S. Ill.ma satisfatto ancora del problema. Mi scrive in oltre della spesa che ci sarà, la quale, per esser molta, non può essere ristorata con manco d’un secchio del miglior vino che si sia fatto questo o l’anno passato in coteste parti; il quale tanto([294]) più mi sarà grato, quanto che lo domando nel fervor della febre, et in un anno che le tempeste hanno ruvinato tutte l’uve di queste contrade. Non so se V. S. Ill.ma, o i padroni de’ compassi, habbino cognizione della misura del secchio([295]): però io gli dirò che è tanta, che quattro buoni compagni in una sentata ne vederebbero il fondo; ma a me basterà un mese, perchè lo beverò parchissimamente. Il vino non lo domando a lei se non come procuratore, perchè il richiedere direttamente vino a chi beve acqua, oltre allo sproposito, sarebbe con pregiudicio della sua bontà.

Ho presa questa baldezza con la cortesia di V. S. Ill.ma di pascere l’immaginatione con questi discorsi di Bacco, mentre che la febre malamente mi rasciuga di dentro. Mi scusi e mi perdoni; e quando io possa scrivere di proprio pugno, haverò da conferir seco qualche speculazione intorno al moto. In tanto le baccio con ogni maggior riverenza le mani, et insieme all’Ill.ma e Generosissima Sig.ra sua consorte e suoi figli, a i quali tutti conceda il Signore somma felicità.

Di Padova, il dì 27 d’Ottobre 1606.

 Di V. S. Ill.maServit.e Obbligatis.mo Galileo Galilei.

145*.

GIOVAN FRANCESCO SAGREDO a GALILEO in Padova.

Palmanova, 23 novembre 1606.

Bibl. Est. in Modena. Raccolta Campori. Autografi, B.a LXXXVIII, n.° 32. – Autografa la firma.

Ill.re et Ecc.mo Sig. Hon.mo

L’impedimento che sopravene a V. S. Ecc.ma, per lo quale non vene col Sig. Veniero a rittrovarmi, mi dispiacque per l’effetto che concerneva all’interesse mio, ma certo molto più per la cagione che tanto importava a lei; et havendo ultimamente inteso l’inifirmità sua, n’ho preso singolar dispiacere, e tanto ch’io non posso esprimerlo. Voglio sperare che all’arrivo di queste ella sia ridotta in sanità, et che forse habbia dato prencipio a pensare il modo di venir qui avanti ch’io parta.

Quest’anno i vini da Buri molto famosi non sono riusciti dolci, et quelli da Rosazzo sono tra il dolce et il garbo; ma nel costo riescono salati, poichè si vendono cinque lire il secchio, prezzo che, s’è come sono avisato, è l’istesso che la Malvasia in Venetia. Io, con tutto questo, ne ho compro tre mastelli, uno de’ quali ho mandato al S.r Donà Moresini, che me lo ricercò, uno si è quasi bevuto, et un altro si è fatto mez’acqua, nè è cosa degna di lei. Qui ho gustati vini d’Istria, moscateli e ribole assai buone, et l’anno venturo spero farne qualche provisione per qualche amico et per qualche amica; e se vi sarà occasion di messo, vederò in una caneveta mandarne tanto a V. S. Ecc.ma, che possi consigliarmi di quale dovrò provedere.

Hebbi già due mesi i saladi et le marzoline che V. S. Ecc.ma mi mandò; ma perchè non venero sue lettere, io non l’ho mai ringraziata, perchè sì come nelle risposte uso qualche diligenza, così nelle proposte riesco negligentissimo: ma con lei sarà questo poco errore, sapendo che il fine suo in presentarmi non fu di riceverne ringratiamento, ma bene di farmi godere di queste sue buone cose. Che sarà fine di queste, pregandole dal Signor Dio compita sanità et contento.

In Palma, a 23 Novembre 1606.

 Desiderosissimo per serv.la G. F. Sag.

Fuori: All’Ill.re Sig.r Hon.mo

L’Ecc.mo Sig. Galileo Galilei, Matematico di

 Padova.

146.

GALILEO a CRISTINA DI LORENA [in Firenze].

Padova. 8 dicembre 1606.

Bibl. Naz. Fir. Mss. Gal., P. I, T. IV, car. 10-20. – Autografa.

Mad.ma Ser.ma

Il male, che cominciò la notte avanti la partita di Pratolino et che mi ritenne poi otto giorni a presso indisposto in Firenze, dopo havermi concedute tante forze che mi potessi condurre a Padova, due giorni dopo il mio arrivo qua, rompendo ogni tregua, mi assalì et fermò in letto con una terzana, la quale, poco dopo convertitasi in continua, mi ha ritenuto et ritiene tutta via aggravato, benchè da 6 giorni in qua non sia così severamente oppresso. In tanto ho con mio grandissimo dispiacere sentita la morte dell Ecc.mo S. Mercuriale, che sia in Cielo, et apresso quella di altri medici principali in Pisa; perilchè, stimando io che siano per provveder la Corte et lo Studio di suggetti simili a i mancati, mosso da un purissimo affetto di servir sempre l’Altezze Vostre Ser.me, ho voluto, benchè malissimo atto a potere scrivere, conferire con l’A. V. un mio pensiero, del quale farà quel capitale che il suo perfettissimo giudizio gli detterà.

Qua, come benissimo sa l’A. V. S., si trova il S. Aqquapendente([296]), il quale è molto mio confidente et amico di molti anni. Egli vive estremamente affezionato servitore di loro A. Ser.me, sì per le singolari carezze che da loro ricevette quando fu costà, sì per i presenti et donativi veramente regii che ne portò in qua; è in oltre sommamente innamorato della città et del paese a torno di Firenze, nè si vede mai sazio di celebrare ciò che costà vedde et gustò. All’incontro, havendo qua aqquistato quanto poteva sperare di facultà et reputazione, et trovandosi per l’età male atto a tollerare le fatiche continue che, per giovare a tanti suoi amici et padroni, gli conviene ogni giorno pigliare, et per ciò essendo molto desideroso di un poco di quiete, sì per mantenimento della sua vita come per condurre a fine alcune sue opere, nè gli mancando altro, per adempire la sua virtuosa ambizione, che di pervenire a quei titoli et gradi a i quali altri della sua professione è arrivato, li quali non gli possono se non da qualche gran Principe assoluto esser donati; per tanto io stimo che egli molto volentieri servirebbe l’A. V. S. me Aggiugnesi, che ritrovandosi egli una grossissima facultà, et non havendo altri che una figliuola di un suo nipote, fanciulletta di 10 anni in circa([297]) et che doverà esser dotata di meglio che 50m ducati, non è dubio alcuno che esso vede che quei costumi et virtù che a donna ben allevata si convengono, molto meglio in cotesti monasterii nobilissimi, che qua in casa sua, potrebbe ella apprendere, et essere poi, al tempo del suo maritaggio, favorito dal sapientissimo consiglio di V. A. S.: per le quali tutte cose io conietturo qua disposizione di cambiare stato. La qual cosa ho voluto io di proprio moto, et senza coferirne una minima parola nè ad esso S. Aqquapendente nè ad altra persona vivente, communicare a V. A. S.; il che la supplico a ricevere in buon grado, et come effetto nato da uno svisceratissimo desiderio di servirla. Ne farà dunque l’A. V. quel capitale che alla sua prudenzia parerà; et quando anco gli paresse che fusse cosa da non ci applicar l’animo, al meno è certa che con altri che con i miei pensieri non ne è stato ragionato. Degnisi dunque l’A. V. ricevere in buon grado la purità del mio affetto, et mi scusi della presente così male scritta, poi che, per la gravezza del male, volendola scrivere di propria mano, mi è bisognato metterci 4 giorni.

Restami il supplicarla a baciar con ogni humiltà la vesta in mio nome al Ser.mo G. D. et al S.mo S. Principe: et all’Altezza Vostra con ogni humiltà inchinandomi, prego dal S. Dio somma felicità.

Di Padova, li 8 di Xmbre 1606.

 Di V. A. S.Hum.mo et Oblig.mo Servo et Vass.lo  Galileo Galilei.

Fuori: Alla Ser.ma G. Duchessa di Toscana,

Sig.a et Pad.na Col.ma

147.

IOANNES ANTONIUS PETRAROLUS a BALDASSARE CAPRA.

Ex Flumine, 1° gennaio 1607.

Cfr. Vol. II, pag. 433 [Edizione Nazionale].

148*.

ALESSANDRO DEL MONTE a GALILEO in Padova.

Pesaro, 8 gennaio 1607.

Bibl. Naz. Fir. Mss. Gal., P. I, T. VI, car. 167. – Autografa.

Molto Ill.re Sig.r mio Oss.mo

Essendo che V. S. sia stato sempre di tanto affetto verso la persona del S.r Guid’Ubaldo mio padre, non posso restare, ancorchè con infinito mio dolore, avvisarla di quanto s’è compiacciuta la Maestà di Dio rissolvere di lui. Imperò sappia V. S. che egli per doi mesi passati ha sostenuto una infirmità nel letto tanto grave, che finalmente hieri l’altro, giorno dell’Epiphania, alle 20 hore et un quarto, se n’è passato da questa all’altra vita migliore, così havendo disposto la Divina Volontà. Pertanto, poichè in quella debbiamo quietarci, havendo lei perduto chi amava tanto V. S., si compiaccia compatire al dolore del caso successo e ricevere me con gl’altri miei fratelli, che in suo loco siamo succeduti, per suoi servitori d’affetti, se non d’effetti, che pareggino e i meriti di V. S. e lo amore con che l’osservava il sud.o Sig.r nostro padre, che Dio se l’habbia seco in Cielo. E con tale affetto me le offero a suoi commandi, con baciarli le mani.

Di Pesaro, il dì 8 di Gen.1607.

Di V. S. molto Ill.reAff.mo Se.re  Alessandro dal Monte.

Fuori: Al molto Ill.re Sig.r mio Oss.mo

[Il] Sig.r Galileo Galilei.

Padoa.

149*.

CURZIO PICCHENA a GALILEO in Padova.

Pisa, 25 gennaio 1607.

Bibl. Naz. Fir. Mss. Gal., P. I, T. VI, car. 135. – Autografa la sottoscrizione.

Ill.re Sig.r mio Oss.mo

Madama Ser.ma vorrebbe, che V. S. con la sua solita destrezza procurasse d’haver minuta informazione del Dottor Gio. Tommaso Menadori,([298]) medico veneziano, benchè s’intenda che la patria sua debbe essere Rovigo; et se egli non sta costì in Padova, almeno vi debbe aver praticato([299]) altre volte, in modo che a V. S. sarà facile di potersene informare. In somma l’A. S. vorrebbe sapere il merito, l’esperienza et la sufficienza sua, et se nel medicare egli habbia fatto prove segnalate et che gli habbino dato nome straordinario; et si promette che V. S. gliene darà relazione sicurissima et fedelissima. Et io, ricordandole il mio desiderio di servirla, le bacio con ogn’ affetto la mano.

Da Pisa, alli 25 di Gennaio 1606([300]).

Di V. S. Ill.re S.r Galilei.Aff.mo Serv.re Curzio Picchena.

Fuori: All’Ill.re Sig.r mio Oss.mo

Il Sig.r Galileo Galilei, Lettore Matematico in

Padova.

150.

GALILEO a CURZIO PICCHENA in Pisa.

Padova, 9 febbraio 1607.

Bibl. Naz. Fir. Mss. Gal., P. I, T. IV, car. 21. – Autografa.

Ill.re Sig.re et Pad.ne Osser.mo

L’Ecc.mo S. Minadoi da Rovigo è da me benissimo conosciuto; anzi in questa mia lunga malattia mi ha visitato insieme con l’Ecc.mo S. Aqquapendente, stimandolo io tra i migliori medici che oggi siano in questa città. Egli fu nella sua gioventù medico del Ser.mo di Mantova, padre del presente Duca: dopo, fu due volte in Soria et dimorò in Aleppo, medico della nazione: venne poi a Venezia, et 7 anni sono fu condotto a leggere in questo Studio, dove ha mantenuto et mantiene il luogo suo honoratissimamente, con frequenza di scolari et satisfazione di quelli che si prevagliono dell’opera sua. È huomo di anni 50 in circa, di aspetto grato, gioviale, et di maniere et costumi piacevoli et honesti, et al parer mio da dar satisfazione non meno nelle corti che nelle catedre. È di presente fuori di condotta, et procura salire di grado et di stipendio: incontra qualche difficoltà, sì per le condizioni de i tempi, sì per il contrasto de i concorrenti, che domandano il medesimo luogo. Esperienze segnalate particolari non potrei nominare a V. S., le quali, sì come avvengono rare, così vi ha gran parte la fortuna, che le presenti più a questo che a quello; ma il buon credito che ha qua, non è nato se non dal valor suo, mostrato nelle cure, ne i collegii et nella lettura. Et questo è quanto posso dire a V. S., la quale mi scuserà se haverà tardato ad haver la risposta, perchè le lettere da alcuni mesi in qua vengono a Padova tanto più tardi dell’ordinario, che non si può rispondere se non 8 giorni dopo il consueto. Sì che potrà V. S. scusarmi con Madama Ser.ma, et con occasione baciarli humilissimamente la veste in mio nome, ricordandomeli devotissimo servo; et l’istesso la supplico a far apresso il Ser.mo Principe, baciando di più con ogni reverenza le mani a tutti quei Signori di Corte che lei sa che mi amano. Et a V. S., offerendomi servitore obligatissimo, bacio le mani et prego da Dio felicità.

Di Pad.a, li 9 di Febraio 1607.

Di V. S. Ill.reSer.re Oblig.mo Galileo Galilei.

Fuori: All’Ill.re Sig.re et Pad.ne Osser.mo

Il S. Curzio Picchena.

Pisa,

in Corte.

151.

BALDASSARE CAPRA a GIOACCHINO ERNESTO DI BRANDEBURGO.

Padova, 7 marzo 1607.

Cfr. Vol. II, pag. 429 [Edizione Nazionale].

152*.

BENEDETTO CASTELLI a GALILEO in Padova.

La Cava, 1° aprile 1607.

Bibl. Naz. Fir. Mss. Gal.,P.VI, T. VII, car. 80. – Autografa.

Eccell.mo Sig.r mio,

Per le correnti turbolentie son stato necessitato a mancar del debito mio, con non dar conto a V. S. del stato mio: hora, con l’occasione del nostro Capitolo Generale, prima li faccio profonda riverenza, dandoli aviso che il stato mio è assai megliore di quello a che io sto di continuo preparato; poi vivo al servitio di questo mio prelato([301]), che non manca honorarmi; leggo una lettione d’Euclide, del quale io già ho visto il 7°, 8°, 9° et sin alla quarantesima del X°, et di lì, suffocato dalla moltitudine (per confessar il peccato mio) de’ vocaboli, profondità delle cose e difficultà di demonstrationi, mi son trasferito al’XI, XII e XIII, de’ quali ho visto tutto quello che dalle viste propositioni dependeva. Dopoi ho datto l’assalto a Tolomeo, ma son restato intricato al primo corrollario del capitolo duodecimo: se V. S. mi vole favorire con darmi qualche lume, infilzarò quest’obligo con gli altri. Ho datto di piglio alli Elementi Sferici di Theo[dosio], et insieme ho cavati gli piedi dalle sette prime propositioni di Archimede De iis que vehuntur in aqua: all’ottava, starò aspettando in luce il trattato suo De centro gravitatis solidorum, il quale alla detta materia mi pare necessario. Gli miei discepoli adorano le rare virtù, et a’ nostri secoli uniche, di V. S., delle quali spesso ne faccio quella che io posso mentione.

Mi è poi occorso, a giorni passati, sfogar un pensier mio circa la ragione d’Aristotile addotta per confirmar l’eternità del moto, la quale conclude esser stato il moto avanti il primo moto del’aversario; e perchè a questo m’indusse la definitione del moto dattami da V. S., cioè che il moto non sia altro che una mutatione di una cosa in relatione a un’ altra, ho fatto disegno, come si sia, mandarne copia a V. S., acciò, se ci è bisogno di anullatione o di correttione, si degni compiacermene.

Supposto donque da Aristotile che a principiar il moto è necessario che preceda la essistentia del movente e mobile, segue dicendo: O che questi sono fatti, o eterni: se eterni, perchè non si faceva il moto? se fatti, adonque per moto: talchè era il moto avanti il moto. Che questa sia una consequenza stroppiata, io lo provo, proposti prima e confirmati doi lemmi, verissimi non solo da sè, ma nella dottrina istessa d’Aristotile. Il primo è, che se il tutto si facesse, saria impossibi[le] farsi con moto. La ragione è, perchè ricercandosi, per la definitione del moto, qualche cosa a rispetto della quale si faccia la mutatione, et essendo da noi proposta la produttion del tutto, niente si ritrova: adonque non si fa con moto, che era il proposito nostro. Il secondo è, che non sarebbe un assurdo quello che per tale si va predicando da’ Peripatetici, che se il tutto si facesse, si farebbe di niente, poicchè non solo non è inconveniente, ma saria necessario che, facendosi il tutto, di niente si facesse: talchè potiamo dire che l’axioma Ex nihilo nihil va inteso e limitato a forza (se però have spetie di verità) alle prodottioni particolari, non a quella del tutto (se si facesse). Hora, come può inferire quest’ huomo da bene: Se sono fatti, adonque per moto? se nè lui nè altri, che habbiano solo un puoco di lume di intelligenza di parole, ponno dire che la prodottione universale si faccia (se si fa) con moto? Non vede egli che, mentre mi dona, non concede, questo passo si facta, che imediate da sè stesso si tronca la strada, come nel primo lemma, di poter dire: ergo per motum? Io non dico nè che sia fatto nè che non sia fatto, ma che il progresso suo non mi fa guadagnar niente. Dalla dottrina poi di V. S., che a principiar([302]) il moto è ben necessario il movente, ma a continuarlo basta il non haver contrasto, mi vien da ridere quando essaltano questa dottrina come quella che mi faccia venir nella cognitione dell’essistentia di Dio; conciosiachè se fusse vero che il moto fosse eterno, io potrei doventar ateista e dire che di Dio non havemo bisogno, bestemia scelerata. Horsù: la carta mi manca; se V. S. si degnerà scrivermi, potrà indrizzare le lettere in Roma a D. Hermagora da Padoa in Monte Cavallo, che l’haverò sicure. Con che me li dono tutto di cuore.

Dalla Cava, il primo di Aprile 607.

Di V. S. E.maAff.mo Ser.re e Discepolo D. Benedetto di Brescia.

Alli 4 di questo aspettiamo qua Mons.r R.mo il P. Mordano, con il quale havrò occasione di conversar al spasso.

Fuori: All’Eccell.mo mio Sig.r Oss.mo

 Il Sig.r Galileo Galilei.

Padoa.

153.

GIACOMO ALVISE CORNARO ad AURELIO CAPRA [in Padova].

Padova, 4 aprile 1607.

Cfr. Vol. II, pag. 537 [Edizione Nazionale].

154.

GALILEO ai RIFORMATORI DELLO STUDIO DI PADOVA [in Venezia].

[Venezia, 9 aprile 1607.]

Bibl. Naz. Fir. Mss. Gal., P. II, T. VII, car. 25. – Minuta autografa. A car. 26t. si legge, di mano di Galileo. Memoriale alli Ill.mi S.i Riformatori. Quanto alla data, cfr. vol. II, pag. 538 [Edizione Nazionale].

Ill.mi et Ecc.mi Sig.ri Riformatori,

Io Galileo Galilei fiorentino, Lettor publico delle Matematiche nello Studio di Padova, espongo alle SS. V. Ill.me et Ecc.me, come, sono già dieci anni, havendo, dopo lunghi et assidui studii, ridotto a qualche perfezione un mio strumento matematico, di mia pura imaginazione escogitato, inventato et perfezionato, le utilità del quale et in numero et in qualità essendo grandi in tutte le parti delle matematiche, tanto contemplative, quanto civili, militari et mecaniche, stimai sin dal detto tempo potere a molti giovare col conferire con loro et li strumenti et il modo dell’usargli, dandone apresso in scrittura chiara et piena instruzione a molti Principi et Signori et altre genti di diverse nazioni, sì che ne sono sino a questo giorno per ogni parte di Europa sparsi, et in particolare se ne trovano in non piccol numero in questa città di Venezia, in mano di diversi gentil’huomini. Et perchè non mi compiacevo tanto delle cose proprie, benchè ne vedessi un comune applauso, che io non stimassi poterle anco, col progresso del tempo et con più diuturni studii, accrescere et migliorare, restavo di far detto strumento et vulgatissimo et comunissimo con le publiche stampe; ma sendomi un anno fa pervenuto qualche sentore che altri si sarebbe appropriata la mia invenzione, quando non vi havessi fatto provvedimento, mi risolvei fare stampare in Padova alcune copie delle operazioni di detto mio strumento, sotto questo titolo: Le Operazioni del Compasso Geometrico et Militare di Ga1ileo Galilei([303]) et c., per tagliare la strada a quelli che volessero attribuirsi le fatiche mie. Ma tale provvedimento non mi è bastato; poichè nuovamente Baldessar Capra milanese, trasportando dalla toscana nella latina lingua il libro mio, et alcune poche cose tralasciandone, et alcune pochissime et frivolissime o false aggiugnendovene, lo stampa nella medesima città([304]), et con parole ingiuriosissime asserisce, essere io stato impudente usurpatore di questa opera: la quale esso Capra procura di persuadere esser parto delle sue fatiche, et sè esserne vero et legittimo effettore, et pertanto dovere io con gran vergogna arrossirmi, nè mai più ardire di comparire nel cospetto delli huomini di honore et di lettere. Onde, essendo io Galileo Galilei sopradetto, vero, legittimo et solo inventore, sì che altri non ve ne ha parte alcuna, dello strumento et di tutte le sue operazioni già da me publicate, come io pienamente potrò fare alle SS. V. I.me et Ecc.e constare, et però sendone io tanto falsamente quanto temerariamente et impudentemente dichiarato usurpatore dal sopra detto Capra, anzi essendo egli che con la medesima temerità cerca di usurparsi l’opera et l’honore mio; ricorro alle SS. V. I. et E., acciò che, conosciuta che sia da loro questa verità, provegghino con la loro autorità alla redintegrazione dell’honor mio, prendendo di questo usurpatore([305]) et calunniatore quel castigo che alla somma lor prudenza parrà esser condegno delle opere di quello.

155*.

CIPRIANO SARACINELLI a GALILEO in Padova.

Pisa, 13 aprile 1607.

Bibl. Est. in Modena. Raccolta Campori. Autografi. B.a LXXXVIII, n.° 168. – Autografa la firma.

Molto Mag.co et molto Ecc.te S.r mio Oss.mo

Il Cavalier Montalbano([306]) non è arrivato per ancora alla Corte; ma di Fiorenza m’ha mandato la lettera di V. S., piena della sua solita cortesia et gentilezza, et tanto piena, ch’io([307]) resto confuso et non so quasi che mi rispondere; poichè non era di bisogno nè conveniva ch’ella complisse et con me et con il Cavalier Ferdinando, mio nipote, tanto accuratamente, scusandosi di non ci haver visitato già molto tempo fa con lettere. Ma concedasi questo all’infinita humanità di V. S., con la quale quanto io son più scarso di parole, tanto più sarò pronto in corrisponder con gli effetti, se da lei me ne sarà data mai occasione, come desidero.

Io mi rallegro ch’ella sia liberata della malatia, dalla qual dice esser stata travagliata lungamente; et sì come spero che debbia recuperare intieramente le forze, così prego il Signor Dio che glie ne dia grazia et glie ne conservi.

Il Sig. Principe tiene amorevol memoria di lei; et io ardisco di promettere che, sempre che occorra, S. A. le mostrarà la buona volontà che le porta. Il Sig. Silvio Piccolhomini le bacia le mani, come facciamo il Cav. Ferdinando, mio nipote, et io.

Di Pisa, il Venerdì Santo del 1607.

Di V. S. molto Mag.ca et molto Ecc.te S.r Galileo.Aff.mo Ser.re Cipriano Sarac.llo

Fuori: Al molto Mag.co et molto Ecc.te S.r mio Oss.mo

Il S.r Galileo Galilei, Professore di Matt.a, in

Padova.

156*.

GIACOMO ALVISE CORNARO a GALILEO [in Venezia].

Padova, 21 aprile 1607.

Bibl. Naz. Fir. Mss. Gal., P. VI, T. VII. car. 82. – Autografe le lin. 26-27. [Edizione Nazionale]

Molto Ill.re et Ecc.mo sempre mio Hon.mo

Dalle lettere di V.S. Ecc.ma, ch’io ricevei hieri, et da queste d’hoggi, ho inteso come passa la facenda col Capra, rallegrandomi che li S.ri Reformatori voglino darle campo di giustificare le sue giustissime ragioni nel modo ch’ ella mi scrive, che sarà certo il migliore di tutti gli altri per reprimere l’arroganza del detrattore della fama di V. S. et convincerlo di maligna ignoranza, come mi rendo sicuro; dolendomi di non poter esser presente a prova che mi saria gratissima di vedere.

Ho fatto intender a diversi quanto ella mi scrive; et il S.r Cavaliere([308]) non mancarà di adoperarsi col S.r Nonstiz([309]) et con altri. Al S.r Consalvo ho fatto parte di ciò ch’ella desidera, il quale venirà a trovarmi; et daremo buonissimo ordine. Ma io mo’ dubito che pochi di questo Studio siano per venire costà: onde direi, che saria bene di procurare un altro simile congresso qua in Padova, con l’intervenimento de’ Sig.ri Rettori della Città. Hieri parlai con il Pilan, il quale m’ha detto d’haver comperato il libro del Capra, et vedutolo diligentemente, trova ch’esso ha rubato da V. S., dal Magini, et da quel tale Tedesco, o Fiamingo([310]), et che non vi è cosa di suo: onde non si può dir a bastanza della sfacciataggine di quel giovane prosontuosissimo. Non mancarò di fare, et far fare ad altri, di quelli ufficii che V. S. m’ha scritto; la quale vorrei ch’invitasse Girolamo([311]) a trovarsi presente al cimento, perchè potria condurvi anco altri di buon giudicio. Et io glie ne scrivo. Che sarà per fine, pregando a V. S. Ecc.ma ogni più compito contento, conforme al molto merito suo, et di favorirmi di baciar la mano affettuosamente alli Sig.ri Riformatori miei Sig.ri, a’ quali non ho scritto, nè scrivo, parendomi che non vi sia bisogno alcuno.

Di Pad.a, li 21 d’Aprile 1607.

  Per servire a V. S. Ecc.ma    Sempre prontiss.et obl.mo G. A. C.

157*.

GIACOMO ALVISE CORNARO a GALILEO in Venezia.

Padova, 24 aprile 1607.

Bibl. Naz. Fir. Mss. Gal., P. VI, T. VII, car. 83. – Autografa.

Molto Ill.tre et Ecc.mo S.r sempre mio Hon.mo

L’avertimento di Girolamo([312]) sopra il libretto stampato dal Capra De logica([313]) non è stato inconsideratamente dato a V. S., perchè potrebbe essere ch’egli havesse posto, sotto suo nome, della materia de quei libri manuscritti dello Scocese, ch’io diedi ad esso Capra, che ancora non me li ha restituiti, nè posso cavargeli hora di mano, essendo egli a Venetia: ma mi raccordo che ne diedi uno a Girolamo, scritto di mano del Capra, da cui si potrà cavare qualche lume di ciò che si cerca. Io so di haverne uno di quei stampati dal Capra, et ho fatto diligenza di trovarlo, per vedere come dice et se si assimiglia ad alcuno di quelli ch’io li diedi; nè ho potuto oggi ritrovarlo. Per certo questo gallante giovane ha trovato una bella via da farsi fammoso con le fatice d’altri; ma la famma potria, di buona et honorata ch’egli pretendea, cangiarsi in rea et vituperosissima: nè ho dubio che V. S. Ecc.ma non sia per riversargela malamente, benchè con ogni ragione. Si sono fatti in questa città ragionamenti longi, in diversi luoghi, sopra il negotio che ella ha per mano; et sono stati alcuni ch’hanno detto di volere venire costà, et non mancano di quelli che tengono la parte Caprina, essendo abondanza oggi dì de caproni et buffali. Io sto aspettando la lieta novella, et in tanto a lei auguro ogni maggior gloria, piacendomi grandemente che Girolamo sia stato et sia per trovarsi con lei. Non manco di tenere vivo il negotio da Verona come da me, che è anco il vero: al ritorno di V. S. sarà forza dare una volta là. Et con tal fine me le raccomando.

Di Padova, li 24 Aprile 1607.

Di V. S. molto Ill.tre et Ecc.maAff.mo et Oss.mo G. A. C.

Fuori: Al molto Ill.tre S.r Ecc.mo

Il S.r Galileo Galilei, sempre mio Hon.mo, a

Venetia.

Al magazen delli portalettere.

158*.

GIACOMO ALVISE CORNARO a GALILEO in Venezia.

Padova, 25 aprile 1607.

Bibl. Naz. Fir. Mss. Gal., P. VI, T. VII, car. 85. – Autografa.

Molto Ill.tre et Ecc.mo mio Hon.mo

Ho veduto quel tanto che V. S. Ecc.ma mi ha scritto nelle sue di oggi, et mi piace grandemente che sia seguito([314]) ciò che ho sempre presuposto dal valore suo. Che ‘l Capra habbi negato sì gran verità della mia attestatione([315]), non havrei mai creduto. Haveva fatto lettere a’ S.ri Rifformatori, querellandomi della sfacciataggine di costui; ma ho pensato poi di far che Girolamo([316]) ne tratti lui, et li scrivo le rinchiuse, raccomandandole a V. S., non tanto per il ricapito, quanto perch’ella discorri con esso intorno questo fatto. Pare a me che si doveria scacciare di questa città il caprone et il capretto, perchè sono tutta dui colpevoli; et se li S.ri Rifformatori non faranno tal provisione, io procurarò di ottenerla di qua. Ma sarà necessario che parli prima con V. S. Ecc.ma, cui mi raccomando et prego contento.

Di Padova, li 25 Aprile 1607.

Per servire a V. S. E.maSempre Obl.mo. G. A. C.

Fuori: Al molto Ill.tre et Ecc.mo S.re sempre mio Hon.mo

Il S.r Galileo Galilei, a

Venetia.

Al magazen delli porta lettere.

159*.

LODOVICO DELLE COLOMBE a GALILEO in Padova.

Firenze, 24 giugno 1607.

Bibl. Naz. Fir. Mss. Gal., P. I, T. VI, car. 129. – Autografa.

Ill.re et Ecc.te Sig.r

È vero che ne’ primi giorni, che uscì fuora l’invettiva fatta dal Mauri([317]) contro il mio Discorso([318]), io sospettai, per certo romore e conghietture che poi riusciron vane, che V. S. havesse parte in quella con esso lui; ma l’Eccellente Sig.r Gio, Bat.a Amadori, per sua grazia, mi accertò, dal detto di V. S. non esser così in modo veruno: di che io rimasi appagato molto, sapendo lui non esser men veritiero, che amico a V. S. e a me. Hora, perchè egli m’ha fatto veder una lettera, dove ella mostra esserle venuto avviso che ho risposto e fatto menzion di lei come d’uno degli avversari, perciò le scrivo questi quattro versi, dicendole che per niuna maniera creda questo di me, sì come io feci di lei alla testimonianza del Sig.r Amadori, stimando che ella, come gentile, dotta e prudente, non potesse haver posto le mani in simil pasta: ma, essendo occorso che io risponda([319]) a certe poche dubitazioni che pareano al Mauri far contro di me, già stampate da Cecco di Ronchitti contro il Sig.r Lorenzini([320]), delle quali è stata creduta da alcuni il vero autore, perciò, havendo reputato le mie risposte esser rivolte ancora a lei, le ne hanno dato sentore. Assicurisi adunque di me, sì come gli stessi avversari, che io non ho passato i termini dell’huomo da bene, quantunque, secondo l’occasion datami, habbia ribattuto le morsicature, perchè l’ho fatto con piacevolezze e motti e facezie, senza animosità veruna. Anzi ne ringrazio gli avversari, che nel medesirno tempo mi hanno sollecitato negli studi e aperta la strada a offerirmele per servi[r]la, come che altro essi ne sperassero. Io me le profferisco con ogni affetto, aspettando occasion da lei di mostrarlo con l’effetto, e le bacio la mano.

Alli 24 di Giugno 1607, di Fiorenza.

A V. S. Ill.re et Ecc.teS.re Lodovico delle Colombe.

Fuori: All’Ill.re et Ecc.te Sig.r

Galileo Galilei, Pad.e Oss.mo

Padova.

160*.

GALILEO a COSIMO DE’ MEDICI [in Firenze].

Padova, 24 agosto 1607.

Bibl. Naz. Fir. Mss. Ga1., P. VI, T. V, car. 7. – Autografa.

Ser.mo Principe et mio Sig.re Col.mo

Io non solo con la presenza, ma tardissimo ancora con queste poche righe, comparisco avanti l’A. V. S.ma et di questa mia tardità et la causa et la scusa le mando nell’alligato libro([321]), scritto in mia difesa et giustificazione contro alle calunnie di un temerario, il quale con fraude arditissima si era voluto publicare per inventore del mio Compasso Geometrico, chiamandone di più me usurpatore; la qual cosa essendo troppo progiudiciale all’honor mio, mi ha ritenuto qua per convincerlo di falsità avanti gl’Ill.mi Sig.ri Riformatori, et fargli supprimere il suo libro nel modo che l’A. V. S. potrà, da questo mio et dalla sentenza dei medesimi. SS. Riformatori([322]), comprendere. Ma perchè il libro di quello non si è potuto così presto supprimere, che egli già non ne havesse mandati molti in torno, et in particolare in mano di quei Signori i quali ei sapeva haver da me il mio libro et strumento ricevuto, onde io potevo dubitare che anco in Firenze, et forse all’orecchie dell’A. V., ne fosse arrivato sentore; io, che più che la morte devo fuggire ogni macchia che innanzi al candore della Serenità Vostra potesse denigrar l’honor mio, ho per miglior consiglio eletto il purgarmi et sincerarmi apresso il mondo et l’A. V., restando in assenza et in silenzio, che il comparirgli avanti, timido et dubbioso di qual concetto fusse hauto di me. Et parendomi anco di scorgere un non so che di progiudiciale alla grandezza del suo nome, quando io mi fussi di quello, col dedicargli il mio strumento, fatto scudo per un’opera usurpata, ho voluto antepor questa mia giustificazione a quel piccolo servizio che l’A.V. haveria da me potuto ricevere; piccolo, dico, quanto alla utilità sua, benchè grandissimo quanto alla mia honorevolezza.

Supplico l’A. V. S. ad impiegar un’hora nella lettura di questa mia difesa, la quale non dubito che m’impetrerà perdono se ho pretermesso di venire a quella servitù nella quale mi haverà sempre ad ogni suo minimo cenno paratissimo. Et qui con ogni humiltà inchinandomegli, gli bacio la vesta, come anco alli Ser.mi suoi Padre et Madre, a i quali tutti dal S. Dio prego somma felicità.

Di Padova, li 24 di Agosto 1607.

Di V. A. S.Hum.o et Dev.mo Servo et Vassallo Galileo Galilei.

161*.

GALILEO a [GIROLAMO QUARATESI in Firenze].

Padova, 24 agosto 1607.

Ignoriamo dove ora sia l’autografo della lettera, della quale il presente brano fu dato in facsimile nella Isographie des hommes célèbres, ou collection de fac-simile, de lettres autographes et de signatures. Tomo II. Paris, Alexandre Mesnier, libraire, 1828-1830, car. 37r.([323])

…..tra comodità qual ella più desiderasse: però V. S. comandi, che me haverà prontissimo o a dargli o a procurargli honorato et comodo ricetto. Questo solo non resterò di dire a V. S., che in casa altri lettori, o haverà moltitudine in compagnia, o vero spesa straordinaria, ma in casa mia non haverà altra compagnia che l’Ill.mo S. C. Aless.ro Montalbano, il quale ha un fratello costà cavaliere et paggio di S. A.([324]), il quale, essendo stato altri 4 anni in casa mia, continuerà sino che finisca i suoi studii, ciò è quest’anno et il seguente: et circa il resto sarà il tutto rimesso all’arbitrio di V. S., dalla quale starò aspettando ordine per servirla conforme a quello. Et in tanto a lei et al S. Fran.co, suo figliuolo, con ogni affetto bacio le mani, et prego da N. S. felicità.

Di Pad.a, li 24 d’Agosto 1607.

Di V. S. molto I.Ser.r Oblig.mo Galileo Galilei.

162.

COSIMO DE’ MEDICI a GALILEO in Padova.

Firenze, 11 settembre 1607.

Bibl. Naz Fir. Mss. Gal., P. I, T. XIV, car. 17. – Autografa la sottoscrizione.

Molto Mag.co et Ecc.te mio Dilettiss.o

A gl’orecchi miei non era pervenuta altra notitia delle calunnie date a V. S. da quel galanthuomo circa l’inventione del suo Compasso Geometrico, si non che, dimandando io di lei quest’estate, mi fu detto (seben mi ricordo) ch’ella era stata, non so che tempo, poco ben disposta, et poi occupata in certo negotio che le premeva assai per l’honore, che doveva essere sicuramente questo; onde V. S. non ha bisogno di far meco scusa alcuna. La ringratio poi molto del libro che mi ha mandato, il quale veramente non ho ancor letto tutto, ma, per quello che ne ho visto, quel suo detrattore o sarà un ostinato temerario, o che pagherebbe buona cosa a esser digiuno di quest’impresa. Mi rallegro con lei che la causa sia terminata, come si vede, con infinita reputatione et laude di V. S.: alla quale offerendomi, le prego da Dio ogni bene et ogni contento.

Di Fior.a, il dì XI di Settembre 1607.

  S.GalileoAl piacer suo Don Cosimo, P.e di Toscana.

Fuori: Al Mag.co mio Dilettiss.o

Il S.r Galileo Galilei, a

Padova.

163*.

CIPRIANO SARACINELLI a GALILEO in Padova.

Firenze, 11 settembre 1607.

Bibl. Est. in Modena. Raccolta Campori. Autografi, B.a LXXXVIII, n.o 167. – Autografa la firma.

Molto Mag.co et molto Ecc.te S.r mio Oss.mo

La lettera di V. S. de’ 24 del passato mi è stata resa per le mani del Landucci, suo cugnato, insieme con un’altra sua per il Ser.o S.r Principe. Le sopradette due lettere son venute accompagnate da due libretti, che contengono la Difesa di V. S. contra quello veramente usurpatore del suo instrumento, overo Compasso Geometrico. Il libro che è tocco a me, l’ho letto tutto, et per quello che me ne pare, se quell’ardito Capra sapesse saltare all’indíetro, credo che lo farebbe molto volentieri: basta che V. S. l’ha gastigato come meritava, havendolo con la sua penna frustato e mandatolo, come si dice a Fiorenza, su l’asino. Al Sig.r Principe è stata cara la lettera di V. S., il libretto gl’è piaciuto et credo che lo finirà di leggere: et sappia V. S. che S. A. l’ama et la stima molto, et che per conservarsi nella gratia sua ha poco bisogno dell’opera mia; tuttavia, per soprabondanza d’affezzione, non mancarò di ricordare le virtù et meriti suoi.

V. S. ha cagione di voler bene al Cav.r Ferdinando, mio nipote, non perchè in lui siano quelle qualità che V. S., ingannata, facilmente le par di conoscerci, ma perchè, conoscendo esso molto bene le virtù singolari che sono in lei, l’ama anche et osserva singolarmente, et le bacia le mani. Ho salutato, come V. S. mi scrive, il S.Piovano([325]), et datogli a leggere il libretto, con patto che lo faccia vedere a qualcun altro, come debbe haver fatto, non me l’havendo per ancora ristituito.

Il Landucci, suo cugnato, mi narrò il travaglio che haveva per conto della gabbella delle doti. La cosa in sè stessa, quanto all’interesse, non pareva che fosse di grande importanza; ma, o poco o assai che sia, a ciascuno incresce di pagare un debito al quale non pare di esser tenuto. Non seppi far altro, così all’improviso, in servitio suo, che ricordargli ch’andasse da parte mia a informare di questo caso il S.r Bastian Corboli, Segretario della Consulta, nella quale, si trattano simil materie. Tornò a dirmi che vi era stato, et se ne era partito molto sodisfatto; et parmi che mi dicesse ancora che se ne doveva parlar nella prima Consulta, et perchè in essa suole intervenire il Ser.o S.r P.e, pregai S. A. che, sentendone parlare, volesse raccomandare il negotio particolarmente al Dottor Cavalli, fiscale: ma facilmente la detta Consulta si dovette fare senza la presenza d’esso S.r Principe, perchè di questo caso S. A. non ne ha sentito parlare; nè io so quello che sia poi seguito, non havendo più visto il S.Landucci, di che anche mi son maravigliato un poco. Se mi farà altra instantia o mi ricercarà di qualche cosa, potrà ben mancare il potere, ma la volontà di giovarli non mancarà mai, e per lui stesso e per rispetto di V. S., alla quale io son sommamente desideroso di servire. Et le bacio le mani.

Di Fiorenza, il dì XI di Settembre 1607.

Di V. S. molto Mag.ca et molto Ecc.teAff.mo Ser.re Cipriano Sarac.llo

Fuori: Al Molto Mag.co et molto Ecc.te Sig. mio Oss.mo

Il S.r Galileo Galilei, Professore di Mattematica, in

Padova.

164*.

SILVIO PICCOLOMINI a GALILEO in Padova.

Firenze, 8 ottobre 1607.

Bibl. Naz. Fir. Mss. Gal., P. I, T. VI, car. 131. – Autografa la sottoscrizione.

Ill.re Sig.r mio Oss.mo

Sapendo io quanto V. S. sia mio affetionato amico, mi rendo certo che l’harà sentito e sentirà gusto dell’ felice successo dell’impresa della fortezza e città di Bona in Barberia, commessami dal Ser.mo Gran Duca, mio Signore, al quale è stata di tanto contento e sodisfatione, che ha voluto che se ne mandi la relatione et il disegno alla stampa([326]); quali mando qui inclusi a V. S., acciò la veda e senta destintamente i particolari([327]), se bene ne sono stati lasciati molti.

Desidero e prego V. S. a favorirmi d’avisarmi che provisione dia la Republica al generale dell’artiglieria, et imparticolare quello che dà([328]) al S.Ferrante de’ Rossi; e ciò quanto prima, perdonandomi s’io l’infastidisco. E comandi a me dove son buono: e li bacio le mani.

Di Fior.a, il dì 8 di 8bre 1607.

Di V. S. Ill.re Ho riceuto il libro mandatomi, et mi è stato gratissimo, ringratiandola infinitamente. S.r Galileo Galilei    Ser.re Silvio P.ni

Fuori: All’Ill.re Sig.r mio Oss.mo

Il S.r Galileo Galilei, a

Padova.

165*.

RAFFAELE GUALTEROTTI a GALILEO in Venezia.

Firenze, 20 ottobre 1607.

Bibl. Naz. Fir. Mss. Gal., P. VI, T. VII, car. 86. – Autografa.

Molto Ill.re et Ecc.te Sig.r

La ringrazio del baratto de’ libri, e la prego che vegga di darli in consegna ad uno che me li porti qui in dogana, che io pagarò il porto et ogni spesa fatta. E poi che V. S. è in Vinezia, vegga di farmi un favore, che è di veder di trovarmi un ciottolo di lapis lazzeri, o tavole segate, che sieno di lapis cattivo, ciò è turchino, sbiancato, con macchie bianche, che a me serviria per far cieli e nuoli, che per ogni altro lavoro saria disutile, e darmi aviso del costo e del nome del padrone; chè qua poi, per mezzo de’ Riccardi, delli Strozzi o simili, lo farei levare e condurre.

Le nuove mi sono state carissime; et in contracambio le mando la nascita di una cometa([329]), apparsa il dì 27 di 7mbre 1607, circa le 7 hore di notte, nell’Orsa maggiore, rispondente a 18 gradi del Lione: et in tre dì caminò verso mezo giorno tanto, che passò sopra Arturo, e si pose con esso e con la lucida della Corona in un perfetto triangolo; e di poi in tre settimane ha fatto per il Serpente altrettanto viaggio quanto fece ne’ tre primi giorni. Iersera era vicina ala stella della coscia sinistra di Ofiucco; e per ire a recider l’eclittica ne’ 15 gradi del Saggittario in circa, rinuova il significato del’altra del 1604. Qui prego Dio che l’esalti, e li bacio le mani.

Di Firenze, il dì 20 di Ottobre 1607.

Di V. S. molto Ill.re et Ecc.teServi.re Aff.mo Raffael Gual.

Fuori: Al Molto Ill.re et Eccelle.te

Sig. Galileo Galilei, a

Venezia.

166*.

GIROLAMO MAGAGNATI a GALILEO in Padova.

Venezia, 21 ottobre 1607.

Bibl. Naz. Fir. Mss. Gal., P. I, T. VI, car. 133. – Autografa.

Molt’ Ill.re et Ecc.mo S.mio Oss.mo

Ò compare, compare, s’à foessè stò on cò son stò io mi in tanti imbruogi, in tanti fastibii e in tanti dafari, à ve sò dire che no ve smaravegiessè s’à no v’hò de longovia scritto, c’hà hò bù na vostra sletra, c’hà gò mandò quell’altra in Toescaria, la bella prima consa c’hà faesse, c’hà gò inteso ch’ì fatto ravolò e ch’i ravi xè stè con è stroppe, perchè la bruosema no gi à ancora ben brustolè, e cetola. Ancuò([330]) mò, che i molini è serè e che ‘l se può anare un può à spasso, perchè el preve no vuole che ‘l se vaghe à overa, à ve fazzo savere c’ha go bù an l’altra sletra, con el pezzo de bosattello, e sì à gò an inteso, saì, compare?, con disse questù, che aì speso d’i soldi: ma, con disse questù, s’havì, saíu, compare?, à vuò mò dire, che s’i tornerì à lombrare, el ve mancherà pì de denove marchitti per tron de tutto quelo c’haì speso, perchè à no vuogio mandarve groppitti de bezze, saíu, compare? Perzontena fe’ che ‘l vostro boaruolo tegne la tessera, ò che ‘l gi segne sù qualche salgaro, perchè à farò così an mi de quigi c’à spenderò in pessatti e in altre noelle, e pò, con se revederemo, à se valizeremo, con disse questù. In stò mezo, caro compare, mandemene ogni stemana un pezzatto così de st’andare, con qualche paro de bresolatte, che le me sà bone; e zà c’haì scomenzò, e me g’haì usò, à no men porave destuore. E così, con à ve dego rivar de dire, an mi e ‘l zuoba de sera à ve fornirò de qualche cosa, sì che seguramen nò caderà ch’à fè altra spesa livelondena, perchè fè vostro conto che vù tirerì sù la negossa el vendere, con tanti pessati che ve bastarà, e mi chiapperò sù el stroppelo, c’haverà impirò sù da far de bon bruò e de bone menestre; e così, con disse questù, à faren con fà gi aseni, à se grattaren un con l’altro, e donde pì ne pizza, compare, zoè in la gola. Or sù, compare caro, che ‘l se staghe in legrisia pì che ‘l se pole; e viva l’amore, perchè s’à son vecchio, à no son cottecchio, saíu, compare?

Sto aspettando nova di quanto l’Ecc.mo S.r Cremonino havrà operato; e l’amico ancora l’aspetta con grand’ansia. E con ciò affettuosissimamente le bacio le mani.

Di Vin.a, il 21° di 8bre 1607.

Di V. S. molto Ill.re et Ecc.maAff.mo Ser.re Gir.mo Magagnati.

Fuori: Al molt’Ill.re et Ecc.mo S.r mio Oss.mo

Il S.r, Dottor Galileo Galilei.

Padoa.

167**.

BENEDETTO CASTELLI a D. ERMAGORA di Padova in Venezia.

La Cava, 24 ottobre 1607.

Bibl. Naz. Fir. Mss. Gal. P. VI, T. XIV, car. 21 e 22. – Autografa.

Molto Ven. Padre Oss.mo

Alli 10 di 8bre corrente ritrovandomi in una loggia, la sera, alla scoperta, al’usanza mia, per riguardar le stelle, viddi una luce, o vogliam dire cometa([331]), nella parte occidentale, della grandezza delle stelle della prima magnitudine, ancorchè, per esser alquanto oscurotta, non facesse di sè troppa bella mostra, con una coda o irradiatione stesa verso oriente apunto, quale si andava scemando di splendore nell’estremità sua, in maniera che non si poteva ben bene rafigurare la longhezza sua, ma così di grosso appariva di sette gradi in circa. Ma perchè mi ritrovai rinchiuso nelle stanze del mio Reverendo([332]), per esser il loco, dove io stava, pertinente alla camera sua, non potei per quella sera far altra osservatione: e per altra occorrenza, con mio disgusto, l’istesso alli 11 mi fu vietato. Alli 12 ritrovai, come meglio potei([333]), che detta apparenza si ritrovava apunto nell’equinottiale nel 237 grado, cominciando dalla sectione del p.° gr.° dell’con l’equinottiale. La sera sequente non fu possibile osservarla. Alli 14 si era posta tra la stella della 3a magnitudine che sta nella man sinistra di Esculapio, e quell’altra più meridionale informe tra la zampa destra del Scorpione e le coscie d’Esculapio, in maniera che, essendo lei più occidentale di tutte dua le dette stelle, faceva con quelle un isoscele, del quale essendo la base la distanza tra le due stelle, la perpendiculare dalla cometa alla base era la terza parte di detta base. Alli 15 poi si era trasferita più meridionale, tanto che con il sito della sera antecedente formava una rombide: onde entrai in pensieri che lei alli 12 fosse stata non nel 237, ma nel 236 e meno, perchè questo mi correspondeva meglio a fare che il moto suo fusse per circolo massimo. Le altre sere sequenti si andava sempre facendo più meridionale, secondo la quantità delle prime, sin che, succedendo mutation di tempi, mi fu levata sì piacevol vista; et hora, che sono alli 24, per essersi già il Sole appressato et per esser a questo nostro sito opposto l’impedimento d’un monte, la sera non posso far altra osservazione. Solo sospiro la ampiezza dell’orizonte vostro, ma molto più la vostra conversatione, con la quale volentieri ragionarei di presenza e di questo e di molte altre cose, che con non poche fatiche vado alla giornata guadagnando.

Mi farete favore darmi nova del mio Sig.r caro Galileo, e, se è possibile, communicateli questa mia, acciò se S. S. con più essatta osservatione havesse notata la sudetta apparenza, me ne dia copia: e scriveteli che io tengo desiderio di servirlo, conforme a’ segnalati e grandi meriti suoi([334])….

168.

GALILEO a CURZIO PICCHENA in Firenze.

Padova, 16 novembre 1607.

Bibl. Naz. Fir. Questa lettera, della quale l’autografo non giunse insino a noi, fu pubblicata per la prima volta tra le Lettere storiche, politiche ed erudite raccolte da Antonio Bulifon, ecc. In Pozzoli, 1685, pag. 200-204 e ne abbiamo copia di mano di Vincenzio Viviani nei Mss. Gal., P. VI, T. V, car. 15 e 16. L’edizione del Bulifon non deriva da questa copia, la quale ha lezioni manifestamente scorrette; si può bensì sospettare che sia stata condotta direttamente sopra l’autografo, sebbene presenti un grave errore, che si può sanare col confronto dell’altra fonte. Riproduciamo la lettera dalla edizione suddetta, correggendo quell’errore col riscontro della copia del Viviani e segnando appiè di pagina, con la sigla s, le lezioni della stampa dalle quali ci discostiamo.

Al Sig.r e P.ron Col.o

Il Sig.r Curzio Picchena, Segretario di S. A. S.

Firenze.([335])

Molt’Ill.e Sig.r e P.ron Col.mo

Io scrissi, sono oggi 15 giorni([336]), a V. S. molt’Ill.re quello che potevo dire allora in materia del pezzo di calamita ricercato da S. A. S.: che fu, che primieramente ne havevo io un pezzetto di circa mezza libbra assai gagliardo, ma di forma non molto elegante, e che questo era al cenno di S. A. S., padrona di questo e di tutto il resto; le dissi appresso, ritrovarsene un pezzo in mano d’un gentilhuomo amico mio([337]), di bontà suprema, grande in circa 5 libre, e di bella forma; ma per ritrovarsi quel signore in Cadore, dissi che gli haverei scritto per intender l’animo suo. Scrissi, e ho havuta risposta, e che si priverà della calamita, tutta via che si trovi il prezzo di che è la stima: e già che si ha in mano di poterla havere, mi è parso di dire alcuni particolari che ho veduto io più volte nella detta calamita, havendola havuta più volte nelle mani.

Prima, è tanto vigorosa, che sostiene un fil di ferro lungo un dito, e grosso come una penna da scrivere, al quale sia attaccato libbre 6 e mezza di qualsivoglia materia; e credo, se io ho bene a memoria, che le libbre 6 e mezza fussero pesate alla grossa di queste libbre di qua, che delle fiorentine saranno circa dieci. Attaccandovi un oncinetto di ferro, non più grande di mezzo granello di grano, lo sosterrà insieme col peso di tre zecchini, che gli sieno appesi. Ha tanta forza, che appressatagli la punta d’una grande scimitarra, vicina quanto è la grossezza d’una piastra d’argento, sforza ambo le mani di qualunque gagliarda persona, che anco per maggior resistenza s’appoggiasse il pomo della detta arme al petto,([338]) e per forza la rapisce a sè. Io poi vi scopersi un altro effetto mirabile, il quale non ho potuto poi più rivedere in alcun’altra calamita; e questo è, che dalla medesima parte scaccia e tira il medesimo ferro: lo tira, mentre che gli sarà posto lontano 4 o 5 dita; ma se se li accosterà vicino a un dito in circa, lo discaccia: sicchè posandolo sopra una tavola e andando alla sua volta con la calamita, quello fugge, e seguitandolo con la calamita tuttavia scappa; ma se si ritira la calamita in dietro, quando se li è slontanata per quattro dita, il ferro comincia a moversi verso lei, e la va seguitando quanto altri la ritira indietro; ma non se gli vuole accostare a un dito, anzi, come ho detto, andandogli incontro con la calamita il ferro si ritira e fugge. Gli altri effetti poi tutti della calamita si veggono in questa mirabilmente per la sua gran forza.

Questo gentilhuomo mi scrive, essergli altra volta stati offerti 200 scudi d’oro da un gioielliere tedesco, che la voleva per l’Imperatore; ma non glie la volse dare altrimenti, stimandola egli assai più. Io non ho potuto nominare a questo gentilhuomo la persona che la domanda, nè anco la nominerò, se non ho altr’ordine da V. S.; e per essere detto signore lontano di qua, non ho potuto havere risposta da esso se non oggi: dalla quale ho cavato solamente, che quanto alla calamita la concederà, benchè prenda gran piacere de’ suoi effetti: ma per quel che mi accenna, la stima oltre a 400 scudi. Molte volte gli ho sentito dire che non la darebbe per manco oro di quello che lei sostenesse attaccato ad un ferro, il che saria per più di scudi 400: ma circa a questo non m’ha scritto adesso cosa alcuna. Io starò aspettando ordine da V. S. di quanto vuole che io tratti, chè non mancherò di ubbidire a’ cenni del nostro Sig. Principe. Al quale intanto umilmente m’inchino, e a V. S. con ogni affetto bacio le mani.

Di Padova, li 16 di Novembre 1607.

Di V. S. molt’IllustreServidore Obligatissimo. Galileo Galilei.

169.

GALILEO a [CURZIO PICCHENA in Firenze].

Padova, 4 gennaio 1608.

Bibl. Naz. Fir. Mss. Gal., P. VI, T. V, car. 9. – Autografa. Nel margine superiore a sinistra si legge, di mano di BELISARIO VINTA: «Se leva cinque libbre di Firenze quanto ella pesa»: cfr. n.° 170.

Molto Ill.re Sig.re e Pad.ne Col.mo

Ritrovandomi in obligo di rispondere qualche resoluzione al padrone della calamita, che è l’Ill.mo S. Gianfrancesco Sagredo et havendo ricevuta l’ultima di V. S. molto I., nella quale mi scrive, la mente di S. A. S. esser di non trattare di essa calamita quando quel signore stia in prezzo così alto, desiderando pure che S. A. non habbia domandato cosa possibile ad haversi senza ottenerla, ho scritto a questo signore per veder di persuaderlo ad abbassarsi, et ne ho hauta la risposta che V. S. vedrà qui alligata([339]): per la quale, poi che si rimette all’arbitrio mio, possiamo stimare che la pietra sia nostra. Solamente mi dispiace l’avergli io da principio detto di trattare per un signor Pollacco, mio scolare, il quale (per colorir la tardanza delle risposte) si trovi di presente in Firenze; che quando io potessi mostrarmi con questo signore interessato alla metà di quello che sono per servire S. A. S. haverei, conforme alla sua offerta, la calamita ad ogni prezzo, sì come son sicuro che si haverebbe in dono, quando in luogo della mia piccolissima autorità potessi usar la somma del domandante. Però se parerà a S. A. quello che pare a me, ciò è che dalla risposta del S. Sagredo possiamo, con l’interposizion della mia, qual ella si sia, autorità, assicurarci di haver la calamita ad ogni honesto prezzo, starò aspettando che V. S. mi comandi: «Proferiscigli tanto», che così esequirò.

Ho voluto mandar la propria risposta a V. S., perchè al manco da quella possa accertarsi et farne poi fede a S. A. S., come io ho procurato di servirla con ogni mio potere. Alla quale intanto inchinandomi, bacio con ogni humiltà la vesta, et a V. S. mi confermo devotissimo servitore.

Potrà mandarmi il punto([340]), chè non mancherò di procurare che V. S. resti servita, per quanto comportano i termini dell’arte. Il Signore la feliciti.

Di Pad.a, li 4 di Gennaio 1608.

Di V. S. molto I.Ser.re Oblig.mo Galileo Galilei.

170*.

BELISARIO VINTA a GALILEO in Padova.

Dall’Ambrogiana, 13 gennaio 1608.

Bibl. Est. in Modena. Raccolta Campori. Autografi, B.a XCIII, n.° 44. – Autografa.

Ill.re S.r mio Oss.mo

Ritrovandosi il Sig. Segretario Picchena assente per certa occorrenza del Ser.mo Padrone, io debbo rispondere alla S. V., per comandamento del suo et mio Signore, che di quella calamita non ne vorrebbe dare più che dugento scudi; et quando anche bisognasse che fussino d’oro, questo si acconsentirà, e V. S. può accordargli d’oro: ma a maggior somma non si vuole arrivare; et anche questo prezzo di dugento scudi si ha da stabilire et dare, sempre che il pezzo di detta calamita che si compra levi altretanto peso di ferro quanto pesa egli; et affermandosi che la calamita pesi cinque libbre, cinque libbre di ferro bisogna ancora che levi ella: altrimenti, non si ha a pagare nè anche li sudetti dugento scudi. Ma levando cinque libbre di ferro, la S. V. arrivi fin a dugento scudi d’oro, quando la non possa far meno; et più non se ne ha da dare. Et a V. S. bacio di buon cuore le mani.

Dall’Ambrogiana, a 13 di Gennaio 1607([341]).

Di V. S. molto Ill.reTutto Aff.mo per servirla Belisario Vinta

Fuori: All’Ill.re Sig. mio Oss.mo

Il Sig.r Galileo Galilei.

Padova.

Firenze.

171.

GALILEO a [BELISARIO VINTA in Firenze].

Padova, 8 febbraio 1608.

Bibl. Naz. Fir. Mss. Gal., P. VI, T. V, car. 11 e 12. – Autografa.

Ill.mo Sig.re e Pad.ne Col.mo

La gratissima lettera di V. S. Ill.ma, scritta da l’Ambrogiana, li 13 di Gennaio, non mi è stata resa prima che li 3 di Febraio; et di questa tardanza ne è stata, per mio avviso, cagione la immensa copia di giacci et nevi, che per molti giorni hanno tenuto impedito il transito da Venezia a Padova: et di presente ancora, haviamo qui in Padova la neve alta per le strade 4 et 5 braccia, cosa orribile et che supera le memorie de gl’ huomini et delle carte([342]).

Ho intesa la resoluzione del Ser.mo nostro Padrone intorno alla calamita, conforme alla quale scrissi all’Ill.mo S. Sagredo, padrone della pietra; il quale, per havermi scritto molte altre mani di lettere intorno a questo negozio, et per trovarsi occupatissimo nel mettersi all’ordine per il viaggio di Aleppo, dove va Consolo fra poche settimane, mi scrisse brevissimamente, et mi mandò la, calamita, dicendomi che io ne facessi quanto che a me piaceva, et che non era per ritirarsi indietro dall’oblazione che per altra lettera mi haveva fatto, quando me ne haveva fatto padrone, et che se non mi contentavo dell’haverlo tirato a 200 scudi d’oro, che io lo riducessi anco a 200 d’argento et a quello che più mi piaceva, pur che io restassi satisfatto di haver gratificato quell’amico, della cui satisfazione io mi ero dimostrato così ardente. Io ho hauto molto caro di haver la calamita nelle mani, per esperimentar la sua virtù più diligentemente, essendo che V. S. Ill.ma mi ha data una limitata condizione, senza la quale non si ha da concludere o effettuare la offerta di S. A. S., per il servizio della quale io mi sono adoperato con ogni spirito, non havendo niuno altro rispetto che la sua satisfazione; oltre alla quale satisfazione è ben ragionevole che io procuri anco la mia, la quale non consiste in altro se non in far sì che S. A. S. resti certificata, che non ho scritto costà cosa che detragga un solo capello alla mera verità, mentre ho parlato delle qualità di questa pietra. Et perchè mi viene replicato sopra una sola, che è circa ‘l peso che ella può sostenere, havendo io scritto altra volta che, potendo pesar lei circa 5 libre, poteva sostenere altretanto([343]) di ferro, hora io specifico più a V. S. Ill.ma, et per lei al S.mo nostro Signore, che la pietra pesa oncie 53 a questo peso, sì che non credo che calerà molto dalle 5 libre al peso di Fírenze; ma ben che calasse qualche cosa, questo poco importa, anzi tanto sarà maggior la meraviglia, quanto che ella sostiene più di libre 5 ½ di ferro, sì come li fo sostenere io, et credo che più ancora li farò sostenere avanti che mi esca delle mani. Nè si meravigli V. S. Ill.ma che ci sia bisogno di esperienze et investigazioni per scoprir la sua forza; perchè, prima, i punti nella pietra dove la virtù è robustissima, sono due soli poli, et questi bisogna con diligenza ritrovare; in oltre, la virtù del sostenere non è meno del ferro che della calamita, sì che non ogni ferro, nè di ogni grandezza et figura, è egualmente sostenuto, ma l’acciaio elaboratissimo, et di una particolare figura et grandezza, più gagliardamente si attacca. In oltre, le armature de i poli attaccate un poco più qua o là possono far gran variazione: et io in questi 4 giorni, che l’ho tenuta nelle mani et che mi ci sono occupato intorno, l’ho fatta reggere quasi una libra di più di quello che il padrone della pietra habbia mai veduto sostenergli; et sono in speranza, facendo io fabricare alcuni pezzi di acciaio finissimo, di ridurla a sostenere ancora molto più.

Reggie dunque già de fatto quasi una libra più di quello che lei pesa; et sì come questo è vero, così haverei di bisogno che constasse a S. A. S. quando l’havesse nelle mani, acciò, per difetto di chi glie ne facesse vedere l’esperienza, le mie parole non havessero a restar immeritamente condennate; il che a me sarebbe di infinito dispiacere, tenendo io in bilancia la vita propria con la buona grazia del Ser.mo nostro Signore. Onde io credo che mi risolverò, quando non mi sia ordinato in contrario, di mandare la calamita con le sue armature attaccate precisamente a i due poli, et i medesimi due ferri che da quelli sostiene pendenti, acciò, per difetto di chi non gli sapesse così subito ritrovar costà, non habbia a restar S. A. S. senza vederne l’esperienza da me promessa: se bene saria mia interissima satisfazione il farla vedere in Venezia o all’ Ill.mo S. Residente o a chi più li piacesse; il che si potria fare senza specificar la causa perchè. Però circa questo mi rimetterò a quanto da V. S. Ill.ma mi verrà ordinato.

Gl’altri effetti di questa pietra sono quali altra volta ho scritto: et nel mandarla manderò anco dui cilindretti di acciaio, per veder quel mirabile effetto scoperto da me in questo pezzo, et credo che sia singolare di questa sola, non l’havendo io potuto far fare a niun’altra di molte che ne ho sperimentate; et è di scacciare sopra una tavola uno de i detti ferri quando se li vuole avvicinar più di due dita la pietra, et tirarselo dietro se se li discosta la medesima calamita.

Quanto al prezzo, questo signore, come da principio ho detto, non è per ritirar indietro la parola datami, rimettendosi in me; ma perchè nello scrivergli io de i 200 scudi d’oro mi ha risposto che, se par così a me, io gli faccia anco di argento, pur che ci sia la mia satisfazione, però, parendomi che questo signore potesse creder che io habbia voluto ristringerlo più di quello che haverei potuto fare, quando nel resto S. A. S. restasse satisfatta, la vorrei supplicare a restar servita di convertire li 200 Ñ.di d’oro in 100 doble, che poco più di quelli importano, perchè così potrei mostrare a questo signore (la cui buona volontà devo io per molti rispetti procurar di conservarmi) di haver tenuta la sua parte più di quello che credeva. Ma perché l’ho tenuta occupata più di quello che haverei voluto, finirò con inchinarmi humilissimamente al Ser.mo nostro Signore, et con offerirmi servitore devotissimo a V. S. Ill.ma, alla quale prego da Dio somma felicità.

Di Pad.a li 8 di Febraio 1608.

Di V. S. Ill.maSer.re Dev.mo Galileo Galilei.

172*.

SEBASTIANO VENIER a GALILEO in Padova.

Venezia, 17 febbraio 1608.

Bibl. Naz. Fir. Mss. Gal., P. I, T. VI, car. 114. – Autografa.

Ill.re et Ec.mo S.r H.do

Hebbi l’informatione che desideravo, et la ringrazio quanto più posso della diligenza che ha in ciò usato, conforme al solito della sua gientilezza. Farò l’ufficio coll’Ill.mo Moresini oportunamente, nella maniera che desidera. Le mando la lettera dell’Arrigetti, poichè comprende altro particolare. Non occore che me le offerisca, perchè sa che son tutto suo: ma ben col fine la saluto di core, et le prego da N. S. ogni maggior contento.

In Venetia, li 17 Febraro 1608.

Di V. S. Ill.e et Ecc.maSer.re di core Sebastiano Veniero.

Fuori: All’Ill.re et Ecc.mo S.r H.do

Il S.r Galileo Galilei, Matematico di

Padova.

Al Santo.

173*.

MARINO GHETALDI a [GALILEO in Padova].

Ragusa, 20 febbraio 1608.

Bibl. Naz. Fir. Mss. Gal., P. VI, T. VII, car. 88. – Autografa.

Molto Ill.re S.r mio Oss.o

I Sig.ri Reformatori hanno castigato il Capra dinnanzi al popolo assai bene, ma molto più dinnanzi agli inteligenti l’ha mortificato l’apologia([344]) di V. S.; di manera che in un modo et in un altro è stato acconcio come meritava. Io mi ricordo che quando ero in Padua del 1600, V. S. mi mostrò molte operationi del suo compasso; e quanto a me non ho havuto bisogno d’altre prove, sebene vi sono infinite nella apologia, che tutto quello sia sua inventione.

La ringratio infinitamente tanto de l’haver voluto legger il mio Apollonio([345]), quanto del’havermi mandato la sua apologia: et ogni volta che mi farà partecipe delle operationi del suo ingegno, gl’haverò obligo, perchè io sono qui come sepolto; chè non intendo altro se non quello che mi viene scritto qualche volta dal P. Clavio, e questo rare volte, per esser horamai vechio, che gli è più facile fugir lo scrivere che pigliar la penna in mano.

Haverei a caro veder il libro di V. S. della fabrica et uso del suo compasso militare, perchè vorrei far uno, chè habiamo qui un maestro, che nelle cose d’otone è valenthomo. Con che li bacio le mani.

Di Ragugia, alli 20 di Feb.o 1608.

Di V. S. Molto Ill.reAff.mo Ser.re Marino Ghetaldi.

174.

MICHELANGELO GALILEI a GALILEO [in Padova].

Monaco, 4 marzo 1608.

Bibl. Naz. Fir. Mss. Gal., P. I, T. VI, car. 116. – Autografa.

Car.mo et Honor.do Fratello,

Ho ricevuto la vostra gratissima, et bene che quello che mi havete scrit[to] sia stato tutto lamentevole, pure mi son rallegrato in veder che non mi disprezzate tanto quanto mi andavo immaginando. Hora, rispondendovi circa il particolar de’ nostri cognati, mi dite che vo soddisfacendovi con la buona volontà. Caro fratello, se non ò hauto([346]) il modo di far con effetti quello che desidero di fare, non so che mi possiate tanto biasimare. Voi dite che ho speso una gran somma di denari in un desinare: questo non vi nego; ma considerate che questo desinare fu alle mie nozze([347]),dove non si poteva far di manco, perchè ebbi da 80 persone, tra le quali ci erano molti signori d’inportanza et inbasciadori di 4 principi: et volendo far a l’usanza di questo paese, et per non rimaner in vergogna, fui forzato a fare quello che di manco era inpossibile. Ma non mi potrete già dire che io abbia fatto tali spese per cavarmi qualche mia voglia, nè ho mai malamente buttato via tal somma; ma sì bene per risparmiar mi son patito molte voglie. Mi dite ancora che non fa al vostro bisogno con l’avervi scritto([348]) che Dio vorrà saper buon conto del’ira che potevi patir meco. So che questo poco vi aiuta al vostro bisogno([349]); ma non è per questo che io non dovessi scrivervelo, chè ben potete creder che io non ve l’abbia scritto con pensiero che questo vi deva soddisfare quanto allo scarico del debito con [i] nostri cognati. Circha questo particolare, vi dico in poche parole che con ogni mio potere anzi patirò ogni incomodo, acciò io vi dia in parte soddisfazione; ma che sia possibile che io trovi 1400 ?di, che so che restano haver i nostri cognati([350]), questo so che non potrò fare: et tal som[ma] di denari mai à da calare, poichè ci è fatica a pag[ar] solo l’interessi. Bisognava dar la dote alle sorelle non conforme al vostro animo solamente, ma ancora conforme a la mi[a] borsa. Dio benedetto vede il cuor di tutti; et se io non vo sodisfacendo con li effetti, mi dica uno se ò mai hauto il modo di poterlo fare. Quando vi mandai li f. 50 per…. il Sig.r Cosimo mi prestò f. 30, i quali non ò ancora pagati, […spero] in breve pagarlo, poichè mi scrive che vuole un de’ mia liuti; et da poi senza fallo mi farò prestar 50 f., et ve li manderò: altro non so che fare. In questi primi mesi mi è convenuto spendere assai in casa. So che direte che dovevo lasciar star di tor moglie, et considerare alle nostre sorelle. Dio mio benedetto, stentar tutto il tempo della mia vita per avanzar quattro soldi per darli poi alle sorelle! soma e giogo troppo amaro e grave, et sono più che sicuro che stentando 30 anni([351]) non potrei avanzar tanto, che io potessi dar l’intera sodisfazione. Dio mi aiuti, voglio fare più di quello che potrò: abbiatemi un poco di conpassione, et considerate che non potrete mai dire che io abbia hauto il cuor a cavarmi le mie voglie senza curarmi di altri. Del’aver tolto moglie direte che questa sol voglia è stata bastante a dichiararmi poco desideroso dì far il debito mio. Qui non vi risponderò: sallo Iddio a che fine l’ò fatto, il quale ringratio della gratia concessami([352]), et mi dia facultà di poter con gli effetti conrispondere al desiderio che ò di far il debito mio. Più a lungo non mi estenderò: vi pregherò bene che mi vogliate tener per vostro buon fratello, et siate sicuro che con ogni mio potere vederò di darvi qualche sollevamento, poi che per mia colpa dite di trovarvi in tante angustie. Scusatemi, chè quello che non ò fatto, è mancato da non haver il modo.

Ho inteso che mi farete mandar presto la cassa, la quale ho aspettato con molto desiderio per li liuti soli, chè invero in questa quaresima ne ò gran necessità per sonar in concerto, et per averli non mi sarei curato spender qualcosa di più ne la condotta: ma pazienzia. Vi ringratio della vostra buona volontà, et a voi, come a nostra madre, mi raccomando di vivo cuore, come fa ancora l’Annaclara, quale pagherei qualcosa che da voi fussi conosciuta. Dio vi feliciti.

Di Monaco, li 4 di Marzo 1608.

Volendomi scrivere, date le lettere costì in Padova al datore di questa, chè veniranno sicure.

 Vostro Aff.mo Fratello Michelag.lo Galilei

175.

GALILEO a [BELISARIO VINTA in Firenze].

Padova, 14 Marzo 1608.

Bibl. Naz. Fir. Mss. Gal., P. VI, T. V, car. 13. – Autografa.

Ill.mo Sig.re et Pad.ne Col.mo

Risposi 5 settimane sono([353]) alla cortesissima lettera di V. S. Ill.ma, nella quale mi haveva significata la mente di S. A. S. in materia di quella calamita; et perchè non ho poi vedute altre sue lettere, vo dubitando che, per qualche sinistro accidente, la mia possa essersi smarrita: onde ho resoluto replicar con brevità in questa quanto nell’altra li dicevo, acciò che qualche accidente non mi facesse apparire men diligente nel servizio del Ser.mo nostro Signore.

V. S. Ill.ma mi scriveva, la volontà di S. A. S. esser di non dar della detta calamita più di Ñ.di 200 d’oro, et questo prezzo quando la detta pietra sostenesse tanto ferro quanto pesava essa, sì che supponendosi il suo peso esser di libre 5, ella sostenesse 5 libre di ferro; altramente non intendeva S. A. S. volerla. Io riscrissi a V. S. III.ma, haver significato il prezzo all’Ill.mo S. Gianfrancesco Sagredo, padrone della pietra, il quale, rispondendomi, come altra volta haveva fatto, mi faceva padrone di questo negozio, et mi mandò la calamita, la quale ancora si trova appresso di me; la forza et vigor della quale havendo io più volte esperimentato, gli fo sostenere più di 5 libre di ferro, ancor che il peso della pietra non arrivi a questo segno: onde è manifesto, il valor di quella essere assai più eccellente di quello che S. A. S. si contentava et che io havevo scritto nelle mie prime lettere. Soggiugnevo apresso, che per mia satisfazione haverei mandati, insieme con la pietra, i ferri et le sue lamette attaccate a i poli, acciò per diffetto di chi non potesse così improvisamente ritrovare le parti più vigorose della calamita, nell’esser mostrato a S. A. S. l’effetto, le mie parole non fussero apparite in qualche parte manche, essendo che la verità è che fo sostenere alla detta pietra più di una libra di più di quello che pesa lei; o vero, quando non fusse parso altramente a S. A. S., ne haverei volentieri fatto veder l’effetto in Venezia all’ Ill.mo S. Residente, o a chi mi fusse stato ordinato. Questo, et altri particolari circa i suoi effetti, havevo scritto a V. S. Ill.ma, et tanto gli riconfermo, supplicandola con sua comodità a darmi risposta, per poter liberare questo signore. Il che sarà per fine di questa, con inchinarmi humilissimamente a S. A. S., et con offerirmi servitore devotissimo di V. S. Ill.ma, alla quale prego da Dio somma felicità.

Di Pad.a, li 14 di Marzo 1608.

Di V. S. Ill.maSer.re Dev.mo Galileo Galilei.

176*.

LORENZO PIGNORIA a PAOLO GUALDO [in Roma].

Padova, 21 marzo 1608.

Bibl. Marc. Venezia. Cod. LXVI della Cl. X It., car. 33. – Autografa.

…. Di novo V. S. non aspetti, se non che Monsign. Michele([354]) è fuor di pericolo, che il freddo è tornato a farsi sentire, e che la neve s’è sgombrata da per tutto e gettata nel fiume, per consiglio de’ medici, de’ quali va in volta una forbita scrittura([355]), dettata dal Sig. Minadoi e sottoscritta da gli altri, con regretto del Cremonino e Galileo, che aliter sentiebant….

177*.

[GIUSEPPE GAGLIARDI] a GALILEO in Padova.

[marzo 1608].

Bibl. Naz. Fir. Mss. Gal., Par. I, T. III, car. 69-70. – Di mano sincrona..

Al me caro, lustrio, cielentiss.mo e da ben Segnore e paron el S.r Galileo de i Galiliegi, vero arecoltore delle smatemateghe, e slenzaore in lo Bo de Pava à gi scuelari della so prefission, spiego d’hanore della nostra ité.

 L’è assè([356]) agni, paron lustrio, me caro e cielentiss.mo Seg.re, que à sonte innamorò in le vuostre virtuliose vertù, ch’a no sè faelare, que à no v’habbi in bocca, e, con disse quelù, mieritamen; perque, lagon mò annare que vù in tutte le scintie e facoltè d’hanore à boatè sì ben, que à no inviliè nigun, sì con po in quella ch’à bragagnè contugnamen, delle smatemateghe, que è la vostra prefession snatorale, el no gh’è homo, sea chi se vuogia, che ve vaghe al paro. Perque à suogio mò dire così, e so que à no me rego, che vù, Segnore([357]), col vostro stare la maor parte de i vostri dì, con tutto l’anemo e con tutto ‘l spiretto, cazzò in quelle ca d’i pianuotti de sora à furegare per le suò massarie, à v’hi fatto compagno de barba Giove, frello zurò de Marte, se ben mò le bravarì no ve piase, cusin carnale de Mercorella, e compare de tutti gi altri: de muò que à stago à spittare, che da ‘l gran ben que tutti qui pianuotti ve vò, ch’un dì, à pe d’iggi, i ve intartegne la su, e in luogo d’un Galileo i ve stramua in t’una bella fegura d’un nuovo Galion, per farve così quel hanore que à mieritè, degneole delle vuostre lustrie faighe e prefetto saere; que ve farà po an vù restare in la smalmuoria de tutti i buoni slettran, le bissecole d’agni. E perque mò sto me amore e asservation, que à ve porto, n’habbi da restarme sempre mé adosso, in confession, con fe quel della mea Bortola de Nale col so moroso, spigaruolo d’i Gagi da Tramonte, que la no ghe vosse mè far saere el ben che la ghe volea, selomè quel dì che buttanto el derean sospiero, che fu d’altro che d’amore, con se suol dire, traganto del peto al muro, la tirè su i scofon; à gh’he vogiù adesso, con sta bella casion de sto me faelamento sora la nieve passà, così fatto con l’è, vegnirve à far rebelintia, e onfrirme, co’à fago, per vostro gastaldo e sierviore; così pregantove, che smiranto no alla qualitè de quel ch’à ve mando, que xè un gnente al palangon dell’amor ch’à ve porto, ma solamen al puro affietto de quelù che ve ‘l manda, que à son mò mi, che al vogiè cettare e vere ontiera, e tegnirvelo à pe de vù per na smalmuoria de quel ben che mè sempre à ve son per portare. Con che, agurantove da ‘l cielo quella felicitè que à vorae an mi, à ve vegno, co’ un bel repetton d’inchin basantove le man, à pregarve que à me vogiè ben, e à ubigarme, e sempre, pre tutti gi vuostri comandi.

Della Vostra Seg.ria lustria e cielentiss.ma

 Sierviore e Gastaldo Rovegiò bon Magon dalle Valle de fuora.([358])

178.

BELISARIO VINTA a GALILEO in Padova.

Livorno, 22 marzo 1608.

Bibl. Naz. Fir. Mss. Gal., P. VI, T. VII, car. 78. – Autografi il poscritto e la sottoscrizione.

Ill.re et molto Ecc.te S.r mio Oss.mo

Se bene ho tardato a rispondere a V. S., non ho però lasciato di far sentire più giorni sono al Ser.mo mio Padrone tutta la prima lettera di V. S.([359]) sopra quel mirabil pezzo di calamita; et havendomi S. A. confermato che lo vuole in tutti i modi, et che si contenterà di convertire quei dugento scudi d’oro in cento doble, V. S. lo faccia sapere al patrone della pietra, et dica ancora dove egli desideri le cento doble. Et quanto a quel discorso che tanto ingegnosamente ha fatto intorno a detta pietra V. S. nella sua lettera, et la prova nella sua stanza con quelli ordigni et con quelle giuditiose accuratezze che ella ha avvisate, S. A. l’ha sentite attentissimamente; ma dice che forse anche da lei medesima et da altri ha uditi altre volte questi avvertimenti, et mi pare che anche l’A. S. ne sappia parlare per esperienza. Contuttociò non veggo che habbia a essere discaro che, nel mandare la pietra, l’invii preparata et ordinata come meglio paia a lei per sostenere quanto più peso le sia possibile, et che ella mandi ancora quei cilindretti d’acciaio, perchè si vegga quel maraviglioso effetto scoperto da lei in questo pezzo con specialità. Et quanto al modo dell’assettare la sudetta calamita in una cassetta, di maniera che non dimení, non si arruoti et non patisca, et ciò ch’ella manderà con essa non le nuoca, la se ne piglierà un po’ di briga; et credo che bisognerà che la facciamo portare dal nostro procaccio. Ma prima V. S. habbia tutto all’ordine, et avvisi, et così anche intorno alle cento doble; chè nel’inviarsi, o farsi rimettere, le doble dove ella ordinerà, si manderà anche a pigliare la calamita o a dire a([360]) chi ella l’habbia a consegnare. Et essendo il valore di V. S. una calamita che mi tira et sforza ad amarla et servirla, la prego a impiegarmi per qualsivoglia sua gratificatione et servitio. Et le bacio le mani.

Da Livorno, a 22 di Marzo 1607([361]).

Di V. S. Ill.re et molto Ecc.te   Si farà buona ogni spesa che ella farà intorno alla cassetta. S.Galileo Galilei.    Serv.re Aff.mo Belisario Vinta.  

Fuori: All’Ill.re et molto Ecc.te S.r mio Oss.mo

Il [S]r Galileo Galilei.

Padova.

179**.

RAFFAELLO GUALTEROTTI a GALILEO in Padova.

Firenze, 29 marzo 1608.

Bibl. Naz. Fir. Mss. Gal., P. I. T. VI, car. 121. – Autografa.

Molto Ill.re Sig.

Risposi già a V. S., per mano del suo cognato a Vinezia, che V. S. mì mandassi i libri cambiati in doana, ch’io pagherei il nolo, etc. Non ne ho poi saputo altro, come harei desiderato per legger l’opre di V. S.

Io mi sto qua come il prete dela poca offerta: e perch’io vorrei finire alcune opere di filosofia naturale, volentieri torrei una lezione straordinaria di filosofia, perchè con la provisione potrei far le spese, e con l’occasione della lezione studierei i miei concetti e servirèmi. Per più che la metà delo studiato, è scritto, e ridotto al netto. Se V. S. in cotesto collegio nobilissimo mi potesse fare havere tal luogo, la mi favoriria infinitamente.

Se V. S. havesse il dì della natività di Fra P.lo Servita, desiderei che me ne favorisse.

Lessi un libretto del Giuntino([362]), il quale fa gran maraviglia che la stella apparsa nella Cassiopea il 1572, apparì in un subito grande, e poi in 2 anni sparì: che altro non viene a dire, se non che niuno moto regolato potè esser cagione dela apparizione di detta stella. Però se V. S. havessi altri autori, per somma grazia mi dica i nomi e i luoghi a questo proposito.

Con questo io le resto servitore al solito, le bacio le mani, e prego Dio che la tenga in sua santa guardia. Le nozze hanno([363]) lunga proroga, e le cose vanno male afatto.

Di Firenze, il dì 29 di Marzo 1608.

Di V. S. molto Ill.reServi.re Aff.mo Raffael Gualterotti.

Fuori: Al molto Ill.re et Eccellente Sig.r

Il Sig.r [Gali]leo Galilei, nobil fior.no e mat.co Ecc.mo, in

Padova.

180.

GALILEO GALILEI a [BELISARIO VINTA in Firenze].

Padova, 4 aprile 1608.

Bibl. Naz. Fir. Mss. Gal., P. VI, T. V, car 15. – Autografa. Nel margine superiore a sinistra si legge. Di mano di BELISARIO VINTA: «Questo si è trattato et concluso in assenza dei Secretario Picchena, et bisogna leggerla a S. A. et far provedere le doble, et poi rispondere a V.a (?) per ultima essecuzione».

Ill.mo Sig.re et Pad.ne Col.mo

Quanto mi scrive V. S. Ill.ma per conclusione del negozio della calamita, ho io già fatto intendere all’Ill.mo S. Sagredo, padrone della pietra; di che resta S. S. satisfatta, et io obligatissimo a S. A. S., che si sia compiaciuta di arrivare alle 100 doble a i prieghi miei, poi che questo purga interamente quel poco di sospetto([364]), che mi era di qualche pregiudizio nella opinione di questo signore, che io havessi hauto poco a quore il suo vantaggio: onde ne rendo grazie infinite a S. A. S. Quanto alla consegna de i danari, sendo volontà di S. A. S.  che il compratore stia celato, potrà ella, se così gli piace, farla fare in mano mia in Venezia alla risposta della presente, dove io mi trasferirò subito ricevute sue lettere, sì per ricevere i danari et numerargli al padrone, sì ancora per consegnare nell’istesso tempo la cassetta con la pietra, la quale si trova ancora nelle mie mani, et sarà bene accomodata con li sui ferramenti et ordigni; consegnarla, dico, in mano di chi ella mi comanderà.

Parmi havere scritto altra volta a V. S. Ill.ma, come questa pietra sostiene una libra di più del suo peso; et perchè mentre l’ho hauta nelle mani vi ho fatto attorno molte esperienze et speculazioni, spero di farla veder a S. A. S. sostener, non senza grande ammirazione, poco meno che ‘l doppio del suo peso, oltre a qualche altro stupendo scoprimento fattovi da me, come in un poco di minuta gli darò conto.

 Che poi la calamita del mio valore possa attrarre l’affezione di V. S Ill.ma, con sua pace non ammetterò io, conoscendomi poverissimo di tutte le doti meritevoli di tanto favore. È per avventura più presto la calamita dello stato mio, che muove il pietoso affetto della cortesissima natura di V. S. Ill.ma ad amarmi et protegermi; nel quale devo io sperare et confidare assai più che nel mio merito, et per tanto restarne con tanto maggiore obbligo a V. S. Ill.ma, sì come veramente fo, ricordandomegli intanto vero et devotissimo servitore. Et con pregargli la buona Pasqua, gli bacio reverentemente le mani, come anco al S. Francesco, suo nipote et mio Signore.

Di Pad.a, li 4 di Aprile 1608.

Di V. S. Ill.ma.Oblig.mo Ser.re Galileo Galilei.

181*.

BELISARIO VINTA a GALILEO in Padova.

Livorno, 12 aprile 1608.

Bibl. Naz. Fir. Mss. Gal., P. I, T. VI. car. 137. – Autografa la sottoscrizione.

Ill.re et molto Ecc.te S.Hon.mo

Si è scritto a Firenze al S.r Depositario Generale, che ci mandi un ordine di cento doble di buon peso per pagarsi a V. S. a lettera vista in Venetia; ma perchè hoggi, che siamo al sabbato, essendo così lontani da Firenze, non ci può essere l’ordine in tempo da inviarlo costà, seguirà con il primo commodo, et ne avviserò in un medesimo tempo V. S., acciò ch’ella vadia per il denaro et per darlo a chi la sa, et per consegnare la calamita, acciò che ce la porti uno de’ nostri procacci. Ben è vero che il Gran Duca nostro Signore desidera quest’estate di rivedere V. S. in Firenze, havendo gran bisogno della presenza et opera di lei; et perciò m’ha comandato di scriverle ch’ella venga in tutti i modi. Et io le bacio di tutto cuore le mani.

Da Livorno, a 12 d’Aprile 1608.

Di V. S. Ill.re et molto Ecc.te S.r Galileo GalileiServ.re Aff.mo Belisario Vinta.

Fuori: All’ Ill.re et molto Ecc.te S.r mio Oss.mo

[Il S.]r Galileo Galilei.

Padova.

182*.

ANTONTO SANTINI a [GALILEO in Padova].

Venezia, 18 aprile 1608.

Bibl. Est. in Modena. Raccolta Campori. Autografi, B.a LXXXVIII, n.° 162. – Autografa.

Molto Ill.re. et molto Ecc.te S.r mio,

Con occasione di mandarle l’alligata del Sig. Ghetaldi([365]), le mando anche il titolo della propositione che nel Vieta, le accennai, era scabrosa. Le manderò anche la solutione mia, quando si compiacci di essaminarla; e se anche prima haverà tempo dirmene la sua sentenza, mi gusterà: e se io fosse libero, voleritieri verria a vedere Padova, chè in sei anni che ho stantiato a Venetia, ancora non sono uscito. Le bacio le mane, et me le raccomando.

Di V.a, li 18 Aprile 1608.

Di V. S. molto Ill.re. et molto Ecc.te Suo Aff.mo Ant. Santini.

183*.

BELISARIO VINTA a GALILEO in Padova.

Livorno, 19 aprile 1608.

Bibl. Est. in Modena. Raccolta Campori. Autografi, B.a XCIII, n.° 45. – Autografa la sottoscrizione.

Ill.re et molto Ecc.te S.r mio Oss.mo

Mando a V. S. l’alligato ordine([366]). Può andare a sua posta a pigliar le doble a Venezia, et quivi per parte del Ser.mo Gran Duca consegnerà la calamita et quelle appartenenze al Sig. Asdrubale Montauto, et procurerà che tutto si accommodi molto bene in una cassetta, a fine che nè la pietra nè quegli ordigni non patischino punto; e gli soggiugnerà, pur per parte di S. A., che al primo nostro procaccio per Venezia consegni et raccomandi carissimamente il tutto, come carissimamente prego V. S. ad amarmi et comandarmi.

Di Livorno, li 19 di Aprile 1608.

Di V. S. Ill.re et molto Ecc.te.Serv. Aff.mo Belisario Vinta.

Fuori: All’Ill.re et molto Ecc.te S.r mio Oss.mo

Il S.r Galileo Galilei.

Venezia per

Padova.

184*.

I RIFORMATORI DELLO STUDIO ai RETTORI di Padova.

Venezia, 19 aprile 1608.

Arch. Universitario di Padova. Filza segnata: 22. Cattedre e Prof.i di Astronomia, Meteor., Astrol. Fisica, Geom., Mat., Archit., Ostetr., Chimica e Medic., R. M., car. 103. – Originale: autografa la fideiussione di CESARE CREMONINO. La minuta della lettera, senza però la firma di ANTONIO PRIULI, è nella filza dell’Archivio di Stato in Venezia intitolata: Lettere dalli Ecc.mi Sig.ri Riformatori dello Studio scritte ai diversi Ill.mi Rettori ed altri. 1601 al 1622. Riformatori dello Studio di Padova, n.° 64.

Ill.mi SS.ri

Ci ha rapresentato D. Galileo Galilei con tanta evidenza di necessità l’occasione che ha di ricercarci aiuto del salario suo di un anno anticipato, che non ci è parso di doverglilo negare: et così damo a VV. SS. Ill.me libertà di farnelo accomodare dei danari della Cassa di quel Studio, togliendo però sufficiente fideiussione di vita et in ogni caso, come in altri parimenti in tal proposito si è osservato, et dovendo esso D. Galileo scontar la detta sovventione con tutto il suo salario nel spatio del medesimo anno.

Et a VV. SS. Ill.me si raccomandiamo.

In Venetia, li 19 Aprile 1608.

   Franc.o Molin, K.r P. Ant. o Prioli, Cav.r P. And.a Mor.ni  }    Reform.i

Io Cesare Cremonino, filosofo dello Studio, mi constituisco piezzo conforme al contenuto della lettera, intendendo cominciar l’anno l’Ottobre venturo prossimo.

Fuori: Agli Ill.mi SS.ri Oss.mi

Li SS.ri  Thomaso Contarini K.r et P.ro Duodo,

Rettori di Padoa.

Padoa.

185*.

G1OVANFRANCESCO SAGREDO a GALILEO in Padova.

Venezia, 22 aprile 1608.

Bibl. Est. in Modena. Raccolta Campori. Autografi, B.a LXXXVIII, n.° 38. – Autografa la sottoscrizione.

Ill.re S.r Ecc.mo

Se ben eri io diedi aviso a V. S. Ecc.ma della festa et regata che si doveva fare a questi Principi di Savoia([367]), tuttavia ò voluto con queste replicarle che è stato fermato l’ordine della festa per giovedì, et della regata per venerdì prossimo; onde senza falo aspetto il Sig. Francesco([368]) et V. S. ancora, alla quale in solidum col Sig. Francesco bacio le mani.

Da Ferrara ho havuta una respostina da M. Rocco Berlinzone, il quale non vol dispute co’l mio frate, e si ascusa dicendo che esso frate si dimostra più eretico che religioso([369]).

In Venetia, a’ 22 Aprile 1608.

Di V. S. Ecc.maDesid.mo di servirla G. F. S.

Fuori: All’Ill.re S.r Oss.mo

L’Ecc.mo S.r Galileo Galilei.

Padova.

186*.

GIOVANFRANCESCO SAGREDO a GALILEO in Padova.

Venezia, 26 aprile 1608.

Bibl. Est. in Modena. Raccolta Campori. Autografi, B.a LXXXVIII, n.° 39. – Autografe le linee. 26-33.

Ill.re S.r Ecc.mo

La lettera delli Sig.ri Reformatori fu espedita già alquanti giorni([370]), et conforme al desiderio di V. S. Ecc.ma nella parte essenciale, se ben quanto allo sconto non si è mossa parola; et ha creduto l’Ill.mo Veniero, già che s’è fatto l’erore, non ne dir altro per adesso, ma solo con qualche opportunità, nella quale con due parole si ottenirà quanto si desidera.

Il Sig. Francesco([371]) in vero mi ha fatto gran torto a non valersi del casino; et se non fosse ch’io spero esser riffatto in altra occasione, vorei farne risentimento et con lui et con V. S. Ecc.ma, et insegnar loro in qual maniera si trattino gli amici. Mi duole haverlo invitato a Venetia, perchè io sono stato defraudato di questa giustissima mia pretensione di honorare il mio casino con la presenza di questo gentilhuomo, et temo che in questa sua venuta habbia egli ricevuto più incomodo che piacere, perchè alla festa([372]) non potessimo entrarvi, et nella regata non ebbi commodità di farlo andar in pedota, come sperava: tocherà a V. S. Ecc.ma far la mia escusatione.

Spontino non è mai comparso, nè meno tengo aviso se sia morto o vivo. Ho fatto fare, dopo mille ciancie, un’ancoreta di tre libre e meza, ma è riuscita molto goffa: in fatti qui non habbiamo un uomo da niente: tuttavia si farà la seconda prova per meritar l’oglio da ferite([373]). Et mi sarebbe caro sapere quanto può levare quell’altro pezzo che V. S. Ecc.ma dissegnava mandar per Germania, perchè vorei far un’altra ancoreta o cosa simile.

M. Gasparo([374]) mi fa instanza che io compri certo lottone, come ella vederà da una sua littera che ho consignata al Sig. Francesco, al quale il nostro fattore ha rifferito tutto quello che ha trovato questa matina, perchè io non posso perder una giornata di tempo in questo servitio.

Ma si faccia meglio dire la sua volontà, e me ne mandi un memorialetto, chè, farò che ‘l fattore s’affatichi, acciò M. Gasparo non si lamenti. Scriverò postdimiani a lui un’altra parolina, ma hora non posso.

Il processo giesuitico camina felicemente. Et io le bacio la mano.

In V.a, a 26 Aprile 1608.

Di V. S. Ecc.maDesiderosissimo di serv.  G. F. Sagr.

Fuori: All’lll. Sig.r Ecc.mo

 il S.r Galileo Galilei, Mathem.

 Padova.

187.

GALILEO a [BELISARIO VINTA in Firenze].

[Venezia, 3 maggio 1608].

Bibl. Naz. Fir. Mss. Gal. P. VI, T. V, car. 17. – Bozza autografa.

Ill.re Sig. etc.

Mando a V. S. Ill.ma la calamita, la quale, dopo l’havervi speculato et esperimentato un pezzo a torno (se ben so di non essere a mezza strada delle sue meraviglie), ho finalmente ridotta a sostenere assai più che ‘l doppio di quello che ella pesa: imperò che, pesando lei oncie 52, ne sostiene, come potrà vedere S. A. S., più di… ([375]); et son sicuro che quando io havessi hauto comodità di tempo et di chi mi havesse lavorati diversi ferramenti con esquisitezza et a mio modo, sarebbe adesso in stato di assai maggiore stupore. Ho fatti fabricare o questi 2 ferri in forma di due ancorette, sì per dar loro([376]) qualche forma, come per alludere a quello che forse favolosamente si scrive, essersi trovato un pezzo di calamita sì vasto et robusto che sosteneva un’ancora di nave, et sì ancora per la comodità di queste branche, alle quali si possono andare attaccando altri diversi pesetti, sino all’ultimo tentativo della sua gagliardezza: essendo che non ho fatte le ancore del maggior peso che io ho veduto poter esser sostenuto; prima, per esser certo che, senza tediosa et scrupolosa pazienza, subito presentati i ferri a i poli della pietra si attacchino; et oltre a questo, perchè mi è venuto in opinione che il medesimo pezzo non sostenga con la medesima forza in ogni luogo della terra, ma che, sendo nella calamita 2 poli, l’uno di essi si renda più valido, et l’altro meno, per la maggior vicinanza a l’uno de i poli del mondo, ciò è della terra, et che sotto la linea equinoziale sariano ambidue di eguali forze: onde credo che il più gagliardo polo di questa pietra qua a Padova sostenga alquanto più che in Firenze o Pisa, et l’altro per l’opposito, il che desidererei che fuss[e] con diligenza osservato. Et però a([377]) ciascuna delle 2 ancorette ho alligati i ferri et altri pesetti, che sono il più che qua li ho potuto far sostenere, stante la pietra così preparata come la mando; onde potria costà accadere (per essere il sito alquanto più meridionale di questo) che il polo australe della pietra reggesse qualche cosa meno, et l’altro alquanto più.

Ho assicurata la faccia principale della pietra con un’assicella, non solo acciò che non si freghi nel condurla, ma perchè si vegghino subito i sui poli con le lamette a i suoi luoghi: sì che, senza rimuovere altramente la detta tavoletta, basta presentare le teste delle 2 ancorette a quei 2 fori, applicando la più grande al polo più robusto, che è segnato A, che vuol dire Australe, et la più piccola all’altro, notato B([378]), che significa Boreale, avvertendo di mettere amendue i ferri nell’istesso tempo, perchè trovo, non senza grande stupore, che ella più volentieri ne sostiene 2, che un solo([379]); et un ferro così grave che per sè solo non sarà retto da un polo, vi si attaccherà mettendone un altro all’altro polo. Devesi anco avvertire, nell’applicare i ferri, di tenere l’assicella equidistante all’orizonte, perchè stando il piano della calamita pendente([380]), le teste dell’ ancorette sfuggono, nè così bene si attaccano.

Per quell’effetto, meritamente stimato da S. A. S., di scacciare et tirare il medesimo ferro con la medesima faccia, li mando 2 ferretti, l’uno de i quali, che è quello di tutto tondo, si deve posare sopra una tavola ben piana et liscia, et l’altro, che è dorato, si applica alla pietra sopra quella linea che V. S. Ill.ma vedrà segnata d’argento su la faccia principale: tenendo poi sopra la tavola la calamita così pendente come il suo taglio comporta([381]), et andando pian piano per affrontare l’altro cilindretto, che sarà su la tavola, si vedrà scacciarlo quando se li sarà avvicinato circa l’intervallo di un dito; ma ritirando la mano et la pietra in dietro, il medesimo ferretto la seguiterà, fermandosegli poi un poco lontanetto; sì che andando di nuovo ad incontrarlo con la pietra, di nuovo si ritirerà in dietro et sfuggirà l’incontro. Et perchè questo effetto ha qualche poco di difficultà sì nell’esequirlo come nello spiegarlo così con semplici parole, quando non succedesse di poterlo far vedere di presente a S. A. S., glielo farò vedere io venendo costà quest’estate per ubidire al comandamento di quella: et questo dico, perchè spero di esser per trovar la pietra ancora in mano di S. A. S., come cosa stimata da quella degna di haver luogo tra le altre cose ammirande. Su la qual credenza et acciò che S. A. S. possa insieme compiacere a quel signore oltramontano, essendo io venuto a Venezia, mi son messo a cercare tra questi lapidarii et antiquarii, et ne ho trovato un pezzo poco minore di mole([382]), ma assai di virtù, se bene la qualità della pietra mostra di esser di bonissima vena; ma, al mio parere, non è stata segata per il buon verso, tal che chi la riducesse in una palla([383]), come per avventura potria havere in animo quel signore, aqquisterebbe assai forza, et la palla si caverebbe così grande([384]) in questo minor pezzo, come nell’altro maggiore. Su questa opinione l’ho presa, credendo di far bene, et la mando insieme con l’altra. Però V. S. Ill.ma mi farà grazia di presentare a S. A. S. con la pietra([385]) il mio buono animo, pregandola che([386]) a quello si compiaccia di riguardar solamente, perdonandomi se ho fatto questo di più sopra il suo comandamento, et tanto più, quanto che scrivendo al S. Picchena dell’eccellenza dell’altra, mi scrisse che la pietra doveva esser mandata in luogo dove tanta esquisitezza non saria stata per avventura necessaria, o stimata molto sopra la mediocrità.

Se la pietra resta apresso S. A. S., io ho nella fantasia alcuni altri artifizii da renderla ancora assai più meravigliosa, et son certo che non mi falliranno, ma non ho hauto qua la comodità di potergli usare: et son di credere di potergli far sostenere forse quattro volte tanto di quello che lei pesa, il che in una pietra così grande è molto mirabile; perchè io non ho dubbio che segandola in pezzetti piccoli, se li potria far sostenere più di 30 libre di ferro, et anco 40. Io noto in questa pietra, che ella non solamente non si stracca nel sostenere il suo peso, ma sempre si invigorisce più: però saria bene accomodargli un sostegno su l’andar di questo poco di schizzo([387]), sul quale riposando tenesse tuttavia attaccati i suoi ferri. Et per dare qualche poco di spirito a un tal corpo, alludendo alla miracolosa natura et proprietà di questa pietra, per([388]) la quale i ferri così avidamente se gli accostano et uniscono, vi si potria inscrivere([389]) uno di questi 2 motti: Vim facit amor, o quello del Petrarca: Amor ne sforza, simbolo, per mio avviso, con gentil misterio esplicante l’imperio da Dio conceduto al giusto et legittimo principe sopra i suoi sudditi, il quale deve esser tale, che con una amorosa violenza a sè rapisca la devozione, fedeltà et obedienza de i vassalli([390]): et tale sarà, quando la potestà regia verrà esercitata, non in opprimere, ma in sollevare i popoli a lei commessi([391]). Et come questa soprumana virtù, nel nostro Ser.mo Principe originaria, già divinamente risplende, così, confidato su quella libertà che il titolo di maestro, da S. A. S. già per alcun tempo concedutomi, seco porta, mi sono io, per mezo di V. S. Ill.ma, voluto dimostrare a quell’A., non admonitore, ma admiratore, di così divina condizione, la quale non si desidera, ma già apertamente si scorge, nella sua natural bontà([392]); tacendo per humiltà nel Ser.mo padre le lodi di questa virtù, che nel Ser.mo figliuolo ereditariamente si diffonde. All’una et all’altra delle quali Altezze, et insieme a Madama Ser.ma, supplico V. S. Ill.ma che per mio nome baci humilissimamente la vesta([393]).

Parmi di havere altra volta pregata V. S. Ill.ma a render grazie a S. A. S. di havermi così benignamente fatto grazia di convertir li 200 Ñ.di in 100 doble, et questo per cautelar l’Ill.mo S. Sagredo, che io non habbia negletto il suo vantaggio, convenendomi, per i molti oblighi che ho con questo Signore, stimar molto la sua grazia; in augumento della quale desidero di proveder S. S. Ill.ma di un vaso di quell’olio da ferite del Siciliano, per portarlo seco in Soria, del quale mi ricercò più mesi sono, che io col suo soldo gli facessi provisione per questo tempo. Io havevo pensato di donarne a questo Signore un vasetto più proporzionato alla piccolezza della mia borsa, che alla grandezza del mio animo et del merito et bisogno suo: ma  ancora a questi si farà corrispondente se, per intercessione di V. S. Ill.ma ci potrò aggiugnere la magnificenza del Ser.mo nostro Signore, impetrandomene un vaso da S. A. S., et facendo che la prima grazia concedutami aiuti l’impetrazione della seconda, sì come([394]) il peso di un ferro aiuta la calamita a sostener più facilmente l’altro. Del qual favore ne resterò io perpetuamente obligato a S. A. S., et ne pregherò il Signore Dio, che di quanto a me ne donerà, di tanto ne levi il bisogno al suo felicissimo stato et ad i suoi fortunatissimi legni. Et a V. S. Ill.ma baciando con ogni reverenza le mani, mi ricordo devotissimo et obligatissimo servitore.

188.

GALILEO a BELISARIO VINTA in Firenze.

Padova, 23 maggio 1608.

Bibl. Naz. Fir. Mss. Gal., P. I, T. IV, car. 23. – Autografa la sottoscrizione.

Ill.mo Sig.et P.ron Col.mo

Io mi trovo da quindeci giorni in qua in letto con febre continua, dove non è il minor travaglio, anzi per aventura il maggiore, il non haver ricevuto lettere di V. S. Ill.ma nè questo ordinario nè l’altro; et benchè io non possa credere che il servitio che io consegnai di propria mano a quello che attende ai procacci in Venetia, la sera di Santa Croce([395]) alle cinque hore di notte, non sia stato ben ricapitato, et anco non sia stato di intiera sadisfattione del Ser.mo nostro Signore, tuttavia non posso fare di non restar con qualche travaglio, non sentendo nuova dell’arrivo. Vero è che mi resta qualche speranza di ricevere lettere di V. S. Ill.ma domani o l’altro, poichè non so per quale accidente le sue mi vengano sempre tratenute in Venetia due o tre giorni. Ma perchè il termine di potergli scrivere con questo procaccio non si estende oltre al segno di hoggi, non ho voluto diferir più di scrivergli, et supplicarla a farmi gratia ch’io ‘ntenda il successo del negotio. Et per non accrescer molestia a lei et aggravio al mio male, finirò con baciargli humilmente le mani et ricordarmegli servitore divotissimo. Il Signore la feliciti.

Di Padoa, li 23 di Maggio 1608.

D. V. S. Ill.maS.r Oblig.mo Galileo Gal.i

Fuori: All’lll.mo Sig.r P.ron Col.mo

Il Sig.r C. Belisario Vinta, Seg.rio di S. A. S.

Firenze.

189*.

BELISARIO VINTA a GALILEO in Padova.

Firenze, 29 maggio 1608.

Bibl. Est. in Modena. Raccolta Campori. Autografi, B.a XCIII, n.° 46. – Autografa.

Ill.re et Ecc.te S.mio Oss.mo

Arrivò la calamita([396]) benissimo conditionata, et arrivorno tutti quelli istrumenti; et il Gran Duca, mio Signore, et il Sig. Principe n’hanno fatta la prova con tutti quegl’instrumenti che son arrivati, et con tutte quelle regole et avvertimenti che V. S. n’ha dati, et ne sono rimasti sopramodo sodisfatti et contentissimi: et m’hanno comandato di scrivergliene, et aspettano a far la risposta per poterle dare il contento complito della loro sodisfattione et approbatione ed aggradimento insieme, havendomi certo comandato ch’io gli dica che restano sodisfattissimi della sua diligenza. Et ha ragione V. S. a dolersi che io habbi indugiato un po’ troppo ad avvisarle di ricevuto, et la prego a perdonarmi; et son più che mai desiderosissimo di servire a lei in tutto quello ch’io possa. Et le bacio le mani.

Da Firenze, a 29 di Maggio 1608.

Di V. S. Ill.re et molto Ecc.te S.r Galileo Galilei.Tutto suo Aff.mo per servirla Belisario Vinta.

Fuori: All’Ill.re et molto Ecc.te S.r mio Oss.mo

Il Sig.r Galileo Galilei, lettore delle Matematiche.

Padova.

Subito.

190.

GALILEO a [BELISARIO VINTA in Firenze].

Padova, 30 maggio 1608.

Bibl. Naz. Fir. Mss. Gal., P. I, T. IV, car. 25. – Autografa.

Ill.mo Sig.re et Pad.ne Col.mo

La posta passata ricevei, per mano di persona di Corte, un ordine in nome di Mad.ma Ser.ma et del Ser.mo Principe in proposito del ritrovarmi io questa estate a Firenze: il quale, benchè habbia sembianza di conformità con l’altro scrittomi alcune settimane avanti da S.V. Ill.ma, tutta via viene espresso con modo tale, che potria anco, senza storcimento di parole, ricever senso di una benigna et mite revocazion dell’ordine primo.

Da V.S. Ill.ma mi furono scritte queste formali parole: Ben è vero che il Ser.mo G. D. nostro Signore desidera di rivedervi quest’estate in Firenze, havendo gran bisogno dell’opera et presenza vostra; et però mi ha comandato che io vi scriva che doviate venire in ogni modo([397]). Et io, comemi pareva, che convenisse, breve et semplicemente gli risposi, che sarei venuto ad obedire. La forma di questo secondo ordine, anzi pur tutta la lettera intera, è precisamente questa: Madama Ser.ma mi ha imposto che io vi scriva, che se vi torna bene di venire questa estate a Firenze, che gli sarà caro, et simile mi dice il S.r Principe; si che voi sentite, et in tanto io vi prego a conservarmi in vostra grazia. Di Firenze, etc. Hora, se si rimuove il servire a i Ser.i Padroni, il venire a Firenze a me non torna nè bene nè presso che bene, sì come all’incontro, concernendo il servizio di loro Altezze, il venire a servirle mi torna non pur bene, ma ottimamente bene; non essendo sotto la potestà mia cosa alcuna, la quale io volentieri non spenda per servire al mio Principe, dico sino al dispendio della vita stessa. Pare che questo secondo ordine metta come per accessorio degl’altri miei affari il servizio di loro Altezze Ser.e; ma, all’incontro, questo non solamente è in me il principale, ma il tutto: in guisa tale, che assolutamente a Firenze per miei interessi non ho che far niente; ma se ci si aggiugne il servire a i Padroni, non ho che fare altrove che a Firenze. Le parole dunque di questa seconda lettera, che pure è di persona molto accorta, mi hanno messo in gran confusione, et promossomi dubbio che l’aggradire che facessero loro Altezze Ser.e la mia venuta in Toscana et il mio frequentare la Corte, fusse solamente un trabocco della somma benignità et humanità di quelle, col quale, et non senza qualche lor tedio, si degnassero di concedere un poco di cibo al famelico mio desiderio, che vanamente mi trasporta ad insinuarmi nella servitù di quelle; ma non già perchè dal mio servizio, utile alcuno, comodo o diletto a loro Altezze ne provenga. Il qual punto deve con molta circunspezione esser considerato da me. Sì che l’invito, Ill.mo mio Sig.re, è grande, et importa tutto ‘l mio resto; onde a me conviene molto ben consultare, et considerare le due carte che ho in mano, delle quali la prima mi dice Tienlo, et la seconda Pensavi sopra. È pertanto necessario che io conferisca questo mio scrupolo con persona confidente et atta a rimuovermelo, la quale per tutti i rispetti non deve essere altri che V. S. Ill.ma Et però io la supplico, che deposta quella parte che è in lei di cortigiano, et ritenuta solamente la libertà et ingenuità cavaleresca, mi dichiari con la saldezza della punta dello stocco, et non mi adombri con la pieghevol penna, quanto io devo fare: perchè se mi dirà solamente: Vieni, chè così si vuole da i Padroni, tanto mi basterà; et lo scrivermi altramente saria un mettermi in maggior confusione di quella in che mi trovo di presente.

Io la supplico a presso a non differir più di dirmi qualche cosa della ricevuta et della riuscita della calamita, perchè giuro a V. S. Ill.ma che la febre continua, che da 25 giorni in qua mi travaglia senza darmi un minimo intervallo libero, non mi affligge tanto, quanto il non sentire la satisfazion di S. A. S.ma; la quale se bene io non metto in dubbio o che S. A. l’habbia hauta o la sia per havere, essendo in effetto la pietra il triplo, et anco il quadruplo, pìù eccellente di quello che si dimandava, tuttavia il non sentir niente non passa senza mio grave dolore. Io vo insino ruminando col pensiero se mi potesse essere stato ascritto a grave mancamento il non haver consegnate le pietre et la cassetta al S. Residente, secondo l’ordine datomi da V. S. Ill.ma, ma inviatole solamente per il procaccio: onde per mia scusa è forza che io dica a V. S. Ill.ma, come essendo in Venezia li 3 primi giorni di Maggio, il terzo, che fu sabato et il dì di Santa Croce, fui continuamente attorno a due fabbri a farli lavorar contro a lor voglia, perchè era festa, a forza di danari, intorno a quelle due ancore; et sopraggiuntami la notte col lavoro anco imperfetto, mandai una poliza al S. Residente, dicendoli che dovevo consegnarli un lavoro non ancora perfetto, per inviarlo con quel procaccio a S. A. S., et domandandolo sino a che hora ci era tempo, avanti che il procaccio partisse. S. S. mi riscrisse, che ci era tempo sino a 4 hore di notte, ma che dubitava che quella sera non si saria potuto mandar niente, non vi essendo tempo di far bullette et essendo alcune nuove costituzioni de i Signori sopra i dazii: dal che compresi come S. S. haveva creduto che io fussi per consegnarli roba da gabella. Finalmente, havendo fatto lavorar sino alle 4 hore di notte, feci chiamare una gondola, la quale con difficultà si trovò, sì per esser l’hora tarda, come perchè il tempo era piovoso et oscurissimo; et ritrovandomi 2 grosse miglia lontano dalla casa del S. Residente, quel gondoliero borbottando mi condusse in Rio delle 2 Torri, dove habita detto signore: ma essendo il rio molto lungo, la notte oscurissima, et la pioggia grande, non fu mai possibile a ritrovar la porta del S. Residente, et a quante porte si picchiava, o non si haveva risposta, per essere ogn’uno a dormire, o se alcuno si levava, ne rispondeva con qualche villania. Andarvi per terra non potevo, per l’oscurità, per la pioggia et per gl’intrighi delle robe; talchè mi risolvetti a farmi vogare a casa il maestro de i procacci, dove al ricevitor delle lettere consegnai le 2 calamite fuori della cassetta, acciò le potesse mettere nella borsa delle lettere di Corte, et gli mostrai la commissione di V. S. Ill.ma et come quelle eran robe per S. A. Ser.ma Egli tolse in nota il tutto, et mi disse che io non mi pigliassi altro fastidio, che l’haverebbe inviato con quella sicurezza che si conveniva. Mi si potria dire che io dovevo indugiare a l’altro ordinario: et io l’haverei anco fatto; ma perchè mi trovavo haver ricevuti i danari, et consegnatili all’Ill.mo S. Sagredo, non volsi mettervi altra dilazione. Questa è l’istoria: et io, ritrovandomi aggravato dal male, porrò fine a questa mia, scritta in 5 giorni, et tornerò solamente a supplicare V. S. Ill.ma, per le viscere del Signore, a cavarmi di queste travagliose angustie con due sole sue righe. Et senza fine mi raccomando nella sua buona grazia, et con ogni reverenza li bacio le mani. Il Signore la feliciti.

Di Pad.a, li 30 di Maggio 1608.

D. V. S. Ill.maDev.mo et Oblig.mo Ser.re Galileo Galilei.

191*.

FERDINANDO SARACINELLI a GALILEO in Padova

Artimino, 9 giugno 1608.

Bibl. Naz. Fir. Mss. Gal., P. I, T. VI. car. 123. – Autografa.

Ill.re et molto Ecc.te S.r mio Oss.mo

La gran perdita, che ho fatta, del S.r Cipriano, mio zio, et tanto caro amico dì V. S., è stata tale, ch’io non potrei si non con molto mio dolore et travaglio significargliene una minima parte; et però passando di toccar questa corda, tanto dura all’orecchio mio et che tanto m’offende il cuore, sarò forzato a tacer quello di che pur sempre vorrei trattare. Dovrei certo et per la gentilissima lettera di V. S. et per molti altri rispetti consolarmi; ma bisogna pur che questa carne si risenta a ogni simil colpo, et tanto più d’huomini non ordinarii, et tanto congiunti e d’amore et di sangue. Confesso bene, che dove non può la forza humana, viva la divina, alla quale applicatomi et conformatomi, con la Dio volontà trovo questo sol rimedio per refrigerio d’un cuore afflitto, che congiunto con il buono aviso che mi ha dato della sua ricuperata sanità, m’hanno molto consolato. Ne lodo il Signore Dio, et me ne congratulo seco, riserbandomi al suo ritorno et con la voce et con gli effetti a offerirmegli quel medesimo servitore di sempre, ringratiandola intanto della memoria che tiene de’ suoi veri et cari amici. Con che le bacio le mani.

Della Villa Ferd.a, il dì 9 Giugno 1608.

Di V. S. Ill.ma et molto Ecc.te S.r GalileoAff.mo Ser.re Ferd.° Saracinello.

Fuori: Al molto Ill.re S.Mio Oss.mo

Il Sig.r Galileo Galilei, Professor di Mattem.ca in

Padova.

192.

BELISARIO VINTA a GALILEO in Padova.

Firenze, 11 giugno 1608.

Bibl. Naz. Fir. Mss. Gal, P. I, T. VI, car. 125. – Autografa la sottoscrizione.

Ill.re et molto Ecc.te Sig.r mio Oss.mo

Havendo detto a Madama Ser.ma nostra Padrona, che quanto al comodo et bisogno di V. S. ella non ha punto voglia nè occasione di venir qua questa estate, anzi che a lei torna di grande incomodo, et che sebene V. S. ha un’assidua inclinatione et ambitione di vedere i suoi Ser.mi Principi et Padroni naturali et d’esser ben visto da loro, che ad ogni modo per questo solo la non si muoverebbe, ma che ben si muoverà subito, senza guardare a nessun suo disagio nè danno ancora, quando sapia per davero che loro Alteze desiderino per loro stimato servitio che ella venga in tutti i modi; supplicai l’Altezza sua a dirmelo alla libera, et ella mi rispose subito: «Scrivi al Galilei che essendo egli il primo et il più pregiato matematico della Christianità, che il Granduca et Noi desideriamo che questa estate venga qua, ancorchè gli sia per essere d’incomodo, per esercitare il S.r Principe nostro figliuolo in dette matematiche, che tanto se ne diletta; et che con lo studio che farà seco questa estate, potrà poi rispiarmarlo di non lo far venire così spesso qua; et che c’ingegneremo di far di maniera che non si penta d’esser venuto». Et a V. S. significo nettamente la cosa come la stà; et quanto prima la potrà venire, sarà meglio. Et le bacio le mani.

Da Firenze, XI di Giugno 1608.

Di V. S. Ill.re et molto Ecc.te S.Galilei.Serv.re Aff.mo Belisario Vinta.

Fuori: All’Ill.re et molto Ecc.te Sig.r mio Oss.mo

Il S.r Galileo Galilei.

subito.Padova

193.

GALILEO a BELISARIO VINTA in Firenze.

Padova, 20 giugno 1608.

Bibl. Naz. Fir. Mss. Gal., P. I, T. IV, car. 27. – Autografa.

Ill.mo Sig.re et Pad.ne Col.mo

Ho inteso quanto V. S. Ill.ma mi ordina: il che sarà da me esequito secondo il suo comandamento quanto prima, ciò è subito che l’Ecc.mo S. Aqquapendente me ne darà licenza et le forze me lo permetteranno; et spero che non passeranno più di otto giorni che sarò in viaggio. Et sovvenendomi di haverla molte volte tediata con mie lunghissime lettere, per non mi habituare in questa cattiva creanza, voglio che per hora mi basti haverli detto questo solo. Et restandoli devotissimo servitore, con ogni reverenza li bacio le mani, et li prego da Dio felicità.

Di Pad.a, li 20 di Giugno 1608.

Di V. S. Ill.maSer.re Oblig.mo Galileo Galilei.

Fuori: All’Ill.mo Sig.re et Pad.n Col.mo

Il S. Cav. Belisario Vinta, Seg.io di S. A. S.

Firenze.

194*.

OTTAVIO BRENZONI a GALILEO in Padova.

Verona, 21 giugno 1608.

Bibl. Naz. Fir. Mss. Gal., P. VI, T. VII, car. 89. – Autografa.

Molto Ill.re et Ecc.mo Sig.r mio Oss.mo

Alla lettera di V. S. Ecc.ma al Sig.r Girolamo Magagnati non potei così tosto far aver il suo riccapito, sendo egli all’hora partito con altri gentil’huomini di Verona per veder le nozze di Mantoa([398]); ma ritornato che fu, feci l’officio compito. Egli si trova ancora quivi. A me fu gratissima la maggior parte della lettera sua a me dirretta, come il sentirla assicurata dalla malatia, et che si degni honorarmi de’ suoi commandi. Ben molto mi dolse della sua infirmità passata: hora, lodato Iddio. Di gracia, lei non resti scandalizato di questo mio tardo rescrivere, per scrivere poi quattro ciance sotto all’inclusa figura([399]), perchè, come desiderosissimo di servirla, cercavo pure d’investigare notabil cose et sicure per rispondere a quei tre quesiti: ma il troppo assottigliare la filosofia in cotal cose mi riusciva quasi sempre in fine del pensiero più che cercare nella conchiusione di quello che proposto mi haveva; sì che di tre quesiti mi riuscivan nove dubii, et di nove dubii ne ho cavato spesso 27 difficoltà. Hor vegga V. S Ecc.ma s’io havevo bisogno del filo di Teseo per rittornar al segno onde mi ero tolto. Non ho però dubbitato entrar in tal labirinto per farli cosa grata. Mi perdoni se tardi ne riesco; et Dio sa quello ch’avrò detto di buono. Se il carattere overo il testo ha bisogno di lucidatione, non mancherò di novo commento. Et per fine li prego da N. S. la compita sanità, et li baccio le mani.

Di Verona, il dì 21 di Giugno 1608.

Di V. S. molto Ill.re et Ecc.moAffett.mo Servitore Ottavio Brenzoni.

Fuori: Al molto Ill.re et Ecc.mo Sig.r mio Oss.mo

Il Sig.r Galileo Galilei, il Matematico dello Studio di

Padoa.

195*.

ALESSANDRO SERTINI a GALILEO [ad Artimino].

Firenze, 3 agosto 1608.

Bibl. Est. in Modena. Raccolta Campori. Autografi, B.a LXXXIX, n.° 112. – Autografa.

Molto Ill.e ed Ecc.mo Sig. mio,

V. S. mi ha fatto sempre grazia di amarmi e onorarmi sopra ‘l mio merito, ma questa volta l’affetto e la cortesia in vero han traboccato: e se m’è lecito (che la sua gentilezza mi persuade che sia), io le ricorderò che gli huomini grandi, qual è V. S., bisogna che vadiano adagio e considerati a lodare eziam gli amici cari, e bisogna ch’e’ non concedano ogni cosa all’amore; perchè, mettendosi a rischio che i lodati non riescano, mettono anche a rischio il credito e la reputazion propria. E questo basti per quello che sia dovuto alle cerimonie.

Io presupongo che V. S. abbia detto all’A.za del Ser.mo Principe, che io ho, molti anni sono, professione del tutto diversa dalla poesia, e che quello che io ho composto è stato fatto da me assai da giovane, sì come V. S. sa benissimo, la quale si ricorderà haver sentito anni e anni alcune cose che io le mando per obbedire. Harei havuto caro mi avesse accennato, in che materia avesse volsuto i sonetti e anche la canzone. Le cose amorose dilettan più; ma non so come sien ricevute in Corte. Io me ne rimetto a lei. Voleva mandare quella canzone amorosa che io feci tanti anni sono; credo ch’ella n’abbia memoria; ma io non l’ho scritta, e mi sono dimenticato una stanza, della quale io non mi ricordo più che s’io non l’havessi mai fatta: sì che ho tolto quella in morte del Sig. Agostino del Nero, materia così fatta, ma volendo obbedire non ho potuto fare altrimenti. Mi è convenuto scrivere ogni cosa da me per più presta spedizione, sichè lo scritto non sarà più degno di tanto Principe che sieno le poesie stesse. V. S. con la sua destrezza andrà scusando ogni cosa.

Quanto al sig. Andrea,([400]) e’ conosce haver ricevuto favor grandissimo da lei, havendolo ella messo in notizia di S. A. sì onoratamente, cosa ch’egli stima per molti rispetti e in particolare per la testimonianza di V. S. Ne la ringrazia pertanto infinitamente, e se le conosce obbligatissimo. E’ vorrebbe riuscire, e perciò la supplica ch’e’ sia con sua grazia che egli indugi un poco a mandarle quell’ode sopra ‘l Cardinale Gonzaga, nella quale egli vorrebbe mutare alcune cose ch’e’ vede poter migliorare ora ch’egli è in quiete, havendola composta a Mantova tra i disagi e romori delle feste e ‘n fretta grandissima. Altre composizioni, dov’egli abbia sodisfazione e che sian parute a proposito per la materia, non ha pronte. I giovani di spirito, come V. S. sa, con l’esperienza acquistan sempre giudizio e ‘l raffinano, e di mano in mano conoscon più, e perciò non si sodisfanno mai troppo delle cose passate. Pertanto e’ prega V. S. instantemente, che siccome l’ha favorito in far sì ch’al Ser.mo Principe sia venuto voglia di veder cose sue, ella voglia proccurare ch’e’ non sia havuto in considerazione ch’e’ faccia l’obbligo suo intorno a ciò un poco prima o un poco dopo, purchè e’ lo faccia, sì com’e’ farà. E con questo e’ bacia le mani a V. S., sì come anche Luigi mio fratello, il quale dice haver affrettato il suo ritorno di villa per amor di V. S., e poi non ce l’ha trovata: ed io fo il somigliante, ringraziandola delle buone nuove del nostro Ser.mo Padrone, al quale il sommo Dio si compiaccia concedere intera sanità e lunghezza di vita.

Di Firenze, il dì 3 di Agosto 1608.

Ebbi la sua ieri da Matt<…>, ma tardi, e non ho potuto far più presto di quel ch’ella vede: però, Sig. mio, mi scusi.

Di V. S. molto Ill.re ed Ecc.maSer. Aff.mo Alessandro Sertini.

Al molto Ill.e ed Ecc.mo Sig.r

Galileo Galilei, mio Sig.r e P.rone Oss.mo

Alla Corte([401]).

196*.

ALESSANDRO SERTINI a GALILEO [ad Artimino].

Firenze, 5 agosto 1608.

Bibl. Naz. Fir. Mss. Gal, P. I, T. VI, car. 163. – Autografa.

Molto Ill.e ed Ecc.mo Sig.r mio,

Io credo che V. S. abbia in memoria d’havermi sentito ragionare d’un gentilhuomo palermitano, amico mio, il quale è stato il verno passato qui in Firenze in medicamenti per una indisposizione, cred’egli, di mal franzese, la quale gli tiene pieno il capo e la testa di volatiche, cosa che danno brutezza, facendo scorza e forfora; ma sopra la sua persona non sente sorte alcuna di dolore. Egli ha fatto medicamenti grandissimi, da prima del male, rinfrescativi, e poi l’ha curato come mal franzese, e mai non ha potuto guarire; cosa che fa credere che non sia mal franzese, poi che non cede a’ medicamenti se non quanto l’evacuazioni e la dieta scemano gl’umori. Ritornando da Mantova, ove era stato alle feste, si fermò in Bologna, per esperimentare un medicamento propostoli per cosa buonissima, il quale non gl’ha fatto giovamento più che tanto. Perciò gl’è venuto volontà far prova de’ medici di Padova; e sapendo quanto io sia servitore di V. S., mi ha pregato che io intenda da lei quanto V. S. intenderà dalla sua lettera, la quale io le mando alligata([402]). Perciò la prego che mi voglia far grazia, quanto prima, avvisarmi quello ch’ella dice intorno a ciò che desidera sapere questo gentilhuomo da lei.

È arrivato qua un libro di un Tommaso Botio([403]), scritto contro a’ medici razionali, dic’egli, ed alcuno è parso che vi sia qualcosa di considerazione. Di grazia, V. S. mi dica che huomo e’ sia stimato da lei e dagl’alt[ri], e se, stante che gl’altri medici non arrivano al male di D. Vincenzio, questo, che ha del nuovo, se sarebbe il caso suo. Le bacio le mani, e ‘l Sig.r Andrea([404]) ancora, il quale è dietro a mettere in ordine l’ode e qualch’altra cosa per mandarla a V. S. Nostro Signore la feliciti.

Di Firenze, il dì 5 di Agosto 1608.

Di V. S. molto Ill.eServ.re Aff.mo Aless. Sertini.

Fuori: [Al] molto Ill.e ed Ecc.mo Sig.r e P.ron mio Oss.mo

Il Sig.r Galileo Galilei,

Alla Corte.

197*.

ALESSANDRO SERTINI a GALILEO [ad Artimino].

Firenze, 18 agosto 1608.

Bibl. Est. in Modena. Raccolta Campori. Autografi, B.a LXXXIX, n.° 111. – Autografa.

Molto Ill.re Sig. mio,

O questa sì ch’è giuliva, che le lettere e scritture che io inviai giovedì a V. S., sieno ite male. Io diedi il plico alla posta al Sig. Brunacchi, al quale haveva dato l’altre lettere, e mi disse che ne arebbe fatto il servizio. È possibile che a quest’otta V. S. le abbia havute, e vedrà essere scritta la lettera sino di giovedì, il qual giorno, come io le ho detto, le detti alla posta. Ora, se la fortuna si accorda per far apparir maggiore la mia colpa, io non ne posso far altro; ed è un pezo ch’io sapeva che a me non era ella troppo amica. Ma io voglio presuporre che V. S. a quest’otta l’abbia ricevute, perchè, essendovi occasione sera e mattina di huomini che si spediscono costassù, quando sia avvenuto che ‘l Brunacchi, a chi io le diedi, se le dimenticasse giovedì sera e anche venerdì, l’avrà mandate il sabato.

Ho inteso che costassù si ritrova un giovane de’ Ciampoli([405]), allievo del Sig.r Gio. Bat. Strozzi, conosciutissimo da me e degno d’ogni bene e d’ogni lode per le virtù sue e d’ogni onore, e intendo che si trattiene assai con V. S.: però io non vorrei ch’ella, se non è seguito sin ora, mi menzionasse seco per conto di poesie, dico di haverne mandate a lei perchè le facesse vedere a S. A. S.. La ragione è, perch’io non mi curo di andare in bocca del popolo per questa via, e mi sono trovato dal Sig. Gio. B. e da lui ho inteso del Ciampoli, e non gli ho volsuto dir nulla nè di me nè del Sig. Andrea([406]); perchè di me non mi curo che si sappia, e di quell’altro anche non giudico bene fare gli stiamazzi, ed egli anzi non se ne cura e massime col Sig. Giob., che intendo che ha martello, per conto del Ciampoli, del Sig. Andrea. Serva a V. S. per avviso.

Di grazia, mi avvisi se ha poi ricevute le lettere, e mi tenga in sua grazia e comandi.

Di Firenze, 18 di Agosto 1608.

Di V. S. molto Ill.e ed Ecc.moSer.e Aff.mo Alessandro Sertini.

Fuori: Al molto Ill.re ed Ecc.mo Sig.r e P.ron mio Oss.mo

Sig.r Galileo Galilei,

Alla Corte.

198*.

PIETRO DUODO a GALILEO in Firenze.

Padova, 30 agosto 1608.

Bibl. Est. in Modena. Raccolta Campori. Autografi, B.a LXXIV, n.° 81. – Autografa la sottoscrizione.

Ill.re ed Ecc.mo Sig.r

La lettera con la quale ha piacciuto a V. S. Ill.re ed Ecc.ma di honorarmi, a me è riuscita carissima, perchè ho conosciuto in lei un non so che d’individuo verso di me, che so non esser così commune con tutti; e però, sì come l’assicuro di corrisponderle per ogni verso, così l’accerto appresso, non mi si rappresenterà mai occasioni di farle servitio, che non lo faccia.

A quel Ser.mo Principe bascio humilmente le mani per l’amorevole affettione che dimostra di portarmi e per la memoria che resta servito di serbar di me; e mi farà favore, con occasioni, rallegrarsi con sua Altezza Ser.ma delle sue auguste nozze([407]), et le prego da Dio tutti quegl’effetti felicissimi che si hanno conceputo nell’animo. Io non ardisco dirle cosa alcuna delli Serenissimi Gran Duca e Gran Duchessa; ma se, in congiontura, potesse fare un simil offitio con essi, mi sarebbe gran favore, essendo io obligatissimo a l’un e l’altro delle loro Altezze per favori così estraordinarii, che in diverse occasioni ho ricevuto dalle loro mani.

Li figliuoli([408]) stanno bene, e le rendono i saluti quadruplicati. Studiano, et l’attendono al tempo promesso: et nel resto le auguramo ogni compita felicità.

Di Padova, li XXX Agosto 1608.

Di V. S. Ill.re ed Ecc.maAff.mo per ser.la Piero Duodo.

Fuori: All’Ill.re Sig.r

L’Ecce.mo Sig. Galileo Galilei.

Fiorenza.

199.

GALILEO a CRISTINA DI LORENA [in Firenze].

Firenze, settembre 1608.

Bibl. Naz. Fir. Mss. Gal., P. I, T. IV, car. 29 e 30. – Bozza autografa.

Mad.ma Ser.ma

Essendo questa delle felicissime nozze del Ser.mo Principe, figliuolo di V. A. S. et nostro amatissimo Signore, la prima occasione per la quale tutta l’università de i suoi fedelissimi servi et vassalli, chi con uno et chi con altro segno di amore, di fedeltà, et di obedienza, comparendo innanzi alla sua Ser.ma Altezza, dimostri il vero et vivo giubilo che sente nel vedersi([409]) per sì fortunata copula stabilire la speranza di perpetuarsi sotto così dolce et soave governo; parmi che S. A. S., in risposta di così grati affetti, dovesse all’incontro con qualche esplicante segno manifestare a quelli l’interno affetto suo, la innata sua humanità et la sua singolar protezione, con la quale abbraccia et è per abbracciare tutto il popolo dalla Divina Providenza sotto il suo governo et patrocinio costituito. Et questo per avventura potrà l’A. S. fare, se comparendo nel cospetto publico di tutto il concorso de i suoi vassalli, spiegherà misteriosamente nella sua impresa, non carattere che denoti qualche suo più particolare affetto, ma sì bene che sia simbolo il quale gl’animi di tutti universalmente venga a consolare, con l’assicurargli della celeste pietà che nell’humanissimo suo petto risiede, con la quale è per protegergli sempre et per sempre sollevargli, rendendosegli grati, obedienti et fedeli più con l’amore et con la carità, che col timore o con la forza. Tale et sì generoso pensiero parmi che acconciamente possa esplicarsi col figurare per corpo dell’impresa una palla di calamita, dalla quale pendano molti ferri da essa sostenuti, aggiugnendovi il motto Vim facit amor: il cui senso allegorico è, che sì come quei ferri dalla calamita sono contro la propria inclinazione([410]) mossi all’in su et sostenuti in alto, ma però con([411]) una quasi amorosa violenza, avventandosi l’istesso ferro avidamente a quella pietra et quasi di volontario moto correndovi, sì che dubbio ancor resti se più la forza della calamita o il naturale appetito del ferro o pure un amoroso contrasto d’imperio et di obedienza così tenacemente ambedui congiunga; così l’affetto cortese et pio del Principe, figurato per la pietra, che a sollevare et non ad opprimere i suoi vassalli solamente intende, fa che quelli, rappresentati per i ferri, ad amarlo et obedirlo si convertino. Che poi per la palla di calamita acconciamente si additi la persona del Ser.mo Principe, è manifesto: prima, per esser le palle antica insegna della Casa; in oltre, essendosi da grandissimo filosofo diffusamente scritto, et con evidenti dimostrazioni confermato, altro non essere questo nostro mondo inferiore, in sua primaria et universal sustanza, che un gran globo di calamita, et importando il nome Cosmo il medesimo che mondo, potrassi([412]) sotto la nobilissima metafora del globo di calamita intendere il nostro gran Cosimo. Parmi altresì che non meno acconciamente venghino da i ferri pendenti dalla pietra circonscritti i devotissimi vassalli di S. A. S.; perchè se il ferro solo è quel metallo dalla cui durezza si traggono le più salde armi, sì per la difesa nostra come per l’offesa dell’inimico, chi non sa che nelle mani, nel cuore et nella fede de i sudditi è riposta ogni difesa et sicurezza del principe et de’ suoi stati? Questa dunque, Madama S.a, quando così paia al suo purgatissimo giudizio, potrà esser l’impresa con la quale, a consolazion de i suoi popoli, in questa universale allegrezza, potrà il Ser.mo Principe scoprire quale egli voglia essere verso i suoi sudditi, et quali egli desidera che si mantenghino loro verso di esso. Et quando volesse l’A. V. mantener vivo nelle memorie de i suoi vassalli questo pensiero, potria in questa occasione fare stampar medaglie d’argento et d’oro, dove da una parte fusse questa impresa col suo motto, et dall’altra intorno a l’imagine del S. Principe quest’altro: Magnus Magnes Cosmos, che nel senso literale altro non dice se non che il mondo sia una gran calamita, ma sott’altro senso dichiara l’impresa.

200*.

PIETRO DUODO a GALILEO in Firenze.

Padova, 10 ottobre 1608.

Bíbl. Est. in Modena. Raccolta Campori. Autografi, B.a LXXIV, n.° 77. – Autografa la sottoscrizione.

Ill.re et Ecc.mo Sig.r

Ricevo gran consolatione dalle lettere di V. S. Ill.re et Ecc.ma poiché in esse scuopro l’amor che mi continua; di che la ringratio infinitamente, assicurandola che l’amor suo è benissimo corrisposto et con altrettanto desiderio di servirla; quando si compiacerà valersi di me.

Ho salutato li figliuoli([413]), li quali gli rendono molte gratie et la rissalutano doppiamente. Intanto le desidero felicità, et me le raccomando.

Di Padova, li X Ottobre 1608.

Di V. S. Ill.re et Ecc.ma S.r Galileo.Aff.mo per ser.la Piero Duodo.

Fuori: All’Ill.re et Ecc.mo Sig.r

Il Sig.r Galileo Galilei.

Fiorenza.

201.

CURZIO PICCHENA a GALILEO in Padova.

Firenze, 18 dicembre 1608.

Bibl. Naz. Fir. Mss. Gal., P. I, T. VI, car. 127. – Autografa.

Molto Ill.re S.r mio Oss.mo

Quando V. S. era sul partir di qua, io le dissi che poi per lettera havrei replicato alcune cose a quel che scrisse a V. S. il suo amico di Verona([414]) intorno alla nascita della mia figliuolina([415]), perchè da questo io son venuto in dubio che forse l’hora non sia giusta.

Prima egli dice, che quest’ anno corrente ella correva pericolo della vita, massimamente nel mese di Settembre: et a questo io dico, che la detta figliuola non ha mai havuto male di considerazione; et già si trova presso alla fine dell’undecimo mese. Poi dice ch’ella havrà roba da’ suoi parenti ecclesiastici: et io rispondo che non mi resta parente alcuno, donde a lei possa venir roba nè anche di qui a cent’anni, nè dal canto mio nè di mia moglie. Stante adunque il dubio che l’hora non sia giusta, riceverei per favore da V. S. che il suo amico vedesse se si può aggiustare dall’istesso tempo della nascita, perchè intendo che la figliuola nacque in modo, che per mezz’hora o più fu tenuta per morta o che in breve spazio dovesse morire, perchè era nera et non faceva quasi movimento alcuno nè segno di vita, fintanto che, lavatala nella malvagía calda, ella rinvenne: et questo pericolo avvenne perchè nacque vestita et col tralcio avvolto intorno al collo, che quasi l’haveva soffocata. Da tale accidente potette forse avvenire che si tardò un poco a dar avviso della nascita a quelli che stavano fuor della camera per notar l’hora. Et il sopradetto pericolo mi par assai notabile per poter rettificare la natività, non essendocene fin hora occorso alcun altro. Con questa occasione ricordo a V. S. il mio solito desiderio di servirla, et le bacio la mano.

Da Fior.za, alli 18 di Dicembre 1608.

Di V. S. molto Ill.reAff.mo Serv.re Curzio Picchena.

Fuori, d’altra mano: Al molt’Ill.re Sig.r mio Oss.mo

Il Sig.r Galileo […..] Matematico nello Studio di

Padova.

202.

GALILEO a CRISTINA DI LORENA in Firenze.

Padova, 19 dicembre 1608.

Bibl. Naz. Fir., Mss. Gal., P. I, T. IV, car. 31. – Autografa.

Ser.ma Mad.ma

Il benignissimo affetto che da diversi segni ho scorto in V. A. S. verso la persona mia, mi presta di presente ardire di supplicarla con ogni maggiore humiltà, che voglia esser servita di favorire Mess. Benedetto Landucci mio cognato, il quale li porgerà la presente, a presso S. A. S.ma, sì che resti graziato di ottenere quanto in un suo memoriale domanda; assicurandola che in diligenza et fedeltà da niun altro lor vassallo sarà superato, et raccomandandoli la povera sua famiglia, che per tale aiuto sarà dalle lunghe sue miserie sollevata, che è opera prima della somma bontà di V. A. S.: di che et essa bisognosa famiglia nelle sue calde orazioni a presso Dio ne le renderà merito, et io in perpetuo gliene haverò quell’obligo istesso che se nella mia propria persona fusse tal benefizio stato conferito. Et con ogni humiltà inchinandomi all’A. V. S., reverentemente li bacio la vesta, et da Dio li prego il colmo di felicità.

Di Padova, li 19 di Dicembre 1608.

Di V. A. S.Hum.mo Servo Galileo Galilei.

Fuori, d’altra mano: Alla Ser.ma Gran Duchessa di Toschana, mia Signora.

Firenze.

203.

CRISTINA DI LORENA a GALILEO in Padova.

Firenze, 8 gennaio 1609.

Bibl. Naz. Fir. Mss. Gal., P. I, T. XIV, car. 19. – Autografa la firma.

Mag.co nostro Dilett.mo

Noi non mancheremo d’havere in particolare raccomandazione Benedetto Landucci, vostro cognato, nelle occasioni che si presenteranno proporzionate alla persona sua. Et perchè nell’offizio che egli specificatamente chiedeva([416]) non è stato luogo per lui, essendo già dal Gran Duca stato promesso, egli si potrà ricordare in qualche altra cosa, conservando Noi la nostra solita buona volontà verso il vostro merito. Et Dio vi conservi.

Da Fiorenza, alli 8 di Gennaio 1608([417]).

Galileo Galilei.

Fuor: Al Mag.co nostro Dilett.mo

Mess. Galileo Galilei, Lettore di Matematica nello Studio di

Padova.

204.

GALILEO a CRISTINA DI LORENA [in Firenze].

Padova, 16 gennaio 1609.

Bibl. Naz. Fir. Mss. Gal., P. I, T. IV, car. 33. – Autografa.

Ser.ma Mad.ma et Mia Sig.ra Col.ma

Per calculare con le tavole Pruteniche et emendare il moto del sole con quelle di Tico Brae per l’uno et per l’altro delli due tempi dubbii del nascimento del Ser. G. D., mi è bisognato consumar tanto tempo, che non prima di adesso ho potuto assicurarmi a dire a V. A. S. cosa alcuna di resoluto circa il suo dubbio. Hora li dico, che confrontando li accidenti decorsi con l’uno et con l’altro tema, mi par assai più conforme alle regole il credere che S. A. S. nascesse li 30 di Luglio del 1549, che li 19 di Luglio del 1548; tal che S. A. S. corra adesso l’anno cinquantesimo nono, et non il sessantesimo, et sia del suo climaterico nono il principio fra due anni e mezzo, et non fra 18 mesi: il quale anco spero che S. A. S. sia per superare felicissimamente, col favore di Sua Divina Maestà, nelle cui mani principalmente risiede il governo di quelli che ha destinati a reggere i popoli. Intanto, inchinandomi con ogni humiltà a V. A. S., li bacio la vesta, et dal Signore Dio li prego il colmo di felicità.

Di Pad.a, li 16 di Gen.o 1609.

Di V. A. S.Humiliss.o et Oblig.mo Servo et Vass.lo Galileo Galilei.

Fuori: Alla Ser.ma G. Duchessa di Toscana,

mia Sig.ra et Pad.na Col.ma

205*.

CURZIO PICCHENA a GALILEO in Padova.

Firenze, 31 gennaio 1609.

Bibl. Est. in Modena. Raccolta Campori. Autografi, B.a LXXXV, n.° 20. – Autografa.

Ill.re S.r mio Oss.mo

Se bene il Gran Duca haveva quasi destinato et promesso a un altro quel luogo che chiese il cognato di V. S.([418]), poichè era stato dato ad intendere a S. A. che egli non era atto ad esercitarlo, non di meno Madama Ser.ma s’ è messa di nuovo a farne gagliardo offizio, sì che oggi, nella consulta degli Auditori, il luogo gli è stato dato([419]): et Madama mi ha commesso di farlo sapere a V. S., sì come faccio. Et di cuore la saluto, et le bacio la mano.

Di Firenze, alli 31 di Gen.o 1608([420]).

Di V. S. Ill.reAff.mo Ser.re Curzio Picchena.

Fuori: All’Ill.re S.r mio Oss.mo

Il S.r Galileo [Galilei], Lettore di Matematica.

Padova.

206.

GALILEO a CRISTINA DI LORENA [in Firenze].

Padova, 11 febbraio 1609.

Bibl. Naz. Fir. Mss. Gal., P. I, T. IV. car. 35. – Autografa.

Mad.ma Ser.ma et mia Sig.ra Col.ma

La difficultà attraversatasi nella resoluzione del negozio di Mess. Benedetto Landucci, mio cognato, ha partorito dui buoni effetti: l’uno, che ha porto occasione a loro A. S.me di accertarsi delle honeste condizioni di detto mio cognato; et l’altro, di dimostrare a me come, sopra ogni mio merito, hanno in considerazione la mia devotissima et humilissima servitù: onde io devo doppiamente ringraziare Iddio et la loro benignità, che non meno cortesemente che prudentemente hanno disposto di quello uffizio ad utile et commodo di detto mio parente. Io rendo dunque grazie infinite a V. A. S. per la benigna intercessione apresso il Ser.mo G. D.: nè potendo altro per adesso derivare dalla mia debolezza che un purissimo affetto di devozione, con questo humilissimamente mi inchino alle loro A.e S.menominando il mio obbligo perpetuo, et pregandoli da Dio il colmo di felicità.

Di Pad.a, li 11 di Febbraio 1609.

Di V. A. S.maDev.mo et Hum.mo Servo et Vassallo Galileo Galilei.

Fuori: Alla Ser.ma G. Duchessa di Toscana,

mia Sig.ra Col.ma

207.

GALILEO ad [ANTONIO] DE’ MEDICI in Firenze.

Padova, 11 [febbraio] 1609.

Bibl. Naz. Fir. Mss. Gal., P. VI, T. V, car. 19. – Autografa.

Ill.mo et Ecc.mo Sig.re et Pad.ne Col.mo

Ho inteso minutamente da Mess. Benedetto Landucci, mio cognato, il cortesissimo affetto col quale V. E. Ill.ma si è mostrato favorevole nella consecuzione della grazia domandata da quello, et finalmente, con l’aiuto del suo favore, ottenuta([421]): onde io ne le rendo grazie infinite, et l’accerto che in quanto la debolezza delle mie forze si estenderà, non mi haverà V. E. Ill.ma a posporre ad alcuno de i suoi più pronti et fedeli servitori.

Mi ordina in oltre mio cognato, che io deva scrivere a V. E. qualche cosa di nuovo intorno a i miei studii, sendo tale il suo desiderio; il che ricevo a grandissimo favore, et mi è stimolo a speculare più del mio ordinario. Onde […. ]ere([422]) a V. E., come dopo il mio ritorno di Firenze sono stato occupato in alcune contemplazioni et in diverse esperienze attenenti al mio trattato delle meccaniche([423]); [n]el quale ho speranza che la maggior parte saranno cose nuove, nè da altri state tocche per addietro. Et pure ultimamente ho finito di ritrovare tutte le conclusioni, con le sue demostrazioni, attenenti alle forze et resistenze de i legni di diverse lunghezze, grossezze et figure, et quanto sian più debili nel mezo che negli estremi, et quanto maggior peso sosterranno se quello sarà distribuito per tutto il legno che in un sol luogo, et qual figura doveria havere acciò fusse per tutto egualmente gagliardo: la quale scienza è mol[to] necessaria nel fabricar machine ed ogni sorte di edifizio, nè vi è alcuno che ne habbia trattato. Sono adesso intorno ad alcune questioni che mi restano intorno al moto de i proietti, tra le quali molte appartengono a i tiri dell’artiglierie: et pure ultimamente ho ritrovata questa, che ponendo il pezzo sopra qualche luogo elevato dal piano della campagna, et appuntandolo livellato giusto, la palla uscita del pezzo, sia spinta da molta o da pochissima polvere o anco da quanta basti solamente a farla uscir del pezzo, viene sempre declinando et abbassandosi verso terra con la medesima velocità, sì che nell’istesso tempo, in tutti i tiri livellati, la palla arriva in terra; et siano i tiri lontanissimi o brevissimi, o pure anco esca la palla del pezo solamente e caschi a piombo nel piano della campagna. Et l’istesso occorre ne i tiri elevati, li quali si spediscono tutti nell’istesso tempo, tuttavolta che si alzino alla medesima altezza perpendicolare: come, per essempio, i tiri aefagh, aik, alb, contenuti tra le medesime parallele cdab, sispediscono tutti nell’istesso tempo;

et la palla consuma in far la linea aef tanto tempo, quanto nella aik, et in ogn’altra; et in consequenza le loro metà, ciò è le parti efgh, ik, lb, si fanno in tempi eguali, che rispondono a i tiri livellati. Nella materia delle aqque et degl’altri fluidi, parte ancor lei intatta, ho parimente scoperte grandissime proprietà della natura; ma non mi basta l’angustia del tempo a poterle scrivere al presente, dovendo spedir molte altre lettere. Mi riserverò dunque a maggior oportunità a dir a V. E. 3 o 4 conclusioni et effetti veduti et già provati da me, che avanzano di meraviglia forse le maggiori curiosità che sin hora siano state cercate da gl’huomini. Ma tanto basti per hora.

Restami a supplicar V. E. Ill.ma conservarmi quel luogo nella sua grazia, che la sua somma bontà mi ha sin qui conceduto, assicurandosi che ha un servitore che di devozione non cede ad alcuno altro. Et per fine, inchinandomegli con ogni reverenza, li bacio le mani, et [….] Dio somma felicità.

Di Pad.a, li 11 [….] 609.

Di V. E. Ill.maSer.re Dev.mo et Oblig.mo Galileo Galilei.

Fuori,: All'[…]re et Pad.ne

[…] Medici.

Firenze.

208.

GALILEO a COSIMO II DE’ MEDICI, Granduca di Toscana, [in Firenze].

Padova, 26 febbraio 1609.

Bibl. Naz. Fir. Mss. Gal., P. I, T. IV, car. 31. – Autografa.

Ser.mo G.D.ca, mio Sig.re e Pad.ne Col.mo

Con le medesime lettere mi è arrivata l’acerba nuova della morte del Ser.mo G. D. Ferdinando, di gloriosa memoria, et l’avviso della coronazione di V. A. S.ma; onde io nell’istesso tempo mi dorrò dell’una, e mi rallegrerò dell’altro, con l’A. V. Et il dolore di sì gran perdita deve invero esser comune di tutta la Cristianità, essendo mancato un Principe, il cui prudentissimo governo era specchio a gl’altri potentati: doviamo però consolarci nel voler divino, il quale, vedendo la sua gloria esser arrivata a quel segno oltre il quale non si dà passaggio tra le grandezze terrene, l’ha volsuto condurre alla destinata beatitudine celeste, della quale non possiamo dubitare, havendo Sua Divina Maestà con lunga serie di felicissimi successi reso certo il mondo della stima che Ella faceva di un tanto Principe; et ha non meno provisto i suoi sconsolati vassalli di un presentaneo conforto, scoprendo nell’Altezza V. S.ma, tra i primi fiori dell’età sua, frutti di senno maturo, che hanno di già dato materia di far parlar di loro, e non senza stupore, a i popoli lontani; ma non già nuovi a me, che, havendo per mia benigna fortuna et per humanità di V. S. A. hauto tante volte grazia di essergli appresso, havevo più e più volte letto nel suo silenzio l’altezza de i pensieri, che ella custodiva per questo tempo. Io supplico l’A. V. S.ma, che essendo ella stata costituita da Dio per comune rettore di tanti suoi devotissimi vassalli, non sdegni tal volta di volgere anco verso di me, pur uno de i suoi più fedeli et devoti servi, l’occhio favorevole della sua grazia; della quale devotamente la supplico, mentre con ogni humiltà me gl’inchino et bacio la vesta. Il Signore Dio gli conceda il colmo di felicità.

Di Pad.a, li 26 di Febraio 1609.

Di V. A. S.Humil.mo et Dev.mo Servo et Vassallo Galileo Galilei.

Fuori: Al Ser.mo Don Cosimo Medici,

G. D. di Toscana, mio Sig.re e Pad.ne Col.mo

209.

GALILEO al «S. VESP.» [in Firenze].

[Padova, febbraio 1609].

.

Bibl. Naz. Fir. Mss. Gal., P. I, T. IV, car. 111. – Minuta autografa.

La lettera([424]) di V. S. per molti rispetti mi è stata gratissima: prima, col rendermi testimonianza della memoria che tiene il Ser.mo G. D., mio Signore, di me; poi, con l’accertarmi della continuata affezione dell’Ill.mo S. . Pic.([425]), da me infinitamente stimata, come anco dell’amore di V. S., il quale, facendogli prendere a quore i miei interessi, l’induce così cortesemente a scrivermi intorno a particolari di gran momento. De i quali uffizii et a l’Ill.mo S. Enea et a V. S. io resto perpetuamente obligato, et gliene rendo grazie infinite; et parmi debito mio, in segno di quanto io gradisca tanta cortesia, slargarmi con le SS.e loro intorno a i miei pensíeri et a quello stato di vita nel quale sarebbe mio desiderio di passar quelli anni che mi restano, acciò che in altra occasione, che si presentasse all’Ill.mo S. Enea, possa con la sua prudenza et destrezza rispondere più determinatamente al Ser.mo nostro Signore: verso la cui Altezza, oltre a quel reverente ossequio([426]) et humilissima obedienza che da ogni fedel vassallo gli è dovuta, mi trovo io da così particolare devozione, et siami lecito dire amore (perchè nè anco Idio stesso altro affetto richiede in noi più che l’amarlo), inclinato, che, posto da banda ogn’altro mio interesse, non è condizione alcuna con la([427]) quale io non permutasse la mia fortuna, quando così piacere intendessi a quell’Altezza; sì che questa sola risposta potria bastare ad effettuare ogni resoluzione, che a quella piacesse di prendere sopra la persona mia. Ma quando S. A., come è credibile, colma di quella humanità e cortesia che tra tutti gl’altri principi la rendono, et sempre più renderanno, riguardevole, volesse col suo servizio accoppiare ogn’altra mia satisfazione, io non resterò di dire, come havendo hormai travagliato 20 anni, et i migliori della mia età, in dispensare, come si dice, a minuto, alle richieste di ogn’uno, quel poco di talento che da Dio et da le mie fatiche mi è stato conceduto nella mia professione; mio pensiero veramente sarebbe conseguire tanto di oio et di quiete, che io potessi condurre a fine, prima che la vita([428]), 3 opere grandi che ho alle mani, per poterle publicare([429]), et forse con qualche mia lode et di chi mi havesse in tali imprese favorito, apportando per avventura a gli studiosi della professione et maggiore et più universale et più diuturna utilità di quello che nel resto della vita apportar potessi([430]). Otio maggiore di quello che io habbia qua, non credo che io potessi havere altrove, tuttavolta che et dalla publica et dalle private letture mi fusse forza di ritrarre il sostentamento della casa mia; nè io volentieri le eserciterei([431]) in altra città che in questa, per diverse ragioni che saria lungo il narrarle: con tutto ciò nè anco la libertà che ho qui([432]) mi basta, bisognandomi a richiesta di questo e di quello consumar diverse hore del giorno, et bene spesso le migliori. Ottenere da una Repubblica, benchè splendida et generosa, stiendii senza servire al publico, non si costuma, perchè per cavar utile dal publico bisogna satisfare al publico, et non ad un solo particolare; et mentre io sono potente a leggere et servire, non può alcuno di Republica esentarmi da questo carico, lasciandomi li emolumenti: et in somma simile comodità non posso io sperare da altri, che da un principe assoluto.

Ma non vorrei, da quanto ho sin qui detto, parere a V. S.([433]) di haver pretensioni irragionevoli, come che io ambissi stipendii senza merito o servitù([434]), perchè non è tale il mio pensiero. Anzi, quanto al merito, io mi trovo haver diverse inventioni, delle quali anco una sola, con l’incontrare in un principe grande che ne prenda diletto, può bastare([435]) per cavarmi di bisogno in vita mia,mostrandomi l’esperienza, haver cose per avventura assai meno pregiabili apportato a i loro ritrovatori comodi grandi: et queste è stato sempre mio pensiero proporle, prima che ad altri, al mio Principe et Signore naturale, acciò sia in arbitrio di quello dispor di quelle et dell’inventore a suo beneplacito, et accettare, quando così gli piaccia, non solo la pietra, ma anco la miniera, essendo che io giornalmente ne vo trovando delle nuove; et molte più ne troverei, quando havessi più otio et più comodità di artefici, dell’opera([436]) de  quali mi potessi per diverse esperienze prevalere. Quanto poi al servizio cotidiano, io non aborrisco se non quella servitù meretricia di dover espor([437]) le mie fatiche al prezzo arbitrario di ogni avventore; ma il servire qualche principe o signore grande, et chi da quello dependesse([438]), non sarà mai da me aborrito, ma sì bene desiderato et ambito.

Et perchè V. S. mi tocca alcuna cosa intorno all’utilità che io traggo qua, gli dico come il mio stipendio publico è fiorini 520, li quali tra non molti mesi, facendo la mia ricondotta, son come sicuro che si convertiranno([439]) in tanti Ñ; et questi gli posso largamente avanzare, ricevendo grand’aiuto([440]), per il mantenimento della casa, dal tenere scolari et dal guadagno delle lezioni private, il quale è quanto voglio io. Dico così, perchè più presto sfuggo il leggerne molte, che io lo cerchi, desiderando infinitamente più il tempo libero che l’oro; perchè somma di oro tale che mi possa render cospicuo tra gl’altri, so che molto più difficilmente potrei aqquistare, che qualche splendore da i miei studii.

Eccovi, S. Vesp. mio gentilissimo, accennati succintamente i miei pensieri: del quale avviso potrà V. S., se così sarà oportuno, far partecipe l’Ill.mo S. Enea, del favore del quale, insieme con quello dell’Ill.mo S. Silvio([441]), so quanto mi posso promettere, et a quello solo ricorrerei in ogni occorrenza.

Intanto prego V. S. a non comunicar con altri quanto ho conferito seco, etc.

210*.

PIETRO DUODO a GALILEO in Padova.

Venezia, 6 marzo 1609.

Bibl. Est. in Modena. Raccolta Campori. Autografi, B.a LXXIV, n.° 75. – Autografa.

Molto Ill.re et Ecc.mo S.re

Troppo mi favorisce V. S. molto Ill.re et Ecc.ma con le sue lettere e con la continuatione che vedo in lei del desiderio del bene de’ miei nepoti([442]); di che certo le portiamo quell’obligo ch’ella può per sua prudenza imaginarselo. Quanto a quello che mi scrive, io le dirò il mio senso, rimettendo però tutto alla sua prudenza. Per me io credo che sia bene proseguir l’opera fino alli sei libri d’Euclide, per spalancar loro la porta a tutte le sorte delle matematiche; e se bene a’ figliuoli pare forse aspro, ciò non deve parer novo, perchè sono di questa natura, che facilmente intraprendono le cose e facilmente le lasciano: e questo è un habito cattivo, nè bisogna lasciar far radice, perchè questa sarebbe una strada di fare che non sapessero mai cos’alcuna; oltrechè a me non piacciono le cose imparate per metà, che vuol dire un saper nulla. Questo è quello che posso dire a V. S. molto Ill.re et Ecc.ma, rimettendo a lei però, che è su ‘l fatto, quello che la stimarà meglio di fare; e potrà inanimarli con la sua destrezza, mostrando che habbi parlato con me qui a Ven.a e che mi sii doluto del poco progresso, e con quel di più che le parerà: e se vorrà che le scrivi alcuna lettera, perchè la possi mostrare, io lo farò quando mi aviserà, perchè chi in questa età non dà la spinta alla barca, tardi in altro tempo si affaticaremo. V. S. molto Ill.re et Ecc.ma mi conservi in sua grazia; et le offero, in tutto quello che posso, il mio servitio.

Di Ven.a, li 6 Marzo 1608([443]).

Di V. S. molto Ill.re et Ecc.ma Il S.r Galileo Galilei.Ser.re Aff.mo Piero Duodo.

Fuori: Al molto Ill.re et Ecc.mo S.r,

Il S.Galileo Galilei.

Padova.

211.

ALESSANDRO DE’ MEDICI a GALILEO in Padova.

Firenze, 6 marzo 1609.

Bibl. Naz. Fir. Mss. Gal., P. I, T. VI, car. 117. – Autografa.

Molto Ill.re et Ecc.te Sig.mio Oss.o

Il dolore della perdita di sì gran Signore sarebbe veramente insopportabile, per così dire, se non venisse mitigato da speranza più che ordinaria del valore, bontà et clemenza del Ser.mo nostro Padrone nuovo: et in vero sino al dì d’hoggi ha dati presagi tali, che ciascheduno non solo l’ama cordialmente, ma l’ammira straordinariamente. Piaccia a N. S. di prosperarlo, et dargli gratia che risponda con gli effetti al nobilissimo concetto che tutti hanno di esso. Io poi non mancherò con bona occasione fare quanto V. S. mi comette con S. A. S.; et so chiarissimo che stima il suo valore, et spero che glie lo mostrerà in ogni occasione.

Circa alle nove della Corte, non saprei altro che dirgli, salvo che S. A. S. ha confermato tutto il servitio di suo padre f. m. nel’istessa maniera di prima, senza mutare niente in qual si voglia modo, o pochissimo alterando. Tutti gli amici salutano V. S. cordialmente, et io in particolare sono servitorissimo suo. Il Cielo lo feliciti.

Di Fior.a, 6 di Marzo 1608([444]).

Di V. S. molto Ill.e et Ecc.teSer.re Aff.mo Aless.o Medici.

Fuori: Al molto Ill.e et Ecc.te Sig.r

Galileo Galilei, mio Oss.o, a

Padova.

212.

COSIMO II DE’ MEDICI, Granduca di Toscana, a GALILEO in Padova.

Firenze, 7 marzo 1609.

Bibl. Naz. Fir. Mss. Gal., P. I, T. XIV, car. 21. – Autografa la firma.

Don Cosimo

Gran Duca di Toscana, etc.

Mag.co nostro Dilettiss.mo

Li vostri affetti per la morte del Ser.mo Gran Duca Ferdinando, mio Signore et Padre, che habbia il Cielo, et per la mia successione, vengono graditi da Noi carissimamente, perchè sono sincerissimi. Et portandovi noi benevolenza et tanto maggiore inclinatione, quanto sappiamo per prova il merito delle vostre virtù, vi certifichiamo che siamo per mostrarvene segni nell’occasioni di vostro commodo, contento et honore. Et il Signore Dio vi prosperi et conservi.

Di Firenze, li VII di Marzo 1608([445]).

Galileo Galilei.Il Granduca di Tosc.a

Fuori: Al Mag.co Galileo Galilei,

Nostro Dilett.mo

Padova.

213*.

GALILEO ai RIFORMATORI DELLO STUDIO DI PADOVA in Venezia.

Padova, 9 marzo 1609.

Arch. di Stato in Venezia. Filza intitolata sul dorso: Atti 1 1597-1609. Riformatori dello Studio di Padova, n.° 419. – Autografa.

Ill.mo Sig.re e Pad.ne Col.mo

Fu da prudentissima determinazione de i primi ordinatori di questo Studio ordinato, che la lettura delle Matematiche, al presente da me esercitata, fusse letta in un’hora sola, nè da altre letture occupata, acciò che i medici et filosofi, bisognosi di molte cognizioni che da questa sono loro sumministrate, potessero, senza perdere altre lezioni, ascoltar questa; et si accomodò il Mat.co a legger dopo tutte le altre hore, per non impedire, né medici né filosofi, che tutte le altre hore tengono occupate([446]). Hora, non so da qual cagione mosso, l’Ecc.mo S. Bimbiolo([447]), dopo l’haver sin hora letto all’hora sempre sua consueta, et pure nell’ultima sua ricondotta riassegnatali da la parte dell’Ecc.mo Senato, è venuto in pensiero di voler leggere all’hora mia, con notabilissimo disturbo della mia lezione et danno de i miei scolari, li quali, sendo la maggior parte medici, non possono ascoltar quella senza perder la mia; onde mi è parso necessario dar conto a loro Ill.mi et Ecc.mi SS.i Riformatori di questo disordine, et supplicarle che voglino esser servite di prendere sopra ciò quella provvisione che alla prudenza loro parrà oportuna per restituir le cose nel loro ordine et rimuovere ogni confusione: perchè in effetto, da 17 anni in qua che io leggo in questa catedra, nissuno ha mai letto all’hora deputata alla mia lettura, salvo che il medesimo Ecc.mo S. Bimbiolo due anni fa alcuni pochi mesi, taciuti da me per havermi dato parola di esser per ridursi alla sua hora consueta, sì come haveva fatto, poi che tale è il comandamento dell’Ecc.mo Senato. Io non mi estenderò in altro, rimettendomi al giustissimo et prudentissimo parere delle loro S.e Ill.me et Ecc.me, le quali son sicuro che regoleranno il tutto con ottimo consiglio. Et con ogni humiltà li fo reverenza, et prego da Dio somma felicità.

Di Padova, li 9 di Marzo 1609.

Di V. S. Ill.maSer.re Abbli.mo et Dov.mo Galileo Galilei.

214*.

PIETRO DUODO a GALILEO in Padova

Venezia, 10 marzo 1609.

Bibl. Est. in Modena. Raccolta Campori. Autografi, B.a LXXIV, n.° 79. – Autografa.

Molto Ill.re et Ecc.mo S.r

Con questa sarà la lettera che V. S. molto Ill.re mi scrive([448]), la quale sarà indrizzata a lei, che potrà mostrarla come le parerà.

Scriverò a Cattaro per quel suo soldato, e farò quanto potrò per suo servitio; nè occorre che usi cerimonie meco, perchè se mi vedesse il cuore, non lo vedrebbe risplender d’altro che di un affetto singularissimo di servirla, perchè così ella merita et io son obligato di farlo.

Di Ven.a, li X di Marzo 1608([449]).

Di V. S. molto Ill.re S.r Galileo Galilei.Aff.mo ser.re Pietro Duodo.

Fuori: Al Molto Ill.re et Ecc.mo S.r

Il S.r Galileo Galilei.

Padova.

215*.

PIETRO DUODO a GALILEO in Padova.

Venezia, 10 marzo 1609.

Bibl. Est. in Modena. Raccolta Campori. Autografi, B.a LXXIV, n.° 80. – Autografa.

Molto Ill.re et Ecc.mo Sig.re

Sono stati i figlioli questi giorni a Ven.a, et havendoli interogati nelle cose delle matematiche, vedo che ancora non havevano passato il primo di Euclide; e questo mi ha fatto dubitare che poco pensino a questo studio così nobile et così illustre, et io la voglio pregare a non stancarsi per questo, perchè ogni ragion vuole che siino capaci del loro bene. Io mi vado pensando, che V. S. molto Ill.re  sii troppo dolce con loro; et qualche volta qualche ammonitione non sarebbe se non a proposito, perchè sono di natura che vorrebbono saper tutto in un subito, e com’incontrano nelle cose difficili, si smarriscono, non sapendo essi che Iddio ha poste le virtù sopra l’altissimo monte di sudori e di fatiche, senza le quali non occorre sperar di pervenire. Io voglio sperare in fine che, con li amorevoli raccordi et indrizzi di V. S. molto Ill.re, prenderanno cuore; e quando facessero altrimente, facilmente se ne accorgeremo([450]). Io riposo sopra l’amore di V. S. molto Ill.re, e da questo spero tutto quel frutto che posso desiderare. E nel resto mi offero al suo servitio.

Di Ven.a, li X di Marzo 1608([451]).

Di V. S. molto Ill.reSer. Aff.mo Pietro Duodo.

Fuori: Al Molto Ill.re et Ecc.mo S.r

Il S.Galileo Galilei.

Padova.

216*.

GIOVANCOSIMO GERALDINI a GALILEO in Padova.

Firenze, 12 marzo 1609.

Bibl. Naz. Fir. Mss. Gal., P. I, T. VI, car. 119, – Autografa.

Ill.re et Ecc.mo Sig.re mio Oss.mo

Non mancai subito fare il debito mio in presentare la lettera di V. S. al Ser.mo Gran Duca, e ci aggiunsi quelle parole che mi parse, come tanto caro amico che li sono. L’A. Ser.ma mi rispose con tanta humanità, che non si può dir più; e mi disse: «Scriveteli, che dove potrò, vedrà dall’effetti quanto l’amo», e altre parole molto amorevole, che ne ho preso di nuovo gran contento. Non mancai baciare le mani([452]) all’Ill.mo Sig.re Silvio([453]), Sig.re Cav.re Ferdinando([454]), Sig.re Piovano, Sig.re Gonzaga([455]), che tutti gnene rendano dupplicati, come fo io con ricordarmeli servitore e pregarla a degnarsi di comandarmi. E il Signore Iddio li dia ogni contento.

Di Fiorenza, il dì 12 di Marzo 1608([456]).

Di V. S. Ill.re et Ecc.ma([457])Serv.re Oblighat.mo Giovancosimo Geraldini.

Fuori: All’Ill.re et Ecc.mo Sig.re mio Oss.mo

Il Sig.re Galileo Galilei.

Padova.

217.

LUCA VALERIO a GALILEO in Padova.

Roma, 4 aprile 1609.

Bibl. Naz. Fir. Mss. Gal., P. VI, T. VII, car. 93. – Autografa.

Molto Ill.re et Ecc.mo S.r mio Col.mo

Hoggi sono otto dì ch’io ricevei la lettera di V.S.dal S.r Lodovico Cigoli, nostro commune amico, pittore eccellentissimo, il quale se m’havesse portato il rittratto di V. S. fatto da lui, com’egli sa fare, portandola nel cuore, certo ch’egli m’havrebbe fatto cosa gratissima: ma poi che invece di quell’uno n’ho ricevuti due del bell’animo di V. S., fatti l’uno dalla sua scienza, l’altro dall’eloquenza, che sono la lettera et il teorema, parto del suo felicissimo ingegno, a quello del gran Siracusano (so ch’io non mento) di nulla inferiore; tanto questi mi sono più cari et riguardevoli che non sarebbe quello, quanto la natural figura nel rappresentare le bellezze interne è inferiore alla favella, vero rittratto dell’animo.

Ma di tutto il diletto ch’io ho preso dalla lettera, quello che nella prima apparenza mi s’è offerto, è il non essere io stato hora conosciuto da V. S. per altro, che per lo libro de’ centri della gravità de’ solidi([458]): chè s’ella m’havesse riconosciuto per quell’antico amico et devotissimo servitore ch’io le sono, crederei ch’il giuditio, ch’ella fa de’ miei componimenti, nascesse più dall’affettione, che questa da quello, essendo questa tale, nell’eccesso dell’honorar gli ainici, scusa de gli errori del giuditio da niuno rigettata; con ch’io scusai li SS.ri miei amici Pompeo Caimo et Gio. Demissiano nel riferirmi in publico le lodi che V. S. m’havea date in Firenze, parendomi ch’eglino troppo le abbellissero. Nè che V. S. non m’habbia conosciuto per fama, giudicandomene degno, punto mi maraviglio, sapendo che la fama è di due sorti: l’una, figlia del volgo, nata per forza de’ suoi stolidi gridi, la quale V. S. con ragione disprezza; l’altra è quella che nasce da pochi huomini et savi, che con la loro autorità et signoria naturale piegano et volgono a segno ragionevole lo sfrenato giuditio della plebe: et questa fama è stabile et degna del nome; l’altra, a guisa d’animale imperfetto, sorto dalle brutture della materia, oltraggiata dal tempo, a pena nata muore. Della prima maniera è la fama che V. S., per sua gratia, ha sparsa di me in coteste parti, et accresciuta quella ch’io haveva in queste. Dunque V. S. non potea conoscermi per fama, poi ella stessa la dovea partorire. Et bastarebbe a me l’intelligenza d’un savio per secolo, simile a V. S., senz’altra fama: la quale intelligenza, se si potesse por su le bilancie, mostrarebbe la leggierezza delle lodi popolari, et sanerebbe della pazzia coloro che le seguitano.

Ringratio dunque Dio che m’habbia fatto nascere et conservato fin hora in questi tempi, benchè nemici di virtù, poichè per mia buona ventura godo dell’amicitia di V. S., persona di singolar bontà, di scienze fornitissima, et di profondissimo ingegno. Laonde io ben conosco quanto gran favore V. S. mi fa, offerendomi la sua amicitia et la mia ricchiedendomi, che, come ho detto, è vecchia di molt’anni; et per non tenerla più sospesa, io sono quel Luca Valerio, devoto suo servitore, ch’ella conobbe in Pisa appresso la felice memoria del S.r Camillo Colonna, quando per quelli ameni et ombrosi prati andavamo, in compagnia d’altri filosofi, bene spesso gridando et disputando insieme. Ringratio V. S. finalmente dell’amorevole proferta, che mi fa, di favorirmi d’altre sue pellegrine inventioni, il che desidero sommamente, pur che non sia delle piramidi; la qual materia io presi a trattare et ne ho già finiti tre libri, et altri tre finiti nell’intelletto, nè voglio di tal soggetto vedere inventioni d’altri: et in ciò vinco me stesso, per non impigrire.

Il teorema di V. S. m’è piaciuto al pari de’ più maravigliosi d’Archimede. L’ha letto ancora la S.ra Margarita Sarocchi, che fu già mia discepola, donna dottissima in tutte le scienze et d’ingegno acutissimo; et giudica del facitore l’istesso che io, et a V. S. s’arricommanda, pregandola a farle gratia, s’ell’ha letti quei canti della Scanderbeide, suo poema heroico, che le furono tolti prima ch’ella li revedesse([459]), di scrivermene il suo parere et quel che altri ne sentono costì, sì come anch’io la prego. Et per non darle più noia, a forza fo fine, riserbando quel che mi restava di dire ad altro tempo. Prego Dio la conservi sempre felice, et a me dia occasione di goder V. S. di presenza et di poterla servire; il che sarà in ogni luogo et in ogni tempo, siccome ho fatto con la lingua, predicando il suo valore per tant’anni che non ci siamo revisti: sì che dove V. S. mi vedrà atto, facciami degno de’ suoi commandamenti. Et le bacio le mani.

Di Roma, li 4 d’Aprile 1609.

Di V. S. molto Ill.re et Ecc.maSer.re Devotissimo Luca Valerio.

Fuori: Al molto Ill.re et Ecc.mo S.r mio Oss.mo

Il S.r Gallileo Gallilei, Lettor di Mattematica nello Studio di

Padoa.

218*.

LODOVICO CARDI DA CIGOLI a GALILEO in Padova.

Roma, 9 aprile 1609.

Bibl. Naz. Fir. Mss. Gal., P. I, T. VI, car. 100. – Autografa.

Ecc.mo Sig.r et Patron mio Oss.mo

Ricevei la sua lettera, et così stracca la portai a il Sig.r Luca Valerio, il quale si mostrò molto a V. S. affezionato, ricordandosi di quando eri a Pisa, che andavi così fieramente disputando sopra molte belle cose gustose, delle quali dice il Sig.Luca non c’essere con chi conferirne, se non di cose che abbino per fine lo empiere la borsa. Ora dice che à finito una altra opera di cose bellissime, la quale sarà un poco più intelligibile et facile del’altra, et che presto la darà fuori. Non so se à dato risposta a V. S., perchè me ne sono stato tutta la settimana a S.Pagolo, là dove ò dato principio alla maggior tavola, et però no l’ò più rivisto; anzi cercho di spedirmi, per fuggire poi la malaria, che vi porta la state, et tornarmene a Roma, per ispedirmi di alcuni quadri che io ci ò cominciati, perchè, s’io posso, me ne vo’ venire a vedere cotesti paesi, et imparticolare V. S., la quale sopra tutte desidero di vedere et servire con tutto il quore. Et baciandoli le mani, le pregho da Dio ogni maggior bene.

Di Roma, il dì 9 di Aprile 1609.

Di V. S. Ecc.maAff.mo Ser.re Lodovico Cigoli.

Fuori: All’Ecc.mo Sig.r et Patron mio Oss.mo

Il Sig.r Galileo Galilei, Lettore delle Matematiche.

Padova.

219.

GIOVANFRANCESCO SAGREDO a GALILEO in Padova.

Aleppo, 30 aprile 1609.

Bibl. Est. in Modena. Raccolta Campori. Autografi, B.a LXXXVIII, n.° 40. – Autografa la sottoscrizione. Un secondo originale, che fu spedito in Venezia, pure con la sottoscrizione autografa e in capo al quale e accanto all’indirizzo si legge replicate, è nei Mss. Gal. della Bibl. Naz. di Firenze, P. I, T. VI, car. 102: esso presenta pochissime differenze di lezione, delle quali noteremo con la sigla r quelle che ci sembrano degne d’osservazione.

Ill.re S.re Ecc.mo

Io parlo, io discorro, et sono con l’animo a tutte l’hore con V. S. Ecc.ma, nè doppo il mio arrivo qui ho potuto nè saputo scriverle; non per diffetto di materia (perchè sono qui tante le novità et le occasioni di filosofare, che non muovo alcun passo che non desideri haverla meco per intendere da lei l’opinion sua), ma ben perchè, dall’altro canto, infiniti negotii et disturbi (et di questi, molti ancora travagliosi et molesti) mi distraono et occupano l’animo in modo, che riesco inhabile per poterle scriver come vorrei. Pure, già che non vedo mai apparire quel tempo che io possi scriverle con animo libero, ho voluto almeno con queste levarle quella meraviglia che le potesse dare il mio silentio.

Qui mi si è destato un desiderio così ardente di sapere infinite cose, che maledico, mille volte l’hora, la mia ignoranza et il tempo perduto nell’otio, che dovevo et potevo consumare ne’ studii. Se V. S. mi vedesse alcuna volta nel mio studio andare sciolgendo et rivolgendo([460]) i libri, so che riderebbe, osservando che mentre io, tratto dalla curiosità, apro alcuno di essi, ho il cuore a studiarne un altro; et come se temessi che quello mi fugisse di casa, sono astretto da soverchio affetto a pigliarlo, et doppo quello un altro et un altro, fino che mi sia caricato a misura di asino; et finalmente dandomi alla lettura di alcuno, i pensieri et i negotii, che continuamente mi scorrono in capo, fanno che la lingua et gl’occhi si affaticano in leggere, senza che l’inteletto possa capire nissuna cosa; et se per disgratia ne apprende alcuna, la memoria, distituta da travagli et da bisogni, non sa ritenerla: sichè i miei studii consistono solo in una ardentissima volontà, distrata dall’inteletto et dalla memoria, che, tiranegiati da una molesta occupatione, riescono totalmente inhabili a darle audienza. Mi consolo nondimeno con la speranza di stare seco in Padova un par di mesi a filosofare et godere; ma in un istesso tempo mi sgomenta oltre misura il pensare che debbano correr tre anni almeno avanti questo desideratissimo effetto, et che i pericoli di un molto lungo viaggio mi vietino l’accertarmi del ritorno: et in quest’ultimo impedimento pare che più si fiacchi la speranza, che in quello della longhezza del tempo; perchè, parendomi breve spatio il corso di cent’anni, assegnato per ultimo termine alla vita humana, so che tre passeranno pur troppo presto, et che con essi ancora sensibilissimamente passerà buona parte del vigore di questa vita. Si contenti in gratia V. S. Ecc.ma in questo mentre consolarmi con le sue giocondissime lettere, et fare che, acciecato dal gusto che io goderò leggendole, inganni me stesso, credendo haverla presente. Ahimè, che l’occupatione mi vieta il tratenermi più longamente con V. S., alla quale per fine et senza fine mi raccomando, pregandole da N. S. Dio([461]) ogni contento et felicità.

In Aleppo, l’ultimo d’April 1609.

Di V. S Ecc.ma([462]) S.r Galileo Galilei.Tutto Tutto suo G. F. Sag.([463])

Fuori: All’Ill.re et Ecc.moS.or mio Oss.mo

Il S.or Galileo Galilei, Matematico di([464])

Padova.

220*.

LODOVICO CARDI DA CIGOLI a GALILEO in Padova.

Rorna, 22 maggio 1609.

Bibl. Naz. Fir. Mss. Gal., P. I, T. VI, car. 104. – Autografa.

Ecc.mo S.r mio,

Ricevei la cortesissima sua, et la inclusa portai a il S.r Luca Valerio, a cui in voce et con la medesima sua feci fede del’affetto et ossequio che ella gli porta; e da lui furono riceute cortesissimamente, mostrando di tenerla cambiata con altrettanto affetto et amirazione delle virtù sue: et spero che l’esere conosciuto da lui per amico et servitor del Sig.r Galileo mi darà occasione di diventarli più intrinsico e godere della conversazione sua.

Io ò fornito di abbozzare a S.o Pagolo la tavola, et iermattina me ne tornai a Roma, dove, per isbrigarmi di certe opere di questi Illustrissimi che ò fra mano, credo di volere passare la state, per terminare più presto queste opere e non andarmene in gite, poi che il tempo m’è mancato fra mano; dove fra questo resto della state et il verno seguente darò fine, et con più quiete verrò a goderla e servire la seguente primavera.

Circa i disegni ch’ella mi chiede, io non ò pronto cosa alcuna, ma andrò facendo qual cosa per poternela servire.

Il Sig.re Iacopo Giraldi, che è qui presente, bacia le mani a V. S. Ecc.ma, et la pregha a favorirla, con la risposta di questa, delle postille sopra la prima stanza del Tasso([465]), che, senza dar nome allo autore, caso però che gli dispiacesse, se ne vorebbe poter valere in qualche ragionamento, che gniene resterà con molto obligo. Et con questo baciandoli le mani, gli pregho dal Signore Dio ogni maggior felicità.

Di Roma, il dì 22 di Maggio 1609.

Di V. S. Ecc.maAff.mo Ser.re Lodovico Cigoli.

Fuori: All’Ecc.mo Sig.r et Patron mio Oss.mo

Il Sig.r Galileo Galilei, Lettore delle Matematiche.

Padova.

221.

LUCA VALERIO a GALILEO in Padova.

Roma, 23 maggio 1609.

Bibl. Naz. Fir. Mss. Gal., P. VI, T. VII, car. 95. – Autografa.

Molto Ill.re et Ecc.moS.re et P.ron mio Oss.mo

Da questa seconda di V. S., resami dal S.r Cigoli, a me gratissima, et dalla scritta a lui, non tanto piacere ho ricevuto per le lodi ch’ella mi dà, molto superiori al mio merito, quanto dall’affettione che mi mostra, ond’ella sì caldamente è mossa ad honorarmi; il che fare io non posso verso di V. S., come che io mai non cessi di predicare la sua singular scienza et sublime ingegno, adorno d’una incomparabile modestia, per la quale V. S. si degna di volere conferir meco la sua eccellentissima opera de’ corpi gravi naturalmente mossi et de’ proietti; la qual materia V. S. con ragione stima intatta fin hora. Prego dunque V. S. a seguitarla et, quanto più presto potrà, condurla al fine; chè nel vero ella è per partorire al mondo grandissimo utile et ammiratione.

Quanto alla quadratura già da me publicata, non è quella dell’hyperbole, chè, considerando io le proprietà di tal figura, non ho mai aspirato a sì grande inventione, ma è la quadratura della parabola([466]), da me conchiusa con due dimostrationi differentissime da quelle d’Archimede, come V. S. vedrà, con un discorso logico sopra l’hypotesi delle superficie gravi et delle due linee descritte da’ centri di gravità di due gravi naturalmente mossi, ambedue perpendicolari ad un medesmo orizonte, ch’usa Archimede nella sua prima dimostratione. Non la mando hora, per le varie et molte occupationi che mi togliono il tempo: per quest’altro ordinario, piacendo a Dio, non mancherò d’inviargliele, col sagio anco d’alcuni miglioramenti ch’io fei l’anno passato, et vo tuttavia facendo, ne’ miei libri publicati, che V. S. s’è degnata di leggere, et con gli undici canti della Scanderbeide della S.ra Margarita Sarrochi([467]). Ma un negotio, ch’al presente mi chiama, favorisce V. S. per ch’io non le dia occasione di magior tedio, mala ricompensa del diletto ch’io ricevo dalle sue lettere, piene di sostanza et non di materie frivoli, come V. S. per sua modestia dice.

La S.ra Margarita, non manco affettionata a V. S. che ammiratrice del suo chiaro valore, le bacia le mani, com’anch’io fo con tutto ‘l cuore, pregandole da Dio N. S. intiera felicità.

Di Roma, a dì 23 di Magio 1609.

Di V. S. molto Ill.re et Ecc.maSe.re Devotiss.o Luca Valerj.

Fuori: Al molto Ill.re et Ecc.moS.re et P.ron mio Oss.mo

Il S.rGalileo Galilei.

Padova.

222*.

LUCA VALERIO a GALILEO in Padova.

Roma, 30 maggio 1609.

Bibl. Est. in Modena. Raccolta Campori. Autografi, B.a XCII, n.° 29. – Autografa.

Molto Ill.re et Ecc.mo S.r et P.ron mio Oss.mo

Ricordevole della promessa ch’io feci a V. S. otto dì sono, vengo con queste quattro righe a sodisfare in parte al debito mio, riserbando l’altra parte ad altro tempo, poichè non ho potuto ancor copiare alcuni mie’ problemi e teoremi, co’ quali V. S. s’habbia a trastullare. Mandole dunque per hora gli undici canti della Scanderbeide([468]), come che scorrettissimi siano di stampa, per la fretta di chi li fe’ stampare, oltre al non essere prima stati revisti dalla facitrice; sì che da una parte dello schizzo potrà V. S. agevolmente comprendere qual possa essere tutta l’opera, condotta a perfettione. Mandole, involta con essa, la quadratura della parabola([469]); et perchè nel mio libro, ch’ ha V. S., non so se ci sia il primo foglio della seconda parte, ch’io feci già ristampare, per maggior chiarezza, poco tempo doppo la publicatione, perciò le mando ancor quello. Et non havendo al presente altro che scriverle, se non quel ch’havrò sempre, di pregarla che mi conservi nella sua buona gratia, a V. S. bacio le mani, come anco fa la S.ra Margherita Sarrochi, pregandole da Dio felicità.

Di Roma, a dì 30 di Maggio 1609.

Di V. S. molto Ill.re et Ecc.maS.re Devotiss.o Luca Valerio.

Fuori: Al molto Ill.re et Ecc.moS.re et P.ron mio Oss.mo

Il S.r Galileo Galilei.

Con un fascetto.

Padova.

223**.

ENEA PICCOLOMINI ARAGONA a GALILEO in Padova.

Firenze, 27 giugno 1609.

Autografoteca Morrison in Londra. – Autografa la sottoscrizione

Molto Ill.re et Ecc.moSig. mio Oss.mo

Sono tanto obligato all’ammorevolezza di V. S., che haverei dovuto più spesso con lettere farli noto il desiderio che io ho, che mi si porga occasione di poterla servire; ma perchè sapevo che ella era del continuo occupata ne’ suoi studi, per non darli più fastidio che gusto, mi sono andato rattenuto a scriverle fino a quest’hora, nella quale, spronato da una voce che mi è venuta all’urecchio, che questa state non siamo per godere della dolce conversatione di V. S., sono forzato a rompere il silenzio et interrompere con questa i suoi studi, con dirle che tutti noi altri, suoi amici, di ciò habbiamo preso infinito disgusto. Haverò dunque per gratia singulare, la mi porga almeno modo che io la possa in qualche cosa servire, chè servendola mi parrà di vederla e goderla. E con questa occasione non voglio mancare di darle avviso, come il nostro Ser.mo Padrone, ne’ ragionamenti occorsi sopra di V. S., ha mostrato tenerne quella memoria che le sue virtù meritano, e ne parla sempre con molto affetto, conforme a quello che gl’ha mostrato gli anni addreto. Et io in tanto offerendomi prontissimo ad ogni suo cenno, le bacio con il Sig.r padre le mani.

Di Firenze, li 27 di Giugno 1609.

Di V. S. molto Ill.re et Ecc.maSer. Aff.mo Enea Piccolomini Arag.na

Fuori: Al molto Ill.re et Ecc.moSig.r Oss.mo

Il S.r Galileo Galilei.

Padova.

224*.

PIETRO DUODO a GALILEO in Padova.

Venezia, 29 giugno 1609.

Bibl. Est. ín Modena. Raccolta Campori. Autografi, B.a LXXIV, n.° 78. – Autografa.

Molto Ill.re et Ecc.moS.re

Non tralasciai, prima ch’io mi partissi di Padova, di trattare con alcuni di quei SS.ri del negotio([470]) di V. S. molto Ill.re et Ecc.ma;il che feci con quel termine che stimai a proposito per la riputatione sua e perchè la cosa havesse quell’effetto che desideravo per reputatione publica, e spero che ottenirò assai facilmente l’intento mio: ma è vero che dubito, la cosa sii per andar alla longa, per non esser noi in tempo di poter far ridurre quei SS.ri Ma ella creda certo che il negotio mi è a cuore; et le ho voluto scriver questo, solo perchè se nel mio partire mancai di dargliene parte, fu solo perchè non potei, ma non già perchè me ne fussi scordato, come non mi scordarò in eterno mai di tanti favori che riceve la Casa nostra dalla virtù e dalla cortesia di V. S. molto Ill.re ed Ecc.ma

Ho preparato il suo compasso et libro per inviare costì alli figlioli([471]); il che sarà con prima occasione sicura, perchè non sii guastato. Et nel resto le bacio le mani.

Di Venetia, li 29 di Giugno 1609.

Di V. S. molto Ill.re et Ecc.maAff.mo Ser.re Pietro Duodo.

Fuori: Al Molto Ill.re Sig.re

L’Ecc.moS.r Galileo Galilei, Lettor pub.co di Mat.ca

Padova.

225.

LUCA VALERIO a GALILEO in Padova.

Roma, 18 luglio 1609.

Bibl. Naz. Fir. Mss. Gal., P. VI, T. VII, car. 97. – Autografa.

Molto Ill.re et Ecc.moS.r mio Col.mo

Alla lettera di V. S. delli 5 di Giugno, a me gratissima, non ho risposto prima, per voler ben considerare i due principii ch’ella si è degnata di communicarmi. Per tanto io dico, che per principii d’una scienza di mezo a me non paiono duri, anzi chiarissimi, atteso che in principii di tali scienze non è necessario che sodisfaccino in prima vista a gl’intelletti privi in tutto delle scienze superiori. Ma un intelletto geometrico, con qualche lume di metafisica, o naturale o acquistato, subito intesi li termini di quelle due propositioni, della verità di esse non potrà dubitare, potendo agevolmente intendere, esser verità nota per sè stessa, che moltiplicandosi la virtù della causa sufficiente, è necessario si moltiplichi la quantità dell’effetto secondo la medesima moltiplicatione, levatone ogni sorte d’impedimento: ch’altrimente parte della virtù causale verrebe ad esser vana, il che involve manifesta contradittione; poichè la virtù causale, in quanto tale, alla quantità dell’effetto si riferisce, et con la quantità dell’effetto la quantità della causa misuriamo, sì in quanto all’estensione et intensione, come alla perfettione et nobiltà: dal che, come geometrico, il medesimo intelletto intenderà, potersi facilmente dimostrare la general somiglianza delle proportioni, per le ragioni solite addursi in molt’altre materie geometriche, et però non da inculcarsi in queste scienze medie.

Dunque, se l’impeto o inclinatione della gravità del corpo A([472]) sopra il piano inclinato all’orizonte secondo l’angolo B si supponga esser doppio dell’impeto della gravità del medesimo A sopra il piano inclinato all’orizonte secondo l’angolo C, maggiore dell’angolo B; et tali due diversi impeti nascono dalla gravità di A, limitata verso la produttione dell’ìmpeto diversamente per le diverse inclinationi de’ detti piani; si vede, per immediata conseguenza, che la velocità del moto naturale di A sopra il piano meno inclinato, sarà doppia della velocità del moto del medesimo A sopra quell’altro piano più inclinato. Dunque il vigore della causa immediata della doppia velocità, ch’è l’impeto o l’inclinatione alla doppia velocità, dovea essere doppia dell’inclinatione alla meza velocità, secondo la maggior inclinatione dell’altro piano.

La seconda suppositione non mi si rende men chiara della prima: per ciò ch’essendo il moto del corpo grave D, mosso per l’AC all’orizonte BC, composto di due moti retti, l’uno per una parallela alla BC, mobile verso la BC, et l’altro per una perpendicolare all’orizonte, essa ancor mobile, cosa chiara è che quando D sarà in C, havrà acquistato tanto impeto o inclinatione a velocemente muoversi, ch’è la quantità dell’effetto (in quanto effetto, dico, di quella parte del moto composto che si fa per la perpendicolar mobile, eguale alla stabile AB), quanto havrebbe acquistato se D si fusse mosso per la sola perpendicolare AB: et ciò dico in vigore del sopradetto principio metafisico. Et tanto bastimi haver detto per mostrarle il buon animo ch’i’ ho di servirla, rimettendomi sempre al purgato giuditio di V. S.; la quale ringratio ancora del teorema mandatomi, elegantissimo et degno di lei, che nel vero m’ha porto gran diletto.

Non ho ancora havuto tempo di copiare quel ch’io promisi a V. S.([473]), per le mie molte occupationi, delle quali, piacendo a Dio, ne sarò in gran parte alleggierito a questo Agosto; sì che potrò attendere alla promessa et seguitar gli altri mie’ componimenti, non solo per quel che ciascuno autore dee disiderare per sè stesso, ma ancora per non esser dal mondo giudicato indegno dell’amicitia di V. S. Alla quale baciando riverentemente le mani, prego da Dio N. S. intiera felicità.

Di Roma, li 18 di Luglio 1609.

Di V. S. molto Ill.re et Ecc.ma La S.ra Sarrochi ringratia V. S. del favore fattole in mandarle il giuditio dello stile del suo poema, e della diligenza che dice di voler fare sopra ogni parte di esso; et le bacia le mani, restandonele con perpetuo obligo.  Se.re Divotiss.o Luca Valerio.

Fuori: Al molto Ill.re et Ecc.moS.re mio Col.mo

Il S.r Galileo Galilei.

Padova.

226*.

LORENZO PIGNORIA a PAOLO GUALDO [in Roma].

Padova, 1.° agosto 1609.

Bibl. Marc. in Venezia. Cod. LXVI della Cl. X, It., car. 93. – Autografa.

…. Uno degl’occhiali in canna, di che ella mi scrisse già, è comparso qui in mano d’un Oltramontano…

227**.

GIOVANNI BARTOLI [a BELISARIO VINTA in Firenze].

Venezia, 22 agosto 1609

Arch. di Stato in Firenze. Filza Medicea 3001, n.° 63. – Autografa.

.

…. È capitato qua un tale che vuol dare in Sig.ria un secreto d’un occhiale o cannone o altro istrumento, col quale si vede lontano sino a 25 et 30 miglia tanto chiaro, che dicono che pare presente; et molti l’hanno visto et provato dal Campanile di San Marco. Ma dicesi che in Francia et altrove sia hormai volgare questo scereto, et che per pochi soldi si compra; et molti dicono haverne havuti et visti….

228.

GALILEO a LEONARDO DONATO, Doge di Venezia.

[24 agosto 1609].

Arch. di Stato in Venezia. Filza intitolata sul dorso; Terra 1609. Giugno, Luglio, Agosto. Senato I. F. 191. – Autografa.

Ser.mo Principe,

Galileo Galilei, humilissimo servo della Ser.à V.a, invigilando assiduamente et con ogni spirito per potere non solamente satistare al carico che tiene della lettura di Matematica nello Studio di Padova, ma con qualche utile et segnalato trovato apportare straordinario benefizio alla S. V.a, compare al presente avanti di quella con un nuovo artifizio di un occhiale cavato dalle più recondite speculazioni di prospettiva, il quale conduce gl’oggetti visibili così vicini all’occhio, et così grandi et distinti gli rappresenta, che quello che è distante, v. g., nove miglia, ci apparisce come se fusse lontano un miglio solo: cosa che per ogni negozio et impresa marittima o terrestre può esser di giovamento inestimabile; potendosi in mare in assai maggior lontananza del consueto scoprire legni et vele dell’inimico, sì che per due hore et più di tempo possiamo prima scoprir lui che egli scuopra noi, et distinguendo il numero et la qualità de i vasselli, giudicare le sue forze, per allestirsi alla caccia, al combattimento o alla fuga; et parimente potendosi in terra scoprire dentro alle piazze, alloggiamenti et ripari dell’inimico da qualche eminenza benchè lontana, o pure anco nella campagna aperta vedere et particolarmente distinguere, con nostro grandissimo vantaggio, ogni suo moto et preparamento; oltre a molte altre utilità, chiaramente note ad ogni persona giudiziosa. Et pertanto, giudicandolo degno di essere dalla S. V. ricevuto et come utilissimo stimato, ha determinato di presentarglielo et sotto l’arbitrio suo rimettere il determinare circa questo ritrovamento, ordinando et provedendo che, secondo che parerà oportuno alla sua prudenza, ne siano o non siano fabricati.

Et questo presenta con ogni affetto il detto Galilei alla S. V., come uno de i frutti della scienza che esso, già 17 anni compiti, professa nello Studio di Padova, con speranza di essere alla giornata per presentargliene de i maggiori, se piacerà al S. Dio et alla S. V. che egli, secondo il suo desiderio, passi il resto della vita sua al servizio di V. S. Alla quale humilmente si inchina, et da Sua Divina Maestà gli prega il colmo di tutte le felicità.

229*.

ALESSANDRO SERTINI a GALILEO in Padova.

Firenze, 26 agosto 1600([474]).

Bibl. Naz. Fir. Mss. Gal., P. I, T. VI, car. 106. – Autografa.

Molto Mag.co Sig.r mio Oss.mo

Se noi non ci conoscessimo, io mi sbraccerei per fare una menata di scuse e di cirimonie con V. S., essendo stato tempo senza darle ragguaglio di me e di mio essere, e senza procurare di haverlo di lei. Lo fo di presente, dicendole di esser quel medesimo suo affezionato servidore di sempre, di star benissimo al servizio suo: il simigliante desidero e spero ch’ella sia per avvisare a me dì sè stessa.

Al Sig.r Francesco Buonamici è stato trattato della lettura che haveva costì il Sig.Piccolomini([475]), sì come V. S. può sapere. Egli desidera particolare informazione dello Studio e del modo del vivere, e particolarmente desidera haverne informazione da lei per haverne anche il parer suo, se tal lettura sia a proposito suo o no. Ha ricercato me che io ne richiegga lei; ed io, che sommamente desidero di servirlo, la prego quanto più possocaramente a farmi questa grazia. Ella è informata apieno delle qualità del Sig.r Buonamico, ed ha lunga sperienza di cotesto Studio, di modo che io spero che a lei sia agevole il contentarci; e quanto più lo spero, tanto più lo desidero, e ne la prego per quant’affezione ella porta a me, alla virtù, alla patria. E facendo fine con baciarle le mani e pregarle salute, la prego della sua grazia.

Di Fir.e, addì 26 d’Ag.o 1609.

Di V. S.Ser.e Aff.mo Aless.o Sertini.

V. S. rispondendo invierà le lettere

per i SS.ri Strozi indiritte a me.

Fuori: Almolto Mag.co et Ecc.mo Sig.r

Galileo [Gal]ilei, Sig.mio Oss.moin

Padova.

230.

GIO. BATTISTA DELLA PORTA a FEDERICO CESI in Roma.

Napoli, 28 agosto 1609.

Bibl. della R. Accad. dei Lincei in Roma. Mss. n.° 12 (già cod. Boncompagni 580), car. 326. – Autografa

.

…. Del secreto dell’occhiale l’ho visto, et è una coglionaria, et è presa dal mio libro 9 De refractione([476]); e la scriverò , chè volendola far, V. E. ne harà pur piacere. È un cannelo di stagno di argento, lungo un palmo ad, grosso di tre diti di diametro, che ha nel capo

un occhiale convesso: vi è un altro canal del medesimo, di 4 diti lungo, che entra nel primo, et ha un concavo nella cima, saldato b, come il primo. Mirando con quel solo primo, se vedranno le cose lontane, vicine; ma perchè la vista non si fa nel catheto, paiono oscure et indistinte. Ponendovi dentro l’altro canal concavo, che fa il contrario effetto, se vedranno le cose chiare e dritte: e si entra e cava fuori, come un trombone, sinchè si aggiusti alla vista del riguardante, che tutte son varie….

231.

GALILEO a BENEDETTO LANDUCCI in Firenze.

Venezia, 29 agosto 1609.

Bibl. Naz. Fir. Mss. Gal., P. VI, T. VI, car. 17. – Copia di mano sincrona, in capo alla quale si legge d’altra mano, pur sincrona: «1609. Del Galileo, sopra l’Occhiale». Dubitiamo gravemente dell’autenticità di questa lettera. Cfr. A. FAVARO, Galileo Galilei e la presentazione del cannocchiale alla Repubblica Veneta, nel Nuovo Archivio Veneto, Tomo I, Parte I, pag. 55-75.

Car.mo et Hon.do Cogniato,

Doppo che ricevei il vino mandatomi da voi, non vi ho più scritto per mancamento di materia. Vi scrivo hora, perchè ho da dirvi di nuovo che sto in dubbio se di tal nuova sentirete più di contento o di dispiacere, poi che vien tolta la speranza d’havermi a rimpatriare, ma da occasione utile e honorata.

Dovete dunque sapere, come sono circa a 2 mesi che qua fu sparsa fama che in Fiandra era stato presentato al Conte Mauritio([477]) un occhiale, fabbricato con tale artifitio, che le cose molto lontane le faceva vedere come vicinissime, sì che un huomo per la distantia di 2 miglia si poteva distintamente vedere. Questo mi parve affetto tanto maraviglioso, che mi dette occasione di pensarvi sopra; e parendomi che dovessi havere fondamento su la scientia di prospettiva, mi messi a pensare sopra la sua fabbrica: la quale finalmente ritrovai, e così perfettamente, che uno che ne ho fabbricato, supera di assai la fama di quello di Fiandra. Et essendo arrivato a Venetia voce che ne havevo fabbricato uno, sono 6 giorni che sono stato chiama[to] dalla Ser.ma Signioria, alla quale mi è convenuto mostrarlo et [in]sieme a tutto il Senato, con infinito stupore di tutti; e sono stati moltissimi i gentil’huomini e senatori, li quali, benchè vecchi, hanno più d’una volta fatte le scale de’ più alti campanili di Vene[tia] per scoprire in mare vele e vasselli tanto lontani, che venendo a tutte vele verso il porto, passavano 2 hore e più di tempo avanti che, senza il mio occhiale, potessero essere veduti: perchè in somma l’effetto di questo strumento è il rappresentare quell’oggetto che è, ver[bi] gratia, lontano 50 miglia, così grande e vicino come se fussi lontano miglia 5.

Hora, havendo io conosciuto quanto vi sarebb[e] stato d’utitità per le cose sì di mare come di terra, e vedendolo desidera[..] da questo Ser.mo Principe, mi risolvetti il dì 25 stante di comparire in Coll[egio] e farne libero dono a Sua Ser.tà([478]).Et essendomi stato hordinato nell'[…]re del Collegio che io mi trattenessi nella sala del Pregadi, di lì a poco [l’]Ill.mo et Ecc.mo  S. Proccurator Prioli, che è uno de’ Riformatori di s[…], uscì fuori di Collegio, e presomi per la mano mi disse come l’Ecc.mo Collegio, sapendo la maniera con la quale havevo servito per anni 17 in Padova, et havendo di più conosciuta la mia cortesia nel farli dono di cosa così accetta, haveva inmediate hordinato agli Ill.mi Sig.ri Riformatori, che, contentandomi io, mi rinnovassino la mia condotta in vita e con stipendio di fiorini 1000 l’anno; e che mancandomi ancora un anno a finire la condotta precedente, volevano che il stipendio cominciassi a corrermi il sopradetto presente giorno, facendomi dono dell’accrescimento d’un anno, cioè di fiorini 480 di Lire 6.4 per fiorino. Io, sapendo come la speranza ha le ale molto pigre e la fortuna velocissime, dissi che mi contentavo di quanto piaceva a S. Serenità. All’hora l’Ill.mo Prioli, abbracciandomi, disse: «E perchè io sono di settimana e mi tocca a comandare quello che m piace, voglio che oggi doppo desinare sia ragunato il Pregadi, cioè il Senato, e vi sia letta la vostra ricondotta e ballottata», sì come fu, restando piena con tutti i voti([479]): talchè io mi trovo legato qua in vita, e bisognerà che io mi contenti di godere la patria qualche volta ne’ mesi delle vacantie.

E questo è quanto per hora ho da dirvi. Non mancate di darmi nuove di voi e de’ vostri negotii, e salutate in mio nome tutti li amici, raccomandandomi a la Virginia e a tutti di casa. Il Signore vi prosperi.

Di Vinetia, li 29 d’Agosto 1609.

 Vostro Aff.mo Cog.to Galileo Galilei.

232*.

ENEA PICCOLOMINI ARAGONA a GALILEO in Padova.

Firenze, 29 agosto 1609.

Bibl. Naz. Fir. Mss. Gal., P. VI, T. VII, car. 99. – Autografa la sottoscrizione.

Molto Ill.re Sig.r mio Oss.mo

La gratissima di V. S. delli 3 di Luglio non ricercava risposta; e però ho tardato sin ad hora ad accusarli la ricevuta, perchè non haveva per allora che soggiungerli di momento e che premessi. Hora con l’occasione, essendo io venuto in ragionamento con S. A. di V. S., le scrivo come la medesima Altezza mi ha comandato che io saluti a suo nome V. S., et insieme le dica che ha presentito che lei ha fatto uno occhiale, che in vedere lontano fa effetti maravigliosi, e però che haverebbe caro che ne facessi uno per lui e gli lo mandassi, e se questo gli fussi d’incommodo, la scrivessi il muodo come deve farsi, chè gli ne farà servitio.

Mi duole poi in estremo della sua indispositione, e che per ciò ne stia impedito, prima per causa di V. S., e poi per rispetto di noi altri, suoi tanto affettionati, che non la possiamo vedere: e perchè io vedo horamai passato il tempo di posserlo vedere per questa state, son quasi rissoluto di voler veder lei avanti passi l’inverno. Alla quale, desiderando impiegarmi in cosa di suo gusto, le bacio le mani.

Di Firenze, li 29 di Agosto 1609.

Di V. S. molto Ill.reAff.mo Ser.r Enea Piccolomini Arag.na

Fuori: Al molto Ill.re Sig.r mio Oss.mo

Il Sig.r Galileo Galilei.

Padova.

233**.

GIOVANINI BARTOLI a BELISARIO VINTA in Firenze.

Venezia, 29 agosto 1609.

Arch. di Stato in Firenze. Filza Medicea 3001, n.° 64. – Autografa.

….Più di tutto quasi ha dato da discorrere questa settimana il S.re Galileo Galilei, Matematico di Padova, con l’inventione dell’occhiale o cannone da veder da lontano. Et si racconta che quel tale forestiero che venne qua col secreto, havendo inteso da non so chi (dicesi da Fra Paolo teologo servita) che non farebbe qui frutto alcuno, pretendendo 1000 zecchini, se ne partì senza tentare altro; sì che, essendo amici insieme Fra Paolo et il Galilei, et datogli conto del secreto veduto, dicono che esso Gallilei, con la mente et con l’aiuto d’un altro simile instrumento, ma non di tanto buona qualità, venuto di Francia, habbia investigato et trovato il secreto; et messolo in atto, con l’aura et favore d’alcuni senatori si sia acquistato da questi SS.ri augumento alle sue provisioni sino a 1000 fiorini l’anno, con obligo però, parmi, di servir nella sua lettura perpetuamente….

234*.

LORENZO PIGNORIA a PAOLO GUALDO [in Roma].

Padova, 31 agosto 1609.

Bibl. Marc. in Venezia. Cod. LXVI della Cl. X, It., car. 98. – Autografa.

….Di nuovo non habbiamo altro, se non la reincidenza di S. Serenità, e ricondotte di Lettori: fra’ quali il Sig. Galileo ha buscato mille fiorini in vita, e si dice co ‘l benefizio d’un occhiale simile a quello che di Fiandra fu mandato al Card. Borghese. Se ne sono veduti di qua, et veramente fanno buona riuscita….

235*.

ANDREA MOROSINI a GALILEO in Padova.

Venezia, 4 settembre 1609.

Bibl. Est. in Modena. Raccolta Campori. Autografi, B.a, LXXXI, n.° 154. – Autografa.

Ecc.mo Sig.r Oss.mo

Cari molto mi sono stati li due libri che V. S. Ecc.ma mi ha inviati: così havessi io tanta commodità di tempo, che ne potessi coglier il frutto che vorrei. Con quello dell’uso([480]) ha dato l’anima al Compasso; con quello dell’apollogia([481]) ha rintuzzato l’ardire de’ maligni, et è venuto molto a proposito per la presente congiuntura([482]), tocca anco nella sua lettera. Dell’uno et dell’altro le rendo molte gratie; nè più oltre mi estendo, se bene a bocca gli haverei a dire qualche altra cosa. Intanto V. S. mi ami al solito, et io di cuore me le raccommando.

Di Venetia, alli 4 di Settembre 1609.

Di V. S. Ecc.maAff.mo per servirla Andrea Moresini.

Fuori: All’Eccell.mo Sig.Oss.mo

Il S.r Galileo Galilei.

Padova.

236*.

……a GIOVANNI CAROLUS in Strasburgo.

Venezia, 4 settembre 1609.

Bibl. dell’Univ. di Heidelberg. 2 Handschriftenzimmer, Schaukasten XXIV, n.° 4; a pag. 2 del n.° 37 d’una effemeride col titolo: «Relation aller fürnemmen unnd gedenckwrürdigen Historien, so sich hin unnd wider in Hoch unnd Nieder Teutschland, auch in Frankreich, Italien, Schott und Engelland, Hisspanien, Hungern, Polen, Siebenbürgen, Wallachey, Moldaw, Türckey, etc., inn diesem 1609 Jahr verlaufen unnd zutragen möchte; alles auff das trewlichst, wie ich([483]) solche bekommen unnd zu wegen bringen mag, in Truck verfertigen will».

….Mit unserm Hertzog wird es täglich wider besser, der soll, wie die sag willens sein, so bald er seiner Kranckeit völlig genesen, die regierung zu resigniren, und sich ins Kloster S. Georgen, dess grossen Benedictiner ordens, zu begeben.

Hiesige Herrschafft hat dem Signor Gallileo von Florentz, Professoren in der Mathematica zu Padua, ein stattliche berehrung gethan, auch seine Provision umb 100 Cronen jährlich gebessert, weil er durch sein embsings studiren ein Regel unnd Augenmasz erfunden, durch welche man einerseits auff 30 meilen entlegene ortt sehen kan, als were solches in der nehe; anderseits aber erscheinen die anvesende noch so viel grösser, als sie vor Augen sein: welche Kunst er dann zu gemeiner Statt nutzen praesentiert hat….

237**.

GIOVANNI BARTOLI [a BELISARIO VINTA in Firenze].

Venezia, 5 settembre 1609.

Arch. di Stato in Firenze. Filza Medicea 3001, n.° 65. – Autografa.

…. Il secreto o cannone dalla lunga vista del S.re Galilei vien hora venduto publicamente da un tal Franzese, che gli fabrica qui come secreto di Francia, non del Galilei; et forse deve non esser il medesimo, et questo verarnente vale pochi zecchini….

238*.

ANTONIO DE’ MEDICI a GALILEO in Padova.

Firenze, 12 settembre 1609.

Bibl. Naz. Fir. Mss. Gal., P. I, T. XIV, car. 23. – Autografa.

Molto Mag.co et Ecc.te  S.r

Come con infinito mio contento ho sentito la mirabil prova et esperienza che V. S. ha fatto dell’occhiale inventato da lei([484]), et che per ciò dal Ser.mo Senato di Venetia n’è stata, conforme al merito suo, rimunerata, così vengo a rallegrarmene per questa mia con lei; et insieme la prego, che quando, con buona gratia di cotesti Signori, li sia permesso di potermene fabricare uno et inviarmelo, da me sarà ricevuto per favore così segnalato, che non potrà esser maggiore: et con l’effetti dimostrarò a V. S. quanto da me sarà stimata questa sua amorevol dimostratione, della quale di nuovo la prego a trovar modo, se fia possibile, che ne venga compiacciuto; ch’oltre al renderlene il contracambio dovuto, mi obligarà eternamente a procurar l’occasione di poterla servire. Et promettendomi molto della solita sua amorevolezza, resto con offerirmele paratissimo in ogni conto, et di cuore me le raccomando.

Di Firenze, li XII 7mbre 1609.

Di V. S. molto M.ca et Ecc.te S.r Galileo Galilei.Aff.to per ser.la Don Ant.o Medici.

Fuori: Al molto Mag.co et Ecc.te Sig.r

Il Sig.r Galileo Galilei.

Padova.

239*.

GIO. BATTISTA STROZZI a GALILEO in Padova.

Firenze, 19 settembre 1609.

Bibl. Naz. Fir. Mss. Gal., P. I, T. VI, car. 108. – Autografa la firma.

Ill. et Ecc.mo Sig.r mio,

Sono stato in dubbio se io scrivevo a V. S. o no: movevami il desiderio che io havevo di rallegrarmi seco; ritenevami l’immaginarmi di vederla occupatissima. Finalmente ha prevalso il parermi mio debito il darle conto, come l’altra mattina, trovandomi intorno alla tavola di queste Altezze, il Gran Duca mi favorì di([485]) voler che io sentissi la lettera che ella gl’haveva scritto, e ‘l nostro Ciampoli ne fu il lettore, maravigliandosi ogn’un grandemente del mirabile effetto del suo desiderabilissimo occhiale. Io per me dissi, che se io non havessi prima che hora saputo che ‘l Donatore d’ogni bene l’ha di sopr’humano ingegno dotata, me ne maraviglierei molto più; e quel che io soggiunsi in sua lode, non comporta che io lo dica la modestia, che non si scompagna mai dall’altre virtù che in lei sommamente risplendono. Bacio a V. S. con tutto l’affetto la mano, insieme col Ciampoli, palidetto alquanto per lo studiar troppo. Prego il Signore Iddio che lungamente la conservi, perchè il suo valore possa al mondo far di questi giovamenti, e accrescer tanto più fama a lei.

Di Firenze, il dì 19 di 7mbre 1609.

Di V. S. Ill.Serv.re Aff.mo G.ta Strozzi.

Fuori: All’Ill. et Ecc.mo Sig.r mio Oss.mo

Il Sig.r Galileo Galilei.

Padova.

240*.

ENEA PICCOLOMINI ARAGONA a GALILEO in Padova.

Firenze, 19 settembre 1609.

Bibl. Naz. Fir. Mss. Gal., P. VI, T. VII, car. 101. – Autografa la sottoscrizione.

Molto Ill.re et Ecc.mo S.r Mio Oss.mo

La lettera di V. S. mi è stata di sommo contento; et havendo riferto a S. A. S.ma quanto la mi scrive sopra l’occhiale, e gl’honori ricevuti costà, ha mostrato sentirlo con tanto piacere, che niente più, et ha fatto conoscere a tutti l’affettione che porta a V. S. e la stima che fa di lei. E circa il cavallo, tengo per fermo la ne sarà compiaciuta, poi che S. A. mostra gran desiderio di far cosa che sia in commodo di V. S.

Gli si mandano i cristalli conforme all’avviso suo; e se la desidera far cosa grata a questa Altezza, procuri che l’occhiale sia fatto quanto prima, perchè è da lei molto desiderato.

Io poi, mi pare di possermi lamentare di lei, perchè, non comandandomi nulla, stimo che la non mi tenga per quello buono amico e servitore che le sono, e tanto desideroso de’ suoi comandamenti. Ma si assicuri pure, che se bene la fa così poco capitale di me e del S.r padre, quale tanto stima et honora V. S., con tutto ciò (come nell’altra mia le scrissi) son rissoluto questo inverno transferirmi fin da lei, per participare anch’io della sua dolce conversatione. Starò bene spettando in tanto, la mi dia occasione che io mi possa impiegare in servir V. S.: alla quale, pregando intera e presta sanità, bacio le mani, come fa il S.padre.

Di Firenze, li 19 di 7mbre 1609.

Di V. S. molto Ill.re et Ecc.maSer.Aff.mo Enea Piccolomini Arag.na

Fuori: Al Molto Ill.re et Ecc.mo Sig.r mio Oss.mo

Il Sig.r Galileo Galilei.

Con una scatoletta.

Padova.

241**.

GIOVANNI BARTOLI a BELISARIO VINTA in Firenze.

Venezia, 26 settembre 1609.

Arch. di Stato in Firenze. Filza Medicea 3001, n.° 67. – Autografa.

….Del secreto o cannone della vista lunga devo dire che veramente si vende in più luoghi, et ogni occhialaro pretende d’haverlo trovato, et ne fanno et vendono; et un Franzese in particolare, che gli fa secretamente, gli vende 3 et 4 zecchini et 2 ancora, et credo manco, secondo di che perfettione, essendovene di cristallo di montagna, che costano molto, 10 e 12 scudi i vetri soli, di cristallo di Murano, et di vetro ordinario: et questo pretende che il suo sia il vero secreto, et simile o migliore di quel del Galilei. Mi io quanto a me, che n’ho visti qualcheduno et in particolare un che n’ha venduto 3 zecchini al maestro della posta di Praga, confesso che non vi ho intera sodisfattione, perchè, essendo lungo più d’un braccio, bisogna stentar un pezzo a trovar con l’occhio la cosa che si vuol vedere, et trovata, bisogna tener l’istromento tanto fermo, che un poco che si muova fa perderla. Quello del Galilei dicono non patir tanta imperfettione (se ben anche quello un poco), ma che, havendolo egli dato per secreto et dovendone fare 12 per la S.ria, ha ordine di non insegnarlo ad altri; et io non ho potuto parlargli, perchè è a Padova. Sento però che in breve facilmente si troverà anco da altri, il secreto stando nella bontà della materia dell’occhiale et nell’aggiustarli nel cannone: et della seguente vedrò se ne trovo uno che sia a proposito, et lo manderò….

242**.

GIOVANNI BARTOLI a [BELISARIO VINTA in Firenze].

Venezia, 3 ottobre 1609.

Arch. di Stato in Firenze. Filza Medicea 3001, n.° 69. – Autografa.

…. aspetto quel che mi si commanderà circa al secreto o cannone della vista lunga; il quale havrei preso et mandato sin hora, s’io non havessi considerato che mi si commandava che io lo pigliassi de i più belli et buoni, et che belli et buoni si dice esser quelli inventati o fatti dal Galilei, dal quale non so se se ne possa havere, havendolo egli dato qua per scereto et dovendone far soli 12 per la S.ria. D’altri, et d’un Franzese in particolare, si veggono et vendono a 2 zecchini et manco et più, secondo la qualità del vetro o cristallo; et ne manderei uno, ma dubito se darò o no sodisfattione. Conforme però a quel che me si dirà con le seguenti, mi governerò….

243*.

LORENZO PIGNORIA a PAOLO GUALDO [in Roma].

Padova, 15 ottobre 1609.

Bibl. Marc. in Venezia. Cod. LXVI della Cl. X It., car. 104. – Autografa.

…. Qui siamo intorno a’ cannoni; et se ne sono veduti di eccellentissimi; ma ‘l secreto e ancora in pochi, e sta con riputatione. Va in volta certo lanternino maraviglioso, che non è di minor inventione dell’occhiale, poichè, con un lume dentro, di notte porta lo splendore tanto inanti, che ci si leggerà una lettera lontana 500 passi….

244**.

GIOVANNI BARTOLI a [BELISARIO VINTA in Firenze].

Venezia, 17 ottobre 1609

Arch. di Stato in Firenze. Filza Medicea 3001, n.° 71. – Autografa.

…. Quanto al cannone o cannoni della veduta lunga, io essequirò il commandamento di comprargli, et di già sono stato col Franzese, il quale me n’ha mostrati due o tre di forme diverse; ma dicendo esser quelli destinati, uno all’Ambasciatore di Francia, et l’altro ad un altro personaggio, io gli ho ordinato che me ne faccia due ancora a me, nè so se me gli farà: pure lo pregarò avanti che parta, dicendomi di haver a partir presto, et gli mandarò con la cassa de’ vetri che mi viene ordinata dal maestro di casa, se però saran fatti i vetri et i cannoni; in che io invigilerò et userò ogni diligenza, et procurerò che segua della settimana seguente….

245**.

GIOVANNI BARTOLI a [BELISARIO VINTA in Firenze].

Venezia, 24 ottobre 1609.

Arch. di Stato in Firenze. Filza Medicea 3001, n.° 72. – Autografa.

…. V. S. Ill.ma mi commandò che io comprassi uno o due di quei cannoni da veder lontano, et n’ho preso uno da quel Franzese nel partir che faceva di qua, et credo basterà questo, perchè io, quanto a me, non trovo tanti miracoli quanti sentivo che facevano questi instromenti; seben veramente quelli del Galilei intendo far gran giovamento et vantaggio, dicono di 10 per uno, cioè che multiplichi la vista 10 volte più di quel che si vede senza esso. Se non me lo commandava V. S. I. tanto espressamente, io non lo compravo; se però le piacerà far pagare il costo di esso, che in tutto e per tutto, tra il cannone, stagno et cassetta, sono 12 lire, al S.re Bencivenni Albertinelli o a Mess. Baccio Cicognini mio parente, me ne farà favore, pregandola ad appagarsi più della mia pronta  volontà di servire, che dell’effetto istesso, che mi par vanità. Pensavo mandarlo con i vetri che mi sono stati ordinati, ma non mi succede il poterli havere prima della settimana prossima….

246.

GIOVANFRANCESCO SAGREDO a GALILEO in Padova.

Aleppo, 28 ottobre 1609.

Bibl. Naz. Fir. Mss. Gal., P. VI, T. VII, car. 104. – Autografa la lin. 25 [Edizione Nazionale] e la sottoscrizione.

Ill.re Sig.r Ecc mo

Tralascio il rispondere alle cirimonie scrittemi da V. S. Ecc.ma con le sue di 4 Aprile, ricevute da me per via di Costantinopoli a 16 7mbre, sì per la stretezza del tempo, come per avvertirla che de cetero non si diffondi in queste superfluità.

Il processo che ella non hebbe per communicare col suo scolare, rifferito a bocca, gli haverà forse dato gusto bastante, et avertimento sofficiente per conoscere et guardarsi da quelli nostri nemici. La loro institutione di fare tutti i giorni natali col vespero et la compieta, ha qualche conformità con la superstitione di questi del paese, che cinque volte al giorno repplicano i lor cantici.

Se il nuovo Gran Duca leverà i bertoni et attenderà alle cose sue senza sturbare quelle de gl’altri, potrà essere con ragione riputato generoso, poi che, sì come l’arte di corsaro non è da prencipe grande, così l’attendere ad imprese non riuscibili è più tosto effetto di pazzia che di generosità.

Ho fatta l’osservatione della calamita, la quale certissimamente qui declina sette gradi e mezo verso maestro, in tanto che da Venetia a qui la differenza sarebbe di quindici: ne vada mo’ V. S. investigando la cagione. Alli Padri Gesuiti di Goa ho mandata una lanzetta buona, pregandoli farne colà una essatta osservatione; et spero con loro havere l’istessa corrispondenza che haveva la Colomba col Berlinzone([486]), anzi ricevere più spesso lettere da loro che da V. S. Ecc.ma, dalla quale in un anno ho havuto una sola, et una dal re di Persia, et voglio star a vedere da chi avanti riceverò la seconda. Che sarà fine di queste, raccomandandomi suo al solito senza nissuna diminutione.

In Aleppo, a 28 Ott.e 1609.

Di V. S. Ecc.

Fuori: All’Ill.re Sig.r Ecc.mo

Il Sig.r Galileo Galilei, Mattematico di

Padoa([487]).

247.

GALILEO a BELISARIO VINTA in Firenze.

Padova, 30 ottobre 1609.

Bibl. Naz. Fir. Mss. Gal., P. I, T. IV, car. 39 – Autografa

.

Ill.mo Sig.re et Pad.ne Col.mo

Subito giunto a Padova, usai ogni diligenza per trovare l’Efemeride desiderate da V. S. Ill.ma, et non si ritrovando in queste librerie, commessi la medesima inquisizione in Venezia, ma parimente invano; onde ne ho scritto in Germania, di dove le haverò indubitatamente. Intanto invio a V. S. Ill.ma le mie, acciò non resti più lungamente senza; nè io ne ricevo incomodo alcuno, essendo per un pezzo occupato in altri studii.

Io sono in necessità di dare un poco di briga a V. S. Ill.ma, et questo per aiutare un povero huomo, mio servitore di molti anni, il quale circa 3 anni sono prestò da 300 scudi, che soli possedeva al mondo, ad alcuni gentil’huomini Pollacchi; li quali, sendo molti mesi fa ritornati alla patria, non pure non hanno rimandato il debito, ma nè anco hanno mai risposto a pur una delle molte lettere che se gli sono scritte in questo proposito. Hora io supplico V. S. Ill.ma che voglia restar servita di pregare alcuno di quei segretarii di Corte o altro amico suo, che sia contento di abboccarsi con questi gentil’huomini et procurare d’intender l’animo loro, et per qual causa non rispondono non solamente all’obligazione, ma nè anco alle lettere, acciò si possa poi pigliar qualche resoluzione et modo di esser satisfatti; ben che io credo che detti signori, quando vegghino che, bisognando, si haveranno de i più potenti mezi, non aspetteranno di far, violentati, quello che la coscienza gli doveria far fare spontaneamente. Il nome di questo creditore, mio servitore, è Alessandro Piersanti, et i debitori sono Giovanni Liczko di Rijglice et un suo fratello, benissimo conosciuti da i Montelupi([488]). Io supplico di nuovo V. S. Ill.ma a metterci un poco della sua autorità et del suo favore, assicurandola che farà grandissima opera di carità sollevando questo pover’uomo, che non ha altro al mondo, et essendo indisposto di infirmità incurabile, è da me mantenuto, acciò non muoia di necessità: et io gliene terrò obligo perpetuo. Che sarà per fine di questa, con pregarla a ricordarmi all’occasione humilissimo servo a coteste Altezze Ser.e: et a V. S. Ill.ma con ogni reverenza bacio le mani, et dal Signore Dio gli prego somma felicità.

Di Pad.a, li 30 di 8bre 1609.

Di V. S. Ill.maSer.re Oblig.mo Galileo Galilei.

Fuori: All’Ill.mo Sig.re et Pad.ne Col.mo

Il S. C. Belisario Vinta.

Con un libro.

Firenze.

248**.

GIOVANNI BARTOLI a [BELISARIO VINTA in Firenze].

Venezia, 31 ottobre 1609.

Arch. di Stato in Firenze. FilzaMedicea 3001, n.° 73. – Autografa.

…. Inviai con le passate uno delli cannoni, tenuti qua per tanto buoni, quanto che sono fabrica del Franzese, nè so come riuscirà, perchè i buoni sento che vengono di Fiandra, o sono fatti dal Galilei; nè io l’havrei preso, se la S. V. Ill.ma non me lo havesse espressamente commandato con più lettere. Et di questi altri che fanno diversi maestri, se ne trovano, et forse migliori di cotesto; ma io, quanto a me, nè da cotesto nè da questi cavo troppa sodisfattione….

249*.

GALILEO ai RIFORMATORI DELLO STUDIO DI PADOVA in Venezia.

Padova, 4 novembre 1609.

Arch. di Stato in Venezia. Filza intitolata sul dorso: Lettere di fuori, 1601-1622, Riformatori dello Studio di Padova, n.° 168. – Autografa.

Illust.mi et Ecc.mi Sig.ri Rif.ri

Parve a i primi regolatori dello Studio di Padova, che la lettura delle Matematiche, come quella che è necessaria tanto a i medici quanto a i filosofi, fosse letta in hora tale, che nè a quelli nè a questi fusse inoportuna, sì che per sentir quelle dovessero gli scolari lasciar questa o per l’opposito; et però determinorono, questa esser letta finite tutte le altre lezioni del Studio, et in tempo che nessun altro leggesse. Questo rito et costituzione si è osservato sempre, et in particolare per li anni 17 che io ho letto in questo Studio, eccetto però che per alcuni pochi mesi, due o vero tre anni fa, che l’Ecc.mo S.r Bimbiolo([489]), allegandomi alcune sue indisposizioni et asserendo voler in breve cessare dalla lettura, lesse, non repugnando io, alla mia medesima hora. Havendo poi intermesso per alcun tempo la lettura, et essendo di poi([490]) ritornato a leggere, cominciò leggendo al’hora de i suoi concorrenti, sino al fine della quadragesima passata; nel qual tempo di nuovo gli venne humore di leggere all’hora mia, con notabile interrompimento delle mie lezioni. Per tanto io supplico le Signorie Vostre Illust.me et Ecc.me, che siano servite di provedere che il detto Sig.r Bimbiolo non proceda più oltre nell’impedirmi, contraffacendo insieme alle buone costituzioni dello Studio, che sono che i concorrenti legghino tutti all’istessa hora, et più alterando il commandamento espresso dell’Ecc.mo Senato, il quale nella sua condotta gli comanda che ei deva leggere all’hora de i suoi concorrenti, precetto specifico et particolare fatto ad esso, acciò non tornasse ad impedire l’hore deputate a gl’altri, sicome altra volta ha fatto a me([491]) et hora di nuovo torna a fare. Io non credo che le SS. V.re Ill.me et Ecc.me siano per metter dubbio sopra le mie parole: tuttavia dal vedere i ruoli delli 17 anni passati potranno accertarsi se mai niuno ha letto alla mia hora; et dalla parte presa in Senato della ultima condotta di esso Sig.r Bimbiolo potranno vedere il comandamento espresso che ei deva leggere all’hora de i suoi concorrenti, la quale è ali botti della campana il dopo desinare.

Starò attendendo che con la loro solita benignità et prudenza provegghino a questo disordine, sì come io con ogni instanza le supplico. Et intanto restandogli humilissimo et devotissimo servo, dal Sig.r Dio gli pregherò il colmo di felicità.

Di Padova, li 4 di Novembre 1609.

Delle Signorie Vostre Illust.me et Ecc.me

 Humiliss.o Servo Galileo Galilei.

250.

BELISARIO VINTA a GALILEO in Padova.

Firenze, 7 novembre 1609.

Bibl. Naz. Fir. Mss. Gal., P. I, T. VI, car. 110. – Autografa la sottoscrizione.

Ill. et molto Ecc.te S.r mio Oss.mo

Troppo esquisitamente ha voluto favorirmi V. S. in proposito dell’Efemeride, poichè, havendo, subito giunta in Padova, usato diligenza per trovarne, si è poi privata delle sue proprie, perchè io non habbia ad aspettare che venghino di Germania, già che costì non se ne trovano([492]); et mentre la ringratio con quell’affetto et con quella confession d’obligo che devo, la prego ad avvisarmelo liberamente quando ella ne patisse, perchè, importando meno a me che a lei l’aspettare, glie le rimanderei volentieri et spacciatamente.

Havendo poi visto quanto ella mi ha scritto per conto di quel suo vecchio servitore, che deve essere un huomo da bene da dovero, ho resoluto, per la prima diligenza che mi è parsa a proposito, di scriverne direttamente a quei proprii gentil’huomini Pollacchi nella maniera ch’ella vedrà dall’alligata copia([493]), et havendo inviato la lettera al Sig.r Valerio Montelupi, l’ho pregato non solo a ricapitarla subito fidatamente, ma a procurarmene presta risposta; alla ricevuta della quale piglieremo poi altro espediente, se bisognerà: et io haverò sempre gusto particolarissimo di servirla in questo et in tutti gli altri conti. Et le bacio di cuore le mani.

Di Firenze, li 7 di Novembre 1609.

Di V. S. Ill. et molto Ecc.te S.r Galileo Galilei.Serv.re Aff.mo Belisario Vinta.

Fuori: All’Ill. et molto Ecc.te Sig.mio Oss.mo

Il [S.r Gal]ileo Galilei, Mathematico.

Padova.



Categorie:Galileo Galilei

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