LA RELATIVITÀ DA NEWTON AD EINSTEIN (PARTE 1) 

Roberto Renzetti

Il problema dello spazio, del tempo e del moto dall’affermazione alla crisi del meccanicismo, attraverso l’elettromagnetismo, l’ottica e l’elettrodinamica dei corpi in movimento, fino alla teoria della relatività ristretta. PARTE 1

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“Amo e rispetto i grandi quando lo sono di per sé”

Voltaire

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“Niente è così utile come la critica aperta e libera, e lo studioso della scienza realmente serio e disinteressato sempre la riceve con piacere”

O. Heaviside

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INTRODUZIONE

   Introdurre un lavoro come questo che mi è costato lunghe e piacevoli fatiche e mi ha insegnato tante cose è difficile per la varietà e complessità degli argomenti che vi sono trattati.

    Poiché l’intero impianto del libro è finalizzato alla ricostruzione storico-critica del lavoro di Einstein del 1905, “Sull’elettrodinamica dei corpi in movimento”, ancora Einstein può aiutarmi in questa introduzione. Userò alcune frasi della Prefazione alla sua “Relatività, esposizione divulgativa” che meglio di tutte rendono il mio pensiero.

“L’opera presuppone nel lettore un livello di cultura che corrisponde, pressappoco, a quello dell’esame di maturità e richiede … una buona dose di pazienza e di buona volontà. L’autore ha compiuto ogni sforzo nel tentativo di esporre le idee basilari nella forma più chiara e più semplice possibile, presentandole, nel complesso, in quell’ordine ed in quella connessione in cui si sono effettivamente formate. Per raggiungere la massima chiarezza mi è parso inevitabile ripetermi di frequente, senza avere la minima cura per 1’eleganza della esposizione”.

    Sono cosciente dei molti limiti, improprietà ed inesattezze; accetterò con grandissimo piacere ogni critica, suggerimento, correzione e cercherò di correggere il testo laddove me ne sia data la possibilità. Vorrei da ultimo ancora avvertire il lettore che questo lavoro è molto articolato ed a volte sembra perdere di mira il fine annunciato. Anche qui occorrerà un poco di pazienza e, mi sembra, presto ci si renderà conto che tutto alla fine tornerà nel bilancio.

Barcellona, marzo 1983                                               Roberto Renzetti

CAPITOLO 0

0 – UN CENNO A DESCARTES ED A HUYGENS

DESCARTES (1596 – 1650).

    Con il progressivo smantellamento dell’aristotelismo, soprattutto a seguito delle importanti scoperte nel campo dell’astronomia, della matematica, dell’anatomia e della meccanica, si sentiva l’esigenza di ricostruire un substrato concettuale, di riferimento, a tutto quanto di nuovo si veniva affermando. II programma cartesiano per molti versi cercò di rispondere a questa esigenza.

    La concezione cartesiana del mondo cerca di dare una ragione più compiuta al sistema copernicano per inserirlo in una visione più generale di cui esso stesso risultasse conseguenza. Egli cominciò con il considerare un solo corpuscolo infinitesimo nel vuoto e quindi come il moto di questo primitivo corpuscolo fosse modificato da un secondo corpuscolo (nel far questo Descartes introduce la conservazione della quantità di moto, in forma non del tutto corretta poiché al pensatore francese mancava il concetto di massa, ed il principio d’inerzia, ricavato però da ragioni metafisiche; “Dio è immutabile e, agendo sempre allo stesso modo, produce sempre lo stesso effetto”). In modo induttivo Descartes aggiunse via via altri corpuscoli che si urtavano indefinitamente tra loro. Egli riteneva che le variazioni sensibili del nostro universo fossero originate proprio da questi urti innumerevoli; sono proprio gli scambi di quantità di moto che rendono conto delle diverse azioni meccaniche tra i corpi. Conseguenza di ciò è 1’impossibilità di azione a distanza: ogni azione di un corpo su di un altro avviene per contatto. Nel nostro universo è quindi impossibile l’esistenza di vuoto (e quindi di atomi). Nell’universo cartesiano c’è il tutto pieno eternamente in moto: un primo corpuscolo ne spinge un secondo che, a sua volta, ne spinge un terzo e cosi via finché l’ultimo corpuscolo spinto va a spingere il primo che avevamo preso in considerazione. He consegue una struttura a vortici ohe è alla base dell’intero universo. Ed anche laddove non vi è materia sensibile vi è 1’etere, elemento sottile ohe riempie di sé tutto lo spazio risultando intimamente mescolato con tutte le sostanze. È proprio un gigantesco vertice di etere quello che pone in circolazione i pianeti intorno al Sole.

    I motivi che portarono Descartes a teorizzare un tutto pieno erano molteplici, di natura filosofica e tali da coinvolgere la sua concezione di materia e spazio. II vuoto è inammissibile principalmente perché sarebbe una contraddizione completa, un nulla esistente. Lo spazio per conseguenza non può essere un’entità distinta dalla materia ohe lo riempie. Spazio e materia non sono altro che la medesima cosa.

HUYGENS (1629-1695).

   L’opera di Huygens è sempre stata sottovalutata o comunque non posta ai livelli che gli competono. Al fine di costruire una linearità di pensiero tra Galileo e Newton questa impresa di costruzione di una meccanica ‘esterna’ alla tradizione strettamente meccanicistica è stata spesso accantonata.

    I contributi fondamentali di Huygens furono in Ottica e, appunto, in Meccanica. Mentre dei lavori di Ottica ci occuperemo brevemente nel paragrafo 6 del cap. IIIº, ora accenneremo ai suoi contributi nel campo della Meccanica.

    In vari lavori che si succedettero dal 1673 fino alla scomparsa del nostro, Huygens si occupò del centro di oscillazione del pendolo composto (iniziando alla dinamica dei corpi rigidi ed ai problemi a molti corpi), di problemi d’urto (quantità di moto e sua conservazione), di forze centrifughe. Nel far questo egli individuò una grandezza, di grande importanza per gli sviluppi della meccanica (razionale) nel ‘700, il ‘momento di inerzia’ di forze e, fatto ancora più importante, anche se in un caso particolare, affermò la conservazione dell’energia meccanica. Ma il contributo più interessante fu la revisione del concetto di spazio che viene facendosi strada nell’intera sua opera (anche quella ottica). Con Huygens arriva a compimento l’impresa, iniziata da Galileo, di matematizzazione dello spazio fisico. Non più uno spazio geometrico da una parte contrapposto ad uno spazio fisico in cui avvengono i fenomeni naturali, ma completa identificazione tra i due. Si trattava di intendere i fenomeni naturali come svolgentisi in uno spazio infinito ed omogeneo che era proprio della geometria Huygens comunque non rimane soddisfatto dal modo in cui all’epoca venne risolta la questione del moto. Il ‘principio di relatività’ poneva il problema di capire qual era lo spazio ‘realmente’ percorso da un oggetto in moto. Se il moto è infatti relativo ad un dato sistema di riferimento e se i vari riferimenti possono essere in moto gli uni rispetto agli altri, come è possibile stabilire lo spazio percorso da un determinato oggetto? Si pone quindi la questione di un riferimento assoluto che venne individuato in uno spazio infinito ed immobile (spazio geometrico invadente di sé l’intero universo). Ma Huygens è restìo ad ammettere spazi, siano essi mobili od immobili: com’è infatti possibile in uno spazio qualunque, con la caratteristica di essere infinito ed omogeneo, distinguere luogo da luogo e quindi poter parlare di movimento? Secondo Huygens se è impossibile determinare un sistema di riferimento assoluto è altrettanto impossibile parlare di quiete o di moto assoluti. Ha senso parlare di moto solo dando un riferimento rispetto al quale considerarlo e non esiste alcun riferimento che abbia caratteristiche di privilegio rispetto a tutti gli altri.

CAPITOLO I

1 – GLI ASPETTI SALIENTI DELLA MECCANICA DI NEWTON

    Alla fine del XVII secolo, sull’onda dei lavori di Galileo, una gran messe di risultati sperimentali e teorici, nel campo della filosofia naturale, era stata raccolta. Ma, intanto, per le note vicende che riguardarono lo stesso Galileo, l’asse della ricerca fisica si era spostato verso il Nord dell’Europa: in Francia (con qualche difficoltà), in Olanda, in Prussia (ed altri stati tedeschi), in Gran Bretagna.

    In quest’ultimo Paese, con i lavori di Newton, si realizzò la sintesi di quel filone di pensiero che, almeno da Copernico, prendeva le mosse. Tutte le innovazioni, le ricerche e le scoperte, in tutti i campi della ricerca fisica, che in molti anni si erano andate accumulando, in modo molto spesso frammentario e confuso, trovarono in Newton una mirabile sistemazione. E non solo: egli dette anche innumerevoli contributi all’analisi, all’astronomia, all’ottica, alla meccanica, … , che, oltre ad essere del tutto originali, risultarono anche fondamentali per lo sviluppo delle ricerche negli anni successivi.

    Per molti versi, quindi, Newton rappresenta, appunto, l’apice di un determinato periodo storico, ma, per molti altri, egli va considerato come il capostipite di una nuova era, nella quale la scienza classica arrivò a maturazione, cominciando ad esistere indipendentemente da ipoteche teologico-metafisiche e ad esercitare un’enorme influenza nei più’ svariati campi dell’attività’ umana. Ma non basta. Newton intraprese anche una grossa, battaglia, qualche volta contraddittoria, contro tutti quei filoni di pensiero che avevano una precostituita concezione del mondo, base di riferimento indipendente da ogni indagine scientifica. Egli si batté contro ogni costrizione che volesse bloccare lo sviluppo razionale dell’indagine e del pensiero scientifico, per la libera espressione di ogni attività umana (certamente in questo avvantaggiato dal clima economico-politico-culturale dell’Inghilterra del XVII secolo).

    Le opere fondamentali di Newton sono:

1) “Philosophiae Naturalis Principia Mathematica” , la cui prima edizione è del 1687 (e successive edizioni nel 1713 e 1726);

2) “Optics” , la cui prima edizione è del 1704.

    Noi ci occuperemo principalmente della prima rimandando, per alcuni aspetti della seconda, al paragrafo 6 del capitolo IIIº.

    Galileo ed Huygens avevano sviluppato una meccanica dei corpi sulla superficie della Terra; 1’opera di Newton se ne differenzia per la generalizzazione del principio d’inerzia, per l’introduzione del concetto di forza attraverso una definizione, alquanto discutibile, del concetto di massa e per l’estensione della validità delle leggi meccaniche a tutto l’universo.

    Questa ultima estensione è giustificata da Newton con alcuni principi (‘Regulae philosophandi’) che, secondo il nostro, debbono essere di fondamento alla ricerca scientifica:

I) “Delle cose naturali non devono essere ammesse cause più numerose di quelle che sono vere e bastano a spiegare i fenomeni” (una specie di principio di semplicità e di economia, di pensiero).

II) “Perciò, finché può essere fatto, le medesime cause vanno attribuite ad effetti naturali dello stesso genere” ( ad esempio: luce del fuoco e luce del Sole debbono agire allo stesso modo).

III) “Le qualità dei corpi che non possono essere aumentate e diminuite, e quelle che appartengono a tutti i corpi sui quali è possibile impiantare esperimenti, devono essere ritenute qualità di tutti i corpi” (principio di induzione. Ad esempio: i corpi gravitano verso la Terra, il mare gravita verso la Luna, i pianeti gravitano verso il Sole -> tutti i corpi gravitano l’un l’altro).

IV) “Nella filosofia sperimentale, le proposizioni ricavate per induzione dai fenomeni, devono, nonostante le ipotesi contrarie, essere considerate vere o rigorosamente o quanto più possibile, finché non interverranno altri fenomeni, mediante i quali o sono rese più esatte o vengono assoggettate ad eccezioni”.

    Come si può vedere, si tratta di una sorta di breviario del metodo scientifico utilizzato da Newton, cui fa da complemento il ruolo che viene assegnato alle “ipotesi”.

    A questo proposito dice Newton:

“In verità non sono ancora riuscito a dedurre dai fenomeni la ragione di queste proprietà della gravità, e non invento ipotesi (Hipotheses non fingo). Qualunque cosa, infatti, non deducibile dai fenomeni va chiamata ipotesi e ne11a filosofia sperimentale non trovano posto le ipotesi sia metafisiche, sia fisiche, sia delle qualità occulte, sia meccaniche. In questa filosofia le proposizioni vengono dedotte dai fenomeni, e sono rese generali per induzione”.

    E Newton certamente non cercò spiegazioni della gravità, ma nel contempo (come vedremo) si servì di ipotesi, ad esempio, per la definizione dello spazio, del tempo e del moto e per la spiegazione dei fenomeni luminosi. Questa apparente contraddizione si risolve cercando di dare un senso più preciso al concetto di ipotesi, almeno nel significato che pare gli abbia voluto attribuire Newton. Egli rifiuta ogni ipotesi che sia fine a se stessa e che serva soltanto a dare una spiegazione formale al fenomeno oggetto di studio. Al contrario egli usa ipotesi ogni volta che esse manifestino la loro fecondità per comprendere, interpretare, studiare altri fenomeni come punto di partenza, quindi, ed eventualmente da rimettere in discussione quando la strada aperta da quelle ipotesi dimostri la sterilità della stessa.

    Con questo quadro di riferimento generale, Newton iniziò i suoi lavori di meccanica a partire dalla definizione di massa [sulle orme di quanto già fatto da G.B. Baliani (l638), allievo e amico di Galileo, il quale aveva nettamente distinto la massa dal peso ed aveva stabilito una proporzionalità tra i due].

    Secondo Newton:

“La quantità di materia è la misura della medesima ricavata dal prodotto della sua densità per il volume”. A questa quantità si può dare il nome di massa.

    Come si può subito osservare è una definizione circolare che non definisce nulla. Infatti: cos’è la densità ? Una stessa definizione non può valere contemporaneamente per due grandezze. Servono definizioni indipendenti. E questo sarà uno degli aspetti sul quale si appunterà la critica di Mach, come vedremo nel paragrafo 6 del capitolo IV°. In ogni caso Newton utilizzò sempre in modo corretto (in senso moderno) questo concetto.

    Definita la massa il nostro passò a definire la quantità di moto e quindi ad enunciare il principio d’inerzia nella sua forma dinamica (con l’introduzione della forza in questo principio si passa dalle formulazioni cinematiche di Galileo e Descartes a quella dinamica):

“La forza insita (vis insita) della materia è la sua disposizione a resister per cui ciascun corpo, per quanto sta in esso, persevera, nel suo stato di quiete o di moto rettilineo uniforme.”

Questa ‘vis insita‘ non differisce dall’inerzia della massa per cui forza insita può essere chiamata anche forza d’inerzia.

    Riguardo poi alla forza come causa del moto, Newton ci dà la seguente definizione:

” Una forza impressa (vis impressa) è un’azione esercitata sul corpo al fine di mutare il suo stato di quiete o di moto rettilineo uniforme”.

    Le successive definizioni, dalla quinta all’ottava si occupano della forza centripeta.

    Sono queste, per Newton, definizioni necessarie perché nuove. E, sempre secondo Newton, non è altrettanto necessario definire tempo, spazio, luogo e moto “in quanto notissimi a tutti” ma, poiché sussistono “vari pregiudizi”, “conviene distinguere le medesime quantità in assolute e relative, vere ed apparenti, matematiche e volgari”. E da queste “distinzioni” nascerà un quadro di riferimento per la fisica (spazio, tempo e moto assoluti) che, se da una parte resisterà per 200 anni, dall’altra fornirà grossi elementi di critica nei riguardi della fisica newtoniana.

    E queste sono le “distinzioni” di Newton:

“I) Il tempo assoluto, vero, matematico, in sé e per sua natura senza relazione ad alcunché di esterno, scorre uniformemente, e con altro nome è chiamato durata; quello relativo, apparente e volgare, è una misura (esatta o inesatta) sensibile ed esterna della durata per mezzo del moto, che comunemente viene impiegata al posto del vero tempo: tali sono l’ora, il giorno, il mese, l’anno.

II) Lo spazio assoluto, per sua natura senza relazione ad alcunché di esterno, rimane sempre uguale e immobile; lo spazio relativo è una dimensione mobile o misura dello spazio assoluto, che i nostri sensi definiscono in relazione alla sua posizione rispetto ai corpi, ed è comunemente preso al posto dello spazio immobile; …

III) II luogo è quella parte dello spazio occupata dal corpo, e, a seconda dello spazio cui si riferisce, può essere assoluto o relativo. …

IV) II moto assoluto è la traslazione di un corpo da un luogo assoluto in un luogo assoluto, il relativo da un luogo relativo in un luogo relativo…”

    Oltre a ciò Newton aggiunge alcune importanti considerazioni:

” È possibile che non vi sia movimento talmente uniforme per mezzo del quale si possa misurare accuratamente il tempo. Tutti i movimenti possono essere accelerati o ritardati, ma il flusso del tempo assoluto non può essere mutato. Identica, è la durata o la persistenza delle cose, sia che i moti vengano accelerati, sia che vengano ritardati, sia che vengano annullati; per cui, a buon diritto, questa durata viene distinta dalle sue misure sensibili.”

    E fin qui per quel che riguarda il tempo assoluto. Riguardo al moto ed alla quiete, invece:

” Vero è che, in quanto le parti dello spazio non possono essere viste e distinte tra loro mediante i nostri sensi, usiamo in loro vece le loro misure sensibili. Definiamo, infatti, tutti i luoghi dalle distanze e dalle posizioni delle cose rispetto ad un qualche corpo, che assumiamo come immobile; ed in seguito, con riferimento ai luoghi predetti, valutiamo tutti i moti, in quanto consideriamo i corpi come trasferiti da quei medesimi luoghi in altri. Cosi, invece dei luoghi e dei moti assoluti usiamo i relativi; né ciò riesce scomodo nelle cose umane: ma nella filosofia occorre astrarre dai sensi. Potrebbe anche darsi che non vi sia alcun corpo al quale possano venir riferiti sia i luoghi che i moti. La quiete ed il moto, assoluti e relativi, si distinguono gli uni dagli altri mediante le loro proprietà, le cause e gli effetti. La proprietà della quiete è che i corpi veramente in quiete giacciano in quiete fra loro. Di modo che, per quanto sia possibile che un qualche corpo, nelle regioni delle stelle fisse, o anche più lontano, sia in quiete assoluta, tuttavia, dalla posizione fra loro dei corpi nelle nostre regioni, non si può sapere se qualcuno di questi conserva o no una data posizione rispetto a quel corpo tanto lontano, né si può stabilire la vera quiete dalla posizione dei corpi fra loro”.

    La prima cosa da sottolineare è ciò che Newton dice nelle prime righe, cioè che nel passato si è incorsi in molti errori proprio per voler considerare lo spazio, il tempo ed il luogo riferiti a cose sensibili (lo spazio come quell’entità compresa da una determinata sfera, il tempo come qualcosa legato al giorno ed alla notte e comunque a vari fenomeni periodici, il luogo come una nozione da riferire a particolari caratteristiche fisiche che differiscono appunto da quelle di un altro luogo).

    Con ciò Newton assegna una validità autonoma ai singoli concetti testè citati e, ad esempio, dà vita propria al tempo assoluto non legandolo, come era stato fatto nel passato, al movimento (ricordiamo che secondo Aristotele il tempo si desume dal movimento). Quello che invece noi percepiamo è il tempo relativo,che ha attinenza con fenomeni, per i quali è possibile misurare una durata.

    Anche per quel che riguarda lo spazio la situazione è analoga: noi percepiamo solo quello spazio che è oggetto di misure sensibili (spazio relativo) ma non riusciamo a renderci conto dello spazio assoluto proprio perché esso, essendo omogeneo ed indifferenziato, non presenta, ad esempio, dei riferimenti dai quali partire per misurarlo.

    Definiti così spazio e tempo, discende facilmente la distinzione esistente tra moto assoluto e moto relativo, il primo essendo la traslazione di un corpo da luogo assoluto a luogo assoluto, il secondo da luogo relativo a luogo relativo.

    C’è subito da osservare: come mai Newton non sceglie il cielo delle stelle fisse come riferimento assoluto, e si imbarca invece in un’impresa che sarà poi oggetto di aspre critiche?

    Egli era cosciente del fatto che ogni cosa che dovesse avere caratteristiche di assolutezza, non doveva essere relazionata a cose sensibili ed anche se le stelle fisse avevano fino ad allora dato grosse garanzie Newton temeva che in futuro non fossero più in grado di darle (come del resto è poi accaduto. Nel 1718 Halley provò che le stelle ‘fisse’ sono dotate di un moto proprio ma solo dopo la morte dello stesso Newton il fatto fu comunemente accettato).

    Newton in definitiva attrezza un possente apparato che ha lo scopo di rispondere ad ogni obiezione che sorge quando si introducono principio di relatività e principio d’inerzia (o 1ª legge del moto).

    Il principio di relatività di Bruno-Galileo è da Newton così enunciato:

“I moti relativi dei corpi inclusi in un dato spazio sono identici sia che quello spazio giaccia in quiete, sia che il medesimo si muova in linea retta senza moto circolare”

e non si fa alcuna menzione di quell’equivalenza di tutti i sistemi inerziali che si muovono di moto uniforme (e rettilineo) gli uni rispetto agli altri.

    Per la 1ª legge del moto Newton fornisce invece questa definizione (1′):

“Ciascun corpo persevera nel suo stato di quiete o di moto rettilineo uniforme, eccetto che sia costretto a mutare quello stato da forze impresse”. Ebbene, in ambedue questi principi si ha a che fare con quiete e moto. Ma quiete e moto rispetto a che ? Infatti, se si studia la posizione ed il moto di un dato oggetto in un dato riferimento, nessuno ci garantisce che questo riferimento sia in quiete od in moto rettilineo uniforme (principio di relatività). D’altra parte , come si può parlare, nel principio d’inerzia, di quiete o di moto rettilineo uniforme se questo moto rettilineo può essere percepito come svolgentesi su una linea curva da un osservatore che si trova su un altro riferimento ? Poiché un moto che noi percepiamo come rettilineo può essere percepito in altro modo da un altro osservatore è allora indispensabile, per la validità del principio d’inerzia, specificare rispetto a quale riferimento il moto deve essere rettilineo.

    Chiunque dirà, a questo punto, che ciò è ovvio perché la Terra non è un sistema inerziale. E noi non ce ne accorgiamo poiché le durate e quindi le traiettorie in gioco nei nostri esperimenti sono piccole rispetto alle dimensioni dell’orbita della Terra intorno al Sole. Allo stesso modo, chi ci garantisce l’«inerzialità» di ogni altro sistema se la leghiamo solo alla nostra osservazione che, come abbiamo visto, può risultare poco accurata ?

    Inoltre, chi garantisce quella uniformità del moto, annunciata nel principio d’inerzia, se non abbiamo un criterio assoluto per valutare il modo con cui ‘passa’ il tempo? Sembra indispensabile tutto ciò per dare una validità non precaria ad ogni formulazione fisica.

    E queste cose dovevano essere ben presenti a Newton quando egli richiedeva un riferimento assoluto per la validità della legge d’inerzia, allo stesso modo in cui non accetta quello delle stelle fisse. Ed il riferimento assoluto di Newton diventa il suo spazio assoluto che tra 1’altro risulta indispensabile per la definizione di uno stato di quiete. Questo spazio assoluto, in accordo con la concezione che Newton ha della matematica, ed in particolare della geometria, non può essere altro che l’estrapolazione di quella retta che si ottiene dalla traiettoria di un oggetto in moto uniforme ed, appunto, rettilineo. E l’estrapolazione allo spazio della retta in oggetto non è altro che lo spazio euclideo che, nella legge d’inerzia come formulata da Newton, può per la prima volta uscire dall’angusta condizione terrestre e diventare lo spazio assoluto (laddove, in Galileo, non c’era identità tra spazio geometrico e spazio fisico o meglio, tra spazio euclideo e spazio fisico).

    La stessa cosa vale per il tempo poiché anche qui è in gioco un aspetto del principio d’inerzia. Se infatti le misurazioni sensibili che noi facciamo del tempo sono legati a moti non perfettamente regolari, chi ci garantisce l’uniformità del moto ?

    Tornando poi allo spazio assoluto, un’altra questione che si pone è se esiste o meno la possibilità di distinguerlo da un qualunque altro sistema inerziale.

    Nel terzo libro dei Principia, Newton afferma:

“Il centro del sistema del mondo è in quiete. Questo è accordato da tutti, sebbene alcuni discutano sul fatto se nel centro del sistema siano in quiete la Terra o il Sole”

    La conseguenza che Newton ne trae è che: “Il comune centro di gravità della Terra e del Sole e di tutti i pianeti è in quiete. Infatti il centro … o è in quiete o si muove uniformemente in linea, retta. Ma se quel centro si muove sempre, anche il centro del mondo si muoverà contro 1’ipotesi”

    Ed è così che Newton assegna una caratteristica particolare a questo spazio assoluto distinguendolo dagli altri sistemi inerziali anche se è impossibile pensare ad una qualche esperienza che accerti la pretesa immobilità del centro del mondo.

    Ma c’è un’altra argomentazione alla quale Newton fece riferimento per affermare lo spazio assoluto: la possibilità di individuare un moto assoluto avrebbe stabilito in modo incontrovertibile 1’esistenza dello spazio assoluto. Ed egli credette di riuscire in ciò pensando che fossero le forze centrifughe quelle che ci permettono di determinare un moto assoluto.

Il famoso argomento della “secchia” è così introdotto da Newton:

” Se si fa girare su se stesso un vaso appeso ad una corda, fino a che la corda a forza di essere girata non si possa quasi più piegare, e si mette poi in questo vaso dell’acqua e, dopo aver permesso all’acqua e al vaso di acquistare lo stato di riposo, si lascia che la corda si srotoli, il vaso acquisterà un moto che durerà molto a lungo; all’inizio la superficie de11’acqua contenuta nel vaso resterà piana, come era prima che la corda si srotolasse, ma in seguito, il moto del vaso comunicandosi poco a poco nell’acqua contenuta, quest’acqua comincerà a girare, a elevarsi verso i bordi ed a diventare concava, come ho esperimentato; quindi con l’aumentare del moto il livello dell’acqua crescerà sempre più fino a che, concludendosi le sue rivoluzioni, in tempi uguali ai tempi impiegati dal vaso per fare un giro completo, l’acqua sarà in riposo relativo rispetto al vaso.”

    Schematizziamo l’esperimento di Newton in tre fasi successive e quindi vediamo le conclusioni che egli ne trae (vedi Figura 0):

in (a) prima fase: quella iniziale, il secchio gira su se stesso mentre l’acqua è ferma presentando una superficie piana;

in (b) seconda fase: quella intermedia,  il secchio gira su se stesso ed anche l’acqua gira dentro il secchio presentando una superficie concava (paraboloide);

in (c) terza fase: quella finale,  il secchio è fermo mentre 1’acqua gira ancora al suo interno presentando una superficie concava (paraboloide).

Confrontando tra di loro la fase iniziale (a) e quella finale (c) si può osservare che il moto relativo del secchio e dell’acqua è rimasto immutato mentre ciò che è variato è, secondo Newton, il moto “vero” dell’acqua.

Confrontando invece la fase (b) con la (c), si può vedere che il moto relativo del secchio e dell’acqua è mutato mentre ciò che rimane inalterato è, secondo Newton, il moto ‘vero’ dell’acqua rilevato appunto dalla curvatura della superficie dell’acqua.

In definitiva il confronto tra (a) e (c) ci permette di dire che il moto rotatorio non è puramente relativo poiché insorge in (c) un effetto (la curvatura dell’acqua) non presente in (a).

Questo ragionamento è fortificato dal fatto che l’effetto di curvatura dell’acqua non è da ascriversi al moto relativo poiché dal confronto tra (b) e (c) si vede che questa curvatura rimane anche quando c’è una variazione del moto relativo.

    In conclusione la curvatura dell’acqua, dovuta all’esistenza di forze impresse (centrifughe), ci dice, secondo Newton, che questo moto dell’acqua è un moto assoluto e questo moto è assoluto in riferimento ad uno spazio assoluto.

    Su tutto questo argomentare avrà molto da ridire Mach, come vedremo nel paragrafo 6 del capitolo IVº.

    Il lavoro di Newton,nella sua prima parte, prosegue con lo studio del moto dei corpi soggetti a forze centrali ed in particolare dimostra che, se vale la terza legge di Kepler (il quadrato del periodo di rotazione di un pianeta intorno al Sole è proporzionale al cubo della distanza di tale pianeta dal Sole medesimo), le forze centrali debbono risultare inversamente proporzionali ai quadrati delle distanze.

    Questo risultato verrà ripreso nella terza parte dei Principia (1”) nella quale Newton ai occupò dell’applicazione ai pianeti delle leggi della meccanica precedentemente trovate, costruendo il suo sistema del mondo e la famosa legge di gravitazione universale.

    Questa legge dice che: due corpi di massa m ed M si attraggono reciprocamente con una forza F che è proporzionale, secondo una costante G, al prodotto delle masse dei due corpi ed inversamente proporzionale al quadrato della distanza r che, appunto, separa i due corpi. La G rappresenta la costante gravitazionale (che anni dopo sarà misurata con precisione da Cavendish).

    Fin qui quello che nella formula è scritto. Per noi è però interessante andare a vedere cosa non è scritto in questa relazione, soprattutto per quanto vedremo a proposito della teoria di campo e dei lavori di Faraday. L’azione F si esercita tra m ed, M lungo la congiungente i centri delle due masse; si tratta quindi di un’azione rettilinea. Inoltre essa è istantanea e a distanza nel senso che non si richiede tempo (che appunto nella relazione non compare direttamente) affinché due masse si accorgano l’una dell’altra (si noti che questo tipo di azione tra massa e massa senza alcun intermediario era ostica allo stesso Newton). Per spiegarci meglio, supponiamo che nell’universo vi sia una sola massa M. Ebbene, se prendiamo in considerazione una seconda massa m, in questo universo, ambedue le masse cominceranno ad attrarsi reciprocamente all’istante. Questo fatto, sul quale torneremo parlando di Faraday, comporta una conseguenza importantissima: l’esigenza di azioni istantanee implica che ci siano delle entità dotate di una velocità infinita.

    Per quanto riguarda poi il mezzo attraverso cui l’azione si propaga vi sono alcune considerazioni di Newton relative ad un presunto etere e ad un presunto vuoto che vale la pena ricordare. Secondo quuel che traspare dalla lettura dell’opera di Newton, egli appare indeciso e spesso contraddittorio nell’optare per l’etere o per il vuoto. Mentre a volte sostiene l’esistenza del vuoto (quando ad esempio ipotizza l’esisteva di atomi e quando osserva che le comete negli spazi non incontrano alcuna resistenza), altre sembra propendere per 1’etere (quando lo ipotizza nella sua teoria corpuscolare della luce per permettere la trasmissione dei corpuscoli luminosi).

    In definitiva sembra si possa dire che Newton propende per l’etere, almeno per lo spazio che interessa il nostro sistema solare, mentre non lo pensa esteso all’infinito.

    Questo etere poi deve essere una sostanza sottilissima ed elasticissima; esso non deve avere una struttura continua ma corpuscolare proprio per rendere conto della sua elasticità che altrimenti non potrebbe esistere.

    Con Newton ci fermiamo qui, anche se le cose da dire sarebbero ancora moltissime. Ma nell’economia di questo lavoro quanto fin qui detto si può ritenere sufficiente. Vedremo nei prossimi paragrafi l’accoglienza che queste elaborazioni ebbero insieme alle prime critiche che su di esse si appuntarono.

2 – LE CRITICHE ALL’OPERA DI NEWTON NELLA PRIMA METÀ DEL ‘700

    La 1ª edizione dei Principia di Newton (1687) trovò un ambiente scientifico in gran parte legato alla fisica cartesiana. Mentre alcune università, come ad esempio Cambridge, ignorarono ufficialmente i Principia per circa 30 anni, altre, come ad esempio Edimburgo, utilizzarono quasi subito questo testo per gli insegnamenti di matematica, fisica e geometria. Anche tra gli studiosi, non immediatamente legati al mondo accademico,si ebbero le medesime reazioni contrastanti, ma l’entusiasmo e l’attivismo dei sostenitori di Newton, tra cui spicca Samuel Clarke, riuscirono piano piano ad imporre incondizionatamente la fisica newtoniana in Gran Bretagna. Allo scopo contribuì certamente anche l’autorevole filosofo J. Locke (1532-1704) che nel suo Saggio sull’intelligenza umana (1690) si schiererà subito a sostegno delle teorie di Newton contro la pozione dei cartesiani (laddove, ad esempio, Locke, al contrario di Descartes, ammette lo spazio vuoto e la non identificabilità di esso con la materia). (2) Certamente più difficile fu la penetrazione nel continente dell’opera di Newton. Anche qui era la fisica cartesiana che dominava. Ed in particolare nella Francia, l’accettazione del cartesianesimo da parte dei potenti gesuiti chiudeva al diffondersi di idee nuove: ci sarebbero voluti anni prima che l’opera di Newton potesse (non dico ‘essere accettata’) ma solo essere conosciuta compiutamente. Oltre alle difficoltà che nascevano dalla preesistente accettazione della fisica, cartesiana ve ne erano delle altre di natura teologico-metafisica che riguardavano presunte posizioni atee nell’opera di Newton. Queste accuse che oltre di ateismo erano anche di ‘materialismo’ erano principalmente mosse da Leibniz e Berkeley come vedremo nel prossimo paragrafo. A queste accuse, molto insidiose soprattutto per la futura accettazione dell’opera da parte di un pubblico sempre più vasto (3), Newton rispose aggiungendo, nella seconda edizione dei Principia (1713) (4), il famoso Scolio generale. In esso Newton ha modo di far conoscere , oltre ai limiti del suo metodo di ricerca (“non invento ipotesi”) (5), le sue concezioni teologiche (6). Egli rigettò l’accusa di meccanicismo imputandola ai cartesiani che abbisognano di Dio solo al momento della creazione. Nel mondo newtoniano, invece, Dio è sempre presente come regolatore continuo dei vari fenomeni naturali (e quest’ultima affermazione valga come rifiuto dell’accusa di ateismo).

    Lungi però dal sopire le polemiche, la stesura, dello Scolio ne fece nascere delle altre soprattutto ad opera di Leibniz (7). Non è però negli scopi di questo lavoro andare a rivedere tutte queste polemiche (8) ma solo ricercare alcuni contributi utili al tema che ci siamo proposti: l’articolazione di alcuni lavori, teorici e sperimentali, fino all’affermazione della Relatività ristretta.

    Vedremo nel prossimo paragrafo alcune delle critiche all’opera di Newton.

3 – G.W. LEIBNIZ E G. BERKELEY

    La critica di Leibniz (1646 – 1716) a Newton è principalmente centrata sul concetto di ‘spazio assoluto’. (9) Dopo aver affermato che “nel mondo persiste sempre la stessa, forza e la stessa, energia, che solo passa, di materia in materia, conformemente alle leggi della natura” (9′) e che quindi, è illusorio pensare ad un Dio che interviene sempre nell’universo come un orologiaio che continuamente mette a punto il suo orologio, Leibniz passa a rigettare l’idea di uno spazio assoluto indipendente dai corpi in esso contenuti poiché sono proprio questi ultimi ad individuare, con il loro ordine, lo spazio; e quest’ultimo, lungi dall’essere assoluto, è meramente relativo, come il moto; esso non avrebbe ragione di esistere se non vi fossero corpi in un certo ordine [qui si reclama un principio alla base della filosofia di Leibniz, quello di ragion sufficiente secondo il quale “nulla avviene senza ragion sufficiente; cioè, nulla avviene senza che , chi conosce le cose, abbia possibilità di indicare una ragione che basti a determinare perché le cose siano così e non altrimenti “]. Leibniz prosegue affermando l’impossibilità di esistenza del vuoto e quindi di corpuscoli indivisibili (atomi). È ancora il principio di ragion sufficiente che lo porta a questa conclusione, poiché:

«Non v’è ragione plausibile che possa limitare la quantità di materia. Perciò tale limitazione non può aver luogo … dunque tutto è pieno. Lo stesso ragionamento prova che non v’è corpuscolo che non possa essere suddiviso ” (10),

inoltre Dio può agire solo sulla materia e quindi in nessun modo può ammettersi spazio vuoto.

    E poi, che assurdità lo spazio assoluto indipendente dalla materia ! La sua ammissione comporterebbe l’esistenza di spazio anche quando non vi fosse materia.

“Cosi la finzione di un universo materiale finito che va passeggiando tutt’ intero in uno spazio vuoto infinito non può essere ammessa … Infatti, oltre che non v’è spazio reale fuori dell’universo materiale, una tale ragione sarebbe senza scopo (11); sarebbe un lavorare senza far nulla, agendo nihil agere non si produrrebbe alcun mutamento osservabile da chicchessia.” (12) Ed “il movimento è indipendente dall’osservazione, ma non è indipendente dalla osservabilità. Non v’è movimento quando non v’è cangiamento osservabile. Anzi, quando non v’è cangiamento osservabile non c’è cangiamento affatto”. (13)

    Al di là di queste sottili disquisizioni, che mostrano Leibniz ancora legato alla tradizione aristotelica [per molti versi Leibniz sosterrà in tutta la sua opera la fisica aristotelica], è interessante andare a vedere una conclusione che Leibniz trae, molto importante soprattutto per gli sviluppi futuri (nell’800). Nel primo paragrafo abbiamo già visto, parlando della gravitazione universale, il carattere rettilineo, istantaneo e a distanza di quella azione. Un qualcosa che agisce senza intermediari. A questo proposito Leibniz afferma (14):

” È …soprannaturale che i corpi si attirino da lungi, senza alcun mezzo, e che un corpo si muova in circolo, senza deviare per la tangente, qualora niente gli impedisca di deviare così. Infatti, tali effetti non sono spiegabili mediante la natura delle cose.” (15)

    Quindi Leibniz rifiuta l’azione a distanza ed allo stesso modo le qualità occulte connesse alla gravitazione (in questo d’accordo con i cartesiani). Se è vero che l’ammissione di inesistenza di vuoto (16) suggerisce a Leibniz il rifiuto dell’azione a distanza, rimane il problema di stabilire come si possa trasmettere un’ azione da una parte all’altra dello spazio. E qui Leibniz si schiera apertamente con i cartesiani affermando che le azioni si trasmettono per contatto da ‘materia’ a ‘materia’. Ma l’unico modo per poter ammettere ciò era la conseguente ammissione dell’urto tra particelle estese e dure (come faceva Descartes) e ciò portava Leibniz in un vicolo cieco poiché richiedeva l’ammissione di atomi (e quindi di vuoto) e comunque, in accordo col meccanicismo di Huygens, di entità non compatibili con la teoria delle monadi (17) altrove sviluppata dallo stesso Leibniz . (18)

    Riguardo poi all’esperienza newtoniana della secchia ruotante e quindi al problema dello spazio assoluto e del moto assoluto in relazione a forze centrifughe, Leibniz, in un primo momento, ammette:

” Pertanto, io accordo che vi sia una differenza tra un movimento assoluto effettivo d’un corpo ed un semplice mutamento relativo di posizione, in rapporto ad un altro corpo. Infatti, quando la causa immediata del cangiamento è nel corpo, esso è effettivamente in moto; ed allora la situazione degli altri, in rapporto ad esso, è per conseguenza cambiata, benché, la causa del mutamento non risegga in quelli”. (19)

    Ed in questo senso Leibniz tentò di togliere le qualità occulte alla forza di gravità, cercando di ricondurla ad una forza centrifuga (anche ne con molti dubbi) ‘della materia eterea’ circostante. Più tardi però, dopo uno scambio di lettere con Huygens, tornò sull’argomento per affermare che:

” Newton riconosce l’equivalenza delle ipotesi nel caso dei moti rettilinei; ma per i moti circolari egli crede che lo sforzo compiuto dai corpi rotanti per allontanarsi dal centro o dall’asse del moto circolare riveli il loro moto assoluto. Io, però, ho ragioni che m’inducono a credere che niente rompa la legge generale della equivalenza” (20).

    Ed alla fine Leibniz optò, con delle motivazioni sulla natura dei corpi che non ci sono pervenute, per l’assoluta equivalenza del moto circolare e di quello rettilineo uniforme affermando che tutti i sistemi di riferimento debbono essere trattati come equivalenti. (21)

    Fin qui Leibniz in relazione alle problematiche che ci interessano. Resta solo da osservare che, paradossalmente, saranno i seguaci di Newton a dover lottare per mantenere la presenza di Dio nel mondo, contro il ‘meccanicismo’ leibniziano. (22)

    Altre critiche, per molti versi simili ma per molti di natura completamente differente, vennero rivolte ai lavori di Newton dal vescovo anglicano G. Berkeley (l685 – 1753). Anche egli muove i suoi attacchi spinto sopratutto dal timore del dilagare di materialismo ed ateismo, insiti, a suo giudizio, nel meccanicismo, a seguito della diffusione dell’opera di Newton. (22′)

    Il motivo conduttore delle speculazioni di Berkeley sarà l’ esse est percipi : una realtà non percepibile non è pensabile perché le cose esistono solo in quanto percepite. E così non ha senso parlare di infinitamente grande come di infinitamente piccolo poiché queste due entità, sfuggono ai nostri sensi. Naturalmente viene negato lo spazio assoluto [“infinto, immobile, indivisibile, insensibile, senza relazione e senza distinzione. Poiché tutti i suoi attributi sono privativi o negativi, sembra essere un puro nulla …”]; per Berkeley lo spazio è inseparabile dai corpi e dal movimento [“..non possiamo formarci un’idea dello spazio puro prescindendo dai corpi… E nella proporzione della minore o maggiore resistenza al movimento dirò che lo spazio è più o meno puro. Quando parlo di uno spazio vuoto o puro, non si può supporre che la parola spazio rappresenti un’idea distinta da corpo e movimento.” ] esso è meramente relativo [ “il moto senza spazio non si può concepire. Ma nondimeno, se guardiamo la cosa con animo attento, sarà chiaro …che quello che si concepisce è lo spazio relativo … Del resto, ogni luogo è relativo, come anche ogni moto … E poiché il moto è di sua natura relativo, esso non potette concepirsi prima che si dessero corpi in relazione tra loro … Nessun moto si può distinguere, o misurare, se non per mezzo delle cose sensibili. Quindi, poiché lo spazio assoluto in nessun modo consta ai sensi, per necessità è esso è interamente inutile per distinguere i moti.”]. Naturalmente viene negato, con analoghe argomentazioni anche il tempo assoluto [ “il tempo è una serie d’idee succedentisi l’una all’altra…. Il tempo è una sensazione, quindi è solo nella mente.”] gli atomi ed il vuoto [non sono percepibili, come del resto tutti gli altri concetti già negati].

    Portando alle sue estreme conseguenze l’esse est percipi, Berkeley arrivò a sferrare un duro attacco all’aritmetica, alla geometria e, soprattutto, all’analisi infinitesimale:

” le teorie aritmetiche, se si limitano ai numeri ed alle cifre e prescindono da ogni uso pratico e dalle cose numerate o contate, può dirsi che mancano di oggetto. Da cui vediamo che la scienza dei numeri viene interamente subordinata alle cose pratiche, e quanto vuota e triviale risulta se la si prende come materia di mera speculazione … “

” la nozione di infinita divisibilità della materia finita è l’origine di quei curiosi paradossi che così chiaramente ripugnano il senso comune e che con tanta difficoltà ammette l’intelligenza non viziata dalla disciplina dell’istruzione … Se riusciamo a far comprendere che una estensione finita non può contenere un infinito numero di parti, ossia, che non è infinitamente divisibile, avremo sbarazzato la geometria di grandi difficoltà e contraddizioni che sono state un rimprovero alla ragione umana. … “

” Anche quando alcune delle più sottili ed intricate speculazioni matematiche venissero a mancare, non vedo che pregiudizio potrebbe arrecare questo fatto al genere umano. Al contrario sarebbe molto auspicabile che gli uomini di talento privilegiato e di assidua laboriosità la smettessero di impegnare i loro pensieri in futilità di questa indole, per impegnarsi totalmente nello studio di cose più reali e di applicazione più immediata per migliorare la vita o i costumi.”

    Anche i numeri irrazionali quindi vengono negati e, con essi, i nefasti teoremi, come quello di Pitagora, che portano ad essi.

    Secondo il nostro l’uomo possiede la ragione per conoscere il mondo in modo più nobile di quello quantitativo e cioè quello qualitativo (con buona pace di Galileo e di quanti finirono sul rogo per affermare un principio di conoscenza che si affrancasse dall’aristotelismo).

    Su questa strada si arriva facilmente ad ammettere (23) che suoni, odori e sapori hanno un’esistenza reale solo nella nostra mente. Allo stesso modo per il caldo, per il freddo e per la luce. E questo per quel che riguarda quelle che, con terminologia che dovrebbe apparire vecchia, sono considerate qualità secondarie .

    Per le qualità primarie, anche se il discorso risulta a Berkeley più facile (essendo egli un convinto relativista), valgono le stesse cose: la grandezza di un oggetto è determinata dalla sua distanza dall’osservatore (24) anche se quell’ oggetto noi lo percepiamo solo per le sue qualità secondarie: colore, calore, suono, luce, … Ed allora anche le case, i fiumi, i mari, i monti non hanno un’esistenza indipendente dal loro essere percepiti ed in definitiva dal nostro spirito. Ma, esistono altri spiriti indipendenti dal nostro ? Coerenza vorrebbe che , poiché noi percepiamo solo le loro qualità secondarie, essi non avessero una esistenza oggettiva, o meglio assoluta. Invece Berkeley li ammette per sfuggire al paradosso ‘dell’intermittenza del mondo’ che esiste o meno a seconda che lo guardiamo o siamo ad occhi chiusi: la continuità dell’esistenza del mondo è garantita dalla percezione che altri ne hanno.

    Alla fine del suo argomentare, Berkeley arriva alla conclusione che a lui interessa: “Non esiste altra sostanza, fuorché lo spirito, ossia ciò che percepisce … È quindi evidente che non può esistere una sostanza che non pensi” (25) cioè la materia.

    Fin qui lo sfondo filosofico sul quale Berkeley costruisce i suoi ragionamenti, per altro molto importanti, contro lo spazio, il tempo ed il moto assoluti della fisica di Newton.

    Passiamo ora ad esaminare quanto Berkeley afferma in proposito: (26)

“Le cose più semplici del mondo, quelle che conosciamo più intimamente e perfettamente, appaiono straordinariamente difficili ed incomprensibili quando vengono considerate in modo astratto” (27) e cosi è per il tempo, lo spazio, il moto. “Per conto mio, tutte le volte che tento di formare un’idea semplice del tempo astratto dalla successione d’idee nella mia mente, di un tempo che scorrerebbe uniformemente ed al quale parteciperebbero tutti gli esseri, mi perdo e mi involgo in difficoltà inestricabili. Io non ho nessuna nozione di esso …” (27) E cosi il tempo, che noi percepiamo intuitivamente dal succederai di idee nella nostra mente, quando lo si fa diventare tempo assoluto, che scorre, appunto, uniformemente ed allo stesso modo per tutti, non si riesce più a comprendere.

    Andando avanti nelle sue speculazioni, Berkeley si sofferma sulla troppa importanza che siamo portati a dare all’ «analogia». Molto spesso l’uso di analogie può portarci a degli errori come, secondo Berkeley, nel caso della gravitazione (da lui ritenuta una qualità occulta):

“Nella questione della gravitazione o attrazione reciproca, siccome essa appare in molti casi, alcuni sono proclivi a dirla senz’altro universale… È invece evidente che le stelle fisse non hanno nessuna tendenza di questo genere le une verso le altre, e la gravitazione è tanto lontana dall’essere essenziale ai corpi che in certi casi sembra manifestarsi un principio decisamente contrario come nel crescere perpendicolare delle piante e nella elasticità dell’aria. Non c’è nulla di necessario o di essenziale in questo fenomeno, che dipende invece interamente dalla volontà dello spirito governatore, che fa si che certi corpi aderiscano gli uni agli altri o tendano gli uni verso gli altri in conformità a varie leggi, mentre ne tiene altri a distanza fissa e dà ad alcuni la tendenza del tutto opposta a separarsi violentemente gli uni dagli altri …» (28).

    Quindi nessuna regola ma capricci dello “spirito governatore”. La percezione della distanza relativa costante fra le stelle gioca brutti scherzi al nostro, il quale, per altro, cade in un errore analogo a quello che vuol combattere quando mette in un unico calderone gravitazione universale, crescita delle piante ed elasticità dell’aria.. Ed in ogni caso, volendo far ricorso alla logica, che pare tanto cara a Berkeley, sarebbe stato più conseguente ammettere la gravitazione in determinati fenomeni e sospendere il giudizio su altri (a meno di non avere un’altra ipotesi di lavoro da formulare – cosa che, evidentemente, non rientrava nei metodi di lavoro di Berkeley). (29)

    E veniamo ora al moto assoluto sul quale Berkeley si dilunga di più e ci fornisce interessanti argomenti di discussione in gran parte ripresi alla fine dell’ 800, da Mach. Si tratta qui di ridiscutere, a partire da qualche premessa , l’esperimento della secchia di Newton che, appunto, aveva fornito a quest’ultimo argomenti per affermare l’esistenza del moto assoluto. Dice Berkeley:

” Ma nonostante [la spiegazione che Newton dà del moto assoluto], devo confessare che non mi sembra, che ci possa essere altro moto che quello relativo: cosicché per concepire il movimento devono venir concepiti almeno due corpi che variano di distanza o posizione l’uno rispetto all’altro. Quindi, se non esistesse altro che un corpo, esso non potrebbe venir mosso. Questo mi sembra evidentissimo perché l’idea che ho di movimento coinvolge necessariamente una relazione”. (30)

    Quindi Berkeley afferma l’impossibilità di esistenza di moto assoluto il quale, nel caso in qualche luogo si realizzasse, dovrebbe venir percepito in sé, senza alcuna relazione con qualsiasi altra cosa. Ma, osserva Berkeley, se si ha l’impossibilità di porre in relazione un corpo che si muove con qualcosa d’altro (rispetto a cui considerare il movimento) è meramente illusorio pensare di parlare non solo di moto assoluto, ma anche di moto. Se, in definitiva, nell’universo esistesse un solo corpo, di esso non si potrebbe in alcun modo dire che è fermo o in moto, poiché, non abbiamo nulla rispetto a cui riferire il movimento. Questa argomentazione, senza dubbio molto sottile, deve essere molto cara a Berkeley perché egli vi ritorna ancora:

” Se supponiamo che tutti gli altri corpi fossero annientati ed esistesse soltanto un globo, in esso non potrebbe venir pensato alcun movimento; perché è necessario un altro corpo rispetto alla posizione del quale il movimento deve essere determinato. La verità di questa opinione diverrà estremamente chiara se porteremo a compimento il supposto annientamento di tutti i corpi, i nostri e quelli degli altri, eccetto il globo solitario.” (31)

    E fin qui niente di nuovo rispetto a quanto visto prima, ma ora Berkeley aggiunge dell’altro:

” Si considerino poi come esistenti due globi e null ‘altro al di fuori di essi. Si pensino quindi le forze applicate in un qualche modo; qualunque cosa si possa pensare, non potremo concepre con l’immaginazione un moto circolare dei due globi intorno ad un centro comune. Si supponga infine che il cielo delle stelle fisse sia creato: immediatamente dal concetto di avvicinamento dei globi alle differenti parti del cielo scaturirà il concetto di movimento.” (31)

    Quindi, se si hanno a disposizione due corpi, è assurdo pensare di poter riconoscere un movimento di questa coppia intorno al proprio centro di massa. Con questa argomentazione Berkeley estende quanto visto prima per i moti rettilinei anche ai moti circolari: è sempre un riferimento, rispetto al quale si vedono mutare le distanze relative dei due corpi in rotazione intorno al proprio centro di massa, che ci permette di percepire il moto. E questo riferimento è per Berkeley il cielo della stelle fisse. Abbiamo già visto che questo problema si era posto anche a Newton (32) ed egli aveva optato per lo spazio assoluto, anziché per le stelle fisse, per non affidare la sua meccanica a qualcosa di provvisorio che, un giorno, come per la Terra in moto intorno al Sole, si sarebbe potuto manifestare non fisso. (33) Tenendo comunque conto del dato incontrovertibile della necessità di un riferimento per percepire il moto, non è che la meccanica newtoniana perda di significato, infatti, riguardo al principio d’inerzia, come lo stesso Berkeley ammette, se invece di riferire la prosecuzione del moto allo ” spazio assoluto, noi lo commisuriamo alla posizione del corpo rispetto al cielo delle stelle fisse” (34) esso non cessa di valere.

    E quindi Berkeley, con argomentazioni molto stringenti, passa dal moto rettilineo al moto circolare, arrivando infine a negare ogni peculiarità a quest’ultimo, affermando che:

“… il moto del sasso in una fionda o quello dell’acqua in un secchio in veloce rotazione non può propriamente essere considerato un moto circolare … da coloro che definirono [il moto] ricorrendo allo spazio assoluto … ” (35)

    Ed ecco che siamo arrivati al nocciolo della questione cioè all’esperienza della secchia di Newton. (36) In proposito Berkeley dapprima anticipa che:

“Se esploriamo a fondo le nostre concezioni credo che troveremo che ogni moto assoluto di cui possiamo formarci un’idea, non è in fondo altro che un moto relativo [riferito al cielo delle stelle fisse] …Infatti, come ha già detto, un movimento assoluto che escluda ogni relazione esterna è incomprensibile; e se non mi sbaglio, si troverà che con questa specie di moto relativo si accordano tutte le proprietà, le cause e gli effetti che vengono attribuiti al moto assoluto… “(37)

e quindi, entrando in argomento, afferma:

” Quanto a ciò che si dice della forza centrifuga, che essa non appartenga affatto ai moti circolari relativi, io non vedo come questo consegua dall’esperimento che si porta in campo [nei Principia] per dimostrarlo … L’acqua nel vaso, al momento in cui si dice che abbia il massimo moto circolare e relativo, non ha, penso, nessun movimento …” (37)

    E qui Berkeley arriva a spiegare perché l’acqua della secchia di Newton, al momento in cui ha la massima curvatura (dovuta al massimo di moto circolare relativo), non ha in realtà nessun movimento:

” Infatti, per dire che un corpo ‘è in movimento’, si richiede in primo luogo (38) che esso cambi la sua distanza o posizione rispetto a qualche altro corpo; in secondo luogo (38) che ad esso venga impressa una forza che produce questo cambiamento. Se manca l’una o l’altra di queste condizioni, non credo che si possa dire che un corpo è in movimento … ” (39)

    E queste affermazioni hanno un qualche interesse poiché, secondo Berkeley, per percepire un moto non basta solo osservare un cambiamento relativo di posizione ma occorre che vi sia una qualche forza impressa al corpo che si muove. Egli, più oltre, ammette però che è possibile che la nostra mente creda che un corpo si muove solo perché lo vediamo cambiare posizione rispetto ad un altro; ma questo avviene per il fatto che nel vedere il supposto moto immaginiamo che ci sia stata una qualche forza che ha originato quel movimento. E questo fatto, secondo Berkeley, prova non già la realtà del supposto moto (che egli chiama apparente), ma l’erroneità del nostro vedere e spiegare la situazione.

    Allo stesso modo, prosegue Berkeley più oltre (riprendendo un argomento a lui caro), se immaginiamo un solo oggetto esistente potrei convincermi del suo essere in moto, anche se non posso rilevare cambiamenti di posizione rispetto ad alcunché (40) solo se, quelli che vogliono convincermi di questo moto “intendono soltanto dire che questo corpo unico può avere una forza impressa che produrrebbe un movimento di una certa forza ed in una certa direzione non appena fossero creati altri corpi.” (41) Ed in definitiva, comunque si guardi la questione, per avere moto servono contemporaneamente le due condizioni viste prima: cambiamento di distanza relativa e forza impressa. (42)

    Quanto Berkeley sostiene si può ben riassumere con D’Agostino: (43)

” Newton: Se il sistema ruota (A) rispetto allo spazio assoluto (B) vi sono forze insite (C).

Berkeley: Affinché l’argomento abbia consistenza logica l’affermazione (A) deve essere indipendente da (C). L’affermazione (A) non può essere indipendente da (C), se vi sono soltanto il secchio e l’acqua. In tale caso, cioè della sola esistenza del secchio e dell’acqua, non si può dire se ruota il secchio o ruota l’ acqua, perché qualsiasi moto è sempre relativo a qualche altro corpo. L’argomento newtoniano è allora inconcludente.”

E questa inconcludenza nasce dal fatto che l’argomento newtoniano non è altro che “una petizione di principio; si deve postulare lo spazio assoluto prima di mostrare che la rotazione avviene rispetto allo spazio assoluto. “(44)

    Ed allora Berkeley può facilmente concludere:

“Da ciò che si è detto consegue che la concezione scientifica del movimento non implica l’esistenza di uno spazio assoluto, diverso da quello che viene percepito col senso e riferito ai corpi.” (45)

    Del resto anche altre considerazioni relative all’ ‘esse est percipi‘ portavano Berkeley a negare un tale spazio. Ed infatti egli cosi prosegue:

“Che un tale spazio non possa esistere senza la mente è chiaro per gli stessi principi che dimostrano la stessa cosa per tutti gli altri oggetti del senso.” (45)

    Ed in altra parte:

“Riguardo allo spazio assoluto, questo fantasma dei filosofi meccanici e geometri, basta osservare che non è né percepito dai sensi, né dimostrato dalla ragione.” (46)

    E con ciò si può ritenere conclusa la parte centrale delle critiche, come si vede molto importanti, che Berkeley. rivolge alla fisica newtoniana. Certo egli avrà da criticare anche altri concetti discussi e trattati da Newton, come quelli di gravità (già ricordato) e forza [dirà Berkeley: “la forza … è una qualità occulta”. E più avanti: ” Bisogna confessare che nessuna forza è sentita per sé immediatamente, né si conosce e si misura altrimenti che per il suo effetto…”. Ed infine: “In realtà non c’è altro agente o causa efficiente oltre lo spirito…”], ma entrare in dettagli su queste questioni esula dai nostri scopi.

    Rimane solo da dire che, nonostante gli attacchi molto duri che Berkeley gli porta, egli stesso riconoscerà che la teoria di Newton conduce a dei risultati corretti (47) (che sono poi quelli dimostrati mediante esperimenti) anche se sono completamente false “le ipotesi matematiche” (spazio assoluto, tempo assoluto, moto assoluto, forza, gravità, … ) da cui sono stati ricavati o che ne discendono come supposta conseguenza; comunque, queste “ipotesi” possono venire usate quando sono utili ai fini del ragionamento o per il calcolo dei moti (forza, gravità), ma debbono venire decisamente respinte quando, oltre a tutto quello che è stato detto, sono per di più inutili (lo spazio assoluto che può essere sostituito dalle stelle fisse). (48)

    Con quanto abbiamo detto su Leibniz e Berkeley ci siamo soffermati sulla parte più consistente delle critiche che furono rivolte all’opera di Newton, immediatamente dopo il suo apparire. Sullo sviluppo ulteriore della critica a Newton ci occuperemo più oltre; ora resta da osservare che l’ insieme di queste critiche, anche se molto spesso avevano una notevole consistenza, erano mosse principalmente , come abbiamo già. detto, per combattere il supposto materialismo insito, secondo i suoi detrattori, nel meccanicismo newtoniano. Quello che Newton (o chi per lui) farà, sarà di rispondere alle accuse di materialismo (senza entrare in troppi dettagli sui contenuti specifici) essenzialmente rigettandole e considerando gli argomenti di Leibniz e Berkeley alla stessa stregua di quelli portati dai cartesiani. Secondo i sostenitori di Newton il meccanicismo è di Descartes (o di Huygens) e le ipotesi non sono inventate dal loro maestro ma da chi si ostina a parlare di vortici (per altro non funzionanti, come fu mostrato dallo stesso Newton), a negare il vuoto, a parlare di materia eh. riempirebbe tutto lo spazio (materia infinita), ad ammettere la materia come necessaria (il mondo esiste là dove c’è materia). Questo si che è meccanicismo, questo si che è materialismo che porta direttamente all’ateismo; sono i meccanicisti come Descartes, Huygens, Leibniz e Berkeley che vogliono l’universo autosufficiente escludendone Dio. (49)

    Ho voluto, prima di passare ad altro argomento, portare un barlume dell’enorme controversia di carattere metafisico che vi fu, per far intendere, seppur lontanamente, quali erano i contendenti.

    Essenzialmente tre scuole lottavano per affermare le loro teorie: quella cartesiana, quella newtoniana e quella leibniziana e, come afferma Elkanà: “Tutte e tre lasciarono un marchio indelebile sugli sviluppi della scienza nell’Ottocento ed anche nel Novecento; ciascuna di esse ebbe a volte il sopravvento nei lunghi dialoghi critici intercorsi tra loro. Il newtonianesimo è il paradigma del successo espresso in risultati scientifici positivi. L’atteggiamento positivistico non trovò un posto nella storia della scienza né ai cartesiani né ai leibniziani. L’antitesi tra ‘newtoniani’ ed ‘antinewtoniani’ corrisponde perciò, sufficientemente alla realtà solo se giudichiamo lo svilippo della scienza presupponendo che essa cresca per accumulazione. Se consideriamo invece lo sviluppo della conoscenza come il risultato di un dialogo tra programmi di ricerca in concorrenza fra loro, dobbiamo pensare tenendo conto almeno delle tre tradizioni menzionate sopra.” (50)

NOTE

(0) Non ci soffermeremo in questa sede sui fondamentali contributi di Galileo. Tali contributi sono stati ampiamente discussi nel 1º volume sulla Relatività (quella classica, da Aristotele a Newton).

(1) Occorre notare che le ‘Regulae philosophandi‘ sono inserite all’inizio della terza parte dei Principia, anche se informano l’intera opera di Newton. Allo stesso modo, il ruolo delle ipotesi è discusso dal NoStro nello “Scolio generale”, aggiunto come epilogo al suo lavoro nella seconda edizione di esso (per rispondere, come vedremo, alle accuse di ateismo che da più parti gli venivano mosse).

C’è infine da notare che la sperimentazione meccanica di Newton, al contrario di quella ottica, fu molto limitata. Egli coordinò mirabilmente, generalizzando ed assiomatizzando, leggi già conosciute in casi particolari.

Ricordo che varie cose qui sostenute sono state da me già scritte nell’altro mio lavoro sulla Relatività (cui già ho accennato) riportato in Bibl. 3.

Da ultimo, tutte le citazioni riportate in questo paragrafo e senza diversa specificazione sono tratte dall’Opera di Newton (si veda Bibl. 4).

(1′) Le altre leggi del moto enunciate da Newton sono le seguenti:

II) Il cambiamento di moto è proporzionale alla forza motrice impressa, ed avviene lungo la linea retta secondo la quale la forza è stata, impressa.

IlI) Ad ogni azione corrisponde una reazione uguale e contraria: ossia, le azioni di due corpi sono sempre uguali fra loro e dirette verso parti opposte.

Come corollario di questa terza legge Newton enuncia, tra l’altro, la conservazione della quantità di moto:

La quantità di moto ottenuta prendendo la somma dei moti diretti in parti opposte, non viene mutata dall’azione dei corpi fra loro.

Occorre notare che questa conservazione è affermata e per urti elastici che anelastici e mostrata sperimentalmente mediante urto di pendoli

(1″) Nella seconda parte dei Principia, Newton si occuperà di meccanica dei fluidi e di acustica. Riguardo a quest’ultimo argomento, va notato che egli riuscì a ricondurre l’acustica ad un capitolo della meccanica.

(2) Vedi Bibl.1, pag. 178-204 e Bibl. 2, pag. 85-93. Locke sarà uno dei filosofi empiristi che avranno un notevole peso nella diffusione dell’opera di Newton. Entusiasmato dall’Optics, Locke affermò che chi ricerca la verità “non sosterrà mai una teoria con baldanza maggiore di quella che è consentita dal valore delle prove su cui essa si fonda”. (Bibl. 7, Vol.IV, pag. 105).

(3) Si ricordi che la Chiesa, sia essa Cattolica che Protestante, aveva ancora un enorme potere alla fine del ‘600 ed agli inizi del ‘700.

(4) La terza edizione si ebbe nel 1726. La prima edizione, in inglese uscì nel 1729, mentre la prima edizione in francese si ebbe nel 1759.

(5) Si riveda il paragrafo 1.

(6) Lo ‘Scolio’ si apre con un attacco alla teoria cartesiana dei vortici “che è soggetta a molte difficoltà”. Indi, riconosciute certe regolarità nei moti planetari, Newton dice che “tutti questi moti regolari non hanno origine da cause meccaniche …[ma, che] … non poterono nascere senza il disegno di un ente intelligente e potente … che regge tutte le cose non come anima del mondo, ma come signore dell’universo … Dio è il sommo ente eterno, infinito, assolutamente perfetto … Non è l’eternità o l’infinità, ma è eterno ed infinito; non è la durata e lo spazio, ma dura ed è presente … In esso gli universi sono tenuti e mossi, ma senza nessun mutuo perturbamento. Dio non patisce nulla a causa dei moti dei corpi: questi non trovano alcuna resistenza a causa dell’onnipresenza di Dio” (Bibl. 4, pagg. 792-794).

(7) La polemica con Leibniz fu portata avanti per tre anni (fino a che la morte di Leibniz non pose termine ad essa) ad opera di Samuel Clarke, amico e discepolo di Newton.

(8) Per la polemica Leibniz-Clarke si veda, ad esempio, bibl. 5, pagg. 178-205. Per conoscere invece quali sono le posizioni di Clarke su moto spazio e luogo, si può leggere la prefazione, fatta da Clarke, al “System of natural Philosophy” di Rohault, riportata nell’ appendice M del lavoro di Koyrè, “Studi newtoniani”, Einaudi (pagg. 218-221).

(9) Innanzi tutto occorre osservare che tutte le citazioni di Leibniz che saranno riportate provengono o da articoli apparsi sugli “Acta Eruditorum” o da lettere della sua ponderosa corrispondenza; non vi è infatti un’opera di Leihniz che, da sola, riporti compiutamente le speculazioni di Leibniz su Questioni di «filosofia naturale». Vi sono naturalmente delle eccezioni che di volta in volta saranno citate. Mentre lo spazio assoluto è oggetto di dura critica da parte di Leibniz, non altrettanto avviene per il tempo assoluto; quest’ultimo concetto sembra, infatti, venir accettato da Leibniz. Egli afferma [nel suo “Nuovo saggio sull’intelligenza umana “, scritto in polemica con Locke nel 1704 e pubblicato postumo nel 1765 poiché nel frattempo (1704) Locke era morto] che:

“… il tempo è un continuo uniforme e semplice, come una linea retta. La modificazione delle percezioni ci fornisce l’opportunità di pensare al tempo e, mediante moti periodici, lo possiamo misurare: ma anche se in natura non vi fosse niente di periodico, non per questo il tempo cesserebbe di essere determinato … “.

Criticata invece sarà la nozione di forza “che è assai intelleggibile anche se appartiene al dominio della metafisica” (“Nuovo sistema della natura”, articolo pubblicato nel 1695 sul ‘Journal des Savants‘).

(9′) Vedi bibl. 5, pag. 170. Si osservi che, per Leibniz, nei fenomeni naturali si conserva il prodotto della massa per la sua velocità elevata al quadrato (forza viva, che oggi chiamiamo energia cinetica). Ciò in contrasto, da una parte con la scuola cartesiana per la quale si conservava il prodotto della massa per la velocità (quantità di moto) e, dall’altra, con la fisica newtoniana che faceva a meno di ogni principio di conservazione enfatizzando soprattutto il concetto di forza (bibl. 8, pagg. 18-22).

La critica alla meccanica di Descartes si fece in Leibniz via via più dura. a partire dal 1686 quando, lavorando come organizzatore della miniera di Harz, si rese conto ‘sperimentalmente’ della fallacia di quella meccanica.

Gli argomenti contro la meccanica cartesiana ed a sostegno della conservazione della forza viva sono discussi da Leibniz nel suo “Discorso di metafisica” del 1686 che fu pubblicato postumo intorno al 1850 , al paragrafo 17.

Più in generale riguardo alla disputa tra cartesiani e leibniziani (si conserva forza viva o quantità di moto ?) si osservi che, data una diversa ipotesi iniziale, avevano ragione entrambi. Infatti, come osserva Jammer (bibl. 6, pagg.177-178; ma si veda anche bibl. 7, Vol. III, pagg: 407-408), “per confrontare due forze f ed F, sostenevano i cartesiani, le si doveva far agire per un intervallo dato di tempo, t; il rapporto tra queste due forze è allora dato da:

f/F = ma/MA = mat/MAT = mv/MV

e dunque le forze sono proporzionali alle corrispondenti quantità di moto. I leibnziani sostenevano invece che si dovevano far agire le forze su una data distanza, s. Poiché, secondo Galileo:

v² = 2as

e

V² = 2AS,

il loro rapporto diventa il seguente:

f/F = ma/MA = mas/MAS = ½mv²/½MV² = mv²/MV²

e dunque le forze sono proporzionali alle loro corrispondenti ‘vires vivae‘. È chiaro che l’approccio cartesiano fornisce una misura corretta nel caso di forze agenti per tempi uguali, mentre la ‘vis viva‘ di Leibniz costituisce una misura corretta per forze agenti su distanze uguali”.

(10) Vedi bibl. 5, pag. 190. Si osservi che in questa affermazione Leibniz è in completo accordo con Descartes.

(11) Ancora il principio di ragion sufficiente.

(12) Ibidem, pag. 197.

(13) Ibidem, pag. 198.

(14) Vedi bibl. 5, pag. 192.

(15) Su questo tema Leibniz ebbe anche una polemica con Locke, il quale modificò un brano del suo “Saggio” nella sua edizione francese, passando dal sostegno all’azione a distanza al dubbio della sua possibile esistenza.

(16) All’epoca di Leibniz già funzionavano le macchine pneumatiche; ma per il nostro quei vuoti sono semplicemente vuoti di materia sensibile ma non vuoti assoluti, tant’è vero che quel vuoto contiene sia i raggi di luce sia le emanazioni magnetiche.

(17) Per Leibniz l’Universo è costituito da un certo numero di unità individuali (monadi), assimilabili a punti matematici dotati di forza che non esercitano alcuna influenza fisica le une sulle altre. Il rifiuto degli atomi nasceva in Leibniz per un motivo euristico-metafisico legato alla sua, supposta, ‘armonia dell’universo’. Nel caso di atomi concepiti come particelle dure ed estese, in un urto vi sarebbe stata una discontinuità nella variazione della quantità di moto, cosa che egli non era disposto ad accettare.

(18) Per uscire dal vicolo cieco occorrerà attendere l’opera di G. R. Boscovich che prenderà le mosse proprio dalla questione qui sollevata. Per ulteriori dettagli sulla questione si può vedere Bibl. 9, pagg. 190-193; Bibl. 6, pagg. 183-191; Bibl. 13, pagg. 56-61.

(19) Bibl. 10, pag. 104.

(20) Ibidem, pag. 106.

(21) Ibidem, pagg. 107-108.

(22) Vedi Bibl. 5, pag. 205. Si osservi che Leibniz si era scagliato più volte contro il materialismo insito nel meccanicismo newtoniano affermando che “i nostri filosofi moderni sono troppo materialisti” poiché usano la loro intelligenza e saggezza non già per far progredire la loro opera ma solo per studiare la figura ed i movimenti della materia. Anche se poi questi filosofi tentano di rispondere che “in Fisica non si domanda affatto perché le cose sono, ma come esse sono”, occorre loro rispondere che in realtà “si domanda l’una e l’altra cosa”. “Sovente infatti il fine e l’uso aiutano ad individuare il come, poiché conoscendo il fine si può meglio giudicare dei mezzi” (Bibl. 11, pagg. 275-276). In quest’ultima affermazione di Leibniz, pare scorgere una critica a quella che Newon aveva fatto nei Principia sul fatto che i filosofi naturali debbono occuparsi dei come e non dei perché. Allo scopo si veda Bibl. 3, pag. 111 ed in particolare la nota 130 bis.

(22′) Halley, amico di Newton, applicò l’idea della gravitazione alla cometa che porta il suo nome, ipotizzando che essa fosse già passata varie volte vicino alla Terra. In uno dei suoi passaggi precedenti, sempre secondo Halley, questa cometa avrebbe sollevato la gigantesca marea responsabile del diluvio biblico.

(23) Come Berkeley fa nei “Tre dialoghi tra Hylas e Philonous” (1713) in cui, in definitiva, il nostro va a ricercare cosa possa essere considerato reale arrivando alla conclusione che reale è solo ciò che da noi è percepito con costanza, uniformità e regolarità (in definitiva lo spirito e non la materia, che ci si presenta in vari modi distinti).

(24) A proposito di questa affermazione di Berkeley, vorrei notare che l’ho utilizzata nel capitolo 1° del mio altro lavoro sulla Relatività classica (Bibl. 3, pagg. 8-9). Osservo poi che alcune delle esemplificazioni riportate sono riprese da. bibl. 7, Vol. 4, pagg. 294-290.

(25) Bibl. 12, pagg. 87-88. A rigor di logica, nonostante l’ importanza, di molte osservazioni di Berkeley, il discorso si poteva concludere anche con l’ammissione di esistenza di materia al di fuori della fallacia delle nostre percezioni (o, viceversa, dell’inesistenza dell’io o dello spirito assieme a quella della materia) e questa sarebbe stata la cosa più corretta dal punto di vista, appunto, logico. Leibniz, che di logica si intendeva, qualche tempo prima di morire, ebbe a dire di Berkeley: “Sospetto che voglia diventare famoso per i suoi paradossi”.

Si osservi che Hume (1711-1766), prendendo le mosse da. alcune premesse di Berkeley, arriverà ad estromettere l’io (o lo spirito) dal campo della psicologia con gli stessi argomenti usati da Berkeley per estromettere la materia dalla fisica.Tra l’altro Hume, che per molti versi influenzerà e i neopositivisti e Einstein, occupandosi della percezione dello spazio e del tempo, afferma: “Come l’idea di spazio la riceviamo dalla disposizione degli oggetti visibili e tangibili , cosi dal succedersi delle idee e delle impressioni ci formiamo l’idea di tempo, la quale, senza di esse, non fa mai la sua apparizione nella mente, né sarebbe da questa avvertita.[Infatti] se fate roteare rapidamente un carbone ardente, si presenterà al senso l’immagine di un cerchio di fuoco, senza nessun intervallo di tempo nei suoi giri, e ciò perché alle nostre percezioni non è consentito susseguirsi con la stessa rapidità con cui il movimento può essere comunicato agli oggetti esterni. Dove non vi sono percezioni successive, quand’anche vi sia una successione reale negli oggetti, non può esserci nozione del tempo …possiamo quindi concludere che il tempo non può presentarsi alla mente né da solo, né accompagnato da un oggetto immobile e costante, ma si rivela sempre con una ‘percepibile’ successione di oggetti mutevoli” (Bibl. 1, pagg. 227-228).

Hume fu anche il primo ad occuparsi del problema della causalità (“cause ed effetti si possono scoprire non per mezzo della ragione, ma per mezzo dell’esperienza”) schierandosi con l’empirismo di Bacon e di Newton (egli, nelle sue speculazioni, applicò spesso il ‘non invento ipotesi’ di Newton).

(26) Nelle opere: “Trattato sui principi della conoscenza umana” (l710), “De motu” (1721 ), “Siris” (1744), dalle quali sono tratte anche le precedenti citazioni senza indicazione bibliografica.

(27) Bibl. 1, pag. 205.

(28) Ibidem, pag. 208.

(29) Riguardo alla crescita delle piante si può facilmente osservare che la pianta gravita, verso la Terra (così come la Terra gravita verso la pianta) e se si dovesse spingere l’indagine al perché la pianta che gravita verso terra si innalza con il suo fusto, si può facilmente rispondere che la ‘forza d’innalzamento’ supera la forza gravitazionale. Volendo seguire Berkeley nel suo argomentare non si dovrebbe ammettere la crescita di un uomo, la possibilità di lanciare un sasso in alto ed in definitiva non dovrebbe esistere l’universo così come lo vediamo, ma solo nella forma di una gigantesca palla originata appunto dalla gravitazione di ogni oggetto su ogni altro oggetto.

Riguardo poi all’elasticità dell’aria, la sospensione del giudizio sarebbe stata per Berkeley più proficua visto che, nello spirito della fisica newtoniana, si trattava, di proseguire l’indagine e di scoprire che oltre alle forze gravitazionali si debbono considerare forze di altra natura (elettriche, nucleari, …) che diventano via via preponderanti al variare dei parametri in gioco (dimensioni, distanza, …). Ma tant’è, ogni buon metafisico tende sempre ad imputare agli altri il proprio vizio incorreggibile.

Notiamo, da ultimo, che Berkeley sostiene anche che “solo l’illuminazione divina può darci il concetto di legge scientifica” (Alciphron, 1732) e che “sembra indegno della mente umana fare sfoggio di pignoleria riducendo ogni fenomeno particolare a regole generali o mostrando come questo derivi da esse (Bibl. 16, Vol. 2, pag. 303).

(30) Bibl. 1, pagg, 212-213.

(31) Bibl. 10, pag. 196. È evidentemente un problema di riferimento quello che Berkeley va discutendo: si osservi che il nostro non assegna alcun privilegio alla Terra come sistema di riferimento.

(32) Si riveda il paragrafo 1 e Bibl. 3, pag. 118.

(33) Come poi e come già detto fu dimostrato da Halley (1718).

(34) Bibl. 7, Vol. IIIº, pag. 345.

(35) Bibl. 14, pag. 289.

(36) Vedi il paragrafo 1.

(37) Bibl. 1, pag. 214.

(38) II corsivo è mio.

(39) Bibl. 1, pagg. 214-215.

(40) Per Newton sarebbe stato lo spazio assoluto.

(41) Bibl. 1, pag. 215.

(42) Invece, secondo Newton, la forza centrifuga che si ha nell’ esperimento della secchia nasce come conseguenza del moto circolare assoluto risultando una forza insita e non impressa.

(43) Bibl. 15, pag. 6 (del fascicolo: “Il contesto della scienza newtoniana”). Si osservi che Berkeley limita la sua analisi alla percezione del moto ed alla sua comprensibilità. È completamente estraneo al suo argomentare l’andare ad indagare il carattere dinamico del moto stesso (per questo fatto bisognerà attendere l’opera di Mach).

(44) Ibidem.

(45) Bibl.1, pag. 216. Per Berkeley, quindi, lo spazio è la mera percezione dell’estensione. Esso è un’idea astratta della generalizzazione che la nostra mente fa dell’estensione ricavata dalla percezione degli oggetti.

(46) Bibl. 14, pag. 288.

(47) Ibidem, pag. 290. Si tenga conto che anche le critiche all’analisi infinitesimale servirono da stimolo ad una più accurata definizione dei vari concetti. Questa operazione fu iniziata da Mac Laurin.

(48) Ibidem, pag. 292.

(49) Invece Newton, in alcune Questioni poste nell’Appendice dell’ “Optics“, per dare una spiegazione della gravitazione avanzò l’ipotesi che Dio rifornisse continuamente l’universo di movimento. In qualunque parte si fosse verificata una irregolarità, la sua continua onnipresenza l’avrebbe sistemata. In definitiva Dio operava costantemente nel mondo.

(50) Bibl. 8, pagg. 21-22. Per un discorso più approfondito, dove si analizzano i motivi di contrasto tra leibniziani, cartesiani e newtoniani, si può vedere, dello stesso autore (Elkanà), Bibl. 51, II, pagg. 31-44.

CAPITOLO II

1 – IL MECCANICISMO NELLA SECONDA META’ DEL ‘700

    I primi anni del ‘700, abbiamo già detto, videro un’aspra lotta negli ambienti scientifico-filosofici per l’affermazione di un programma di ricerca su di un altro. Questa lotta si accompagnava ad un’altra lotta, ancora più dura, che ormai da anni si portava avanti per la gestione del potere politico-economico da parte della nuova classe emergente: la borghesia. Il cambiamento del modo di produzione (dall’economia feudale a quella capitalistica) che si era avuto nel secolo precedente, insieme alla rivoluzione agricola della metà del ‘700, soprattutto in Gran Bretagna, nella Francia settentrionale e nei Paesi Bassi, aveva comportato l’affermarsi della nuova classe che disponeva ora di ingenti capitali (52). La produzione di molte merci e la conseguente necessità di maggiori scambi rendeva la borghesia insofferente ai condizionamenti del potere politico ed alle chiusure doganali. Si richiedeva un cambiamento radicale di indirizzo politico, la rottura di vecchi schemi, che vedevano ancora i proprietari terrieri (la nobiltà sostenuta dal clero ed il clero medesimo) come detentori del potere, il passaggio dalle chiusure nazionali al liberalismo economico (53). In campo nazionale occorreva creare nuovi bisogni, in campo internazionale occorreva aprirsi nuovi mercati di sbocco (colonialismo). Queste aspirazioni si erano realizzate in Gran Bretagna già dalla seconda metà del secolo precedente ed in modo abbastanza indolore. La rivoluzione borghese (54) era stata pacifica in quel paese, la monarchia non aveva più il potere assoluto, un regime parlamentare, dominato dall’alta borghesia (banchieri, industriali, compagnie coloniali, …), si era sostituito ad essa nel governo dello stato.

    La Francia invece restava dominata da una monarchia assoluta (sostenuta saldamente dal clero) ed era dilaniata ed impoverita da continue guerre. In questo paese i contrasti tra i detentori del potere e la borghesia si accentuarono per tutto il secolo fino a sfociare nella Rivoluzione del 1789.

    E la scienza non era immune dalle influenze di questa situazione. Durante la prima metà del secolo vi fu un notevole calo di sforzi e di interesse nella scienza pura ed applicata; questo periodo, al confronto con quelli immediatamente precedente e seguente, risultò particolarmente sterile. Fu proprio la ripresa della borghesia, dopo la stasi che si ebbe agli inizi del ‘700 in seguito a grossi crolli economici e successive risistemazioni sia in campo agricolo che industriale, che ridette, a partire dalla metà del secolo, nuovo slancio alla ricerca scientifica. Nel periodo che va dalla fine del ‘600 alla metà del ‘700, la scienza visse di rendita, organizzando, sistemando ed elaborando quanto era stato precedentemente sviluppato, senza avere alcun legame con il mondo della produzione (al contrario di quanto era accaduto nel secolo precedente in cui qualche legame vi era pur stato). In questo senso Newton fu una miniera inesauribile cui attingere ma, per altri versi, la sua grandezza risultò un ‘handicap’: il suo sistema risultava cosi apparentemente perfetto da scoraggiare i più a criticarlo ed a superarlo (i progressi che nella ricerca si fecero durante il ‘700 furono in gran parte in settori che Newton aveva appena toccato o non aveva trattato per niente). Il successivo balzo in avanti della borghesia dette nuovo slancio alla ricerca scientifica che, viste le peculiari situazioni politico-economiche, particolarmente della Gran Bretagna in confronto al continente, si sviluppò su strade e metodologie di carattere nazionale.

    In Inghilterra presto si impose la fisica newtoniana che, in connessione con la filosofia di Locke, rappresentò un notevole avanzamento rispetto al razionalismo cartesiano e all’ induttivismo baconiano. L’esigenza costante era quella di fondare ogni conoscenza scientifica su una solida base sperimentale ed i filosofi naturali a questo si dedicarono tralasciando per lungo tempo ogni aspetto immediatamente applicativo della ricerca scientifica (56). In ogni caso l’attività pratica dell’uomo veniva tenuta in grande considerazione, fatto che è proprio dell’ideologia borghese. Ci si liberò subito dei residui metafisici presenti nell’opera di Newton del quale si prende a modello essenzialmente l'”Optics” per lo sviluppo di modelli meccanici basati su corpuscoli o su fluidi meccanici. Il processo di ‘laicizzazione’ della scienza si portava a compimento con la scomparsa di Dio dalla spiegazione dei fatti naturali.

    Ben diversa è la situazione nel resto dell’Europa continentale.

    In Francia i filosofi naturali si occupavano essenzialmente di scienza pura. Soprattutto nella prima metà del secolo, l’eredità del razionalismo cartesiano, faceva discutere della concezione del mondo, delle dottrine della Chiesa e della struttura dello stato. Nel clima politico che ho precedentemente delineato ed in questa prospettiva culturale si inseriva la diffusione dell’Illuminismo.

2 – L’ILLUMINISMO

    Il movimento culturale che prende il nome di Illuminismo nacque in Inghilterra ed ebbe i suoi maggiori sviluppi in Francia, nazione che contribuì grandemente alla sua diffusione nel resto d’Europa.

    L’Illuminismo, che si ispira alla filosofia di Newton e di Locke e che ha nel primo un riferimento costante come rappresentante della ragione scientifica (osservazioni sperimentali e conseguenti elaborazioni teoriche, con la matematica, delle medesime) contro ogni metafisica, si svolse essenzialmente su tre grandi linee-guida:

1) La ragione è in grado di spiegare tutti i più grandi problemi dell’uomo. Lo spirito scientifico ha il primato su ogni forma di oscurantismo.

2) L’uomo ‘illuminato’ ha il dovere di difendere la cultura. Occorre che i filosofi naturali, essi stessi, facciano i divulgatori dello spirito scientifico. L’operazione di divulgazione porta con sé il superamento delle vecchie credenze che sono ancora alla base della diffusione, e quindi del potere,della religione. (57)

3) La condizione umana può essere radicalmente migliorata proprio dall’abbattimento di miti, pregiudizi, superstizioni. L’uomo che si è impadronito dello spirito scientifico può progredire.

    Questa grande fiducia nelle possibilità, dell’uomo nasceva certamente dai grandi successi che, nel secolo precedente, la filosofia naturale aveva conseguito. Ed il massimo sintetizzatore di quei successi e di quella filosofia naturale era proprio Newton che ora si ergeva a modello da imitare.

    Con l’uso dei metodi scientifici indicati da Newton sarebbe stato possibile sbarazzarsi dei residui scolastici e metafisici presenti in Descartes ed in Leibniz. D’altra parte le filosofie cartesiana e leibniziana rispondevano bene agli interessi di chi manteneva vecchi privilegi e pertanto, da questi ultimi, erano state accettate e rese funzionali al loro sistema di potere. La lotta quindi contro il cartesianesimo ed il leibnizianesimo, per l’affermazione della filosofia di Newton, aveva in sé una grande carica rivoluzionaria e si configurava come lotta di potere con l’illusione che, di per sé, l’affermazione del newtonianesimo avrebbe comportato quella di nuove classi sociali (la borghesia).(58)

    Fu certamente il grande impegno di un uomo come Voltaire (1694-1778) che riuscì a far conoscere (59) al grande pubblico francese l’opera di Newton.(60)

    Furono poi i lavori di Condillac, Helvetius, Diderot, D’Alembert e molti altri fino a Laplace (61) che imposero la filosofia di Newton nel continente. Ma questo passaggio dall’Inghilterra al resto d’Europa avverrà con notevoli cambiamenti della stessa. Pur mantenendo formalmente l’azione a distanza si introdurranno modelli fluidistici (calore, elettricità, magnetismo) che di fatto hanno bisogno di una trattazione ‘a contatto’; le forze, che nonostante tutto risultano oscure e vaghe, non sono più considerate come cause di accelerazioni ma come ‘semplici variabili delle equazioni differenziali che ne formulano le condizioni di equilibrio e di conservazione’ (62); l’etere, che per Newton assolveva un ruolo importante, viene piano piano accantonato; lo spazio ed il tempo perdono il loro ruolo centrale diventando meri elementi di calcolo; le equazioni del moto si vanno sempre più configurando come ristrutturazione e non come ampliamento delle premesse newtoniane; Dio scompare nella spiegazione e nel sostegno del mondo. (63)

    Dunque il movimento illuminista, in Francia, si staccò sempre più radicalmente dal razionalismo aprioristico di tipo cartesiano per abbracciare un nuovo tipo di razionalismo fondato su fatti empirici (64). In definitiva si lavora sempre più per risolvere problemi concreti piuttosto che occuparsi di concezioni del mondo. Le questioni tecniche, nel secolo precedente affidate in gran parte alla pratica del lavoro artigianale, vengono sempre più sottomesse a trattamento teorico e questo fatto comporterà un progressivo avvicinamento tra scienza e tecnica (anche se per tutto il XVIII secolo almeno, sarà la tecnica ad avere il primato delle conquiste più originali e feconde). Anche qui con i dovuti distinguo. Mentre infatti in Inghilterra, ancora per lungo tempo,il fatto tecnico potrà evolversi autonomamente e con grande e riconosciuta dignità come conseguenza della scelta, fatta dalla cultura inglese, di prendere a modello lo sperimentalismo del’”0ptics” di Newton per avvicinarsi alla comprensione dei fenomeni, ben altrimenti le cose si svolgeranno in Francia. In questo paese il modello metodologico cui i filosofi della natura si ispirano è quello matematico dei “Principia” e, non a caso proprio in Francia, la Meccanica diventerà Meccanica Razionale, Meccanica cioè che partendo dal fatto concreto, nel suo svolgersi, sempre più perde di vista il punto di partenza per passare ad elaborazioni in cui la matematica assume un ruolo determinante e che sempre di più usa di metodi propri della matematica stessa. Si lavora per fornire alla Meccanica una validità scientifica che non dipenda più dalle semplici osservazioni empiriche.

    Si tratta di ricavare tutti i fenomeni e tutte le leggi da alcuni principi molto generali. All’interno poi dei processi di elaborazione matematica dei lavori di Newton che, come abbiamo già accennato, trascendono l’opera stessa del nostro per configurarsi come ristrutturazione piuttosto che come generalizzazione di quest’opera, scaturiranno fatti nuovi come conseguenza della mera formalizzazione della teoria. La matematica non può qui, in alcun modo, essere considerata come puro e semplice strumento tecnico, come linguaggio che descrive fatti già noti, ma, al contrario, come qualcosa che, partendo dalla descrizione dei fenomeni, è in grado di predirne degli altri al suo interno. Sempre più quindi la matematica diventerà indispensabile per comprendere le tematiche in discussione e per poterne discutere con cognizione. Ed il filosofo che si sente sfuggire l’immediata lettura di un fatto naturale a causa del suo occultamento in equazioni via via più complesse, non potrà far altro che richiamarsi alla realtà che lui conosce, quella che i sensi gli sottopongono (ad esempio: Berkeley).

    La potenza della matematica, nell’interpretazione e nella predizione di nuovi fenomeni, era molto chiara agli addetti ai lavori dell’epoca e non a caso insisteranno molto sulla sua insostituibilità scienziati come D. Bernouilli (1700-1782) e J. Fourier (1768-1850) e filosofi come I. Kant (1724- -1604). E questa potenza risulta tutta nella meccanica razionale (ed analitica).

    La ‘meccanica razionale’ è ” una scienza che studia rigorosamente (a partire da un ristretto numero di leggi generali – n.d.r.) i sistemi meccanici perfetti, macchine ideali senza attriti, sul modello della ‘macchina celeste’, retta da forze agenti a distanza lungo la congiungente con intensità [inversamente] proporzionale al quadrato della distanza.” (65) E quindi, in nome del meccanicismo newtoniano, Lagrange (1736-1813) potrà affermare (66) nella prefazione della sua Meccanica Analitica (1788):

“Non si troveranno figure in quest’opera. I metodi che io espongo non richiedono né costruzioni né ragionamenti geometrici o meccanici, ma solamente operazioni algebriche soggette ad un andamento regolare ed uniforme. Quelli che amano l’Analisi vedranno con piacere la meccanica divenirne una nuova branca e mi saranno grati d’averne esteso così il dominio. ” (67)

    Ed anche D’Alembert, come del resto tutta la scienza che si affermò come ufficiale (68), non era alieno da avere una visione aristocratica del progresso sociale, in ogni caso condizionato dalla conoscenza “dei principi razionali e matematici”.

    Alcuni però iniziarono una revisione di questa concezione e “Diderot, in particolare, attaccò, in ‘De l’Interpretation de la Nature’ (1753), l’eccessiva matematizzazione della scienza francese nel quadro di una rivalutazione baconiana della pratica degli artigiani.” (69)

    Per tutto il ‘700, comunque, la Francia privilegerà la scienza teorica pura, mentre l’Inghilterra la scienza sperimentale ed applicativa (solo nei primi anni dell’ ‘800 questo dato si invertirà ed, in particolare, in Francia ci si occuperà di problemi applicativi soprattutto al fine di sostenere le necessità degli eserciti di Napoleone).

    In ogni caso, quanto abbiamo detto sull’accettazione della filosofia di Newton da parte degli illuministi francesi, non deve far intendere che non permanessero fortissimi influssi cartesiani che si compenetravano via via sempre di più con alcune problematiche leibniziane. Ed a proposito degli influssi di Leibniz sul ‘700 francese, si osservi che “D’Alembert, pur combattendo anche lui i principi della metafisica leibniziana, manifesta sempre la più grande ammirazione per il genio filosofico e matematico di Leibniz; e l’articolo di Diderot su Leibniz nell’Encyclopedie ne tesse un elogio entusiastico.” (70)

Anche in questo secolo quindi, come avevamo già osservato a proposito della rivoluzione scientifica del secolo precedente, non c’è l’egemonia incontrastata di una sola filosofia, ma l’ intrecciarsi di varie tematiche e problematiche che certamente vedranno il prevalere, per un lungo periodo, della filosofia di Newton ma che, allo stesso tempo, alimenteranno e nutriranno quelle correnti di pensiero che, prendendo le mosse essenzialmente da Leibniz, confluiranno, agli inizi del secolo seguente, in un’aspra critica del meccanicismo stesso (senza più alcuna distinzione sul tipo di meccanicismo).

3 – ALCUNI ASPETTI DEL PROGRESSO DELLA RICERCA SCIENTIFICA NEL XVIII SECOLO 

            Non è in alcun modo possibile avvicinarsi alla comprensione dei profondi mutamenti che si ebbero nell’interpretazione dei fenomeni naturali durante tutto l’800,  se non si colgono alcuni aspetti delle ricerche scientifiche che si svilupparono nel secolo dell’Illuminismo.

            Durante il XVIII secolo, soprattutto nella sua prima metà, la scienza, come abbiamo già. detto,  non fece quei balzi prodigiosi e spettacolari che erano stati caratteristica del secolo precedente. Ciò nondimeno si lavorò molto gettando le basi dell’ulteriore grande sviluppo della scienza dell’800.

            E’ comunque ora molto più difficile che per il passato seguire i vari  filoni di ricerca nella loro complessa articolazione ed intersezione, con una qualche pretesa di completezza: oltre alla grande opera di sistemazione analitica della meccanica newtoniana, a cui si scompagnarono possenti sviluppi della matematica,  si tratterebbe di indagare gli avanzamenti dell’astronomia osservativa e le ricerche in nuovi campi della fisica (termologia, elettricità, magnetismo, …). Per quel che riguarda i nostri scopi, basterà solo dare un quadro di riferimento con la preoccupazione di cogliere quegli aspetti che,  seppure non immediatamente,  risulteranno avere una connessione più o meno stretta con le problematiche  che stiamo cercando di discutere in questo lavoro.

            A partire dai lavori di Newton, si assiste ad una grande divaricazione dei vari campi di ricerca. Lo sforzo che si tenta à proprio quello di interpretare   ogni   singolo   fatto,   che   sembra  del   tutto   slegato   da   ogni   altro fatto, in termini di meccanica newtoniana: si tenta cioè di ricondurre tutto alla meccanica. Gran parte poi delle indagini sperimentali che vengono portate a compimento, vanno a ricercare nei fenomeni quelle azioni alla Newton (rettilinee, a distanza, inversamente proporzionali al quadrato della distanza) che devono necessariamente regolare ogni fatto naturale. Le problematiche sono complesse ed il tentativo che uno fa di ricercare una traccia, un filone, potrebbe indurre all’erronea ammissione di uno sviluppo lineare e cumulativo della scienza, fatto che in nessun modo intendo sottoscrivere. (71)

              E’ ora opportuno passare a seguire gli sviluppi, più interessanti per gli scopi di questo lavoro, delle ricerche scientifiche del XVIII secolo. Alcuni di essi saranno solo menzionati, mentre altri, più significativi per gli sviluppi successivi, saranno trattati con qualche dettaglio.

            Per comodità. mia e del lettore, ho preferito distinguere le cose che dirò per campi di ricerca (72)

       Astronomia e Geodesia

       – Agli inizi del secolo, Halley, usando la teoria newtoniana della gravitazione universale, riesce a calcolare le orbite di alcune comete, dandone il periodo. Quando la cometa che porta il suo nome riapparirà nel 1758, anno risultante dalla teoria, si sanzionerà definitivamente il primato della spiegazione scientifica sulla superstizione che per secoli aveva accompagnato l’apparire di questi corpi cellesti.

        – Nel 1718, Halley scopre che le stelle ‘fisse’ non sono fisse. Confrontando le posizioni di alcune stelle con le medesime, ritrovate su alcuni manoscritti, si accorge che alcune occupano posizioni sensibilmente diverse.

        – Nel 1728, Bradley (1693 -1762), cercando di determinare la parallasse stellare che si deve avere a causa del moto della Terra intorno al Sole (una stessa stella, osservata dalla Terra  a sei mesi di distanza, quando la Terra occupa due posizioni diametralmente opposte della sua orbita, dovrà essere osservata sotto un certo angolo detto di ‘parallasse’) (73), scoprì che, nel corso dell’anno, ciascuna stella descriveva nel cielo una piccola ellisse (si veda Appendice 4). Poiché l’effetto era lo stesso per ciascuna stella, non si doveva trattare del fenomeno di parallasse; lo sarebbe stato solo nel caso si fosse ammesso che tutte le stelle si trovavano alla medesima distanza dalla Terra, fatto che Bradley rifiutava. La spiegazione che dallo stesso Bradley fu data del fenomeno fu quella della composizione de movimenti: quello della luce che proviene dalla stella (impiegando un tempo finito) e quello della Terra intorno al Sole. Questo fenomeno, che dall’astronomo italiano G. Manfredi (l68l-1761) sarà chiamato (1729) aberrazione stellare o della luce, è la prima prova diretta del moto della Terra intorno al Sole. Anche qui si esce dal campo delle teorie per approdare a ‘verità’  sperimentali.(74)

        – nel 1744 due spedizioni, una in Perù e l’altra in Lapponia,(75) cercarono di dirimere la polemica sulla forma della Terra mediante la misura di due archi di meridiano a latitudini diverse. (76) I risultati delle spedizioni confermarono la teoria di Hewton: la Terra è schiacciata ai poli. Qualche tempo dopo A.C. Clairaut (1713-1765) riuscirà a dare una spiegazione quantitativa del fenomeno servendosi proprio della meccanica newtoniana.

        – Nel 1744, L. Euler (1707-1783) studiò il sistema planetario attraverso le azioni congiunte dei vari pianeti tra loro e col Sole dando l’avvio al problema dei tre corpi ed alla teoria delle perturbazioni.

        – Nel 1748 Bradley annuncia la scoperta della nutazione dell’asse terrestre.(77) Questo fenomeno, che provoca una alterazione periodica nella posizione apparente degli astri, era stato annunciato da Newton come necessario alla sua teoria della gravitazione universale. Per nove anni Bradley la cercò ed alla fine riuscì a trovarla.

        – Nel 1749 D’Alembert determina la precessione annuale degli equinozi, un’altra conferma della teoria newtoniana della gravitazione.

        – Nel 1752, in Gran Bretagna, si adotta il nuovo calendario gregoriano.

         – Verso la metà del secolo compaiono le prime teorie cosmologiche.  Wright (1711-1786) teorizza che la distribuzione delle stelle non ha simmetria sferica intorno alla Terra; esse sono invece distribuite essenzialmente su uno strato che ha uno spessore, certamente grande, ma finito. L’ipotesi viene ripresa (1755) da Kant (e sarà poi ulteriormente sviluppata da Laplace alla fine del secolo), il quale la integra con la teoria nebulare dell’origine del sistema solare (secondo la quale quest’ultimo si sarebbe generato da una primordiale nebulosa ruotante e da un caos, ancora precedente, che avrebbe originato la nebulosa stessa). Inoltre, secondo Kant, le nebulose che si osservano nel cielo non sono altro che ammassi stellari.

Si osservi che qui si incomincia ad intaccare il sistema del mondo di Newton in quanto si introduce nell’universo un elemento evolutivo, assolutamente non considerato da Newton stesso, il quale si fermava alla spiegazione dei moti dei corpi celesti così come sono.

        – Nella seconda metà del secolo iniziano una serie di ricerche dell’astronomo (tedesco ma trapiantato in Inghilterra) W. Herschel (1738-1822), che comportano una rivoluzione rispetto al periodo precedente. Fino ad allora, infatti, ci si era preoccupati di aumentare il numero di osservazioni da elaborare analiticamente per sistemare definitivamente il .sistema del mondo di Newton. Si erano insomma ricercate le prove della validità della gigantesca impalcatura newtoniana, inquadrandole in una trattazione analitica, ma non ci si era spinti a ricercare più oltre. Herschel si costruiva da solo telescopi sempre più grandi e con uno di questi scoprì (1781) il pianeta Urano. (78) A questa scoperta se ne aggiunsero presto delle altre: nel 1787 Herschel scoprì i satelliti di Urano, Oberon e Titania; nel 1789 scoprì il sesto ed il settimo satellite di Saturno, Enceladus e Mimas.  Altra importantissima scoperta di Herschel fu quella delle stelle doppi (1801) e la dimostrazione del fatto che alcune di esse costituiscono un  sistema ruotante intorno al loro comune centro di massa. Inoltre nel 1805  Herschel determinò la costellazione verso cui si sposta l’intero sistema solare, quella di Ercole. Accertò poi sperimentalmente la forma a disco appiattito della nostra galassia e l’esistenza di innumerevoli altre galassie. Infine, studiando lo spettro solare, scoprì le radiazioni infrarosse (l800). Come si vede si tratta di scoperte sensazionali che permetteranno il passaggio dal ristretto e  statico mondo newtoniano alla moderna astronomia galattica.

        – Nel 1799 uscirono i primi due volumi del Trattato di meccanica celeste di Laplace (il terzo ed ultimo volume uscirà nel 1825). In questa opera imponente Laplace porta a compimento la sistemazione analitica dell’astronomia deducendo tutti i fenomeni riguardanti pianeti e satelliti dall’unica legge di gravitazione (interpretata analiticamente mediante l’uso del concetto lagrangiano di potenziale), analogamente a quanto era stato fatto per la meccanica soprattutto ad opera di Lagrange.

Vi era certamente qualche discordanza con i fenomeni osservati, ma si era convinti che, affinando il calcolo, presto si sarebbe stati in grado di dare una descrizione perfetta di tutti i moti planetari. Come osserva Forti (Bibl. 7, vol, 4, pag. 227)  “solo due secoli dopo la relatività venne in vece a dimostrare un fatto che ormai fa parte di una visuale moderna della scienza: non è detto che minime discrepanze sperimentali possano essere risolte grazie alla diligenza degli studiosi; esse possono invece richiedere una trasformazione completa dei concetti e dei principi fondamentali”.

        – Altro fatto importante da sottolineare è la misura della densità della Terra effettuata da Cavendish (l731-l8l0). Questa misura fu una prova formidabile della giustezza della legge newtoniana di gravitazione universale.

Matematica

        Senza entrare in dettagli che ci porterebbero troppo lontano, basti dire che la matematica ebbe in questo secolo uno sviluppo formidabile.

        – L’analisi infinitesimale, adottando definitivamente il metodo ed il simbolismo di Leibniz, progredì enormemente fino all’impostazione ed all’integrazione di equazioni differenziali sempre più complesse, alla teoria delle equazioni a derivate parziali, alla teoria delle serie, al calcolo delle variazioni, …

        – Viene fondata e sviluppata la teoria del calcolo delle probabilità.

        – Nel 1733 G. Saccheri, lavorando sulla dimostrazione del V° postulato di Euclide, aprirà la strada allo sviluppo delle geometrie non-euclidee, che saranno poi elaborate nel secolo successivo (si veda Appendice 6).

         – Si ebbero grandi sviluppi di algebra e logica.

         – Furono fondate la topologia e la geometria descrittiva.

         – Verso la fine del secolo Laplace introdusse la funzione potenziale.

        – Si sviluppò molto la trattatistica e la sistematica di tutte le conoscenze raggiunte.

          A questi formidabili progressi contribuirono in gran parte: gli svizzeri Giovanni 1° e Daniele 1° Bernouilli, Euler e Lambert;  i  francesi Legendre, Bezout, D’Alembert, Clairaut, Vandermonde, Laplace e Lagrange (italiano trapiantato in Francia); gli italiani Manfredi, Riccati e Ruffini; dai matemateci della Gran Bretagna Waring, Taylor, Maclaurin, Stirling e De Moivre (francese trapiantato in Gran Bretagna).

 Elettrologia e Magnetismo

        Lo studio dei fenomeni elettrici e magnetici, iniziato timidamente nel secolo precedente ad opera essenzialmente di Gilbert, Von Guericke e Boyle, diventa sempre più sistematico. Si comincia a disporre di una notevole varietà di fenomeni e si iniziano a costruire modelli interpretativi. Si lavorò molto sulle macchine elettrostatiche, sui sistemi in grado di accumulare cariche elettriche (bottiglia di Leyda – 1745; condensatore a facce piane di Aepinus – 1756), sulle conseguenti leggi relative ai condensatori (Wilson – 1746), sulla trasmissione dell’elettricità (fenomeno scoperto da Gray – 1729) e sulla conseguente distinzione tra conduttori ed isolanti; (78bis) si costruirono i primi strumenti di misura:   l’elettrometro di Canton (1753) ,   quello a foglie d’oro di Bennett (1787), l’elettroscopio condensatore di Volta (1782); a lato di ciò  inizieranno le prime interpretazioni dei fenomeni osservati: l’abate Nollet attribuì la causa dei fenomeni elettrici a due correnti, in moto in opposte direzioni, di un particolare fluido che sarebbe presente in tutti i corpi (1749); Franklin sostenne che “la quantità  totale di elettricità che si trova su di un corpo isolato è costante” enunciando per primo il principio di conservazione della carica elettrica; sia Franklin che Aepinus avanzarono l’ipotesi che l’azione elettrica si trasmette a distanza senza bisogno di particolari effluvi (allo stesso modo cioè dell’azione gravitazionale); Aepinus sostenne che l’elettricità è  un fluido formato di parlicelle che mutuamente si attraggono e si respingono tendendo ad uno stato di equilibrio; Wilke avanzò l’ipotesi che quando si strofinano tra loro due corpi invariabilmente si generano cariche elettriche positive e negative (1759). Passando poi ai dati sperimentali, si  trovò: che due poli magnetici si attraggono con una forza che è inversamente proporzionale al quadrato della distanza (Michell – 1750); che la carica elettrica si distribuisce sulla superficie dei conduttori (Beccaria – 1753); che la velocità dell’elettricità è tanto elevata da non poter essere misurata (Watson – 1746); che le cariche elettriche si attraggono o si respingono con una forza che è inversamente proporzionale al quadrato della distanza fra le cariche (Coulomb – 1785) . (79)

          Il secolo si conclude sulla polemica tra voltiani e galvaniani (79bis) sull’origine dei fenomeni elettrici.

         Infine, nel 1800, Banks annuncia alla Royal Society la costruzione  della pila da parte di Volta: inizia la generazione dell’elettrodinamica che tanti rivolgimenti porterà, nel corso del XIX secolo, nell’evoluzione della fisica, soprattutto per l’uso che gli antinewtoniani ed in particolare i romantici ne faranno contro il meccanicismo newtoniano.

 Termologia e Teoria cinetica dei gas.

        Questi settori della ricerca sono quelli più direttamente influenzati dagli sviluppi della tecnica (in particolare quella delle macchine a vapore) che sarà in questo settore trainante perché maggiormente legata alle esigenze del modo della produzione.

        Saranno gli ingegneri quelli che faranno progredire di più la ricerca in questo campo; solo più tardi, nel secolo successivo, si avrà la sistemazione che darà origine alla termodinamica.(80)

        I primi passi importanti furono fatti nella costruzione di termometri e nella definizione di scale (sulle orme di quanto iniziato da Galileo e dagli accademici del Cimento): nel 1714 Fahrenheit costruisce un termometro, prima ad alcool quindi a mercurio, adottando la scala che porta il suo nome (32°F per il ghiaccio fondente e 212°F per l’acqua bollente); nel 1730 Réaumur costruisce un termometro ad alcool con una scala diversa (0°R per il ghiaccio fondente ed 80°R per l’acqua bollente); nel 1742 Celsius introduce la scala oentigrada (0°C per il ghiaccio fondente e 100° C  per l’acqua bollente).

        Una conquista di notevole portata rimane la distinzione, che riesce a farsi strada, tra temperatura e calore (Klingenstierna – 1729).

        Un notevole  lavoro  sperimentale,  con precise  misure,  varrà  a  stabilire le leggi della dilatazione termica; i concetti di capacità termica e di calore specifico (Wilcke, Black, Lavoisier, Laplaoe, … ); i fenomeni del calore di fusione e di evaporazione (Black, … )? quelli della soprafusione, dell’ebollizione e della solidificazione.

          Anche qui iniziarono le prime interpretazioni teoriche della natura del calore e mentre Euler, come già Boyle, lo riteneva generato dal moto delle minuscole particelle costituenti i corpi (teoria dinamica), Black ed altri lo consideravano un fluido (il calorico ).(80bis)  Vi furono grosse polemiche che non risultarono attenuate dalla posizione di Lavoisier e Laplaoe che tentarono di sostenere la conciliabilità tra le due teorie. Molti scienziati si schierarono con la teoria dinamica (Davy, Young, Rumford, … ). F  infine Rumford (B. Thompson) che dopo una serie di esperienze (81) poté affermare che il calore non è altro che movimento.

          Altri aspetti, di gran rilievo, da ricordare sono:

 – la fondazione della teoria cinetica dei gas da parte di D. Bernouilli (1738) che ritrovò la legge di Boyle (PV = K) a partire da considerazioni microscopiche sulla natura corpuscolare dei gas};

 – la scoperta della conservazione della massa ad opera di Lavoisier (1787) che riuscì a determinare con esattezza i fenomeni in gioco nella combustione dei corpi.

         Cose si vede quindi, anche se si è ancora lontani da quella che oggi conosciamo cono termodinamica, i passi fatti sono notevoli.

          Nel frattempo invece grossi lavori venivano fatti dai tecnici impegnati nello sviluppo del vapore,

          In particolare Smeaton (1724-1792) definiva i concetti di lavoro e potenza adombrando il principio di conservazione dell’energia (1759). (82)

          Nel 1698 Savery (l650-1715) brevetta la prima macchina a vapore; nel 1712 Newcomen (1663-1729) farà un notevole passo avanti nella costruzione di questa macchina apportandovi modifiche sostanziali (il rendimento della macchina di Newcomen risulterà raddoppiato con l’introduzione, da parte di Smeaton, di alcuni accorgimenti). Ulteriori e pressocché definitivi passi in avanti furono compiuti (introduzione del condensatore separato) da Watt (1736-1819) nel 1709.

        Importante in questo contesto è l’opera di Lazare Carnot (1753-1823) che, in un suo lavoro del 1783, si proporrà di “reinserire nella meccanica la scienza delle macchine, che ne era rimasta separata”. (83^)

Meccanica, Idrodinamica, Acustica, Ottica, Chimica

          Già abbiamo parlato di alcuni sviluppi importarti della meccanica che in particolare si possono ritrovare in quel processo di sistemazione e trasformazione della meccanica newtoniana che avvenne  con l’elaborazione delle meccaniche razionale ed analitica. (84) A lato e a complemento delle cose dette solo poche considerazioni su ulteriori sviluppi, rientranti sempre nel programma che si proponeva di ricavare tutte le leggi che presiedono i fenomeni naturali da pochi e generalissimi principi. In pratica si tratta del principio di minima azione o di Maupertuis e di alcune elaborazioni di D’Alembert.

          Per quanto riguarda il principio di minima azione basti ricordare che Maupertuis prese le mosse dal tentativo di correggere il principio di Fermat (la luce impiega un tempo minimo per passare tra due o più mezzi a diverso indice di rifrazione ed il cammino che essa percorre non coincide col cammino geometricamente più breve) in modo da metterlo in accordo con alcune ipotesi ottiche di Newton, peraltro errate (la velocità della luce, secondo Newton, dovrebbe essere più grande nelle sostanze più rifrangenti, come l’acqua o il vetro). (85)  In definitiva egli trovò (1744) che ” nel passare da uno stato ad un altro, una massa sceglie quasi sempre, tra varie vie possibili e diverse, quella che richiede la minima azione”. In definitiva i fenomeni naturali e particolarmente quelli meccanici, si svolgono nel modo più economico.(86)

        Relativamente a D’Alembert, invece, occorre sottolineare la grossa impresa che egli portò a termine nel suo Traité de dynamique (1743); egli riuscì a ricondurre tutte le questioni di dinamica a problemi di statica mediante il conglobamento delle forze inerziali e vincolari nel più generale concetto di forza e mediante la scelta di un opportuno sistema di riferimento.  Nel far questo D’Alembert era mosso dalla sua grande riluttanza ad accettare la definizione newtoniana di forza che egli ritiene essere “vaga ed oscura, soprattutto inutile”.

        Altre tappe importanti nello sviluppo della meccanica sono:

         – la generalizzazione del teorema delle forze vive mediante l’affermazione dell’equivalenza tra energia cinetica e lavoro (Giovanni 1° Bernouilli – 1727);

         – la formulazione delle equazioni della dinamica dei sistemi fatta da Lagrange (1768) mediante la fusione dei risultati di D’Alembert con il principio dei lavori virtuali;

-la conferma della validità della legge di gravitazione universale per due masse che si trovano sulla Terra (Cavendish – 1798).

          Parallelamente a questi sviluppi, anche l’idrodinamica ebbe notevole impulso, soprattutto attraverso i metodi di trattazione analitica, cosi estesamente applicati alla meccanica. I contributi più importanti furono:

         – i lavori di D. Bernouilli del 1738 (in cui, tra l’altro, si introdusse il concetto di pressione idrodinamica per spiegare il moto dei liquidi);

        – gli scritti di Clairaut del 1743 (in cui, tra l’altro, si determinarono le condizioni generali di equilibrio per una massa fluida);

         – i lavori di Euler del 1755 (in cui si formularono le equazioni generali dell’idrodinamica) e del 1775 (in cui si determinarono le tre equazioni dell’idrostatica e l’equazione di continuità).

          Anche l’acustica si sviluppò in modo considerevole con l’elaborazione della teoria meccanica dei fenomeni sonori. In questo campo l’analisi infinitesimale si rivelò strumento formidabile, soprattutto per la risoluzione del difficile problema delle corde vibranti. Quest’ultimo problema vide impegnati Taylor (l713), D. Bernouilli (1740), Euler (1739), D’Alembert (1747), Lagrange (1757).

          Si studiò la teoria dei tubi sonori (D. Bernouilli e Lagrange – 1762) e si misurò con una buona approssimazione la velocità del suono anche in condizioni diverse (al variare del mezzo, della temperatura, della densità e peso specifico del mezzo, … )(87bis) Infine E.F. Chladni (1756 – 1827) stabilì il limite superiore per la percezione auditiva, mentre, qualche tempo dopo, F. Savart (1791-1841) quello inferiore.

          In ottica non vi furono novità di rilievo se si escludono le cose che abbiamo detto parlando di astronomia ed i notevoli successi che si ottennero nella realizzazione di strumenti sempre più. perfezionati. In questo senso merita particolare menzione l’introduzione di lenti acromatiche, ottenute da C. Moor Hall (1758) unendo insieme un vetro flint ed uno crown, di differenti indici di rifrazione (questa possibilità era stata teorizzata da Euler nel 1747). Altri fatti che vanno ricordati sono:

  – la costruzione di lenti bifocali per occhiali (Franklin – 1784);

  – la scoperta del daltonismo (Dalton – 1794);

  – la scoperta del diverso valore del potere emissivo di un corpo nero e di un corpo a superficie speculare (Leslie – 1800).

          Intanto, per gran parte del secolo si svilupperà, la polemica tra i sostenitori della teoria ondulatoria della luce elaborata da Huygens (l690) e della teoria corpuscolare elaborata da Newon (1704). In particolare Euler criticherà. la posizione newtoniana (1762) contrariamente a Priestley che invece la difenderà. (l772) sostenendo che le particelle di luc.e sono tanto piccole da poter penetrare la materia.

         La chimica, a grandi passi, si avvia a diventare una scienza, uscendo dagli enormi condizionamenti alchimistici e magici. Enorme stimolo allo sviluppo di questa scienza verrà, dal mondo produttivo (richiesta di sbiancanti e coloranti) e dal mondo tecnologico (e quindi ancora produttivo) per i suoi legami con gli sviluppi della termodinamica. In ogni caso le tappe più importanti che furono conseguite nel corso del secolo sono:

 – l’isolamento dell’idrogeno (Cavendish – 1766);

 – l’isolamento dell’ossigeno (Priestley – 1771);

– l’analisi dell’aria (1770) e quella dell’acqua (l783) eseguite da Lavoisier;

 – la produzione della soda (Leblanc – 1790);

 – l’ isolamento di una grande quantità di elementi tra i quali il cobalto (1743), l’azoto (1772), il manganese (l774), il nichel (1775), il tungsteno (1782), il molibdeno (1782), il cromo (1797), il berillio (1797), il tellurio (1798), e via via molti altri all’inizio del secolo successivo;

– la pubblicazione (1789) del Traité élémentaire de chimie di Lavoisier che può essere considerato il primo testo moderno di chimica?;

– la formulazione di alcune leggi sui gas (Charles – 1787; Volta 1793 e 1795);

– la fondazione della stechiometria (Richter – 1796);

– la realizzazione dell’elettrolisi dell’acqua (Nicholson – 1800).

        Ma accanto a questi indubbi successi, occorre ricordare la profonda sfiducia che si aveva nella chimica come scienza. Essa infatti risultava essenzialmente empirica e non utilizzava gli strumenti ed i metodi della matematica. A questo proposito Kant sosterrà (1786): ” La chimica non potrà diventare nulla più che un’arte sistematica o una dottrina sperimentale, ma mai una scienza nel senso proprio del termine, poiché i suoi principi sono soltanto empirici … ed incapaci di applicare la matematica”. (88)

  4 – LO SPAZIO ED IL TEMPO

         Abbiamo già detto delle critiche di Leibniz e Berkeley allo spazio ed al tempo assoluti di Newton. Abbiamo anche implicitamente già visto che nessuna di queste critiche fu però in grado di impedire che i concetti in questione si affermassero come substrato concettuale fondamentale dell’indagine sui fenomeni naturali. Vi furono comunque, nel corso del XVIII secolo, a lato dei difensori di questi concetti (tra i quali alcuni cercarono perfino di dimostrarne la necessità logica), sia coloro che erano completamente indifferenti a questi problemi (semplicemente non tenendone conto o al massimo accettandoli come mera ipotesi di lavoro sulla quale non era il caso di soffermarsi per ricercarne una motivazione teorica – operazione che si comincia a considerare estranea all’evoluzione della ricerca fisica), sia coloro che esplicitamente vi appuntarono le loro critiche.

          Anche se le posizioni degli uni e degli altri non aggiungono nulla di nuovo dal punto di vista dell’indagine fisica, vale la pena riportarle perché rappresentano la parte del pensiero di Newton che si sviluppa come  filosofia naturale.

           In Gran Bretagna, dove il meccanicismo newtoniano ha solide radici, nessuno si preoccupa di discutere ciò che è ritenuta una verità, se non altro per i grandi successi che via via vengono conseguiti a seguito di elaborazioni (apparentemente) discendenti da queste verità. Lo spazio ed il tempo assoluti sono dati come scontati, semmai si tratta di ribadirne la necessità come ad esempio fa Maclaurin quando afferma:

  ” Questo permanere di un corpo in uno stato di quiete o di moto uniforme, può aver luogo solo in uno spazio assoluto, e può essere intellegibile solo ammettendolo.” (89)

          Più complessa è la situazione francese poiché, nonostante l’accettazione del newtonianesimo a partire dalla metà del ‘700, sempre forte è la tradizione razionalista cartesiana. In questo paese lo spazio ed il tempo assoluti non suscitano grandi entusiasmi, anzi. I Lagrange, i Laplace, i Poisson, … useranno questi concetti come meri elementi utili al calcolo. Essi si convinceranno che non vale la pena dedicare un poco di tempo alla critica dei fondamenti, cominciando a configurare una immagine della scienza (che oggi conosciamo bene) molto più preoccupata della sua efficienza che non della sua essenza.

          Solo Diderot e D’Alembert, nell’Encyclopedie (1755), prenderanno esplicitamente posizione quando, alla voce spazio, sosterranno:

      “Noi non prenderemo partito sul problema dello spazio. Si può vedere, attraverso tutto ciò che è stato detto …. quanto questo oscuro problema sia inutile alla geometria ed alla fisica.” (90)

         E, come sostiene Jammer,  “si può perfino affermare che  questa assenza [di considerazioni su spazio e tempo assoluti] non soltanto non risultò un ostacolo per la meccanica del diciottesimo secolo e del principio del diciannovesimo, ma in certa misura, facilitò lo sviluppo di questa scienza.” (91)

          Più complessa ed argomentata è invece la posizione di Euler sui concetti di spazio e tempo assoluti. Uscendo fuori dall’ambito metafisico in cui altri sostenitori (come Clarke) avevano collocato questi concetti, egli tenta di ricavarli come necessità che scaturiscono dalla meccanica ed in particolare come conseguenza del principio d’inerzia. Euler parte con il riconoscere che lo spazio assoluto, in quanto tale, non è certamente percepibile ai nostri sensi né tanto meno rilevabile con una qualsiasi esperienza. Allo stesso modo l’esistenza di questo spazio non può essere affermata con considerazioni di carattere metafisico o, più in generale, filosofico.    Se l’insieme dei fenomeni, egli sostiene, che siamo riusciti a comprendere, studiare e sviluppare, hanno per fondamento la meccanica che a sua volta poggia sui concetti di spazio e di tempo assoluti, questi concetti non possono essere delle semplici astrazioni, delle mere invenzioni, ma devono rappresentare un substrato reale ed indispensabile a quell’insieme di conoscenze su cui si fonda tutta la nostra scienza; egli dice:

  ” E’ invero evidentemente assurdo affermare che delle pure invenzioni possano servire di fondamento ai principi relai della meccanica…” (91).

        E prosegue:

    “se ne dovrebbe piuttosto concludere che tanto lo spazio assoluto quanto il tempo, quali i matematici  se li rappresentano, sono cose reali, che esistono anche al di fuori della nostra immaginazione.”(94)

         Ed ancora»:

     ” E’  impossibile affermare che il primo principio della meccanica [il principio d’inerzia – n.d.r.] sia fondato su qualcosa che esiste solo nella nostra immaginazione. Perciò, dobbiamo necessariamente concludere che l’idea matematica del luogo non è immaginaria e che, al contrario, esiste nell’universo qualcosa di reale che corrisponde a tale idea. Nel mondo, dunque, oltre ai corpi che lo costituiscono, sussiste una qualche realtà che noi ci rappresentiamo con l’idea di luogo.”(95)

        Su che tipo di realtà sia poi lo spazio assoluto si tratterà di lavorare per capirlo, ma in ogni caso va rifiutato, dice Euler, l’atteggiamento dei filosofi che, dividendo in categorie tutto ciò che è reale e dimostrando che lo spazio non è in nessuna categoria, ne affermano l’inesistenza; lo spazio una qualche specie di realtà deve pur averla, semmai quel che occorre rifare sono le categorie.

        E’ quindi dalla prima legge della meccanica che Euler prende le mosse per arrivare a dimostrare la necessità di spazio assoluto. In sostanza il suo ragionamento tende a dimostrare la necessità logica del principio d’inerzia e quindi, per implicazione, la necessità logica dello spazio (e quindi del tempo) assoluto.

       Euler enuncia così la prima legge:

  “Un corpo  che  si  trovi  in quiete  assoluta,  persevererà  perpetuamente nella quiete, se non sarà soggetto a nessuna forza esterna..”(96)

        e subito dopo spiega:

  ” Poiché  infatti  non  esiste  nel  corpo  nessuna  ragione  perché  debba cominciare ad essere mosso in una direzione piuttosto che in tutte le altre, e poiché qui viene rimossa ogni causa di moto esterno, il moto non potrà aver luogo in nessuna direzione. Questa verità poggia perciò sul principio di ragion sufficiente.”(96)

        Ed ecco dimostrata, con il principio di ragion sufficiente (che abbiamo già visto abbondantemente usato da Leibniz), la prima necessità logica da cui, appunto per implicazione, scaturisce la seconda.

        Per un certo periodo il filosofo tedesco I. Kant (1724-1804), che tanta importanza avrà negli sviluppi della formazione del pensiero filosofico e scientifico dell’ ‘800, (96bis) fu attratto dalla visione euleriana di spazio e tempo assoluti e, conseguentemente, li sostenne e li difese. Kant, nel suo periodo pre-critioo, influenzato dall’opera di Wolff (1733 – 1794), iniziò col tentativo di conciliare Leibniz con Newton.(97) In questa fase passò dapprima (98) ad ammettere un carattere puramente relativo allo spazio, quindi, come già annunciato, si convertì al punto di vista newtoniano nella formulazione euleriana (99) (in cui, bisogna sottolinearlo, erano scomparse le istanze metafisiche newtoniane ). A questo punto Kant sosterrà esplicitamente che ” lo spazio assoluto ha una sua peculiare realtà indipendentemente dall’esistenza della materia.”(100) Da questo momento, sotto l’influenza di Hume che, come afferma lo stesso Kant,  ” lo svegliò dal dormiveglia dogmatico” e degli altri empiristi inglesi (Locke, Berkeley), si cominciano piano piano ad affermare nuove idee  nei lavori del filosofo tedesco che troveranno ampia esposizione nella Critica della ragion pura (l88l). In questo lavoro Kant nega la realtà fisica dello spazio e del tempo indipendentemente dalla nostra condizione soggettiva. Riguardo allo spazio afferma:

      “Lo spazio non è un concetto empirico, proveniente da esperienze esterne. […]. Lo spazio è una rappresentazione a priori, necessaria, che sta a fondamento di tutte le intuizioni esterne. Non è possibile farsi la rappresentazione che non ci sia spazio, mentre si può benissimo pensare che non vi sia in esso alcun oggetto. Lo spazio dev’essere pertanto considerato come la condizione della possibilità dei fenomeni e non come una determinazione da essi dipendente; ed è una rappresentazione a priori, che sta necessariamente a fondamento dei fenomeni esterni. […]. Lo spazio è … un’intuizione pura. […]. Dunque, soltanto da un punto di vista umano possiamo parlare di spazio, di esseri estesi ecc. Ma se prescindiamo dalla condizione soggettiva … la rappresentazione dello spazio perde ogni significato.” (102)

           Riguardo al tempo le cose che Kant sostiene sono esattamente dello stesso tipo:

          “Il tempo non è un concetto empirico, derivante da una qualche esperienza. Infatti la simultaneità e la successione non potrebbero neppure mai costituirsi come percezioni se non ci fosse a priori, quale fondamento, la rappresentazione del tempo.[…]. Il tempo è una rappresentazione necessaria che si trova a fondamento di tutte le intuizioni …. Il tempo è dunque dato a priori.[…]. Il tempo è … una forma pura dell’intuizione sensibile.[…]. Il tempo non è più oggettivo se si prescinde dalla sensibilità della nostra intuizione … Il tempo non è dunque che una condizio- ne oggettiva della nostra (umana) intuizione (la quale è sempre sensibile)… Tuttavia, relativamente a tutti i fenomeni, e quindi anche a tutte le cose che possono presentarsi nell ‘esperienza, il tempo è necessariamente oggetti vo.[…]. Le nostre considerazioni insegnano dunque la realtà empirica del tempo…Per contro contestiamo al tempo ogni pretesa di realtà assoluta… Il tempo si riduce a nulla se si prescinde dalle condizioni soggettive dell’intuizione sensibile.” (110)

        In definitiva Kant afferma la soggettività, e non la leibniziana relatività, dello spazio e del tempo. Lo spazio ed il tempo non esisotono in sé, ma in quanto la nostra sensibilità ce li fa avvertire di per sé: questi concetti sono condizionati dall’esperienza, sono particolari intuizioni a, priori che ci fanno organizzare le sensazioni, i dati della realtà esterna; non hanno alcuna validità assoluta. E l’operazione più importante che Kant fa, e nella quale si inseriscono le considerazioni che or ora si portavano avanti, è l’attribuire tutti i successi raggiunti nei più svariati campi, con l’applicazione del metodo sperimentale, all’attività trascendentale della ragione. E’ un definitivo sancire, a livello filosofico, l’impossibilità di una scienza che si fondi su mere descrizioni di un mondo di per sé semplice ed armonioso, immagine della perfezione di un supposto Dio. E’ l’uomo che sente e, con la sua ragione, interpreta e costruisce una rappresentazione del mondo.  

5 – IL TRIONFO DEL MECCANICISMO E PRIME ISTANZE CRITICHE.

           In tutto ciò che ho scritto in queste capitolo ho cercato di delineare i caratteri fondamentali del XVIII secolo, il secolo dell’Illuminismo.  

          Dal punto di vista politico-economico il dato dominante è il progressivo cambiamento del modo di produzione con la conseguente avanzata della borghesia. Questa classe riesce pacificamente ad imporsi in Gran Bretagna, mentre resterà, per lungo tempo, compressa ed osteggiata nel resto d’Europa. A lato di ciò, abbiamo seguito i possenti avanzamenti della tecnica che, almeno per tutto il secolo, resta slegata dalla produzione scientifica. La scienza, se da una parte non ripete i clamorosi successi del secolo precedente, dall’altra (completando e perfezionando il programma dei newtoniani con una descrizione del mondo, in linguaggio matematico, strettamente meccanicistica e deterministica) si sistema e si organizza in modo da preparare gli enormi avanzamenti del secolo sucessivo.(104)  A questo riguardo abbiamo accennato alle tre linee di pensiero che in questi anni lottano, si intersecano e si sovrappongono tra loro, il cartesianesimo, il leibnizianesimo, il newtonianesimo. Abbiamo anche notato che il progressivo affermarsi del meccanicismo newtoniano, fino al suo trionfo alla fine del secolo, era su linee che se pur si richiamavano a Newton, in realtà, ne rappresentavano il superamento o quantomeno la sua integrazione e sistemazione con il meccanicismo cartesiano e con la critica di Leibniz.

         Resta, a questo punto, da completare il quadro generale, da aggiungere qualche considerazione, da trarre qualche conclusione e di cercar di mettere insieme le prime istanze critiche emergenti.

         Gli ideali dell’Illuminismo, programma di emancipazione della borghesia, trovano un importante compimento, alla fine del secolo, con le rivoluzioni americana e francese; (105)   con esse si sanziona il trionfo della borghesia e si comincia a delineare lo stato democratico-borghese con i suoi principi che saranno poi alla base di tutta la concezione liberale. Dagli Stati Uniti e dalla Francia questi principi ai propagheranno per tutta Europa e faranno da punto di riferimento dei moti liberali ottocenteschi.

        Per altri versi il secolo assolverà al fondamentale ruolo di accelerare, portando a compimento, il processo di diffusione e laicizzazione della cultura. Da una parte, sulla scorta di quanto iniziato nel secolo precedente, si rafforzano e si moltiplicano le Accademie Scientifiche, dall’altra vengono fondate nuove scuole, collegi ed università. (106)  A questa operazione lavorano sia privati che regnanti illuminati. L’insegnamento assume caratteri che sempre più vanno a laicizzarlo e a toglierlo dalle mani di  vari ordini religiosi. La cacciata dei gesuiti da molti paesi (Portogallo – 1759; Francia – 1762; Spagna, Regno di Napoli, Ducato di Parma – 1767/1768) e la soppressione di questo ordine da parte di Papa Clemente XIV   (106bis) nel 1773 contribuirà grandemente a ciò. Possono cominciare a penetrare gli insegnamenti di Newton (fortemente osteggiati proprio dai gesuiti) e nuovo slancio acquista la separazione tra scienza e religione, iniziatasi alla fine del  ‘600. Questo legame non era ancora sciolto del tutto, “anche in questioni  riguardanti puramente la scienza della natura si osservava e si difendeva con zelo l’autorità della Scrittura.” (107)  Durante questo secolo molte cose cambiano e “lo scherno che Voltaire riversa continuamente sulla <fisica biblica> ci sembra oggi sorpassato ed insipido; ma chi voglia dare un giusto giudizio storico non deve dimenticare che nel secolo XVIII quello scherno era lanciato contro un avversario serio e pericoloso.” (107)  “Si tratteggia per la prima volta una storia fisica del mondo, lontana da ogni sorta di dogmatismo religioso e desiderosa di basarsi soltanto sui principi universali della conoscenza teorica della natura” (108) e Voltaire, per più di 50 anni, lavorò allo smantellamento del sistema tradizionale portando a termine una “opera  di  distruzione  che  fu  condizione  indispensabile  della  nuova  costruzione della fisica” . (108) E tutta quest’epoca confluirà», da una parte nel lavoro di Kant, in cui definitivamente si affermerà l’impossibilità di una scienza metafisica (109) e, dall’altra, nei lavori di Laplace, dei quali parleremo più oltre, in cui la natura è descritta come completamente indipendente da Dio ed interamente comprensibile all’uomo (è solo questione di tempo). A lato di ciò, durante il ‘700, cambierà lo status dello scienziato. Il lavoro scientifico, che fino al secolo precedente era essenzialmente affidato a singoli ingegni, che  usavano delle loro rendite da altre attività, per fare della scienza, diventa ora sempre più opera di professionisti con la conseguenza di allargare sempre di più la base sociale degli addetti ai lavori. Insomma per fare scienza nel ‘700 si è di più, si proviene da strati sociali un poco più differenziati, si comincia ad essere pagati.

          Ma il carattere saliente di questo secolo, da un punto di vista filosofico e scientifico, è il  trionfo del meccanicismo che  per molti versi ho cercato di delineare nelle pagine precedenti. L’opera di Newton, con gli aggiustamenti, le sistemazioni, le integrazioni e le omissioni di tutto quel complesso di fisici – matematici che vi lavorarono, viene universalmente accettata. La meccanica, nella sua nuova formulazione, acquista piena e superiore dignità scientifica. Il sistema del mondo di Newton trova clamorose conferme in tutte l’ osservazione astronomica e geodetica. E non solo. Anche in campi che Newton non aveva toccato o solo sfiorato, la sua fisica trova grandi applicazioni portando ad ulteriori e fondamentali conferme. La legge dell’inverso del quadrato della distanza, a fondamento della gravitazione, la si ritrova in magnetostatica (Michell) ed in elettrostatica (Coulomb) e Laplace potrà affermare che questa legge “relativa alla forza, vale per tutte le emanazioni che provengono da un centro come quella della luce.” (110)

          Certo il pregiudizio non era estraneo alle ricerche di elettricità e magnetismo: le leggi dell’inverso del quadrato sono trovate perché sono cercate; i modelli di fluido o di particelle per l’elettricità discendono direttamente dall’adesione a Descartes – Huygens o a Newton. In ogni caso, al di là di pur autorevoli contraddittori, il mondo ordinato e determinato della  fisica newtoniana aveva preso completamente piede alla fine del XVIII secolo.

          La natura sembrava obbedire tutta a quella legge dell’inverso del quadrato  e a quelle forze che agivano istantaneamente nel vuoto, (111)  a distanza e lungo la congiungente rettilinea i centri delle masse o delle cariche in gioco. Tutti i fenomeni naturali, il mondo, sembravano completamente determinati; occorreva solo il tempo necessario ad effettuare materialmente tut te le operazioni e poi nulla sarebbe più sfuggito alla capacità dell’uomo di  tutto  comprendere  e  descrivere.  Questo  stato  d’animo,   questo  atteggiamento, è ben rappresentato da Laplace che, nel suo Saggio filosofico sulle probabilità (1814) si rammaricò di non poter essere completamente determinista per mancanza di dati. Egli scrisse:

      ” Un’Intelligenza che, per un dato istante, conoscesse tutte le forze da cui è animata la natura e la situazione rispettiva di tutti gli esseri che la compongono, se per di più fosse abbastanza profonda per sottomettere questi dati all’analisi, abbraccerebbe nella stessa formula i movimenti dei più grandi corpi dell’universo e dell’atomo più leggero: nulla sarebbe incerto per essa e l’avvenire, come il passato, sarebbe presente ai suoi occhi.” (112) 

        E’ questo il manifesto del meccanicismo a cavallo dei secoli XVIII e XIX che illustra bene il substrato culturale su cui lavoravano i fisici-matematici francesi di quel periodo. Ma, si badi bene, questa enunciazione laplaciana introduce degli elementi non perfettamente in linea con la filosofia naturale di Newton. L’introduzione della probabilità per la comprensione dei fenomeni fisici,che Laplace introduce per rimpiazzare provvisoriamente la mancanza di quell’Intelligenza, è un elemento destinato a diventare sempre più estraneo alle primitive costruzioni newtoniane.

       In definitiva , a parte questo elemento non in linea con Newton, restano forze a distanza, legge dell’inverso del quadrato, azioni rettilinee nel vuoto e corpuscoli, particelle che, a partire dalla teoria corpuscolare della luce di Newton, avevano sancito il loro successo con la teoria cinetica dei gas di D. Bernouilli (l738). Ormai la spiegazione del mondo consisteva nel ridurre tutti i fenomeni naturali alle interazioni meccaniche di particelle considerate come parti ultime della materia. Bastava, come abbiamo  visto or ora per Laplace, conoscere le condizioni iniziali (posizioni e velocità) di un dato sistema di parlicelle per calcolarsi, con la meccanica,  la sua successiva evoluzione a stati diversi in fenomeni diversi. Ed è importante notare che, con la meccanica, non era soltanto possibile calcolarsi l’evoluzione in avanti, ma anche l’evoluzione all’indietro. Niente infatti, a partire dalla formulazione newtoniana, impediva la reversibilità dei fenomeni naturali proprio perché le equazioni della meccanica risultano simmetriche rispetto al tempo (e questo almeno dal punto di vista degli  sviluppi analitici poiché rimanevano i «piccoli» particolari costruttivi sui quali da anni si affannavano i tecnici, costruttori di macchine a vapore, per cercare di ottenere un poco più di lavoro meccanico dalla quantità di calore che impiegavano).

        In questo contesto particellare si inseriscono i lavori del gesuita Giuseppe Roggero Boscovich (1711-1787) che risultò un grande «mediatore» tra la fisica di Newton e la critica di Leibniz. (113)  La  ricerca di Boscovich partì dal proposito di determinare il centro di oscillazione dei corpi solidi. Per far questo passò attraverso lo studio dei fenomeni d’urto tra due corpi. Da alcune osservazioni empiriche (tutte di carattere qualitativo) egli iniziò a costruirsi un modello microscopico dei fenomeni in oggetto. Se l’urto tra le particelle ultime che costituiscono la materia è pensato come urto tra corpuscoli duri ed estesi, allora bisogna ammettere che nell’urto si crei una discontinuità nella velocità e quindi nel- la quantità di moto delle particelle.(116)  L’ammissione di ciò viola la legge di continuità che impedisce si possa andare da un valore ad un altro, di una data grandezza, senza passare attraverso valori intermedi. La prima assunzione di Boscovich è quindi quella legge di continuità , di sapore prevalentemente euristico, che spesso era stata utilizzata da Leibniz. Per risolvere il problema occorre, secondo Boscovich, sbarazzarsi dei corpuscoli estesi e duri ed ammettere una sorta di parziale «penetrabilità» della materia. Dalle sue osservazioni risultava che “immediatamente prima del con- tatto [nell’urto tra corpi solidi] le stesse velocità [di questi corpi] cominciano a cambiare.” (117) Quindi, a distanze piccolissime, non vi deve più essere attrazione (gravitazionale) tra corpi, ma repulsione che aumenta al diminuire della distanza tra gli stessi. Riportando ciò a livello microscopico è impossibile pensare le ultime parlicelle della materia come dure ed estese. Esse, secondo Boscovich, devono essere punti (matematici), indivisibili, inestesi, dotati di inerzia ma non di massa, (118) disseminati nel vuoto immenso. Intorno a questi punti vi è poi una sorta di atmosfera di forza, più densa man mano che ci si avvicina al punto. In questo modo Boscovich supera la difficoltà che sullo stesso problema si era presentata a Leibniz (119),  sviluppando, come osserva B. Russel, la monadologia in modo più logico e conseguente dello stesso Leibniz.  Le azioni che poi si esercitano tra punti di Boscovich sono a distanza, di tipo cioè newtoniano, ma anche se qui c’è un esplicito richiamo a Newton, quando si dovesse formalizzare il problema, non potremmo introdurre la massa e quindi in alcun modo potremmo parlare di forze alla Newton. Eppure per Boscovich non c’è materia (120)     ma forze le quali sono responsabili di quelle variazioni di velocità nell’urto tra due corpi o tra punti inestesi, cui si accennava prima.  

        E lo stesso urto sparisce nella meccanica di Boscovich; esso è sostituito da azioni che, avvenendo tra punti inestesi, sono sempre a distanza (tra le atmosfere di forza che si lasciano penetrare per un poco e poi, gradatamente, originano la repulsione che diventa sempre più intensa). La curva di forza (meglio sarebbe il dire: di variazione di velocità) in funzione della distanza tra punti è data dal nostro in modo da prevedere attrazioni di tipo gravitazionale a grande distanza, che vanno con l’inverso del quadrato, e repulsioni molto intense (impenetrabilità della materia) a brevissima distanza. A distanze intermedie si hanno delle altre intersezioni della curva con l’asse delle ascisse che, nelle ipotesi di Boscovich, debbono rendere conto di tutti gli altri fenomeni conosciuti come, ad esempio: l’evaporazione di un liquido, la coesione, il gas prodotto da fermentazione di sostanze, … (si veda la figura 1).

  Figura 1

        Questa concezione di Boscovich, che prende le mosse da Leibniz, che si sviluppa con Newton, che è in contrasto con il meccanicismo cartesiano (che si serviva di particelle estese e dure nel tutto pieno), è in realtà un’ elaborazione assolutamente originale; (121) e ad essa, poiché si fonda sul concetto di forza, è stato dato il nome di «dinamismo ».

        Il dinamismo, modello meccanicistico che si presterà bene ad una elaborazione matematica, sta in mezzo tra concezioni corpuscolari e fluidistiche; esso in qualche modo concilia il punto di vista della continuità (forze presenti dovunque) con quello della discontinuità (punti inestesi).

        Vedremo in seguito gli enormi sviluppi che si avranno dall’elaborazione del dinamismo, soprattutto ad opera di Faraday. E’ ora interessante osservare che, ancora nel secolo di Boscovich, un altro sostenitore del dinamismo fu proprio Kant, che molto contribuì alla sua affermazione per la grande influenza più generale che egli ebbe  sul pensiero filosofico e scientifico dell’ ‘800.

        Nonostante quindi i grandi successi dei fisici – matematici francesi, le prime istanze critiche, che erano state di Leibniz e di Berkeley, si facevano avanti ed andavano a mettere in discussione proprio i fondamenti della meccanica stessa. (122)  Questo bisogno di critica dei fondamenti era stato tra l’altro esplicitamente manifestato da Kant nei suoi Primi principi metafisici della scienza della natura (1786). Secondo Kant occorre far avanzare la discussione sui principi della meccanica ben oltre la loro accettazione acritica a priori. Bisogna arrivare fino ai concetti base su cui l’intera meccanica poggia. (123)                                                               

          Siamo alla fine del XVIII secolo. La formulazione di queste prime istanze critiche coincide, da una parte, con la decadenza dell’Illuminismo (124) e, dall’altra,  con l’emergere della Germania che va,  via via,  a collocarsi al centro del pensiero filosofico europeo. Il primo movimento di rottura con il pur evanescente Illuminismo tedesco (125) è  quello dello Sturm und Drang. Gli appartenenti ad esso (gli sturmer) ebbero molto in comune con gli illuministi, soprattutto divisero con loro la dura condanna per l’ancien regime, l’interesse per la natura e lo spirito laico; nel contempo, però, si distaccarono radicalmente da essi nel sostituire la categoria del ‘genio’ a quella della ‘razionalità’. Ma l’autentico superamento dell’Illuminismo tedesco sarà rappresentato dal criticismo kantiano. Kant, che si muoveva all’interno dell’Illuminismo (essendone un appassionato difensore), si impadronì delle esigenze di razionalità di esso, studiò i fondamenti di tali esigenze ed arrivò a scoprirne i limiti. Sulla strada aperta da Kant inizia a muoversi J.G. Fichte (1762- 1814) che ben presto si distaccherà dal maestro per imboccare la strada della filosofia dell’ ‘idealismo’ che in poco tempo si imporrà a tutta la Germania.  (127)

        Un allievo di Fichte, F.W. Schelling (l775-l854), che insieme allo stesso Fichte e ad Hegel (1770-1831) saranno ispiratori del movimento romantico, sarà poi il fondatore di quel movimento di pensiero, detto Naturphilosophie, che vedrà* Oersted tra i suoi sostenitori e lo influenzerà nella realizzazione della famosa esperienza, alla base dell’elettromagnetismo. Di tutto questo, comunque, avremo modo di occuparci più avanti, quando cercheremo di fornire un quadro di riferimento politico – economico – filosofico per il nuovo secolo che ormai sta iniziando.

NOTE

(51) Si veda bibl. 3, pagg. 85-88.

(52) All’inizio del secolo, in Inghilterra, la lavorazione della lana e le operazioni di tessitura avevano ancora carattere artigianale. Erano essenzialmente i contadini che operavano al telaio nelle loro case sparse nelle campagne (e ciò non sarebbe stato possibile in una economia agricola di tipo feudale). Il prodotto finito veniva venduto ai commercianti che lo raccoglievano spostandosi di casa in casa. In queste transazioni il commerciante aveva un tale margine di guadagno che presto fuin grado di acquistare Macchine in proprio che cedeva, insieme alla materia prima, in affitto. Pian piano queste macchine furono riunite in un unico luogo (l’opificio) dando ravvio a quella che ancora oggi conosciamo come industria. Come conseguenza della perdita dei mezzi di produzione da parte dell ‘artigiano si origina l’operaio salariato. Altro aspetto, ampiamente indagato (ad esempio da K. Marx), che merita di essere preso in considerazione come fattore fondamentale dello sviluppo capitalistico, è quello che va sotto il nome di profitto (la parte del lavoro operaio che non è pagato dal salario; ad esempio: la merce che si accumula nei magazzini). Per aumentare il profitto il padrone di una azienda poteva operare in due modi: o spingere i limiti di resistenza umana dell’operaio, allungando la giornata lavorativa oltre le 16 ore, o introducendo macchine (per questi aspetti si veda bibl. 42, pagg. 149-150}. Le due strade furono percorse contemporaneamente. Da una parte la giornata lavorativa arrivava fino ad oltre 16 ore, dall’altra si introdussero molte macchine nel processo produttivo (telai automatici, filatoi di vari tipi, macchina a vapore, telai meccanici, presse idrauliche, torni di vario tipo, telai a vapore -1787- , mulini automatici,…). Ed ogni volta che una macchina riassumeva in sé più funzioni essa significava il licenziamento di vari operai. Per altri versi, queste macchine, alla base della seconda rivoluzione industriale (seconda metà dell”800), ponevano da una parte una gran quantità di problemi tecnico-scientifici e dall’altra notevoli bisogni energetici (fatto, quest’ultimo, molto più sentito in Gran Bretagna che non nel resto d’Europa a causa del fatto che in questo paese vi è una carenza di corsi d’acqua diffusi su tutto il territorio). Si usò dapprima l’acqua fluente, quindi l’acqua in caduta da dislivelli naturali, e poi l’acqua in caduta da dislivelli artificiali; si passò poi alla macchina a vapore alimentata a legna e poi, vista la crisi di disponibilità di quest’ultima, a carbon fossile. Accompagnata alle innovazioni tecniche nella produzione durante il ‘700 vi fu l’ introduzione di una massa imponente di tecnologie in tutte le attività umane e soprattutto nei trasporti (navi a vapore -1786- , ponti, strade, rotaie, …) e nei settori vicini alla produzione tessile (sviluppo enorme della chimica che inizia a darsi le basi per diventare una scienza sperimentale; produzione dell’acido solforico e della soda). Per questi aspetti si può vedere bibl. 22 e bibl. 23. Sul primato dei fat-tori economici su quelli tecnici si veda bibl. 31, pagg. 628-633.

(53) Nel ‘700 la borghesia ebbe il suo teorico in economia politica nella persona di Adam Smith (1723-1790) il quale, per altro, fu per certi versi anticipato dal suo amico D. Hume.

(54) Per quel che riguarda vari aspetti di questo paragrafo ho seguito la traccia di bibl. 17, Voi. III, pagg. 7-23. Per ulteriori dettagli si può vedere bibl. 20, pagg. 385-454 e bibl. 21. Nonostante quanto affermato si ricordi ohe, ancora nel 1722, in Inghilterra si bruciavano *streghe* nelle piazze.

(55) Allo scopo si veda Bibl. 16, Vol. II, pagg. 292-294. Le innovazioni in agricoltura consistettero essenzialmente nell’introduzione di metodi di rotazione delle colture e nella razionalizzazione dell’allevamento del bestiame.

(56) Proprio per questo le grosse scoperte del secolo furono fatte da una nuova figura di intellettuale, il tecnico formatosi all’interno del nuovo modo di produzione e per questo più sensibile alle esigenze che qui emergevano. Allo scopo si veda Bibl. 24, pagg. 9-13.

(57) Già Locke aveva osservato: “C’è ragione di credere che se gli uomini fossero più istruiti, tenterebbero molto meno di imporsi al proprio prossimo.” Bibl. 7, Vol. 4, pagg. 105-106. Si noti che la più grande opera di divulgazione che fino ad allora fosse stata intrapresa è l’Encyclopedie, alla cui realizzazione lavorarono quasi tutti i principali pensatori francesi sotto la direzione di D’Alembert e Diderot. Per saperne di più, anche in relazione alle enormi difficoltà cui andarono incontro i redattori fino alla condanna dell’opera di Papa Clemente VIII, si veda bibl. 32.

(58) Allo scopo vedi anche lo stimolante saggio di bibl. 29.

(59) Per questa sua opera Voltaire fu a lungo perseguitato dal governo francese. Allo scopo si può vedere, ad esempio, l’introduzione a bibl. 27. Si osservi, che l’ammirazione di Voltaire per Newton era incondizionata. Egli nella XIV delle sue ‘Lettere inglesi’, quella che traccia un parallelo tra Descartes e Newton, dopo aver esordito: ” Un francese che capiti a Londra trova che le cose sono molt cambiate nella filosofia come in tutto il resto. Ha lasciato il mondo pieno e lo ritrova vuoto,” continua affermando: “Non credo, per vero, che si osi paragonare in nulla la filosofia [di Descartes] con quella di Newton la prima è solo un tentativo, la seconda un capolavoro. (ibidem, pagg. 53-59)

E’ interessante notare che anche D’Alembert avrà modo di dare del giudizi piuttosto sarcastici su Descartes. Nel ‘Discorso preliminare’ dell’Encyclopedie affermerà:“[Descartes] aveva cominciato con il dubbio universale; e le armi che noi rivolgiamo contro di lui furono forgiate da lui stesso.” (Bibl. 32, pag.112).

(60)Essenzialmente nelle sue opere ‘Lettere inglesi’ (1734) ed ‘Elementi della filosofia di Newton’ (1738). Si osservi che l’amante di Voltaire, la marchesa di Châtelet, curerà la prima edizione in francese dei Principia di Newton (1756).

(61)Condillac (1714 – 1780); Helvetius (1715 – 1771); Diderot (1715 – 1784); D’Alembert (1717 – 1783); Laplace (1749 – 1827).

(62)Bibl. 29, pag. 22.

(63)A lato di ciò vi fu il tentativo di estendere il newtonianesimo ai fatti che hanno attinenza con la vita dell’uomo, ad un campo cioè non immediatamente riconducibile alla filosofia naturale.. Condillac sostenne la necessità di ricavare ogni cosa dall’esperienza. Helvetius, prendendo le mosse da Condillac, argomentò che, “se tutto deriva dall’esperienza, sarà l’ambiente esterno – unica fonte dell’esperienza stessa – il vero responsabile delle inclinazioni o azioni, buone o cattive. E’ inutile predicare o correggere severamente, quando invece occorrerebbe migliorare l’ambiente sociale in cui l’uomo vive e, in primo luogo, riformare i governi corrotti” (bibl. 7, Vol. 4, pag. 118). Ed a questo Diderot aggiungeva: ”Esaminate le varie istituzioni politiche, civili e religiose. Troverete che da secoli il genere umano si curva sotto il giogo impostogli da un certo numero di bricconi! Ordinare significa sempre erigersi a signore degli altri uomini” (ibidem, pag. 119). Infine De Lamettrie propugnò un materialismo assoluto (‘la materia pensa’) nella sua opera dal titolo eloquente, “L’uomo macchina”, in cui negò in modo categorico la realtà dell’anima (bibl. 28).

(64) Abbiamo già osservato che la filosofia della natura nel XVIII secolo si sviluppò su linee razionali. Per quanto riguarda le diverse caratterizzazioni che l’Illuminismo ebbe, c’è da osservare che: in Inghilterra esso si fondò sull’empirismo puro; in Francia sul razionalismo empirico; in Germania sul razionalismo accompagnato da ampi margini metafisici(eredità leibniziana). In ogni caso la grande novità del secolo fu il ribaltamento del rapporto esistente tra concetti e fenomeni, “non si passa dai concetti e dai principi ai fenomeni, ma viceversa” (bibl. 26, pagg. 23-24).

(65) Bibl. 24, pagg. 12-13.

(66) Si osservi che il modello newtoniano cui si rifacevano i francesi erano i Principia, primo esempio di fisica sottoposta ad ano spinto trattamento teorico ed analitico. Si potrebbe osservare, forse, che Newton, pur disponendo del metodo delle flussioni, usò il metodo geometrico affinchè gli argomenti trattati fossero più accessibili ai suoi lettori.

(67) Bibl. 18, Vol. II, pag. 162. E’ un grosso salto che si fa e, come osserva Bellone, “La differenza che separa i lavori di Euler o di Lagrange da quelli di Newton è, perlomeno, altrettanto grande di quella che separa i Principia dalle ricerche degli scienziati pregalileiani”. (Bibl. 12, pag. 557).

(68) Si osservi che ancora alla fine del secolo XVIII venivano rifiutati brevetti, anche importanti, a coloro che non avevano una cultura scientifica superiore.

(69) Bibl. 29, pag. 23. A questo proposito è interessaste leggere un brano di Diderot, tratto dalla voce “Arte” dell’Enoyclopedie (bibl. 32, pag. 176), in cui risalta tutta l’illusione ottimistica degli illuministi:

“La bontà delle materie prime sarà il principale fattore della superiorità di una manifattura su un’altra, insieme con la speditezza del lavoro e con la sua perfetta esecuzione. La bontà dei materiali è questione d’attenzione, mentre la speditezza e perfezione del lavoro sono soltanto in funzione del numero degli operai impiegati, (quando una fabbrica ha numerosi operai, ciascuna fase di lavorazione occupa un uomo diverso. Un operaio ha eseguito ed eseguirà per tutta la vita una sola ed unica operazione; un altro, un’altra; perciò ognuna è compiuta bene e prontamente e la migliore esecuzione coincide con il minimo costo.

Inoltre, il gusto e la destrezza si perfezionano indubbiamente fra un gran numero d’operai, poiché è difficile che non ve ne siano taluni capaci di riflettere, combinare e scoprire infine il solo modo che consenta loro di superare i compagni; ossia come risparmiare il materiale, guadagnar tempo, o far progredire l’industria, sia con una nuova macchina, sia con una manovra più comoda”.

Cento anni più tardi K. Marx teorizzerà invece il ruolo antagonista che la classe degli operai esercita nei confronti della borghesia, proprietaria dei mezzi di produzione,

Si osservi che già alla fine del secolo vi furono, ad esempio in Inghilterra, dei massicci fenomeni di rifiuto delle macchine da parte degli operai. Questi ultimi, minacciati della perdita del lavoro da parte di macchine che racchiudevano in sé un sempre maggior numero di processi operativi, arrivarono nel 1791 a distruggere, a Manchester, una fabbrica con 400 telai.

Sui problemi del ‘macchinismo’ si può leggere il bel saggio di A. Koyré di bibl. 30; lo stimolante lavoro di J. Fallot di bibl. 62; il fondamentale testo di K. Marx ‘Sulle macchine’ (dal quaderno V del Manoscritto- 1861-l863 – “Per la critica dell’economia politica” , riportato sulla rivi- sta Marxiana 2 dell’ottobre 1976); l’importante lavoro di P. Rossi “I filosofi e le macchine (1400-1700)” edito da Feltrinelli.

(70) Bibl. 26, pag. 60,

(71) Quando fra qualche pagina parleremo dell ‘interpretazione che si cercò di dare dell’esperienza di Oersted, avrò modo di far intendere meglio quanto qui ho solo accennato. Mi interessa ora sottolineare la mia adesione alla convinzione (dibattuta in modo articolato da vari epistemologi) secondo cui il progresso del pensiero scientifico  non consiste in un processo di accumulazione di conoscenze ma in scontri, a volte aspri, tra linee diverse. Riguardo poi ai motivi che concorrono all’affermazione di una linea su di un’altra, almeno dal punto di vista della storia interna alle teorie scientifiche, sono di natura diversa ed essenzialmente consistono nel maggior numero di indizi o prove che si riescono a trovare a sostegno di quella teoria (fermo restando il fatto che una data esperienza che si accordi con una data teoria può solo fortificare quest’ultima e non renderla vera, mentre una sola esperienza non in accordo con quella data teoria la falsifica completamente – Popper preceduto dal più autorevole Galileo). Altri motivi vanno poi ricercati nella struttura stessa della teoria: la sua semplicità; la sua eleganza; il fatto che essa goda di alcuna proprietà di simmetria, di gruppo, … ; …  L’insieme di questi ultimi motivi fa sì che una teoria venga preferita ad un’ altra per motivi euristici.

        Da questi pochi cenni discende che è illusorio ritenere l’approccio alla conoscenza scientifica come meramente empirico o sperimentalista; c’è, evidentemente, una convinzione a priori, una teoria, un «pregiudizio» che fa muovere il ricercatore su di una strada, su di una esperienza piuttosto che su di un’altra. E’ proprio l’articolazione del ‘pregiudizio’ in ‘teoria’ che fa sperimentare in un certo modo e ricercare certe cose piuttosto che altre. Ed in definitiva si va a cercarre ciò che si vuole trovare. C’è poi il problema dei risultati forniti da un dato esperimento: come interpretarli ? Uno stesso eperimento, fermo restando il dato empirico, può essere suscettibile di interpretazioni diverse al variare dei termini teorici che ne accompagnano la spiegazione; ed in genere si tenta di far dire all’esperimento ciò che e’ in accordo con la teoria a priori. Esempi di questo genere ne sono offerti in quantità dalla storia della fisica: il pregiudizio di universo ‘piccolo’  e la a non osservazione della parallasse stellare (a causa di strumenti non adatti) fa concludere a Tycho Brahe che la teoria copernicana non e’ corretta con la conseguenza che la Terra torna ad essere immobile; il pregiudizio di azioni a distanza fa si che Ampère dia una spiegazione completamente diversa – da quella che poi si affermerà – dell’esperienza di Oersted (ma di questo parleremo in dettaglio nel paragrafo 2 del capitolo III); la non osservazione del vento d’etere fa concludere a Michelson che la sua esperienza è stata un insuccesso (di questo parleremo in dettaglio nel paragrafo 4 del capitolo IV); … .

        Quanto fin qui detto dovrebbe far intendere quanto sia dannoso nella didattica il lavorare (quando lo si fa!) con un mero approccio che si vorrebbe sperimentale su fenomeni già ‘sterilizzati’ e preparati al fine che l’insegnante ha già nella mente e quanto, invece, potrebbe risultare fecondo il lavorare, almeno ad un primo approccio, su fenomeni ‘grezzi’, da scomporre cioè in fenomeni più semplici – e quindi più facilmente studiabili – mediante il processo di separazione delle variabili in gioco, fatto quest’ultimo che presuppone una teoria che il ragazzo si deve costruire.

        In altri momenti poi della storia del pensiero scientifico, altre linee, altre teorie, che nel frattempo si sono sviluppate underground, magari al di fuori della scienza ufficiale, riescono ad emergere o sulla falsificazione della teoria dominante o sulla raccolta di maggiori indizi o prove a loro sostegno o su tutte e due le cose. Quindi, in nessun modo, credo si possa sostenere una linearità nel progresso scientifico, una teoria cioè che si afferma come mero superamento o ampliamento della teoria precedente. Se poi si ricollega tutto ciò all’esistenza anche di una storia esterna, allora si capisce l’enorme complessità del problema. (Per approfondire queste questioni, qui solo accennate, si può vedere, ad esempio, Bibll. n° 14, 35, 36, 37, 41, 38 pagg. 55-62, 39 pagg. 34-36, 40 pagg. 11-15).

(72) Per le cose che seguono mi sono riferito principalmente a Bibll. n° 7 (vol. 4), 17 (vol. 3), 33 (vol. 3), 16 (vol. 2), 19 (vol. 2), 44 (voll. Scienze, Tecnica).

(73) Per approfondire questo aspetto vedi l’altro mio lavoro sull’argomento relatività (Bibl. 3, pag. 78).

(74) Si osservi che dai tempi di Galileo gli strumenti per l’osservazione astronomica erano stati di molto migliorati ed in grandezza ed in precisione.

(75) La spedizione in Lapponia era diretta da Maupertuis (1698-1759). Di essa faceva parte anche Clairaut.                       

(76) Secondo Newton ed i suoi sostenitori, a seguito dell’effetto di rotazione su se stessa, la Terra doveva risultare schiacciata ai poli  Secondo altri, tra cui il grande astronomo G. Cassini, italiano al servizio di Luigi XV di Francia, la Terra doveva risultare rigonfia ai poli e schiacciata all’equatore.                      

(77) La nutazione dell’asse terrestre è un fenomeno che si origina come conseguenza dell’intersezione dell’orbita lunare con l’eclittica. Si tratta di una oscillazione dell’asse terrestre intorno alla sua posizione media, che ha un periodo di circa 18 anni, corrispondente al moto di precessione.   

(78) Lo studio dell’orbita di Urano con le sue irregolarità, porterà, a prevedere l’esistenza di Nettuno e la sua posizione nel cielo (1846).

(78bis) E’ divertente ricordare che l’abate Nollet faceva esperienze sulla trasmissione dell’elettricità alla corte di Versailles (1765) utilizzando file di frati lunghe 3 km;  i frati erano legati tra loro da filo di ferro ed erano collegati con una bottiglia di Leyda.

(79) Per realizzare l’esperimento Coulomb ai servirà della Bilancia di torsione da lui inventata l’anno precedente. Si osservi che, sempre nel 1785, Coulomb ricaverà, le leggi di forza complete per le cariche elettriche e per le masse magnetiche. Un altro dato che non va dimenticato è che sulla legge dell’inverso del quadrato per le cariche elettriche, Coulomb era stato preceduto da ipotesi in tal senso avanzate da D. Bernouilli (1760) e da J. Priestley (1767). Quest’ultimo poi aveva anche sostenuto l’analogia tra fenomeni elettrici e gravitazionali. E’ importale notare che questi successi andavano ad affermare, via via, elettrologia e magnetologia come scienze aventi una propria dignità. La formulazione matematica dell’elettrostatica e della magnetostatica, con l’applicazione dei metodi analitici dei fisici -matematici francesi e l’estensione ad esse dell’equazione del potenziale (introdotta da Lagrange e sviluppata da Laplace), spetterà a Poisson (1781 – 1840) che mirabilmente, in due lavori del 1812 e del1824, porterà, soprattutto l’elettrostatica, al livello di scienza moderna.

(79bis) Per leggere alcuni brani originali di Galvani e Volta, si possono vedere i volumi 46 e 47 di bibliografia.

(80) Per questi ed altri aspetti delle problematiche alla base della fondazione della termodinamica, si veda il paragrafo 7 del capitolo III oltre a Bibl. 22, 42, 43.

(80bis) Questo fluido calorico era pensato come una atmosfera che circondava le particelle ultime della materia, gli atomi.

(81) Per  sbarazzarsi de1 calorico Rumford pesò con una bilancia di precisione, dell’acqua prima in condizioni normali e quindi ghiacciata. Poiché non vi era differenza di massa ne dedusse che il calore non può essere una sostanza.

          Per affermare la teoria dinamica, Rumford mise in relazione il numero dei giri che una trivella faceva (nella foratura dei cannoni) con la quantità di calore che si sviluppava nel metallo. Scoperta una proporzionalità, tra le due grandezze affermò: “mi sembra difficile, se non impossibile, pensare al calore come a qualcosa di diverso da ciò che, nell’esperimento, era fornito con continuità al metallo, nello stesso tempo che il calore si manifestava, e cioè  il movimento”. (An enquiry concerning the source of the heat wich is excited by friction – 1798).

(82) Questo fatto è del tutto nuovo rispetto alla fisica di Newton nella quale è assente ogni conservazione. Anzi “Newton afferma (in contrapposizione a Descartes ed a Leibniz) che in ogni urto si perde qualcosa del moto” (era Dio che reintegrava il moto perduto). Allo stesso modo in Newton non compaiono mai concetti come lavoro potenza ed energia ed è condivisibile la tesi di Baracca e Rigatti (bibl. 42, pag. 47) secondo cui “questi concetti non erano in effetti necessari per il livello raggiunto dall’industria e si svilupparono in conseguenza delle nuove  esigenze pratiche”.

        Per guanto segue, sullo sviluppo delle macchine a vapore, si può vedere il paragrafo 7 del capitolo III e Bibl, 43 e 45.

(83) Bibl. 43, pag.228. Si osservi che a partire dal 1759 le Accademie scientifiche (prima fra tutte la Royal Society) cominciarono ad interessarsi di tecnologia iniziando la raccolta sistematica dei progressi e delle difficoltà che si incontravano nei vari campi di attività e la pubblicazione dei dati più significativi.

(84) Per approfondire questa parte si può vedere, ad esempio, Bibl. 15, fasc. V e Bibl. 50.

(85) Allo scopo si veda Bibl. 7, Vol. 4, pagg. 233-235. Tra l’altro è interessante leggere per intero il passo di Bibl. in quanto, un’altra volta, risulta chiaro il ruolo del pregiudizio nell’indagine fisica. In questo caso, partendo addirittura da premesse sbagliate, convinto però della giustezza delle ipotesi di Newton e della necessità di esse, Maupertuis riesce a trovare un principio di enorme potenza che abbisognerà solo di qualche piccolo aggiustamento per diventare ciò che oggi rientra nell’ambito dei cosiddetti principi variazionali.  

(86) Non tanto la formulazione di questo principio, quanto la concezione metafisica che Maupertuis gli pose a fondamento (Dio ha pensato bene di imporlo al creato), sollevarono grandi polemiche tra i contemporanei.

(87) Per approfondire questo aspetto si veda Bibl, 15, fase. V, e Bibl. 50.

(87bis) E’ interessante ricordare che la scoperta dell’impossibilità di propagazione del suono nel vuoto è dovuta all’amico ed allievo di Galileo, G. Sagredo (1571 – 1620).

(88) Bibl. 33, pag. 599.  

(89) Bibl. 10, pag. 112.  

(90) Ibidem, pag. 122.

(91) Ibidem.

(92) Qui comincia ad emergere una posizione che è abbastanza caratteristica del secolo e che diventerà sempre più importante in seguito (fino ad oggi):  la filosofia non può pretendere di fornire strade alla scienza, essa deve cercare di capire i suoi fondamenti e cosa essi rappresentino in rapporto al pensiero ed alla conoscenza.

        Passando ad altro argomento, è interessante riportare quanto Elkanà sostiene a proposito di Euler (bibl. 51, II, pag. 38):

“Euler era un cartesiano nella sua metafisica, un newtoniano nella sua metodologia … la sua immagine della scienza era fortemente influenzata da Leibniz e dal carattere illuministico delle Accademie di Berlino e St. Petesburg.”

(93) Bibl. 7, vol. 4, pag. 178. Avverto che alcune considerazioni sviluppate in questo paragrafo sono ispirate dallo stesso testo (pagg. 177 – 179) e da Bibl. 6 (pagg. 111 – 112).

(94) Bibl. 6, pag. 111.                                  

(95) Bibl. 7, vol. 4, pag. 178. Come Euler faccia poi discendere il principio d’inerzia dall’impenetrabilità della materia (che egli poneva a fondamento della materia stessa ed all’origine di tutte le forze) è ben spiegato da Elkanà in Bibl. 51, II, pagg. 40 – 45. Si osservi che Euler considerava tutte le forze come effetti dell’impenetrabilità della materia ed in questo senso interpretava anche la legge di gravitazione universale (più su linee cartesiane che non newtoniane dunque). Per Euler, quindi, non ci possono essere azioni a distanza, ma solo azioni a contatto o fra particelle di materia o fra particelle di materia ed etere che tutto riempie (anche lo spazio dove non c’è materia). E l’azione non è l’effetto di urti tra particelle (che hanno il difetto di essere unidirezionali) ma quello della pressione (che ha il pregio di agire in tutte le direzioni). In definitiva Euler applica la sua meccanica dei fluidi all’etere unificando tutti i fenomeni fisici con la teoria delle forze a contatto che discende, appunto, dall’impenetrabilità della materia.

(96) Bibl. 6, pag. 112. Si osservi che le citazioni di Euler riportate, sono state sviluppate dall’autore negli anni che vanno dal 1748 al 1765 principalmente nei lavori Reflexions sur l’espace et le temps (1748) e Theoria motus corporum … (1765). Sull’ impenetrabilità dei corpi, secondo Euler, si possono leggere alcuni suoi brani originali, tratti dalle sue Lettere ad una principessa  tedesca (1760-1762), in Bibl. 56, pagg. 71-86.

(96bis) Per l’influenza di Kant sull’ ‘800 si veda bibl. 51, II, pagg. 65-69.

(97) Nell’opera Nuova spiegazione dei primi principi della conoscenza metafica (1755). Sulle influenze di Euler su Kant si veda, ad esempio, Bibl. 51, II, pagg. 46-51. Si osservi che, mentre è indubbio che per Euler l’impenetrabilità è all’origine delle forze, per Kant (molto spesso) sono le forze che causano l’impenetrabilità.

(98) Nell’opera Nuova dottrina del moto e della quiete (1758).

(99) Nell’ opera Del primo fondamento della distinzione delle regioni nello spazio (1763).

(100) Bibl. 6, pag. 118.

(101) Alcune premesse a quanto Kant affermerà in questo fondamentale lavoro a proposito di spazio e tempo, si possono trovare nell’opera De mundi sensibilis atque intelligibilis forma et principiis (1770). 

(102) Bibl. 1, pagg. 233-236. Si osservi che, come vedremo più avanti, Kant sosterrà un dinamismo fisico di tipo boscoviciano; egli elaborerà una immagine della costituzione della materia per la quale l’intero spazio deve essere riempito di etere (sostanza che ha una densità di gran lunga più piccola di qualunque materia esistente). Lo spazio risulta quindi continuo, senza vuoti, e gli atomi non sono altro che punti inestesi e centri di forza. In questo spazio agirebbero due forze, quella attrattiva di tipo newtoniano e quella repulsiva che rende conto dell’impenetrabilità dei corpi. Per quest’ultimo aspetto si veda Bibl. 17, III, pag. 605; Bibl.l3, pagg.60-61 e Bibl.6, pagg. 191-194. Per leggere poi dei brani originali di Kant in cui egli sviluppa il suo dinamismo fisico, brani tratti da Primi principi metafisici della scienza della natura (1786), si può vedere bibl. 56, pagg. 109 – 121.

(103) Ibidem, pagg. 236-241. A proposito di ‘Spazio e Tempo’ in Kant vorrei consigliare le interessanti osservazioni che Popper fa in bibl. 14, I, pagg. 309-311. In questo passo, tra l’altro, Popper corregge la visione comunemente accreditata di Kant quale padre dell’idealismo tedesco. Lo stesso Kant, del resto, cercò più volte di correggere un’ immagine di sé accreditata dal suo linguaggio ‘fuorviante’ e dal suo ‘stile difficile’. In definitiva “Kant sostenne sempre che gli oggetti fisici, collocati nello spazio e nel tempo, sono reali”. Egli “aveva negato soltanto che lo spazio ed il tempo fossero di natura empirica e reale”.

(104) A questo proposito Elkanà osserva (Bibl. 51, II, pag. 31) che senza i lavori dei Benouilli, di Euler, di Maclaurin, di D’Alembert, di Lagrange, di Laplace e dell’intera scuola dei fisici matematici francesi, “lo sviluppo della fisica del XIX e XX secolo sarebbe stato impossibile.”

(105) La dichiarazione d’indipendenza delle colonie americane è del 1776. Come conseguenza di ciò inizia una lunga guerra con la Gran Bretagna che porterà (1783) al riconoscimento di questa indipendenza. La costituzione è del 1767, mentre la nascita ufficiale degli Stati Uniti d’America è del 1789. La Rivoluzione Francese ha inizio nel 1780 con la convocazione degli Stati Generali e termina nel 1794 con la caduta di Robespierre. Tra il 1794 ed il 1799 si ha da una parte l’esplosione di fermenti oontrorivoluzionari e dall’altra l’ascesa dell’astro-Napoleone che, appunto nel 1799, col colpo di stato del 18 Brumaio, prenderà il potere (che manterrà, con alterne vicende, fino al l8l5 – Waterloo e Congresso di Vienna).

(106) Nel 1700, a Berlino, Federico I, su consiglio di Leibniz, crea la Société des Sciences; nel 1701, in America, viene fondata l’università di Yale; nel 1702 quella di Breslavia (Polonia); la Società Reale delle Scienze nasce nel 1710 ad Uppsala (Svezia); mentre nel 1713 viene fondata l’Accademia Reale Spagnola. Nel 1716 nascono scuole tecniche in Francia e nel 1717 a Praga. Nel 1725 viene istituita l’Accademia delle Scienze di Pietroburgo; nel 1727 si costituisce il «Junto», prima vera accademia delle scienze americana, dai cui sviluppi nascerà l’American Philosophical Society. Nel 1737 viene aperta l’Università di Gottinga. Nel 1741 apre l’Accademia Reale svedese e nel 1742 quella danese. Nel 1745 riapre la vecchia Accademia dei Lincei (Roma). Nel 1740 è fondato il Collegio di Filadelfia, nel 1746 il Collegio di New Jersey (che diventerà l’Università di Princeton) e nel 1754 il King’s College (che diventerà la Columbia University). Nel 1755 nasce l’Università di Mosca. Nel 1757 l’Accademia Reale delle Scienze di Torino inizia la sua attività. L’Accademia Reale del Belgio è del 1772, la Società delle Scienze di Praga è del 1774, l’Accademia delle Scienze di Lisbona è del 1779. A partire dal 1776 la Royal Society di Londra istituisce un premio (la Copley Medal) per le migliori ricerche sperimentali. Tra il 1780 ed il 1789 vedono la luce: l’Accademia delle Arti e delle Scienze di Boston, la Società Italiana della Scienza a Roma, la Reale Accademia Irlandese a Dublino, la Royal Society di Edimburgo, l’Accademia Svedese a Stoccolma e varie altre istituzioni scientifiche e culturali. Data fondamentale è quella della nascita dell’École Polytechnique a Parigi (1794), dalla quale usciranno i massimi futuri rappresentanti della scienza francese (questa scuola era nata, sotto la guida di Monge, per preparare scientificamente, durante la Rivoluzione, coloro che volevano intraprendere la carriera militare o per formare ingegneri. Ancora nel 1794 nasce l’École Normale Superieure (per la formazione degli insegnanti) e quindi, nel 1795, l’Institut National des Sciences et des Arts (che prende il posto della soppressa Academie des Sciences).

        Per concludere è utile ricordare almeno le date di nascita delle più importanti accademie che si costituirono nel secolo precedente: Lincei a Roma nel 1603 (poi chiusa nel 1630); Cimento a Firenze nel 1657 (poi chiusa nel 1667); Royal Society a Londra nel 1662; Académie Royale des Sciences a Parigi nel 1666.

(l06bis) L’ordine dei gesuiti fu ristabilito nel l8l4 da Papa Pio VII. Si noti che tutti i provvedimenti citati contro i gesuiti non erano certamente presi con propositi progressisti, ma, se possibile, ancora più conservatori.

(107) Bibl. 26, pag. 77.

(108) Ibidem, pagg.,78-79. Per chi volesse approfondire i termini della continua negazione che le scoperte scientifiche del ‘700 rappresentavano della fisica biblica si consiglia l’intero brano di Bibl. citata.

(109) A questo proposito si veda bibl. 7, vol. 4, pagg. 337-341•.  

(110) Bibl. 16, II, pag. 309. L’analogia formale tra la legge di gravitazione universale (F = G. mM/r² ) tra due masse a distanza r , quella di Coulomb (F = K.qQ/r²) tra due cariche a distanza r e quella di Michell (F = K. pP/r²) tra due poli magnetici a distanza r, è evidente. C’è solo da osservare che le forze, nel caso gravitazionale, sono solo attrattive, mentre, sia nel caso elettrico che magnetico, sono attrattive e repulsive.

(111)     Ricordo che dire «istantaneamente» significa che un’ azione si propaga da un punto all’altro dello spazio in un tempo zero, cioè con velocità infinita. In proposito si veda l’altro mio lavoro sulla Relatività (classica); Bibl. 3, pag. 127.

(112) Bibl. 48,  pag.  243. Si osservi che Laplace conduceva una grossa polemica contro il «finalismo» al quale, appunto, contrapponeva il determinismo.

(113) Boscovich era un dalmata che studiò e redasse il corpo principale dei suoi lavori in Italia. Egli fu eminente ricercatore sia in meccanica che in astronomia; sia in geodesia che in ottica; sia in matematica che in problemi tecnici, Tra i suoi grandi meriti c’è quello di essere stato uno tra i primi grandi divulgatori dell’opera di Newton nel continente.

(114) Nell’opera De viribus vivis (1745).

(115) Per una discussione dettagliata di questo aspetto, si veda bibl.6, pagg. 183-191 ed anche bibl.13, pagg.59-60.

(116) Detto con linguaggio moderno e supponendo l’urto unidimensionale, all’istante in cui i due corpuscoli si urtano, il vettore velocità dovrebbe assumere, in quell’istante, due valori (se non altro due versi opposti).

(117) Da Theoria philosophiae naturalis … (1758), su bibl. 6, pag. 185.

(118) Concordo con questa formulazione (inerzia ma non massa) che ritrovo su Jammer (bibl. 6) e non su quella data da Forti (semplicemente massa – bibl. 7) . Questo anche se in passato (bibl. 13) ho aderito alla posizione sostenuta da Forti.

(119) Si riveda in proposito quanto è stato detto su Leibniz ed in particolare la nota 18.

(120) Per la verità Boscovich sostiene che ” l’universo non consiste di vuoto disseminato tra la materia, ma di materia disseminata nel vuoto e fluttuante in esso”;  ma, portando alle naturali conseguenze la sua concezione atomica si vede bene qual fine faccia la materia. (La citazione proviene da bibl. 33, III, pag. 572).

(121) Si osservi che Boscovich criticherà anche i concetti di spazio e tempo assoluti oltre al principio d’inerzia, in base al fatto che questi non sono sperimentalmente osservabili. Per leggere comunque brani originali dello stesso Boscovich, tratti da Theoria … (citata), sulla sua teoria dei centri di forza, si veda bibl. 56, pagg. 122-131.  

(122) Si osservi che tra i primi critici di Newton vi era stato il fisico olandese W. J. s’Gravesande (1688-1742). Egli criticò (1736) in particolare le ‘regolae philosophandi‘ di Newton sostenendo che esse non sono né logiche, né possono valere a priori, né possono essere giustificate induttivamente essendo esse stesse il fondamento di ogni induzione. Esse sono valide solo in base al postulato che vuole Dio reggitore del mondo (si veda in proposito bibl. 17, III, pagg. 265-268).

(123) Anche l’ «osservatore», per Kant, comincia a diventare importante nella indagine fisica. Come dice Popper, riportando il pensiero di Kant:

 ” Dobbiamo abbandonare l’opinione secondo cui siamo degli osservatori passivi, sui quali la natura imprime la propria regolarità. E’ bene invece adottare l’opinione secondo cui, nell’assimilare i dati sensibili, imprimiamo attivamente ad essi l’ordine e le leggi del nostro intelletto. Il cosmo reca l’impronta della nostra mente … Lo sperimentatore non deve attendere che alla natura piaccia rivelargli i propri segreti, ma deve interrogarla. Egli deve fare ciò ripetutamente alla luce dei propri dubbi, congetture, teorie, idee ed ispirazioni.”

In questo modo la scienza risulta una creazione umana come l’arte e la letteratura. (bibl. 14, I, pagg.312-313).  

(124) Si osservi che, ispirate dalla grande atmosfera culturale illuministica, si erano realizzate due grandi rivoluzioni che avevano affermato gli ideali di libertà, uguaglianza e fraternità. Nel contempo però i sovrani ‘illuminati’ di Russia, Prussia ed Austria, con la prima spartizione della Polonia (1772), mostrano come la politica di potenza possa più dei lumi della ragione e come le aspirazioni progressiste non possano coesistere con l’assolutismo monarchico. Sul finire del secolo, poi, è proprio un “figlio della Rivoluzione”, Napoleone, ad interpretare fino in fondo gli ideali borghesi con le sue armate dilaganti per tutta l’Europa. E certamente l’Illuminismo,  propagandato non dai Voltaire, dai Diderot, dai D’Alembert, ma dalle armate napoleoniche, apre la strada ai nazionalismi dei popoli che, per difendersi dall’invasore, ricercano una unità (anche se fittizia) nei loro regnanti.

(125) Sull’ Illuminismo tedesco (Wolff, Lessing) si veda bibl. 17, III, pagg. 489-517.

(126) Bibl. 14, I, pag.306.

(127) Si osservi che Kant “visse abbastanza a lungo per respingere gli insistenti approcci di Fichte, che si era proclamato suo successore ed erede.” (Ibidem, pag. 305).



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