MEMORIA 6: I CAMPI DI CONCENTRAMENTO FASCISTI

Sembrerebbe strano ricordare cose di 60 anni fa quasi non si conoscessero. Ed io le ricordo proprio perché non si conoscono. Oggi, 27 gennaio 2005, è il giorno della memoria ed in questo giorno ho visto Fini, Storace e fascisti vari ricordare la Shoah. Loro non c’entravano nulla, naturalmente ed il fascista storaciano Gramazio, da Israele diceva proprio che il fascismo non ha avuto nulla che fare con i crimini nazisti. Tutto questo si può dire perché i miei connazionali sono in maggioranza ignoranti senza voglia di istruirsi. Vale quindi la pena passare al Bignami del ricordo.

http://pinerolo-cultura.sail.it/gouthier/134campiitaliani.htm

CAMPI ITALIANI DI INTERNAMENTO
E DI DEPORTAZIONE

Non ci risulta esistere una qualche documentazione attendibile concernente i molti campi di concentramento impiantati.dalle autorità politiche e militari fasciste nei territori ex coloniali. Sono noti solo alcuni casi di internamento e di deportazioni di popolazioni ostili all’occupazione militare da parte delle nostre truppe, durante il periodo delle azioni belliche di conquista e, successivamente, contro le popolazíoni civili nelle aree controllate dai ribelli.

LUOGHI DI INTERNAMENTO IN ITALIA e norme legislative
In merito al territorio nazionale, a tutt’oggi è ignoto il numero e la dislocazione dei campi di internamento e di concentramento fascisti, edificati prima e dopo l’inizìo della guerra di aggressione del 1940. Più ricca ma dispersa la documentazione locale sui singoli campi, in particolare di quelli di maggiori dimensioni e importanza.
Dal 1929, due anni dopo l’entrata in vigore delle leggi di Pubblica sicurezza, viene istituito presso le prefetture del regno un “servizio schedario”, con i nomi delle persone da arrestare perché,”sospetti in linea politica”.
Sulla base di questi elenchi furono, in tempi vari, operati arresti dei “sovversivi”, cioè dì persone “capaci di commettere azioni politiche criminose e di turbare l’ordine pubblico” imposto dalla dittatura. Con particolari norme sulle persone da internare o concentrare in appositi campi “allo scoppio della guerra”.
Un numero consistente è costituito dagli irredentisti slavi, considerati anti italiani, quindi molto pericolosi.
Ai sospetti in linea politica si aggiunsero gli italiani di razza ebraica. All’inizio dei 1940 le prefetture furono invitate a fornire gli elenchi completi degli ebrei italiani considerati pericolosi e da internare. Dal ministero degli Interni, Buffarini Guidi scrisse al capo della polizia Bocchini “il Duce desiderava che si preparassero campi di concentramento anche per gli ebrei in caso di guerra”.
Essendo internati soprattutto quelli “pericolosi”, i provvedimenti avrebbero dovuto colpire solo gli ebrei di cittadinanza nemica. Ma non fu così.
Dal “Censimento degli ebrei stranieri” del 1938, risultavano schedate 4.124 persone (di cui 2.303.tedeschi, 402 austriaci, 279 polacchi, 640 di stati diversi). Successivarnerite, tra l’inizio del 1939 e il maggio 1940, entrarono in Italia oltre 5000 profughi ebrei di altra nazionalità.
L’8 maggio 1940, a soli due giorni dall’entrata in guerra a fianco dei nazisti, con un’altra circolare (n.442/112267) vengono emanate “le prescrizioni per i campi di concentramento e le località di confine”.
Dopo l’occupazione della Jugoslavia nell’aprile 1941,”uomini, donne e bambini di ogni età (cittadini slavi o allogeni della Venezia Giulia) vennero deportati in massa per ridurre drasticamente l’appoggio popolare al movimento partigiano. Strappati ai loro affetti e alla loro base, essi subirono il sequestro dei loro beni e vennero sottoposti alla violenza preventiva e punitiva dello stato fascista.
Col procedere della guerra l’internamento interessò un numero sempre più alto di persone ed in alcuni campi la mortalità per fame e per stenti superò percentualmente quella che si ebbe nei lagernazisti non di sterminio” (“Storia contemporanea”- agosto 1941).
Telescritto in data 2 giugno 1942, dal Comandante la II Armata schierata in Jugoslavia, gen. Mario ROATTA: “In previsione future necessità Slovenia… giudico necessario che vengano predispostì nel Regno campi di concentramento per 20000 persone. Una parte capace complessivamente di 5.000 maschi adulti… Altra parte capace di 15.000 personecomprese donne e bambini, servirebbe per popolazioni da sgomberare da determinate zone a titolo precauzionale”.
Altro dispaccio Roatta dell’8 settembre 1942: “l’internamento può essere esteso a prescindere dalle condizioni militari, fino allo sgombro di intere regioni… e di sostituire il posto con popolazioni italiane”.
Primi campi di concentramento ad Arbe (Rab) – a cui ci riferiremo in seguito, sulla base di un preciso documento edito dall’Anpi di Torino -ed a Gonas in Venezia Giulia (per 14.000 persone). Nel luglio 1942, momento massimo della deportazíone, sono allestiti nuovi campi a Monigo (2.500 persone); a Chiesanuova di Padova (2.500, fra i quali 1.000 bambini); a Renici, Visco, Pietrifica, Tavernette, Brescia, Chieti, ecc. Molte le testimonianze che per ovvi motivi non possiamo citare (compreso un vecchio di 92 anni, bambini e partorienti).
Il 25 luglio 1943, con la caduta del regime fascista e la “scomparsa” di parte dell’apparato squadrista e repressivo della dittatura, suscitò fra i reclusi politici e razziali molte speranze sulla loro rapida liberazione, il ché avvenne il 27 luglio per gli ebrei italiani e solo una parte dei reclusi politici, altri furono messi in libertà solo in un secondo tempo. Il 10 settembre 1943, il capo della polizia, Senise, diede disposizione per l’uscita dai campi anche dei sudditi degli stati nemici (questa misura fu poi revocata dalla Rsi il 4 novembre dello stesso anno, ma la grande maggioranza era già fuori). Nell’Italia meridionale i campi ancora aperti venivano chiusi in concomitanza con lo sviluppo delle azioni militari alleate. Nel Centro-Nord l’occupazione da parte delle truppe tedesche e la criminale complicità di alcuni comandanti di campi filo-nazisti, comportò la deportazione nei campi di eliminazione.

CRIMINI DI GUERRA E CAMPI DI STERMINIO NELLA JUGOSLAVIA OCCUPATA

Già abbiamo ricordato, sempre nel n.38 di “Appunti” alcuni elementi concernenti crimini di guerra, stragi e distruzioni commessi in Slovenia. Gli ordini precisi, dati direttamente da Mussolini; le Disposizioni dell’Alto Commissario Grazioli, le disumane direttive del fanatico fascista comandante della II^ Armata, generale Mario Roatta e dal comandante del’XI Armata, generale Mario Robotti, le cui forze sono dislocate in Slovenia e in parte del litorale adriatico. Successivamente, Roatta sarà sostituito dal generale Antonio Gambara.
Il 6 aprile 1941 invasione nazista e fascista della Jugoslavia, con annessione all’Italia di parte dei territori della Slovenia e la capitale Lubiana, diventata dopo l’occupazione “Provincia di Lubiana”. Nel mese di giugno erano presenti 71.159 militari italiani.
Le prime formazioni partigiane slovene iniziarono la loro azione nel luglio 1941, con effettivi molto limitati (vengono successivamente indicate in 8-10 mila).
Il primo tentativo di annientamento del movimento di liberazione jugoslavo, con un’azione congiunta italo-tedesca, viene realizzato nell’ottobre 1941. Esso termina con un totale fallimento, malgrado l’uso sistematico del terrorismo verso le popolazioni civili, le stragi e la distruzione, le rappresaglie feroci verso i partigiani e le loro famiglie (solo a Kragulevac, furono fucilate 2300 persone).
Con l’inasprimento della lotta, i nazifascisti tentano una seconda grande offensiva, con 36.000 uomini. Scarsi risultati, moltissime vittime. I partigiani riescono a sfuggire al tentativo di accerchiamento.
Terza grande offensiva dal 12 aprile al 15 giugno 1942, sotto la direzione del generale Roatta. Ancora una volta grandi perdite, stragi e distruzioni: non viene raggiunto l’obiettivo di annientamento.
Intensificazione delle azioni contro guerriglia in Slovenia da parte delle forze del XI^ Corpo d’Armata (quattro Divisioni italiane, con l’aggiunta dei fascisti sloveni della “Bela Garda” (Guardia Bianca). Sempre feroci le azioni di terrorismo contro i civili e la deportazione delle popolazioni di intere zone, senza distinzioni di sesso e di età.

Bilancio delle vittime slovene in 29 mesi di terrore fascista, nei 4.550 Km quadrati di questo territorio: Ostaggi civili fucilati ………………………..….. n. 1.500
Fucilati sul posto…………………………………. n. 2.500
Deceduti per sevizie……………………………..        n. 84
Torturati e arsi vivi……………………….        n. 103
Uomini, donne e bambini morti nei campi
di concentramento………………………….     n. 7000

Totale……………………………………… n. 13087

I criminali di guerra che ordinarono ed eseguirono questa carneficina non furono neppure differiti ad un tribunale del nostro paese. Non un solo processo.

IL CAMPO DI CONCENTRAMENTO NELL’ISOLA DI RAB (ARBE)

Con il diffondersi del movimento di liberazione, il Comando politico-militare fascista, incapace di distruggere le formazioni partigiane, si esercitò – come già detto – sulla popolazione civile.
Vennero creati diversi campi di concentramento: a Kraljevica, Lopud, Kupari, Korica, Brac, Hvar, ecc.
Il comandante della II Armata, Roatta, informa il comando del’XI Corpo d’Armata, il 7/7/1942: il comando superiore aveva predisposto a Rab un campo con 6.000 persone sotto le tende… oltre a questo campo, ne sarebbe stato preparato un altro per 10.000 persone.
Venne edificato il primo campo di concentramento definito n.1, successivamente entrarono in funzione i campi II, III, IV. Il Campo III è destinato a donne e bambini, esso era situato ai limiti di una puzzolente palude. Gli altri a ridosso di latrine che traboccavano in caso di forti temporali, allagando i campi.
A fine luglio 1942 avviene il primo trasporto di internati.
La guardia armata dei campi dell’isola di Rab, viene inizialmente affidata a militari del V Corpo d’Armata, successivamente sostituiti da una guarnigione di 2.000 soldati e ufficiali, più 200 carabinieri.
Gli stessi detenuti sopravvissuti hanno riferito che la maggioranza dei soldati e di giovani ufficiali manifestavano una certa apatia non accanendosi sui prigionieri.
Nella primavera del 1943, si presentano i primi segni di sfacelo della guarnigione, si palesano volontà di avvicinamento verso i detenuti, malgrado la ferrea disciplina imposta dal comandante del campo, il tenente colonnello Vincenzo CIAULI, fanatico fascista, sadico, uso ad adoperare solo la frusta. Odiato anche dai soldati italiani.
In una relazione delle forze armate italiane sui trasporti militari, ritrovata nel campo dopo la liberazione, sono elencati tutti i singoli arrivi con il numero dei deportati. In totale essi risultano 9.537 persone (4.958 uomini, 1296 donne,1.039 bambini), più 1.027 ebrei (930 donne, 287 bambini); per un totale di 10.564. (sono esclusi quelli in transito verso altri campi, compresi quelli sul suolo italiano).
I deportati sono stipati in piccole, vecchie tende militari, scarsamente o per nulla impermeabili, su paglia già usata, con una leggera coperta: il tutto pieno di pidocchi e cimici.

Campo di concentramento di Arbe

Molti sono stati rastrellati mentre lavoravano nei campi in estate, sono semi nudi e nulla viene dato loro per coprirsi. Condizioni bestiali, in particolare per l’autunno e l’inverno: pioggia, neve, con la gelida bora imperversante. Le migliaia di detenuti dispongono di soli tre rubinetti per l’acqua, erogata tre ore al mattino e tre ore al pomeriggio. Nei casi di punizione l’acqua viene tolta.
Per la fame, il freddo, gli insetti, le malattie, la mortalità diventa elevatissima, in particolare per i bambini, le donne (alcune sono partorienti), vecchi (un internato ha 92 anni).
Le possibilità di sopravvivenza concerne solamente i più robusti fisicamente e spiritualmente più resistenti.
E’ ignoto il numero dei deportati morti nel campo di concentramento di Rab.
Si possono solo citare brani di una lettera, in data 15 dicembre 1942, dell’Alto Commissario, Grazioli: “… mi riferiscono che in questi giorni stanno ritornando degli internati dai campi di concentramento, specialmente da Rab. Il I medico provinciale… ha costatato che tutti senza eccezioni, mostrano sintomi del più grave deperimento e di esaurimento, e cioè: dimagramento patologico, completa scomparsa del tessuto grasso nella cavità degli occhi, pressione bassa, grave atrofia muscolare, gambe gonfie con accumulo di acqua, peggioramento della vista (retinite), incapacità di trattenere il cibo, vomito, diarree o grave stipsi, disturbi funzionali, auto intossicazione con febbre.”
Il comandante di allora del’ XI corpo d’armata, il criminale di guerra Gastone Gambara, risponde scrivendo, tra l’altro di suo pugno: “è comprensibile e giusto che il campo di concentramento non sia un campo di ingrassamento. Una persona ammalata è una persona che ci lascia in pace”.

Campo di concentramento di Arbe

“Nelle vicinanze del campo esisteva un ambulatorio, così viene descritto. La casa aveva alcune camere e una cantina. Doveva servire per gli ammalati più gravi, tuttavia succedeva raramente che anche là venisse inviato qualche simile ammalato. Essendo il numero dei letti insignificanti, gli ammalati giacevano nei corridoi e persino in cantina, addirittura per terra. In cantina finivano di solito malati gravi che erano già sul punto di morte”.
A pochi mesi dalla liberazione, alcuni alberghi di Rab vennero trasformati in ospedale. I medici sono ritenuti “buoni ed umani… ma non potevano fare niente con una amministrazione incapace e corrotta”.
Nell’inizio dell’estate del 1943, si estende la convinzione di una prossima, generale disfatta del nazifascismo. Alcuni miglioramenti furono introdotti nei campi e negli ospedali di Rab…
Con il 25 luglio 1943, e la fine della ventennale dittatura fascista, le prospettive nel campo non cambiano. Gli internati reagirono “spontaneamente e sorprendentemente: cantando”, prima canti popolari poi quelli partigiani; carabinieri e militari non reagirono.
Intanto si intensifica, fra chi è rimasto vivo, l’attività politica e la formazione di nuclei partigiani clandestini per la liberazione dei campi.
L’8 settembre 1943, di sera, “scoppiò improvvisamente un’ondata di entusiasmo nelle truppe di occupazione”. Guardie e carabinieri rimasero al loro posto; ciò malgrado, il 10 settembre venne organizzata dai gruppi clandestini un’assemblea dei detenuti, fu eletta una nuova amministrazione del campo, ammainata la bandiera italiana. I militari italiani sono disarmati e portati nel porto di Rab, arrestati il Ciauli ed una spia già nota. Si forma la brigata partigiana “Rab”; i giorni 15 e 16 settembre sbarco sul continente. Ciauli viene processato e condannato alla fucilazione.
Ps – Gran parte della documentazione sul campo di concentramento di Rab è stata ricavata dall’apposita indagine svolta dall’ANPI di Torino, sotto la presidenza di lsacco Nahoum (Milan).

I CAMPI DI CONCENTRAMENTO IN ITALIA

Dal settembre/ottobre 1943 all’aprile 1945 i nazisti, in collaborazione con la polizia della Repubblica Sociale Italiana di Salò, hanno istituito e gestito, nell’Italia controllata da loro, tre campi di smistamento rispettivamente a Borgo San Dalmazzo, Fossoli e Bolzano. Da questi campi gli italiani rastrellati ed arresti a vario titolo venivano poi avviati ai Lager veri e propri, disseminati in Europa.

Campo di Fossoli

L’area del campo di Bolzano, oggi

La caserma di Borgo San Dalmazzo dove era allestito il campo


Dopo l’occupazione nazista del 1943 i territori della Venezia Giulia vennero incorporati nell’Adriatisches Kustenland e fu creato a Trieste, nella Risiera di San Sabba, un vero e proprio campo di sterminio dotato di forno crematorio dove furono assassinate più di 5.000 persone.

LA RISIERA DI SAN SABBA ED ALTRI CAMPI ITALIANI…

Il 16 ottobre del 1943, con la complicità della polizia italiana, le truppe tedesche sequestrarono 1259 persone nel ghetto ebraico di Roma, di queste, poco più di 200 furono rilasciate perché non ebree o figli di matrimoni misti.
I restanti furono deportati ad Auschwitz, Birkenau: moltissimi di questi non superarono le selezioni e furono destinati alle camere a gas e in seguito ai forni crematori, solo 17 di loro sopravvissero.
Da quel momento, da quel giorno, la Repubblica di Salò o RSI (Repubblica Sociale Italiana) collaborava attivamente sul piano organizzativo ed ideologico, al programma nazista di sterminio sistematico degli ebrei, meglio noto come “soluzione finale” indetta da Hitler attorno al 1942.
In effetti, furono creati campi di concentramento anche nel nostro paese, cioè in Italia. Il primo campo di concentramento venne collocato a Pisticci (Macerata). Secondo alcuni dati dell’epoca furono una quarantina i campi di concentramento veri e propri distribuiti in vari parti d’Italia, inizialmente al sud e al centro – sud, poi con l’avanzare delle truppe alleate, al centro – nord.
I reclusi al 30 settembre 1942 risultavano 11735.
E’ noto per il centro- sud il campo di concentramento per ebrei di Ferramonte – Tarsia, costruito in zona paludosa e malarica. Vi sono numerose opere circa le condizioni di internamento e di salute, le variazioni nel tempo del numero dei detenuti. Rileviamo solo che al momento della sua liberazione da parte degli Alleati, nell’agosto 1943, erano presenti 2016 persone ( 1604 ebrei e 412 non ebrei. ) Altri campi erano collocati nelle regioni: Abruzzo, Molise, Marche, Umbria, Lazio, Lucania, Puglia e Calabria. La situazione dei detenuti, secondo i rapporti degli ispettori territoriali: “Le condizioni materiali dei detenuti peggiorò notevolmente e la sopravvivenza si basò essenzialmente sul mercato nero, esercitato generalmente dalla milizia fascista”. Altri furono quello di Fossoli in provincia di Modena, inaugurato il 5 dicembre del 1943 oppure e quello di Bolzano e della Risiera di San Sabba di Trieste.

Ed è proprio di quest’ultimo che parleremo. La Risiera (grande complesso di edifici per la pilatura del riso) venne costruita nel 1913 nel periferico quartiere di San Sabba; questo venne dapprima utilizzato dai nazisti come campo di prigionia provvisorio per militari italiani catturati dopo l’8 settembre del 1943, giorno in cui fu reso noto l’armistizio che venne firmato segretamente il 3 a Cassibile in Sicilia; poi, verso la fine dell’ottobre, venne strutturato come Polizeihaft Lager cioè come campo di detenzione di polizia, destinato sia allo smistamento dei deportati in Germania e in Polonia e al deposito dei beni sequestrati, sia alla detenzione di ostaggi, partigiani, detenuti politici, ebrei…
Il primo stanzone posto alla sinistra nel sottopassaggio era chiamato “cella della morte”. Qui venivano ammassati prigionieri trasportati dalle carceri o catturati in rastrellamenti e destinati a morire. Secondo alcune testimonianze, spesso venivano a trovarsi assieme a cadaveri che dovevano poi essere cremati.
Al pianterreno dell’edificio a tre piani, si trovano i laboratori di sartoria e di calzoleria dove venivano impiegati i prigionieri, camerate per ufficiali e militari delle SS, 17 microcelle destinate in particolare ai partigiani, ai politici e agli ebrei; queste ultime potevano contenere al massimo 6 detenuti, 2 di queste venivano usate ai fini di tortura o di raccolta di materiale prelevato agli stessi prigionieri. Le porte e le pareti di queste anticamere della morte erano ricoperte di graffiti e scritte: l’occupazione dello stabilimento da parte degli Alleati, dopo l’8 settembre 1943, la successiva trasformazione del campo in raccolta di profughi, sia italiani che stranieri, la polvere, l’umidità e molte altre cause hanno fatto sparire la gran parte di questi tesori.
Nel secondo edificio a 4 piani venivano rinchiusi ebrei, prigionieri politici, militari, destinati alla deportazione in Germania per lo più a Dachau, Mauthausen ed Auschwitz… “Verso un tragico destino che pochi sono riusciti ad evitare”.
A favore dei cittadini imprigionati nella Risiera ed in particolare di ebrei coniugati con cattolici intervenne il Vescovo di Trieste, Mons. Santin che in alcuni casi ebbe successo.
Nel cortile interno vi era l’edificio destinato alle eliminazioni con il forno crematorio unito da un canale sotterraneo alla ciminiera. Oggi, sull’impronta metallica della ciminiera sorge una costruzione in memoria della spirale di fumo che usciva dal camino.
Il forno, opera di Erwin Lambert fu collaudato il 4 aprile 1944, con l’inserimento di 70 ostaggi fucilati il giorno prima.
L’edificio del forno e la ciminiera vennero distrutti con la dinamite dai tedeschi in fuga, per eliminare le prove dei loro crimini.
Tra le macerie furono rinvenute ossa, ceneri umane gettate in mare tra le quali quelle delle 5000 circa persone sterminate e la mazza la cui fotografia è ora esposta nel Museo.
Le esecuzioni usate probabilmente furono queste: gassazione in automezzi, fucilazioni, colpo di mazza alla nuca; ma non sempre la mazzata uccideva all’istante, per cui il forno cremò anche persone ancora in vita. Il fragore dei motori, musiche, latrati di cani… coprivano le grida ed i rumori delle esecuzioni.
Il fabbricato centrale di 6 piani era una finta caserma: al piano inferiore che ora è adattato a Museo, vi erano le cucine e la mensa, ai piani superiori c’erano le camerate per i militari tedeschi, ucraini ed italiani, questi ultimi impiegati per sorveglianza.
Il casolare, oggi adibito al culto di tutte le religioni, serviva un tempo da garage per i mezzi delle SS; qui forse stazionavano i neri furgoni, con lo scarico collegato all’interno, usati probabilmente per gassare le vittime.
Il piccolo edificio, posto a sinistra e all’esterno, costituiva il corpo di guardia e l’abitazione del comandante, oggi è l’abitazione del custode.
Le vittime in questo Lager italiano sono molte, circa 5000, ma la cifra è ben maggiore se si contano le persone prigioniere “di passaggio” verso altri campi o obbligate al lavoro che le distruggeva.
I tedeschi bruciarono in questo campo alcuni dei migliori “quadri” antifascisti.

IL LITORALE ADRIATICO

Dopo l’Armistizio la Venezia Giulia cessò di far parte dello Stato italiano e diventò un territorio amministrato dal Reich.
Il governo del “Litorale Adriatico”, comprendente le province di Udine, Trieste, Gorizia, Pola, Fiume e Lubiana, venne affidato da Hitler al Gauleiter della C. F. Rainer, nazista austriaco che odiava l’Italia.
L’ “alto commissario” Rainer assunse tutti i poteri politici ed amministrativi ed in poco tempo fissò le fondamenta della sua illimitata sovranità sottoponendo prefetti e podestà al controllo di “consiglieri” tedeschi.
Così le formazioni della milizia fascista passarono alle dipendenze delle SS, ma non si trasformeranno, come nella neo Repubblica Sociale Italiana fondata da Mussolini sul Lago di Garda con sede a Salò, in Guardia Nazionale repubblicana, ma prenderanno il nome di “Milizia Difesa territoriale”.
Prima della Seconda Guerra Mondiale gli ebrei a Trieste erano 5000.
Dopo le leggi razziali fasciste emanate nel 1938 da Mussolini, che vietavano agli ebrei di sposarsi con cittadini italiani “ariani”, di entrare a far parte del servizio militare e delle cariche pubbliche e limitavano l’esercizio di attività economica e libere professioni, i perseguitati decisero di emigrare all’estero.
I nazisti riuscirono a deportare nei campi di sterminio circa 700 ebrei.
Di questi solo una ventina riuscì a sopravvivere. Il controllo poliziesco, la repressione politica, razziale ed antipartigiana vennero affidati alla supervisione delle SS il cui comandante, Odilo Lotario Globocnik era legato ad Himmler, il braccio destro di Hitler.
Con Globocnik arrivarono anche molti professionisti che avevano fatto parte delle varie operazioni di sterminio in Germania e Polonia.
Pochi giorni dopo l’8 settembre arrivò a Trieste Christian Wirt che con alcuni suoi uomini aveva partecipato all’eliminazione di “malati inguaribili”.
Dopo la sua uccisione da parte dei partigiani gli subentrò August Dietrich Allers.
La presenza di un tale “Staff”, eccezionale per responsabilità organizzative nella politica di sterminio europea nel “Litorale Adriatico” è giustificata dall’importanza che questo territorio aveva per il Reich. Il “Litorale Adriatico” fu l’ultima conquista europea dell’imperialismo nazista.
Trieste, l’Istria ed il Friuli costituivano una “cerniera” strategica fra il settore balcanico, il fronte italiano e la Germania meridionale.

IL PROCESSO

Il processo ai responsabili dei crimini commessi durante l’occupazione tedesca alla Risiera di San Sabba si è concluso a Trieste nell’aprile del 1976.
Qui il banco degli imputati rimase vuoto: alcuni di essi erano stati giustiziati dai partigiani, altri deceduti per cause naturali.
August Dietrich Allers morì nel marzo del 1975, Oberhauser, il suo braccio destro, rimase a vendere birra a Monaco.
Il processo si concluse con la condanna di Oberhauser all’ergastolo.
Fu dunque inutile?
Al di là dell’impostazione fondata sulla distinzione tra “vittime innocenti” e “vittime non innocenti” resta il fatto che è scesa una coltre di silenzio per cui per oltre 30 anni non si è saputo niente del Lager di San Sabba.

IL MONUMENTO

L’architetto Romano Boico trasformò la Risiera nell’attuale Museo perché pensava che fosse squallida come l’interno periferico. Si è proposto di togliere e restituire, più che di aggiungere. Dopo aver eliminato gli edifici in rovina ha perimetrato il contesto con alte mura di cemento, articolate in modo da configurare un ingresso inquietante nello stesso luogo dell’ingresso esistente.
Il cortile cintato si identifica come una basilica laica a cielo aperto.
L’edificio dei prigionieri è completamente svuotato, le 17 micro-celle e quella della morte sono rimaste inalterate.
Nell’edificio centrale il Museo della Resistenza piccolo ma vivo e sopra di questo i vani per l’Associazione Deportati.
Nel cortile un terribile percorso in acciaio: l’impronta del forno, della base del camino e della ciminiera sulla quale sorge una simbolica pietà costituita da tre profilati metallici a segno della spirale di fumo che usciva dal camino.
La Risiera di San Sabba fu solo uno dei numerosi campi italiani come il Borgo San Dalmazzo, Fossoli e Bolzano.
Il primo era un campo provvisorio di raccolta.
Con l’8 settembre 1943 e la rittirata delle nostre truppe dai territori francesi occupati, alcuni reparti dislocati nel nizzardo, cercarono di ritornare in patria.
Al loro seguito si aggiunsero alcune famiglie ebraiche, costrette a “residenza forzata” in conseguenza delle misure razziali assunte dal governo collaborazionista di Vichy.
Essi cercarono di sistemarsi nella zona di Borgo San Dalmazzo, la quale venne occupata dalle truppe naziste, il cui comando ordinò a tutti gli ebrei di presentarsi, il 18 settembre, alla caserma del capoluogo, pena la fucilazione per loro e per chi li avesse ospitati.
Il 21 novembre alcune famiglie ebree, che non riuscirono a fuggire, vennero deportate nel campo di sterminio di Auschwitz.
Fossoli era un campo di raccolta e di smistamento per il centro-nord.
Già adibito a campo di internamento per prigionieri di guerra inglesi fino all’ armistizio, venne trasformato in campo di raccolta, per il successivo invio nei lager dei detenuti politici e razziali. La capienza è di oltre 5000 persone. La prima deportazione di ebrei avvenne il 22 febbraio per Buchenwald. Altre partenze il 5 aprile, il 16 maggio, il 26 giugno, l’ ultimo il 31 luglio 1944. Gli ebrei furono 2884. E’ ignoto il numero dei deportati politici, prigionieri di guerra partigiani, civili. Si sa solo che in prevalenza questi ultimi venivano inviati a Mauthausen e gli Ebrei ad Auschwitz.
Bolzano era un campo di smistamento in territorio annesso al III Reich. Situato in territorio incluso nella Germania di Hitler, il campo era già operativo ai tempi di Fossoli da cui provenivano gran parte dei detenuti. Formato da diversi capannoni viene considerato il luogo dove si esercitò con maggiore ferocia e sadismo l’operato delle SS tedesche-italiane.

BIBLIOGRAFIA: da “Risiera di San Sabba, monumento nazionale”

Comune di Trieste
Schede di “Nemo” (Carlo Polliotti).


http://www.romacivica.net/anpiroma/deportazione/deportazionecampia.htm

I campi di concentramento italiani 1940-1943

Il 4 settembre del 1940 Mussolini firma un decreto con cui vengono istituiti i primi 43 campi di internamento per cittadini di paesi nemici. In realtà in questi campi furono concentrate  varie categorie di persone. Gli ebrei italiani colpiti dal provvedimento non furono internati in quanto ebrei (anche se i provvedimenti d’internamento sottolineano sempre l’appartenenza alla “razza ebraica” della persona in questione), ma in quanto antifascisti militanti o soggetti ritenuti “pericolosi nelle contingenze belliche”. Un’altra categoria è formata da stranieri sudditi di “paesi nemici”, ebrei e non, che si trovavano in Italia allo scoppio della guerra, (inglesi, francesi, ma anche cinesi, spagnoli e altri) nonché da quegli ebrei stranieri che erano fuggiti dalle persecuzioni in atto nei loro paesi, residenti in Italia o di passaggio. Per ebrei stranieri si intendono anche cittadini italiani ebrei, non nati in Italia. Numerosi fra gli internati furono anche gli zingari. Infine, c’erano gli antifascisti schedati (condannati dal Tribunale speciale, ex confinati, ex ammoniti, ecc.), antifascisti arbitrariamente trattenuti a fine pena e altri arrestati per manifestazioni sporadiche di antifascismo.

Secondo gli studi più recenti, nel giugno 1940, al momento dell’entrata in guerra, in Italia erano presenti poco meno di 4.000 ebrei ed apolidi passibili del provvedimento di internamento. Si trattava di tedeschi, austriaci, polacchi, cecoslovacchi ed apolidi (divenuti tali in seguito alla revoca della cittadinanza italiana) che, nell’estate del ’40, costituirono nella quasi totalità il primo grosso contingente di internati ebraici nei campi di concentramento fascisti. Tra il 1941 ed il ’42, sarebbe giunto il secondo contingente dalle zone ex-jugoslave appartenenti allo stato croato o annesse all’Italia, composto da circa 2.000 ebrei, prevalentemente slavi, e nel quale vanno inclusi anche i 500 naufraghi del “Pentcho”, battello fluviale partito da Bratislava nel maggio 1940 coll’improbabile proposito di raggiungere la Palestina ed incagliatosi, dopo sei mesi, nei pressi di Rodi.

Ma quanti furono i campi di concentramento in Italia? Renzo De Felice nel suo libro “Storia degli ebrei sotto il fascismo”, parla di circa 400 tra luoghi di confino e campi di internamento. Fabio Galluccio, nel suo saggio del 2002 “I lager in Italia. La memoria sepolta nei duecento luoghi di deportazione fascisti” (NonLuoghi Editore), i lager in cui erano rinchiusi ebrei, dissidenti politici, stranieri, zingari e omosessuali, erano probabilmente quasi duecento, senza contare i luoghi di “semplice” confino. Non è stato ancora fatto un censimento attendibile. In ogni regione italiana  vi era almeno un campo. Questi campi potevano essere gestiti da civili o militari e potevano essere misti o solo femminili, come il campo di Lanciano (Chieti). I campi di concentramento fascisti erano situati prevalentemente nelle province di Teramo (Civitella del Tronto, Corropoli, Isola del Gran Sasso, Nereto, Notaresco, Tortoreto, Tossicia), Macerata (Pollenza, Urbisaglia, Tolentino, Treia, Potriolo), Campobasso (Agnone, Boiano, Casacalenda, Isernia, Vinchiaturo), Chieti (Casoli, Istonio, Lama dei Peligni, Lanciano, Tollo) e Avellino (Ariano Irpino, Monteforte Irpino, Solofra). Gli altri campi si trovavano a Fabriano e Sassoferrato (Ancona), Civitella della China a Renicci Anghiari (Arezzo), Alberobello e Gioia del Colle (Bari), Ferramonti di Tarsia (Cosenza), Bagno, Ripoli e Montalbano (Firenze), Manfredonia e Tremiti (Foggia), Ponza e Ventotene (Latina), Pisticci (Matera), Lipari

Il Macello, l’ex campo di concentramento di Manfredonia

(Messina), Chiesanuova (Padova), Ustica (Palermo), Colfiorito (Perugia), Città Sant’Angelo (Pescara), Castel di Guido (Roma), Campagna (Salerno) e Cairo Montenotte (Savona) [e San Bartolomeo (Rovigo), foto sotto].

I campi di concentramento erano situati in luoghi isolati e poco salubri, spesso in montagna dove l’inverno era rigido. Gli edifici adibiti a ospitare gli internati erano monasteri, ville requisite, fattorie, fabbriche dimesse, scuole, baracche, in un caso addirittura un cinema (Isernia) e un ex mattatoio (Manfredonia). In generale le condizioni di vita erano primitive e umilianti. Molti edifici presentavano una serie di problemi: freddo e umidità, mura pericolanti, pochissima luce, fornelli difettosi, finestre, pareti e tetti non isolati a sufficienza; a tutto ciò si aggiungeva il sovraffollamento, il vitto insufficiente e la presenza di cimici, pidocchi, ratti e scorpioni. L’assistenza sanitaria agli internati era prevista ma poteva essere concessa o rifiutata arbitrariamente, come avvenne nel caso di un’antifascista

romana internata a Mercogliano (Avellino), malata di cuore, la cui domanda di sottoporsi a una radiografia toracica venne respinta dal Ministero dell’Interno.

I campi fascisti non erano dei lager ma unicamente dei campi di concentramento. Le condizioni di vita, già difficili e deprimenti per tutti, peggiorarono tuttavia ulteriormente con l’arrivo, nell’aprile del 1941, degli sloveni e croati rastrellati in seguito all’occupazione italiana della Jugoslavia.
Sull’elenco Crowcass, compilato dagli alleati angloamericani nel 1944/45 figurano oltre trenta nominativi di persone – direttori o funzionari dei campi di concentramento fascisti – ricercate dalle autorità jugoslave per crimini di guerra.
All’8 settembre del 1943 molti internati, in particolare gli sloveni e croati e gli ebrei stranieri, si trovavano ancora rinchiusi nei campi di concentramento e nelle località d’internamento, finendo così nelle mani dei nazisti che li deportarono in Germania o nei campi di sterminio in Polonia. Valga per tutti il caso di Davi Bivash di 54 anni, ebreo di origine greca internato a San Severino Marche (Macerata) e lì arrestato il 30 novembre 1943 da italiani. Il 5 aprile fu deportato dal campo di concentramento di Fossoli ad Auschwitz, da dove non è più tornato.


http://www.carnialibera1944.it/documenti/lagerfriuli.htm

Campi di concentramento in Friuli

Alessandra Kersevan

Durante la recente visita di Ciampi in Friuli-Venezia Giulia un emissario del Presidente ha avuto l’incarico di portare una corona al monumento ai morti nel campo di concentramento di Gonars. È stata la prima volta, probabilmente per insistenza dell’ANPI regionale, che un alto esponente dello Stato italiano ha ricordato l’esistenza dei campi di concentramento fascisti (il monumento di Gonars era stato costruito nell’83 per volontà della Repubblica Jugoslava). È un gesto fra l’altro che avviene in controtendenza rispetto a una campagna revisionista e antislava sempre più ossessionante. Comunque, qualsiasi sia stata la motivazione di Ciampi, per la gran parte della gente, non solo nel resto d’Italia, ma anche in Friuli, quel gesto è stato occasione di scoprire qualcosa di terribile del nostro passato.

La tragedia dei campi di concentramento fascisti è stata infatti in tutti questi anni nascosta o minimizzata, così come i crimini dell’esercito italiano nei paesi aggrediti, per alimentare invece il mito dell’”italiano buono e amato” anche se aggressore e vittima a sua volta degli aggrediti infoibatori. È un mito continuamente alimentato che oggi serve a puntellare una politica neoirredentista nei confronti dei paesi dell’ex Jugoslavia, che si basa su un rinascente razzismo antislavo, che si va diffondendo anche a sinistra (sintomatico e sconvolgente a questo proposito l’Espresso del 16/3/2000, che ha in copertina il titolo “Sicurezza: slavi maledetti“, e poi nelle pagine centrali il reportage “Fortezza Italia“, sulla situazione dell’Istria, dove i croati vengono definiti da un intervistato – con molta condiscendenza da parte dell’intervistatore – “i “drusi”, i maiali, i comunisti titini”).

Quando si va ad analizzare invece sui documenti ciò che ha fatto l’esercito fascista italiano nei paesi aggrediti, il quadro che ne esce è quello di un comportamento criminale. Qualche tempo fa inoltre sono stati trovati da chi scrive, durante una ricerca nell’Archivio di Stato di Udine, dei documenti della Commissione Censura della Provincia di Udine, da cui la situazione degli internati di Gonars e di Visco, i due campi di concentramento del Friuli, risulta semplicemente sconvolgente. Una breve premessa storica permetterà a tutti di inquadrare i fatti e comprendere appieno i documenti.


1941: l’invasione della Jugoslavia


Il 6 aprile 1941 Hitler e Mussolini invadono la Yugoslavia. C’è una immediata reazione e l’inizio della resistenza jugoslava.

La Slovenia viene smembrata fra Italia (il territorio che diventa provincia di Lubiana) e Germania. Per quanto riguarda la Croazia il 18 maggio Aimone di Savoia diventa re di Croazia, con il collaborazionista Ante Paveliç come primo ministro.

In Slovenia già dall’ottobre del 1941 il tribunale speciale pronuncia le prime condanne a morte, il mese dopo entra in funzione il tribunale di guerra. La lotta contro i partigiani, che diventano una realtà in continua espansione, si sviluppa nel quadro di una strategia politico-operativa rivolta alla colonizzazione di quei territori. Con l’intervento diretto dei comandi militari italiani la politica della violenza si esercita nelle più svariate forme: iniziano le esecuzioni sommarie sul posto, incendi di paesi, deportazioni di massa, esecuzioni di ostaggi, rappresaglie sulle popolazioni a scopo intimidatorio e punitivo, saccheggiamento dei beni, setacciamento sistematico delle città, rastrellamenti… prende corpo il progetto di deportazione totale della popolazione, con il trasferimento forzato degli abitanti della Slovenia, progetto che i comandi discutono con Mussolini in un incontro a Gorizia il 31 luglio 1942 e che non si realizza solo per l’impossibilità di domare la ribellione e il movimento partigiano. Nel clima di repressione instauratosi con l’occupazione militare nel territorio jugoslavo, per il regime fascista nasce inevitabilmente l’esigenza di creare delle strutture per il concentramento di un gran numero di civili, deportati da quelle regioni.

I campi di concentramento e deportazione italiani furono almeno 31, di cui 26 in Italia, e vi morirono oltre 7.000 persone. Vi furono internati soprattutto sloveni e croati (ma anche “zingari” ed ebrei), famiglie intere, vecchi, donne, bambini.


Il campo di concentramento di Gonars


Il campo di concentramento di Gonars, in provincia di Udine, quindi vicinissimo alle zone slovene e alle zone in cui era già iniziata la guerra di liberazione, fu uno dei luoghi in cui si svolse la grande tragedia di questi deportati. Venne istituito già nel dicembre del 1941, costituito da tre settori, circondato da filo spinato, controllato dai carabinieri e da circa 600 soldati con 36 ufficiali. Ai lati nord e sud del vasto spazio recintato da due torri alte sei metri, armate con mitragliatrici puntate verso il campo, con riflettori che di notte illuminavano a intervalli di pochi minuti il campo e il circondario. Tutto intorno una “cintura” larga due metri, in cui le sentinelle avevano l’ordine di sparare senza preavviso a tutti quelli che la oltrepassavano.

All’arrivo i nuovi internati venivano denudati, “disinfestati”, rapati a zero. Ma nonostante la pulizia quotidiana delle baracche tenuta dagli stessi internati, i parassiti si moltiplicavano. Essi si diffondevano in prevalenza addosso agli internati che, a causa dell’indebolimento fisico, giacevano sempre a letto e si lasciavano andare all’apatia.

Il 25 febbraio 1943 ci sono a Gonars 5.343 internati di cui 1.643 bambini. Ci sono intere famiglie provenienti da Lubiana o dai campi di Arbe (Rab) o di Monigo (Treviso); due terzi croati e un terzo sloveni. Baracche strette e lunghe, da 80 a 130 prigionieri per baracca; baracche praticamente senza riscaldamento o con stufe mal funzionanti, ma molti (specialmente uomini adulti) dormivano in tenda; igiene impossibile per mancanza di tutto; pidocchi, scabbia erpete e altre malattie contagiose; per quanto riguarda le donne incinte, l’80% dei nati erano morti. Mangiare del tutto insufficiente, minestrone mezzogiorno e sera, praticamente acqua, + 200 g di pane. “La gente è affamata. Ma forse è meglio dire che muore di fame”, scriveva il salesiano padre Tomec, come risulta da una sua lettera in data 6 febbraio 1943. “Queste famiglie non hanno nessuno che possa mandargli i pacchi, perché le loro case sono state bruciate e i parenti sparpagliati. (…) Una grande maggioranza di internati è venuta da Arbe (Rab) e sono giunti già esausti, simili a scheletri. (…) Dal 15 dicembre 1942 al 15 gennaio 1943 ne sono morti 161. In media muoiono 5 persone al giorno. (…) Il maggiore medico Betti mi ha detto che in due mesi il 60% di questa gente morirà, se prima non vengono liberati. (…) Una scena triste viene offerta dalla baracca nella quale ci sono soltanto bambini orfani che hanno perso i genitori ad Arbe o a Gonars“. “Dio ci guardi da qualche epidemia nel campo. Le persone cadrebbero una dopo l’altra come mosche.” Così scriveva ancora padre Tomec.
E di una epidemia, si ha proprio notizia dai documenti della censura che si trovano nell’Archivio di Stato di Udine (fascicolo Prefettura). Infatti se in febbraio i problemi erano soprattutto la fame e il freddo, si ebbe anche un’epidemia di tifo petecchiale, non sappiamo con quali esiti. Di un’altra, nel giugno del ‘43, si sa anche per il campo di internamento di Visco (a 3 chilometri da Palmanova, a 10 dall’altro campo, quello di Gonars). C’erano in questo campo 4.000 persone, che in maggio, come risulta sempre da questi documenti della Censura, erano stati picchiati dai carabinieri con “botte da orbi” perché “quando hanno saputo che abbiamo perso la Tunisia, si sono messi tutti a gridare “Viva la Russia.”

Mentre sul campo di concentramento di Gonars ci sono stati degli studi che, seppur conosciuti solo localmente, hanno messo in luce questa tragedia, del campo di concentramento di Visco si sa poco e niente, ma la grande tragedia che vi si svolse emerge dai documenti che affiorano oggi dall’Archivio di Stato di Udine. Nel monumento ossario del cimitero di Gonars sono sepolti 453 corpi.

I prigionieri vengono liberati nel settembre del ‘43.


http://www.romacivica.net/anpiroma/deportazione/deportazionecampi1b.htm

IL CAMPO DI GONARS

Il campo di concentramento di Gonars, in provincia di Udine, quindi vicinissimo alle zone slovene e alle zone in cui era già iniziata la guerra di liberazione, fu uno dei luoghi in cui si svolse la grande tragedia di questi deportati. Venne istituito già nel dicembre del 1941, costituito da tre settori, circondato da filo spinato, controllato dai carabinieri e da circa 600 soldati con 36 ufficiali. Ai lati nord e sud del vasto spazio recintato da due torri alte sei metri, armate con mitragliatrici puntate verso il campo, con riflettori che di notte illuminavano a intervalli di pochi minuti il campo e il circondario. Tutto intorno una “cintura” larga due metri, in cui le sentinelle avevano l’ordine di sparare senza preavviso a tutti quelli che la oltrepassavano.

All’arrivo i nuovi internati venivano denudati, “disinfestati”, rapati a zero. Ma nonostante la pulizia quotidiana delle baracche tenuta dagli stessi internati, i parassiti si moltiplicavano. Essi si diffondevano in prevalenza addosso agli internati che, a causa dell’indebolimento fisico, giacevano sempre a letto e si lasciavano andare all’apatia.

Il 25 febbraio 1943 ci sono a Gonars 5.343 internati di cui 1.643 bambini. Ci sono intere famiglie provenienti da Lubiana o dai campi di Arbe (Rab) o di Monigo (Treviso); due terzi croati e un terzo sloveni. Baracche strette e lunghe, da 80 a 130 prigionieri per baracca; baracche praticamente senza riscaldamento o con stufe mal funzionanti, ma molti (specialmente uomini adulti) dormivano in tenda; igiene impossibile per mancanza di tutto; pidocchi, scabbia erpete e altre malattie contagiose; per quanto riguarda le donne incinte, l’80% dei nati erano morti. Mangiare del tutto insufficiente, minestrone mezzogiorno e sera, praticamente acqua, + 200g di pane. “La gente è affamata. Ma forse è meglio dire che muore di fame”, scriveva il salesiano padre Tomec, come risulta da una sua lettera in data 6 febbraio 1943. “Queste famiglie non hanno nessuno che possa mandargli i pacchi, perché le loro case sono state bruciate e i parenti sparpagliati. (…) Una grande maggioranza di internati è venuta da Arbe (Rab) e sono giunti già esausti, simili a scheletri. (…) Dal 15 dicembre 1942 al 15 gennaio 1943 ne sono morti 161. In media muoiono 5 persone al giorno. (…) Il maggiore medico Betti mi ha detto che in due mesi il

Campo di concentramento di Gonars (Udine)

60% di questa gente morirà, se prima non vengono liberati. (…) Una scena triste viene offerta dalla baracca nella quale ci sono soltanto bambini orfani che hanno perso i genitori ad Arbe o a Gonars”. “Dio ci guardi da qualche epidemia nel campo. Le persone cadrebbero una dopo l’altra come mosche.” Così scriveva ancora padre Tomec. E di una epidemia, si ha proprio notizia dai documenti della censura che si trovano nell’Archivio di Stato di Udine (fascicolo Prefettura). Infatti se in febbraio i problemi erano soprattutto la fame e il freddo, si ebbe anche un’epidemia di tifo petecchiale, non sappiamo con quali esiti. Di un’altra, nel giugno del ‘43, si sa anche per il campo di internamento di Visco (a 3 chilometri da Palmanova, a 10 dall’altro campo, quello di Gonars). C’erano in questo campo 4000 persone, che in maggio, come risulta sempre da questi documenti della Censura, erano stati picchiati dai carabinieri con “botte da orbi” perché “quando hanno saputo che abbiamo perso la Tunisia, si sono messi tutti a gridare “Viva la Russia””. Mentre sul campo di concentramento di Gonars ci sono stati degli studi che, seppur conosciuti solo localmente, hanno messo in luce questa tragedia, del campo di concentramento di Visco si sa poco e niente, ma la grande tragedia che vi si svolse emerge dai documenti che affiorano oggi dall’Archivio di Stato di Udine. Nel monumento ossario del cimitero di Gonars sono sepolti 453 corpi. I prigionieri vengono liberati nel settembre del ‘43. (a cura di Alessandra Kersevan)

(dai siti Pinerolo Cultura e rossaprimavera.org)



http://www.radicalidisinistra.it/i/campagne/memo04/dossier/delboca.htm

Italiani brava gente?

I campi nacquero grazie all’Italia fascista con l’occupazione in Africa negli anni ‘30, prima che in Germania. Lunga la lista delle dimensioni di crimini commessi dall’Italia fascista nella costruzione del suo impero, in nome della “superiore civiltà italica” e della sua “missione civilizzatrice”, in Africa (Libia, Etiopia, Somalia). Attraverso i commenti di testimoni e storici possiamo risalire ai massacri di civili, alla distruzione di interi villaggi, allo sterminio delle élite intellettuali e politiche, all’ uso sistematico di armi chimiche, alla distruzione delle colture e del bestiame per ridurre alla fame la popolazione, alle deportazioni e ai campi di concentramento con una mortalità che arrivò sino al 50% degli internati. Una serie di orrori, incontestabilmente provati da documenti ufficiali e testimonianze di sopravvissuti, con un bilancio, arrotondato per difetto, di circa 300.000 etiopi, 100.000 libici uccisi.


“Italiani brava gente”?
di Angelo Del Boca

“Deportazioni di massa, bombardamenti con bombe di iprite, campi di concentramento, rappresaglie indiscriminate, stragi di civili, confisca di beni e terreni. Le pagine nere dei crimini commessi dalle truppe italiane in Eritrea, Somalia e Libia. Una politica coloniale all’insegna del mito sugli «italiani, brava gente». L’Italia repubblicana non ha ancora fatto i conti con l’«avventura coloniale» del fascismo, favorendo una storiografia moderata o revanscista.” I paesi europei che hanno partecipato alla spartizione dell’Africa, si sono macchiati, tutti, indistintamente, dei peggiori crimini.

E’ un dato suffragato da episodi sui quali esiste, nella memoria e negli archivi, una documentazione imponente.

Cominciarono i boeri, due secoli fa, massacrando le popolazioni indigene del Sudafrica, in modo particolare gli Ottentotti, gli Zulù e gli Ama Xosa.

Gli inglesi non furono da meno, nel Sudan, quando si trattò di annientare la resistenza mahdista.

Negli stessi anni i francesi demolivano, l’uno dopo l’altro, i regni Bambara, Mossi, Fulbe, Mande, Yoruba, dalla Mauritania al Ciad, dal Senegal al Gabon.

Poi intervennero i tedeschi, i quali fecero scempio degli Herero e dei Nama, nell’attuale Namibia, mentre i belgi colonizzavano il Congo con metodi spietati.

Le stragi di popolazioni africane continuarono anche dopo la seconda guerra mondiale, quando il periodo coloniale sembrava ormai concluso.

Come dimenticare le repressioni del maggio 1945, nella regione di Costantina, a causa delle quali persero la vita dai 20 ai 50mila algerini? E la caccia al malgascio, dopo l’insurrezione del 1947, che fece, secondo le stime dello stesso Alto Commissario in Madagascar, Pierre de Chevigné, «più di centomila morti»? E che dire della campagna contro i Mau Mau del Kenya, fra il 1952 e il 1956, con un bilancio di 10.527 uccisi e 77mila incarcerati? Ma un autentico genocidio di un popolo si sarebbe verificato in Algeria, fra il 1954 e il 1961, quando i francesi, nel folle, antistorico tentativo di conservare alla Francia la sua più antica colonia, scatenavano una guerra che avrebbe causato un milione di morti.

Tanto nel periodo della liberaldemocrazia che durante i vent’anni del regime fascista, il comportamento dell’Italia nelle sue colonie di dominio diretto non fu dissimile da quello delle altre potenze coloniali. Impiegò i metodi più brutali sia nelle campagne di conquista che nel periodo successivo, stroncando ogni tentativo di ribellione. Con l’avvento del fascismo, poi, le condizioni dei sudditi coloniali si fecero ancora più precarie, soprattutto perché fu messa a tacere in Italia l’opposizione, tanto in Parlamento che negli organi di informazione. Grazie infine alle più capillari pratiche censorie, furono tenuti nascosti agli italiani episodi di inaudita gravità, come, ad esempio, la deportazione di intere popolazioni del Gebel cirenaico, la creazione nella Sirtica di quindici letali campi di concentramento, l’uso dei gas durante il conflitto italo-etiopico, le tremende rappresaglie in Etiopia dopo il fallito attentato al viceré Graziani.

Quando Mussolini arrivò al potere, la riconquista della Libia era appena iniziata, mentre sulle regioni centrali e settentrionali della Somalia il dominio italiano era soltanto virtuale. A Mussolini, più che ai suoi generali, va dunque la responsabilità di aver adottato i metodi più crudeli per riconquistare le colonie pre-fasciste e per dare, con l’Etiopia, un impero agli italiani.

a)

L’impiego degli aggressivi chimici. Usati sporadicamente in Libia, nel 1928, contro la tribù dei Mogàrba er Raedàt, e nel 1930, contro l’oasi di Taizerbo, i gas vennero invece impiegati in maniera massiccia e sistematica durante il conflitto italo-etiopico del 1935-36 e nelle successive operazioni di «grande polizia coloniale» e di controguerriglia. L’Italia fascista aveva firmato a Ginevra, il 17 giugno 1925, con altri venticinque paesi, un trattato internazionale che proibiva l’utilizzazione delle armi chimiche e batteriologiche, ma, come abbiamo visto, neppure tre anni dopo violava il solenne impegno usando fosgene ed iprite contro le popolazioni libiche.

In Etiopia le violazioni furono così numerose e palesi da sollevare l’indignazione dell’opinione pubblica mondiale. Le prime bombe all’iprite furono lanciate sul finire del 1935 per bloccare l’avanzata dell’armata di ras Immirù Haile Sellase, che puntava decisamente all’Eritrea, e quella di ras Destà Damtèu, che aveva come obiettivo Dolo, in Somalia. In tutto, durante il conflitto italo-etiopico del 1935-36, furono sganciate su obiettivi militari e civili 1.597 bombe a gas, in prevalenza del tipo C.500-T, per un totale di 317 tonnellate. Altre 524 bombe a gas furono lanciate, tra il 1936 e il 1939, durante le operazioni contro i patrioti etiopici. Se si aggiunge, infine, che durante la battaglia dell’Endertà furono sparati dalle batterie di cannoni di Badoglio 1.367 proiettili caricati ad arsine, non si è lontani dal ritenere che in Etiopia siano stati impiegati non meno di 500 tonnellate di aggressivi chimici.

b)

I campi di sterminio. Con il fascismo le vessazioni nei confronti degli indigeni raggiunsero livelli mai prima segnalati. Dall’esproprio dei terreni, dalla confisca dei beni dei «ribelli», dal diffuso esercizio del lavoro forzato, si passò alla deportazione di intere popolazioni e alla loro segregazione in campi di concentramento, che soltanto la cinica prosa dei documenti ufficiali aveva il coraggio di definire «accampamenti». Il più noto e drammatico di questi trasferimenti coatti avvenne in Cirenaica nel 1930, dopo che Graziani aveva fallito il tentativo di domare la ribellione capeggiata da Omar el-Mukhtàr. Su ordine del governatore generale Badoglio, il quale era convinto che la rivolta si sarebbe potuta infrangere soltanto spezzando i legami tra gli insorti e le popolazioni del Gebel cirenaico, Graziani predisponeva il trasferimento di 100mila civili dalla Marmarica e dal Gebel el-Ackdar ai campi di concentramento che aveva fatto costruire nella Sirtica, una delle regioni più inospitali dall’Africa del Nord. Quando i lager vennero definitivamente sciolti nel 1933, i sopravvissuti erano appena 60mila. Gli altri 40mila erano morti durante le marce di trasferimento, per le pessime condizioni sanitarie dei campi (per i 33mila reclusi nei lager di Soluch e di Sidi Ahmed el-Magrun c’era un solo medico), per il vitto insufficiente e spesso avariato, per le inevitabili epidemie di tifo petecchiale, dissenteria bacillare, elmintiasi, per le violenze compiute dai guardiani e per le esecuzioni sommarie per chi tentava la fuga.

I campi di sterminio nella Sirtica non furono i soli. Memore della loro macabra efficacia, Graziani ne istituì uno anche in Somalia, a Danane, a sud di Mogadiscio. Secondo Micael Tesemma, un alto funzionario del ministero degli Esteri etiopico, che fu recluso a Danane per tre anni e mezzo, dei 6.500 etiopici e somali che si avvicendarono nel campo, tra il 1936 e il 1941, 3.171 vi persero la vita.

Un secondo campo fu istituito nell’isola di Nocra, in Eritrea. Qui le condizioni di vita erano anche più intollerabili, perché i detenuti erano costretti al lavoro forzato nelle cave di pietra, con temperature che a volte raggiungevano i 50 gradi. L’alto tasso di mortalità a Nocra era causato principalmente dalla malaria e dalla dissenteria, poi dal cattivo nutrimento e dalle insolazioni.

c)

Le stragi. L’intera storia delle conquiste coloniali italiane è punteggiata da stragi e da esecuzioni sommarie. Ma vi sono episodi che emergono per la loro spiccata gravità. Nella notte del 26 ottobre 1926, ad esempio, avendo saputo che lo scek Ali Mohamed Nur, un capo religioso ostile all’Italia, era sfuggito all’arresto e si era barricato con i suoi seguaci nella moschea di El Hagi, a Merca, una cinquantina di coloni italiani di Genale, ex squadristi, armati di moschetti e di fucili da caccia, puntò su Merca, circondò la moschea e trucidò tutti i suoi occupanti, un centinaio di somali. Il massacro sarebbe stato anche più ingente se, al mattino, a sostituire gli squadristi, che intendevano liquidare tutta la popolazione indigena della zona, non fossero intervenuti i reparti dell’esercito.

Dalla Somalia passiamo alla Libia. Nel febbraio del 1930, alla fine delle operazioni per la riconquista del Fezzan, Graziani spinse un migliaio di mugiahidin, con le loro famiglie, verso il confine con l’Algeria e poiché non fece in tempo ad intrappolarli, per due giorni consecutivi lanciò tutti gli aerei a sua disposizione sulle mehalla in fuga. Fu una carneficina, come testimonia lo stesso inviato de Il Regime Fascista, Sandro Sandri, il quale assistette ai bombardamenti e mitragliamenti del «gregge umano composti, oltreché degli armati, da una moltitudine di donne e bambini».

Ma è in Etiopia, nel cristiano e millenario impero del Prete Gianni, che furono consumati i più orrendi eccidi, alcuni dei quali non ancora studiati a fondo per cui il numero delle vittime potrebbe ancora aumentare. Cominciamo con le stragi compiute ad Addis Abeba dopo l’attentato del 19 febbraio 1937 al viceré Graziani. Per tre giorni, su ordine del segretario federale della capitale, Guido Cortese, fu impartita agli etiopici, che erano assolutamente estranei all’attentato, una «lezione indimenticabile». Alla selvaggia repressione presero soprattutto parte camicie nere, civili italiani ed ascari libici e fu condotta, come riferisce un testimone degno di fede, il giornalista Ciro Poggiali, «fulmineamente, coi sistemi del più autentico squadrismo fascista». Quando, il 21 febbraio, Graziani diramò, dall’ospedale in cui era stato ricoverato per le ferite subite, l’ordine di cessare la rappresaglia, la capitale era disseminata di cadaveri. Mille morti, secondo Graziani; da 1.400 a 6.000, secondo le stime dei testimoni stranieri; 30mila, a sentire gli etiopici.

Cessata la strage in Addis Abeba, la repressione continuò in tutte le altre regioni dell’impero. Si dava soprattutto la caccia agli indovini e ai cantastorie, ritenuti responsabili di aver annunciato nelle città e nei villaggi la fine prossima del dominio italiano in Etiopia. Secondo una relazione del colonnello Azolino Hazon, la sola arma dei carabinieri passò per le armi, in meno di quattro mesi, 2.509 indigeni. Alle operazioni repressive partecipò anche l’esercito. Al generale Pietro Maletti venne infatti affidato l’incarico di punire i religiosi della città conventuale di Debrà Libanòs, ingiustamente sospettati di aver favorito l’attentato a Graziani ospitando i due esecutori materiali, gli eritrei Abraham Debotch e Mogus Asghedom. Tra il 18 e il 27 maggio 1937 Maletti portò a termine la sua missione fucilando 449 monaci e diaconi.

Queste cifre le abbiamo desunte dai dispacci che Graziani inviava quotidianamente a Mussolini, e fino a qualche tempo fa le ritenevamo attendibili poiché Graziani ha sempre avuto la tendenza a non celebrare, e soprattutto a non ridurre, le cifre della sua macabra contabilità. Il viceré, infatti, commentando la strage di Debrà Libanòs non aveva mostrato alcuna reticenza nel sottolineare l’estremo rigore della punizione: «E’ titolo di giusto orgoglio per me aver avuto la forza d’animo di applicare un provvedimento che fece tremare le viscere di tutto il clero, dall’Abuna all’ultimo prete o monaco».

Ma dovevo sbagliarmi sulle cifre della strage. Due miei collaboratori, Ian L. Campbell, dell’Università di Nairobi, e Degife Gabre-Tsadik, dell’Università di Addis Abeba, compivano fra il 1991 e il 1994 alcuni accurati sopralluoghi nelle località in cui Maletti decimò il clero copto e giunsero alla conclusione, dopo aver intervistato alcuni superstiti della strage e alcuni testimoni delle operazioni di Maletti, che le cifre riferite da Graziani erano del tutto inattendibili. In realtà, le mitragliatrici di Maletti hanno abbattuto a Debrà Libanòs, Laga Wolde e a Guassa, non 449 tra preti, monaci, diaconi e debteras, ma un numero di religiosi che si aggira tra i 1.423 e i 2.033. Data la serietà dei due ricercatori e il numero delle testimonianze raccolte, nel 1997 pubblicavo il loro lungo rapporto sul numero 21 di «Studi Piacentini».

Questa non è che una sintesi molto lacunosa dei torti che l’Italia fascista ha fatto alle popolazioni africane da essa amministrate. Dovremmo infatti anche parlare delle leggi razziali, che confinavano gli indigeni nei loro ghetti, anticipando di vent’anni i rigori e gli abusi dell’apartheid sudafricana. Dovremmo ricordare i limiti imposti all’istruzione, tanto che in settant’anni di presenza italiana in Africa nessun indigeno ebbe la facoltà e i mezzi per ottenere un diploma o una laurea. Dovremmo infine ricordare che ai sudditi africani erano riservati soltanto ruoli subalterni, i più modesti ed umilianti. Un fatto del genere non accadeva nelle colonie africane della Francia e della Gran Bretagna.

Questi crimini furono accuratamente nascosti agli italiani con tutti gli strumenti di cui può disporre una dittatura. E se qualche verità filtrava all’estero, ad esempio sui gas impiegati in Etiopia, il regime reagiva rabbiosamente sostenendo che un popolo che stava portando la civiltà in Africa non poteva macchiarsi di tali infamie.

Molti testimoni italiani di stragi o dell’impiego delle armi chimiche si decideranno a svelare i loro segreti soltanto trenta, quaranta, cinquanta anni dopo gli avvenimenti e sempre con qualche reticenza. Altri, invece, e sono i più numerosi, non hanno mai testimoniato sui crimini, perché non li ritenevano tali, ma li consideravano normali pratiche per tenere a freno popolazioni che giudicavano barbare. Molti, fra costoro, si sono fatti fotografare in posa dinanzi alle forche o reggendo per i capelli teste mozze di patrioti etiopici.

Questa macabra, allucinante documentazione fotografica è visibile negli Archivi storici di Addis Abeba e proviene dagli uffici degli organi giudiziari italiani scampati alle distruzioni della guerra, o dai portafogli degli italiani finiti prigionieri degli etiopici alla caduta dell’impero.

Il mito degli «italiani brava gente» cominciò ad affermarsi quando ancora l’Italia era impegnata in Africa a difendere i suoi territori. Se si sfogliano le riviste coloniali dell’epoca si nota l’insistenza con la quale il regime fascista cercava di accreditare la tesi dell’italiano impareggiabile costruttore di strade, ospedali, scuole; dell’italiano che in colonia è pronto a deporre il fucile per impugnare la vanga; dell’italiano gran lavoratore, generoso al punto da porre la sua esperienza al servizio degli indigeni. Si tentava, insomma, di costruire il mito di un italiano diverso dagli altri colonizzatori, più intraprendente e dinamico, ma anche più buono, più prodigo, più tollerante. Insomma il prodotto esemplare di una civiltà millenaria, illuminato dalla fede cattolica, fortificato dalla dottrina fascista. Questo mito sopravviverà alla sconfitta nella seconda guerra mondiale e impregnerà tutti i documenti che i primi governi della Repubblica presenteranno alle Nazioni unite o ad altre assise internazionali nel tentativo, fallito, di salvare, se non tutte, almeno le colonie prefasciste.

Non soltanto resisteva il mito degli «italiani brava gente», ma si impediva con ogni mezzo che si svolgesse nel paese un sereno e costruttivo dibattito sul colonialismo. Gli effetti del mancato dibattito sono visibili, come sono palesi i danni arrecati. Il primo dato negativo è la rimozione quasi totale, nella memoria e nella cultura storica dell’Italia, del fenomeno dell’imperialismo e degli arbitri, soprusi, crimini, genocidi ad esso connessi. A 117 anni dallo sbarco a Massaua del colonnello Tancredi Saletta, a 91 dallo sbarco del generale Caneva a Tripoli, a 67 dall’aggressione fascista all’Etiopia, l’Italia repubblicana non ha ancora saputo sbarazzarsi dei miti, delle leggende, delle contraffazioni che si sono formate nel periodo coloniale, mentre una minoranza non insignificante di reduci e di nostalgici li coltiva amorevolmente e li difende con iattanza.

Non soltanto è stato contrastato ogni tentativo di aprire un dibattito a livello nazionale sul colonialismo, che coinvolgesse storici, forze politiche ed opinione pubblica, ma si è anche tentato, da parte di alcune istituzioni dello Stato, di esercitare il monopolio su alcuni archivi per impedire che affiorasse la verità, mentre una storiografia di segno moderato o revanscista favoriva palesemente la rimozione delle colpe coloniali.

A quando i processi postumi ai Badoglio, ai Graziani, ai De Bono, ai Lessona, ai Cortese, ai Maletti e a tutti gli altri responsabili dei genocidi africani rimasti impuniti? A quando la verità nei libri di testo scolastici, che ignorano persino l’argomento? A quando la proiezione sulla Tv di Stato dell’inchiesta televisiva «Fascist Legacy» di Ken Kirby e Michael Palumbo sui crimini di guerra italiani in Africa e nei Balcani? Come è noto, la Rai-Tv acquistò questo filmato dalla Bbc molti anni fa ma non lo ha mai trasmesso. Perché? Per quali veti? Per quale ipocrita riserbo? Per quale motivo è ancora proibito proiettare nelle sale Il Leone del deserto, il film di Akkad che narra l’epopea tragica di Omar el-Mukhtàr, impiccato da Graziani nel lager di Soluch?


 Italiani brava gente?
  I campi di concentramento italiani in Africa. Di Angelo Del Boca

 I campi di internamento fascisti per ebrei. Di Carlo Spartaco Capogreco
 Lager in Italia dal ’43 al ’45 a. Di Fabio Galluccio


http://www.radicalidisinistra.it/i/news/i-e25112003.htm

La memoria dell’Italia e la marcia su Gerusalemme di Fini: il silenzio sui 250 auchwitz italiani

Parlare dei circa 250 campi di concentramento in Italia per ebrei, zingari, slavi, omosessuali, cittadini appartenenti a paesi nemici è sempre complesso. Complesso perché  nonostante il mio piccolo libro (I lager in Italia, ed. nonluoghi), circoli nelle librerie, con molte difficoltà di distribuzione, dal settembre 2002 e pochi altri libri parlino del fenomeno (ultimo quello ristampato da Mursia di Carlo Spartaco Capogreco sul campo per slavi di Renicci in Toscana) o articoli recenti citino l’argomento come quello di “Rinascita della sinistra” sul campo di Arbe in Croazia o la citazione di Giorgio Bocca sulla sua rubrica di ” L’Espresso” sul campo di Gonars in Friuli Venezia Giulia, il tema appare sfiorato dagli storici, e solo da recente, probabilmente anche a seguito del revisionismo da parte della destra. Dal 1940 (anche se di campi di concentramento in Italia si comincia a parlare con quelli terribili istituiti da Rodolfo Graziani in Africa nel 1930 dove morirono migliaia di persone), poco dopo la proclamazione della guerra, furono istituiti per decreto circa 40 campi che via via aumentarono, soprattutto dopo l’occupazione della Slovenia, della Croazia, dell’Albania e della Grecia da parte delle truppe italiane. Successivamente con la Repubblica Sociale italiana, il ministro degli interni Buffarini Guidi chiese di istituire in tutte le province della repubblica almeno un campo di concentramento per racchiudere gli ebrei. Perchè dopo la guerra su tutto questo sia stato steso un velo di silenzio e soprattutto perchè questi luoghi siano stati totalmente dimenticati dalla memoria locale e collettiva è uno dei grandi misteri che si unisce a quello della mancata epurazione di molti gerarchi fascisti che rimasero al loro posto o che addirittura furono collacati in posti importanti della rinata democrazia. Solo pochi anni dopo la guerra, nel 1953, Graziani divenne presidente del MSI. Si pensi che da tutti i campi del centro nord (basta sfogliare la monumentale opera “Il libro della memoria” di Liliana Picciotto Fargion, ed. Mursia) le persone concentrate in questi campi furono deportate verso lo sterminio in Germania. Le vicende di questi giorni che vedono gli eredi del fascismo nel governo del Paese insieme a pericolose ideologie mediatiche e xenofobe e la pericolosa involuzione antidemocratica e anticostituzionale a cui tutti assistiamo, fa ritornare ossessivamente alla memoria quanto amava dire la filosofa tedesca Hannah Arendt: “Un popolo che non ha memoria è costretto a ripetere gli stessi errori del passato”. Proprio nell’ultimo numero di “Internazionale” (21-27 novenbre 2003) il corrispondente tedesco di N-Tv e di alcuni canali televisivi pubblici della Germania, Udo Gumpel, ci ricorda l’assurda storia del cosiddetto “armadio della vergogna”, l’armadio con le ante rivolto contro il muro, scoperto nel 1994 nei locali del Palazzaccio, il vecchio Palazzo di giustizia romano. In quell’armadio sono stati sepolti e “archiviati” centinaia di documenti che riguardavani le stragi nazi-fasciste in Italia. Un armadio, come scrive Gumpel, “che fa vergogna alla giustizia, ma anche ai mass media”, che hanno steso un velo profondo di silenzio. Certo in questa incredibile dimenticanza, come in questo ritorno ad un passato, che speravamo estirpato, pesa indubbiamente il ruolo della Chiesa cattolica nel Paese, ieri come oggi. Come mai la Chiesa affittava senza problemi etici o morali, propri edifici per campi di concentramento allo Stato italiano (ricordo Agnone, Civitella del Tronto, Isola Gran Sasso, Roccatederighi,…) o mandava personale ecclesiastico, per lo più suore, (Alatri o Vo’ Vecchio), per lavorare all’interno del campo. Come mai Borgoncini Duca, nunzio apostolico presso lo Stato italiano, uno dei pochi vescovi fatto cardinale da Pio XII dopo la guerra, visitava in lungo e largo questi campi. Faceva lo stesso il nunzio apostolico presso il governo di Hitler ? E perchè si preoccupava tanto delle sorti degli internati in Italia, mentre nei campi di Gonars ( si parla di 500 morti), ad Arbe (1500 morti), in Tessaglia a Larissa (centinaia di morti per malnutrizione, 106 uccisi per rappresaglia), nell’isola di Molat (3500 furono gli internati e anche lì ci furono centinaia di morti) – fonte Dizionario del fascismo, ed. Einaudi, voce campi di concentramento curata da Carlo Spartaco Capogreco -, nessuno interveniva ?. Non mi risulta peraltro che nessuno abbia fatto una stima complessiva dei morti per mano italiana nei campi sotto il regime fascista. Senza contare, come già scritto, che la Chiesa non mosse un dito per fermare “il viaggio” verso lo sterminio degli internati nei campi italiani ( di cui conosceva tutte le sedi), presi dai fascisti e dai nazisti in ritirata. Anche da quei luoghi che erano sedi ecclesiastiche come il seminario estivo di Roccatederighi dove furono portati alla morte un centinaio di ebrei. Anzi c’è di più come ci ha raccontato la storica Luciana Rocchi, il vescovo di Grosseto chiese al prefetto democratico della sua città, gli affitti non pagati dalla fine della guerra in quanto lo Stato italiano non aveva disdetto l’affitto.

http://www.criminidiguerra.it/Ebreineicampi.htm

I generali italiani e gli Ebrei sloveni e croati:
campi di concentramento e “massa di manovra”.

Il 28 ottobre 1941 l’Alto Commissario per la provincia di Lubiana (ovvero l’autorità politica), Emilio Grazioli invia un documento al comando dell’XI CdA. (comandante gen. Robotti), in cui detta ulteriori disposizioni per l’intensificazione “delle misure di prevenzione e di repressione, già adottate dai competenti organi di polizia, in relazione all’accentuarsi di attentati da parte di terroristi isolati o riuniti in gruppi“.
Tra le determinazioni, per prima viene disposta “l’espulsione o internamento di tutti gli ebrei e cittadini di stati nemici, residenti nella Provincia” e successivamente “l’adozione di provvedimenti di polizia a carico degli elementi sospetti o indesiderabili“.

Quindi l’autorità politica mette sullo stesso piano cittadini sloveni di religione ebraica (anzi li indica prima nell’elencazione) con cittadini di stati nemici, considerandoli inoltre più pericolosi di elementi sospetti.
Si tratta di un’anticipazione di quello che scriveranno i gerarchi fascisti della Repubblica Sociale Italiana nel 1944 al Congresso di Verona, aprendo la strada ad una più intensa collaborazione con i nazisti nella deportazione ed eliminazione delle persone di religione ebraica.
Da notare che il fascista Grazioli non esprime motivazioni politiche: viene dato per scontato che un individuo, in quanto di religione ebraica, deve essere pericoloso per l’ordine pubblico e per “gli interessi italiani”.

I supremi comandi militari fanno ancora di più il 20.7.1942 in una comunicazione il gen. Roatta scrive al gen. Robotti: “V. E. disponga infine per l’internamento di quegli abitanti di Lubiana a cui ha accennato il podestà e di cui darà la lista (ebrei, emigrati dalla Germania ed Austria, etc.)“.
Non solo gli sloveni, ma anche gli ebrei di lingua tedesca sfuggiti alle persecuzioni dei nazisti sono pericolosi e vanno rinchiusi nei campi di concentramento.

Ma nell’estate del 1943 gli ebrei rinchiusi nei campi di concentramento della Dalmazia come internati “protettivi“, diventano oggetto di particolare interesse per i generali; vengono infatti riuniti tutti ad Arbe e le loro condizioni sono oggetto di alcune corrispondenze interne.

Il 10 luglio, l’ufficio Affari civili del comando II armata scrive all’Intendenza della stessa armata, riguardo la “sistemazione ed il trattamento degli ebrei nel campo di Arbe”, dopo essere stato sollecitato da “varie istanze” presentate da questi detenuti.

Viene premesso che le condizioni degli ebrei, prima del loro concentramento ad Arbe, erano “di una certa libertà e di una comoda sistemazione” nei campi di Porto Re (dipendente dal V CdA), Kupari, Mlini, Gravosa, Mamula (dal VI CdA), Lesina, Brazza (dal XVIII CdA), ovvero stavano meglio prima di passare sotto la gestione dell’Intendenza della II armata.
Quindi l’alto ufficiale scrive: “ … non si può pensare che questa massa di 2700 ebrei – politicamente – debba essere rigidamente considerata in modo uguale agli altri internati civili: non perchè gli occhi dei loro consanguinei, nemici nostri, siano ogn’ora rivolti a costoro, ma perchè effettivamente sotto l’aspetto politico, possono, costoro, costituire una propizia opportuna massa di manovra.” e conclude: “Gli ebrei dell’Armata costituiscono una massa di 2700 persone che hanno i doveri tutti degli internati civili a scopo protettivo, uguale trattamento, ma per particolari, eccezionali motivi, contingenti e politici, si ravvisa opportuno concedere – nell’intangibile disciplina – un trattamento sentitamente “italiano” per cui se è stata usata loro dalla nostra autorità militare una gentilezza, questa sia intera, non a metà.”
Gli archivi dell’USSME indicano che queste persone provengono dalla Croazia: sono quelli riusciti a scampare alle stragi degli ustascia.

Ma perchè questi non sono da considerarsi nemici, come i “loro consanguinei”?

A scanso di equivoci la lettera conferma la convinzione razzista che ha sostenuto le leggi razziali italiane del 1938: “quella che fu una vita agiata per molti vissuta da milionari“, ovvero traducendo: gli ebrei (molti) sono ricchissimi e hanno accumulato questi milioni sfruttando, come parassiti, il popolo.
Si può notare inoltre come vengano ribaditi ben tre volte i termini “politico” e “massa” con l’illuminante aggiunta del “di manovra”.
Quindi questi ebrei sono importanti proprio in quanto “proprizia opportuna massa di manovra” ovvero di scambio in una trattativa con gli eserciti alleati che ormai stanno vincendo la guerra. Infatti gli anglo-americani sono già sbarcati in Sicilia (il 9 luglio) e gli alti comandi della II armata non possono essere del tutto all’oscuro della prossima caduta di Mussolini, che avverrà il 25 luglio e porterà al Governo un importante generale, già zelante interprete dei progetti stragisti del Duce in Africa, il maresciallo Badoglio.

A conferma di questa interpretazione si può analizzare una seconda comunicazione sempre dei medesimi soggetti, ma questa volta vistata direttamente dal comandante della II armata, gen. Robotti (“Va bene“).
In questa del 18.8.1943 si chiarisce la specificità degli ebrei internati ad Arbe rispetto agli ebrei detenuti in altri campi di concentramento “in Italia o territori annessi“.
Nell’Era Nuova, non fascista” è stata disposta la “dismessione degli ebrei” dai campi, che “vengono “tradotti” nella località di destinazione con scorta“. Ebbene questo accompagnamento coatto non deve “essere applicato per gli ebrei che ora, occasionalmente, si trovano ad Arbe“.
L’importanza delle agevolazioni da concedere a questa “massa di manovra” è tale, che porta lo scrivente addirittura a sottolineare che l’Intendenza “persiste ad usare un trattamento uguale a quello dei repressivi” e quindi severo.
Si tratta di un chiaro tentativo di scindere le proprie responsabilità, scaricando tutto sull’Intendenza che gestisce il campo di concentramento.
Ma, occorre notare che lo stesso estensore della lettera, alto ufficiale del comando della II armta, ha appena implicitamente ricordato che l’Intendenza è di fatto alle proprie dipendenze (questi ebrei “dipendono unicamente dal Comando della 2 Armata“).

Viene ribadito inoltre che questa “massa” di ebrei era stata oggetto di contenzioso con l’autorità croata e tedesca (autunno del 1942) e che, per decisioni di “carattere politico“, l’autorità italiana si oppose a consegnarglieli, poichè sapeva che sarebbero andati incontro a “deportazione per la “mattanza” o soppressione“.
Un particolare curioso è dato dal fatto che questi deportati protetti, nei dati riportati dai militari stessi, stranamente continuano a crescere: 2.549 (nel rapporto del 27.6.43), 2.700 (nella prima lettera del 10.7.43), 3.000 (nella seconda lettera del 18.8.43); forse una cifra arrotondata in eccesso era una presentazione più incisiva della magnanimità profonda dei generali.

In conclusione gli ebrei croati, scampati allo sterminio tra il 1941 e il 1942, diventarono un prezioso “biglietto da visita” che gli alti vertici militari volevano usare sia per le trattative segrete in corso con gli Alleati, sia per affrontare con un’immagine più “pulita” l’imminente dopoguerra.
Non a caso la linea di difesa espressa nella Memoria della Commissione d’inchiesta per i presunti criminali di guerra del Governo italiano, era basata sulla tesi che i delitti più atroci, le barbare distruzioni di interi villaggi e di edifici” furono opera dei gruppi etnici in lotta fra loro, mentre “le nostre Autorità di occupazione” intervennero “per assicurare una vita pacifica alle popolazioni“.

Con questa manovra “politica” gli alti generali cercavano di trasformarsi dai razzisti persecutori che avevano internato migliaia di ebrei jugoslavi nei campi di concentramento militari, nei salvatori dei poveri ebrei scampati, ma ancora minacciati di sterminio dagli ustascia e dai nazisti.


Molte immagini sono tratte da:

http://www.criminidiguerra.it/Immagini.htm

Un’ampia bibliografia è riportata qui:

http://www.criminidiguerra.it/Presentazione.htm

Molte notizie, sofferte in prima persona, sono qui:

http://www.deportati.it/


RICORDATE, NON DIMENTICATE MAI:           GLI ITALIANI NON SONO BRAVA GENTE !

HANNO INVENTATO IL FASCIMO CHE ORA, ALLEGRAMENTE, RIPROPONGONO AL GOVERNO DEL PAESE.

IN ITALIA, SOLO IL FASCISMO CI HA PRIVATO DELLA LIBERTA’ E SOLO IL FASCISMO HA CREATO LAGER E MASSACRI PER OGNI OPPOSITORE E/O DIVERSO

Quanto segue vada alla memoria di Monsignor Facchini, Vescovo di Alatri.

Roberto Renzetti


http://www.cnj.it/documentazione/alatri.htm

COORDINAMENTO NAZIONALE PER LA JUGOSLAVIA

ITALIJANSKA KOORDINACIJA ZA JUGOSLAVIJU

CRONACA DI UN’INFAMIA

“Le Fraschette” di Alatri, campo d’internamento per slavi

Di Vincenzo CERCEO

Fonte: La Nuova Alabarda (Trieste)

Per scaricare questo dossier in formato PDF:
http://www.nuovaalabarda.org/dossier/il_campo_di_internamento_di_alatri.pdf



Da tempo i partigiani ciociari, nella provincia di Frosinone, chiedono al Ministro per i Beni e le Attività culturali che il campo delle “Fraschette”, nei pressi di Alatri (località a poche decine di chilometri da Roma), venga ufficialmente riconosciuto come “luogo della memoria”, analogamente a quanto è già accaduto per il campo di Ferramonti di Tarsia, in Calabria, ma la richiesta è, sin qui, rimasta “inevasa”.
Oggi, al campo delle “Fraschette” non c’è alcun segno che chiarisca ai rarissimi visitatori cosa ha rappresentato questo campo, quali tragedie vi sono state vissute. Anzi: negli ultimi anni è stato riadattato per ospitare profughi provenienti dall’Est europeo. Sulla realtà passata di questo campo esiste già un vuoto di memoria raggelante: un solo esempio: durante la ricerca condotta da chi scrive sull’argomento, una dipendente
dell’Archivio di Stato di Frosinone, informata per la prima volta che, nei decenni passati, a pochi chilometri da casa sua era stato in funzione un campo fascista di concentramento ed internamento, esclamava sorpresa: “è la prima volta che lo sento!” [anche io, Roberto Renzetti, pur conoscendo bene Fraschette, per aver vissuto lì vicino per due anni, non ho mai saputo nulla della cosa, n.d.r.]. E ciò è spiacevole.


Nell’aprile 2002, la Biblioteca Comunale di Alatri organizzava un convegno dal titolo: “Dossier Fraschette 1942-2002”, con lo scopo di interrompere la congiura del silenzio in corso sull’argomento. Gli atti, ancora non pubblicati, sono però disponibili presso quella Biblioteca e sono stati in parte utili a questa ricerca, ma l’opera di chiarificazione ed informazione è solo all’inizio. Pare quasi che in Italia siano tanti a voler tacere su queste cose.
La ricerca storica e la divulgazione pubblicistica si sono interessate molto, negli ultimi anni, dell’occupazione tedesca, di Cefalonia, Marzabotto e così via, ma preferiamo dimenticare che anche noi siamo stati il popolo che ha causato diverse Marzabotto ad altri popoli.
Ma vediamo più da vicino il campo delle “Fraschette”: una chiara descrizione è data, ad esempio, da una slovena che fu internata: Milena Giziak da Vertoiba, frazione del comune di Gorizia. Arrestata con tutta la famiglia nel settembre 1942 perché un fratello era andato partigiano, rinchiusa in carcere (aveva solo 13 anni!) fino al marzo 1943, con cibo scarsissimo e con suore-agenti di custodia che obbligavano le donne a pregare, fu,
infine, spedita con altre 150 donne alle “Fraschette”. Ecco cosa leggiamo nella testimonianza rilasciata dalla stessa
 e pubblicata nel volume dell’ANED intitolato: “Gli internati dal 1940/1943”.
“Il campo di Fraschette era collocato in una conca disabitata, circondata da monti. Eravamo quasi solo donne. Il vitto era impossibile: un mestolo di brodaglia e un etto di pane al giorno. Sporcizia rivoltante nei luoghi dove il cibo veniva preparato. Spaventose soprattutto le condizioni delle croate e delle greche, tanto da essere costrette ad aggirarsi attorno ai bidoni della spazzatura onde recuperare bucce di patate e qualche altro scarto”.
Una certa solidarietà, afferma la Giziak, veniva loro dai giovani soldati di guardia, i quali “tolleravano le uscite clandestine delle internate per saccheggiare nelle campagne circostanti la frutta e quant’altro potesse attenuare gli stimoli della fame”. È l’eterna complicità dei sessi, che prescinde dalle ideologie e dai regolamenti; una delle cose che, in ogni epoca, hanno consentito di sperare, nonostante tutto.


LA MEMORIA LUNGA

Dei campi di deportazione ed internamento fascisti, abbiamo detto, raramente si parla, ma non possiamo continuare ad esaltare le colpe degli altri omettendo l’esame dei nostri errori che si chiamano appunto “confino” ed “internamento”, misure realizzate da un governo pienamente legittimato, dal Fascismo monarchico libero e sovrano. Questo fascismo ha partorito la realtà del campo “le Fraschette” di Alatri. Questo campo è
particolarmente interessante perché rappresenta diverse tipologie di internamento succedutesi, e risponde alle diverse basi dello sviluppo dei campi di concentramento fascisti.
Nel 1922 il fascismo istituì il confino di polizia per avversari politici; nel 1938 vi furono le leggi razziste (che si preferisce, per vergogna, chiamare “razziali”), con possibilità di provvedimenti restrittivi verso gli ebrei; l’internamento invece risale al 1940 ed è misura di guerra. Il regime ne fece largo uso, molto più del “confino”, perché per comminare il confino erano necessari alcuni passaggi burocratici, il confinato poteva appellarsi e così
via. L’internamento invece non aveva bisogno di commissioni, né di rinnovi. Era un provvedimento rapido e definitivo. Anche per questo “istituto”, però, va fatta un’ulteriore distinzione: c’era un internamento di Polizia, che concedeva un sussidio agli internati, ed una seconda forma di internamento, gestito direttamente dai militari, che riguardava i territori occupati. Non concedeva alcun sussidio, e riguardava in massima parte le popolazioni slave, dove era viva l’attività partigiana. Il campo delle “Fraschette” venne progettato nell’aprile del 1941 per ospitare 7.000 prigionieri di guerra, ma, dato il problema impellente degli sfollati, il Ministero degli Interni decise presto di destinarlo a questo uso. Alla fine prevalse un terzo uso: campo di internamento per migliaia di slavi che venivano deportati per rappresaglia contro l’attività partigiana. La gestione dell’internamento, però, fu affidata non alla Direzione Generale della Pubblica Sicurezza, bensì all’Ispettorato Generale per i servizi di guerra. Ciò consentiva al governo di risparmiare il versamento del sussidio di L. 6,50 al giorno per ogni internato. Al campo, dunque, fu la fame più nera. All’interno del campo, si mangiava solo, da parte degli slavi, la brodaglia preparata dai militari.
Diversa era invece la situazione per i non numerosi internati anglo-maltesi che venivano assistiti dalla Croce Rossa svizzera. Erano gli slavi, insomma, ad essere condannati all’inferno. Traccia chiarissima ne risulta dalla consultazione dei registri di morte, di cui il sindaco di Alatri, con gesto liberale e lungimirante, ha consentito a chi scrive la consultazione e l’uso per fini di documentazione storica.
L’elenco è lungo, allucinante. Morivano, in percentuale, il 95% di internati slavi, quasi ogni giorno, dai due mesi di età agli 89 anni (in appendice a questo studio pubblichiamo un elenco parziale di tali vittime).
Nel luglio 1943 su 1.162 “Dalmati” presenti nel campo, circa 500 erano bambini, quasi tutti orfani. Gli internati erano civili, familiari di “ribelli” slavi, tenuti in ostaggio per convincere i partigiani a rinunciare alle loro attività in cambio del ritorno a casa degli internati. Di queste cose, in particolare, si è occupato lo storico calabrese Carlo Capogreco, a cui dobbiamo la maggior parte delle notizie qui sopra riportate. Il 25 luglio non modificò la situazione degli internati, che, anzi, nell’estate del 1943 salirono fino ad un numero massimo di 4.500 persone.
Dopo l’8 settembre, il venir meno della vigilanza consentiva a molti internati di fuggire, e, nel novembre dello stesso anno, le SS tedesche imposero al governo di Salò il trasferimento degli ultimi rimasti, in numero di 1.300, al campo di Fossoli, presso Carpi. Gli slavi, però, avevano avuto modo, per la massima parte, di tornare fortunosamente e faticosamente a casa. I tedeschi non erano molto interessati ad essi. Uno studio approfondito su queste vicende però manca ancora. Con l’estate del 1943, inoltre, il vescovo di Alatri, mons. Facchini, aveva ottenuto la presenza di una comunità di 5 suore nel campo per assistere gli internati. Preferiamo trattare a parte questa vicenda.

IL VESCOVO ANTIFASCISTA

Agli inizi di febbraio 1944, il governo di Salò inviava alla segreteria di Stato vaticana una nota riservata, riguardante il vescovo di Alatri, mons. Facchini. Ci piace riportarla:
“Monsignor Vescovo di Alatri il giorno 30/1/1944 durante la Santa Messa delle ore 12.00, in un appello ai fedeli di Alatri dichiarava, alla presenza di numerosi ufficiali, che era necessario mostrare ai tedeschi i denti”.
Fu lui a coordinare in zona le tre componenti della Resistenza (quella cattolica, quella militare e quella marxista, che divenne presto preminente) ed a fornire il ciclostile per stampare, in Curia, il giornale clandestino dei partigiani. La morte di questo nobile prelato, negli anni ’60, durante il Concilio Vaticano II, non ha attenuato il rispetto dei concittadini per il nome; rispetto che è sempre stato e rimane totale. Il segretario di mons. Facchini, oggi vecchio parroco di campagna, ma fine intellettuale ed ottimo filologo autore di studi specialistici, fornisce testimonianze verbali toccanti circa quel periodo. La presenza di quel campo di internamento nella sua diocesi era, per il Vescovo, una spina nel cuore che non gli dava pace. “Andava anche due o tre volte al giorno al campo, a piedi oppure con la sua Balilla”. “I responsabili del campo non avevano grande considerazione per le condizioni degli internati”. Accadevano strani traffici, specie denaro. Monsignor Facchini accusava tutti pubblicamente, dal pulpito. Riuscì a far trasferire il direttore, ma, dopo poco, lo vide reintegrato. Partì allora per Roma, per parlare col Capo della Polizia, ma non ottenne nulla. Evidentemente troppo forti erano gli interessi in gioco. Ottenne però l’autorizzazione a creare, all’interno del campo, un presidio di suore; al momento dell’attuazione, però, le suore della diocesi si rifiutarono. Mons. Facchini era prelato non uso a discutere con i suoi inferiori: dette ordine alle stesse di eseguire le sue direttive. È grazie al diario della superiora di quel gruppo di suore, Madre Mercedes Agostini (che proprio Facchini volle fosse compilato e conservato), che abbiamo notizie preziose sulla vita del campo.
Un giorno il Vescovo dovette protestare affinché l’infermeria del campo fosse fornita di un bisturi: durante la notte, infatti, un internato medico aveva dovuto operare un’appendicite urgentissima con una lametta da barba “perché l’ospedale era lontano e l’ammalato rischiava di morire in barella”. A guerra finita, dettero a Mons. Facchini una medaglia di bronzo al merito, ma egli non volle andare a ritirarla in Prefettura. È bello anche sentire di queste testimonianze: il 1° maggio 1943, cinque donne slave del campo furono sorprese con un nastrino rosso tra i capelli. “È il 1° maggio, dissero ai poliziotti, e vogliamo festeggiarlo”. Il Prefetto, informato, raccomandò maggiore vigilanza. E sempre dal Prefetto, Mons. Facchini (che pur sempre era sacerdote), si lamenta così: “i
soldati addetti alla cucina si prendono la libertà di assumere in cucina, come aiutanti, le più belle tra le donne del campo”. E pazienza!

ANCORA TESTIMONIANZE

Luisa Deskovic, dalmata, nel 1941 studiava a Belgrado ed era comunista. Scoppiata la guerra, rientrò a Sebenico e fu arrestata per le sue idee politiche. Confinata a Ventotene, senza alcun processo, nell’agosto 1943, a fascismo caduto, fu trasferita alle “Fraschette” dai “badogliani”. Si dichiarò, al momento dell’immatricolazione, jugoslava, ma i poliziotti la minacciarono: “la Dalmazia è Italia!”.
“Gli slavi all’epoca erano circa 4.000. Due volte al giorno ti davano il rancio con la gavetta, una brodaglia con qualche pezzo di zucca. Non ho mai mangiato, né prima né dopo, una roba tanto disgustosa”, dichiarò.
Dopo l’8 settembre, tra la confusione generale, decise di allontanarsi. Prese il treno per Roma e da lì risalì al Nord Italia. Altri rimasero, altri ancora furono deportati dai nazisti. Oggi andrebbe fatta una ricerca accurata.
La mortalità nel campo, specialmente tra i piccoli, era alta. I fanciulli infatti erano privi di ogni cura e lasciati per tutta la giornata fuori. La ristrettezza delle baracche induceva le mamme a spingerli
 fuori. Con l’arrivo della scuole, si organizzò una scuola per 400 alunni. I bimbi croati organizzarono un coro: “amavano cantare”, dicono le suore nelle loro testimonianze. Dal Vaticano incominciò anche ad arrivare latte in polvere. Finalmente!
Ma oramai eravamo nell’estate del 1943 e troppi erano morti in precedenza. Suor Mercedes ricorda i nomi di cinque bambine croate affidatele: SKERIC Ljubica, di 5 anni; SKERIC Milica di 9 anni; SKERIC Stefania di 7 anni; Tommasovic Danica di 12 anni; Matjejevic Milica di 7 anni.
“Camminavano scalze, tenendo in mano gli zoccoli perché erano troppo grandi”. Al momento del bagno, la più piccola pianse nel doversi mettere in acqua. Al momento del trasferimento degli ultimi internati a Fossoli, le suore li scortarono fino a destinazione.

Dopo il 1944 il campo ospitò prima prigionieri tedeschi e poi profughi e dalmati, ed altri ancora, fino agli anni ’70, quando fu chiuso, per essere riaperto dopo la caduta del muro di Berlino: la storia continua!

QUELLI CHE RIMASERO

Ecco l’elenco parziale degli internati defunti tratto dal registro di morte fornito dal Comune di Alatri. La limitatezza del numero qui riportato è data solo dal fattore contingente dello scarso tempo disponibile, a chi scrive, per la ricerca; ma di molto detto elenco si potrebbe allungare, e lo si può allungare, se lo si ritiene opportuno, data
la disponibilità, meritevole, del sindaco Cittadini. Le sicure inesattezze nelle indicazioni delle località di origine dei defunti, sono dovute alla scarsa conoscenza di quelle località, sia da parte di chi scrive che da parte dell’estensore del certificato relativo nel 1943.

data di morte | cognome | nome | luogo di nascita e anno | età

03/01/43 Pavic (Pavic) Nicola (Nikola) Betina (1892) 11
08/01/43 Stimac (`´Stimac) Giuseppe Cerni Lug (`´Crni Lug)  88
11/01/43 Branica Fortunato Susak (Su`´sak) 72
12/01/43 Malnar Maria Cerni Lug ( `´Crni Lug)  65
19/01/43 Molnar Isidoro Crni Lazi ( `´Crni La`´zi)  66
20/01/43 Segic Giovanni Esopiccolo (Mali Azor) 74
24/01/43 Rodin Antonio (Ante) Previcchio (1872) 70
06/02/43 Sarson (Sar`´son) Miranda Fiume mesi 2
10/02/43 Badalon Andrea Castel (Ka`´stelj) 63
11/02/43 Zivkovic (`´Zivkovic) Matteo (Mate) Zaton (1872) 72
15/02/43 Iadrievic (Jadrijevic) Giovannina Prinosten (Primo`´sten) 66
17/02/43 Vranic Agostino Costerna S. Lucia (Kosterna) 79
23/02/43 Zoretic Angela mesi 2
27/02/43 Popovac Giovanni Bigliana Superiore (Biljana) 18
06/03/43 Intelia Natale Zara 13
06/03/43 Bosna Simica (`´Simica) Betina (1883) 58
15/03/43 Burtina Antonio (Ante) Butina (Betina) (1876) 67
22/03/43 Baretincic Pasquale Logne (Lokve) 62
24/03/43 Bosna Zvita (Cvita) Betina (1888) 58
08/04/43 Medanic Cristofaro Esopiccolo (Mali Azor) 70
13/04/43 Palunic Barbara Gerado 68
16/04/43 Rosic Albina Padum (Podhum) mesi 1
20/04/43 Petrovic Pietro Potenon 97
21/04/43 Buble Pietro Trau (Trogir) 68
21/04/43 Lovic Miena Rogasnica (Roga`´snica) 68
25/04/43 Samon Michele Podice 56
27/04/43 Mrsa (Mr`´sa) Vincenzo (Vice) Zaton (1882) 67
28/04/43 Salamun Boro (Bo`´zo) Tiesno (Tijesno) (1884) 69
11/05/43 Orlon (Orlov?) Fortunata Esopiccolo (Mali Azor) 48
15/05/43 Vicic Giuseppe Padum (Podhum) 61
28/05/43 Barac Francesca Padum (Podhum) 78
07/06/43 Petricic Antonio Esopiccolo (Mali Azor) 73
15/06/43 Ielenc (Jelenc) Antonio Moncalvo mesi 6
18/06/43 Skok Mario Merea m. 7
26/06/43 Ban Emilia Pademun mesi 17
02/07/43 Santor Milena Tecech mesi 4
04/07/43 Toman Vieno Esopiccolo (Mali Azor) mesi 5

Nota: i dati riportati dall’Autore sono stati integrati con dati forniti da Samo Pahor ed aggiunti in parentesi.

UNO SGUARDO AI DOCUMENTI

Il Servizio Ispettivo della Regia Prefettura di Frosinone inviò al Prefetto di Frosinone, il 2/7/43, una relazione relativa ad un’ispezione effettuata nel campo di concentramento di Fraschette di Alatri. Da questa relazione, conservata nell’Archivio di Stato di Frosinone, riportiamo degli ampi stralci.

Il Campo di Concentramento di Fraschette, come avete rilevato nelle visite effettuatevi, presenta varie deficienze costruttive, organizzative e funzionali.
Irreparabili le prime, salvo poche modifiche di ripiego da apportarvi con molto accorgimento; brillantemente superabili le altre quando vi si dedichino, con i fondi necessari, volontà, intelligenza e cure assidue.
Il suo atto di nascita risale ai primi del 1942. Ma si tratta di una nascita illegittima, avulsa da ogni legge della più elementare dottrina topografica ed urbanistica anche nel senso più primitivo della parola.
Scelta la località, che invero risponde al criterio di impianto di un campo di  concentramento perché ben lontano da centri abitati e da vie di comunicazione, di difficile evasione e contemporaneamente di facile sorveglianza, si trovò uno spiazzo circolare di circa seicento metri di diametro, pianeggiante, circondato da monti, e su quello spiazzo di terreno, così come si trovava, si buttarono a caso circa duecento baracche. Il costruttore – non si può parlare di progettista poiché non si vede una traccia nella costruzione di un abbozzo
 nemmeno embrionale di progetto razionale – non si preoccupò di tracciare un piano regolatore e mise in esecuzione le baracche prima di pensare alle strade, agli acquedotti, alle fognature.
Non livellò il terreno, sicché tra una baracca e l’altra si hanno dislivelli di vari metri e, per un falso senso di economia di tempo, non di danaro, piuttosto che livellare la platea dove doveva sorgere ogni baracca, preferì colmare gli avvallamenti, per ogni baracca con costosi muri in pietra sovraelevantisi, anche di vari metri, sul piano
 del terreno. Oggi, a strade costruite, si hanno baracche sottostanti di molto al livello stradale e tutto il campo si presenta con una serie di montagne russe che intralciano seriamente il deflusso delle acque di rifiuto e delle fognature e la regolare distribuzione idrica dell’impianto interno del campo.
Vero è che il concetto originario era di adibire il campo a prigionieri di guerra, mentre poi, a costruzioni quasi ultimate, si mutò detta destinazione. La trasformazione nell’impiego ricettivo del campo non diminuisce, anzi aggrava le deficienze.
Nel campo di concentramento delle Fraschette, anziché i prigionieri di guerra, si immisero internati di guerra: cioè uomini e donne; bambini e vecchi; persone sane, ammalati e tarati; forti, ardenti tripolini e donne di
 razza slava che non lasciano dubbi sulla loro lascivia; famiglie organiche, numerose, e persone sole di ambo i sessi.
Restando per ora ad esaminare il problema dal punto di vista costruttivo del campo, appare chiaro che le baracche, così addossate come sono fra di loro, la maggior parte delle quali formanti un unico dormitorio indiviso per settanta persone, costituiscono una continua istigazione alla immoralità ed un serio pericolo per il propagarsi di malattie infettive e di parassiti dell’uomo. I gabinetti distanti dalle baracche, non sono raggiungibili, specie nella stagione invernale e di notte, dai vecchi, dai bambini, dagli ammalati e dalle gestanti. Mancano cucinette familiari per le necessità vittuarie sussidiarie delle famiglie, che per tale deficienza cucinano dentro le baracche, mentre le diciotto cucine per il vitto normale non sono facilmente controllabili; i canali di rifiuto sono lontani dalle baracche e le donne, piuttosto che recarvisi, imbrattano il terreno circostante.
Altre sono certamente le necessità di un campo di concentramento di soldati, tutti più o meno giovani, sani e disciplinabili, altre quelle di elementi così eterogenei come si trovano tra gli internati civili. Della differenza di disciplina risentono vari servizi come quello della distribuzione idrica, sottoposto a maggior usura e soprattutto la moralità.
Il Campo delle Fraschette è destinato ad avere una capacità ricettiva di settemila internati.
Attualmente ne ospita circa cinquemila.
Fra questi circa un migliaio sono anglo-maltesi ed il resto croati, sloveni e dalmati, provenienti dalle provincie italiane alloglotte e dal territorio conquistato.
La suddetta promiscuità di razze, in uno spazio così ristretto, procura numerosi e vari inconvenienti sia tra gli internati che per gli organi preposti alla sorveglianza del campo. Nuoce anche alla futura assimilazione degli elementi di razza slava che fanno severi confronti tra la loro povertà, il trattamento deficiente che ricevono al campo e la ricchezza dei mezzi degli anglo-maltesi continuamente ed a profusione provvisti di ogni ben di Dio, anche del superfluo, dal Governo Inglese, attraverso la Croce Rossa.
È auspicabile, allorché il Ministero dell’Interno disporrà di altri campi di concentramento, che i vari campi ricevano internati di un’unica nazionalità. Altre divisioni si imporrebbero per la tutela della morale e per una più proficua sorveglianza: i celibi ed uomini senza famiglia potrebbero concentrarsi in appositi campi con personale di sorveglianza tutto maschile; le donne sole e le nubili in altri campi ed i nuclei familiari in campi opportunamente predisposti con baracche divise in appartamenti.
Allo stato attuale della situazione, perché il Campo delle Fraschette si organizzi e funzioni in modo regolare, occorre tenere ben presente che i dirigenti di esso sono responsabili di un’organizzazione che ha le necessità di un Comune di cinquemila abitanti, elevabile ad una popolazione di settemila, con l’aggravante che in questo Comune l’iniziativa degli organi dirigenti deve sostituirsi e sovrapporsi a quella privata; bisogna cioè che questi cinquemila abitanti siano approvvigionati di viveri da mercati lontani e di vestiario; che si riparino le loro abitazioni; che si facciano funzionare gli impianti elettrici casalinghi oltre a quelli pubblici; che si forniscano di mobili, suppellettili, coperte e lenzuola; che si curi la conservazione di questo ingente materiale; che si puliscano le loro case e i cessi; che si curino gli ammalati; che si tengano puliti e si disinfestino; che si impedisca il deterioramento doloso di tanto materiale.
La popolazione di questa città non è normale; è nostra nemica; ha voglia di sottrarsi ad ogni disciplina; vive nell’ozio più assoluto e deleterio; pensa ad allontanarsi al più presto possibile ed anche evadere; a procacciarsi un nutrimento maggiore e migliore, ed i giovani, costretti al celibato coatto vogliono comunque soddisfare gli stimoli dei sensi, acutizzati dalla promiscuità e dalla proibizione a cui fa contrapposto l’istigazione delle donne.
A tutte queste necessità provvedono attualmente un Direttore del Campo, due funzionari di ragioneria, un medico, un Commissario di PS ed un ufficiale subalterno dei CCRR; nessun organo tecnico per i servizi di tale natura, pochi agenti dell’ordine, nessun coadiutore amministrativo.
Dopo queste necessarie premesse d’ordine generale passiamo ad esaminare singolarmente i vari servizi:

SERVIZI AMMINISTRATIVI

Sotto questa dizione attualmente si comprende l’organizzazione ed il funzionamento dei servizi amministrativi e tecnici, di polizia urbana, mortuaria ecc. Vi sono a capo: il Rag. Capo Cav. Uff. (il nome è cancellato nel testo, n.d.r.) con le funzioni di consegnatario dei materiali mobili ed immobili, nonché del magazzino vestiario ed il Rag. Cav. (il nome è cancellato nel testo, n.d.r.) addetto ai servizi viveri e trasporti,
 all’economato, alla segreteria ed ai servizi di cassa per conto degli internati. Sono coadiuvati: da un magazziniere per i viveri, carbone e legna; una dattilografa-archivista; quattro uomini di fatica per il carico e lo scarico degli automezzi e per i trasporti entro il campo; un operaio specializzato per la manutenzione degli impianti idrici, sfornito però degli attrezzi necessari, un elettricista, anch’esso sfornito di attrezzi e materiale; 30 internati addetti
al servizio di nettezza urbana e di pulizia dei cessi. Per la rimozione delle immondizie dal campo provvede, mediante appalto, una ditta di Alatri. Per la fornitura delle casse funebri, dovrebbe provvedere il fornitore del Comune di Alatri, ma, sebbene provvisto dell’assegnazione del legname, recentemente ha lasciato una salma per tre giorni in baracca prima di fornire la relativa cassa.
Alla confezionatura del rancio per gli internati provvede un reparto dell’81° Reggimento Fanteria comandato da un subalterno.
Il Rag. (il nome è cancellato nel testo, n.d.r.) fu assegnato al Campo delle Fraschette nell’ottobre 1942 con l’incarico di prendere le consegne dal Comm. (il nome è cancellato nel testo, n.d.r.). Non è a dire che il (il nome è cancellato nel testo, n.d.r.) abbia trovato ordine e precisione. Iniziò nel disordine più assoluto che gli fece trovare il suo predecessore. I due lavorarono assieme fino al marzo del corrente anno nell’intento di scambiarsi le consegne del materiale, ma si lasciarono più confusi di prima, senza addivenire alle consegne né all’atto basilare di queste: cioè la compilazione dell’inventario.
Il (il nome è cancellato nel testo, n.d.r.) che è pignolo di quella pignoleria improduttiva e ritardatrice che Voi gli conoscete, Eccellenza, rimase solo a ricamare sulle sue carte ed a torturarsi il cervello, invero non fosforescente, con troppi “ma” e con innumerevoli “se”; sicché nella Vostra recente visita alla Colonia avete trovato il lavoro del (il nome è cancellato nel testo, n.d.r.) quasi allo stato iniziale e gli assegnaste il termine del 30
giugno per concludere i suoi lavori.
Eseguita l’ispezione, nei riguardi della compilazione dell’inventario ho trovato i registri dei buoni di carico, anche quelli riferentisi alla situazione originaria del campo, incompleti per omissione imputabile ad (il nome è cancellato nel testo, n.d.r.) che non vi ha segnato alcuni materiali forniti dalla S.A. Pasotti e dall’ECA di Frosinone. Ora i due predetti Enti hanno fornito l’elenco dei materiali dati in carico. (…)
Ma quando si pensi che i Capi baracca hanno omesso di elencare il materiale effettivamente mancante in seguito a furti, a dispersione o distrazione materiale e a distruzione dello stesso (materiale legnoso bruciato per cottura di vitto, lenzuola tramutate in biancheria ecc.), all’atto di una nuova consegna il (il nome è cancellato nel
testo, n.d.r.
) si troverà parecchio materiale mancante. (…)
La lavanderia, il forno, le camere frigorifere e le camere di disinfezione, sebbene ultimati, non sono stati dati in consegna per dilazione imputabile al (il nome è cancellato nel testo, n.d.r.). (…)
Nei magazzini oltre al materiale nuovo viene immesso anche quello proveniente dalle baracche, già dato in uso agli internati. Detto materiale, non sterilizzato ed anche non lavato, costituisce un permanente pericolo per tutti. (…)
Al (il nome è cancellato nel testo, n.d.r.) è altresì affidato il magazzino vestiario. Sulla distribuzione del vestiario egli ha idee tutte personali. Nulla distribuisce gratuitamente agli internati, anche se indigenti fino alla miseria, anche se materialmente scalzi e seminudi. Si decide a fare qualche vendita a lunghi intervalli, ed allora, in quei rari mattini di vendita si forma un affollamento incontenibile dalla forza pubblica; così i giorni di vendita diradano sempre più. Quest’inverno non ha distribuito nessun cappotto, sia maschile che femminile. Attualmente vi sono in magazzino varie casse di scarpe, ma restano chiuse. Attende di avere il tempo di controllarle e poi inscriverle nei buoni di carico, così per vari indumenti che restano chiusi e non inseriti nei buoni di carico.
Il fatto è che egli considera tale servizio avulso dalle sue mansioni, tanto vero che recentemente, e precisamente il 12 giugno, provocò, a mezzo della Direzione del Campo, una richiesta di suo compenso del 4% sugli incassi provenienti dalla vendita di indumenti agli internati. (…)
In merito alla mancata distribuzione e vendita degli indumenti, le lamentele degli internati sono state continue ed hanno oltrepassato il recinto del Campo. La cosa fu constatata, su delazione degli anglo-maltesi, anche da ispettori inviati appositamente dalla legazione svizzera e dopo un mese dalla visita, pervennero a questi, per tramite della C.R. Internazionale, un’infinità di indumenti, – ivi compresi, per colmo d’ironia, pigiama e guanti – molti dei quali tuttora residuano presso il magazzino di deposito del materiale proveniente dal Governo Inglese.
Per quanto riguarda il (il nome è cancellato nel testo, n.d.r.) non resta, dall’evidenza delle risultanze, che confermare la proposta del Direttore del Campo tendente all’immediata sostituzione.(…)
Il nuovo consegnatario dovrà essere coadiuvato da altro impiegato di concetto, poiché, se un impiegato tiene la contabilità ed aggiorna le scritturazioni, occorre che il secondo si occupi del magazzino vestiario, della sua contabilità, che curi la consegna del materiale agli internati che arrivano, che proceda alla riconsegna ed alla presa in carico del materiale degli internati che partono, che controlli detto materiale, che lo faccia lavare o disinfettare, che vigili e passi in rivista il materiale dato in uso agli internati.(…)
In quanto ad automezzi per trasporto di cose il Campo possiede un automezzo che si trova nell’impossibilità di funzionare per eccessivo consumo di benzina (circa un litro per km.). Per il trasporto giornaliero del pane, del latte e di piccoli quantitativi di merce si è noleggiato in permanenza un motofurgoncino per 4000 lire al mese. Per altri trasporti si noleggia un autotreno (1500 lire per un viaggio da Frosinone) oppure, nelle suddette proporzioni, si rimborsa il trasporto alle ditte fornitrici. (…)
Per gli internati il Rag. (il nome è cancellato nel testo, n.d.r.) esegue il servizio di riscossione dei vagli e del pagamento di essi agli interessati. Si tratta di varie centinaia di vagli che si ricevono al giorno. Per le somme destinate agli internati eccedenti le loro necessità normali, esegue il servizio di cassa. Dette somme vengono trattenute e per ogni internato si stabilisce una contabilità dei depositi in appositi libretti in duplice copia, una delle quali va all’internato stesso.
Detto servizio, attualmente affidato ad internati, per maggior sicurezza, dovrebbe essere affidato all’impiegato che, come sopra ho proposto, dovrebbe coadiuvare (il nome è cancellato nel testo, n.d.r.).

SERVIZIO CUCINE

Come ho già detto il Campo ha 18 cucine internati in funzione. Vi ha preposto un distaccamento dell’81° Fanteria comandato da un sottotenente, della forza di tre sottufficiali, cinque graduati, e 45 uomini di truppa.
Graduati e sottufficiali hanno mansioni generiche di sorveglianza, ma non la esercitano.
Degli altri, tolti gli uomini addetti alla spesa pane per gli internati, alla spesa viveri internati, spesa truppa, magazzino viveri, cucinieri truppa, distribuzione latte, aiutante di contabilità, ripostigliere, piantoni alle camerate, barbiere, attendente, pulizie refettori ecc., a ciascuna delle suddette cucine rimane addetto un solo soldato, incontrollato. Ogni soldato ha creduto di costituirsi il suo harem in cucina assumendo le più belle ragazze alle sue dipendenze. Faceva il gallo del pollaio, coccolato e servito. Nella Vostra visita, Eccellenza, avete proibito questo sconcio e sono stati assunti ragazzi al posto delle donne, col compenso del supplemento del pane.
Ciò non di meno, per deficiente sorveglianza, le donne ho visto che continuano a sfarfalleggiare attorno alle cucine, i soldati continuano a far niente e le cucine sono in mano degli internati. Come vengono lavate le verdure nessuno sa; sta di fatto che nelle minestre non è raro di trovare, opportunamente bolliti, bachi e vermi di verdura.
Quello che arriva poi di derrate nelle marmitte, della razione prescritta, è cosa ancora più misteriosa. Cosa succede nel tragitto che va tra i magazzini e le diciotto cucine? Quanti generi vanno distratti per costituire devoto omaggio dei giovani soldatini alle più belle del Campo? Tutti interrogativi senza risposta poiché manca ogni controllo. L’ufficiale non si è mai visto al Campo all’ora dei pasti; lo stesso per i sottufficiali. Tutti però, all’ora della libera uscita passeggiano gaiamente dentro il campo assassinando, con occhiate e con motti, le belle del loro cuore.
La disciplina non si conosce; il sottotenente che comanda il distaccamento è troppo giovane ed inesperto per mantenerla nelle condizioni, specie, in cui vivono incontrollati, i militari del distaccamento. Fra essi vi è qualcuno, teoricamente cuciniere, figlio di ricchi commercianti romani che sta a Fraschette per evitare di essere mobilitato; ma per sé, per i suoi compagni e per qualche donna spende, in media, a Fraschette le sue quattromila lire settimanali.
In queste condizioni occorre un rimedio radicale; o aumentare l’organico del reparto portandolo ad una Compagnia, comandata da un Capitano che, coadiuvato da subalterni, voglia e sappia mantenere la disciplina, la sorveglianza ed i controlli, e che dia ad ogni cucina almeno tre uomini ed un graduato che provvedano da soli alla confezionatura ed alla distribuzione del rancio; ovvero eliminare del tutto i militari affidando ogni cucina ai capo baracca, che almeno hanno interesse a che tutto vada in pentola e sia cucinato a dovere, ed istituire sorveglianti borghesi.

SERVIZI IGIENICI E SANITARI

Sono ambedue disimpegnati dal Dr. (il nome è cancellato nel testo, n.d.r.), profugo della Tunisia. Egli è molto attivo, sebbene professionalmente non si elevi a grandi altezze, e soprattutto entusiasta della sua missione, che assolve con molta dedizione, anche se non pienamente soddisfatto del trattamento economico che riceve. Ma il solo entusiasmo non è sufficiente per ottenere un rendimento appropriato quando il Dr. (il nome è cancellato nel testo, n.d.r.) oltre a provvedere a tutti i servizi igienici, deve curare circa cinquemila internati che hanno subito privazioni, che sono nutriti appena sufficientemente per evitare un collasso generale, molti dei quali, specie donne e bambini, sono tubercolotici predisposti, incipienti ed alcuni anche con forme aperte, moltissimi dei quali sono anemici, pleuritici, affetti da malattie croniche, ecc. inoltre il Mizzi è medico delle forze armate presenti al Campo (carabinieri, agenti di PS, vigili del fuoco, distaccamento di fanteria).
Non mi dilungo a scrivere in merito alla soluzione del problema del deflusso delle acque luride e dei rifiuti liquidi del Campo perché è Vostra, e di recentissima data, Eccellenza, la proposta, fatta al Ministero dell’Interno di costruire cunette in muratura e coperte lungo le strade interne del Campo ed un canale collettore coperto, fucina ininterrotta di pericolose esalazioni mefitiche. L’assunzione di un operaio fognatore darebbe tranquillità per la manutenzione dell’impianto.
Anche lo stato di manutenzione delle latrine è migliorato dopo la Vostra visita al Campo per effetto della assunzione di internati addetti alle pulizie delle latrine stesse. Il fatto che queste si otturino spesso si deve attribuire, oltre al malvezzo persistente di gettarvi oggetti di scarto, principalmente alla irrazionale costruzione del Campo, con molti e sensibili dislivelli, dove le pendenze sono sproporzionate, i tubi collettori dai cessi alle
fognature, e le fognature stesse alquanto deficienti di diametro per la popolazione che nel Campo si accoglie rispetto alla popolazione, prigionieri, per la quale furono costruiti. Sarebbe opportuno che almeno i tubi collettori delle fognature venissero aumentati di diametro.
Appunto per le latrine ho già detto, in principio, come l’attuale ubicazione, distanziata dalle baracche, sia irrazionale ed impedisca d’inverno e di notte che vi si possa accedere. Sia per ragioni sanitarie evidenti, sia per evitare che di notte si eluda la disciplina del coprifuoco, sarebbe, a questo proposito, necessario studiare la
possibilità di costruire altre latrine direttamente comunicanti con le baracche.
La campagna contro le mosche deve essere intrapresa e condotta su basi serie. Occorre abbandonare d’urgenza l’uso della innocua Miafonina la cui mistificazione è nota anche nelle più accreditate assemblee di mosche. Perché un moschicida invogli le mosche ad accorrervi e cibarsene, a prescindere dalla sua azione insetticida, è necessario che sia confezionato con miele. Il miele nella Miafonina non esiste, le mosche non abboccano e volano allegramente per il Campo a stormi in cerca di cibi più succulenti, ridendosi di chi spreca inutilmente tanto denaro per ottenere in compenso una prolificazione sorprendente della loro specie.

La disinfezione degli indumenti è affidata, per tutto il Campo, ad una sola stufa Gianoli di proporzioni modestissime, capace soltanto di tre materassi.
La disinfestazione non si può attualmente praticare, né per uomini né per cose.
È necessario che, con la lavanderia si metta in funzione la sala di disinfezione costruita nel Campo, già munita di diverse stufe tutte capaci. Perché il servizio però funzioni come deve, occorre, a detta sala, apportare poche ed indispensabili modifiche tutte ricavabili dagli spazi esistenti nell’attuale stabile in muratura.
Bisogna, cioè, costituire un camerino spogliatoio, una barbieria ed una sala di attesa e vestizione. Si otterrà una perfetta e completa disinfestazione degli internati associata alla disinfezione dei loro indumenti. L’infestato, così, entrando nella sala si sveste e, mentre i suoi indumenti vengono sterilizzati, egli, previa rasatura qualora occorra, passa alla doccia, esistente, e quindi nella sala di attesa dove trova i suoi indumenti da indossare già perfettamente sterilizzati. Con tali accorgimenti di costo modestissimo si metterebbe in funzione, veramente proficua, l’attuale impianto che è costato tanto denaro.
La lavanderia, bella, moderna e capace, potrebbe già funzionare e basterebbe che lo facesse anche una sola volta la settimana; ma, come ho già detto, non è ancora passata al consegnatario degli immobili. Si eviterebbe, col suo funzionamento, lo sconcio da Voi rilevato di panni stesi dovunque, e si eviterebbe che si immagazzinassero, come ho già detto, coperte e lenzuola, sudicie, nello stesso magazzino del materiale nuovo.
Perché i due organismi, lavanderia e sala di disinfezione, interdipendenti, funzionino deve assumersi un solo caldaista. Il resto del personale sarebbe assunto fra gli internati.
Le docce, così come sono attualmente, non possono funzionare. Sono troppe e sprecano troppa acqua, preziosa per gli altri servizi del Campo. L’acqua ha una temperatura troppo bassa, inadatta a bagnarvisi anche d’estate, specie per le donne, per i vecchi e per i bambini. Occorrerebbe ridurre il numero funzionabile delle docce e munirle di impianto di riscaldamento. I bagni sarebbero disciplinati da turni.
Il servizio delle vaccinazioni ha incominciato a funzionare. In mancanza d’altro personale è affidato ad una infermiera di Alatri. Manca il personale di vigilanza che elimini le evasioni all’obbligo delle vaccinazioni.
Manca ogni forma di assistenza. Occorrerebbe istituire un asilo per i bambini, molti dei quali attualmente sono lasciasti in uno stato di abbandono, di sporcizia e di denutrizione che fanno pietà, ed un reparto cronici, specie per il ricovero dei vecchi, attualmente abbandonati alla mercé di Dio nelle baracche e nel loro sudiciume.
I servizi sanitari non procedono meglio di quelli igienici.
Manca al Sanitario un armadio farmaceutico di cui è urgente sia dotato. Lo strumentario chirurgico è insufficiente e va completato.
Attualmente sono adibite ad infermeria quattro baracche ed una in via di recinzione da adibirsi a locale d’isolamento.
Si potrebbero portare a tre a condizione che subiscano la trasformazione necessaria a darvi la forma degna e corrispondente alla mansione di infermeria.
Una di esse sarebbe da adibirsi ad ambulatorio e pronto soccorso, le altre due a ricovero, rispettivamente di uomini e donne. I pavimenti, attualmente in mattoni rustici, dovrebbero essere sostituiti con mattonelle in cemento. Le mattonelle in marmo, già nel Campo, residuate dalla copertura dei muri della camera frigorifera, potrebbero formare un igienico zoccolo attorno ai muri delle baracche.
A baracca d’isolamento è stata adibita, e come ho detto si sta recintando, una qualsiasi baracca già costruita distante non più di sei metri da altre adibite a dormitorio. Se si vogliono veramente isolare ammalati infetti, senza pericolo per i sani, occorre, fuori del Campo, costruire altra baracca con i servizi necessari e col personale di sorveglianza.
È necessario che l’infermeria sia dotata di un’autoclave per le disinfezioni d’uso. Attualmente lo strumentario chirurgico viene disinfettato in pentolini su un fornello elettrico.
Il Campo manca di autoambulanza. Gli ammalati e le gestanti dovrebbero fare la lunga strada al più vicino ospedale di Alatri in traballanti carrozzelle a cavallo. Né si può richiedere, in casi di urgenza, altre autoambulanze perché l’ospedale di Alatri ne è sprovvisto.
Manca la camera mortuaria, sarebbe opportuno che venisse istituita.
Al regolare funzionamento di tutti i suddetti complessi e delicati servizi deve presiedere un personale adatto numericamente e preparato professionalmente.
Non v’ha chi non veda la necessità, urgente, che al Campo venga assegnato almeno un altro medico, giovane, attivo, e di buona volontà, ed un assistente sanitario che collabori con i due medici, specie per le vaccinazioni. Quattro infermieri, di cui due suore per il reparto femminile, tre inservienti per la pulizia dei locali e tre vigili sanitari si impongono. Nessuno attualmente presiede alla vigilanza ed al controllo della pulizia delle baracche e degli internati, della pulizia degli alimenti nelle cucine, della pulizia delle latrine e delle strade; nessuno evita che, quando gli automezzi hanno scaricato la verdura, gli internati più affamati, specie sloveni, raccattino e mangino rimasugli sporchi e fradici rimasti a terra; nessuno evita che gli infermi ricoverati, quando lo credano necessario e lo desiderino, escano a spasso per il Campo e stiano in contatto con gli elementi sani; né i medici, da soli, possono provvedere a questa enorme mole di lavoro e di attività e contemporaneamente curare la regolare tenuta dei registri delle nascite, dei decessi, ospedalizzazioni, vaccinazioni, delle malattie infettive con conseguenti denunzie, le cartelle cliniche, le anamnesi degli ammalati.
Il personale sanitario deve essere munito di adatti camici.
L’attuale medico ne è sprovvisto e non trova da acquistarne sul mercato.
Al servizio ostetrico provvede la Condotta ostetrica di Alatri.

SERVIZIO IDRICO

Come è noto l’acquedotto che alimenta il Campo, derivato da quello di Ferentino, è stato costruito per una portata di sette litri al minuto secondo.
In principio detta erogazione era sufficiente ai bisogni del Campo, ma successivamente si è lamentato, in modo sempre più allarmante, la deficienza di acqua. (…)
Per fare affluire l’acqua nella zona degli uffici e degli alloggi, che è la più elevata, si è decisa l’impostazione di una saracinesca che, diminuendo la pressione verso il Campo, l’aumenti verso la zona degli uffici ed alloggi.
Attualmente è in via di allestimento il serbatoio che raddoppierà la portata attuale dell’acqua; ma nelle more di detta costruzione, che sarà ultimata nel prossimo inverno, se le cose procederanno bene, occorre evitare le attuali dispersioni, unico rimedio perché la lamentata deficenza d’acqua si elimini.
L’attuale operaio idraulico deve essere munito di tutto il materiale necessario alle riparazioni e di rubinetteria di ricambio; la sua opera dovrebbe essere affiancata da quella di un fontaniere, da assumersi. Un solo operaio non può provvedere ad un lavoro così vasto e pesante ed alla necessaria sorveglianza.

SERVIZIO ANTINCENDI

Dovrebbe essere disimpegnato, ma non lo è, da otto giovani e robusti vigili del fuoco presenti al Campo che dicono di aver ricevuto soltanto il compito di spegnere eventuali incendi che si verificassero. Si rifiutano di eseguire qualsiasi altro servizio e così, in mancanza per fortuna di incendi, oziano dalla mattina al pomeriggio, ora in cui, come i soldati, come i carabinieri e come gli agenti di PS, si recano nell’interno del Campo per godersi in libera uscita il passeggio ed i motti delle ragazze da marito e delle donne dal marito assente.
Non si preoccupano del fatto che alcune baracche sono prive di estintori, come ho potuto constatare, né di verificare le cariche degli estintori in uso, né di impedire che nell’interno delle baracche si mantengano innumerevoli fornelli permanentemente accesi e che molte altre accensioni di fornelli si fanno all’aperto ma troppo prossimamente alle baracche.
Detti vigili, che certamente sono i peggiori come succede in ogni distaccamento, vanno sostituiti con elementi più volonterosi e più disciplinati, ben comandati ed aventi consegne precise di prevenire più che di reprimere. (…)

SERVIZI DI SICUREZZA E DI POLIZIA

(…) I Carabinieri addetti alla vigilanza esterna del Campo, considerati in missione disagiata, fanno al Campo turni di servizio per soli quattro mesi; sia ufficiali, che sottufficiali e truppa. A meno che non ne facciano espressa domanda contraria, dopo i quattro mesi vengono sostituiti con elementi nuovi. (…)
Per gli agenti di PS le cose vanno ancora peggio.
Numericamente sono insufficienti al servizio d’istituto e molti di essi sono distratti da altri servizi; scritturali, addetti alla censura postale, interpreti, piantoni, cucinieri, postini, addetti all’accompagnamento di internati.
I pochi che restano sono adibiti al servizio di pattuglia: due pattuglie. Giovanissimi tutti, scapoli, tutti in borghese e per giunta mal vestiti, non disciplinati, pensano ad accattivarsi le simpatie e le grazie delle più avvenenti internate. Quando ho visto pattuglie le ho trovate sempre ferme in dolce colloquio con giovani internate.
Sarà fatalità del caso? Credo piuttosto si tratti di norma di vita. Tanto più, a riprova, che un mattino, sbucando tra una baracca e l’altra fui molto prossimo ad una coppia di agenti di pattuglia ferma con altra coppia di ragazze. Al mio apparire si allontanarono alla svelta, ma una delle ragazze, che certamente non mi conosceva, una giovane formosa anglo-maltese, si doleva del repentino allontanamento ed a voce alta prometteva agli agenti di pizzicarli dappertutto la prossima volta.(…)
L’Ufficio di PS, perché conosca e segue la vita degli internati deve impiantare il servizio anagrafico, non potendo così chiamarsi l’attuale schedario non aggiornato e mancante di varie centinaia di schede riferentesi ad internati in atto.

SERVIZI DI MANUTENZIONE ED ARTIGIANATO

All’infuori del più volte ricordato operaio idraulico, e dell’elettricista, ambedue mancanti di attrezzi e di materiale di ricambio, manca un servizio idoneo alla manutenzione della città degli internati e degli impianti ivi esistenti. (…)
Occorre quindi, come in ogni Comune del Regno, istituire all’uopo un Ufficio Tecnico, retto anche da un geometra, che provveda a tutte le manutenzioni e riparazioni del Campo, avendo alle proprie dipendenze personale specializzato quale muratori, stradini, falegnami, carpentieri, stagnini, fabbri, fognaiolo, idraulico, fontaniere, spazzini, pulitori di latrine, caldaista per la lavanderia, elettricista, fornaio, frigorista, e magazzini dotati del materiale necessario.
Basterebbero pochi operai; in quanto alla manovalanza sarebbe assunta tra gli internati, molti dei quali si toglierebbero dallo stato deleterio d’ozio in cui vivono. (…)
Non sarebbe poi male che fossero disciplinate altre attività artigiane. Il Campo non fornisce, per uso degli internati, né sarti, né barbieri, né calzolai. Gli internati “si arrangiano” come possono e pagano quello che sarti, calzolai e barbieri vogliono. Accentrare gli attuali artigiani sparsi per il Campo in apposite baracche, istituire
tariffe adatte alla potenzialità economica degli internati, istituire una scuola di mestiere delle suddette attività tra ragazzi internati, sarebbe opera umanitaria.

SERVIZI: POSTALE – TELEGRAFICO – TELEFONICO – GENERI DI PRIVATIVA

Occorre che venga sollecitata l’apertura dell’ufficio postelegrafonico già autorizzato e l’impianto del centralino telefonico, anche questo autorizzato e già sollecitato alla Teti dalla Prefettura.
L’unico apparecchio telefonico installato nell’ufficio del Direttore del Campo collegato con Alatri di giorno e con Frosinone di notte, è insufficiente e reca fastidio al direttore nel cui ufficio si ricevono e si trasmettono tutte le telefonate.
In questi tempi in cui il sale non sempre si trova altrove non è possibile rifornirne gli internati; l’attuale concessionario delle vendite dei tabacchi agli internati, dovrebbe essere autorizzato anche alla vendita del sale.

PERSONALE, UFFICI, ALLOGGI

(…) Nel fare le proposte mi sono mantenuto nei limiti della più stretta economia di personale, ma mi preme aggiungere che la gran parte delle deficienze del funzionamento saranno eliminate quando la Direzione potrà disporre del personale necessario numericamente ed adatto qualitativamente. Solo allora la Direzione potrà restituirsi alla sua funzione coordinatrice del complesso che produce. (…)
Attraverso un rigido concetto di discriminazione, invece, si troverà, in questo farraginoso elenco di proposte, che alcune di esse sono urgentissime, altre urgenti ed altre ancora attuabili gradualmente nel tempo. Con questa progressività di programma si troverà il modo, il tempo e il danaro necessari per fare delle Fraschette un Campo di concentramento perfetto, se non nella sua costituzione almeno nella sua organizzazione, e gli internati, rientrando nelle terre di provenienza, che sono terre Italiane, dovranno riconoscere la superiorità della nostra civiltà e gridarla al mondo”.

UN ALTRO DOCUMENTO

Anche il documento che segue è conservato presso l’Archivio di Stato di Frosinone.

R. ISPETTORATO GENERALE DI P.S. PER LA VENEZIA GIULIA NOTA RISERVATA DELL’ISPETTORATO GENERALE DI PS PER LA VENEZIA GIULIA, FIRMATA DALL’ISPETTORE SPECIALE DI POLIZIA (Giuseppe Gueli).

N. 0394/0162, Trieste 20 aprile1943/XXI.
OGGETTO: Soccorsi per gli internati

SIGNORI QUESTORI TRIESTE – FIUME – GORIZIA – POLA – SAVONA – FROSINONE
SIGNORI COMANDANTI GRUPPO CC.RR. TRIESTE – FIUME – GORIZIA – POLA
SIGNORI COMANDANTI NYCLEI MOBILI DI POLIZIA – TUTTI
COMANDI CAMPI DI CONCENTRAMENTO CAIRO MONTENOTTE – FRASCHETTE DI ALATRI
ON/LE MINISTERO DELL’INTERNO
DIREZIONE GENERALE DELLA P.S. ROMA
ECC. PREFETTI DI TRIESTE – FIUME – GORIZIA – POLA
COMANDO XXIII CORPO D’ARMATA DI TRIESTE
COMANDO 5° ZONA R.G. DI FINANZA TRIESTE
COMANDO LEGIONE CC.RR. DI TRIESTE
COMANDO 5° LEGIONE M.V.S.N. SESANA
___________
In occasione di alcuni fermi, recentemente operati in diverse stazioni ferroviarie della Venezia Giulia, questo Ufficio ha avuto modi di accertare che le persone fermate, provenienti da Cairo Montenotte e Fraschette di Alatri, erano in possesso di pacchetti di lettere che gli internati – ai quali avevano portato denaro, viveri e corrispondenza – avevano loro consegnato, brevi manu, per recapitarlo alle proprie famiglie.
Qualcuna ha dichiarato di aver avuto esplicito permesso dal Comando Stazione CC.RR. di provenienza, prima di intraprendere il viaggio.
Occorre che tale traffico abbia immediatamente termine per seguenti ragioni:
1°) Nella Venezia Giulia, tale forma di soccorso ha assunto l’aspetto di vera manifestazione di solidarietà con gli internati, da parte della popolazione allogena, che fa a gara col dare denaro, indumenti o commestibili.
Permettendo ciò, si darebbe la sensazione che i campi di concentramento siano luoghi di villeggiatura, la qualcosa annullerebbe il fine per il quale questo Ispettorato speciale di Polizia provvede all’internamento dei famigliari dei ribelli, chè di ottenere così la costituzione di coloro che fra essi sono fortemente attaccati alla famiglia e la successiva costituzione anche dei recalcitranti, quando saranno venuti a conoscenza che alla
costituzione dei loro compagni è seguito il ritorno immediato dei congiunti internati, chiesto direttamente e tempestivamente da questo Ispettorato come da autorizzazione della C/le Ministero dell’Interno.
Insomma i campi di concentramento debbono essere ritenuti luoghi di severa punizione morale ed economica, e la liberazione dei familiari dei ribelli, ritornati a noi, un premio ed una leva per indurre gli altri, rimasti con i ribelli, a costituirsi.
2°) non può essere consentito che individui internati ricevono lettere o ne possano scrivere per farle recapitare clandestinamente, sottraendole alla necessaria censura.
Premesso quanto sopra, presi gli ordini superiori, prego voler disporre che sia impedita, con tutti i mezzi, l’esplicazione di siffatta attività procedendo al fermo, sia in partenza, che in arrivo delle persone che si recano nei comuni, sedi di campo di concentramento, per recapitare danari, indumenti, lettere e viveri, e provvedendo al sequestro del materiale del quale siano trovati in possesso.
I fermati dovranno a mezzo di ordinaria corrispondenza dell’Arma essere tradotti ed internati nel carcere di Trieste a disposizione di questo Ispettorato Speciale.
Particolare raccomandazione viene rivolta ai sigg. Questori di Gorizia Savona e Frosinone in considerazione che il maggior traffico di persone si svolge tra le stazioni ferroviarie suddette.


NOTA REDAZIONALE.

Avremmo pubblicato comunque questa ricerca, visto che tratta di un argomento molto interessante e del
quale ben poco si occupano i ricercatori storici, ma l’abbiamo ancora più volentieri pubblicata in un periodo come
 questo (novembre 2003), quando il capo del nostro governo si permette di dire che il fascismo mandava la gente al confino “in villeggiatura”. Ed è proprio al nostro capo del governo che vogliamo dedicare queste pagine, e a quelli che, come lui, non si peritano di informarsi di quanto realmente accaduto prima di trinciare giudizi ed interpretazioni storiche



http://www.criminidiguerra.it/ARBISS2.html

Comando XI Corpo d’Armata

P.M. 46, lì 7 luglio 1942- Anno XX

SEGRETO
Ufficio Operazioni
02/6350 op.
OGGETTO: Operazioni in Slovenia.

AL COMANDO DIVISIONE FANTERIA “GRANATIERI”   POSTA MILITARE 81

  Mi riferisco al foglio n. 10847 op. del 25 giugno u.s. pari oggetto.
  Condivido il parere di cotesto comando circa la opportunità di non provvedere, per il momento alla chiusura dei locali di spettacoli, caffè, ecc.-
  Se lo sviluppo della situazione lo consiglierà, mi riservo di riesaminare la questione e di accogliere ulteriori proposte che venissero inoltrate al riguardo.
  Parimente concordo per ciò che si riferisce allo sgombero della zona a cavallo della ferrovia Postumia – Zalog e lungo la frontiera italo – tedesca.
  A questo proposito mi riservo di dare disposizioni non appena avrò ricevuto dall’armata ulteriori direttive.

IL GENERALE DI CORPO D’ARMATA
COMANDANTE
  -Mario Robotti-




C O M A N D O  S U P E R I O R E  FF.  AA.
“SLOVENIA – DALMAZIA”
(2 ARMATA)

P.M. 10, lì 8 luglio 1942-Anno XX

Ufficio Ordinamento
N. di prot. 06603
OGGETTO: Intemati civili

  /…/
  III. A titolo informativo si comunica – per l’Intendenza – che attualmente il numero complessivo degli internati … è di 2200 a Gonars, 800 Treviso e 500 – 600 in attesa di sgombero.
  IV. Presumibilmente, durante le operazioni verranno internate in primo tempo oltre 5000 persone.
  /…/
  In considerazione della temporanea disponibilità delle caserme funzionali e dell’eccessivo numero di internati nel campo di Gonars, occorre prevedere il prossimo completo sgombero caserme di Padova e Treviso e l’alleggerimento del campo di Gonars nel quale dovranno rimanere disponibili per qualsiasi eventuale urgente necessità, almeno 1000 posti.
  Lo sgombero sarà effettuato a cura dell’Intendenza, sui campi di nuova costituzione di Arbe.

d’ordine
IL GENERALE DI BRIGATA
      Capo di Stato Maggiore
              E. De Blasio




Comando XI Corpo d ‘ Armata

P.M. 46, lì 11 luglio 1942- Anno XX

Ufficio I.C.A.
02/6350 op.
N. I/6399 di prot.
OGGETTO: Segnalazione

ALL’ALTO COMMISSARIATO PER LA PROVINCIA DI LUBIANA

  Per doverosa notizia comunico che fonti confidenziali, bene informate, segnalano concordemente che nel complesso le recenti operazioni di rastrellamento e di epurazione politica, compiute nei paesi della provincia, sono state commentate con favore dalla popolazione locale, la quale, vivendo nel costante terrore dei partigiani, ha approvato l’arresto di molti elementi conniventi o comunque simpatizzanti con il movimento comunista.
  Nel contempo, medesime fonti fanno rilevare che il mancato rastrellamento di donne, specialmente insegnanti di scuole medie ed elementari, che hanno notoriamente svolto e tuttora svolgono attiva opera di propaganda comunista e di assistenza ai partigiani, ha prodotto cattiva impressione.
  Mi riservo, al riguardo, di adottare analoghi provvedimenti di polizia anche a carico di queste ultime, non appena possibile e dopo aver raccolto su di esse concreti elementi.

IL GENERALE DI CORPO D’ARMATA
COMANDANTE
  -Mario Robotti-
  Mario Robotti




C O M A N D O  S U P E R I O R E  F F.  A A.
“SLOVENIA – DALMAZIA”
(2 ARMATA)

P.M. 10, 20 luglio 1942 Anno XX

N. 2/L prot.
OGGETTO: Sgombero di maschi validi. – Internamenti.-
ALL’ECC. IL COMANDANTE DELL’XI C.A.             POSTA MILITARE 46
e, per conoscenza:
AL GENERALE INTENDENTE SUPERSLODA         POSTA MILITARE 10

  A) – A seguito delle disposizioni contenute nel foglio 14 Op. del 17 corr. circa i maschi validi, comunico:
  1) – Non conviene di lasciare a tergo delle nostre truppe, in paesi già occupati dai ribelli e pertanto sospetti, maschi validi.
  2) – Pertanto (a prescindere dai maschi validi passati per le armi a tenore della ordinanza del 15 luglio e del foglio in riferimento), occorre internare almeno per un certo tempo i maschi validi che si trovino nelle abitazioni isolate, gruppi di case e centri abitati occupati, o che vi rientrino dopo la nostra occupazione.   Lo stesso deve avvenire per coloro che si arrendono con le armi, all’infuori del combattimento.
  3) – Evidentemente tale misura non si potrà attuare in pieno, per ragioni di indisponibilità di posti nei campi etc. di internamento.
  Perciò desidera V. E. circa le zone o località in cui attuare quanto sopra, tenendo presente necessità che il provvedimento venga attuato:
  – nella zona del Krim-Mokrec, ed in quella prossima a Lubiana;
  – nelle zone prossime ai nostri maggiori presidi. ed alle ferrovie e rotabili di maggiore importanza.
  – in zone particolarmente favorevoli ai ribelli.
  V. E. consideri anche la possibilità di internamenti temporanei in Slovenia stessa.
  4) – Il generale intendente affretti la disponibilità dei campi di Arbe e venga incontro ai bisogni dell’XI C.A. circa gli eventuali luoghi di internamento temporaneo in Slovenia.

  B) – V. E. disponga infine per l’internamento di quegli abitanti di Lubiana a cui ha accennato il podestà e di cui darà la lista (ebrei, emigrati dalla Germania ed Austria, etc.).

IL GENERALE DESIGNATO D’ARMATA
COMANDANTE
   Mario Roatta –
        Roatta




C o m a n d o  X I  C o r p o  d ‘ A r m a t a

P.M. 46, lì 20 luglio 1942 Anno XX

Ufficio Informazioni
N.1/6815 di prot.
OGGETTO: Provvedimenti a carico delle famiglie e di elementi sloveni che hanno abbandonato il proprio domicilio.-

AL COMANDO DIVISIONE FANTERIA “ISONZO”         P.M. 59
e per conoscenza:
AL COMANDO BTG. CC.RR. MOBILITATO “MILANO”
Gruppo di          LUBIANA
(Rif. f. 2/685-S del 15 corr.)

  Trasmetto, in allegato, copia di due elenchi di elementi sloveni che hanno abbandonato il loro domicilio per unirsi a bande armate.
  A norma della circolare n. 3 C del Comando 2 Armata e delle successive disposizioni impartite mio foglio n. 02/7037 op. in data 18 corrente, dispongo siano adottati i seguenti provvedimenti a carico delle famiglie in oggetto:
 – arresto ed internamento di tutti i loro membri;
 – distruzione delle loro case;
 – confisca dei loro beni.

 Pertanto cotesto comando, in accordo con il comando cp. CC.RR. mobilitata di Cocevie, provveda:
  a) – all’internamento delle famiglie al campo di concentramento di Arbe tenendo presente che:
   – l’avviamento deve essere effettuato a blocchi non superiori di 200 unità al giorno, a cominciare da quelle di Crnomelj (nucleo familiare al completo).
 Inizio dell’avviamento: non prima del 25 corr.;
   – il movimento da ciascuna località d’imbarco deve avere inizio entro le prime ore del mattino, allo scopo di evitare pernottamento a Fiume;
  b) – alla richiesta diretta dei mezzi di trasporto, dandone comunicazione per conoscenza a questo comando, ed alle conseguenti disposizioni per il personale militare di scorta.-

  Prego far conoscere quanto attuato in merito.-

IL GENERALE DI CORPO D’ARMATA
COMANDANTE
  -Mario Robotti-
  Mario Robotti




C o m a n d o  X I  C o r p o  d ‘ A r m a t a

SEGRETO URGENTE RISERVATO PERSONALE

P.M. 46, 21 luglio 1942 Anno XX

Ufficio Operazioni
N. 02/10042 prot Op.
OGGETTO: internamento maschi validi.-

AL COMANDANTE DIVISIONE FANTERIA GRANATIERI DI SARDEGNA
AL COMANDANTE DIVISIONE FANTERIA ISONZO
AL COMANDANTE DIVISIONE FANTERIA MACERATA
AL COMANDANTE DIVISIONE FANTERIA CACCIATORI DELLE ALPI
AL COMANDANTE RAGGRUPPAMENTO CC.NN. “MONTAGNA”
AL COMANDANTE XI RAGGRUPPAMENTO GAF
e, per conoscenza:
AL COMANDO SUPERIORE FF.AA. “SLOVENIA-DALMAZIA”
AL COMANDANTE DEI CC.RR. DELL’XI C.A.

  1) E’ necessario impedire che a tergo delle truppe operanti, e nell’interno oppure nelle immediate adiacenze degli abitati da noi presidiati, gli abitanti possano svolgere azioni di guerriglia.
  2) – Pertanto (a prescindere dal maschi validi passati per le armi a tenore della ordinanza del 15 luglio e del foglio 02/7037 in data 18 luglio) occorre internare, almeno per un certo tempo, i maschi validi – compresi cioè fra i 18 ed 55 anni – che si trovino nelle abitazioni isolate, gruppi di case, centri abitati, o che vi rientrino dopo la nostra occupazione.-
  Lo stesso deve avvenire per coloro che si arrendono, con le armi, dopo i combattimenti.-
  Perciò l’attuazione pratica della soprariportata disposizione è affidata alla decisione discrezionale dei comandanti in indirizzo (trasferibile ai comandanti in sottordine operanti), sulla base delle notizie già loro in precedenza note o di quelle, che, operazioni durante, raccoglieranno nelle zone temporaneamente o permanentemente occupate.
  Tale potere discrezionale s’estende anche alla determinazione delle zone e delle località in cui attuare quanto sopra, tenendo presente la necessità che il provvedimento venga attuato:
  – nella zona del Krim – Mokrec fino alla rotabile Velike Bloke – Runarsko – Sodrazica;
  – nei dintorni di Lubiana;
  – nelle zone prossime ai maggiori presidi, alle ferrovie ed alle rotabili di maggiore importanza;
  – nelle zone particolarmente favorevoli ai ribelli ed in quelle in cui si svolgono attentati.
  4) – Gli internandi dovranno essere concentrati in località accessibili agli automezzi o servite da ferrovie, località che dovrebbero essere suscettibili di ospitare gli internandi stessi per qualche giorno, da dove saranno trasportati a Lubiana oppure nella località di internamento a cura di questo comando o delle divisioni secondo ordini che, volta a volta, saranno impartiti.-
  Il comandante dei CC.RR. di C.A. predisporrà la necessaria sorveglianza nella caserma Vittorio Emanuele e curerà gli ulteriori sgomberi secondo le disposizioni che gli verranno comunicate.-

IL GENERALE DI CORPO D’ARMATA
COMANDANTE
  -Mario Robotti-
  Mario Robotti




COMANDO RAGGRUPPAMENTO DI MANOVRA XI CORPO D’ARMATA

P.M. 81, 27 luglio 1942 Anno XX

n. 6180/Op. di Prot.
Oggetto: Internamento maschi validi.-

Al Comando dell’XI Corpo d’Armata
e, per conoscenza:
Al Comando CC.RR. XI Corpo d’Armata

  In obbedienza alla circolare n. 02/10042 all’oggetto “internamento maschi validi”, ho fatto ieri eseguire il rastrellamento dei seguenti paesi:
  – Iska Loka – Matena – Brest – Tomiselj – Sv. Janez – Podkraj – Lipe – Iska vas – Iska – Strahomer -.Vrbljene – Staje – Kot.
  Trasmetto l’esito nei tre allegati, dei quali il primo contiene i nomi e le generalità dei maschi validi da internare (n. 362), il secondo quello degli elementi su cui gravano dei sospetti circa la loro appartenenza a bande di briganti comunisti (n. 1), il terzo quello di briganti comunisti sicuramente affiliati a bande armate e che pertanto sono stati passati per le armi (n. 1).-
  Gli elementi di cui agli elenchi n. 1 e 2 sono stati inviati alla caserma Vittorio Emanuele III a Lubiana.-

IL GENERALE COMANDANTE
(A.de Rienzi)
A.de Rienzi




REGNO D’ITALIA – PROVINCIA DI LUBIANA
C a p i t a n a t o  D i s t r e t t u a l e  d i  C r n o m e l j

Crnomelj, lì 27/VII/1942

n. 305 /Ris.
OGGETTO: Provvedimento deportazione famigliari degli assenti.

All’Alto Commissario
S.E. EMILIO GRAZIOLI                 LUBIANA

  Il Comandante del Presidio ten. col. FARINA. alle ore 22 di sabato mi dava notizia del provvedimento di deportazione dei famigliari degli assenti e distruzione dei loro beni. Provvedimento che doveva avere esecuzione durante la notte.
  Come Vi ho già comunicato tutta la popolazione era al corrente e conosceva anche l’ora della partenza. Perciò molte famiglie sono sparite da Crnomelj e parecchi beni sono stati venduti o ceduti. Le operazioni durante la notte scorsa, a Crnomelj si sono svolte ordinatamente, con assoluta calma e senza alcun incidente.  Ha contribuito moltissimo alla buona riuscita, l’interessamento s.ten. Cantatore Comandante della locale Tenenza dei carabinieri.
  Finora mi risulta che pure negli altri centri presidiati tutto si è svolto con ordine.
  In questi centri, le case sono state chiuse e sigillate. Si inizierà l’inventario, e tutti i mobili verranno poi spediti a Novo mesto mentre i fabbricati verranno resi inservibili.
  Le mie preoccupazioni, come Vi ho segnalato con lettere precedenti, erano quelle di evitare il panico e il disordine, incendiando subito le case, ma per accordi che ho preso col Comandante del Presidio, ciò è stato evitato. Invece nelle frazioni controllate dai ribelli le case sono state incendiate in numero di 120, le famiglie fatte affluire a Crnomelj e Metlika, assieme al bestiame con forte scorta senza incidenti.
  Così in totale sono state fermate circa 280 persone, 80 capi di bestiame ed alcuni cavalli.
  Data la forte impressione che il provvedimento ha provocato nella popolazione, che teme ora altri fatti del genere, i1 Comandante del Presidio, il quale in seguito al mio risentimento per la mancanza di collaborazione, ha cambiato atteggiamento nel miei riguardi, – ieri pomeriggio ha voluto convocare nel mio ufficio il Podestà ed il parroco ed in mia presenza ha dato loro le più ampie assicurazioni che non verrà disturbato nessun cittadino che tenga un contegno onesto e leale verso di noi.
  Ha affermato che fino alle ore 16 di sabato non aveva ancora ricevuto l’ordine di esecuzione del provvedimento.
  Questa chiarificazione ha voluto farla perchè nella mattinata di sabato, il parroco ed il podestà con le lacrime agli occhi sono venuti da me a supplicare che il provvedimento fosse preso nel modo più umano. Ho dichiarato loro che non ne sapevo niente e li ho inviati dal Comandante del Presidio. Le dichiarazioni del colonnello verranno comunicate in chiesa, perchè la popolazione possa riprendere la sua calma.
  Il caso più grave verificatosi, è quello che i1 segretario comunale assieme alla moglie è fuggito dopo aver venduto quasi tutta la sua roba.

Cassanego




COMANDO RAGGRUPPAMENTO DI MANOVRA XI CORPO D’ARMATA

P.M. 81, 28 luglio 1942 Anno XX

n. 6205/Op. di Prot.
OGGETTO: Internamento maschi validi.-

Al comando dell’XI Corpo d’Armata
e, per conoscenza:
Al comando CC.RR. XI Corpo d’Armata

  In obbedienza alla circolare n. 02/10042 all’oggetto “internamento maschi validi”, ho ieri fatto eseguire il rastrellamento delle zone indicate nel mio foglio n. 0109/Op. in data 26 corr.
  Trasmetto l’esito nei tre elenchi allegati, dei quali il primo contiene i nomi e le generalità dei maschi validi da internare (n. 128), il secondo quello degli elementi su cui gravano dei sospetti circa l’appartenenza a bande di briganti comunisti (n. 16), il terzo quello dei briganti comunisti sicuramente affiliati a bande armate e che pertanto sono stati passati per le armi (n. 10).
  Gli elementi di cui agli elenchi n. 1 e 2 sono stati inviati alla caserma Vittorio Emanuele in Lubiana.

IL GENERALE COMANDANTE
(A.de Rienzi)
A.de Rienzi




375 SEZIONE MOBILIT.  CC.  RR.

P.M. 46, lì 21/8/1942-Anno XX E.F.

Prot.  N. 167/17
Risposta al foglio del 15 corr.  N. 135/321 -I
OGGETTO: Internati civili.-

Al Comando dei cc.rr. dell’XI Corpo d’Armata       SEDE

  Si trasmettono i chiesti elenchi dei civili avviati ai campi di concentramento e divisi per località.
  Negli elenchi stessi, non è stato possibile indicare il mestiere dei singoli, in quanto gli internati sono già lontani da questa città e tale indicazione non venne fornita a questa sezione, dai comandi che hanno proceduto al fermo.- Per l’avvenire, verrà provveduto nel senso richiesto.-
  Si fa presente, che questo comando non ha elementi per distinguere gli internati a scopo repressivo ed internati a scopo protettivo, perchè i comandi militari che effettuano le consegne, usano la indicazione generica “Individui da internarsi”.

Il tenente comandante la sezione
(Mario Rossi)
   M. Rossi




M i n i s t e r o  d e l l ‘ I n t e r n o

C O P I A

n. 327-15

APPUNTO PER IL DUCE

  Per richiesta dello S.M. del R. Esercito il Ministero dell’Interno dovrebbe provvedere a sistemare nelle province del Regno un complesso di altri 50 mila elementi circa, sgombrati dai territori della frontiera orientale in seguito alle operazioni di polizia in corso.-
  Detto contingente risulta – da dati approssimativi pervenuti – cosi composto:
  1 –  elementi pericolosi                                                     20.000
  2 –         ”     sospetti                                                          5.000
  3 –  che hanno richiesto la nostra protezione                      10.000
  4 –  donne abbandonate dai mariti, con bambini a carico    12.000
  5 –  bambini privi di genitori tra i quali un’aliquota di lattanti  2.000
  Essi sono attualmente internati nei campi territoriali di Gonars, Treviso e Padova, nonché nel Campo d’armata di Arbe.-
  Inoltre, per richiesta del governatore della Dalmazia, dovranno essere sgombrati al più presto 2.300 elementi – in gran parte donne e bambini – che attualmente sono attendati nell’Isola di Melada, mentre il Comando Supremo ha comunicato che, d’intesa col Ministero degli Affari Esteri, è opportuno far affluire nel Regno 1.500 Montenegrini che si trovano nei Campi di concentramento dell’Albania.

  CAPACITA’ RICETTIVA DELLE PROVINCIE
  La sistemazione degli sgombrati deve essere attuata nelle provincie dell’Italia Settentrionale e Centrale, dovendo escludere quelle dell’Italia Meridionale e Insulare per ragioni – soprattutto – di ordine militare.
  Le capacità ricettive di dette Provincie sono notevolmente ridotte per effetto della continua affluenza di connazionali rimpatriati dall’estero, dall’Africa Italiana e da altre zone di operazioni e di frontiera dall’inizio della guerra ad oggi.
  Inoltre nei mesi di luglio e agosto di questo anno sono stati avviati nelle regioni dell’Italia Settentrionale e Centrale oltre 3 mila sfollati (congiunti di ribelli e famiglie che avevano chiesto la nostra protezione) dalle Provincie del Carnaro e di Lubiana.-

  CAMPO DI CONCENTRAMENTO “FRASCHETTE” – FROSINONE –
  Il Campo “Le Fraschette”, costruito per conto dei Ministero dell’Interno potrà ospitare al massimo 6 mila
  Col 1 ottobre p.v. vi saranno ospitati oltre l.000 anglomaltesi – sfollati dalla Libia – attualmente residenti a Fiuggi-Montecatini Terme-Bagni di Lucca ed Ascoli Piceno – i quali attraverso l’opera di discriminazione compiuta dai Prefetti interessati e dal Segretario del Fascio di combattimento di Malta – sono risultati di sentimenti irriducibilmente anglofili.-
  Nello stesso campo saranno fatti affluire i 2300 sgombrati dall’Isola di Melada, ove non potranno ulteriormente permanere perché sistemati provvisoriamente sotto le tende.-
  A prescindere dai problemi dell’alloggio, dell’alimentazione e della vestizione, è necessario tenere nel debito conto una considerazione di ordine politico.-
  L’attrezzatura dei campi di concentramento di cui dispone il Ministero dell’Interno è ormai esaurita per gli internamenti predisposti.-
  Gli sfollati della frontiera orientale dovrebbero quindi essere avviati nei Comuni che offrono ancora possibilità ricettive e di avviamento al lavoro, principalmente in quelli rurali.-
  Ove si consideri che nei piccoli Comuni, nei quali dovranno essere smistati, spesso manca anche la stazione dei Carabinieri Reali, la vigilanza non potrà giungere ovunque pienamente efficace, e quindi questi nuclei di sfollati finiranno col costituire altrettanti focolai d’infezione che non sarà facile neutralizzare in pieno, determinando così un pericolo per la compagine politica del Paese e  per l’ordine pubblico.-
  Giova anche tener presente che le popolazioni mal sopportano la loro presenza, essendo ad esse note le atrocità commesse dai ribelli contro i nostri soldati.
  Si ravvisa pertanto opportuno che gli elementi pericolosi e sospetti siano mantenuti nei campi di concentramento di cui dispone l’Autorità Militare.
  Il Ministero dell’Interno potrebbe, tuttalpiù, provvedere alla ricezione e sistemazione nelle provincie del Regno delle popolazioni che hanno richiesto la nostra protezione, delle donne e dei bambini, avvalendosi anche nei propri istituti, delle organizzazioni della G.I.L., e dell’Opera Nazionale Protezione Maternità ed Infanzia.-




/REGNO D’ITALIA/
/ALTO COMMISSARIATO PER LA PROVINCIA DI LUBIANA/

Lubiana, lì 24 agosto 1942-Anno XX

Ufficio: SEGRETERIA PARTICOLARE

MINISTERO DELL’INTERNO             R 0 M A
Gabinetto

  A seguito del foglio n. 1362/2/Ris. del 16 corrente, mi permetto prospettare nelle sue linee generali il programma di attività che mio intendimento svolgere in questa provincia:

 ATTIVITA’ POLITICA
  1) POPOLAZIONE SLOVENA: Linea di condotti “durissima” nel riguardi degli sloveni, sino a quando non saranno tangibili e provate le manifestazioni di ravvedimento, e molto dura anche in seguito.
  Indirizzo però unitario nella linea di condotta da seguire, e specialmente nell’applicazione dei provvedimenti che debbono essere emanati dall’autorità competente, e non lasciati all’arbitrio dei singoli.
  In quest’ultimo caso si dà manifestazione di confusione e di debolezza anzichè di ordine e di forza.
  a) Il problema della popolazione slovena può essere risolto nei seguenti modi:
    1) distruggendola;
    2) trasferendola;
    3) eliminando gli elementi contrari, attuando una politica dura, però di giustizia e di avvicinamento, onde creare le basi per una proficua e leale collaborazione prima e possibilità di assimilazione poi, che però solo col tempo si potrà realizzare.
    Occorre quindi stabilire quale linea di condotta si intende seguire.-
  b) Per l’internamento in massa della popolazione procedere secondo un piano prestabilito, che possa avere uniforme applicazione in tutti i territori della provincia. Meglio costituire “campi di lavoro” anzichè campi di internamento, dove si ozia.
  c) Per la sostituzione con popolazione italiana di quella slovena occorre stabilire:
    1) dove deve esser trasferita la popolazione slovena;
   2) dove deve esser presa la corrispondente popolazione italiana, facendo presente che è più adatta, quella settentrionale e centrale;
    3) se si intende “italianizzare” innanzi tutto una fascia di frontiera, stabilendone la profondità (20/30 chilometri);
    4) se si intende invece trasferire tutta la popolazione slovena. In tal caso sarebbe opportuno iniziare dalla zona slovena a cavallo del vecchio confine.

———————–

A mio avviso il trasferimento totale o parziale della popolazione sarà difficilmente possibile durante la durata della guerra.-
  /…/

L’ALTO COMMISSARIO
(Emilio Grazioli)
          G.




SITUAZIONE INTERNATI A TUTTO IL 17 SETTEMBRE 1942 – XX

GONARSTREVISOARBEPADOVATotali
Indiziati2.8002.800
Ex ufficiali
  e sottufficiali
1.0001.000
Note categorie2.2741.5283.802
Maschi validi2.532
(compreso
12 donne)
2.1294.661
Misura protettiva409409
Misura repressiva322
(compreso
138 donne
64 bambini
2 bambine)
3.872
(compreso
210 donne
76 bambini
34 bambine)
4.194
TOTALI6.0742.2596.404
(compreso
12 donne)
2.12916.866

RIUNIONE PRESSO L’ALTO COMMISSARIATO
DEL GIORNO 17 SETTEMBRE 1942/XX

SINTESI DEGLI ARGOMENTI TRATTATI

/…/
  b) Esame degli internandi
  – Concetto dell’Eccellenza Comandante: Il nostro nemico è costituito dall'”intelligenza” di Lubiana. Quindi sono del parere che meno ne vengono qui nella città, meglio è. E’ bene che per pochi non violiamo il principio generale, salvo le imprescindibili necessità che si possono giustificare, ad esempio, per la mancanza dei gabinetti scientifici.  L’A.C. comunica che il problema di far venire alcuni a Lubiana per le prove scientifiche è ormai superato e che quindi non ci sarà nessuna eccezione. Si tratterà pertanto di mandare le commissioni degli insegnanti sul posto.
  /…/


M i n i s t e r o  d e g l i  A f f a r i  E s t e r i
Gabinetto A.P. – Dalm. Slov.

TELESPRESSO

Indirizzato a
COMANDO SUPREMO
R. MINISTERO INTERNO
ALTO COMMISSARIO LUBIANA
e per conoscenza
DIR.  GEN.  A.E.M.: – SEDE Ufficio IV

Roma, addì 21 NOV. 1942 Anno XXI

OGGETTO: Situazione in Slovenia – campi di concentramento

  La Santa Sede ha rimesso alla R. Ambasciata presso il Vaticano l’appunto che si acclude in copia, nel quale vengono prospettate le condizioni in cui si troverebbero nei vari campi di concentramento gli internati appartenenti alla provincia di Lubiana, e si invocano alcuni provvedimenti a loro favore.

  Si rimette tale appunto con preghiere di interessamento e di voler cortesemente fornire elementi per una risposta alla Segreteria di Stato.

D’ordine del Ministero
/Firma illeggibile/


SEGRETO DOPPIA BUSTA    
RISERVATA-DOPPIA BUSTA

Lubiana, lì 21 novembre 1942/XXI

FP/
Ufficio SEGRETERIA PARTICOLARE
N. 1593/2/Ris.
OGGETTO: Vescovo di Lubiana Monsignore dott. Rozman.-

MINISTERO DELL’INTERNO
        Gabinetto              ROMA

  A seguito della precedente segnalazione, apprendo che il Vescovo di Lubiana è stato ricevuto ieri l’altro dal Pontefice, al quale, da quanto mi consta, ha consegnato l’allegato memoriale riflettente le condizioni degli sloveni internati nei campi militari.-
  Il memoriale è stato compilato in accordo con il Vescovo di Arbe, che ne avrebbe rimesso copia al Comandante Superiore delle Forze Armate “Slovenia-Dalmazia”.-

L’ALTO COMMISSARIO
(Emilio Grazioli)
    Grazioli

A L L E G A T O

Per circa 300.000 fedeli della Diocesi di Lubiana che si trovano nella Provincia di Lubiana, ne sono stati finora internati in diversi campi di concentramento quasi 30.000, cioè il 10 % di tutta la popolazione. In maggior parte sono nei seguenti campi di concentramento:
  – a GONARS (diocesi di Udine) circa 4.000. Da Gonars vennero trasportati ultimamente una parte rilevante di questi in un campo di concentramento vicino ad Arezzo.
  – a MONIGO (Treviso) circa 3.500 (fra questi 700 bambini al di sotto dei 10 anni).
  – a PADOVA circa 3.500.
  – a ARBE (diocesi di Veglia) circa 15.000 (fra questi oltre 1000 bambini).
  E per di più si trasporta nei campi di concentramento quasi ogni giorno ancora altra gente di ambedue i sessi e di tutte le età. Nessuno può sapere quanto tempo ciò durerà ancora.
  Le condizioni di vita dei campi dì concentramento non sono buone. Tutti soffrono moltissimo. La mancanza di nutrimento non è il peggiore male per gli adulti. bensì per i bambini. Il male più insopportabile per gli adulti è l’ozio, la mancanza di occasioni per un lavoro utile, specialmente risentono ciò le persone colte che non possono avere nemmeno dei libri, sebbene questi fossero stati raccolti e pronti per la spedizione a Lubiana, ma venne respinto il permesso di trasportarli nei campi concentramento. Tutti gli internati però riconoscono che il Comando dei singoli campi di concentramento ha un trattamento umano e giusto verso gli internati. Ma ad onta della buona volontà dei singoli comandanti vi sono nei campi di concentramento moltissime cose che richiedono un urgentissimo miglioramento, perchè questi non divengano degli accampamenti di morte e di sterminio. Ecco i provvedimenti più urgenti da farsi:
    1. – I bambini dovrebbero essere immediatamente rimandati a casa assieme alle loro madri. I bambini nella più tenera età, i lattanti – diverse decine ne sono nati negli accampamenti stessi – non possono vivere col nutrimento che ivi hanno a disposizione. Di latte non ne possono avere neppure una goccia. Per questa ragione i bambini muoiono. Le peggiori condizioni regnano nel campo di concentramento di Arbe.
    2. – Gli ammalati gravi e quelli che sono affetti da malattie croniche dovrebbero venire liberati e rimandati alle rispettive famiglie, dove potranno essere meglio curati.  Vi sono casi veramente terribili: per es. a Gonars vi fu uno studente universitario che aveva un tumore nel cervelletto ed in seguito a ciò perdette la vista. Proprio nel giorno in cui fu arrestato a Lubiana in occasione della razzia generale, aveva ricevuto dal medico un ordine scritto per recarsi alla clinica per un’operazione urgentissima. Nessuno badò a ciò, venne trasportato a Gonars ed ivi trattenuto. Egli perdette completamente la vista. Dopo alcuni mesi si è riuscito a liberarlo. L’operazione venne fatta ma la vista non si potè più ricuperare. Se l’operazione avesse avuto luogo a tempo, si avrebbe potuto salvargliela. E questo studente è un esemplare cattolico che era membro dell’organizzazione cattolica che aveva lottato tutti gli anni dell’Università palesemente ed intrepidamente contro il comunismo. Vi sono inoltre moltissimi casi di malattie reumatiche con le conseguenti malattie di cuore.
    3. – La separazione degli studenti e degli altri adolescenti dai rimanenti internati.
   4. – I bambini e gli adolescenti che sono negli accampamenti dovrebbero venire nutriti più conveniente e più abbondantemente, affinchè non soccombano a causa dell’esaurimento e delle malattie che nell’inverno sono ancor più pericolose.
    5. – L’istituzione di scuole regolare per i bambini e gli studenti che non vengono rimandati alle loro famiglie.
   6. – Che agli internati venga concessa la comunicazione regolare con la propria famiglia a mezzo della corrispondenza, la possibilità di ricevere regolarmente dei pacchi di vesti e cibi che i famigliari si tolgono della bocca. (Le spedizioni concesse fino ad ora di 5 kg.. al mese sono insufficienti).
  Tutti sono stati trasportati da casa con gli abiti di estate. Molti vennero arrestati durante il lavoro dei campi.  L’unico vestito che avevano indosso, è ormai gia logorato; negli accampamenti ora sono al cominciar dell’inverno quasi nudi.
   7. – Sarebbe indispensabile la revisione di tutti gli internati, affinchè vengano trattenuti in internamento soltanto quelli che avevano commesso qualche delitto oppure sono pericolosi all’ordine ed alla sicurezza pubblica; gli innocenti invece vengano rilasciati.  E’ certo che fra gli internati la maggior parte sono innocenti, poichè generalmente vengono trasportati gli abitanti senza distinzione di interi villaggi, senza alcuna inchiesta o interrogatorio Tutti gli internati dovrebbero essere divisi in tre gruppi: gli innocenti, i sospetti ed i colpevoli.
  A questo riguardo vennero fatte al Comando dell’XI Corpo d’Armata ed all’Alto Commissario da diversi parti delle domande e delle proposte, però fino ad ora non avvenne alcun cambiamento anzi vengono tuttora mandate allo stesso modo centinaia di persone negli accampamenti.
  Tutti saranno riconoscentissimi alla Santa Sede, se potesse appoggiare queste nostre proposte presso le competenti autorità italiane.

————

ALCUNI PROVVEDIMENTI DALLA SANTA SEDE PROPOSTI PER MIGLIORARE LE CONDIZIONI DEI CATTOLICI SLOVENI DELLA PROVINCIA DI LUBIANA E QUELLE IN PARTICOLARE MODO DEGLI INTERNATI CIVILI

  1) Revisione della situazione personale di tutti gli internati, in base ad un’accurata inchiesta che permetta di distinguere i rei dagli innocenti, i quali ultimi potrebbero essere facilmente identificati mediante liste compilate con l’assistenza dei Parroci e dei Podestà dei singoli Comuni, che hanno più esatta cognizione delle persone e si presume non siano mossi da spirito di vendetta e di altri bassi motivi.-
  2) Sospensione degli internamenti in massa e limitazione di essi ai soggetti veramente colpevoli o fondatamente sospetti.-
  3) Liberazione immediata:
    a) di coloro che risultino innocenti o nelle liste anzidette vengano segnalati come persone oneste e degne di fiducia;
    b) dei bambini, che non possono avere nei campi di concentramento la conveniente alimentazione. Le loro condizioni sembrano particolarmente pietose nei campi di Arbe e di Treviso nei quali si troverebbero rispettivamente 1.000 e 700 bambini di età inferiore ai 10 anni;
    c) delle donne, che non risultino affiliate ad organizzazioni comuniste o colpevoli di delitti specifici;
    d) dei malati gravi, e dei cronici, onde possano avere in famiglia le cure necessarie.-
  4) Predisporre le opportune previdenze per coloro che saranno rimpatriati e che troveranno case e villaggi distrutti.
  5) Allontanamento dai campi di concentramento comuni di tutti i minorenni, al fine di sottrarli al pessimo influsso che esercita su di essi la convivenza con adulti non sempre raccomandabili per le loro idee e per il loro costumi.-
  Ove esistono ragioni, che ne impediscano l’immediata liberazione, riunirli in appositi campi con organizzazione scolastica e con adeguata assistenza religiosa, affidata a Cappellani adatti, provvedendoli in pari tempo di nutrimento più sostanzioso ed abbondante, perchè non abbiano a soccombere a causa dell’esaurimento.-
  6) Assicurare agli internati la possibilità di corrispondere regolarmente con le loro famiglie e di riceverne pacchi di viveri e di indumenti.-




PROMEMORIA RELATIVO AL SOPRALUOGO FATTO AD ARBE NEI GIORNI
14 – 19 NOVEMBRE 1942-XXI

Come da incarico ricevuto di cui i1 foglio 3279/Sa Ig e 4014/Sa Ig. mi sono recato ad Arbe e sui risultati delle indagini da me fatte riporto quanto segue:

  ORGANIZZAZIONE SANITARIA DEL CAMPO: La sua efficienza per quanto riguarda i medici che vi sono addetti è buona: essi svolgono instancabilmente e con perizia della propria arte il loro compito.
  La situazione igienica con riguardo alla pedicolosi non è soddisfacente: circa il 35 – 40 % internati sono infestati da pidocchi.

  STAZIONE DI BONIFICA:
  E’ stata progettata una stazione di bonifica per gli internati partenti, attrezzata con le due stufe Giannolli colà di recente inviate.

  LATRINE:
  Le latrine quelle in muratura dovranno essere servite da acqua corrente; hanno assoluto bisogno di essere ultimate al più presto ed esse fino a quando non funzionerà un collettore comune rispondente a requisiti igienici, dovranno essere espurgate con espurgatrice.

  PULIZIA DEL CAMPO E ACQUE LURIDE:
  Nel rimanente la situazione igienica del campo, mentre è ineccepibile la pulizia, è deficiente (per quanto volenterosamente studiata) per le scolo delle acque luride, che scoperte emanano lezzo e ristagnano in parte.
  I corsi naturali delle acque meteoriche sono stati sovvertiti causa le necessità al campo con conseguente ristagno di numerosi corsi d’acqua; detto ristagno se persisterà anche nella stagione primaverile potrà portare pregiudizio per la malaria.

  M0SCHE:
  Le mosche sono quasi scomparse e comunque sono state da me ribadite ai medici del campo i mezzi e i criteri di lotta.

  MORBILITA’La morbilità è sui calcoli fatti su due mesi (v. alleg. 1) circa del 65%. Il carattere principale di essa è determinato da una alimentazione insufficiente di fronte alle normali esigenze di calorie (v. allegato 2). La insufficienza alimentare poi si riflette e si moltiplica per le inesorabili cause di refrigerazione e di dispersione del calore dovuti ai rigori della stagione ed anche alla permanenza sotto tenda, al giaciglio e alla deficiente vestizione. Infatti circa il 70% degli internati è vestito con abiti estivi ed alcuni abiti laceri. Quanto alle coperte ho appreso che da circa 8-10 giorni era stata distribuita la 2a coperta. Il giorno 17 vennero distribuite al campo n. 3325 coperte per cui in tale campo in quel giorno il 1 e 2 settore disponeva di 3 coperte per ogni internato, mentre quelli del 3 settore ancora due.
  La dotazione delle coperte gioca la sua parte sulla morbilità.
  Le condizioni surriferite depauperano gli organismi obbligandoli a vivere, dopo avere consumato tutte le loro riserve organiche a spese dei loro tessuti. Si hanno così casi di cacclessia e di edemi da fame sui quali trovano facile innesto altre malattie.
  Non va però dimenticato che in molti casi preesisteva uno stato di denutrizione che si è aggravato in questi ultimi tempi.
  Per quanto riguarda la morbilità ed il suo andamento in rapporto alle condizioni atmosferiche si osservi l’allegato 3.

  MORTALITA’: La mortalità sulla scorta di una osservazione protratta per due mesi è del 2%; serva a scopo illustrativo l’allegato 1 e 4.
  Il numero complessivo dei morti assomma fino al 17/11 a 289 di cui 200 maschi e 89 femmine.
  Nei 289 vanno compresi 62 bambini sotto gli undici anni, di cui 33 per enterocolite, 46 bambine sotto gli undici anni, di cui 34 morti per enterocolite. Degli adulti 54 sono morti per enterocolite e 10 sono le donne per le quali la causa della morte è determinata dalla stessa malattia, alcuni casi di enterocolite sono risultati agli accertamenti sierologici casi di dissenteria bacillare.

CONCLUSIONE

Premessi i dati surriferiti e la sproporzione tra le calorie di consumo e quelle che l’organismo ricava dalla razione alimentare assegnata, considerato lo stato igienico del campo, occorrerebbe, onde ovviare parzialmente alle deficienze, ricoverare gl’internati sotto tetto in locali chiusi e fornire gli stessi del vestiario occorrente; proporrei che venisse assegnato materiale di recupero.

Il Cp.no medico
Carlo Alberto Lang

Allegato N. 1

PeriodoPresenza per malattie singole
Popolazione media GiornalieraMalattie infettiveMalattie OstetricheMalattie chirurgicheMalattie DicrasicheMalattie ComuniMalattie cutaneeNote
Luglio
Agosto
Settembre 18-30841502207501.118150
Ottobre 1-312013807973.8403.444795
Novembre 1-16521853692.5101.750550

(1) Per i mesi di Luglio e Agosto fino al 18 Settembre i dati sono deficienti
(2) Le enterocoliti sono state comprese nelle malattie infettive benché gli accertamenti di laboratorio siano ancora in corso.

AMMALATI (VISITA MEDICA)

GiornoUominiDonneBambiniTotaleMortiGiornoUominiDonneBambiniTotaleMorti
18/9851418117119/10178125403432
19628542189120240125343991
20106142583062116080272674
2156702714832210840151632
221046532201223279170344833
23644618128124225120283731
247586432042512040201805
25170863429032629087244015
2611594222312728098203986
276956341592816070222523
28120733422722930080404201
29170772727423043680325486
30125652721733138090184887
1/10132794525631/1118045102353
212593452635238070254752
315575492792348090255959
4137853525724310110254453
515578352684532090174278
614533272051614070152258
71577542274713088102284
814362452504817787202844
910248181681927090253858
101258321199110310104204341
111457529249311275114254143
12126432919811223097183458
13157963428731325097203675
1492441515111423045152901
151798731297215140641521911
161047834216416310811540610
1719510427326517176311021713
1812689262412
Totali11.2854.8341.66217.981209

Altri documenti della II Armata


Le fonti:
I documenti pubblicati provengono da due archivi: Archiv Republike Slovenije di Lubiana e dall’Archivio centrale dello Stato di Roma, dalla microfilmatura del materiale italiano conservato presso i National Archives di Washington (microcopy T-256 e T-821), da pubblicazioni e da altre fonti (fondi S. Capogreco e Klaus Voigt).

Pubblicati in Tone Ferenc, Rab, Arbe, Arbissima. Confinamenti-rastrellamenti-internamenti nella provincia di Lubiana 1941-1943. Documenti, Istituto di Storia moderna, Ljubljana 2000.

Pulizia etnica all’italiana

https://www.balcanicaucaso.org/aree/Slovenia/Pulizia-etnica-all-italiana

ita

Partigiani Sloveni uccisi da soldati italiani

Tra il ’42 ed il ’43 il nostro esercito internò nel campo di Gonars migliaia di persone: quasi 500 morirono in pochi mesi. Il progetto: ripopolare il territorio sloveno con italiani. Un articolo di Alberto Bobbio pubblicato su Famiglia Cristiana

10/02/2004 –  Alberto Bobbio

E’ una storia rimossa che emerge oggi, 65 anni dopo, con grande difficoltà dalle pieghe della memoria. E’ la storia della pulizia etnica all’italiana, che ha lo stesso linguaggio, nasce dalle stesse intenzioni e procede con le stesse azioni dei signori della guerra nei Balcani dell’ultimo decennio del secolo appena passato. Cambiano i nomi, ma quello dell’alto commissario fascista di Lubiana, annessa al Regno d’Italia nel 1941, Emilio Grazioli, potrebbe essere equivalente a quelli di Milosevic o Karadzic, e a quelli dei generali Mario Robotti e Mario Roatta al generale serbo Ratko Mladic o al croato Ante Gotovina, criminali di guerra.

Ma nessun militare né civile italiano è mai stato processato da un tribunale. L’Italia si è assolta e l’amnistia del dopoguerra non ha permesso neppure di conservare la memoria giudiziaria dei fatti. Ora qualcosa lentamente riemerge e il difetto di conoscenza e di coscienza collettiva è tragico. Alessandra Kersevan, ex insegnante di scuola media in Friuli, ricercatrice a contratto in didattica delle lingue all’Universitа di Trieste, ha pubblicato, con il contributo del Comune di Gonars, uno straordinario studio sul campo di concentramento fascista di quel paese, ricostruendo tutta la storia della “pulizia etnica all’italiana” in Slovenia e in Croazia.

Spiega la Kersevan: “Ho lavorato per 15 anni negli archivi sloveni a Lubiana, all’archivio di Stato di Udine e in quelli dell’Esercito italiano a Roma. Gonars è una faccenda tutta italiana. Tra il 1942 e il ’43 vennero internate migliaia di persone, rastrellate dall’Esercito italiano, donne, vecchi, bambini. Quasi 500 morirono in pochi mesi”.

Ma Gonars, come le altre decine di campi di concentramento fascisti, rimase invisibile nell’Italia del dopoguerra. Spiega il professor Spartaco Capogreco, docente alla facoltà di Scienze politiche dell’Università della Calabria, il maggior esperto dei campi di concentramento fascisti, di cui a febbraio uscirа per Einaudi il volume I campi del Duce: “E’ una storia di minimizzazioni e amnesie, che hanno offuscato gravi e precise responsabilità e che hanno contribuito all’affermazione di un pregiudizio, quello della naturale bontà del soldato italiano. Va anche rilevato il potente effetto assolutorio di Auschwitz nei confronti degli altri campi di concentramento. Ma ciò non giustifica l’oblio, né della politica di internamento fascista né della pulizia etnica all’italiana”.

Nella notte tra il 22 e il 23 febbraio 1942, Roatta, Robotti e Grazioli fanno circondare Lubiana con reticolati di filo spinato: la cittа diventa così un immenso campo di concentramento. Robotti spiega al Duce il suo “metodo deciso”: “Gli uomini sono nulla”, e comunica la sua intenzione di “arrestare in blocco gli studenti di Lubiana”. I rastrellamenti sono operati dai Granatieri di Sardegna. Il generale Orlando, comandante della divisione, prevede lo sgombero delle persone “prescindendo dalla loro colpevolezza”.

Alla fine di giugno Orlando comunica che con l’arresto di “5.858 persone si è tolto dalla circolazione un quarto della popolazione civile di Lubiana”. Scrive il tenente dei Carabinieri Giovanni De Filippis in un promemoria che Alessandra Kersevan ha rintracciato a Roma: “Continua caotico e disorientato il procedimento dei fermi… La popolazione vive in uno stato di vero incubo”.

La filosofia della pulizia etnica era stata indicata nella circolare “3C” del generale Roatta: “Internamento di intere famiglie, uso di ostaggi, distruzione di abitati e confisca di beni”.

“Internamento di massa”

Il 24 agosto 1942 Grazioli prospettava al ministero dell’Interno “l’internamento di massa della popolazione slovena” e la sua “sostituzione con la popolazione italiana”. Robotti spiega ai comandanti: “Non importa se all’interrogatorio si ha la sensazione di persone innocue. Quindi sgombero totalitario. Dove passate, levatevi dai piedi tutta la gente che può spararci nella schiena. Non vi preoccupate dei disagi della popolazione. Questo stato di cose l’ha voluto lei, quindi paghi”.

In un altro rapporto, Robotti lamentava: “Si ammazza troppo poco”. Roatta raccomandava l’uso dell’aviazione e dei lanciafiamme per distruggere i paesi.
Il campo di Gonars, allestito per gli arrestati sloveni, in poche settimane è pieno. In estate viene approntato in fretta e furia il campo di tende sull’isola di Rab: donne, vecchi e bambini sono ospitati in condizioni disumane.

Il vescovo di Krk, monsignor Srebnic, il 5 agosto 1943 in una lettera al Papa parlerà di più di “1.200 internati morti”. Alla fine del 1942 il sottosegretario all’Interno Buffarini dа notizia al Duce che “50.000 elementi sloveni” sono stati internati in Italia.

Nell’autunno 1942 la diocesi di Lubiana fa arrivare alla Santa Sede un documento dal tono molto preoccupato, che chiedeva interventi per evitare che i campi “diventino accampamenti di morte e di sterminio”. Il Vaticano la inoltra al ministero dell’Interno fascista. Risponde proprio il generale Roatta, minimizzando la situazione, contestando i dati e rimproverando il Vaticano: “Molte delle lagnanze affacciate dal Vaticano sono destituite di fondamento. I comandi militari non hanno bisogno di suggerimenti per quanto riguarda i doveri di umanità”.

Più volte la Chiesa cattolica interviene a favore degli internati sloveni nel campo di Gonars, che alla fine del 1942 sono oltre 6.000. I vescovi di Lubiana, Rozman, di Gorizia, Margotti, e di Krk, Srebnic, sollecitano un’iniziativa della Santa Sede. Il segretario di Stato vaticano, cardinale Luigi Maglione, invia a Gonars il nunzio apostolico in Italia Borgoncini-Duca, il quale però non riesce a capire le reali condizioni di vita e scrive che “il vitto non manca e l’acqua è abbondante”.

Altre testimonianze raccolte da Alessandra Kersevan sono assai diverse. Il segretario dell’arcivescovo di Zagabria Stepinac, don Lackovic, nel ’43 denuncia alla Croce Rossa italiana che a “Gonars si trovano oltre 4.000 croati, in maggioranza donne e bambine che soffrono molto e muoiono in gran numero”. Il salesiano padre Tomec descrive al Comitato di assistenza di Gorizia la terribile situazione di Gonars in una lunga relazione: “La gente muore di fame. La minestra è acqua nella quale nuotano due chicchi di riso e due maccheroni”. E chiede la possibilitа di inviare pacchi di viveri ai prigionieri.

Il 27 marzo 1943 il prefetto di Udine impone all’Autorità ecclesiastica di bloccare i pacchi per evitare che “aiuti siano prodigati a una razza siffatta che non ha mai nutrito, né nutre, sentimenti favorevoli all’Italia”. E a Lubiana Grazioli ordina di “far cessare ogni assistenza in favore degli internati”.

Punizioni, torture, orrore

Slavko Malnar, ex internato a Gonars, ha raccontato alla Kersevan: “Avevo 6 anni e pesavo 13 chili. Con altri bambini cercavamo il cibo nei bidoni della spazzatura. Se trovavamo qualche grosso osso lo spaccavamo per succhiare il midollo. Mia madre era incinta. Mio fratellino è nato il 3 febbraio 1943. E’ morto qualche mese dopo”. Poi c’erano le punizioni, le torture, insomma, l’orrore di ogni campo di concentramento.

Oggi non c’è più traccia del campo di Gonars. Nel cimitero del paese sono sepolti 400 internati, ricordati da un grande sacrario costruito nel 1973.

Spiega il sindaco Ivan Cignola: “Ricordare la tragedia e riconoscerne le responsabilitа italiane non è solo un problema storico, ma anche di sensibilità civile”. Tutti i protagonisti di questa vicenda non sono mai stati incriminati: Emilio Grazioli venne arrestato dopo la guerra per due eccidi commessi in provincia di Ravenna. Le accuse circa il suo operato a Lubiana non vennero menzionate. Tornato subito in libertà, sparì.

Dei vari comandanti del campo di Gonars solo l’ultimo, il capitano Macchi, noto per la sua ferocia, venne ucciso dai partigiani nel 1944. Il generale Robotti è morto ed è stato dimenticato.

Il generale Roatta riparò in Spagna. Poi usufruì di un’amnistia. Una sua foto è tuttora appesa alle pareti dell’Archivio storico dello Stato Maggiore dell’Esercito.



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