PREMESSA
Questa pagina ha il solo scopo di far capire quanto polverone si sia sollevato su uno scritto di uno statunitense. Ormai tutti dovrebbero sapere che i libri vengono sempre più costruiti in serie per l’industria non culturale ma della vendita ad ogni costo. E da quelle parti vi sono dei maestri in tal senso e Dan Brown, insieme a Random House, è uno del gruppo. Lo possono fare dati i livelli di ignoranza di quel pubblico, anche quello cattolico, che beve tutto e crede le cose più incredibili come tutte quelle che gli hanno somministrato in occasione dell’aggressione all’Iraq, alla Yugoslavia, eccetera.
Parte di quanto dico lo ritroverete in un articolo che riporto di Marco D’Eramo e, proprio prendendo spunto da quello, è utile sottolineare che la Chiesa si sta pian piano suicidando. Provo a dire il perché.
Nel passato, con la scarsissima informazione circolante, i messaggi nelle Chiese, nei seminari, negli oratori, erano gli unici ad avere risonanza. Oggi ha miglior giuoco un minuto in TV che non giorni di prediche o comizi nelle piazze. E la Chiesa è stata una fervente alleata di questo mondo che ha coccolato strenuamente insieme ai suoi governanti.
In tal senso la comunicazione di Dan Brown è molto più potente di quella della Chiesa, proprio perché semplificata a dismisura dai mezzi di comunicazione di massa, sui quali ha più ascolto di quanto possa avere una conferenza del Papa (nell’ammissione che qualcuno poi capisca di cosa si parla).
D’Eramo si preoccupa per l’Italia e afferma che da noi non accade ciò che accade negli USA. Mi piacerebbe avesse ragione ma il 66% di analfabeti (compresi quelli di ritorno) in Italia mostra che ci avviciniamo a tappe forzate agli USA. E questo è stato voluto a partire dalla fine degli anni Ottanta, conm plauso ed entusiasmo di un Papa che sconfiggeva il Comunismo esaltando il capitalismo che popi è diventato liberismo selvaggio (FMI, WTO, OCSE, P.I.S.A., Bolkestein …). Ed il liberismo ha le sue leggi che vanno molto più a fondo del semplice mercato. Queste leggi prevedono che, ad esempio, i livelli di istruzione scendano paurosamente. Non serve sprecare (sic!) denaro per mantenere istruita tanta gente, per i fini del liberismo bastano pochi ben formati e molti solo in grado di essere consumatori. La Chiesa ha creduto di fare la furbetta ed in Italia si è infilata nella vergogna del succhiare risorse alla scuola pubblica (con la complicità di centrosinistra e centrodestra). Così che i livelli di istruzione, già menomati dalle riforme tipo Berlinguer che operava in sintonia con i migliori dettami liberisti, sono ulteriormente peggiorati sotto i colpi di Ruini e compagnia.
Oggi siamo qui a dibattere sulla correttezza o meno delle bufale di Dan Brown. Persone colte avrebbero letto la coda e non si sarebbero turbate più di tanto. Invece occorre dire e spiegare ed in questo la Chiesa è un controrelatore come un altro, perde il suo primato.
Ma tutto questo è all’interno della decadenza di una istituzione chiusa ed ottusa, nemica di ogni progresso civile e morale ed amante del bel vivere senza colpo ferire.
Riporto quindi alcuni articoli reperiti in rete, fuor da esoterismi ed idiozie del genere, al fine di stabilire qualche certezza, buttare a mare le sciocchezze, mettere in campo argomenti che potrebbero essere utili ai pochi manti del sapere che volessero approfondire.
Riguardo agli esoterismi, debbo osservare che abbondano e non da ora e non solo su Internet. Da moltissimi anni (almeno 30) entrare in una libreria e trovare il settore esoterico stracolmo e quello scientifico povero è una tristissima esperienza. Chi credete che abbia contribuito a queste bestialità? Chi diffama quotidianamente ogni scoperta scientifica, accreditando invece miti, leggende, miracoli, piani di statue, apparizioni, misteri di Fatima, santi … ? E beh, ora questi signori si devono prendere questa mazzata in testa. E non possono rimediare se non tornando al messaggio originale (anche quello dei 4 Vangeli, senza Paolo per intenderci) di Gesù. Altrimenti verranno molti Dan Brown che si inseriranno via via nelle infinite brecce che i dogmi che si sono susseguiti incessantemente hanno lasciato.
Ecco nelle cose che seguono non vi sono dogmi o testi scelti dall’autorità ecclesiastica.
Roberto Renzetti
Inizio con una cosa che ha il significato semplice che ha. Una delle contestazioni a Dan Brown prescinde dal suo libro ed afferma che nell’Ultima Cena di Leonardo quel personaggio effeminato che vi compare non è una donna ma San Giovanni. Non entro nella disputa ma voglio far vedere un affresco contemporaneo a quello di Da Vinci in cui quell’effeminato sembra ancor più una donna e per di più è in posa affettuosa accanto a Gesù.
A FELTRE (BL) VIVE LA TEORIA DEL CODICE DA VINCI
In un affresco anonimo dell’Ultima Cena accanto a Gesù compare una figura che richiama il libro di Dan Brown: non Giovanni, ma Maria Maddalena.
Feltre, “Il Codice da Vinci” trova conferme a Feltre. L’affresco del l’Ultima Cena di mano anonima che si trova nella chiesetta frazionale di San Benedetto, a Celarda, alimenta la teoria che accanto a Cristo anziché l’apostolo Giovanni ci fosse, invece, Maria Maddalena. Come nella celebre opera di Leonardo Da

Vinci anche nel dipinto feltrino le fattezze del commensale di Gesù sono chiaramente femminili. Entrambe le opere sono da farsi risalire alla fine del XV secolo. La curiosa equiparazione tra i due affreschi è stata fatta da Paolo Santomaso, socio di Italia Nostra che, dopo aver letto il best seller, ha collegato l’opera di San Benedetto alle teorie di Brown, ipotesi in base alla quale Maria Maddalena sarebbe stata la moglie di Gesù e che la Chiesa ha fortemente respinto a più riprese.

L’Ultima Cena di Celarda, caratterizzata dal motivo dei gamberi, simbolo di resurrezione, è stata negli ultimi tempi restaurata e successivamente posta all’interno del circuito di visite proposto da gli animatori turistici del l’associazione Fondaco per Feltre. Un edificio che conserva anche tre grandi altari lignei intagliati e dipinti, una pala raffigurante la Madonna con il Bambino, San Rocco e San Benedetto e altre due tele dedicate alla Madonna con il Bambino, San Benedetto, San Vittore e Santa Corona l’una e alla Madonna con il Bambino, San Antonio da Padova e Santa Lucia l’altra: tutto risalente al ‘600. Ma ciò che ha colpito l’attenzione di Santomaso è proprio quell’Ultima cena che, relativamente alla raffigurazione di San Giovanni, gli è parsa molto simile a quella balzata agli onori del la cronaca grazie al “Codice da Vinci”.
In questo libro, che tante polemiche ha suscitato, Dan Brown riporta in auge l’antica tesi del femminino sacro in base alla quale un ruolo fonda mentale venne ricoperto, in qualità di moglie di Cristo, da Maria Madda lena. I due avrebbero avuto dei figli che avrebbero regnato in Francia con il nome di Merovingi. Del matrimonio tra Gesù e Maddalena vi sarebbe traccia nelle nozze di Cana. Gesù compie un miracolo durante un matrimonio su invito di una donna che non sarebbe la madre bensì la moglie che ha appena sposato. Il Graal al contempo altro non sarebbe, così affermano anche Baigent, Leigh e Lincoln (autori del libro a cui si è ispirato Brown), che la metafora del lignaggio sacro. Per avvalorare la teoria il termine francese medievale “sangraal” viene spezzato in sang (sangue) e raal (reale). Questo sangue, secondo Brown, discendeva direttamente da Gesù e da sua moglie Maddalena alla dinastia Merovingia sopravvivendo alla sua caduta per persistere in diverse famiglie francesi. E il dipinto di Celarda , così come quello di Milano, ritrae l’apostolo vicino a Gesù con tratti dolci e in un atteggiamento affettuoso e per certi versi ambiguo. Non un uomo quindi, secondo Brown, bensì una donna: proprio la Maddalena. Il Cenacolo, fotografia del l’annuncio del tradimento di Giuda, nasconderebbe quindi altre verità.
Quando Leonardo lo dipinse tra il 1495 e il 1497, utilizzando tempera e olio su muro, per Brown volle trasmettere dei concetti di profonda importanza. Lo fece usando un “codice ” che è quello diventato il “motore” di un libro tra i più letti negli ultimi anni. Anche Feltre, alla luce della “scoperta” nella chiesa di Celarda , ci ha messo del suo.
Raffaella Gabrieli, Alessandro Tibolla
Fonte. Il Gazzettino Venerdì, 28 Ottobre 2005
Riporto ora uno studio che ritengo importante sull’affresco di Leonardo:
Dal Codice da Vinci di Dan Brown ad una più rispettosa lettura iconografica del Cenacolo di Leonardo nel Refettorio di S.Maria delle Grazie a Milano
di d.Andrea Lonardo
La foto del Cenacolo vinciano con le diciture dei personaggi è tratta dal sito ufficiale del Convento dei Domenicani di Santa Maria delle Grazie in Milano, all’indirizzo www.grazieop.it
Le immagini dei disegni preparatori di Leonardo sono tratte dal sito www.wga.hu
Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la loro messa a disposizione on-line non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto.
Rimandiamo per le notizie storiche e iconografiche al testo di P.Angelo Maria Caccin O.P., Santa Maria delle Grazie ed il Cenacolo Vinciano, Nicolini editore, Gavirate, 1997 ed agli articoli dei padri Agostino Selva, Pietro Lippini, Venturino Alce e Lorenzo D.M.Celeghin nella pubblicazione L’Ultima Cena di Leonardo da Vinci. Una lettura storica, artistica e spirituale del grande capolavoro, pubblicata dalla comunità dei padri domenicani di S.Maria delle Grazie.
Per uno studio biblico sulle figure del traditore Giuda, della Maddalena e del Cristo tradito vedi, nella sezione Approfondimenti, del nostro sito www.gliscritti.it, i capitoli La passione preparata: il male personale, La passione dell’amore non amato, la passione che opera la salvezza dello studio Una introduzione alla lettura continua del vangelo di Marco di d.Andrea Lonardo.
L’Areopago
Una introduzione storica alle vicende del Cenacolo di Leonardo
Il Cenacolo di Leonardo da Vinci occupa uno dei due lati corti del refettorio della comunità dei padri domenicani di S.Maria delle Grazie a Milano. Secondo la tradizione dei frati dell’ordine di S.Domenico – ma, più in generale, di tutti gli ordini religiosi cattolici – il luogo del pasto comune dei frati deve essere affrescato con una crocifissione o con la scena dell’Ultima Cena del Signore, proprio perché, anche nel momento del nutrimento e del piacere e del riposo che ne derivano, tutti siano costantemente richiamati all’offerta che il Cristo fece di sé ed alla fraternità che da lì è nata.
Leonardo fu invitato ad affrescare il Refettorio dal Duca di Milano, Ludovico il Moro, che era molto amico della comunità ed, in particolare, del suo priore, al punto da spingerlo a fare del convento il mausoleo di famiglia. Poiché sulla parete sud era già stata affrescata la grande Crocifissione (da Giovanni Donato Monfortano, nel 1495), non rimase a Leonardo che l’altro tema iconografico, quello dell’ultima cena. La presenza di Ludovico il Moro come mecenate – ed anche come sincero credente cristiano – è testimoniato, nel Cenacolo leonardesco dagli stemmi ducali che sono dipinti nelle tre lunette che sovrastano l’ultima cena, ma anche dall’inserzione delle figure di Ludovico il Moro con un figlio e di sua moglie Beatrice d’Este con una figlia – l’uno alla sinistra e l’altra alla destra – nella crocifissione della quale abbiamo appena parlato che preesisteva all’opera di Leonardo. Le quattro figure sono chiaramente una aggiunta della sua mano, all’opera del Monfortano che è invece responsabile dell’intero affresco.

La Crocifissione del Monfortano |
Se vogliamo trovare Maria Maddalena è proprio a questa parete che dobbiamo guardare, volgendo le spalle all’Ultima Cena di Leonardo. Il Cristo si erge solitario, nella croce centrale. Alla sua sinistra ecco il gruppo delle tre Marie che sorreggono Maria, la Madre del Signore. Alla destra della croce troviamo Giovanni, l’evangelista. Tra gli astanti tante figure della storia dell’ordine domenicano, insieme ai presenti all’atto della crocifissione – commistione che indica la contemporaneità di tutti i viventi all’opera salvifica del Cristo. La Maddalena è là, ai piedi della croce. Non l’innamorata del Signore, ma colei che abbraccia la croce del Figlio dalla quale il perdono stesso del Padre si riversa sul mondo.
Di fronte alla Crocifissione del Monfortano ecco l’Ultima Cena. Lo stato di conservazione del dipinto è, come è noto, precario. Leonardo, per poter dipingere alla sua maniera, per poter con pennellate successive rendere la sensazione viva dell’aria che circonda ogni suo dipinto, non volle dipingere ad affresco, ma direttamente sulla parete, per poter, appunto, stendere più mani di colore. Il colore non si fissò, così, durevolmente, ma fu esposto, invece, più facilmente agli effetti corrosivi del tempo. Inoltre due eventi contribuirono nel passato al deterioramento dell’opera, oltre ad inopportuni restauri che seguirono ed al tentativo di “strappo” per il trasporto in un luogo più adatto alla conservazione, negli anni nei quali il restauro non conosceva ancora i canoni attuali, tesi alla preservazione e non alla ricostruzione.
Durante la soppressione napoleonica del convento, il refettorio leonardesco fu, per ben tre anni, adibito a scuderia dei soldati napoleonici. E’ solo nel 1911 che i domenicani poterono rientrare ad abitare nell’annesso convento di S.Maria delle Grazie. Già questo episodio basterebbe a sfatare le pretese ispirazioni anticattoliche dell’opera di Leonardo. L’esercito francese di allora, uso ad una sistematica espropriazione di tutto ciò che apparteneva alla Chiesa cattolica – e che sarebbe stato strumento potenziale di una futura trasmissione del cristianesimo alle generazioni successive – non trovò di meglio che trasformare in stalla, in segno di spregio, il refettorio dei frati.

Il secondo evento che il Cenacolo superò per arrivare fino a noi è il bombardamento che si abbatté sul convento nella notte fra il 15 e 16 agosto 1943. Fu p.Acerbi, allora Provinciale, a salvare ciò che restava del Cenacolo. Richiamò personalmente da fuori Milano i frati più robusti dalla Provincia perché lavorassero a ripulire il refettorio dalle macerie senza che i dipinti fossero ulteriormente danneggiati. Si adoperò nella ricerca di un telone impermeabile, pur nell’emergenza bellica, affinché fosse steso a protezione di una eventuale pioggia che potesse cadere sull’edificio ormai scoperchiato. Si impegnò con tutte le forze perché l’opera di Leonardo fosse protetta con sacchi di sabbia, a protezione del rischio di futuri bombardamenti.
Queste note previe alla descrizione iconografica ci riportano alla cura con la quale la Chiesa ha permesso che quest’opera giungesse fino a noi.
La coscienza del progressivo deterioramento del dipinto portò al fenomeno delle molteplici copie dell’Ultima Cena. Possiamo qui citare la famosa copia ordinata dal card. Federico Borromeo nel 1625 ed eseguita da Andrea Bianchi detto il Vespino (custodita ora nella Pinacoteca Ambrosiana).

Per quel che riguarda, invece, l’iconografia del dipinto, sappiamo che Leonardo parlò a lungo con p.Vincenzo Bandello, il priore di allora, durante la lunga esecuzione che si protrasse per 3 anni (1495-1498)[1]. Padre Bandello fu priore delle Grazie dal 1495 al 1501 e vicino a Ludovico il Moro al punto da divenire suo esecutore testamentario. Fu, inoltre, amico di Donato Bramante – che, come ben sappiamo, gran parte ebbe nella progettazione architettonica della Chiesa del Convento stesso. Inoltre p.Vincenzo portò con sé alle Grazie il nipote Matteo Bandello, allora novizio domenicano, che, nelle sue novelle, descrisse il modo di lavorare di Leonardo alle Grazie.
Per una lettura iconografica del Cenacolo vinciano
Prima di Leonardo l’arte si era misurata spesso con la rappresentazione dell’ultima cena. Di volta in volta l’accento era caduto sull’istituzione dell’eucarestia, sulla lavanda dei piedi, o, ancora, sulla comunione degli apostoli con Cristo con la sottolineatura della presenza di Giovanni con il capo appoggiato sul petto di Gesù.
Per la prima volta Leonardo decide – e certamente i committenti con lui – di rappresentare il momento nel quale Gesù annuncia che sarà tradito; è l’attimo che precede la rivelazione dell’identità del traditore.
Così, concordemente con i sinottici, ci riferisce Gv 13, 21: “Gesù dichiarò: In verità, in verità vi dico: uno di voi mi tradirà”[2].
E’ il male più grande che mai la terra abbia conosciuto. L’evangelista Giovanni sottolinea, a ragione, che è l’ora delle tenebre, l’ora del maligno, che sfoga la sua rabbia contro il Figlio di Dio. Ma la realtà che il vangelo ci presenta – ed il cenacolo vinciano ci pone innanzi – è la priorità dell’offerta libera e cosciente del Signore sull’azione del male che si illude di essere ancora una volta protagonista.

Il Cristo, “solo” al centro del dipinto, iscritto in un triangolo equilatero, con la mano destra in atto di prendere e la sinistra aperta in atto di abbandono |
Il Cristo, al centro, è iscritto da Leonardo in un triangolo equilatero perfetto[3]. Tutto il disegno del mondo si compie nel dono della sua vita. Tutte le linee della prospettiva del dipinto partono da un punto situato nella tempia destra di Gesù.. Cristo accetta di essere tradito. Se la sua mano destra – quella alla nostra sinistra – si prepara a prendere il boccone che porrà in bocca all’ “amico” Giuda, l’altra mano è aperta verso l’alto ed esprime l’abbandono al Padre. Solo la prosecuzione ideale delle due mani ci fa raggiungere un bicchiere di vino ed uno dei pani posti sul tavolo, segni appena accennati dell’eucarestia. I simboli eucaristici sono sfumati, poiché ciò che è posto in risalto ed enfatizzato, rispetto ad altre rappresentazioni dove il calice e la patena del pane sono in rilievo, è l’offerta della vita stessa di Gesù, è la prefigurazione della croce, più che non la sua continuazione sacramentale ed eucaristica.
Si sta compiendo il dono, il dono che poi – solo poi – sarà sempre presente.
In maniera acuta p.Venturino Alce O.P.[4] così parla della “solitudine” del Cristo nel Cenacolo leonardesco: “Molti sono rimasti impressionati dalla solitudine, dall’isolamento del Cristo, che sembra essere rimasto solo. Credo che l’innegabile solitudine del Cristo sia in realtà la chiave di lettura dell’Ultima Cena che Leonardo ha collegato con la Crocifissione di Donato Monfortano. Naturalmente il termine solitudine va inteso nel senso proprio e teologico di unicità. E’ la dottrina esposta da San Paolo nel capitolo quinto della lettera ai Romani: noi abbiamo ricevuto la grazia e la giustificazione per mezzo del solo Gesù Cristo (cfr. Rm5,17). Per l’obbedienza di uno solo, Gesù Cristo, tutti saranno costituiti giusti (cfr.Rm5,19). E’ verità di fede che la redenzione è stata compiuta dal solo Gesù Cristo, obbediente al Padre ed animato dall’unico Spirito. A suo modo l’unicità del Redentore l’aveva profetizzata il sommo sacerdote Caifa quando disse al sinedrio radunato per tramare la morte di Gesù: E’ meglio che un uomo solo muoia per tutto il popolo (cfr.Gv11,50;18,14). Osserviamo questo uomo solo nel compimento della sua opera”.
Pure una sfumatura va aggiunta a questa appropriatissima lettura del Cristo “solo” di p.Alce: il Cristo è certo “solo”, ma Giovanni l’evangelista, il discepolo che Gesù amava, comprende nella Cena leonardesca questa offerta, essendo pienamente consapevole di ciò che il suo Signore sta compiendo.
Giovanni è la figura che vediamo alla sinistra di Gesù[5]. Il genio di Leonardo ha diviso i dodici apostoli a gruppi di tre, ponendo i volti dei Dodici in un’articolazione ternaria[6]. Il gruppo più importante comprende Giovanni, Giuda e Pietro.

Giovanni, Giuda e Pietro |
Pietro è il terzo, nell’ordine, ma il suo volto balza avanti superando quello di Giuda, che, invece, si ritrae. Il dialogo fra Pietro e Giovanni segue immediatamente l’annuncio del tradimento ed è descritto in Gv13,23-24: “Ora uno dei discepoli, quello che Gesù amava, si trovava a tavola al fianco di Gesù. Simon Pietro gli fece un cenno e gli disse: Di’, chi è colui a cui si riferisce?”.
Qui Leonardo si ferma. Non rappresenta la scena infinite volte posta sotto gli occhi del mondo dai pittori di ogni secolo, quella di Giovanni con il capo sul petto del Maestro. Si arresta un attimo prima. Giovanni fra poco si chinerà a chiedere ciò che Pietro vuole sapere. Nel Cenacolo vinciano ci appare come colui che sa che non è importante il nome del traditore, quanto l’evento dell’amore che si compie. Come scriverà Gv13,1: “Prima della festa di Pasqua, sapendo che era giunta la sua ora di passare da questo mondo al Padre, dopo aver amato i suoi che erano nel mondo, li amò sino alla fine”. Lo sguardo di Giovanni, con gli occhi socchiusi, le mani strette l’una all’altra, sembra non partecipare dell’agitazione che turba gli altri. Nei suoi gesti cerca di penetrare, di contemplare, di partecipare dell’amore con il quale il Signore ama fino alla fine, fino all’estremo limite possibile, fino alla pienezza del dono di sé.

Schizzo per il Cenacolo (Royal Library, Windsor). Per due volte vediamo la figura di Gesù, con Giuda dall’altra parte del tavolo in entrambe. Giovanni china il suo capo sul petto del Signore. |
Forse proprio qui è da cogliere l’innovazione più significativa di Leonardo nella versione definitiva, diversa rispetto ai primi disegni che si sono conservati, anche se solo parzialmente. Ne possediamo una ventina dei moltissimi che sicuramente il maestro avrà disegnato. La maggior parte di essi sono conservati presso la Royal Library di Windsor in Inghilterra, altri all’Albertina di Vienna ed all’Accademia di Venezia. Due fogli – uno sicuramente attribuito al nostro autore, oggi in possesso della Royal Library, l’altro che potrebbe essere una copia di uno schizzo del maestro ad opera di un discepolo, oggi custodito all’Accademia di Venezia – ci testimoniano i primi schizzi per l’elaborazione dell’intera composizione. In entrambi Giuda è dall’altra parte del tavolo, secondo l’iconografia tradizionale. Non siede dalla parte di Gesù, come nella versione definitiva, ma è già altrove, distante, separato dallo spazio del tavolo della cena. Giovanni è, nel foglio schizzato direttamente da Leonardo con il capo sul petto di Gesù, secondo l’immagine più cara dell’apostolo e dell’amico.

Schizzo per il Cenacolo (Accademia, Venezia), forse copia di un discepolo di Leonardo da un disegno del maestro. Giovanni appare, al fianco di Gesù, riverso sul tavolo. |
Nel disegno più controverso quanto a paternità Giovanni è, invece, riverso sul tavolo – innovazione iconografica che sarà, comunque, scartata dalla versione finale. Evidentemente Leonardo rifletteva con attenzione sull’evangelista. Nel confronto fra questi disegni preparatori ed il Giovanni infine dipinto emerge ancor più la consapevolezza partecipe e amante di quest’ultimo.

Schizzo per le mani di Giovanni (Royal Library, Windsor) |
Si è conservato anche uno schizzo delle mani di Giovanni, con le dita intrecciate, mani di una compostezza che medita, ben lontane dalla concitazione di tutte le altre mani della tavola, ad eccezione di quelle del Signore[7].
Possediamo ancora i disegni delle teste di Giuda, di Giacomo il Maggiore, di Filippo, di Andrea.

(Royal Library, Windsor

(Royal Library, Windsor)

(Royal Library, Windsor)

(Albertina, Vienna)
Nel dipinto Pietro scavalca Giuda e si avvicina a Giovanni. Vuole il nome, vuole il colpevole. Con l’altra mano – mentre con la prima tocca la spalla dell’evangelista – afferra un coltello con il quale sarebbe pronto ad uccidere il traditore del Signore.
Non così Giovanni. A lui sembra non interessare questo nome – nell’interpretazione che Leonardo ci dà del Cenacolo. Solo il Signore e la libertà del suo dono brilla nei suoi occhi chiusi.
Giovanni è rappresentato secondo la più classica raffigurazione iconografica, come il più giovane degli apostoli, con lineamenti quasi femminei, senza barba alcuna.
Il coltello del primo degli apostoli allude probabilmente anche al coltello con il quale poco più tardi taglierà l’orecchio, nell’orto del Getsemani, a Malco, servo del sommo sacerdote (Mt26,1).
Giuda si ritrae. Lui che è vicino, lui “che pone la sua mano sulla stessa tavola” (cfr.Lc22,21), lui che è stato scelto, eletto, introdotto all’intimità come gli altri, è ora in ombra, è fuori della linea di comunione che unisce gli altri. Se con una mano tende al Cristo, con l’altra afferra la borsa con il denaro. Per un niente, per un po’ di denaro, ha tradito il Figlio dell’Uomo, poiché mai il male ha vero motivo di essere.

Giacomo il Maggiore, Tommaso, Filippo |
Il gruppo alla destra del Cristo comprende Tommaso, Giacomo il Maggiore e Filippo. Tommaso è il secondo, ma, protendendosi in avanti, ha il viso più vicino a Gesù da questa parte. Il dito che leva verso il Signore è lo stesso con il quale, sette giorni dopo la resurrezione, quando arriverà nuovamente “il primo giorno dopo il sabato”, toccherà le mani ed il costato del Signore per essere credente (Gv 20,26-29). Lui che già aveva protestato dicendo “Andiamo anche noi a morire con lui” (Gv11,16), quando Gesù decise di recarsi dall’amico Lazzaro, sembra anche ora opporsi alla notizia del tradimento.
Giacomo il maggiore, il fratello di Giovanni, figlio di Zebedeo, siede vicino a Gesù, come il fratello dall’altra parte. Era stata loro richiesta (Mc10,37) – o, insieme, della loro madre – quella di sedere alla destra ed alla sinistra della gloria del Signore. Ora, con le braccia spalancate, sembra inorridito e incredulo.
Dietro di loro Filippo si porta le mani al petto. A lui sono attribuite da Leonardo le parole riportate da Mt26,22: “Sono forse io, Signore?”

Andrea, Giacomo il Minore, Bartolomeo |
A sinistra della tavola stanno Andrea, Giacomo il Minore e Bartolomeo.
Bartolomeo, all’estremo limite del dipinto, si alza in piedi, scatta, con le mani poggiate sul tavolo. Più vicino di lui a Gesù Giacomo il minore solleva la mano destra in gesto di amara sorpresa, mentre con la sinistra raggiunge la spalla di Pietro. Essendo chiamato dai vangeli il “fratello del Signore” – sappiamo che le diverse tradizioni occidentali ed orientali interpretano questo come indice di una stretta parentela con Gesù (poiché i cugini erano chiamati fratelli”) o come discendenza da un primo matrimonio di Giuseppe, conclusosi in vedovanza prima del matrimonio con Maria – viene ritratto da Leonardo con fattezze simili a quelle del Cristo.
Andrea, il primo di questo gruppo, dice con il gesto delle mani la sua estraneità, la sua innocenza; anche il suo sconcerto – lui che aveva, con fiducia, portato Pietro a Gesù!

Matteo, Giuda Taddeo, Simone lo Zelota |
All’estrema destra vediamo invece Matteo, Giuda Taddeo e Simone Zelota
Simone lo Zelota, l’ultimo, attempato, sembra chiedersi se ha capito bene; così dinanzi a lui Giuda Taddeo. I due sembrano così discutere insieme scossi dall’annunzio di Gesù e desiderosi di vedere più chiaro. Matteo, più giovane, secondo la tradizione il primo degli evangelisti, allunga le braccia verso il Signore che ha annunciato il tradimento e verso il resto del collegio apostolico, invitando gli altri due a considerare che solo dal Signore stesso è possibile avere chiarezza maggiore e verità su ciò che hanno appena ascoltato.
Non sapremo mai, in terra, quale sia stato il rispettivo apporto in queste scelte iconografiche del Duca Ludovico il Moro, del priore e consulente teologico padre Vincenzo Bandello, di Leonardo stesso. Quali discussioni precedettero l’opera? Fece Leonardo, in quegli anni milanesi, degli studi specifici sui singoli personaggi degli apostoli ed, in particolare su Giovanni, per prepararsi a rappresentare l’Ultima Cena?
Ogni volta che un artista si misura con l’oggettività del cristianesimo – sia con il dato dei vangeli, sia con la singolarità ed originalità storica degli apostoli da Cristo scelti – si confrontano la realtà preesistente del dato di fede e la fecondità dell’uomo creatore di arte.
Certo è che il Cenacolo sospende il tempo. Una volta che Gesù ha pronunciato le parole del tradimento tutto si arresta. E se, in apparenza, sembra centrale il nome del traditore, la questione di chi sarà l’esecutore del misfatto, ben più profonda è la questione che Giovanni – e Leonardo con lui – hanno nel cuore: può il Figlio di Dio, può l’Amore stesso essere tradito? Chi agisce veramente nella storia dell’uomo: Dio o il maligno? Tutto è sospeso. Se tutto appare già deciso – già il sinedrio ha preso la sua decisione, già Giuda ha orientato la sua volontà – pure il mondo sta in attesa. E Giovanni, il discepolo amato, intuisce che un’altra decisione è stata presa, un dono si sta consumando. Tutti gli altri – e noi con loro – dobbiamo ancora attendere le ore della passione e della resurrezione perché ci sia rivelato in pienezza ciò che il Cristo è e sa e che Giovanni, unico, intuisce in lui.
Non il traditore occupa il tempo e lo spazio; sovrano è il Cristo, sovrana è la sua libertà, regale il suo dono, l’offerta di sé, l’amore che, non amato, vince il mondo.
Note
[1] In uno dei quattro bassorilievi che ornano la statua di Leonardo in piazza della Scala a Milano, vediamo ritratto Leonardo che discute con due frati durante l’esecuzione del Cenacolo. Il monumento a Leonardo è del 1872.
[2] Nell’antica riproduzione dell’Ultima cena, una incisione su rame attribuita al cosiddetto Maestro del Libro d’Ore Sforza (XVI secolo, conservata nel British Museum di Londra) l’autore dell’opera, ben interpretando il momento, inserisce nella tovaglia la stessa espressione nel latino della Vulgata, allora di uso corrente: “Amen dico vobis quia unus vestrum me traditurus est”.
[3] Solo per inciso, ci permettiamo di rilevare che la lettura anche solo ipotizzata da Dan Brown della figura di Cristo nel triangolo come forma fallica – “Questo simbolo è l’icona originale di maschio. Un fallo rudimentale”, Dan Brown, Il Codice da Vinci, Mondadori, Milano, 2004, p.279 – è offensiva non tanto della fede cristiana, quanto della sensibilità artistica di ogni amante dell’arte di Leonardo. Nel pensare dunque al Cristo che viene tradito, Leonardo non sarebbe stato capace di altro simbolismo che quello fallico!
[4] P.Venturino Alce, L’Ultima Cena di Leonardo: lettura dell’immagine, in AA VV, L’Ultima Cena di Leonardo da Vinci. Una lettura storica, artistica e spirituale del grande capolavoro, pubblicato in proprio dal Convento domenicano di S.Maria delle Grazie di Milano, pag.24.
[5] Di nuovo a titolo di inciso, ci riesce veramente difficile comprendere se l’opera di Dan Brown voglia scientemente turlupinare il lettore, o sia piuttosto la crassa ignoranza del suo autore a fargli ritenere la sua ipotesi un colpo di genio. Alla meditazione del testo evangelico Dan Brown sembra preferire una ipotesi che elimina Giovanni dai presenti all’Ultima Cena, riduce ad Undici i Dodici, elimina conseguentemente il dialogo Pietro-Giovanni che è decisivo nello sviluppo del racconto evangelico rappresentato da Leonardo, infine, come chicca conclusiva, nuovamente – con evidente sensibilità artistica!? – collega la figura alla sinistra di Gesù alla “vulva femminile”!!! Così esplicitamente afferma uno dei personaggi del romanzo: “Il simbolo femminile, come si può immaginare, è il suo opposto… ha la forma del ventre femminile. Il simbolo comunica l’idea del ventre femminile, fertilità”, Dan Brown, Il Codice da Vinci, Mondadori, Milano, 2004, p.279. Neanche un dubbio sul fatto che sia la figura intera di Gesù ad essere fallica – nella “brillante” lettura del romanzo – mentre non è la figura dell’apostolo alla sinistra ad essere “a forma di ventre femminile”, ma lo spazio d’aria fra le due figure!!!
[6] Nuovamente, per inciso, appare evidente la banalizzazione della lettura ipotizzata dal Codice da Vinci che, disinteressandosi totalmente dell’insieme armonico della composizione leonardesca, con i 4 gruppi di 3 apostoli, si sofferma a ritagliare arbitrariamente il Cristo, lo spazio con il gruppo alla sua sinistra e d il primo gruppo di figure con Giovanni, Giuda e Pietro, affermando: “Se osserviamo Gesù e Maddalena – non la presunta Maddalena, ma l’intero gruppo dei tre, sic! – come elementi compositivi e non come persone, vediamo balzare fuori un’altra forma. Una lettera dell’alfabeto… (la) lettera M”, Dan Brown, Il Codice da Vinci, Mondadori, Milano, 2004, p.287.
[7] Se proprio ce ne fosse bisogno, possiamo rilevare che le mani di Giovanni sono mani d’uomo e non di donna, nel disegno preparatorio della collezione di Windsor.
Un articolo nel quale si parla della leggenda del Sacro Graal:
Storia e archeologia, sulle tracce di Gesù di Nazareth
http://www.sapere.it/tca/MainApp?srvc=dcmnt&url=/tc/storia/
Una ricerca senza fine: il Sacro Graal
La millenaria ricerca del calice nel quale, secondo la tradizione medioevale e popolare, avrebbero bevuto Gesù e gli apostoli durante l’Ultima cena e nel quale Giuseppe d’Arimatea avrebbe raccolto il sangue sgorgato dal costato trafitto del Redentore crocifisso.
di Roberto Antonio Capostagno

Cavalieri in adorazione del Graal in una miniatura del XII secolo (Foto Archivio IGDA) |
Da re Artù ai giorni nostri: la ricerca infinita
La leggenda del Graal si sviluppa storicamente in Occidente in seguito alle crociate: a partire dal 1095, molti Cavalieri cristiani si erano recati in Terra Santa, ed erano entrati per forza di cose in contatto con le tradizioni mistiche ed esoteriche del luogo e sicuramente qualcuna di esse parlava del Graal, un sacro oggetto dagli straordinari poteri. Grazie ai Crociati, la leggenda raggiunse l’Europa e vi si diffuse. In effetti la multiforme storia del Santo Graal, quale oggetto straordinario di favolosa origine e dalle incredibili virtù, è tra le più notevoli creazioni letterarie della cultura europea del XII e XIII secolo, iniziata da Chrétien de Troyes col Parsifal (o Il racconto del Graal), passata attraverso un numero impressionante di continuazioni fino all’opera di Robert de Boron col quale la ricerca della Sacra Coppa diventa l’allegoria della spiritualità cristiana opposta a quella cortese, mondana e corrotta.
Il Graal, con la sua valenza mistica e filosofica, è così diventato nel tempo il simbolo per antonomasia di tutto ciò che è irraggiungibile, della verità e della sapienza come ricerca continua di qualcosa che non sarà mai definibile. Anche per questo si lega ad esso l’idea di avventura, di viaggio con prove da superare, che non si ferma ai poemi cavallereschi del ciclo di Artù ma, attraverso le opere di Wagner, arriva fino ai film di Spielberg. Il Graal, insomma, non è solo qualcosa di materiale, ma un’idea legata nel mondo occidentale alla fonte stessa della Verità, a Cristo e al suo Sangue.

I luoghi segreti del Graal
Non mancano tuttavia, a onor del vero, studiosi che ritengono il Graal un oggetto materiale realmente esistito: se questo corrispondesse alla realtà, dove potrebbe trovarsi adesso? I ricercatori hanno in realtà individuato una gran varietà di siti, perché è davvero incredibile quanto siano numerose le interpretazioni possibili da accurate e sistematiche letture delle fonti. Da ultimo si è anche autorevolmente giunti a sostenere che qualunque cosa fosse il Graal prima di essere cristianizzato (un calderone gallese, un oggetto del rituale egiziano o un tesoro cataro) ad ispirarne le storie nei romanzi dell’epopea cavalleresca medioevale sarebbero state le leggende sul Mandylion di Edessa (cioè la Sacra Sindone, oggi a Torino) portata in Europa, sembra, dai Cavalieri Templari e comunque da essi a lungo custodita. In ogni caso, questi sono i luoghi maggiormente nominati dalle fonti:
Il castello di Gisors, oggi in rovina, si trova nel centro della Francia settentrionale, sull’Epte. I Cavalieri Templari avevano stretto rapporti con la Setta degli Assassini, un gruppo iniziatico ismailita che adorava una misteriosa divinità chiamata Bafometto. Per alcuni il Bafometto altro non era che il Graal; prima di essere sgominati, gli Assassini lo avevano affidato ai Templari, che lo avevano portato in Francia verso la metà del XII secolo. Se le cose fossero davvero andate così, ora il Graal si troverebbe tra i leggendari tesori dei Templari (mai rinvenuti) in qualche sotterraneo del castello di Gisors.
Takht-I-Sulaiman. Secondo questa ipotesi, il Graal sarebbe il simbolico “Fuoco Reale” fonte della conoscenza, adorato dai seguaci di Zarathustra a Takht-I-Sulaiman, il principale centro del culto di Zoroastro. Takht-I-Sulaiman potrebbe essere dunque la leggendaria Sarraz, da cui il Graal (Fuoco Reale) giunse, a cui ritornò e dove forse si trova ancora.

Il castello di Montségur. Dopo che il culto di Zoroastro venne soppresso, alcune delle sue dottrine furono ereditate dai Manichei e, in seguito, dai Catari o Albigesi; questi ultimi erano giunti in Europa dal Medio Oriente, passando per la Turchia e i Balcani, e si erano stabiliti in Francia nel XII secolo. Nel 1244, dopo una lunga persecuzione da parte del Papato e dei francesi, furono sterminati nella loro fortezza di Montségur; nei pressi di Lavelanet, nella Francia meridionale. Se avessero portato con loro il Graal durante le loro peregrinazioni, ora esso potrebbe trovarsi insieme al resto del loro tesoro in qualche impenetrabile nascondiglio del castello.
Glastonbury. Il nobile Giuseppe d’Arimatea, già membro del Sinedrio e discepolo di Gesù, nonché proprietario del Santo Sepolcro, nel 63 d.C. avrebbe lasciato via mare la Terra Santa per raggiungere uno stretto estuario a est dell’Inghilterra, fino a Glastonbury Tor, l’isola di vetro. Secondo la tradizione popolare, Giuseppe avrebbe recato con sé una coppa contenente il sangue di Gesù Cristo, il Sacro Graal. In Inghilterra il Graal sarebbe restato a lungo. In un anno imprecisato del primo millennio i monaci di Glastonbury annunciarono la scoperta di due ampolle che sarebbero state sepolte con Giuseppe d’Arimatea e già menzionate in precedenza in alcuni scritti del 540. Le ampolle sono raffigurate nelle vetrate colorate della chiesa di St. John a Glastonbury, nella chiesa di Langport in Somerset e sulla parete divisoria fra la navata e il coro a Plymtree nel Devon.
Castel del Monte, che sorge su di un’altura isolata delle Murge pugliesi nel comune di Andria (Bari), è un monumento tra i più solenni e grandiosi del medioevo, fatto costruire da Federico II dal 1240 al 1250, con una originalissima, e secondo molti simbolica, planimetria ottagonale con otto torri angolari, anch’esse ottagonali. I Cavalieri Teutonici – fondati nel 1190 – erano in contatto sia con i mistici Sufi – una setta islamica che adorava il Dio delle tre religioni, Ebraica, Islamica e Cristiana – sia con l’illuminato Imperatore Federico II Hohenstaufen, a sua volta seguace di quella dottrina. Tramite i Cavalieri Teutonici, i Sufi avrebbero affidato il Graal all’Imperatore, affinché lo preservasse dalle distruzioni scatenate dalle Crociate. In tal caso, il Graal si troverebbe proprio a Castel del Monte, che, secondo tale interpretazione, sarebbe stato edificato apposta per custodirlo.

Torino. Importato forse dai pellegrini che si spostavano per l’Europa durante il medioevo o forse dai Savoia insieme alla Sacra Sindone, il Graal sarebbe giunto nel capoluogo piemontese; le statue del sagrato del tempio della Gran Madre di Dio, sulle rive del Po, indicano, a chi è in grado di comprenderne la complessa simbologia, il nascondiglio della Coppa.
Bari. Nel 1087 un gruppo di mercanti portò a Bari dalla Turchia le spoglie di San Nicola e in loro onore venne edificata una basilica. In realtà, la traslazione del Santo era solo la copertura di un ritrovamento ben più importante, quello del Graal. I mercanti erano in realtà cavalieri in missione segreta per conto di Papa Gregorio VII. Il Pontefice era al corrente del potere del Calice, ma non intendeva pubblicizzare la sua ricerca, né l’eventuale ritrovamento, in quanto esso era un oggetto pagano o comunque il simbolo di una religione ancor più universale di quella cattolica. Gli premeva di recuperarlo da Sarraz, in quanto temeva che la sua presenza sul suolo turco avrebbe aiutato i Saraceni nella loro espansione ai danni dell’Impero Bizantino e avrebbe nuociuto al programmato intervento di forze cristiane in Terra Santa a difesa dei pellegrini. Non è dato di sapere dove si trovasse la coppa e chi comandò la spedizione. La scelta di custodire il Graal a Bari anziché a Roma fu determinata da due motivi: da lì si sarebbero imbarcati i cavalieri per la Terra Santa (la prima crociata fu bandita sei anni dopo il ritrovamento) e il Graal avrebbe riversato su di loro i suoi benefici effetti; in più la sua presenza avrebbe protetto Roberto il Guiscardo, Re normanno di Puglie, principale alleato del Papa nella lotta contro Enrico IV. A ricordo dell’avvenimento, sul portale della cattedrale, si trova l’immagine di Re Artù e un’indicazione stilizzata del nascondiglio.
I Templari, custodi del mistero
In definitiva, qualunque sia la verità, se ce n’è una, la storia del Graal appare intrecciata a doppio filo, nel lento svolgersi dei secoli, proprio a quella dei Templari. In un poema del XIII secolo, scritto da Wolfram von Eschenbach (probabilmente un Templare lui stesso) sono proprio i Templari ad essere indicati come indissolubilmente legati alla custodia del Santo Graal, oltre che forse, anche se meno esplicitamente, anche all’eresia Catara, poi distrutta nel sangue. Proprio le ramificazioni che storia e leggenda hanno riservato a questo, che è stato il primo Ordine Cavalleresco riconosciuto di Monaci Combattenti, portano a un’infinità di percorsi misteriosi, intriganti, equivoci, eroici, e per molti versi ancora da esplorare e da spiegare, a interrogativi dai risvolti inquietanti e ancora senza risposta, nonostante le ricerche estenuanti che tuttora impegnano studiosi di varie discipline.
http://www.feltrinelli.it/FattiLibriInterna?id_fatto=2610
Quei bestseller che vanno da dio
Marco D’Eramo
Tratto da “il manifesto”, 23 marzo 2004
Sei milione di copie per “Il codice Da Vinci”, thrillerone cristiano finto-storico e anticattolico: è boom dell’apocalittico. Come la serie “Left Behind”, 58 milioni di libri venduti: l’Anticristo è il capo dell’Onu, fa pace con Israele, vara la moneta mondiale… Se c’è una guerra di civiltà, la nostra è messa davvero male
Il Codice Da Vinci di Dan Brown è da sei settimane in testa alle classifiche dei libri stranieri più venduti in Italia e, da quando è uscito a novembre, ha venduto 350.000 copie. Nulla rispetto al successo che ha avuto negli Stati uniti dove – è notizia di due giorni fa – è stato per 14 settimane consecutive in testa alla graduatoria dei best-seller del New York Times, ha avuto 53 ristampe e venduto 6,3 milioni di copie: “il romanzo per adulti che ha venduto di più nel corso di un anno”, ha annunciato Doubleday (una divisione di Random House); dopo Harry Potter non si era visto nulla di simile. Ma il successo del romanzo nella cattolicissima Italia è interessante perché Il Codice Da Vinci è un libro anticattolico e, quel che più conta, virulentemente ostile all’Opus Dei. È, per di più, un thriller che si pretende basato su una “rigorosa ricerca” e che si vuole “veridico”: l’abilità del narratore sta proprio nel persuadere il lettore della “verità” soggiacente alla trama. Così il lettore è via via convinto di tutte le “informazioni” che Brown gli ammannisce sul Santo Graal, sulle “reali” volontà di Leonardo nel dipingere L’ultima cena, su Maria Maddalena apostola preferita, moglie di Gesù, madre di sua figlia e sua erede designata alla testa della chiesa (invece di Pietro che “sarà la pietra…”).
Conta poco che la “ricerca” sia men che rigorosa: così Brown sostiene che Parigi è stata fondata dai Merovingi (e la romana Lutetia dove la mette?) dimentica che i papi hanno avuto residenza ad Avignone, afferma che cinque milioni di donne sono state bruciate come streghe dalla chiesa cattolica (un centuplo tondo tondo del massimo accreditato dagli storici che, per tutti i secoli dal `300 al `700, suggeriscono una forchetta tra 30.000 e 50.000 vittime). L’importante è “l’effetto realtà” che Brown induce. Il lettore è davvero convinto da Brown che l’Opus Dei è un’organizzazione criminale, e lo straordinario è che questa convinzione può benissimo convivere – nel lettore italiano e cattolico – con la venerazione per papa Wojtyla che dell’Opus Dei è stato il massimo sostenitore e che ha spinto e accelerato la causa di santificazione del suo fondatore Escrivá de Balaguer (1902-75).
È scritto con astuzia Il codice Da Vinci. Infatti una delle sue tesi portanti – la centralità della figura femminile di Maria Maddalena nel messaggio e nel retaggio di Gesù – ha una forte valenza attuale, ed è stata accreditata negli ultimi decenni dalle teologhe femministe. Brown si presenta quindi come paladino di un “cristianesimo dal volto umano”, “politicamente corretto”. Sono anni che questo tema ribolliva sotto la superficie, ma proprio Il codice Da Vinci ha permesso di farlo emergere, tanto che Karen King, docente della facoltà di teologia della prestigiosa facoltà di Harvard (Harvard Divinity School), ha pubblicato a novembre una saggio intitolato Il Vangelo di Maria di Magdala che riporta questo vangelo – un frammento di otto pagine, scritto nel II secolo d. C. e smarrito per 1.500 anni – che racconta di una conversazione tra Maria (Maddalena), Pietro, Andrea e Levi sugli insegnamenti che Gesù diede a Maria sulla fine del mondo materiale e sulla natura del peccato. In un’intervista al Christian Science Monitor Karen King affferma che questo vangelo “ci mostra che esisteva una tradizione di Maria Maddalena come importante apostolo della chiesa dopo la resurrezione”. Altre opere gnostiche (vangeli esclusi dal Nuovo Testamento e definiti eretici dai padri della chiesa) avvalorano l’idea di questo ruolo: solo molto tardi Maria Maddalena fu percepita come una prostituta, addirittura solo nel 591 d. C., quando Gregorio Magno la identificò con un’anonima peccatrice della Bibbia (nel 1969 la Chiesa corresse ufficialmente questo errore, ma nessuno se ne è accorto).
Il successo di questo “thriller teologico” costituisce un ulteriore sintomo dell’americanizzazione dell’Italia. Se anche l’accostarsi alla religione si americanizzasse qui da noi, sarebbe un pessimo segnale per la Curia vaticana perché porrebbe il cattolicesimo italiano nella situazione di quello americano: una setta che compete con altre sette, una denominazione tra le altre. E il cardinal Camillo Ruini si troverebbe a fare il “telepredicatore”: ma sono anni che in pratica già esercita.
Forse in Italia resta meglio definita la frontiera che separa fantasia e realtà. O almeno così sembra: non mi risulta che qui circoli culturali e associazioni religiose organizzino dibattiti per discutere se le tesi del Codice Da Vinci siano giuste o no, se l’Opus Dei sia davvero una setta criminale. Invece negli Usa la polemica divampa. Giusto ad esempio, consultando oggi i giornali del Colorado, ho trovato tre conferenze che discutevano di questo giallo.
Il romanzo di Brown è stato avvantaggiato nelle vendite dal momento in cui è apparso: si è inserito nella violenta campagna anticattolica scatenata negli Stati uniti a partire dalla pedofilia dei preti: è facile imputare il dilagare della pedofilia alla cancellazione cattolica della femminilità, al discredito clericale dell’etero-sessualità, alla chiudersi dell’apostolato in un universo tutto maschile (i dodici apostoli). Ma il Codice Da Vinci non è il primo romanzo a sfondo anticattolico: ricordo un altro thriller americano – mi sfugge il titolo – in cui la parte del vilain, l’equivalente del Kgb ai tempi della guerra fredda, era sostenuta dalla Compagnia di Gesù: e il Generale dei gesuiti faceva le veci del classico dittatore pazzo col delirio di onnipotenza.
Questo thriller teologico s’inserisce però in un’altra tendenza di lunga durata. Da molti decenni, sempre più spesso avviene negli Stati uniti (ma sembra che adesso accada anche in Italia) che sempre meno gente legge la Bibbia, ma sempre più gente legge libri o vede film sulla Bibbia: è di questo mese l’incredibile successo di botteghino, negli Usa, del film su Gesù Cristo di Mel Gibson, La passione, che ha incassato 250 milioni di dollari nelle prime due settimane di proiezione e che, anch’esso, riafferma la natura umana, affettiva e sensuale del “figlio di dio”.
La tendenza risale addirittura agli anni `20 del `900 quando due tra i maggiori bestseller furono “romanzi cristiani”. Ma il fenomeno più clamoroso è dell’ultimo decennio ed è quello della serie di romanzi Left Behind (letteralmente “Lasciati indietro”, ma anche “Abbandonati”) di Tim Lahaye e Jerry B. Jenkins, le cui dimensioni hanno dell’incredibile: i primi undici romanzi della serie hanno venduto la pazzesca cifra di 58 milioni di copie! E per il 30 marzo è annunciato il 12-esimo e ultimo volume (Glorious Appearing: the End of Days).
Così comincia il primo volume: milioni di persone scompaiono nel giro di una notte e l’Anticristo diventa segretario generale delle Nazioni unite. Anticristo è un ex presidente della Romania che inganna quasi tutti quelli “lasciati indietro”, tranne un gruppetto di prodi che include un reporter politico per un settimanale internazionale. Anticristo mette su un trattato di pace con Israele, vara una moneta unica mondiale, ricostruisce il tempio di Salomone, sposta la sede delle Nazioni unite in Iraq, e persuade tutte le nazioni a disarmare. Il quinto volume, Apollyon (3,1 milioni di copie vendute) riguarda la calamità di cavallette con teste umane e ali metalliche. L’ottavo volume, The Mark (“Il marchio”, 3 milioni di copie) mette in scena gli umani che fanno la fila per farsi impiantare dal governo dell’Anticristo nella mano destra un microchip, che è il marchio della Bestia (inteso come Satana). In The Remnant (prima tiratura: 2 milioni di copie), metà dell’umanità è stata uccisa o vive sotto terra, mentre le calotte polari si sciolgono e i mari si trasformano in sangue.
Left Behind ha trasposto in narrativa romanzata quel filone apocalittico che già da decenni fa la fortuna degli editori americani. Nella memoria si staglia ancora l’incredibile successo del volume – non di narrativa – di Hal Lindsey, Late Great Planet Earth (“Il fu pianeta terra”) del 1970 che nel 1978 aveva già venduto 9 milioni di copie e nel 1990 aveva sfondato il muro dei 20 milioni. Hal Lindsey naturalmente recidivò con There is a New World Coming (1973) e The 1980: Countdown to Armageddon (1980), volume questo che iniziava con la frase “Il decennio 1980 potrebbe benissimo essere l’ultimo decennio della storia come la conosciamo” e che rimase per 20 settimane nella lista dei best-seller del New York Times. Ci furono anche altri successi “minori” che manderebbero in estasi qualunque autore: così Guide to Survival (1968) di Salem Kirbans vendette più di 500.000 copie; Destined to the Throne (1975) di Paul Billheimer più di 650.000; Armageddon, Oil and the Middle east Crisis (1974, si noti la coincidenza con la prima crisi petrolifera) di John Walvoord più di 750.000 copie; e Set the Trumpet to the Mouth (1985) di David Wilkerson più di un milione di copie. I grandi editori “laici” sbavavano davanti a simili cifre e cercarono di comprare le case editrici evangeliche, battiste, avventiste, la maggior parte delle quali situate a ovest degli Appalachi, a Grand Rapids (Michigan), Waco (Texas), Tulsa (Oklahoma). Per esempio Bantahm Books comprò dalla casa Zondervan di Grand Rapids i diritti del Late Great Planet Earth. Nel 1977 Abc comprò Word Books, editore evengelico di Waco con un forte catalogo profetico; nell’88 Harper and Row pagò 57 milioni di dollari per Zondervan (il primo editore al mondo di Bibbie). Nel 1994 Ballantine (una divisione della Random House di Bertelsmann) aprì una collana Moorings (ormeggi) basata a Nashville, ma dovette chiuderla due anni dopo per le pessime vendite. Un altro marchio della Random, Doubleday Broadway, mise su una filiale WaterBrook Press a Colorado Springs in Colorado.
La stessa serie Left Behind ha creato il suo proprio business e i propri emuli. LaHaye ha lanciato una serie Left Behind per bambini, un Club di profezia sul Web, libri di saggistica di profezia e un Pew Trib(-ulation) Research Center. E ora ha firmato un contratto per una nuova serie di romanzi con Bantam Dell per la fantastica somma di 45 milioni di dollari (90 miliardi di lire). Dal canto suo Jerry B. ha firmato con Tyndale un contratto per tre libri, “il più costoso mai firmato dalla casa editrice” ha detto un suo portavoce.
E naturalmente la Tyndale House Publishers cerca di replicare il successo di Left Behind. La casa ha varato l’anno scorso due nuove collane di romanzi, una militare e una politica. Il primo romanzo della collana militare, Apocalypse Dawn (“Alba d’apocalisse”) è uscito a luglio scorso, ed è il primo “romanzo cristiano” di un autore sperimentato, Mel Odom: è il primo di una serie di tre, che racconta la storia di un’unità militare sulla falsariga di Left Behind, i cui personaggi entrano ed escono anche da questi nuovi romanzi. Della collana politica sono usciti già i due primi thriller (anch’essi di una serie di tre), State Secrets ed End of State, di Neesa Hart.Come si precipitarono dietro Late Great Planet Earth, così ora i grandi editori laici s’infilano dietro il successo di Left Behind. Penguin Putnam ha varato la propria serie religiosa, che segue da vicino lo schema di Left Behind, intitolata The Prodigal Project, di Daniel Hart e Ken Abraham,costituita da sei romanzi: i primi tre, Exodus, Genesis e Numbers, sono già sugli scaffali.
Fa impressione che il grande successo editoriale per l’infanzia sia Harry Potter, un romanzo di magia, mentre i grandi successi librari per adulti, gli unici in grado di competere con il cinema, siano religiosi, o apocalittici o dietrologici complottisti. Avanti con “la guerra di civiltà” contro il fondamentalismo islamico!
E tanto per smentire D’Eramo sull’assenza di dibattiti in Italia e per tornare alla mia introduzione a questa pagina, ecco un sito cattolico che mette i piedi nel piatto, con un titolo che è un intero programma:
http://www.kattoliko.it/leggendanera/chiesa/davincicode.htm
Smantellare Il Codice Da Vinci
di Sandra Miesel
“Il Graal” riprese Langdon “simboleggia la dea perduta. Quando è giunto il cristianesimo, le vecchie religioni pagane non si sono lasciate uccidere facilmente. Le leggende dei cavalieri alla ricerca del Graal perduto erano in realtà storie di ricerche proibite per ritrovare il femminino sacro perduto. I cavalieri che affermavano di “cercare il calice” parlavano in codice per proteggersi da una Chiesa che aveva soggiogato le donne, bandito la dea, bruciato i non credenti e proibito il rispetto pagano per il femminino sacro”. (Il Codice Da Vinci, trad. it., p. 280)
Il Santo Graal è la metafora preferita per indicare un obiettivo desiderabile ma difficile da conseguire, dalla mappa del genoma umano alla Stanley’s Cup. Sebbene il Graal originale — la coppa che si dice utilizzata da Gesù durante l’Ultima Cena — normalmente occupi le pagine del romanzo arturiano, il recente mega-best seller di Dan Brown, Il Codice Da Vinci, lo strappa dal reame della storia esoterica.
Tuttavia il suo libro è ben più che la storia di una ricerca del Graal. Brown reinterpreta totalmente la leggenda del Graal. Nel fare questo, Brown capovolge l’intuizione che il corpo della donna sia simbolicamente un contenitore e rende un contenitore simbolicamente un corpo di donna. E quel contenitore ha un nome che ogni cristiano riconoscerà, perché Brown afferma che il Sacro Graal era in realtà Maria Maddalena. Essa era il recipiente che conteneva il sangue di Gesù Cristo nell’utero, partorendone il figlio.
Nel corso dei secoli, i custodi del Graal hanno vigilato sulla vera (e continua) discendenza di Cristo e i sui resti della Maddalena, non su un recipiente materiale. Perciò Brown sostiene che “la ricerca del Santo Graal è […] la ricerca del luogo dove inginocchiarsi davanti alle ossa di Maria Maddalena”, una conclusione che avrebbe sicuramente sorpreso Sir Galahad e gli altri cavalieri del Graal che pensavano di cercare il calice dell’Ultima Cena.
Il Codice Da Vinci si apre con il macabro omicidio del curatore del Louvre all’interno del museo. Il crimine coinvolge l’eroe Robert Langdon, uno sportivo professore di simbologia proveniente da Harvard, e la nipote della vittima, Sophie Nevue, crittologa dai capelli rossi. Insieme allo storico milionario zoppo Leigh Teabing fuggono da Parigi a Londra un passo in anticipo sulla polizia e su un pazzo “monaco” albino dell’Opus Dei di nome Silas, che non si fermerà di fronte a nulla per impedire loro di trovare il “Graal”.
Ma nonostante il ritmo frenetico, in nessun punto all’azione viene permesso di interferire con una buona lezione. Prima che la storia si ritrovi al punto di partenza al Louvre, i lettori affrontano un fuoco di fila di codici, enigmi, misteri, e cospirazioni.
Con il suo principio affermato due volte, “a tutti piacciono i complotti”, Brown rievoca la famosa autrice che creava il suo prodotto studiando le caratteristiche dei dieci best-seller precedenti. Sarebbe troppo facile criticarlo per i personaggi sottili come una copertina di plastica, per la prosa indistinta e per l’azione improbabile. Ma Brown non sta tanto scrivendo malamente quanto scrivendo in un modo particolare, calcolato al meglio per attirare il pubblico femminile (le donne, dopo tutto, comprano la maggior parte dei libri della nazione). Ha coniugato una trama da thriller a una tecnica romanzesca. Notate come ogni personaggio sia un tipo estremo… brillante senza sforzo, untuoso, sinistro, o psicotico quando necessario, che si muove su sfondi lussuosi ma curiosamente piatti. Evitando la violenza e la ginnastica da camera da letto, mostra solo un breve bacio e un rito sessuale eseguito da una coppia sposata. Le allusioni spinte sono sfuggenti benché il testo indugi su qualche sanguinosa mortificazione dell’Opus Dei. In breve, Brown ha costruito un romanzo perfetto per un club di libri per signore.
La mancanza di serietà di Brown si rivela nei giochi (1) che fa con i nomi dei suoi personaggi — Robert Langdon, “professore alto di chiara fama” (distinto e virile); Sophie Nevue, “Nuova Eva della sapienza”; l’irascibile e taurino detective Bezu Fache, “collera di zebù”. Il servo che guida verso di loro la polizia è Legaludec, “duce legale”. Il curatore assassinato trae il cognome, Saunière, da un vero prete cattolico le cui buffonerie esoteriche diffusero l’interesse verso il segreto del Graal. Come scherzo nascosto, Brown inserisce perfino il suo editore nella vita reale (Faukman è Kaufman).
Mentre l’ampio uso delle formule romanzesche può essere il segreto della celebrità di Brown, il suo messaggio anti-cristiano non può avergli fatto male nei circoli editoriali: Il Codice Da Vinci ha debuttato in cima alla lista dei best-seller del New York Times. Manipolando il suo pubblico mediante le convenzioni della scrittura romanzesca, Brown invita i lettori a identificarsi con i suoi personaggi eleganti e fascinosi che hanno visto oltre le imposture dei chierici che nascondono la “verità” su Gesù e sua moglie. La bestemmia viene pronunciata con voce pacata e ridendo sommessamente: “Tutte le religioni del mondo sono basate su falsificazioni”.
Ma anche Brown ha i suoi limiti. Per schivare le accuse di fanatismo, include un crescendo di trucchi che assolve la Chiesa dall’assassinio. E benché presenti il cristianesimo come falso in radice, è disposto a tollerarlo per la sua opera caritativa.
(Naturalmente, il cristianesimo cattolico diventerà anche più tollerabile una volta che il nuovo papa liberale eletto nel precedente romanzo di Brown con protagonista Langdon, Angeli & Demoni, abbandonerà gli insegnamenti fuori moda. “Le leggi del terzo secolo non si possono più applicare ai moderni seguaci di Cristo”, dice uno dei cardinali progressisti del libro)
Da dove tra tutto questo?
In realtà Brown cita le sue fonti principali all’interno del testo del suo romanzo. Uno è un classico della cultura femminista accademica: I vangeli gnostici di Elaine Pagels. Le altre sono storie esoteriche popolari: La Rivelazione dei templari. Guardiani segreti della vera identità di Cristo di Lynn Picknett e Clive Prince; Il Santo Graal di Michael Baigent, Richard Leigh, e Henry Lincoln; La Dea nei Vangeli. La rivendicazione del femminino sacro e La Donna dalla giara di alabastro. Maria Maddalena e il Santo Graal, entrambi di Margaret Starbird. (i libri della Starbird, che si dice cattolica, sono stati pubblicati da Matthew Fox’s outfit, Bear & Co.). Un’altra influenza, almeno in seconda battuta, è L’Enciclopedia Femminile dei Miti e dei Segreti di Barbara G. Walker.
L’uso di fonti talmente inaffidabili pregiudica le pretese intellettuali di Brown. Ma la cosa ha apparentemente ingannato almeno alcuni dei suoi lettori: il revisore dei libri dei New York Daily News ha strombazzato: “La sua ricerca è impeccabile”.
Tuttavia, nonostante le arie da studioso di Brown, uno scrittore che pensa che i Merovingi abbiano fondato Parigi e dimentica che i papi un tempo vivevano ad Avignone, è difficile sia un ricercatore modello. E che affermi che la Chiesa abbia bruciato cinque milioni di donne in quanto streghe mostra un’ignoranza intenzionale — e in malafede — del dato storico. Le ultime cifre delle morti durante la caccia alle streghe in Europa vanno da 30.000 a 50.000 vittime. Non tutte furono eseguite dalla Chiesa, non tutte erano donne, e non tutte furono bruciate. L’affermazione di Brown secondo cui dai cacciatori di streghe venivano scelte le donne istruite, le sacerdotesse e le levatrici non solo è falsa, ma tradisce le sue fonti bendisposte nei confronti della dea.
Una moltitudine di errori
Il Codice Da Vinci è talmente pieno di errori che il lettore istruito applaude in realtà quelle rare occasioni dove Brown (suo malgrado) incespica nella verità. Qualche esempio della sua “impeccabile” ricerca: Brown sostiene che i movimenti del pianeta Venere tracciano un pentacolo (il cosiddetto pentagramma di Ishtar) che simboleggia la dea. Tuttavia esso non è una figura perfetta e nulla ha a che fare con la durata dell’Olimpiade. Gli antichi Giochi Olimpici venivano celebrati in onore di Zeus olimpico, non di Afrodite, e si svolgevano ogni quattro anni.
Erronea è anche l’affermazione di Brown secondo la quale i cinque anelli congiunti dei moderni Giochi Olimpici sono un segreto tributo alla Dea: ad ogni serie dei giochi si supponeva di aggiungere un anello al disegno ma gli organizzatori si fermarono a cinque. E sono semplicemente ridicoli i suoi sforzi di leggere la propaganda in favore della Dea nell’arte, nella letteratura, e anche nei cartoni animati Disney.
Nessun dato è troppo dubbio per essere incluso, e la realtà viene accantonata velocemente. Per esempio, il vescovo dell’Opus Dei incoraggia il suo albino assassino raccontandogli che anche Noè era un albino (una nozione tratta dal non-canonico 1 Enoch 106:2). Tuttavia l’albinismo in qualche modo non interferisce con la vista dell’uomo come dovrebbe fisiologicamente.
Ma un esempio molto più importante è il trattamento di Brown dell’architettura gotica come uno stile pieno di simboli di culto verso la Dea e di messaggi in codice per confondere i non iniziati. Basandosi sull’affermazione di Barbara Walzer che “come un tempio pagano, la cattedrale gotica rappresenta il corpo della Dea”, La rivelazione dei Templari afferma: “Il simbolismo sessuale è presente anche nelle grandi cattedrali gotiche, la cui costruzione fu promossa dai Templari. Elementi caratteristici […] rappresentano elementi anatomici femminili: l’arco, che introduce i visitatori nel corpo della Chiesa Madre, evoca la vulva”. Nel Codice Da Vinci, questi sentimenti sono trasformati nella spiegazione da parte di un personaggio di come la “lunga navata vuota della cattedrale fosse un segreto tributo pagano all’utero femminile […] completa di escrescenze labiali incassate e di un clitoride floreale a cinque petali al di sopra del portale”.
Queste osservazioni non possono essere accantonate come opinioni del “cattivo”; Langdon, l’eroe del libro, si riferisce alle sue conferenze a Chartres sul simbolismo della Dea.
Questa bizzarra interpretazione tradisce la non conoscenza del reale sviluppo o della costruzione dell’architettura gotica, e correggere gli innumerevoli errori diventa un noioso esercizio: I Templari nulla avevano a che fare con le cattedrali del loro tempo, che furono commissionate dai vescovi e dai loro canonici in tutta Europa. Essi erano uomini illetterati senza alcuna arcana conoscenza della “geometria sacra” tramandata dai costruttori di piramidi. Non dominavano gli stessi strumenti sui loro progetti, né fondarono corporazioni di massoni per costruirne per altri. Non tutte le loro chiese erano rotonde, né la rotondità era un insulto di sfida alla Chiesa. Piuttosto che essere un tributo al divino feminino, le loro chiese circolari onoravano la Chiesa del Santo Sepolcro.
In realtà guardando le chiese gotiche e quelle che le precedettero l’idea del simbolismo femminile si sgonfia. Le grandi chiese medievali tipicamente avevano tre porte frontali a ovest più triple entrate ai loro transetti a nord e a sud (quale parte dell’anatomia femminile rappresenta il transetto? o la volta della navata centrale di Chartres?). Le chiese romaniche — incluse quelle che precedono la fondazione dei Templari — hanno bande decorative simili che si inarcano sopra le entrate. Sia le chiese gotiche che quelle romaniche hanno ereditato dalle basiliche tardoantiche la navata lunga e rettangolare, derivata fondamentalmente dagli edifici pubblici romani. Né Brown né tantomeno le sue fonti considerano quale simbolismo coglievano nello schema di una chiesa ecclesiastici medievali come Suger di St.-Denis o Guillaume Durand. Certamente non culto nei confronti della Dea.
Affermazioni false
Se quanto sopra sembra uno schiacciatesta inflitto a un moscerino, i colpi sono necessari per dimostrare la totale falsità del materiale di Brown
Le sue volontarie distorsioni della storia documentata si accoppiano più che bene con le sue strambe affermazioni su argomenti controversi. Ma per un postmodernista una costruzione della realtà vale l’altra.
L’approccio di Brown sembra consistere nel raccogliere ampie sezioni delle sue fonti e scuoterle insieme in una insalata di storia. Da Il Santo Graal Brown prende il concetto del Graal come metafora del lignaggio sacro spezzando arbitrariamente un termine francese medievale, Sangraal (Santo Graal), in sang (sangue) e raal (reale). Questo santo sangue, secondo Brown, discendeva direttamente da Gesù e da sua moglie, Maria Maddalena, alla dinastia Merovingia nei tempi bui della Francia, sopravvivendo alla sua caduta per persistere in diverse famiglie francesi moderne, inclusa quella di Pierre Plantard, uno dei capi del misterioso Priorato di Sion. Il Priorato — un’organizzazione reale registrata ufficialmente dal governo francese nel 1956 — fa affermazioni straordinarie riguardo la propria antichità come il “vero” potere dietro i Cavalieri Templari. Con ogni probabilità sorse dopo la seconda guerra mondiale e fu portato per la prima volta a pubblica conoscenza nel 1962. Ad eccezione del regista Jean Cocteau, la sua illustre lista di Gran Maestri — che include Leonardo da Vinci, Isaac Newton, e Victor Hugo — non è credibile, benché presentata come vera da Brown.
Brown non accetta una motivazione politica per le attività del Priorato. Al contrario, accoglie l’idea della Rivelazione dei templari dell’organizzazione come un culto di adoratori segreti della Dea che hanno conservato l’antica saggezza gnostica e i ricordi dell’autentica missione di Cristo, che se resi pubblici rovescerebbero completamente il cristianesimo. In maniera significativa, Brown omette il resto delle tesi del libro che vedono Cristo e Maria Maddalena, partner sessuali senza essere sposati, che eseguono i misteri erotici di Iside. Forse anche un pubblico di massa credulone ha i suoi limiti.
Da Il Santo Graal e dalla Rivelazione dei templari, Brown trae una visione negativa della Bibbia e un’immagine fortemente distorta di Gesù, che non è né il Messia né un umile carpentiere ma un ricco, istruito maestro religioso deciso a riconquistare il trono di Davide. Le sue credenziali sono amplificate dalla sua relazione con la ricca Maddalena che porta il sangue reale di Beniamino: “Quasi tutto ciò che i nostri padri ci hanno insegnato a proposito di Cristo è falso”, si lamenta uno dei personaggi di Brown.
Tuttavia è la cristologia di Brown a essere falsa, e lo è ciecamente. Brown pretende che l’attuale Nuovo Testamento sia una falsificazione post-costantiniana che ha soppiantato le vere narrazioni ora rappresentate solo dai sopravviventi testi gnostici. Afferma che Cristo non fu considerato divino fino al Consiglio di Nicea che lo votò in questo modo nel 325 agli ordini dell’imperatore. Poi Costantino — adoratore del sole per tutta una vita — ordinò che tutti i testi scritturistici più antichi fossero distrutti, ed è per questo che nessuna serie completa di Vangeli è anteriore al quarto secolo. I cristiani in qualche modo non riuscirono ad accorgersi dell’improvviso e drastico cambiamento nella loro dottrina.
Ma secondo lo specioso ragionamento di Brown, neanche il vecchio Testamento può essere autentico perché le Scritture ebraiche complete non sono più vecchie di un migliaio di anni. E i testi tuttavia furono trasmessi così accuratamente che si adattano bene ai rotoli del mar Morto anteriori di mille anni. L’analisi delle famiglie testuali, comparazioni di frammenti e citazioni più le correlazioni storiche datano sicuramente i Vangeli ortodossi al primo secolo e indicano come essi siano anteriori rispetto alle contraffazioni gnostiche. (Le Epistole di S. Paolo naturalmente precedono anche i Vangeli).
I documenti della Chiesa Primitiva e la testimonianza dei Padri anteniceani confermano che i cristiani hanno sempre creduto che Gesù fosse il Signore, Dio, e Salvatore, anche quando quella fede significava la morte. I primi canoni parziali delle Scritture risalgono alla fine del secondo secolo e ripudiano già gli scritti gnostici. Per Brown, non è sufficiente attribuire a Costantino la divinizzazione di Gesù. La vecchia adesione dell’imperatore al culto del Sol Invictus si proponeva quindi di riciclare l’adorazione del sole come la nuova fede. Brown ripropone vecchie (e screditate da lungo tempo) accuse da parte di virulenti anticattolici come Alexander Hislop che accusava la Chiesa di perpetuare i misteri babilonesi, e come i razionalisti del XIX secolo che consideravano Cristo solo come un altro dio salvatore morente.
Non sorprende che Brown non perda l’opportunità di criticare il cristianesimo e i suoi patetici seguaci. (La chiesa in questione è sempre la chiesa cattolica, benché il suo “cattivo” in un’occasione si faccia apertamente beffe degli anglicani; di tutte le cose, per il loro aspetto arcigno). Si riferisce in maniera continua e anacronistica alla Chiesa come al “Vaticano”, anche quando i papi non vi risiedevano. Rappresenta sistematicamente la Chiesa nel corso della storia come infida, smaniosa di potere, astuta, e omicida: “La Chiesa non può più servirsi dei crociati per ammazzare i non credenti, ma la sua influenza è altrettanto efficace. E altrettanto insidiosa”.
Il Culto della Dea e la Maddalena
La cosa peggiore agli occhi di Brown è che l’ostilità della Chiesa nei confronti del piacere, del sesso e della donna abbia soppresso il culto della Dea ed eliminato il femminino sacro. Sostiene che il culto della Dea dominasse universalmente il paganesimo precristiano con lo hieros gamos (matrimonio sacro) come rito centrale. Il suo entusiasmo per i riti di fertilità è l’entusiasmo per la sessualità, non per la procreazione. Cos’altro ci si aspetterebbe da un simpatizzante del catarismo?
In maniera stupefacente, Brown afferma che gli ebrei nel Tempio di Salomone adoravano Yahweh e la sua controparte femminile, la Shekinah, tramite i servigi delle prostitute sacre — probabilmente una versione distorta della corruzione del Tempio dopo Salomone (1 Re 14:24 e 2 Re 23:4-15). Inoltre, egli dice che il tetragramma YHWH deriva da “Jehovah, androgina unione fisica tra il maschile Jahe il nome preebraico di Eva, Havah”.
Ma come potrebbe dirvi qualunque studente del primo anno del corso di Scrittura, Jehovah è in realtà una interpretazione del XVI secolo di Yahweh usando le vocali di Adonai (“Signore”). Infatti, la Dea non dominava il mondo precristiano: non le religioni di Roma, i suoi sottoposti barbari, l’Egitto, o anche i territori semitici dove lo hieros gamos era un’antica pratica. Nemmeno il culto ellenizzato di Iside pare aver mai incluso il sesso nei suoi riti segreti.
Contrariamente alle affermazioni di Brown, le carte dei Tarocchi non insegnano la dottrina della Dea. Furono inventate per innocenti scopi di gioco nel XV secolo e non acquisirono associazioni occultistiche fino alla fine del XIX secolo. I pacchi di carte da gioco non hanno alcun simbolismo del Graal. L’idea che i diamanti simboleggino i pentacoli è un deliberato stravolgimento dell’occultista britannico A. E. Waite. E il numero cinque — tanto cruciale per gli enigmi di Brown — ha qualche collegamento con la Dea protettrice ma anche con miriadi di altre cose, inclusa la vita umana, i cinque sensi, e le cinque piaghe di Cristo.
Il trattamento di Maria Maddalena da parte di Brown è veramente deludente. Nel Codice Da Vinci, non è una prostituta pentita ma la consorte reale di Cristo e colei che è destinata ad essere il capo della Sua Chiesa, soppiantata da Pietro e diffamata dagli ecclesiastici. Fugge con la sua prole ad ovest verso la Provenza, dove i catari medievali conserverebbero gli insegnamenti originali di Gesù da vivo. Il Priorato di Sion veglia ancora sui suoi resti e sulle sue memorie, portati alla luce dal sotterraneo Santo dei Santi ad opera dei Templari. Il Priorato protegge anche i discendenti di lei, inclusa l’eroina di Brown.
Sebbene molti ancora raffigurino la Maddalena come la peccatrice che unse Gesù e la considerino uguale a Maria di Betania, tale confusione è in realtà opera successiva del Papa S. Gregorio Magno. L’Oriente le ha sempre mantenute separate e ha sempre affermato che la Maddalena, “apostola degli apostoli”, morì a Efeso. La leggenda del suo viaggio in Provenza non è anteriore al IX secolo, e i suoi resti non vi furono riportati fino al XIII secolo. I critici cattolici, inclusi i Bollandisti, hanno sfatato la leggenda e distinto le tre donne fin dal XVII secolo.
Brown usa due documenti gnostici, il Vangelo di Filippo e il Vangelo di Maria, per provare che la Maddalena era la “compagna” di Cristo, intendendo la partner sessuale. Gli apostoli erano gelosi che Gesù fosse solito “baciarla sulla bocca” e la favorisse nei loro confronti. Brown cita esattamente gli stessi passaggi citati nel Santo Graal e nella Rivelazione dei Templari e raccoglie persino il secondo riferimento dall’Ultima Tentazione di Cristo. Ciò che questi libri tralasciano di menzionare è l’infamante versetto finale del Vangelo di Tommaso. Quando Pietro sogghigna che le “femmine non sono degne della vita”, Gesù risponde: “Ecco io la guiderò in modo da farne un maschio…. Perché ogni femmina che si fa maschio entrerà nel Regno dei cieli”. (traduzione tratta da L. Moraldi, Vangeli apocrifi, Piemme, Casale Monferrato 1996; ndr)
Questo è certamente uno strano modo di “onorare” la propria sposa o di esaltare lo status delle donne.
I Cavalieri Templari
Brown allo stesso modo travisa la storia dei Cavalieri del Tempio. Il più vecchio degli ordini religiosi militari, i Cavalieri furono fondati nel 1118 per proteggere i pellegrini in Terra Santa. La loro regola, attribuita a S. Bernardo di Chiaravalle, venne approvata nel 1128 e generose donazioni garantirono a loro supporto numerose proprietà in Europa. Resi ridondanti dopo la caduta nel 1291 dell’ultima fortezza crociata, l’orgoglio e la ricchezza dei Templari — erano anche banchieri — attirò loro profonda ostilità.
Brown attribuisce maliziosamente la soppressione dei Templari al “machiavellico” papa Clemente V, che essi stavano ricattando con il segreto del Graal. La sua “ingegnosa operazione lampo” fece sì che i suoi soldati arrestassero improvvisamente tutti i Templari. Accusati di satanismo, sodomia, e blasfemia, essi furono torturati fino alla confessione e bruciati come eretici, i loro resti “gettati nel Tevere senza tante preoccupazioni”.
Ma in realtà, l’iniziativa per distruggere i Templari partì da Re Filippo il Bello, i cui ufficiali reali eseguirono gli arresti nel 1307. Circa 120 Templari furono bruciati dalle corti inquisitoriali locali della Francia per non aver confessato o aver ritrattato la confessione, come avvenne con il Gran Maestro Jacques de Molay. Alcuni Templari patirono la morte altrove sebbene il loro ordine venisse abolito nel 1312. Clemente, un francese debole e malaticcio manipolato dal suo Re, non bruciò nessuno a Roma, in quanto era il primo papa a regnare da Avignone (e tanto basta per le ceneri nel Tevere).
Inoltre, il misterioso idolo di pietra che i Templari furono accusati di adorare è associato alla fertilità solo in una delle oltre cento confessioni. Fu la sodomia la scandalosa — e forse vera — accusa verso l’Ordine, non la fornicazione rituale. I Templari sono stati prediletti dall’occultismo da quando il loro mito di maestri della segreta saggezza e di favolosi tesori cominciò a formarsi verso la fine del XVIII secolo. I frammassoni e perfino i nazisti li hanno acclamati come fratelli. Ora è il turno dei neo-gnostici.
Da Vinci travisato
Le interpretazioni revisioniste di Brown riguardo Leonardo da Vinci sono distorte quanto il resto del suo libro. Sostiene di essersi per la prima volta imbattuto in queste visioni “mentre studiavo storia dell’arte a Siviglia”, ma queste corrispondono punto per punto al materiale nella Rivelazione dei Templari. Uno scrittore che vede in un dito puntato un gesto di tagliare la gola, che afferma che la Vergine delle Rocce è stata dipinta per delle suore e non per una confraternita laica maschile, che sostiene che Da Vinci ha ricevuto “centinaia di ricche commissioni da parte della Chiesa” (in realtà solo una… e non fu mai eseguita) è semplicemente inaffidabile.
L’analisi di Brown dell’opera di Leonardo Da Vinci è altrettanto ridicola. Presenta la Monna Lisa come un autoritratto androgino quando è ampiamente noto ritragga una donna reale, Madonna Lisa, moglie di Francesco di Bartolomeo del Giocondo. Il nome non è certamente — come sostiene Brown — un derisorio anagramma delle due divinità egizie della fertilità Amon e L’Isa (in italiano per Isis). Chissà come mai si è lasciato sfuggire la teoria, propugnata dagli autori della Rivelazione dei Templari, che la Sindone di Torino sia un autoritratto fotografato di Leonardo Da Vinci!
Molte delle argomentazioni di Brown sono incentrate intorno all’Ultima Cena di da Vinci, un dipinto che l’autore considera un messaggio in codice che rivela la verità su Gesù e il Graal. Brown sottolinea la mancanza del calice centrale sulla tavola come prova che il Graal non è un recipiente materiale. Ma il dipinto di Leonardo da Vinci mette in scena specificamente il momento in cui Gesù avverte: “Uno di voi mi tradirà” (Giovanni 13:21). Non c’è alcuna narrazione nel Vangelo di S. Giovanni. In esso l’Eucaristia non viene mostrata e la persona seduta accanto a Gesù non è Maria Maddalena (come sostiene Brown) ma S. Giovanni, ritratto come al solito come un giovane effeminato da Leonardo da Vinci, paragonabile al suo S. Giovanni Battista. Gesù si trova esattamente al centro del dipinto, con due gruppi piramidali di tre apostoli su ciascun lato. Sebbene Leonardo da Vinci fosse un omosessuale spiritualmente problematico, è insostenibile l’affermazione di Brown secondo cui egli codificò i suoi dipinti con messaggi anti-cristiani.
Il caos di Brown
Insomma, Dan Brown ha composto uno scritto miserevole, un pasticcio ricercato atrocemente. Perciò, perché prendersi la briga di fare una lettura così ravvicinata di un romanzo senza valore? La risposta è semplice: Il Codice Da Vinci segue la corrente esoterica. Può ben darsi faccia per lo Gnosticismo quello che fece I Misteri di Avalon per il paganesimo: ottenergli l’approvazione popolare. Dopo tutto, quanti lettori inesperti scorgeranno le inesattezze e le menzogne propalate come verità nascoste?
In più, facendo false affermazioni di erudizione, il libro di Brown infetta i lettori con una virulenta ostilità nei confronti del cattolicesimo. Dozzine di libri di storie occultistiche, accuratamente collegate da Amazon.com, seguono la sua scia. E gli scaffali dei librai ora sono zeppi di falsità. Se ne venderebbero pochi senza il collegamento con Il Codice Da Vinci. Se pure l’assalto di Brown alla Chiesa cattolica può essere un complimento ambiguo, ne avremmo fatto volentieri a meno.
(1) I giochi di parole di Brown sono spesso difficoltosi da tradurre in lingua italiana. Robert Langdon nell’articolo originale viene reso con “bright fame long don”; in “Sophie Nevue” Sandra Miesel vede “wisdom New Eve” (probabilmente un gioco di parole in francese, così come Bezu Fache). Tuttavia “Langdon” potrebbe essere anche un riferimento a John Langdon, specialista di ambigrammi, cioè parole scritte in modo da essere leggibili allo stesso modo sia dall’alto verso il basso che viceversa. Il sito di Langdon è indicato tra i collegamenti del sito ufficiale di Dan Brown. Anche il nome di uno dei protagonisti, Leigh Teabing, è l’anagramma di Leigh Baigent, cioè i cognomi degli autori de Il Santo Graal, Michael Baigent e Richard Leigh.
Sandra Miesel è una giornalista cattolica veterana.
© 2003 Morley Editoriali Group, Inc., the publisher of Crisis Magazine
(Traduzione di Giuseppe Tria, note a cura del webmaster)
Articolo originale comparso sul numero 8 di «Crisis», settembre 2003, col titolo Dismantling The Da Vinci Code. Le citazioni letterali del libro di Brown sono tratte dalla traduzione italiana: Dan Brown, Il Codice Da Vinci, Mondadori 2003.
Ed infine un altro articolo che si inserisce nell’infinito dibattito sul libro di Dan Brown:
http://www.croponline.org/codicedavinci.htm
I MISTERI DEL CODICE DA VINCI
LA NATURA DEL SACRO GRAAL
“Il romanzo di Dan Brown ha avuto un indiscusso successo, ma si tratta pur sempre di un romanzo”. Questa è la frase che si trova più spesso sulla bocca di molti accademici, non disposti a dare troppo spazio alle teorie contenute in questo libro che ha fatto molto parlare di sé. Si tratta di un thriller, ma in esso sono contenute anche nozioni di storia, curiosità varie inerenti il femminino sacro, Leonardo da Vinci, il Graal ed eventi che invece sono di pura fantasia. Ma ciò interessa poco al pubblico di lettori che ha letto il libro per quel che è, senza farsi troppo domande. In fondo, un romanzo deve farci sognare, facendoci vivere avventure impossibili e pericolose, ma se questo contiene anche degli elementi ispirati a fatti realmente accaduti o che potrebbero essere anche accaduti, tutto cambia. Il lettore ne è cosciente e non vede il libro che ha in mano solo come una favola ben congeniata, ma anche come un pozzo d’informazioni, entro cui cercare le proprie verità. Dan Brown, per scrivere il suo “Codice da Vinci”, si è ispirato prima di tutto al libro di Baigent Michael, Leigh Richard e Lincoln Henry del 1982, “Il Santo Graal”, in cui è esposta una loro personalissima teoria secondo cui il Graal non sarebbe la coppa che raccolse il sangue di Gesù durante il suo supplizio sulla croce, ma un simbolo. Il simbolo della discendenza del sangue reale (da ciò il nome Santo Graal = San Graal = Sang Raal = Sangue Reale), ovvero, della discendenza di Gesù Cristo.
Infatti, secondo gli autori de “Il Santo Graal”, Gesù sarebbe sì morto sulla croce, ma sarebbe sopravvissuta una sua progenie, attraverso la sua presunta compagna, Maria Maddalena, la figura chiave di questa teoria. Nel medioevo, la Chiesa trasformò questa figura femminile in quella di una prostituta, sia per sminuirla di fronte al sesso maschile, sia per nascondere la verità, che poteva essere pericolosa per la stessa istituzione ecclesiastica. Al tempo, la donna non godeva degli stessi privilegi degli uomini. Quindi, venne sempre tenuta in disparte, sottomessa all’autorità del capo famiglia e del sesso maschile in genere. La Chiesa avrebbe così deciso di trasformare la vera storia di Gesù, sminuendo così la figura della Maddalena. Inoltre, avrebbe anche rifiutato il Vangelo di Filippo, ritrovato a Qumran nel 1947 insieme ad altri ritenuti così apocrifi. Qui vi sarebbero alcuni passi ambigui, inerenti proprio il rapporto “speciale” di Gesù con la Maddalena. In questo Vangelo, rinnegato dalla Chiesa di Roma, Maria Maddalena viene definita “la consorte” di Gesù. Inoltre, qui si legge anche di una presunta gelosia da parte dell’apostolo Pietro nei confronti del Messia, in quanto questi amava più la Maddalena che tutti gli altri suoi discepoli. Quando Gesù morì sulla croce, la Maddalena portava già una gravidanza di tre mesi. Almeno, questo è ciò che sappiamo leggendo il Vangelo di Filippo.
Questa verità sopravvisse, anche se nella clandestinità. Il Priorato di Sion, di cui si parla anche nel thriller di Brown, sarebbe il custode di tale segreto attraverso i secoli. Tra i maestri di quest’ordine vi sarebbero stati anche alcuni personaggi importanti, ricordiamo ad esempio il Botticelli, Leonardo da Vinci, Isaac Newton e Victor Hugo. Fondatore del Priorato fu Goffredo di Buglione, il quale si proclamava discendente della dinastia dei Merovingi. Questi, a loro volta, si crede fossero i discendenti della linea di sangue di cui il Graal sarebbe il simbolo. Goffredo di Buglione fondò l’ordine subito dopo la presa di Gerusalemme da parte dei crociati, nel 1099. In questo confluirono società segrete precedenti, quali gli Esseni, i Saggi della Luce ed i monaci dell’abbazia di Sion, da cui deriva il nome del Priorato. I maestri di questo enigmatico ordine sarebbero stati diretti discendenti della linea del Sang Raal.
Anche nel romanzo di Dan Brown compare un erede di questa linea di sangue che, attraverso gli indici contenuti nel dipinti di Leonardo da Vinci, cerca di scoprire la verità sul Graal e sulle origini della propria famiglia.
Il Graal, quindi, secondo questa teoria sarebbe solo un simbolo. Il simbolo della discendenza sacra, ma anche il simbolo del femminino sacro, che pone le sue radici nel mondo antico, quando vigeva ancora una legge matriarcale. Il matriarcato, che poneva la donna al centro della famiglia, e che fu anche la causa del sorgere di società amazzoniche, venne soppiantato nel corso del III millennio a.C. dal patriarcato, come possiamo apprendere studiando approfonditamente i miti greci. Ercole, Giàsone e Dioniso sarebbero stati alcuni degli eroi di questo fronte maschile. Da allora, il matriarcato non ebbe più spazio nel mondo, e la donna venne sempre più messa in secondo piano, e spesso finì per essere sottomessa all’autorità maschile.
Il culto della dea madre però sopravvisse in forme latenti, confluendo in diverse società segrete e culti del passato. Dan Brown si ispirò, come già detto, alle teorie di Baigent Michael, Leigh Richard e Lincoln Henry. Secondo i loro studi, che come loro stessi dicono sono più che altro delle ipotesi, Maria Maddalena sarebbe fuggita in Francia dopo la morte di Gesù. In quel periodo, doveva essere incinta del loro terzo figlio. Da quest’ultimo sarebbe discesa la dinastia regale dei Merovingi, estintasi nell’VIII secolo d.C., soppiantata dai Pipinidi, i Maggiordomi di Palazzo, la dinastia da cui poi sarebbe disceso Carlo Magno, fondatore del Sacro Romano Impero nell’800 d.C.
Le fonti di queste informazioni? I vangeli apocrifi ed alcuni scritti catari. Ma si tratta di fonti non avvalorate da documenti storici. La storia riportata nei Vangeli che Maddalena fosse una prostituta sarebbe un’invenzione della Chiesa, mirata a denigrare il ruolo della “donna”. Di Maria Maddalena e del sesso femminile. La Chiesa di Roma avrebbe in tal modo voluto preservare l’autorità maschile, il patriarcato, mantenendo sottomesso nei secoli il ruolo della donna, del matriarcato.
I Templari potrebbero aver scoperto qualcosa di pericoloso in Oriente, forse nei sotterranei del Tempio. Naturalmente sono tutte ipotesi, ma rimane il mistero della loro morte. Venerdì 13 ottobre 1307 (da qui, l’idea che il giorno venerdì 13 sia nefasto) iniziò il lungo processo dei Cavalieri del Tempio, che si protrasse fino al 1314, quando morì l’ultimo Gran Maestro Templare, Jacques de Molay. Le cause di questo sterminio sono ancora misteriose; non abbiamo ancora certezze. Il Papa Bonifacio VIII fu costretto dal re di Francia, Filippo il Bello, a perseguitare i Templari. Il movente fu una loro accusa di eresia (vennero accusati di adorare il Bafometto, una sorta di demone, e di sputare sulla croce; nonché di sodomia e altri atti pericolosi), tuttavia, la verità potrebbe essere che il re di Francia volesse impossessarsi del loro mitico tesoro e, contemporaneamente, Bonifacio VIII ne approfittò per eliminare lo scomodo Ordine cavalleresco. Scopo del Papa potrebbe essere stato quello di proteggere un grande segreto, un segreto rappresentante una minaccia per la Chiesa e per tutta la cristianità. Maria Maddalena fu davvero sposata a Gesù Cristo? Ebbero davvero dei figli che dopo il 33 d.C. andarono a vivere in Francia? Uno di questi figli fu davvero il capostipite della dinastia dei Merovingi? Se così fosse stato, ciò avrebbe rappresentato una minaccia anche per la corona del Regno di Francia. Sotto questa luce, i fatti del 1307/1314 acquisterebbero un nuovo significato.
Ed al segreto del Sang Real è legato il mistero di Rennes-le-Château, un piccolo paesino dei Pirenei, tra la Francia e la Spagna. Bérenger Saunière, parroco del paese, trovò qualcosa di molto prezioso durante i lavori di restauro della sua chiesetta, condotti nell’ultimo decennio del XIX secolo. Nessuno seppe mai l’entità di questo tesoro, ma da allora molte cose cambiarono. Il parroco si recò a Parigi per incontrare i suoi superiori e parlar loro del suo ritrovamento. Da allora, iniziò a restaurare la chiesetta e gli edifici circostanti in grande stile, come se tutto ad un tratto si fosse arricchito. Costruì una villa, dei giardini, ed una torre che denominò “Magdala”, in onore di Maria Maddalena. Cosa rinvenne sotto l’altare della chiesetta, Saunière? Qualche reliquia sacra? Qualche documento scottante? Un tesoro? Qualche segreto con cui ricattare la Chiesa? Questa potrebbe aver dato molti soldi al parroco in cambio del suo silenzio. Per ora, rimane un mistero.
Sta di fatto che, da allora, molti curiosi si recarono a Rennes-le-Château per scavare a loro volta, nella speranza di trovare anch’essi qualcosa di interessante e scoprire il segreto di Saunière. Tant’è che il sindaco del paese impose il divieto di scavo per tutta l’area circostante alla chiesa. Voleva proteggere anch’egli questo segreto? Chi lo sa!
L’ipotesi rimane affascinante, ma rimane tale, almeno fino a ché non avremo delle prove inconfutabili di questa presunta discendenza messiatica.
Per ora, non ci rimane altro da fare che leggere senza troppe pretese il romanzo di Dan Brown, considerandolo sì solo un romanzo, ma senza precluderci la possibilità di indagare a fondo nel caso, col fine di illuminare la nostra via, scoprendo così la verità, qualunque essa sia.
GIORGIO PASTORE
Fonti:
– Dan Brown, “Il Codice Da Vinci”, Mondadori ed.
– Dan Burstein, “I Segreti del Codice”, Sperling & Kupfer
– Laurence Gardner, “La Linea di Sangue del Santo Graal”, Newton ed.
– Peter Blake, Paul S. Blezard, “Il Codice Arcadia”, Net, il Saggiatore ed.
– Baietti Giorgio, “L’enigma di Rennes Le Chateau”, Mediterranee
– Mariano Bizzarri, “Rennes Le Chateau”, Mediterranee
Categorie:Leonardo Da Vinci
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