RATLINES

Il Vaticano nascose gli ustasha. 

Pavelic ed i suoi ospitati nelle chiese

(Da Repubblica 16 gennaio 2006)  

DAL NOSTRO CORRISPONDENTE ALBERTO STABILI

GERUSALEMME — Negli anni del grande disordine seguito alla Seconda guerra mondiale, i più famigerati criminali di guerra croati, i cosiddetti ustasha, poterono sfuggire alla giustizia internazionale, trovare rifugio in America Latina e sfruttare l’immenso tesoro raccolto depredando le vittime del loro regime sanguinario, grazie alla protezione ricevuta in Vaticano dall’allora vice segretario di Stato, Giovanni Battista Montini, più tardi asceso al soglio di Pietro con il nome di Paolo VI. È stato l’agente del controspionaggio americano, William Gowen a evocare il ruolo di Montini in una testimonianza resa il mese scorso davanti alla Corte federale di San Francisco, chiamata a giudicare su una serie di istanze di risarcimento presentate da ebrei, serbi, ucraini, russi e rom sopravvissuti alla macchina di sterminio messa su da Ante Pavelic e dai suoi seguaci in nome e per conto dei nazisti. Copia di quella testimonianza è venuta in possesso del giornale Haaretz, che ne ha anticipato il contenuto. Bisogna partire dal movimento nazionalista croato fondato nel 1929 da Ante Pavelic e da Gustav Percec per combattere la monarchia yugoslava e fondare uno stato croato indipendente. L’obiettivo politico sarebbe stato raggiunto solo con l’occupazione nazi-fascista della Yugoslavia e la creazione di uno stato fantoccio alla testa del quale venne posto come leader massimo, “poglovnik”, Pavelic. Il disegno di Pavelic, che mostrò la sua gratitudine al padrone germanico inviando alcune unità di ustasha a combattere contro i sovietici, a Stalingrado, e, temerariamente, si unì alle potenze dell’Asse nel dichiarare guerra agli Stati Uniti, fu essenzialmente un disegno razzista basato sulla supremazia dei croati, anche in quanto cattolici, rispetto ai serbi, greco-ortodossi, attuato attraverso una gigantesca operazione di pulizia etnica ante litteram. La crudeltà dispiegata dalle milizie ustasha contro chiunque non fosse croato e cattolico fu cosi agghiacciante che persino il comandante dell’esercito tedesco in Yugoslavia si sentì in dovere di levare una (tardiva) protesta. In conseguenza degli ordini impartiti da Pavelic e dal suo braccio destro, Andrja Artukov, soprannominato “l’Himmler dei Balcani”, ottocentomila persone furono sterminate, centomila solo nei campi di Jasenovac. Dopo la guerra Pavelic e gli altri capi ustasha volarono in Austria e da qui, con l’aiuto dell’intelligence britannica e di certi amici ben piazzati in Vaticano, passarono in Italia, trovando rifugio nella penombra delle basiliche romane e nel silenzio dei monasteri. In base ad alcuni documenti segreti svelati al processo di San Francisco, l’intelligence inglese permise a Pavelic di fuggire in Italia con dieci camion che contenevano il tesoro rubato alle vittime del massacro iugoslavo: oro, danaro, gioielli, opere d’arte. Il prezzo del tradimento, perché nel frattempo, inglesi e americani avevano deciso di utilizzare gli ustasha per contrastare l’ascesa del comunismo in Yugoslavia e, in generale, nell’Europa dell’est. Giunto a Roma, il tesoro venne consegnalo nelle mani, fidatissime, del monsignor, professor Krunoslav Draganovic, ambasciatore croato in Vaticano, il quale provvide a nascondere Pavelic e gli altri ustasha in covi protetti dall’immunità diplomatica. Il danaro affidato a Draganovic sarebbe inoltre servito a costituire la rete che più tardi avrebbe permesso l’espatrio clandestino in Sud America dei gerarchi croati, e non solo, attraverso quella che è stata chiamata “la rotta dei topi” (Ratlines, ndr). Qui entra in campo Gowen. L’agente americano, probabilmente all’insaputa di un altro ramo dei servizi, quell’Oss che sarebbe più tardi diventato la Cia, aveva avuto l’ordine di individuare il covo di Pavelic e di arrestarlo. Ma improvvisamente, arriva il contrordine: «Mollare la preda. Non se ne fa niente». Poco dopo Pavelic sarebbe “emigrato” in Argentina alla corte di Juan Peron.  «Ho indagato personalmente su Draganovic — ha detto Gowen ai giudici americani — il quale mi ha detto che informava monsignor Montini». Anzi, a un certo punto, secondo l’agente, Montini avrebbe saputo dal capo della stazione dell’Oss a Roma, James Angleton, delle indagini intraprese da Gowen su Pavelic. Il vicesegretario di Stato avrebbe allora protestato con i superiori dell’agente accusando Gowen d’aver violato la sovranità territoriale del Vaticano penetrando nel collegio croato, ospitato nel convento di San Girolamo, per condurvi una perquisizione. Il tesoro degli ustasha sarebbe stato riciclato dalla Banca vaticana.


Per capire il livello criminale di Pavelic e dei suoi protettori vaticani, quelli che sono per la vita, trascrivo di seguito un testo che scrissi 5 anni fa sui crimini italiani in Yugoslavia in occasione di un dibattito su un forum di Repubblica.it. Ma, in proposito, vedi anche Odessa (Ratlines): la Chiesa a supporto dei nazisti in fuga ed anche Pio XII scomunica i comunisti mentre fa fuggire i criminali nazisti del III Reich verso l’America del Centro-Sud


Il COMUNISMO E LE FOIBE

  Roberto Renzetti  (17-11-2000 ore 20:45)

Vi sono degli “storici” che ogni tanto compaiono nel forum di Repubblica.it e spiegano i livelli della loro ignoranza. Vediamo: un certo giorno gli sloveni ed i croati (tutti comunisti) sono entrati in Italia ed hanno iniziato a gettare dentro delle fosse carsiche migliaia di innocenti. È cosi no? Ora, ad evitare l’irruzione di un conoscente che è capace di dire che sono il responsabile, dichiaro subito a posteriori che tutto ciò è orrendo, come è orrenda qualunque strage perpetrata soprattutto contro cittadini incolpevoli ed inermi. Ma ora vediamo un poco meglio. 

L’Italia era fascista e manteneva in libertà vigilata, insieme alla Germania, Croazia e Slovenia (appartenenti alla Yugoslavia). Agli inizi del 1939 l’Italia, non ancora entrata in guerra, si prepara ad attaccare l’Albania e la Grecia. Puntando sul fascista croato Ante Pavelic, che momentaneamente aveva avuto asilo politico a Siena, Mussolini forza la politica di destabilizzazione della Yugoslavia. Pavelic e gli ustascia vengono addestrati in Italia e possono contare sul sostegno di elementi antisemiti che fanno capo alla Curia arcivescovile di Zagabria. Mussolini pensa di utilizzare Pavelic per staccare la Croazia dalla Yugoslavia. Arriva il veto tedesco.(*) L’Italia attacca la Grecia il 28 ottobre 1940 (la dichiarazione di guerra di quel buffone fu fatta simultaneamente a più di 140 Paesi!) pensando di spezzarle le reni ma pigliandosi una storica batosta. Comunque con questa azione si è ai confini con la Yugoslavia. Hitler, per parte sua, preparandosi all’attacco all’URSS, vuole una zona di tranquillità nel settore balcanico e intima al reggente yugoslavo, principe Paolo, di firmare un trattato di adesione all’Asse. In Yugoslavia la cosa non è gradita e Paolo viene deposto da Dusan Simovic (con l’appoggio dei servizi segreti britannici, da settori serbi, dal clero ortodosso). Nonostante le rassicurazioni di Simovic a Roma e a Berlino sulla non inimicizia del nuovo governo con l’Asse, Hitler inizia a pensare ad un intervento militare che , tra l’altro, dovrebbe togliere la Croazia dall’influenza italiana. Si arriva al compromesso di uno stato indipendente croato con a capo il criminale Pavelic (Hitler avrebbe preferito il moderato Macek). Il 3/4/41 un colonnello croato dell’esercito serbo (Kren) fornisce ai nazisti tutte le informazioni sulle forze e la dislocazione dell’esercito Yugoslavo. Il 6/4 le forze nazifasciste attaccano senza preavviso la Yugoslavia (24 divisioni tedesche, 23 italiane + vari ungheresi e 2200 aerei da bombardamento che distruggono preventivamente l’aviazione yugoslava e bombardano Belgrado) procurando in 2 giorni 17.000 morti yugoslavi (le perdite dell’Asse sono: 558 tedeschi e 3.334 italiani). La Yugoslavia viene cancellata e le sue spoglie vengono divise tra gli eserciti occupanti. All’Italia spetta il controllo della parte meridionale della Slovenia (con Lubiana), lo sbocco al mare a sud di Fiume, alcune isole, il controllo della costa dalmata da Zara a Spalato, un pezzetto di Bosnia, il Montenegro, un poco di Kossovo. Dopo trattative serrate, Pavelic viene portato a Zagabria (15/4) con i suoi ustascia per gestire il potere. Alcune frange dell’esercito yugoslavo iniziano ad organizzarsi in formazioni partigiane alla guida del generale Mihailovic. Contemporaneamente sulle montagne iniziano ad infoltirsi le brigate partigiane guidate dal segretario del  Partito Comunista Yugoslavo, Tito. Il 16 aprile vengono sciolti tutti i partiti politici ed i loro capi arrestati, viene soppressa la libertà di stampa (solo ustascia e cattolici mantengono i loro organi informativi), vengono distrutti tutti i luoghi di culto non cattolici. Arriva la benedizione di Pio XII. Il 18 aprile vengono sequestrati tutti i beni dei serbi – un terzo della popolazione – , dei comunisti, degli ebrei (i comunisti e gli ebrei su semplice delazione vengono arrestati; la metà degli ebrei croati, 50.000, sarà macellata) ed iniziano i massacri dei rom (28.000). Il 25/4 Leggi razziali con identificazione di ebrei e serbi mediante fasce colorate al braccio. I1 30 aprile si definisce la nazionalità croata per soli ariani e tutti i locali pubblici debbono avere cartelli che dicono :”vietato ai serbi, ebrei, zingari e cani”. Il problema principale sono i serbi che in parte sono costretti ad andarsene, in massima parte massacrati anche in campi di sterminio e, in minima parte, convertiti forzatamente al cattolicesimo. Centinaia di migliaia di serbi verranno trucidati, interi villaggi distrutti ed incendiati. Ogni documento parla delle atrocità ustascia come peggiori di quelle degli stessi nazifascisti. e di questi

Eravamo rimasti ai campi di concentramento ed alle stragi. I primi campi vengono allestiti nel 1941 e vi si è mandati non da tribunali ma dal “Servizio Ustascia di Controllo” In territorio croato se ne aprono 22 che funzioneranno per portare a termine lo sterminio. Solo 2 resteranno aperti fino al 45 (non esistono documenti su quanti siano stati gli sterminati, documenti distrutti dagli Ustascia in fuga) . Il capo di uno dei campi (Luburic) nel 1942 dichiarerà di aver sterminato più persone lui di quanto ha fatto l’impero Ottomano nei suoi secoli di dominazione. Nel campo di Jadovno vengono sterminate circa 400 persone al giorno. Vengono portati alla Fossa di Saranova dove vengono sgozzati e colpiti con mazze di ferro sulla testa e di questi fatti ve ne sono documentati a centinaia. Il campo di Jasenovac è quello con la fama peggiore. Lì furono uccise 700.000 persone. Su questo non vado oltre. Si leggano le varie testimonianze nella bibliografia che fornirò. Nel 1943 le attenzioni vengono rivolte ai partigiani. Nel 1941 le truppe italiane vengono accolte con favore per qualche motivo di speranza che aprono. Ma l’annessione mussoliniana della Dalmazia fa cambiare tutto. Le truppe italiane devono sostenere la nascita dello stato croato. Qualche soldato scrive lettere inorridite ai comandi superiori (ma non accade nulla) e tenta una qualche opposizione. Pavelic scrive a Ribbentrop ed ottiene dall’Italia l’estradizione degli ebrei residenti in zone controllate dall’Italia stessa (con molte eccezioni di ingegnosi modi di salvare qualche vita). Di tutt’altro tipo è l’azione dell’esercito italiano in Dalmazia, Croazia e Slovenia, verso i partigiani che vengono perseguiti con accanimento. Tutti i reparti diventano assassini e primeggiano gli Alpini e la Milizia fascista. Quindi da parte dell’Italia guerra partigiana e non coinvolgimento completo nelle stragi etnico-religiose. Sorvolo anche sul capitolo delle conversioni forzate dei serbo ortodossi. Tutte queste atrocità proseguiranno fino al 1945. Intanto nell’agosto del ’43 lo sbarco alleato in Sicilia inizia a far traballare il regime fascista. L’Italia inizia una parziale ritirata dai Balcani e Pavelic si riannette la Dalmazia. Anche il Reich inizia a passarsela male contro l’Armata Rossa contro la quale ha impegnate 244 delle sue complessive 300 divisioni (da quella parte l’URSS pagherà con 21 milioni di morti). Nell’autunno i partigiani di Tito hanno già occupato tutti i territori montagnosi di Croazia, Dalmazia, Bosnia e Montenegro. Costituiscono un Comitato riconosciuto dagli alleati. Nei primi mesi del 1944, con i tedeschi che devono ripiegare verso la Germania i partigiani occupano nuovi territori. Pavelic vede crollare il suo regime e tenta un avvicinamento agli alleati che viene respinto. Si tenteranno varie strade (Pavelic esule in Svizzera ed il governo ad un moderato in modo che il tutto sembri un rovesciamento filoalleato). Niente, e non solo: l’ambasciatore croato che si reca a Bari con questa proposta viene arrestato dagli alleati. Il bombardamento anglo americano di Dresda dei febbraio1945 segna la fine del Terzo Reich. Pavelic è convinto che la guerra proseguirà tra Usa ed Urss. Ma a Yalta si era già deciso di fermare tutte le armi dopo la sconfitta del nazifascismo. L’ala partigiana di Mihailovic sì schiera con Pavelic al fine di costruire una Croazia indipendente, cattolica ed anticomunista. Il tentativo abortisce subito perché gli alleati non riconoscono un tale governo. Tito resta l’unico capo di un esercito partigiano che è diventato possente e sta occupando tutto (si tenga conto che la Yugoslavia è l’unico Paese che si è liberato da solo). Pavelic tenta la fuga (con 36 casse d’oro e gioielli), prima in Germania poi nell’Arcivescovado di Zagabria, quindi in Austria dove (seguito da un migliaio di ustascia e 500 tra suore e preti) viene accolto da un convento francescano. Lì viene arrestato dagli inglesi. Tito ne chiede l’estradizione che non viene concessa. In compenso un emissario vaticano riesce ad ottenere la sua liberazione. Dopo essere passato per Roma sotto falso nome, con un passaporto internazionale della Croce Rossa, fornito da Mons. Montini (futuro Paolo VI), da Genova si reca a Buenos Aires. Da lì peregrina un poco fino ad arrivare nella Madrid di Franco dove morirà nel 1959 (nel suo letto). Ma cosa accadeva in Yugoslavia? L’8 maggio 1945 le truppe di Tito entrano a Zagabria completando la liberazione dell’intero territorio yugslavo. Alle elezioni dell’11 novembre la Lega dei comunisti di Tito prende il 90% dei suffragi (guadagnati sul campo). Ma 1’esercito di Tito dilaga dopo quell’8 maggio ed entra in Italia, occupando zone dell’Istria, di Trieste, del Carso. Qui cominciano le stragi orrende di innocenti: le foibe. La furia di chi ha subito violenze senza fine senza aver provocato niente, diventa incontrollabile. Gli italiani sono la seconda forza che ha mantenuto al potere il fantoccio Pavelic. Ed hanno operato in prima persona contro i partigiani stessi torturando e massacrando. La cosa si può capire (capire ho detto e non giustificare: queste tragedie accompagnano ogni guerra, ogni rivoluzione ed anche momenti di rivalsa di chi è stato aggredito oppresso e trucidato). L’esercito yugoslavo sarebbe potuto entrare ancora di più in territorio italiano ma vari armistizi fermarono il tutto. Resta solo da ricordare che il confine provvisorio divideva Trieste (fino al 1954, con una retorica fascista orripilante che continua: Trieste è italiana, i comunisti sono oppressori, ecc.). Trieste è tornata all’Italia. I trattati di Osimo hanno fatto nuovo ordine ai confini. Ma occorre sapere un’altra cosa. Dal 1946 iniziò in Italia una campagna rivolta agli italiani rimasti in territorio yugoslavo. Iniziarono a venire a migliaia profughi istriano dalmati. Con questa operazione si indebolirono le comunità italiane ivi residenti perdendo un peso che avrebbe potuto far ottenere importanti riconoscimenti come minoranza linguistica.Queste sono le foibe. Io ho dovuto tagliare. Leggete l’autore che volete. Le testimonianze nei vari processi che si sono susseguiti. 

[Notizie tratte da: M.A. Rivelli – “L’Arcivescovo del genocidio” – Ed. Kaos, 1999]. 



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