Roberto Renzetti
CAPITOLO III
NEWTON
Newton opera e scrive in gran parte nell’ultimo quarto del Seicento. E’ un periodo particolarmente intenso e fecondo per tutti i problemi di ottica e quindi legati alla luce. Come visto e vedremo vi saranno moltissimi lavori che si susseguiranno ed in parte accavalleranno. Evidentemente i tempi erano maturi per arrivare ad una più organica comprensione dei fenomeni luminosi. Tra l’altro, con Newton, assistiamo al passaggio della ricerca scientifica in Inghilterra. Ora è a tutti noto che Newton sia stato uno dei più grandi fisici della storia, tanto grande che oscurò almeno i successivi 100 anni (si aveva paura di fare ricerca: sembrava che tutto lo avesse fatto Newton e comunque sembrava impossibile aggiungere delle novità o peggio criticare i suoi lavori). Per l’economia del mio lavoro mi occuperò solo di questioni ottiche rimandando per tutto il resto ai molteplici studi su Newton, in parte riportati nella bibliografia.
Newton si occupò di ottica lungo tutto l’arco della sua vita. I suoi primi scritti in proposito sono nel primo volume delle trascrizioni delle lezioni che egli tenne a Cambridge dal 1669 al 1672(1) . Le lezioni in oggetto hanno carattere eminentemente tecnico. In esse si studiano le lenti ed i loro difetti, soprattutto aberrazioni cromatica (sulla sferica non seppe o non volle risolvere il problema in quanto non era di natura geometrica ma strettamente tecnica, legato alla molatura dei cristalli). Studiò obiettivi e modi per perfezionare gli strumenti ottici e fece il passaggio alla tecnica catottrica per la costruzione di telescopi (telescopio a riflessione e non più a visione diretta) perché con esso era possibile appunto eliminare l’aberrazione cromatica. Risulta chiaro che per

In questo telescopio, che migliora di gran lunga le prestazioni di un telescopio ordinario, la radiazione proveniente, ad esempio, da un pianeta entra da S e, dopo essersi riflessa sullo specchio concavo M, si focalizza sullo specchio R disposto a 45°, per poi essere definitivamente inviata all’occhio dell’osservatore O.

Disegno del telescopio catottrico di Newton fatto da Oldenburg, segretario della Royal Society con cui Newton era in corrispondenza (da Mamiani).
capire ed eliminare l’aberrazione cromatica occorreva sapere bene il ruolo svolto dai colori ed il loro comportamento nei punti di curvatura della lente nel telescopio a visione diretta (soprattutto ai suoi bordi), dove tende ad assomigliare ad un prisma. In particolare occorre aver capito il rapporto esistente tra la diversa rifrangibilità dei raggi ed i colori. E Newton aveva studiato l’aberrazione cromatica in una memoria del 1671-72 (New Theory about Light and Colors) in cui descrive gli esperimenti fatti con luce, prisma e dispersione dei colori (già nota da molto tempo) attraverso di esso. Da tali studi aveva capito che tale aberrazione non era eliminabile
«non solo perché di fatto mancavano quelle lenti dotate di quelle figure quali erano state prescritte dagli ottici (il che finora tutti hanno creduto), ma anche perché la luce stessa è una certa mistura eterogenea di raggi diversamente rifrangibili, in modo che, anche se si avesse una lente con una figura giusta, sì da raccogliere qualsiasi genere di raggi in un unico e identico punto, non potrebbe mai costringere in quell’identico punto quei raggi che, pur cadendo nello stesso mezzo con il medesimo angolo di incidenza, tuttavia sono disposti a subire una diversa rifrangibilità».
Nella memoria citata vi è il resoconto di importanti esperienze che Newton ha fatto con i prismi ed uno dei primi experimentum crucis che si propongono in problemi di ottica. In apertura della memoria, Newton, rivolgendosi ai membri della Royal Society, dice:
«Per mantenere la mia promessa, vi metterò al corrente senza ulteriori indugi, che all’inizio dell’anno 1666 (nel periodo in cui mi sono applicato alla molatura di vetri ottici di forme diverse da quella sferica) mi sono procurato un prisma triangolare di vetro, con cui tentare il celebrato Fenomeno dei colori. A questo fine ho oscurato la stanza, e fatto un piccolo buco nella persiana della mia finestra per lasciar entrare solo una conveniente quantità di luce solare, ho posto il prisma all’entrata della luce, in modo che essa potesse essere rifratta sul muro opposto. Era dapprima un divertimento molto piacevole vedere i colori vividi e intensi prodotti in tale maniera; ma poco dopo, sforzandomi di considerarli con più circospezione, restai sorpreso nello scoprirli di forma oblunga; forma che, in accordo con le leggi della rifrazione ricevute, mi aspettavo fosse circolare».
E la cosa viene illustrata così da Newton(2):

L’illustrazione proviene dall’Optiks di Newton.
Il fatto che l’immagine del forellino da cui entrava la luce fosse obliqua e costituita da differenti colori, contrariamente a quanto ammetteva Cartesio (con la sua idiosincrasia per l’esperienza) che affermava dovesse essere circolare, spinse Newton ad approfondire lo studio del fenomeno. E trovò che il prisma deflette la luce, nelle più diverse disposizioni sperimentali, e l’immagine che si ottiene della luce bianca del Sole è una scomposizione della medesima luce, a seconda dei differenti colori della stessa, con il colore blu rifratto di più del colore rosso. Se lo schermo dove si raccoglieva l’immagine del Sole era vicino al prisma, si vedeva soprattutto una luce bianca deviata con i bordi vagamente colorati. Ma se si allontanava lo schermo sempre più si evidenziava lo spettro colorato della luce bianca. A questo punto si pone con forza il problema di capire come sono legati i colori con la luce bianca. E’ il prisma che colora la luce (come sosteneva Cartesio) oppure esso serve solo a separare ciò che nella luce già c’è ? E’ qui che nasce l’annunciato experimentum crucis(3) che illustrerò riferendomi alla figura che Newton ci fornisce (ma solo successivamente, nell’Optiks, e non nella New Theory). La luce solare S entra nel foro F dentro un ambiente buio dove incontra il prisma ABC che la scompone sullo

L’illustrazione proviene dall’Optiks di Newton.
tavoletta DE (funzionante da diaframma), nella quale è praticato il foro G. La strumentazione era sistemata in modo che, muovendo opportunamente il prisma, fosse possibile indirizzare su G il gruppo ristretto di colori che si voleva (prodotto dalla dispersione della luce bianca). Quindi attraverso G passava un pezzetto di spettro colorato che era inviato su una seconda tavoletta de sulla quale era fatto il forellino g. In questo modo g diventava una nuova sorgente di luce, sorgente quasi monocromatica che inviava la luce su un secondo prisma che li rifrangeva definitivamente sulla parete (in M se era rossa ed in N se era blu) questa volta in modo non più allungato ma circolare. Qui non vi era più dispersione della luce ma solo rifrazione nel prisma. Quindi si dimostrava che non era il prisma a colorare la luce (nonostante avesse sperimentato in più modi questa possibilità), che il prisma è un semplice analizzatore dei colori, un filtro e che la deviazione dipendeva dal colore della componente della luce. In definitiva Newton può concludere che la luce consiste di raggi differentemente rifratti e la rifrangibilità è la misura del colore. A questo punto egli realizza varie altre esperienze combinando colori dalla sovrapposizione di altri e definendo il bianco un non colore, un qualcosa cioè che è somma di tutti gli altri colori (i colori primari, quelli che ci fornisce il prisma, sovrapposti in qualunque combinazione ci danno i colori secondari e l’occhio ci inganna perché non è in grado di capire se un colore è primario o secondario: se si vuole oggettivare l’ottica occorre mettere da parte gli occhi ed affidarsi a strumenti(4)). Questa cosa viene dimostrata da Newton per sovrapposizione dei vari colori, ad esempio, mediante una lente come nella figura seguente (che corrisponde, semplificata, alla figura 6 riportata nella tavola che segue). Un raggio di luce bianca proviene da S, passa nel forellino F e quindi nel prisma ABC. Il prisma scompone la luce e lo spettro va a finire nella lente MN. La lente fa convergere i colori dello spettro verso q dove si ricompongono in luce bianca. L’esperienza di figura 6 permetteva a Newton non solo di ricomporre la luce bianca ma anche di comporre i colori a suo piacimento mediante lo schermo sagomato XY che gli permetteva di intercettare colori non contigui. Inoltre, muovendo in alto ed in basso tale schermo in q si aveva una successione di colori composti ma se tale movimento era rapido, in q si aveva ancora luce bianca (persistenza delle immagini sopra la retina).

La stessa cosa si può ottenere mediante due prismi sistemati in modo opportuno, come mostrato nella figura 7 della tavola seguente (la luce entra dalla destra, va sul prisma ABC che la scompone; da qui lo spettro va sui due prismi HIK ed LMN che ricompongono lo spettro in modo da riavere, in G, luce bianca.

Alcuni degli esperimenti di Newton per ricomporre la luce precedentemente separata nei suoi diversi colori. L’illustrazione proviene dall’Optiks.
Oltre a ciò, Newton inizia a capire in cosa consiste il colore degli oggetti illuminandoli con luce monocromatica: in queste condizioni gli oggetti perdono il loro colore e diventano oscuri. Solo quando sono illuminati dal particolare colore che non assorbono, allora manifestano il loro colore. Cerchiamo di capire: un oggetto è giallo perché assorbe tutti i colori meno il giallo che viene riflesso verso i nostri occhi. Se in una stanza buia illuminiamo questo oggetto con il blu, lo assorbe e noi vediamo l’oggetto scuro perché non abbiamo luce che dall’oggetto ci viene riflessa verso gli occhi. Solo quando inviamo del giallo sull’oggetto che normalmente vediamo giallo, poiché tale oggetto non assorbe questo colore ma lo riflette, noi lo vediamo e lo vediamo giallo.
L’intera teoria dei colori di Newton viene così riassunta dallo stesso Newton, nella New Theory about Light and Colors, in 13 punti:
1.I raggi di luce differiscono tra di loro sia per gradi di rifrangibilità sia per la loro disposizione a mostrare questo o quel colore. I colori non sono né qualità dei corpi né modificazioni della luce, prodotte dalla rifrazione o riflessione, ma proprietà originarie e innate, diverse per ogni raggio diverso.
2. Allo stesso grado di rifrangibilità appartiene sempre lo stesso colore, e viceversa. Ad esempio, i raggi meno rifrangibili appaiono rossi, e i raggi che appaiono rossi sono tutti meno rifrangibili. La stessa cosa si dica per i più rifrangibili, che appaiono violetti, e per tutti gli altri gradi intermedi.
3. La specie del colore e il grado di rifrangibilità propri di un particolare genere di raggi non mutano né per rifrazione, né per riflessione.
4. Tuttavia mutazioni apparenti di colore si possono produrre quando esista una mescolanza qualsiasi di raggi di diverso genere. Infatti in queste mescolanze non appaiono i colori componenti, ma un colore intermedio. Perciò se per rifrazione o qualche altra causa i raggi difformi, latenti in tale mescolanza, fossero separati, emergerebbero colori differenti dal colore del composto. Questi colori non sono generati, ma resi manifesti dalla separazione, poiché se fossero di nuovo mescolati, comporrebbero quel colore che esibivano prima della separazione. Perciò i colori così composti non sono reali. Allo stesso modo, le polveri azzurre e gialle, finemente mescolate, appaiono a occhio nudo verdi, e tuttavia i colori dei corpuscoli componenti non sono realmente trasmutati, ma solo combinati. Infatti, osservati con un buon microscopio, appaiono ancora azzurri e gialli.
5. Esistono due generi di colori: gli uni, originati e semplici, gli altri composti di questi. I colori originar! o primari sono: il rosso, il giallo, il verde, l’azzurro e il violetto-porpora, insieme con l’arancione, l’indaco e un’indefinita varietà di gradazioni intermedie.
6. Per composizione si possono produrre anche colori con la stessa apparenza di quelli primari: infatti una mescolanza del giallo e dell’azzurro da il verde; del rosso e del giallo, l’arancione; dell’arancione e del giallo-verde, il giallo.
7. La composizione più sorprendente e meravigliosa è il bianco. Non c’è alcun genere di raggi che da solo lo possa mostrare. Esso è sempre composto, e per la sua composizione sono richiesti tutti i colori primari, mescolati in una proporzione data.
8. Il bianco è il colore consueto della luce, che è un confuso aggregato di raggi di ogni genere di colore. Se gli ingredienti si trovano nella proporzione corretta, è generato il bianco; ma se uno di essi predomina, la luce tende verso quel colore, come accade nella fiamma azzurra dello zolfo, in quella gialla della candela e nei vari colori delle stelle fisse.
9. Considerate queste cose, risulta evidente il modo in cui i colori sono prodotti dal prisma. Poiché i raggi della luce incidente differiscono nel colore in proporzione al loro grado di rifrangibilità, essi, sottoposti a rifrazioni differenti, sono separati e dispersi secondo una successione ordinata dallo scarlatto, il meno rifratto, al violetto, il più rifratto.
10. Risulta anche evidente perché appaiano i colori dell’arcobaleno nelle gocce cadenti di pioggia.
11. Non sono più enigmi gli strani fenomeni di certi corpi trasparenti che appaiono in una posizione di un colore diverso che in un’altra. Infatti queste sostanze sono atte a riflettere un genere di luce e a trasmetterne un altro.
12. Risulta anche manifesta la ragione di un altro esperimento sorprendente, riferito da Hooke. Due vaschette trasparenti, riempite l’una di un liquido azzurro e l’altra di uno rosso, poste una di fronte all’altra, diventano opache. Infatti se la prima trasmette solo il rosso, e l’altra solo l’azzurro, nessun raggio può attraversare entrambe.
13. […] I colori di tutti i corpi naturali non hanno altra origine che la loro differente capacità di riflettere un genere di raggi in maggiore quantità di un altro.
Dopo questo lavoro che, come ho detto, si sovrapponeva alle Lectiones Opticae, Newton scrisse (1676) un’altra breve memoria sulla luce, divisa in due parti, An Hypothesis Explaining the Properties of Light Discoursed of in my Severall Papers (Un’ipotesi che spiega le proprietà della luce discusse in altri miei scritti). Questo lavoro nasceva per fermare un poco le violente critiche alla teoria emissionista che gli erano piovute da ogni ambiente scientifico (particolarmente da Hooke che riconosceva l’accuratezza ed eleganza degli esperimenti di Newton ma non condivideva il fatto che le conclusioni sulla luce dovessero essere tratte da tali esperimenti poiché la luce, per Hooke, restava un fenomeno ondulatorio). Egli tenta qui una via di compromesso tra emissione corpuscolare e vibrazione di un dato mezzo. La seconda parte della memoria, in cui discute argomenti che saranno inseriti nell’Optiks, non verrà pubblicata. Nella prima parte tratta invece di quel tormento che aveva introdotto Cartesio, l’etere. L’etere, a cui Newton ricorre malvolentieri, doveva avere essere della medesima costituzione dell’aria ma più rarefatto, sottile, elastico e con caratteristiche di non uniformità. Egli immagina dei corpuscoli in moto in un mare d’etere. Questi corpuscoli, come i sassi nell’acqua, devono provocare delle vibrazioni nell’etere quando si ha a che fare con i fenomeni di riflessione o rifrazione. Non vi è altro modo, secondo Newton, per spiegare quel fenomeno scoperto da Hooke e noto con il nome di anelli di Newton (facendo riflettere

La lente AQ è poggiata sul vetro AR. Premendo la lente contro il vetro e guardando perpendicolarmente dall’alto si osservano degli anelli colorati alternati ad anelli scuri.
della luce bianca su di una lastra di vetro posta a contatto con una lente convessa di grande raggio di curvatura si originano degli anelli colorati, dovuti alla formazione di – come sappiamo oggi – frange di interferenza sulla lamina d’aria compresa fra lente e lastra di vetro). Sugli anelli Newton ritornerà nell’Optiks con la volontà di spiegare il fenomeno solo mediante riflessioni e rifrazioni. Nell’Optiks presenterà una figura come la seguente dalla quale sembra

chiara la spiegazione che dà del fenomeno: tutti i raggi di luce AB attraversano la lastra di vetro NN’, alcuni di essi (e ciò dipende dalla distanza esistente tra vetro e lente MM’) riescono a passare indisturbati, con il normale processo di rifrazione, attraverso la lente, altri vengono invece riflessi dalla lente stessa e fuoriescono di nuovo dalla lastra di vetro. In definitiva, guardando dall’alto, si osserveranno sulla lastra di vetro gli anelli chiari (con vari colori) e scuri alternati.
Ma da dove era venuta a Newton l’idea di luce costituita da corpuscoli ? Proprio dal fatto che essa è scomponibile, cioè divisibile con un processo assimilabile alla materia che si divide e ci porta fino ai suoi ultimi costituenti, gli atomi (ed anche all’evoluzione del calcolo sublime, che iniziava proprio con Newton e Leibniz, basato sugli infinitesimi). Cosicché la luce è (almeno fino a questo momento) corporea e composta da particelle. Era un atteggiamento molto diffuso questo. Sullo sfondo vi era sempre l’aristotelismo con le sue qualità occulte e sembrava quasi che mettersi sulla strada dei componenti materiali salvaguardasse dal cadere in possibili confusioni. Inoltre le particelle permettevano di passare ad uno studio riduzionista dei fenomeni: si studiavano corpuscoli, i loro movimenti, si applicavano ad essi leggi meccaniche (la differenza di colore viene assegnata alla differenza di massa o dimensione tra i corpuscoli) e, da tutto questo, si risaliva alle proprietà di entità come la luce ma anche degli stessi corpi di cui sono intesi come costituenti. Si cercava, soprattutto da parte di Newton, di costringere la luce al calcolo e sembrava molto poca cosa l’applicazione della sola geometria ai raggi rettilinei. Newton doveva sentire molto questo problema se esplicitamente nelle Lectiones Opticae dice:
«Affinché non sembri che abbia oltrepassato i limiti del dovuto mentre mi accingo a trattare la natura dei colori, i quali si possono ritenere non attinenti per nulla alla matematica, non sarà inutile se ricorderò di nuovo la ragione di questo intento. Senza dubbio l’affinità tra le proprietà delle rifrazioni e quelle dei colori è così grande, che non si possono spiegare isolatamente. Chi voglia conoscere nel debito modo le ‘une, è necessario che conosca le altre. E se non trattassi d’ora in poi delle rifrazioni, e la ricerca su di esse non fosse motivo per intraprendere insieme una spiegazione dei colori, tuttavia la generazione dei colori contiene tanta geometria, e la loro conoscenza è confermata con tanta evidenza, che proprio grazie ad essi potrei accingermi ad ampliare un poco i confini della matematica. Infatti allo stesso modo che l’Astronomia, la Geografia, la Navigazione, l’Ottica e la Meccanica sono ritenute scienze matematiche quantunque in esse si tratti di cose fisiche – ciclo, terra, navi, luce e moto locale – così anche se i colori appartengono alla fisica, tuttavia la loro scienza deve essere ritenuta matematica in quanto ricevono una spiegazione matematica. Anzi, poiché la scienza accurata di questi sembra essere tra le più difficili che un filosofo possa desiderare spero, quasi ad esempio, di mostrare quanto la matematica valga in filosofia naturale; e quindi di esortare i geometri ad accingersi ad un più stretto esame della natura, e gli amanti della scienza naturale ad appropriarsi prima della geometria: affinché i primi non sprechino totalmente il loro tempo in speculazioni in alcun modo utili alla vita umana, e i secondi, a lungo impegnati con un metodo inadeguato, non perdano ogni loro speranza per sempre: ma affinché filosofando i geometri ed esercitando la geometria i filosofi, otteniamo, al posto di congetture e cose probabili, che si smerciano ovunque, una scienza della natura finalmente confermata con la più alta evidenza».
E questo argomentare, ripreso anche alla fine dell’ultima memoria citata, è comprensibile se si pensa che dall’epoca di Galileo era stato fatto ben poco per ricondurre i diversi fenomeni fisici al calcolo e la luce, particolarmente, sembrava sfuggirvi.
Newton comunque non sembra considerasse i corpuscoli come vere entità materiali ma solo delle ipotesi su cui esercitare la matematica. Egli è considerato corpuscolarista in quanto passò dalle entità geometriche raggi ad entità fisiche che si muovono lungo traiettorie ben definite, che possono essere chiamate corpuscoli (egli prima spezza il raggio di luce in tanti raggi paralleli e poi spezza ogni raggio così ottenuto in tanti segmentini). Già nel 1672 sosteneva:
«Ritengo che la luce sia una qualche entità o potere di un’entità (sia essa sostanza, o una qualche forza, azione, o qualità di essa) che procede direttamente da un corpo luminoso e che è capace di eccitare la vista: e ritengo che i raggi del sole ne siano la parte più piccola, o almeno le indefinitamente piccole parti di essa, che sono reciprocamente indipendenti, come sono tutti i raggi che i corpi luminosi emettono lungo linee rette, successivamente o contemporaneamente».
e sembra qui che le linee rette dei raggi siano in realtà le traiettorie lungo cui camminano i corpuscoli (nell’Optiks modificherà questa impostazione) anche perché le rette non camminano e Röemer ha mostrato che la luce invece lo fa. E’ l’impatto di questi corpuscoli su delle superfici che provoca delle onde sia negli oggetti materiali che nell’etere (in analogia con il sasso nello stagno)
Newton torna a parlare di fenomeni luminosi in alcune pagine dei Principi matematici di filosofia naturale (1687). Nello Scolio che segue la sezione XIV del Libro Primo, in cui ha trattato de Il moto dei corpi piccolissimi che sono mossi con forze centripete che tendono verso le diverse parti di un qualche corpo grande, ha trattato cioè di corpuscoli in moto che subiscono fenomeni di riflessione e rifrazione con i suoi metodi geometrici, egli riporta i discorsi meccanici che ha fatto, al problema della luce. Dice:
«Queste attrazioni non sono molto dissimili dalle riflessioni e rifrazioni della luce, effettuate secondo una data ragione delle secanti, come trovò Snell, e per conseguenza secondo una data ragione dei seni, come venne esposto da Cartesio. Infatti, che la luce sia propagata in tempi successivi e che per venire dal sole alla terra impieghi quasi sette od otto minuti primi, risulta ora dai fenomeni dei satelliti di Giove, ed è confermato dalle osservazioni di diversi astronomi Ma i raggi che sono nell’aria (come non da molto scoprì Grimaldi, fatta passare la luce attraverso un foro entro una camera scura, il che io stesso ho sperimentato) nel proprio passaggio accanto agli angoli di corpi od opachi o trasparenti (come sono gli orli rettangolari e circolari delle monete d’oro, d’argento e di ottone, e il filo dei coltelli, delle pietre o di vetri infranti) sono incurvati intorno ai corpi, come se ne fossero attratti; e quei raggi, che durante quel passaggio si accostano di più ai corpi vengono maggiormente incurvati, quasi fossero attratti di più, come io stesso ho accuratamente osservato. E quelli che passano a distanze maggiori sono meno incurvati e a distanze ancora maggiori sono alquanto incurvati verso parti opposte, e formano tre fasce di colori».
Seguono qui due brevissime dimostrazioni e l’argomento luce ritorna solo nello Scolio della Sezione VIII del Libro II. Si parla in questa parte dei Principi di Propagazione del moto attraverso i fluidi e Newton offre subito la figura seguente:

è un disegno relativo allo studio che Newton sta facendo di propagazione delle onde in relazione al loro periodo, alla loro lunghezza d’onda, alla loro velocità, all’elasticità e densità del mezzo in cui si propagano (tra l’altro, quando Newton scrive i Principi, già conosceva la trattazione ondulatoria della luce fatta da Huygens). Il fine della figura è mostrare l’impossibilità di ombre in una propagazione di tipo ondulatorio (ciò vuol dire che l’onda proveniente da A, dopo essere passata attraverso l’apertura BC fatta sull’ostacolo NK, va ad illuminare anche le zone che sono dietro l’ostacolo!). Ebbene dopo vari teoremi e conti in proposito, relativi a fenomeni macroscopici e meccanici, come nell’altro caso, nello Scolio finale Newton dice:
«Queste ultimissime proposizioni riguardano il moto della luce e dei suoni. Infatti, poiché la luce è propagata secondo linee rette, non può consistere di sola azione»
per il fatto che
«una pressione non si propaga in un fluido secondo linee rette, se non dove le particelle del fluido sono allineate»
e per il fatto che
«ogni movimento propagato in un fluido, diverge dalla traiettoria rettilinea verso le regioni immobili».
Insomma, sembra che Newton abbia in mano la teoria ondulatoria … Ma vi è una cosa che va sottolineata negli scritti che ho riportato. Newton conosce la diffrazione di Grimaldi anche se non la chiama con il nome che lo stesso Grimaldi gli aveva dato (ed avrà sempre difficoltà a farlo, come dirò più oltre). Riconosce quindi la curvatura che i raggi subiscono nel passare vicino a degli ostacoli ma tale curvatura la assegnerà successivamente all’attrazione gravitazionale tra i corpuscoli di luce e la materia che costituisce l’ostacolo: la luce che passa nella parte centrale di un foro subisce uguale attrazione dai due bordi del foro e quindi mantiene immutato il suo cammino, quella che passa più vicina ad un bordo viene da esso deviata. E l’attrazione gioca in Newton un altro ruolo che lo porterà ad un altro errore: la luce viaggia più velocemente nei mezzi materiali perché occorre sommare alla sua velocità nel vuoto quella dovuta all’attrazione della massa materiale.
E veniamo ora all’opera in cui Newton raccoglie tutte le sue ricerche di ottica, l’Optiks del 1704. L’opera è d’interesse perché essa viene redatta quando già si conoscevano tutti i principali lavori di ottica che abbiamo citato e quello di Huygens che vedremo. E’ quindi un’opera che afferma delle posizioni in alternativa a delle altre, anche se, in gran parte, raccoglie tutti i suoi scritti di ottica. Prima di iniziare a discutere di questo lavoro, accenno al fatto che Newton si serve qui di queries (questioni)che vanno distinte dalle ipotesi. Una query rappresentava un problema posto che sarebbe stato sottoposto a verifica sperimentale mentre un’ipotesi rappresentava la caratteristica di quel modo di fare filosofia che si accontentava di spiegazioni possibili. E l’opera va avanti proprio per questioni che poi si risolvono in esperimenti ed in elaborazioni matematiche o questioni che restano aperte per successive sperimentazioni.
La struttura dell’opera è simile a quella dei Principi. E’ divisa in tre Libri: il primo si occupa della teoria della rifrazione e dei colori; il secondo alle osservazioni sulle riflessioni, le rifrazioni ed i colori dei corpi trasparenti sottili; il terzo alla diffrazione scoperta da Grimaldi (che Newton non chiama così ma “inflessione dei raggi” perché non vuole ampliare il numero dei modi possibili di trasmissione della luce oltre ai tre noti: direttamente, per riflessione, per rifrazione). Si inizia con delle definizioni alle quali seguono gli assiomi che rappresentano solo un riassunto di quanto si conosce sull’argomento e già acquisito. Vengono infine le proposizioni che vorrebbero essere delle affermazioni con carattere di osservazioni sperimentali alle quali, infatti, seguono vari esperimenti che Newton ha realizzato. Infine, dai risultati di tali esperienze vengono ricavate delle conclusioni di carattere generale che abbisognano a loro volta di verifica sperimentale. Per i quesiti in sospeso vi sono le questioni alle quali ho accennato.
La prima definizione è la seguente:
«Per raggi di luce intendo le sue parti minime, così quelle successive nelle medesime linee, come quelle contemporanee in linee diverse. Infatti la luce può esser composta di parti sia successive, sia contemporanee; in quanto che si può intercettare in un medesimo luogo quel tanto di luce che in un momento vi arriva, e lasciar passare quello che arriva nel momento successivo; analogamente in uno stesso istante si può intercettare della luce in un luogo qualunque e lasciarla passare in un altro luogo qualunque. Infatti quella parte di luce che viene intercettata non può essere quella stessa che puoi lasciar passare. La minima luce o la minima parte di luce, che da sola, senza la luce restante o può essere intercettata o da sola può propagarsi; o che può esercitare o subire qualche azione, che il resto della luce nello stesso tempo non esercita o non subisce; questa è quella che chiamo raggio di luce».
Newton dice qui che il raggio di luce non è la traiettoria della luce ma la minima parte di luce, una specie di quanto come diremmo oggi.
La seconda definizione recita:
«La rifrangibilità dei raggi di luce è quella disposizione, per la quale sono atti, nel passare da un corpo trasparente, o mezzo, in un altro, a essere rifratti, ossia a essere deviati. E la maggior o minor rifrangibilità dei raggi è quella disposizione per cui sono atti a parità di incidenza sopra uno stesso mezzo, ad essere deviati più o meno. I matematici in generale si rappresentano essere i raggi di luce delle linee condotte dal corpo luminoso al corpo illuminato, e la rifrazione di questi raggi essere una flessione o una rottura di queste rette, nel passaggio da un mezzo ad un altro. Anche a proposito dei raggi e delle rifrazioni (come intese sopra) ciò si potrebbe dire, se la luce si propagasse in un istante. Però siccome dalle equazioni dei tempi delle ecclissi dei satelliti di Giove sembra doversi concludere che la luce si propaga in un certo intervallo di tempo, cosicché impiega circa sette minuti a venire dal Sole alla Terra; preferii definire così vagamente i raggi e le rifrazioni, affinché qualunque cosa si concludesse a proposito della propagazione della luce, tuttavia queste definizioni fossero vere e sicure da una parte o dall’altra».
Qui dice Newton che è proprio il fatto che la luce si propaga con un tempo definito a non farla più pensare con la continuità delle rette. Una cosa che viaggia deve avere un inizio ed una fine e non deve essere continuamente presente.
La terza definizione è:
«La riflessibilità dei raggi è quella disposizione per cui sono atti, quando incidono sopra un mezzo qualunque, a essere rimandati dalla superficie del medesimo nuovamente nello stesso mezzo da cui provenivano. E sono raggi più o meno riflessibili quelli che sono riflessi più facilmente o più difficilmente. …».
e qui ci si chiede il perché Newton assegni la proprietà della riflessione alla luce e non agli oggetti che la provocano. Comunque, a queste prime tre definizioni, ne seguono altre 5 piuttosto banali su angoli d’incidenza, di riflessione, di rifrazione, i loro seni, e il significato di alcune espressioni come “luce omogenea”, “colori primari”, “omogenei”, “semplici”. Seguono poi gli assiomi che, come accennato, elencano le conoscenze di ottica all’epoca. Su queste basi Newton inizia la sua trattazione di ottica che, in gran parte, è quella che abbiamo già discussa (solo che qui le esperienze e le misure sono molto più raffinate ed accurate). Si può riassumere il primo libro dell’Optiks con le parole di Ronchi:
«Progresso sperimentale definito e magnifico. I colori definitivamente strappati alla filosofia del vecchio stampo, oggettivati, definiti, ordinati, analizzati, sintetizzati; teoretizzati col modello della luce corspuscolare, gravitazionale, attribuendo massa diversa ai diversi colori.
Il progresso sarebbe stato meraviglioso se non avesse lasciato alle spalle due posizioni pericolosissime; la maggior velocità della luce nei mezzi più densi [che Newton già aveva ammesso nelle sue dimostrazioni ottiche nei Principi, ndr]; la proporzionalità tra rifrangenza e dispersione».
Il libro secondo dell’Optiks mostra gravi difficoltà di Newton nello spiegare dei fenomeni mantenendo la sua concezione corpuscolare. Egli nel discutere gli anelli e quindi di problemi di diffrazione e di doppia rifrazione non è esauriente nel rispondere ai quesiti che via via sorgono e fa delle affermazioni che non vengono verificate sperimentalmente dando la netta sensazione di essere ipotesi ad hoc. Ad un certo punto afferma che i corpi riflettono e rifrangono in un certo modo eccetto i corpi grassi e solforosi: cosa sono e perché si comportano diversamente ? In altro punto afferma che i corpi più rifrangenti, esposti al Sole, si riscaldano di più di quelli meno rifrangenti. Dove lo ha provato ed a quali corpi si riferisce ? Newton, in altro luogo, esclude che la particella di luce abbia un’azione diretta nell’urto sulla materia, azione che invece è assegnata al corpo nella sua totalità, ed allora come mai la particella subisce a volta riflessioni ed a volta rifrazioni ? Sembrerebbe che sia la particella a scegliere (ogni raggio di luce acquista una certa costituzione o disposizione transitoria, Libro II, Parte III, Proposizione XII) … ma se così fosse l’intero meccanismo costruito da Newton dove va a finire ? Insomma, da questo punto pare che l’intera teoria che Newton ha costruito gli stia sfuggendo di mano e Newton deve inventare ipotesi su ipotesi per andare avanti nelle spiegazioni dei fenomeni. Dice Ronchi:
In tutte queste pagine si sente il ripiego, l’insufficienza, l’insoddisfazione dello stesso Autore. Se egli fosse stato schietto, avrebbe dovuto limitarsi a dire: Gli anelli impongono una periodicità; esiste la riflessione parziale della luce sulle superfìcie trasparenti; questo dice l’esperienza, ma la teoria corpuscolare non può spiegare tutto ciò con azioni ragionevoli tra la materia e i corpuscoli luminosi. Invece egli volle tentare un primo passo verso la teoria: quello del battesimo del fenomeno e di alcuni suoi elementi; così definì le «vices» e l’«intervallum vicium».
ed aggiunge che Newton fu anche sfortunato. Così come Grimaldi si era imbattuto nella diffrazione mentre cercava la luce materiale, ora Newton si trova a studiare l’interferenza mentre sta sistemando i suoi corpuscoli nella cornice riduzionista della gravitazione universale. E questo secondo libro chiude con una specie di compromesso che Newton fa tra la sua teoria corpuscolare ed una qualche teoria ondulatoria, particelle precedute da onde che predeterminano il futuro comportamento delle particelle stesse
«I raggi di luce incidendo su una superficie riflettente o rifrangente, eccitano vibrazioni nel mezzo riflettente o rifrangente … le vibrazioni così eccitate si propagano nel mezzo riflettente o rifrangente, in modo analogo alle vibrazioni del suono nell’aria … ; quando ciascun raggio è in quella parte della vibrazione che è favorevole al suo moto, si fa strada attraverso una superficie rifrangente, ma quando si trova nella parte contraria della vibrazione che impedisce il moto, è facilmente riflesso …»
ed anche, quando parla degli anelli che già ho discusso:
«…i raggi di luce sono, per una ragione o per l’altra, disposti alternativamente ad essere riflessi o rifratti per molte volte di seguito periodicamente …».
E veniamo al libro terzo nel quale con alcuni esperimenti si tenta di spiegare la diffrazione di Grimaldi. Nella trattazione hanno ampio spazio le questioni alle quali ho accennato: appunti, domande ed osservazioni all’apparenza senza organicità in gran parte senza sperimentazioni, con risposte aperte, con molte contraddizioni, con incompiutezze ed affermazioni volutamente provvisorie. Sembra un catalogo o un promemoria per cose da fare, da studiare, da sperimentare. Viene fuori anche un Newton che, se con argomentazioni corrette aveva respinto la teoria ondulatoria di Hooke ed Huygens (in mancanza del concetto di interferenza la teoria ondulatoria era profondamente incompleta), allo stesso modo avanza una sorta di teoria delle ondulazioni (è difficile sapere se la luce è un’emissione di corpuscoli o se è solo un movimento astratto, una certa forza che si propaga da sé). E non si tratta di contraddizione ma di evoluzione di un pensiero che si scontra su fatti sperimentali che non rientrano più nel precedente quadro esplicativo. E Newton non abbandona una teoria esplicativa per un’altra ma semplicemente, di fronte all’indeterminatezza formale e logica delle teorie disponibili, accetta ciò che gli occorre da una teoria o da un’altra, a seconda di cosa gli serve ed ha davanti. Da qui discendono le presunte oscillazioni esplicative del nostro che mostrano, semmai, la sua apertura e spregiudicatezza. E proprio quest’ultima osservazione ci fa stupire del fatto che Newton, nella trattazione della diffrazione di Grimaldi (citato e quindi conosciuto) tenta la spiegazione con riflessioni e rifrazioni dimenticando quante esperienze proprio Grimaldi aveva dedicato al mostrare che non si poteva trattare di nessuno dei due fenomeni citati. E Newton ammette il suo fallimento quando dice:
«Facendo le osservazioni premesse, mi ero prefisso di ripeterne la maggior parte con maggior cura e di aggiungerne alcune altre in più; per esplorare infine in qual modo e con quale legge i raggi di luce si inflettono nel passare vicino agli orli di tutti i corpi, per formare quelle frange con delle linee nere intramezzate. Ma da questi studi allora per caso venni distratto; e ora non mi posso convincere a riprendere questi studi interrotti. Per cui, non avendo assolto questa parte del mio programma, concluderò soltanto proponendo alcuni Quesiti, coi quali altri, in seguito, possano venire indirizzati nel continuare questi studi»
dovranno essere cioè altri a cercare soluzioni e le questioni sono proprio una specie di testamento sul cosa studiare, sul cosa cercare, a quali questioni rispondere.
E’ solo nella parte finale dell’ Optiks, nelle Questioni 28, 29 e 30, che Newton avanza in forma completa, come ipotesi da investigare, la teoria corpuscolare della luce. E’ superfluo notare che ogni ipotesi di Newton è legata ad una possibile, ma non definitiva e neanche tanto importante, spiegazione dei fatti sperimentali noti e via via osservati. Così, mentre l’ipotesi onda-particella, vista qualche riga più su, serviva a Newton per rendere conto e della colorazione delle lamine sottili e del fenomeno degli anelli, la teoria corpuscolare discendeva da una spiegazione che Newton tentava di dare della diffrazione. L’inflessione che un raggio di luce subisce quando passa, ad esempio, al di là di un forellino è interpretata (come già accennato) come risultato di forze attrattive o repulsive tra la materia costituente il corpo diffrangente ed il raggio luminoso (che per questo è pensato costituito da corpuscoli che, in quanto dotati di massa, subiscono l’azione delle forze attrattive o repulsive).
Quindi, il tentativo di spiegazione dei fenomeni di diffrazione unito al fatto che, secondo Newton, è impensabile una teoria che voglia la luce fatta di onde (“di pressioni“) perché le onde (“le pressioni“) ” non possono propagarsi in un fluido in linea retta” poiché hanno la tendenza a sparpagliarsi dappertutto, porta il nostro alla formulazione (dubitativa) della teoria corpuscolare che si trova nella Questione 29 dell’Ottica, introdotta con queste parole;
«Non sono i raggi di luce corpuscoli molto piccoli emessi dagli oggetti luminosi ? Infatti questi corpuscoli passeranno attraverso i mezzi omogenei in linea retta senza essere piegati nelle zone d’ombra, com’è nella natura dei raggi di luce».
Newton passava quindi ad illustrare alcune proprietà degli ipotetici corpuscoli materiali affermando che essi agirebbero a distanza allo stesso modo dell’attrazione reciproca tra i corpi. I colori della luce ed i diversi gradi di rifrangibilità sono poi spiegati con l’ammissione che la luce bianca sia formata da corpuscoli di diversa grandezza (i più piccoli producono il viola … e gli altri facendosi sempre più grandi, producono via via gli altri colori fino al rosso). Infine, con questa teoria, è possibile spiegare il fenomeno della doppia rifrazione che, come vedremo, Huygens non era riuscito a spiegare con la teoria ondulatoria (la spiegazione definitiva verrà con la scoperta di Fresnel della polarizzazione). In definitiva, in questo modo, la teoria della luce veniva ricondotta alla più vasta spiegazione che la gravitazione universale doveva fornire.
Una sola considerazione, prima di chiudere con Newton. E la traggo insieme a D’Agostino con le parole di Ronchi:
A rigor di termini non si sa veramente dove e per merito di chi sia sorta quella teoria corpuscolare che per tutto il secolo decimottavo fu reputata soddisfacente ed anzi gloriosa.
Forse perché la semplicità con cui il modello di Newton rendeva conto dei fenomeni elementari della luce (riflessione e rifrazione) che sono i più comuni e i più noti, nonché della genesi dei colori, deve aver conquistato la enorme maggioranza delle menti facendo restare nell’ombra le pericolose complicazioni della diffrazione e della doppia rifrazione, e confidando con serena aspettativa in un contributo successivo degli studiosi per trovare l’inquadratura anche di questi fenomeni nella teoria così gradita e accessibile.
Insomma la storia di Newton corpuscolarista è una leggenda alimentata dai newtoniani che come tutti i seguaci di grandi ingegni, li hanno sempre capiti molto poco.
HUYGENS
Nel 1691 vide la luce il Traitè de la lumière di Huygens(5). Ma l’opera era già stata fatta conoscere al momento della sua definitiva redazione, nel 1678. Nella Prefazione Huygens spiega il motivo dei 12 anni di ritardo nella pubblicazione: il breve trattato lo aveva scritto in un cattivo francese ed egli lo avrebbe voluto in un buon latino per poi inserirlo in una opera più completa (verrà pubblicato in latino nel 1728 con il titolo Tractatus de Lumine). Ci informa poi che il lavoro è rimasto lo stesso di quando lo ha scritto salvo alcune aggiunte: l’ipotesi sulla struttura dello spato d’Islanda e la scoperta della birifrangenza del quarzo.
L’opera è ampiamente incompleta e lo stesso Huygens ce lo dice. Manca ogni discussione sui colori della luce e sugli oggetti colorati e, soprattutto, non si entra a discutere la natura della luce. Gli argomenti trattati sono: la propagazione della luce, la riflessione, la rifrazione, la rifrazione da parte dell’atmosfera, la rifrazione dello spato d’Islanda, questioni di ottica geometrica. Egli si mostra insoddisfatto di tutte le teorie sulla luce fino ad allora costruite soprattutto perché sono poco chiare su questioni come il cammino rettilineo della luce e sul fatto che raggi di supposte particelle non si disturbano incrociandosi.
Per Huygens la luce è movimento, solo un movimento può eccitare la visione. E poiché l’incontro tra due raggi di luce non origina disturbi, non è pensabile che la luce sia costituita da particelle. Piuttosto deve trattarsi di vibrazioni, allo stesso modo del suono. Quindi vibrazioni nel mezzo che sta in mezzo tra sorgente e ricevente e, ancora come nel suono, senza trasporto del mezzo interposto. E’ allora ad onde longitudinali, quelle caratteristiche del suono (la vibrazione si ha nella direzione di propagazione dell’onda), che pensa Huygens. Il suono poi cammina con velocità finita nell’aria, allo stesso modo della luce, come ha mostrato Röemer. Ma in quegli anni si era scoperto anche che, mentre la luce continua a muoversi in un ambiente in cui si era fatto il vuoto, lo stesso non accade per il suono (Boyle, 1660). E’ qui che subentra l’etere, questa sostanza che deve riempire l’intero universo, compenetrare di sé ogni sostanza ed essere tanto sottile da sfuggire all’aspirazione della pompa da vuoto. Ma, contemporaneamente ed ancora in analogia con il suono che si propaga meglio in mezzi più densi, l’etere deve essere uniformemente molto elastico e quindi ad elevatissima durezza per permettere le elevate velocità della luce(6), e la cosa non è ulteriormente indagata anche se misteriosa.
Huygens passa quindi a discutere delle sorgenti di luce (radiazione) e del modo di propagazione della medesima. Inizia con un disegno famoso che riporto:

Secondo Huygens da ogni punto di una sorgente luminosa si dipartono delle onde sferiche longitudinali:
«Ogni punto di un corpo luminoso, come il Sole, una candela o un carbone ardente, emette onde il cui centro è proprio quel punto …; i cerchi concentrici descritti intorno ad ognuno di questi punti rappresentano le onde che si generano da essi … Quello che a prima vista può sembrare molto strano e addirittura incredibile è che le onde prodotte mediante movimenti e corpuscoli cosi piccoli possano estendersi a distanze tanto grandi, come, per esempio, dal Sole o dalle stelle fino a noi …».
Come è allora possibile che avvenga ciò ?
«Cessiamo però di meravigliarci se teniamo conto che ad una grande distanza dal corpo luminoso una infinità di onde, comunque originate da differenti punti di questo corpo, si uniscono in modo da formare macroscopicamente una sola onda che, conseguentemente, deve avere abbastanza forza, per farsi sentire».
Possiamo riconoscere in queste poche righe la formulazione della teoria ondulatoria fino al principio di Huygens o dell’inviluppo delle onde elementari. Lo stesso Huygens illustra questo principio con la figura seguente:

e dice:
«se DCEF è una onda emessa dal punto luminoso A, che è il suo centro, la particella B, una di quelle che si trovano all’interno della sfera delimitata da DCEF, avrà fatto la sua onda elementare KCL che toccherà l’onda DCEF in C, allo stesso momento in cui l’onda principale, emessa da A, raggiunge DCEF; è chiaro che l’unico punto dell’onda KCL che toccherà l’onda DCEF è C che si trova sulla retta passante per AB. Allo stesso modo le altre particelle che si trovano all’interno della sfera delimitata da DCEF, come quelle indicate con b e con d, avranno fatto ciascuna una propria onda. Ognuna di queste onde potrà però essere solo infinitamente debole rispetto all’onda DCEF, alla cui composizione contribuiscono tutte le altre con la parte della loro superficie che è più distante dal centro A».
Quanto ora detto può essere riassunto da quanto già sappiamo e cioè che ogni punto in cui arriva una vibrazione diventa esso stesso centro di nuove vibrazioni (onde sferiche); l’inviluppo di un gran numero di onde elementari, originate in questo modo, origina un nuovo fronte d’onda, con centro la sorgente, molto più intensa, delle onde elementari che la compongono (principio di sovrapposizione o di Huygens). Huygens proseguiva affermando che con questo modo di intendere le cose, e con l’ammissione di minore velocità della luce nei mezzi più densi, si spiegherebbero tutti i fenomeni ottici conosciuti passando poi a dare le dimostrazioni delle leggi della riflessione, della rifrazione, della doppia rifrazione e della propagazione rettilinea della luce.
Huygens inizia con la riflessione offrendoci questo disegno:

La radiazione luminosa proviene dalla sinistra ed è rappresentata dal fronte d’onda AHHHC, che è una parte di retta, in quanto la curvatura di un’onda sferica con raggio infinito è nulla. L’onda va ad incidere sulla superficie AKKKB. Il primo punto dell’onda che si riflette è A e via via lo fanno tutti gli altri (ogni punto del fronte d’onda, al momento della riflessione, diventa sorgente di una onda elementare). In figura è riportata solo la riflessione di A che, da quel punto, ritorna ad essere un’onda sferica. Ciò vale per tutti gli altri punti del fronte d’onda che, dopo essersi riflessi (ed essere tornati onde sferiche) ricostituiscono l’inviluppo che origina il fronte d’onda BN.
Il disegno per la rifrazione è invece il seguente:

e, con ragionamento analogo a quello di prima, il fronte AHHHC, proveniente dalla sinistra, inizia a rifrangersi prima con il punto A e via via con tutti gli altri, finché non si ricostituisce il fronte d’onda BN.
Le leggi che vengono trovate sono le stesse che si avevano nel caso corpuscolare, come dimostrerò con linguaggio moderno nel paragrafo seguente. Ora basta dire che Huygens dimostra, alla fine del capitolo dedicato alla rifrazione, che il principio di Fermat (la luce impiega il tempo più breve per andare da un punto ad un altro) è in accordo con la sua rifrazione di onde.
Quando passava però a dare una spiegazione dei fenomeni che oggi si spiegano con la polarizzazione egli, molto semplicemente, affermava che non gli era stato possibile trovare nulla che lo soddisfacesse. Riguardo poi alla natura di queste onde ed al loro modo di propagazione, Huygens diceva:
«Nella propagazione di queste onde bisogna considerare ancora che ogni particella di materia da cui un’onda si diparte, deve comunicare il suo movimento non solo alla particella vicina …, ma lo trasmette anche a tutte quelle altre che la toccano e si oppongono al suo moto».
E questa è una chiara enunciazione di quella che sarà la più grande difficoltà dell’ottica ondulatoria fino a Maxwell: il fatto che le onde luminose risultavano onde di pressione e quindi longitudinali. L’ammissione, inevitabile, di onde longitudinali e non trasversali impediva di pensare a qualsiasi fenomeno di polarizzazione (e quindi questa difficoltà era alla base di quanto Huygens confessava di non saper spiegare). Questo punto era ben presente a Newton che nell’Optiks lo cita e ne tenta una spiegazione ammettendo che i raggi di luce abbiano dei «lati» ciascuno dei quali dotato di particolari proprietà. Se infatti si va ad interpretare un fenomeno di polarizzazione mediante onde longitudinali, non se ne cava nulla poiché “queste onde sono uguali da tutte le parti“. E’ necessario dunque ammettere che ci sia una “differenza … nella posizione dei lati della luce rispetto ai piani di rifrazione perpendicolare.” Come già accennato solo la natura trasversale delle onde elettromagnetiche avrebbe potuto rendere conto, fino in fondo, dei fenomeni di polarizzazione.
C’è un altro aspetto che differenzia radicalmente la teoria ondulatoria da quella corpuscolare e riguarda la spiegazione del fenomeno di rifrazione (nel passaggio, ad esempio, da un mezzo meno ad uno più denso): come accennato, nella teoria ondulatoria occorre ammettere che la velocità della luce sia minore nei mezzi più densi.
Anche questo quindi diventava un elemento cruciale per decidere sulla maggiore o minore falsicabilità di una teoria. Se si fosse riusciti a determinare la velocità della luce in mezzi di diversa densità si sarebbe stati in grado di decidere quale teoria fosse più vera.
Huygens offre certamente molte novità ed lacune di estremo interesse passibili di grandi sviluppi nell’Ottocento. Ma tutta la costruzione resta deludente. Si tratta di mere deduzioni, non c’è l’accuratezza di Newton nel fare esperienze su esperienze. Non si capisce poi perché ci si fermi proprio dove la teoria ondulatoria avrebbe potuto dare il meglio di sé, nella diffrazione che non viene toccata.
LE DUE TEORIE DELLA LUCE NELLA SPIEGAZIONE DI RIFLESSIONE E RIFRAZIONE
Usciamo ora da ricostruzioni con attinenze alla storia e diamo una derivazione analitica dei fenomeni di riflessione e rifrazione nelle due teorie. Farò una trattazione matematica a livello liceale, senza introduzione dell’analisi.
Teoria corpuscolare: Riflessione

Riferiamoci alla figura. Consideriamo nel punto A un corpuscolo di luce, emesso dalla sorgente S, di massa m e velocità v. Il corpuscolo andrà ad urtare, con un angolo i di incidenza, lo specchio NN’ in C, dove si rifletterà verso D. Le particelle di luce vengono deviate dal loro moto rettilineo uniforme quando urtano elasticamente contro lo specchio; come conseguenza del principio d’inerzia, alla superficie dello specchio deve agire una forza che provoca tale deviazione e questa forza deve essere diretta secondo la perpendicolare n a tale superficie (ha quindi solo una componente verticale, mancando quella tangenziale alla superficie). Ricordando che la quantità di moto si conserva quando la risultante delle forze esterne è nulla, solo la componente orizzontale della quantità di moto dovrà conservarsi. Dovrà cioè risultare:

poiché m è la stessa in ambedue i membri e che la luce in uno stesso mezzo viaggia sempre alla stessa velocità, di modo che:

si dovrà avere:

da cui la legge della riflessione:

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Teoria corpuscolare: Rifrazione

Anche qui riferiamoci alla figura. Siamo nelle ipotesi della teoria corpuscolare, per cui alla velocità v1 del corpuscolo incidente occorre sommare la velocità v che il corpuscolo acquisisce per l’accelerazione che gli dà l’attrazione del mezzo più denso. In definitiva la velocità risultante del corpuscolo nel mezzo più denso (quello sotto la linea di separazione NN’) è vettorialmente:

Tenendo ora presente che l’angolo formato tra i vettori v e v1 è uguale all’angolo di incidenza i, applicando il teorema dei seni al triangolo OAB, si trova:

Ora, sperimentalmente, risulta che l’indice di rifrazione nel passaggio da un mezzo meno ad uno più denso è sempre maggiore di 1. Ciò vuol dire che nel rapporto tra velocità che abbiamo trovato, quella che compare al numeratore deve essere maggiore di quella del denominatore, cioè che v2 > v1, cioè che la velocità della luce in un mezzo più denso è maggiore, in accordo con le premesse teoriche.
________________________________
Teoria ondulatoria: Riflessione

Questa, come la prossima, sono figure semplificate rispetto a quelle proposte da Huygens. Vediamo cosa accade.
Il punto A del fronte d’onda inizia ad emettere onde riflesse mentre B continua ad andare verso B1. Quando B giunge a B1 , il punto A sarà arrivato in A1. Si avrà quindi BB1 = AA1 (la luce si propaga nello stesso mezzo e quindi mantiene la stessa velocità). Lo stesso avviene per gli altri raggi ed in particolare sarà C’C1 = B’B1 .
In definitiva A1B1C1 costituisce il fronte d’onda riflessa ricostituitosi.
Consideriamo ora i due triangoli AB1B ed A1AB1. Essi sono uguali per il primo criterio poiché hanno due lati e l’angolo compreso uguale (l’angolo in B uguale all’angolo in A perché retti; il lato AB1 in comune; AA1 = BB1). Segue allora che l’angolo A1AB1 = BB1A e ciò vuol dire che fascio incidente e fascio riflesso sono ugualmente inclinati su LM. E ciò vuol dire che gli angoli i ed r sono uguali, che era ciò che volevamo dimostrare.
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Teoria ondulatoria: Rifrazione

Quando il fronte d’onda ACB giunge in A, il punto A comincia a rifrangere emettendo un’onda sferica, mentre B continua indisturbato a viaggiare versoB1. Il raggio dell’onda sferica emessa da A cresce per tutto il tempo che impiega B per andare a B1, tempo dato da:

Passato questo tempo il raggio dell’onda emesso da A sarà diventato:

Il punto C del fronte d’onda arriverà in C’ nel tempo:

allora, mentre A giunge in A1, l’onda sferica elementare emessa da C’ avrà un raggio dato da:

Dalla similitudine dei triangoli ABB1 e ACC’ si ricava:

Da questa proporzione, applicando la regola dello scomponendo, si trova:

Ritornando ora alle (1) e (2) e mettendole a sistema, si trova:

Basta confrontare le (3) e (4) per ricavare:

E questa relazione significa che i triangoli AA1B1 e C’C1B1 sono simili. Di conseguenza, in figura, i punti A1, C1 e B1 sono allineati. Quindi l’onda rifratta è ancora un’onda piana.
Osservando la figura e ricordando le relazioni sui triangoli rettangoli, risulta:

da cui si ricava:

Ricordando ora la (1):

ma poiché n1,2 è sperimentalmente maggiore di 1, dovrà risultare che v1 è maggiore di v2, cioè che la velocità della luce è minore nei mezzi più densi.
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A questo punto, anche analiticamente si vede che le due teorie della luce, la corpuscolare l’ondulatoria, forniscono le stesse leggi per la riflessione e la rifrazione. La differenza sostanziale è che nella teoria corpuscolare si deve ammettere la luce viaggiare più velocemente nei mezzi più densi, contrariamente alla teoria ondulatoria.
Vi è ancora l’opportunità di una esperienza cruciale: misurando la velocità della luce in mezzi densi si potrà stabilire quale tra le due teorie è più corretta.
Ma, oltre a ciò, rimanevano scoperte le spiegazioni di molti e più vari fenomeni come quelli di tipo diffrazione, come la doppia rifrazione dello spato d’Islanda ed altri ancora da scoprire (interferenza). Vedremo come sono andate le cose nel prossimo capitolo.
NOTE
(1) Newton tenne lezioni a Cambridge dal 1669 al 1687. Le lezioni furono raccolte dall’Università in 4 volumi e pubblicate postume nel 1729. Il primo di questi volumi raccoglie le lezioni dal 1669 al 1672 che sono di ottica, il secondo raccoglie le lezioni tra il 1673 ed il 1683 di aritmetica ed algebra, il terzo le lezioni del 1984 e 1985 sul movimento dei corpi, il quarto le lezioni del 1687 sul sistema del mondo.
(2) Nella figura seguente vi è il modo con cui Voltaire, nel suo La filosofia di

Newton, raffigura la situazione. E nella successiva uno schizzo autografo di Newton:

(3) Quando ci si trova ad un bivio, ad un crocevia, ad una croce in senso lato, e si è in dubbio su quale strada scegliere, ci si interroga in proposito. E l’experimentum crucis è l’esperimento che, di fronte a due possibilità, ci dice quale è quella corretta.
(4) Questa posizione sarà considerata materialista. Anche contro questa visione vi sarà la reazione romantica alla scienza e lo studio ottocentesco dell’ottica riprenderà con le posizioni di Goethe e con l’ottica fisiologica di Helmholtz.
(5) Huygens scrisse anche un ponderoso Traitè de dioptrique che vide la luce postumo. In esso vi sono varie cose, tra cui alcune delle relazioni tra distanze focali, posizione degli oggetti e delle loro immagini, … concetti che fanno ancora oggi parte di una normale trattazione di ottica geometrica.
(6) Nell’Ottocento l’etere acquista caratteristiche sempre più precise e si stabilirà che la sua densità deve essere superiore a quella dell’acciaio. Contemporaneamente doveva essere tanto sottile ed evanescente da sfuggire a qualsiasi rilevamento. Fu Einstein nel 1905 che sbarazzò la fisica da questo fardello con un solo colpo di penna.
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